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La programmazione dei servizi socio-sanitari territoriali nel nuovo assetto del sistema di assistenza della Regione Toscana- il caso della zona livornese

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INDICE

INTRODUZIONE

p.3

CAPITOLO I:

La programmazione in campo socio-sanitario: l’evoluzione

del quadro normativo

1.1 Politiche e diritti sociali p.8 1.2 Storia normativa nazionale dei due diritti dopo il loro

riconoscimento costituzionale: l'assistenza sociale fino

alla riforma del Titolo V p.12 1.3 Storia normativa nazionale dei due diritti dopo il loro

riconoscimento costituzionale: l'assistenza sanitaria fino alla riforma del Titolo V p.20 1.4 La riforma del titolo V con legge costituzionale numero

3 del 2001: implicazioni nelle due aree di interesse p.30 1.5 L'integrazione socio-sanitaria p.38

(2)

CAPITOLO II:

Le riforme legislative della Regione Toscana

2.1 Un modello di governo integrato p.41 2.2 Il nuovo strumento di programmazione locale della

Regione Toscana: i caratteri innovativi p.50

CAPITOLO III:

L’esperienza applicativa della zona Livornese

3.1 Il contesto p.64

3.2 Il processo di formazione e la struttura del Piano Integrato di Salute p.71 3.3 Le infrastrutture tecniche e partecipative p.87 3.4 Il sistema di valutazione p.97 3.5 Il processo di allocazione delle risorse p.106

CONCLUSIONI

p.116

NORMATIVA

p.122

(3)

INTRODUZIONE

In questo elaborato si effettua un'analisi, scaturita dall'esperienza sul campo, del sistema di programmazione dei servizi socio-sanitari territoriali della Regione Toscana. In particolar modo la tesi si concentra sullo strumento di programmazione unico che la recente “riforma Toscana” ha deciso di darsi: il Piano Integrato di Salute (PIS).

L'ipotesi che si vuole verificare è quello della grande innovazione di questo Piano e della capacità rivoluzionaria dei processi che mette in campo per la promozione di salute. La domanda che sottende al contributo è quella dell'esportabilità o meno di questo modello fuori dai confini regionali.

L'indagine in oggetto si sviluppa attraverso tre capitoli.

Partendo dall'evoluzione del quadro normativo di riferimento in campo socio-sanitario a livello nazionale, l'indagine coinvolge in seguito le riforme legislative toscane che concernono il modello di governo del sistema di assistenza territoriale con la previsione della Società della Salute e della relativa programmazione integrata del PIS. Una volta analizzato il contesto viene descritta l'esperienza

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applicativa di questo strumento di una realtà locale che ho potuto osservare in modo partecipativo.

Nel primo capitolo si parte dai diritti sociali riconosciuti in Costituzione, in particolare rispetto alla salute e all'assistenza sociale: diritti sanciti rispettivamente dagli articoli 32 e 38 della Carta Costituzionale.

Una volta appurato il riconoscimento di questi diritti risulta fondamentale osservare come essi si siano evoluti e integrati a livello normativo nel tempo. In campo dell'assistenza sociale il riferimento normativo è quello della Legge Quadro n°328/2000. Mentre per l'ambito sanitario, si susseguono la grande Riforma nazionale che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale con la Legge n° 833/1978, e due importanti Decreti Legislativi del 1992 e del 1999, rispettivamente chiamati riforme “Amato” e “Bindi”.

Particolare attenzione viene dedicata alle forti implicazioni che la Riforma Costituzionale del Titolo V del 2001 ha nelle due aree di interesse. Prima fra tutte, la nuova competenza legislativa rispetto ai diritti in esame risulta essere concorrente per il sanitario e regionale per il sociale.

Il secondo capitolo tratta proprio delle riforme toscane avviate dopo la Riforma del Titolo V, in particolare con la previsione di un modello organizzativo e di governo integrato del sistema di

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assistenza sociale e sanitaria territoriale : la Società della Salute (SDS).

La prima parte del capitolo è dedicata all'iter e alle caratteristiche di questo nuovo modello organizzativo del sistema di assistenza territoriale. Il percorso di affermazione della SDS avviene attraverso una prima fase di sperimentazione prevista dal Piano Sanitario Regionale 2002-2004 e avviata con la delibera del Consiglio Regionale del 2003, la n°155: fase terminata nel 2005. Le successive Leggi Regionali del 2005, la n°40 e le relative modifiche apportate dalla legge regionale 60/2008 e la n°41, disciplinano il nuovo modello di welfare toscano dando impulso al sistema di assistenza ed innalzando il livello di responsabilità delle amministrazioni comunali , che possono scegliere di partecipare al governo della sanità pubblica promuovendo la costituzione di una SDS sul proprio territorio.

Poichè la creazione del consorzio è facoltativa, la Regione Toscana ha previsto che lo strumento di programmazione integrato delle SDS possa essere utilizzato anche in caso che queste non siano costituite.

Tutta la seconda parte del capitolo è dedicata a questo strumento: il Piano Integrato di Salute. L'elaborato analizza i suoi caratteri innovativi rintracciabili nelle varie Delibere degli organi regionali e nel loro recepimento nelle già citate Leggi Regionali di settore. E' in

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questa parte che si cerca di illustrare la visione regionale sul Piano Integrato di Salute: definendone lo scopo, le caratteristiche principali e i contenuti; ed infine iniziando a individuarne le fasi del processo di costruzione.

Infine, il terzo capitolo è dedicato all'analisi dell'esperienza applicativa della zona Livornese. Nonostante essa non abbia aderito alla sperimentazione della Società della Salute nel 2003, si inserisce a tutti gli effetti tra le zone pilota del processo di implementazione della riforma regionale, avendo utilizzato fin dal 2005 il suo innovativo strumento di programmazione locale.

L'indagine presente nel capitolo è stata attuata grazie al tirocinio svolto all'interno dello Staff di programmazione socio-sanitarie che rappresenta la struttura organizzativa di supporto alle attività direzionali di programmazione, valutazione e controllo delle politiche per la salute e dei relativi servizi. Consapevole dell'originalità del lavoro, dovuta all'assenza di precedenti studi a riguardo, si cerca nel capitolo di indagare una serie di aspetti che concernono il PIS della zona.

Lo studio parte dall'analisi del Piano Integrato di Salute dal punto di vista della struttura, analizzando fasi di costruzione, attuazione e realizzazione; e dal punto di vista del processo di formazione attraverso metodologie e strumenti opportuni.

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Un paragrafo viene poi dedicato alle infrastrutture tecniche e partecipative che sono necessarie a promuovere la condivisione delle scelte di governo, il coordinamento e la cooperazione di tutte le componenti implicate nella promozione della salute ovvero il fine ultimo del PIS. In questa parte viene quindi evidenziato come la zona Livornese abbia risposto alla logica sottesa a tutto il processo programmatorio: l'integrazione.

I paragrafi successivi si occupano invece di due strumenti necessari a raggiungere lo scopo del PIS: il sistema di valutazione e il sistema di allocazione delle risorse. Infatti, il passaggio dai bisogni del territorio agli obiettivi che ne derivano necessita di un sistema di valutazione efficace, trasversale a tutto il processo. A loro volta per il raggiungimento di questi obiettivi è necessario che tutte le risorse di cui dispongono gli enti pubblici responsabili siano allocate bene sugli obiettivi condivisi.

Come l'esperienza in esame abbia fatto fronte a queste esigenze e con quali metodologie è esplicitato nei suddetti paragrafi.

Nelle conclusioni si trovano le considerazioni personali rispetto ai punti di forza e di debolezza dell'esperienza applicativa e la riflessione, frutto del mio studio, rispetto alle questioni e ipotesi presentati inizialmente in questa introduzione.

(8)

Capitolo I:

La programmazione in campo

socio-sanitario: l’evoluzione del quadro normativo.

1.1 Politiche e diritti sociali

L'analisi delle politiche sociali è lo studio del come, del perché, e con quali effetti i diversi sistemi politici perseguono certi corsi di azioni per risolvere problemi e raggiungere obiettivi di rilevanza collettiva di natura sociale quali le condizioni di vita degli individui, le risorse e opportunità delle varie fasi di vita. Esser cittadino infatti vuol dire non solo godere di diritti civili e politici, ma anche di specifici diritti sociali, che si configurano come quei diritti fondamentali e/o inviolabili1 volti a garantire a tutti gli individui i beni e i servizi ritenuti indispensabili per condurre una vita dignitosa, e a consentire a ciascun individuo la possibilità di esplicare la propria propensione naturale a stringere e consolidare relazioni sociali2.

1

Quindi senza la possibilità di essere abrogati e spettanti potenzialmente a tutti gli esseri umani. 2

Nella letteratura costituzionale l'espressione diritti sociali non ha una definizione univoca. Si è deciso qui di utilizzare quella di autori come A. Baldassarre, M. Luciani, C. Salazar, R. Bifulco, A. D'Aloia.

(9)

I diritti sociali mirano a garantire il principio di uguaglianza sostanziale, sancito all'articolo 3 comma 2 della nostra Costituzione, a orientare la produzione verso la realizzazione di determinati beni e servizi e, in contemporanea, riflettono e tutelano i molteplici ambiti di vita sociale3. Tra le varie classificazioni che possono avere questi diritti, particolarmente rilevante ai fini di questo elaborato risulta essere quella basata sulle posizioni soggettive: da un lato quelle a contenuto primario costituito dal riconoscimento al singolo di una facultas agendi (definiti anche diritti sociali di partecipazione o di libertà)4; dall'altra quelle a contenuto primario caratterizzato da una pretesa giuridica rivolta ad altri soggetti pubblici o privati affinché questi pongano in essere comportamenti a favore dei titolari (definiti anche diritti sociali di prestazione o all'uguaglianza sostanziale).

Tra questo ultimo gruppo troviamo nell’ambito dei principi costituzionali gli articoli 32 e 38 che sanciscono rispettivamente il diritto alla salute e il diritto all'assistenza sociale. Per quanto concerne il primo, l'articolo 32 recita:

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento

3

Tratto da S. Cassese. Dizionario di diritto pubblico. 2006. 4

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sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”5

La salute viene identificata come diritto fondamentale ed è quindi inalienabile, intrasmissibile, indisponibile, irrinunciabile e compete a tutti non solo ai cittadini italiani. Oltre a ciò viene anche definito un diritto proteiforme data la pluralità delle situazioni in esso garantite: la pretesa negativa dell'individuo a che i terzi si astengano da comportamenti pregiudizievoli per la sua integrità; la pretesa positiva dell'individuo a che la Repubblica predisponga le strutture e i mezzi necessari a garantirlo; e infine la pretesa negativa dell'individuo a non essere costretto a ricevere trattamenti sanitari, se non quelli a carattere obbligatorio volti a tutelare la collettività.

Invece per quanto riguarda il diritto all'assistenza sociale l'articolo 38 della costituzione recita:

“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.

L'assistenza privata è libera.”

5

(11)

Questo articolo sancisce la “sicurezza sociale”6, attraverso il diritto alla previdenza e assistenza sociale, che non può essere ridotta a mera aspirazione programmatica, ma viene a definirsi come precetto irripetibile, imprescrittibile, indisponibile, non assoggettabile a misure cautelari o espropriative o di compensazione. Al comma 1 si trova la garanzia per tutti coloro che si trovano in condizioni di indigenza o inabilità al lavoro all'assistenza sociale, cessando così di essere ricondotta (grazie alla Costituzione) solo a mera beneficenza, per divenire autentico diritto soggettivo, il cui riconoscimento prescinde da qualunque altra valutazione se non il bisogno. Gli aspetti che maggiormente caratterizzano questo diritto, sancito anche al comma 3, sono da un lato la garanzia a tutti di un minimo vitale di contenuto della prestazione e dall'altra la “presunta” attribuzione di codesto diritto solo ai cittadini. Presunto perché, nonostante nella Costituzione il riferimento sia solo ai cittadini, la giurisprudenza si è espressa a favore di un allargamento di questo termine includendo nelle prestazioni assistenziali anche stranieri e apolidi7.

6

Termine che rappresenta uno dei nuclei forti dell'idea di Stato sociale dei costituenti. 7

La Corte Costituzionale è giunta ad annullare le leggi che precludevano ingiustificatamente a determinate persone la possibilità di avvalersi di servizi di sicurezza sociale a volte facendo ricorso allo strumento delle sentenze di tipo additivo.

(12)

1.2 Storia normativa nazionale dei due diritti dopo il loro

riconoscimento costituzionale: l'assistenza sociale fino

alla riforma del Titolo V

Dopo aver sancito il diritto alla salute e all'assistenza sociale in Costituzione, i due filoni, sociale e sanitario, prendono però strade molto diverse.

Per quanto riguarda l'assistenza sociale, l'assenza di un quadro normativo che ne stabilisse con sufficiente chiarezza la linea di confine rispetto ad altre materie o ambiti di intervento è stato risolto solo alla fine degli anni novanta: è infatti soltanto con l’art. 128 del decreto legislativo n. 112/1998 che sono stati definiti i servizi sociali, intendendo con essi:

«Tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate dal sistema di amministrazione della giustizia»

Tale definizione presuppone la differenza tra tali servizi rispetto a quelli sanitari, ma con ampi margini di incertezza sia riguardo agli esatti confini tra gli uni e gli altri, sia in riferimento

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all’individuazione dell’ambito proprio dei servizi sociali: su cosa quindi sottintenda il decreto quando parla di situazioni di bisogno e di difficoltà che le persone possono incontrare nel loro ciclo di vita. Per avere un chiarimento ed una esplicitazione bisogna aspettare fino al 2000, anno in cui, finalmente, viene approvata la legge quadro del'8 novembre, numero 3288, che detta le norme per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali9. Già nei lavori preparatori parlamentari sono chiari i problemi al quale il legislatore vuole far fronte con la legge 328 come ad esempio la rigidità del sistema nel considerare le categorie di persone che possono fruire dei servizi, non considerando quindi le differenze di età, di sesso, di reddito, di collocazione geografica tra persone, rendendo così aleatorio il concetto di giustizia sociale. Un’altra criticità evidenziata concerne il modello centralista di erogazione dei servizi: sistema che viene ritenuto contrastante con la logica della decentralizzazione e dell’attribuzione delle responsabilità di intervento al soggetto localmente più vicino (localizzazione). L'ultima criticità riguarda la considerazione che i servizi vengano svolti in maniera non coordinata e con una gestione distaccata tra i vari settori di intervento, cosa che non permette una visione di sistema per far fronte ai bisogni sociali.

8

Nel 1997 con legge regionale n. 72 dal titolo “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità” la regione toscana funge un po' da anticipatore rispetto all'intervento nazionale.

9

M. Campedelli, P. Carrozza, E. Rossi (a cura di), (2009), Il nuovo Welfare Toscano: un modello? La sanità che cambia e le prospettive future, Il Mulino.

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Studiando la legge da vicino si possono caratterizzare alcuni principi che riprendono gli obiettivi prefissati dal legislatore durante i lavori preparatori:

Articolo I: costituisce un ampliamento soggettivo e oggettivo della materia, dei soggetti e strumenti per l'erogazione dei servizi:

“La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione. (...)

La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (...)

Gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

Alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati.”10

10

(15)

Articolo II: vengono individuati i destinatari delle prestazioni.

Articolo III: si trova legittimazione all'integrazione socio-sanitaria rilevabile al secondo comma che recita:

“I soggetti di cui all'articolo 1, comma 3, provvedono, nell'ambito delle rispettive competenze, alla programmazione degli interventi e delle risorse del sistema integrato di interventi e servizi sociali secondo i seguenti principi: a) coordinamento ed integrazione con gli interventi sanitari e dell'istruzione nonché con le politiche attive di formazione, di avviamento e di reinserimento al lavoro; b) concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali, tra questi ed i soggetti di cui all'articolo 1, comma 4, che partecipano con proprie risorse alla realizzazione della rete, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale nonché le aziende unità sanitarie locali per le prestazioni socio- sanitarie ad elevata integrazione sanitaria comprese nei livelli essenziali del Servizio sanitario nazionale “11

Articolo VI: si riscontra una consolidata tradizione di centralità dell’ente locale nell’organizzazione e gestione dei servizi con l'attribuzione di funzioni come la progettazione e la programmazione, l'erogazione dei servizi e delle prestazioni, e infine la valutazione e il controllo.

Articolo VIII: alle regioni vengono affidate le funzioni di organizzazione individuando gli ambiti di gestione, di integrazione delle politiche socio-sanitarie, di sorveglianza sui comuni e di

l'elenco dei soggetti privati che operano nell'ambito dei servizi, al comma 5 viene delineata la partecipazione del terzo settore nella programmazione e nella realizzazione degli interventi. 11

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sostituzione ad essi in caso di inadempienza.

Articolo XVIII: non dispone la necessaria istituzione di un organo ad hoc per la partecipazione degli enti locali alla programmazione regionale, ma si limita a stabilire che il piano degli interventi e dei servizi sociali è adottato attraverso forme di intesa con i Comuni interessati12.

La programmazione avviene, secondo la legge quadro, su tre livelli: un primo livello costituito dal programmazione nazionale, della durata di 3 anni, stilato dopo aver sentito le regioni e gli enti locali; successivamente il livello attuativo regionale, con i piani regionali; ed infine, il livello locale, con i cosiddetti Piani di Zona, ovvero lo strumento di programmazione più usato dei servizi sociali13.

Articolo XXII: previsione al comma 2 di un elenco di interventi da considerare come livelli essenziali di assistenza14 con una precisazione rispetto alla loro erogazione: cioè “nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali”.

“a) misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora;

b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana;

12

D. Paris, (2007), Il ruolo delle regioni nell'organizzazione dei servizi sanitari e sociali a sei anni dalla riforma del titolo V: ripartizione delle competenze e attuazione della sussidiarietà, cit., in Le Regioni", 2007, pag. 983 e ss.

13

Il Piano Integrato di Salute (PIS) è lo strumento di programmazione usato nelle Società della Salute Toscane. Per approfondimenti si rimanda al capitolo successivo.

14

(17)

c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;

d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi dell'articolo 16, per favorire l'armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare;

e) misure di sostegno alle donne in difficoltà(...);

f) interventi per la piena integrazione delle persone disabili; realizzazione dei centri socio-riabilitativi e delle comunità-alloggio, e dei servizi di comunità e di accoglienza per quelli privi di sostegno familiare, nonché erogazione delle prestazioni di sostituzione temporanea delle famiglie;

g) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché per l'accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale o di limitazione dell'autonomia, non siano assistibili a domicilio;

h) prestazioni integrate di tipo socio-educativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale;

i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere iniziative di auto-aiuto.”

In seguito alla legge quadro 328/2000, i livelli essenziali di assistenza sono rimasti senza alcuna risposta dal legislatore nazionale, creando un vuoto normativo che si ritrova nelle leggi regionali dove vi è un richiamo ai livelli essenziali o dandoli per

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assunti o in via di definizione, ma comunque privi di contenuto 15. Anche in forza di un modulo organizzativo che si vuole realizzare e immaginare circolare,16 è possibile trasformare gli interventi sociali, come la legge si propone di fare, da trasferimenti monetari a un sistema integrato di trasferimenti monetari e servizi alle persone, ed insieme da prestazioni rigide e predefinite a prestazioni flessibili e diversificate, basate su progetti personalizzati di assistenza17 e rispondenti alle risorse che il territorio può offrire.

Dopo aver analizzato la legge quadro si possono vedere alcuni aspetti positivi e alcuni limiti. Per quanto riguarda i meriti vi sono l’aver introdotto meccanismi programmatori per la distribuzione delle risorse destinate all’assistenza sociale, il tentativo di introdurre standard di erogazione dei servizi e di identificazione delle situazioni di bisogno, la zonizzazione e l’apertura alla collaborazione col terzo settore. Mentre, per quanto riguarda i limiti, vi sono: quello di non aver istituito un Servizio sociale nazionale di tipo universale nel quale concentrare le attività di programmazione, produzione ed erogazione dei servizi sociali; in modo tale da assicurare la piena esigibilità dei diritti sociali in

15

A differenza del sanitario in cui i livelli essenziali sono stati stabiliti. 16

Citando P. Carrozza. Trasformazione del processo da cascata, dall'alto verso il basso, dalla regione all'ente locale, a un processo che sia circolare, che coinvolga tutti i livelli di gestione e decisione pubblica.

17

Il cosiddetto PAP nel quale è definita la natura del bisogno di assistenza, le risorse della persona e della famiglia, la complessità e l’intensità dell’intervento necessario, le risorse finanziarie e professionali da attivare, i tempi di verifica del progetto.

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forma del tutto analoga e speculare a quanto è avvenuto, a partire dal 1978, per l'assistenza sanitaria18. Infatti la piena esigibilità dei diritti di welfare discende, prima ancora che dal loro riconoscimento costituzionale e dalle risorse concretamente per essi disponibili, dall’istituzione di apposite organizzazioni, sottoposte alla regia pubblica, dirette alla programmazione, produzione e erogazione dei corrispondenti servizi in forma universalistica. Ecco perché si può oggi ben dire che il mantenimento di una sfera pubblica efficiente, specie nella produzione dei servizi corrispondenti ai diritti sociali, costituisce il più evidente sintomo di funzionamento dei meccanismi di solidarietà e di civiltà19.

Esauritasi la spinta normativa generata dalla legge n. 328 del 2000 con l’adozione di una serie di atti di varia natura da questa previsti, la successiva attività normativa statale in materia di assistenza sociale si è limitata ad alcuni provvedimenti di carattere finanziario20.

18

Come esplicitato nel paragrafo successivo dedicato all'assistenza sanitaria. 19

P. Carrozza, (2007), I nodi istituzionali del welfare nell'era della globalizzazione: la difficile transazione da un welfare incrementale a un welfare selettivo, cit., in Rivista delle Politiche Sociali, numero 1/2007

20

D.P.C.M. 30 marzo 2001, Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona; d.P.R. 3 maggio 2001, Piano nazionale degli interventi e servizi sociali 2001-2003; d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207, Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza; d.m. 21 maggio 2001, n. 308, Regolamento concernente “Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semi-residenziale.

(20)

1.3 Storia normativa nazionale dei due diritti dopo il loro

riconoscimento costituzionale: l'assistenza sanitaria fino

alla riforma del Titolo V

Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria, l'intervento statale arriva nel 1978; anche qui a molti anni di distanza dall'approvazione della Costituzione, ma molto tempo prima della legge quadro 328/2000. La legge 833/1978 pone termine alle disparità di trattamento e alle limitatezze degli interventi che contraddistingueva il sistema delle mutue: da un lato istituendo il Servizio Sanitario Nazionale, caratterizzato dai principi di globalità delle prestazioni, universalità dei destinatari, uguaglianza dei trattamenti e, dall'altro lato dando vita ad una struttura organizzativa tesa a coprire capillarmente tutto il territorio nazionale mediante una diffusa rete di Unità Sanitarie Locali, col fine di assicurare la promozione, il mantenimento, e il recupero della salute fisica e psichica di tutti gli individui. E' proprio da questa legge che il sopracitato diritto alla salute sancito all'articolo 32 si riempie di contenuti.

Il legislatore del 1978 assicura a tutti, anche a chi non è indigente,21il diritto all'assistenza sanitaria gratuita, o a costi ridottissimi e sopportabili.

21

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“ART I: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L'attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini. Nel servizio sanitario nazionale è assicurato il collegamento ed il coordinamento con le attività e con gli interventi di tutti gli altri organi, centri, istituzioni e servizi, che svolgono nel settore sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute degli individui e della collettività. Le associazioni di volontariato possono concorrere ai fini istituzionali del servizio sanitario nazionale nei modi e nelle forme stabiliti dalla presente legge.”

Sempre in questa legge ai Comuni viene demandata la responsabilità fondamentale amministrativa dell'assistenza sanitaria e ospedaliera22. Le funzioni demandate ai Comuni devono essere da questi esercitate, in forma singola o associata, mediante apposite strutture operative, appunto le USL23.

I meccanismi di programmazione che vengono a delinearsi in questa legge possono essere definiti ”a cascata”, dall’alto verso il

22

Vedi articolo 13 della legge 833/1978. 23

L. Vandelli, (2007), Prospettive dei servizi alla persona e nuove forme del governo locale, in Autonomie Locali e Servizi Sociali, n. 1, p. 19 ss.

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basso, secondo logiche gerarchiche o di pianificazione autoritativa, per cui da un Piano Sanitario Nazionale discendono Piani Sanitari Regionali da cui a loro volta discendono i Piani attuativi locali.

La scelta politica del 1978 rimane pressoché invariata rispetto ai principi, ma le riforme degli anni 90 apportano modifiche rilevanti all'ambito sanitario attraverso alcuni significativi interventi normativi del 1992 e 1999 volti a introdurre regole di programmazione e di finanziamento del sistema sanitario, finalizzate a renderlo più efficiente e più razionalizzato rispetto ai costi.

Il decreto legislativo n° 502 /1992, la cosiddetta riforma Amato o riforma bis, inizia il processo di aziendalizzazione sanitaria.

Infatti le USL vengono trasformate in aziende e configurate come enti (a dimensione normalmente provinciale) strumentali della regione, che provvede a definire gli indirizzi per l'organizzazione e le attività e i criteri di funzionamento, nonché a nominare i direttori generali a cui spettano tutti i poteri di gestione e rappresentanza delle ASL. Questo processo di aziendalizzazione viene sancito all'articolo 3 comma 1 del decreto:

“L'unità sanitaria locale è azienda e si configura come ente strumentale della regione, dotato di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa,

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patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, fermo restando il diritto-dovere degli organi rappresentativi di esprimere il bisogno socio-sanitario delle comunità locali.”

Inoltre il decreto introduce i LEA (livelli essenziali di assistenza), all’art. 1, che sono poi in seguito approfonditi e esplicitati dalle successive riforme e decreti24.

Per quanto riguarda il ruolo degli enti locali, i Comuni vengono esclusi invece da compiti di programmazione e gestione diretta del servizio e di erogazione delle prestazioni25, venendo riservati ai Sindaci soltanto funzioni di carattere essenzialmente consultivo26.

Il decreto 229/1999, detto anche riforma Bindi o riforma ter, è essenzialmente una modifica di alcuni principi della riforma bis. Rispetto alla riforma bis, il decreto del 1999 cerca di migliorare l'assetto di rapporti tra regioni ed enti locali, sviluppando un ruolo maggiormente di rilievo dei Comuni con un loro coinvolgimento nelle attività di programmazione e valutazione dei servizi che spettano alla Regione.

La programmazione si sviluppa su più livelli. Un primo livello con un Piano Sanitario Nazionale alla cui decisione concorrono anche le

24

Decreto legislativo 229/1999, d.p.c.m. 29 novembre 2001. 25

Fanno eccezione le competenze di amministrazione attiva attribuite ai Comuni in materia di livelli aggiuntivi di assistenza e di integrazione socio-sanitaria, come nota G. Carpani, Comuni e servizio sanitario, cit., 142 ss.

26

Nel solco di questa norma si sono inserite anche le leggi regionali successive alla riforma del Titolo V, con una sola significativa eccezione, rappresentata dalle cosiddette “Società della Salute” toscane.

(24)

regioni, che contiene obiettivi di salute, epidemiologia27 della popolazione, e obiettivi organizzativi. La spesa viene quindi quantificata, ma la ripartizione delle risorse avviene a livello regionale e la loro allocazione a livello locale.

Questa programmazione multi-livello porta ad affrontare un secondo profilo del principio di sussidiarietà verticale28. La piena attuazione di questo principio non si risolve esclusivamente nella corretta allocazione delle funzioni al livello di governo più adeguato, cioè a quello più vicino possibile ai cittadini (primo profilo del principio di sussidiarietà); ma presuppone un sistema di rapporti fra i diversi enti territoriali ispirato, non alla rigida separazione delle competenze, ma alla collaborazione e al concerto. Sistema che presuppone la presenza di strumenti e sedi di raccordo tali da permettere che anche le funzioni non attribuite agli enti più vicini ai cittadini siano esercitate con il concorso di questi ultimi29.

Di questo secondo profilo della sussidiarietà è appunto espressione il decreto legislativo 229 del 1999, in particolare attraverso l’introduzione, nel testo dell’art. 2, dei commi 2 bis e 2 ter:

“2 bis. La legge regionale istituisce e disciplina la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, assicurandone il raccordo o l’inserimento

27

Studio dello stato di salute della popolazione. 28

Sancito poi nella riforma del titolo V con legge costituzionale n° 3 del 2001. 29

D. Paris, (2007), Il ruolo delle regioni nell'organizzazione dei servizi sanitari e sociali a sei anni dalla riforma del titolo V: ripartizione delle competenze e attuazione della sussidiarietà, cit., in Le Regioni", 2007, pag. 983 e ss

(25)

nell’organismo rappresentativo delle autonomie locali, ove istituito. Fanno, comunque, parte della Conferenza: il sindaco del Comune nel caso in cui l’ambito territoriale dell’azienda unità sanitaria locale coincida con quella del Comune; il presidente della Conferenza dei Sindaci, ovvero il sindaco o i presidenti di circoscrizione nei casi in cui l’ambito territoriale dell’unità sanitaria locale sia rispettivamente superiore o inferiore al territorio del Comune; rappresentanti delle associazioni regionali delle autonomie locali.

2 ter. Il progetto di Piano sanitario regionale è sottoposto alla Conferenza di cui al comma 2 bis, ed è approvato previo esame delle osservazioni eventualmente formulate dalla Conferenza. La Conferenza partecipa, altresì, nelle forme e con le modalità stabilite dalla legge regionale, alla verifica della realizzazione del Piano attuativo locale, da parte delle aziende ospedaliere di cui all’articolo 4, e dei piani attuativi metropolitani.”

Questi commi disciplinano la Conferenza30 permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale: è questo infatti lo strumento previsto dal legislatore per garantire il coinvolgimento degli enti locali nelle funzioni regionali di programmazione e di valutazione. Nel dare svolgimento a queste previsioni, le normative regionali hanno inciso non tanto sulle funzioni attribuite a quest’organo che sono indicate dalla legge; quanto piuttosto sulla sua composizione, rispetto alla quale sono ravvisabili una pluralità di soluzioni differenti tra le quali, come il caso della Toscana, una presenza limitata delle istituzioni regionali,

30

Le competenze della Conferenza consistono principalmente nel parere obbligatorio nel procedimento di adozione del Piano sanitario regionale, nella partecipazione alla verifica della realizzazione del piano attuativo locale da parte delle aziende ospedaliere, nel parere nell’ambito del procedimento di verifica dell’operato dei direttori generali delle aziende ospedaliere e nel potere di impulso per la revoca o non riconferma degli stessi; con riferimento alle Aziende unità sanitarie locali analoghe funzioni sono affidate alle Conferenze dei Sindaci.

(26)

generalmente attraverso figure quali l’assessore alla sanità, che svolge le funzioni di presidente, e l'assessore alle politiche sociali. La diversa composizione della Conferenza non è naturalmente priva di conseguenze rispetto al ruolo della stessa e, di riflesso, al modo di rapportarsi della Regione nei confronti degli enti locali in ambito sanitario.

All'articolo 331 le ASL assumono personalità giuridica e autonomia imprenditoriale, sotto la guida di un direttore generale nominato dalla regione con una operatività sul territorio spesso coincidente con la provincia; organi che hanno compiti fondamentali nella attuazione dei piani e degli indirizzi regionali. Art. 3:

“1. Le regioni, attraverso le unita' sanitarie locali, assicurano i livelli essenziali di assistenza di cui all'articolo 1, avvalendosi anche delle aziende di cui all'articolo 4.

1-bis. In funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unita' sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità' giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale. (...)

1-quater. Sono organi dell'azienda il direttore generale e il collegio sindacale. Il direttore generale adotta l'atto aziendale di cui al comma 1-bis; e' responsabile della gestione complessiva e nomina i responsabili delle strutture operative dell'azienda. Il direttore generale e' coadiuvato, nell'esercizio delle proprie funzioni, dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario. Le regioni disciplinano forme e modalità' per la direzione e il coordinamento delle attività' sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria.”

31

(27)

Un'altra grande innovazione del decreto del 1999 è la previsione relativa alla zonizzazione delle Aziende con l'affidamento del budget al direttore di zona distretto. Questo elemento è riscontrabile dall'articolo 3 quater:

“1. La legge regionale disciplina l'articolazione in distretti dell'unita' sanitaria locale. (...)

2. Il distretto assicura i servizi di assistenza primaria relativi alle attivita' sanitarie e sociosanitarie di cui all' articolo 3-quinquies, nonche' il coordinamento delle proprie attivita' con quella dei dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi i presidi ospedalieri, inserendole organicamente nel Programma delle attivita' territoriali. Al distretto sono attribuite risorse definite in rapporto agli obiettivi di salute della popolazione di riferimento. Nell'ambito delle risorse assegnate, il distretto e' dotato di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, con contabilita' separata all'interno del bilancio della unita' sanitaria locale.(...)”

Infine i Livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) vengono esplicitati all'articolo 1 comma 2 e comma 3, con la definizione di “insieme delle prestazioni che vengono garantite dal Servizio sanitario nazionale, a titolo gratuito o con compartecipazione alla spesa, perché presentano, per specifiche condizioni cliniche, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, individuale o collettiva, a fronte delle risorse impiegate”. Pertanto, sono escluse dai Lea le prestazioni, i servizi e le attività che non rispondono a necessità assistenziali; le prestazioni di

(28)

efficacia non dimostrabile o che sono utilizzate in modo inappropriato rispetto alle condizioni cliniche dei pazienti e infine le prestazioni che, a parità di beneficio per i pazienti, comportano un impiego di risorse superiore ad altre.

Il contenuto specifico di questi livelli viene esplicitato, quasi in parallelo con l'introduzione formale dei Lea nella riforma costituzionale del 2001 al nuovo articolo 11732, all'interno di un decreto del presidente del consiglio

dei ministri del 29 novembre 2001,che ha recepito un precedente accordo intervenuto tra governo e conferenza permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni e le province autonome. In questo D.P.C.M. vengono elencate le prestazioni che sono da includere nei LEA, organizzati in tre grandi Aree:

• l’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, che comprende tutte le attività di prevenzione rivolte alle collettività ed ai singoli (tutela dagli effetti dell’inquinamento, dai rischi infortunistici negli ambienti di lavoro, sanità veterinaria, tutela degli alimenti, profilassi delle malattie infettive, vaccinazioni e programmi di diagnosi precoce, medicina legale);

• l’assistenza distrettuale, vale a dire le attività e i servizi

32

(29)

sanitari e sociosanitari diffusi capillarmente sul territorio, dalla medicina di base all’assistenza farmaceutica, dalla specialistica e diagnostica ambulatoriale alla fornitura di protesi ai disabili, dai servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi ai servizi territoriali consultoriali (consultori familiari, SERT, servizi per la salute mentale, servizi di riabilitazione per i disabili, ecc.), alle strutture semi-residenziali e semi-residenziali (residenze per gli anziani e i disabili, centri diurni, case famiglia e comunità terapeutiche);

• l’assistenza ospedaliera, in pronto soccorso, in ricovero ordinario, in day hospital e day surgery, in strutture per la lungodegenza e la riabilitazione.

(30)

1.4 La riforma del titolo V con legge costituzionale

numero 3 del 2001: implicazioni nelle due aree di

interesse

La legge costituzionale n° 3 del 2001, detta anche riforma del titolo V, modifica gli articoli del Titolo V della Costituzione intitolato "LE REGIONI, LE PROVINCIE, I COMUNI", ossia quelli che vanno dall'articolo 114 fino all'articolo 133.

Di particolare rilevanza risulta essere la modifica dell'articolo 117 :

“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (...) m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull'istruzione; o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; (...) Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute (…). Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa,

(31)

salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato...”

Se prima venivano elencate le materie in cui le Regioni avevano potere di legiferare (in via concorrenziale) ed era lasciata allo Stato la competenza su tutto il resto, ora vengono elencate le materie di competenza esclusiva dello Stato, nonché alcune materie di competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, mentre viene lasciata alle Regioni la competenza generale o "residuale"33.

Il cambiamento da “assistenza sanitaria e ospedaliera”, risultante dal vecchio testo dell’art. 117, al nuovo termine “tutela della salute” integra una materia-compito; in quanto la dizione ricalca esattamente la vastità della materia e quanto l’art. 32 della costituzione si prefigge. Tale “vincolo di scopo” pone in capo ai pubblici poteri la questione della doverosità, anche organizzativa, e del livello a cui tale compito si attesta34. Soprattutto questa doverosità si attesta in capo alle regioni, poiché, essendo la tutela alla salute elencata tra le materie concorrenti, è lei a legiferare sulla materia all'interno dei principi fondamentali dati dallo Stato. Questo a differenza dei livelli essenziali che vengono elencati tra le

33

Il cosiddetto federalismo legislativo. 34

E. Menichetti, 2002, L’organizzazione sanitaria tra legislazione ordinaria, nuovo Titolo V della Costituzione e progetto di devoluzione, in Amministrazione in Cammino, Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell'economia e di scienza dell'amministrazione.

(32)

materie di competenza esclusiva statale alla lettera m), art.117, e che il legislatore sanitario ha poi definito quasi contemporaneamente alla riforma con il D.p.c.m. del 29 novembre 2001. Sempre per quanto riguarda la lettera m) del citato articolo costituzionale, i livelli essenziali in campo sociale (LEP) non sono ad oggi ancora stati definiti, nonostante quest’ultimo e la previsione prevista dall'articolo 22 della legge quadro 328/200035.

Oltre a ciò, la riforma dell'articolo 117 ha modificato anche l'ambito sociale. Infatti se nella norma 117 pre-riforma vi era la dicitura di beneficenza pubblica e questo implicava quindi un'assenza di obbligatorietà e di continuità nel fare assistenza, ora con il nuovo Titolo V questa dicitura viene eliminata dal legislatore costituzionale.

L'assistenza sociale, non essendo né espressamente attribuita alla legislazione esclusiva statale né essendo ricompresa tra le materie di competenza concorrente, è stata attribuita alla competenza legislativa residuale e quindi in capo alle regioni ed a quella prioritariamente comunale per quanto attiene alla competenza amministrativa.

Il fatto che la riforma dell'articolo V del 2001 e la legge quadro sull'assistenza sociale del 2000 siano così ravvicinate nel tempo ha

35

Uno dei problemi per cui non sono ancora stati definiti riguarda la quantificazione della copertura finanziaria che richiederebbero.

(33)

posto il problema di capire quali possano essere le sorti della legge 328. A questo proposito, sulla compatibilità o meno di quest'ultima rispetto al nuovo dettato costituzionale, sono state formulate dapprima tre ipotesi dalla giurisprudenza.

La prima è quella di considerare le disposizioni della legge quadro come norme cedevoli, cioè lasciarle in vigore fino a quando la Regione non abbia legiferato sulla materia, andando quindi a sostituirle e a rendere le norme precedenti di conseguenza decadute36. La seconda è quella di ritenere valido e durevole ciò era stato stabilito dalla legge n° 328/2000 in merito all'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali37. L'ultima ipotesi è invece quella secondo cui le disposizioni statali del 2000 che si pongono in stretta correlazione/attuazione dei principi costituzionali, richiedendo una unitarietà di fondo nella disciplina legislativa, quindi anche regionale, debbano considerarsi vigenti ed operanti anche nei confronti della legislazione regionale. La soluzione che si è affermata, anche in forza della giurisprudenza della corte costituzionale, è nel senso della cedevolezza della normativa statale, essendo alle regioni riconosciuto un margine consistente di autonomia nella definizione dei propri sistemi di erogazione delle prestazioni assistenziali.

36

Sulla base del principio di continuità. 37

(34)

Occorre ricordare che moltissime regioni hanno comunque legiferato, nonostante la norma di cedevolezza, riprendendo moltissimi contenuti e disposizioni o facendo esplicito riferimento alla 328/2000.

Il quadro dopo la riforma si prospetta quindi un po' mutato rispetto a prima, con i livelli essenziali che rimangono, sia nel sociale che nel sanitario, di competenza dello Stato: questo è facilmente comprensibile dato che in questi ambiti entrano in gioco diritti fondamentali della persona che basano la propria garanzia sulla universalità degli stessi e quindi non possono subire forti differenziazioni sulla base di una differenza regionale. Pertanto, la previsione costituzionale di una competenza legislativa statale in ordine alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale tende a rispondere a detta esigenza, nel tentativo di trovare un equilibrio tra tutela della parità di trattamento e riconoscimento della differenziazione in base al territorio e alle sue esigenze e, non in ultimo, all'autonomia regionale38.

Altra forte innovazione per i due ambiti di studio che si affrontano in questo elaborato è la nuova competenza legislativa rintracciabile nel sopracitato articolo costituzionale: da un lato il sociale che diventa materia residuale e quindi di competenza regionale e

38

M. Campedelli, P. Carrozza, E. Rossi (a cura di), 2009, Il nuovo Welfare Toscano: un modello? La sanità che cambia e le prospettive future, Il Mulino.

(35)

dall'altra il sanitario che, elencato nelle materie concorrenti, obbliga la regione a “muoversi dentro i confini delineati dallo Stato”.

Un altra grande novità della riforma costituzionale del 2001 risulta l'art. 118:

“Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”

In questa norma viene costituzionalizzato esplicitamente il principio di sussidiarietà che si distingue tra sussidiarietà verticale e orizzontale.

Il primo concetto si riferisce ai rapporti fra enti territoriali, cercando di privilegiare nella distribuzione delle funzioni amministrative fra i

(36)

diversi livelli di governo, ai sensi del comma 1 del sopracitato articolo, gli enti territoriali più vicini ai cittadini, cioè i Comuni. Questo è il concetto all'origine del welfare municipale39: gli enti locali, specie i Comuni, sono stati destinatari di un complesso di trasferimenti di funzioni che li hanno effettivamente messi in condizione di governare i processi di welfare del loro territorio.

Il secondo concetto di sussidiarietà, cioè quello orizzontale, tratta del ruolo dei soggetti privati nella programmazione e nell’erogazione dei servizi alla persona. Non vi è però molta chiarezza nell’individuazione della sua effettiva portata giuridica, vale a dire la delimitazione dei vincoli concreti che da questa disposizione derivano al legislatore statale e regionale; al punto che, all’interno della dottrina, non sono mancate voci alquanto scettiche rispetto alla possibilità che dalla costituzionalizzazione di questo principio possano derivare significativi cambiamenti nei rapporti fra pubblico e privato40. In effetti l’accento dell'art. 118 è posto soltanto sul profilo positivo della sussidiarietà, quello che afferma la necessità di un intervento dei soggetti pubblici a sostegno e promozione dell’attività dei privati, mentre non è mai

39

P. Carrozza, (2007), I nodi istituzionali del welfare nell'era della globalizzazione: la difficile transazione da un welfare incrementale a un welfare selettivo, cit., in Rivista delle Politiche Sociali, numero 1/2007

40

U. De Siervo, Volontariato, Stato sociale e nuovi diritti. L'autore sostiene che la disposizione in esame è “culturalmente condivisibile, ma (…) non aggiunge nulla di più vincolante (né potrebbe) a quanto è già attualmente implicito nell’art. 2 Cost.”

(37)

affermata la valenza negativa del principio stesso, quella cioè che prescrive un dovere di astensione dei soggetti pubblici a favore di quelli privati41. E’ evidente che, secondo questa lettura della sussidiarietà orizzontale, rimane al legislatore un’amplissima discrezionalità nel determinare il quantum, le forme e gli strumenti di questo coinvolgimento.

41

D. Paris, (2007), Il ruolo delle regioni nell'organizzazione dei servizi sanitari e sociali a sei anni dalla riforma del titolo V: ripartizione delle competenze e attuazione della sussidiarietà, cit., in Le Regioni", 2007, pag. 983 e ss

(38)

1.5 L'integrazione socio-sanitaria

Il decreto legislativo 229/1999 sancisce a livello normativo l’obiettivo dell’integrazione socio-sanitaria, definendo le prestazioni in questione nell'articolo 3-septies come «tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione»

Inoltre distingue nel medesimo comma le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale 42dalle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria43. Lo stesso decreto individua inoltre nel distretto la sede in cui assicurare i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e socio-sanitarie.

Il Decreto del presidente del consiglio dei ministri del 14 febbraio 2001 dal titolo “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie” stabilisce nell'articolo 3 la definizione specifica delle prestazioni:

42

Vale a dire le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite. 43

Vale a dire le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.

(39)

• sanitarie a rilevanza sociale (la cui competenza spetta alle ASL):

“1. Sono da considerare prestazioni sanitarie a rilevanza sociale le prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite, contribuendo, tenuto conto delle componenti ambientali, alla partecipazione alla vita sociale e alla espressione personale. Dette prestazioni, di competenza delle aziende unita' sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti personalizzati."

• sociali a rilevanza sanitaria (la cui competenza spetta ai Comuni):

“2. Sono da considerare prestazioni sociali a rilevanza sanitaria tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilita' o di emarginazione condizionanti lo stato di salute. Tali attività, di competenza dei comuni, sono prestate con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai comuni stessi (…).”

• socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria (la cui competenza spetta sempre alle ASL):

“3. Sono da considerare prestazioni socio-sanitarie ad elevata

integrazione sanitaria di cui all'art. 3-septies, comma 4, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche e

(40)

integrazioni, tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensita' della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e patologie terminali, inabilita' o disabilita' conseguenti a patologie cronico-degenerative. Tali prestazioni sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall'inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell'ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell'impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell'assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell'assistenza. Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario.”

(41)

Capitolo II:

Le riforme legislative della Regione Toscana.

2.1 Un modello di governo integrato

Dopo la riforma del titolo V la regione Toscana decide di avviare la sperimentazione di un nuovo modello organizzativo del sistema di assistenza territoriale, promuovendo la costituzione delle Società della Salute previste tra gli strumenti innovativi introdotti dal Piano sanitario regionale 2002 – 2004. Si tratta di particolari organismi consortili pubblici senza scopo di lucro, i cui titolari sono le aziende sanitarie locali e i comuni e a cui viene ricondotta la gestione44 dei servizi sociali, dei servizi sociosanitari e dei servizi sanitari territoriali, rimanendo invece in capo alla Regione, attraverso le Aziende Sanitarie Locali, la gestione del sistema ospedaliero.

Nel piano sanitario regionale 2002- 2004 che le prevede in via sperimentale si legge al paragrafo 2.2.7:

“In alcune realtà le funzioni della zona-distretto vengono affidate in forma di sperimentazione gestionale ed organismi denominati Società della Salute (SDS). Le Società della Salute rappresentano una nuova soluzione organizzativa dell’assistenza territoriale, che

44

In origine il Piano prevede la SDS come modello gestionale, con l’avvio della sperimentazione l’attribuzione delle funzioni gestionali viene sospesa e l’attenzione si sposta sulle funzioni di governo, programmazione e controllo riconosciute alle neo-costituite SDS.

(42)

sarà oggetto di sperimentazione nel corso del presente Piano sanitario regionale, tale soluzione è caratterizzata da cinque aspetti qualificanti: coinvolgimento delle comunità locali, garanzia di qualità e di appropriatezza, controllo e certezza dei costi, universalismo ed equità, imprenditorialità non profit. La comunità locale, rappresentata dal comune e articolata in tutte le componenti della società civile, diventa protagonista della tutela della salute e del benessere sociale con il comune che non assume solo funzioni di programmazione e controllo, ma “compartecipa” ad un governo comune del territorio finalizzato ad obiettivi di salute e diviene a tutti gli effetti “cogestore” dei servizi socio-sanitari territoriali. Le Società della Salute sono società miste, senza scopo di lucro, in cui la presenza delle aziende sanitarie garantisce l’unitarietà del sistema sanitario, e la presenza dei comuni assicura la rappresentanza delle comunità locali, l’integrazione tra il settore sociale e sanitario e la condivisione di obiettivi di salute da perseguire con interventi integrati. L’attività delle Società della Salute é impostata utilizzando lo strumento dei Piani integrati di salute di cui al paragrafo 3.1.2.. Per la realizzazione delle Società della salute la Giunta regionale, entro tre mesi dall’approvazione del Piano sanitario regionale, propone all’approvazione del Consiglio regionale un atto di indirizzo, contenente le modalità per attivare, realizzare e valutare la sperimentazione.”

Come previsto dall'ultimo paragrafo riferito alle Società della Salute del Piano 2002- 2004, il Consiglio regionale attua la delibera n°155 del 24 settembre 2003 in cui avvia un periodo di sperimentazione affidando ai nuovi consorzi compiti programmatori e di controllo con lo strumento del Piano Integrato di Salute45 e, dopo un periodo di verifica, anche i compiti gestionali dei relativi servizi,

45

Tutto la seconda parte del capitolo sarà dedicato all'analisi di questo innovativo strumento di programmazione.

(43)

definitivamente integrati.

La fase di sperimentazione durata fino al 2005 ha visto l'adesione di 19 zone del territorio toscano su 34 che ve ne sono, avviando un modello che viene riconosciuto a livello legislativo nelle leggi regionali successive diventando una scelta consolidata all'interno del territorio toscano46.

La regione toscana approva nel 2005 la legge numero 40 del'11 febbraio 2005 che disciplina il Servizio Sanitario Regionale. Nel titolo II vi è l'articolo 3 che esplica i principi costitutivi:

“1. Il servizio sanitario regionale, in coerenza con i principi e i valori della Costituzione e dello Statuto regionale, ispira la propria azione a:

a) centralità e partecipazione del cittadino, in quanto titolare del diritto alla salute e soggetto attivo del percorso assistenziale; b) universalità e parità di accesso ai servizi sanitari per tutti Assistiti;

c) garanzia per tutti gli assistiti dei livelli uniformi ed essenziali di assistenza previsti negli atti di programmazione;

d) unicità del sistema sanitario e finanziamento pubblico dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza;

e) sussidiarietà istituzionale e pieno coinvolgimento degli enti locali nelle politiche di promozione della salute;

f) sussidiarietà orizzontale e valorizzazione delle formazioni sociali, in particolare di quelle che operano nel terzo settore; g) concorso dei soggetti istituzionali e partecipazione delle parti sociali agli atti della programmazione sanitaria regionale ;

46

P. Carrozza, (2005), La «Società della Salute». Il modello toscano di gestione integrata dell'assistenza sociale e della sanità territoriale alla luce dei principi sanciti dagli artt. 5, 32 e 118 Cost in Il rispetto delle regole. Scritti degli allievi in onore di A. Pizzorusso. Torino: Giappichelli. L'autore sottolinea come “le soluzioni prospettate attualmente in via sperimentale in Toscana, lungi dal riproporre un modello gestionale obsoleto, rispondono pienamente alle «ragioni delle regole» costituzionali, quali esse risultano da alcuni principi fondamentali della nostra Costituzione (p. 135-136).

(44)

h) libertà di scelta del luogo di cura e dell'operatore sanitario nell'ambito dell'offerta e dei percorsi assistenziali programmati; i) valorizzazione professionale del personale del servizio sanitario regionale e promozione della sua partecipazione ai processi di programmazione e valutazione della qualità dei servizi.”

Da cui si evince come la regione valuti importante la piena realizzazione della persona e dei principi di libertà, giustizia , uguaglianza,solidarietà, rispetto della dignità personale e dei diritti umani; e che sostiene al sopraelencato articolo, alle lettere e) e f), i principi di sussidiarietà verticale47 e orizzontale con il rafforzamento del ruolo degli enti locali nelle politiche e la valorizzazione delle formazioni sociali che operano nel terzo settore. Queste norme sono da considerare, anche in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale che li ha ritenuti senza efficacia giuridica, non tanto come un modello ma come obiettivi che la regione Toscana ha cercato di darsi attraverso questa legge: da un lato di garanzia dei diritti sociali e dall'altra di integrazione delle politiche sociali e sanitarie con il coinvolgimento diretto delle autonomie locali.

Particolarmente importante ai fini dell'elaborato risulta essere tutto il titolo III della legge 40 dal titolo “Programmazione sanitaria48” in cui viene disciplinata al capo I la programmazione sanitaria

47

Nella legge viene chiamata sussidiarietà istituzionale. 48

(45)

regionale; al capo II il concorso dei soggetti istituzionali e delle autonomie sociali alla programmazione sanitaria; ed al capo III gli strumenti della programmazione sanitaria49.

Infine all'articolo 65 vengono disciplinati i modelli sperimentali per la gestione dei servizi sanitari territoriali, cioè le Società della Salute:

“1. Al fine di promuovere l'innovazione organizzativa, tecnica e gestionale nel settore dei servizi sanitari territoriali di zona-distretto e l'integrazione dei servizi sanitari e sociali, fermi restando il rispetto dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza e il libero accesso alle cure, gli enti locali e le aziende unita` sanitarie locali, sulla base degli indirizzi regionali, possono costituire appositi organismi consortili, denominati Società` della salute.

2. Le Società della salute assicurano, anche in deroga alle disposizioni della presente legge, la partecipazione degli enti locali al governo, alla programmazione e, eventualmente, alla gestione dei servizi.

3. Le Società della salute promuovono il coinvolgimento delle comunita` locali, delle parti sociali e del terzo settore nella individuazione dei bisogni di salute della popolazione e nel processo di programmazione, organizzano le funzioni di direzione della zona-distretto e dei settori interessati degli enti locali, evitando duplicazioni con gli enti associati; l'organo di governo delle Società della salute assume le funzioni e le competenze attribuite dalla presente legge alle articolazioni zonali della conferenza dei sindaci.”

Il 24 febbraio 2005 la Toscana approva un'altra legge regionale, la

49

(46)

n. 41, contemporaneamente ed in coordinamento con la revisione della normativa in materia sanitaria, realizzata mediante una legge che significativamente porta la stessa data ed un numero soltanto di differenza (legge 24 febbraio 2005, n. 40). Detta legge ha da un lato recepito alcune delle più significative innovazioni contenute nella legge quadro nazionale, recuperando al contempo alcune soluzioni già sperimentate in base alla precedente legge n. 72/1997 e dall'altro lato normando alcune prassi particolarmente innovative che erano state sperimentate negli anni precedenti quali ad esempio l’esperienza delle carte di cittadinanza all'art. 31 e il sistema della programmazione sociale di cui si può rintracciare lo schema al titolo III, capo I, con gli articoli 26 e 27.

Tra gli elementi significativi che meritano di essere rilevati va sottolineato in primo luogo il tentativo, apprezzabile nelle soluzioni individuate, di definire con chiarezza le responsabilità dei soggetti istituzionali, regioni ed enti locali, nella programmazione e nell’organizzazione dei servizi; ed il necessario coinvolgimento delle diverse espressioni del terzo settore50 sia nella fase della progettazione come in quella della erogazione, attraverso strumenti finalizzati a garantire la qualità della prestazione.

50

Dal volontariato alla cooperazione sociale, dall’associazionismo agli altri soggetti privati senza scopo di lucro.

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