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Progettazione e valutazione di un format per il mobile learning: il caso iTunesU Siena

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Academic year: 2021

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DOTTORATO DI RICERCA IN

INFORMATICA SISTEMI E TELECOMUNICAZIONI

INDIRIZZO IN TELEMATICA E SOCIETA'

DELL'INFORMAZIONE

CICLO XXVIII

COORDINATORE Prof. Luigi Chisci

Progettazione e valutazione

di un format per il mobile learning:

il caso iTunesU Siena

Settore Scientifico Disciplinare M-PED/03

Dottorando Tutor

Dott. Giardi Antonio Prof.ssa Marti Patrizia

Coordinatore Prof. Chisci Luigi

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Vorrei ringraziare il coordinatore del dottorato di ricerca prof. Luigi Chisci e il referente del curriculum in “Applicazioni telematiche” prof. Paolo Nesi, per la professionalità e la disponibilità dimostrata in questi anni di dottorato. Vorrei inoltre ringraziare il mio supervisore, prof.ssa Patrizia Marti, per la disponibilità, la pazienza, la professionalità dimostrata nel supportarmi e nel consigliarmi per l’attività di ricerca.

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Indice

Indice v

Introduzione 1

1 Teorie e contesti applicativi 5

1.1 La società dell’informazione è una società accessibile? . . . . 5

1.2 Formazione a distanza . . . .8

1.3 E-learning . . . 10

1.4 E-learning 2.0 . . . 12

1.5 Mobile learning . . . 18

1.6 Teorie dell’apprendimento alla base dell’e-learning . . . 35

1.7 Teorie dell’apprendimento multimediale . . . 39

1.8 Apprendimento centrato sullo studente . . . 44

1.9 Il contesto Università di Siena . . . 47

2 Metodologie utilizzate 52

2.1 Il metodo sperimentale . . . 52

2.2 User-Centered Design . . . 55

2.3 Interaction Design . . . 63

2.4 Progettare per le esperienze . . . 70

3 Stato dell’arte . . . .74

3.1 Il progetto . . . 74

3.2 Perché iTunesU? . . . 78

3.3 Panoramica di alcune piattaforme . . . 82

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4 Design e Implementazione 98

4.1 Progettazione della piattaforma “iTunesU Siena” . . . 98

4.2 Analisi dell’utenza . . . 115

4.3 Progettazione del format “USiena” . . . 123

4.4 Valutazione dell’apprendimento (lo studio pilota) . . . 137

4.5 Il test di Wilcoxon . . . 141

4.6 “USiena” vs. “Solo video” . . . 145

4.7 “USiena” vs. “Video con slide” . . . 157

4.8 “USiena” vs. “Solo audio” . . . 168

4.9 “USiena” vs. “Slide con audio” . . . 180

4.10 iPad vs iPod: a comparison of support tools . . . .191

4.11 Engage students with dyslexia in video-based learning activities . . . 199

5 Risultati e discussioni 211

5.1 Risultati dell’attività di ricerca . . . 211

5.2 Criticità della ricerca . . . 232

5.3 Quali prospettive? . . . 234

5.4 I MOOCs . . . 237

5.5 I MOOCs – Stato dell’arte . . . 246

5.6 Passi futuri della ricerca . . . 251

5.7 Conclusioni . . . 257

Pubblicazioni 262

Bibliografia 264

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In questa introduzione viene descritto il contesto nel quale si è svolta l’attività di dottorato (un progetto dell’Università di Siena del 2012), viene illustrato l’obiettivo della ricerca e vengono elencate le azioni intraprese per raggiungere tale obiettivo. Dopo un accenno sul dominio della ricerca e sulle metodologie utilizzate, vengono brevemente descritte le parti in cui è stata divisa la tesi: introduzione, teorie e contesti applicativi, metodologie utilizzate, stato dell’arte, design e implementazione, risultati e discussioni.

L’attività di dottorato si inserisce all’interno di un progetto dell’Università di Siena del 2012 che prevedeva:

1. la progettazione e l’implementazione di una piattaforma a supporto dell’attività didattica fornita dall’Ateneo (con particolare attenzione ad una fruizione dei contenuti didattici in mobilità) e dell’attività di orientamento (quindi non solo offerta formativa ma anche attività e servizi offerti dall’Ateneo);

2. la progettazione di un format “mobile” (da utilizzarsi per la progettazione del corso);

3. la valutazione dell’apprendimento utilizzando il format progettato; 4. l’implementazione di un corso mobile prototipale.

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All’interno di questo progetto l’autore:

 ha collaborato alla progettazione e all’implementazione della piattaforma;

 ha prodotto diversi contenuti multimediali (attualmente 36 collezioni e 499 contenuti);

 ha progettato un format per la fruizione di contenuti didattici in mobilità (definito nella tesi format “USiena”);

 ha analizzato i format utilizzati dalle prime quindici università al mondo presenti su iTunesU, sempre nell’ottica di una fruizione di contenuti in mobilità (definiti nella tesi format “Sparring”);

 ha prodotto ventinove moduli prototipali (utilizzati nelle sperimentazioni);

 ha provveduto a valutare l’apprendimento utilizzando il format progettato, comparando l’acquisizione della conoscenza da parte dei discenti sulla base dei vari format analizzati in precedenza (“USiena” vs. “Sparring”).

L’obiettivo dell’attività di ricerca dell’autore è stato quello di sperimentare quale fosse l’effettivo potenziale del format “USiena”, in termini di fruibilità dei contenuti in mobilità e di efficacia dell’apprendimento. Anticipando dei termini che verranno illustrati nel secondo capitolo della tesi, l’autore si è occupato degli aspetti relativi all’Information Architecture, alla Communication Design, alla User Interface Engineering, alla Usability Engineering.

L’ipotesi sperimentale era che il format “USiena” rendesse più facile la trasmissione dei contenuti verso i discenti migliorando l’apprendimento. Accanto a questo obiettivo primario, un secondo obiettivo era quello di valutare se e come sia possibile integrare il format “USiena” all’interno del progetto “USiena integra” (presentato nel paragrafo 1.9 della tesi).

Il dominio della ricerca, quindi, è l’M-learning (un blend dedotto da mobile e da e-learning) ovvero l’apprendimento con l’ausilio di dispositivi mobili (Helen Crompton). Dispositivi che permettono di accedere ad una notevole

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varietà di informazioni, rimanendo “sempre” e “ovunque” connessi e trasformando il processo di apprendimento in un’esperienza fruibile in “qualsiasi momento” e in “qualsiasi luogo”.

La metodologia utilizzata per la progettazione è lo User-Centered Design, realizzata mediante l’osservazione (diretta e indiretta), l’intervista, i focus group, i questionari (cartacei e on-line), il card sorting, i test di usabilità, le sperimentazioni su campioni di utenti.

Sulla base dello standard ISO 9241-210:2010 (“Ergonomics of human-system interaction -- Part 210: Human-centred design for interactive systems”) la progettazione è stata divisa in fasi (processo ciclico di progettazione, valutazione e riprogettazione), cercando di migliorare il prodotto finale in base al feedback ricevuto dagli utenti. Sono stati scelti dei campioni di utenti che sono stati coinvolti in una progettazione partecipata (participatory planning). Infine sono stati selezionati altri soggetti che hanno partecipato alle sperimentazioni, il cui scopo era di valutare l’apprendimento dei discenti utilizzando il format progettato.

Nella prima parte della tesi, teorie e contesti applicativi, viene affrontato il problema dell’accessibilità della società dell’informazione, viene presentata una descrizione storica della formazione a distanza, vengono illustrati i concetti di e-learning e di mobile learning, viene presentata un’introduzione ai sistemi complessi, vengono analizzate le teorie dell’apprendimento alla base dell’e-learning e le teorie dell’apprendimento multimediale, viene descritto l’apprendimento centrato sullo studente ed infine viene presentato il contesto didattico dell’Ateneo senese.

Nella seconda parte della tesi, metodologie utilizzate, vengono illustrati i metodi e gli approcci utilizzati per l’attività di ricerca. Partendo dal metodo sperimentale e dallo User-Centered Design, viene mostrata sia l’importanza dell’interazione nella progettazione di un artefatto cognitivo (Interaction Design), sia l’importanza della progettazione per le esperienze.

Nella terza parte della tesi, stato dell’arte, viene presentato il progetto di Ateneo, vengono illustrate le motivazioni che ci hanno spinto a utilizzare

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iTunesU come progetto di riferimento, vengono analizzate alcune piattaforme presenti sul mercato, vengono descritti i risultati di una ricerca bibliografica condotta nella letteratura scientifica nazionale e internazionale utilizzando le parole chiave “mobile learning” e “m-learning” – affinando quindi la ricerca con le keyword “itunesu”, “mobile course” e “mobile course model”.

Nella quarta parte della tesi, design e implementazione, viene descritta la progettazione della piattaforma “iTunesU Siena”, viene illustrata una prima analisi dell’utenza effettuata con il metodo delle “survey on-line”, viene descritta la progettazione del format “USiena”, vengono presentate alcune sperimentazioni effettuate per valutare se il format proposto faciliti o meno la trasmissione dei contenuti verso i discenti migliorando l’apprendimento. Nell’ultima parte della tesi, risultati e discussioni, vengono illustrati i risultati dell’attività di ricerca elencandone al tempo stesso alcuni punti critici. Quindi vengono descritti i MOOCs, seguiti da alcuni spunti di riflessione dell’autore e dalle prospettive future della ricerca.

È all’interno di queste prospettive che si collocano gli interessi di ricerca dell’autore, interessi che sono legati al suo ambito lavorativo (sistemi e tecnologie per la comunicazione) ed ai processi di interazione e di relazione che hanno gli studenti con i sistemi di mobile learning.

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Teorie e contesti applicativi

In questo capitolo, dopo un accenno all’accessibilità della “società dell’informazione”, viene descritto il percorso storico che ha portato a modificare le attività didattiche svolte non “in situ” (formazione a distanza, e-learning, mobile learning), viene presentata un’introduzione ai sistemi complessi, vengono analizzate alcune teorie dell’apprendimento soffermandosi sull’apprendimento centrato sullo studente ed infine viene presentato il contesto nel quale si è svolta l’attività di ricerca.

1.1 La società dell’informazione è una società

accessibile?

La società moderna è in continua evoluzione, si modifica e si ristruttura continuamente. In questo scenario un ruolo fondamentale viene svolto dall’informazione, con particolare attenzione al modo in cui questa viene prodotta, gestita e distribuita all’interno di quello che viene definito “ambiente intelligente” (Scano, 2003).

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Contestualmente anche la tecnologia ha assunto un ruolo fondamentale, supportando l’uomo nelle sue attività quotidiane ed entrando in relazione con l’ambiente circostante, ambiente in cui l’uomo-utente opera. I processi comunicativi si evolvono continuamente, così come si modificano le relazioni interpersonali. Anche la società attuale ha subito profondi cambiamenti, facendo ricoprire all’informazione e alla conoscenza il ruolo privilegiato di “risorsa strategica”, elementi indispensabili per lo sviluppo economico e la crescita culturale. L’informazione è divenuta sempre più un bisogno primario e la tecnologia è il mezzo privilegiato per crearla, conservarla e trasmetterla.

Nella società moderna l’accesso alle informazioni e alle tecnologie è diventato un aspetto indispensabile per l’esercizio di una cittadinanza attiva. Talvolta però le persone con disabilità hanno delle grosse difficoltà nell’accedere alle informazioni e nell’utilizzare la tecnologia.

La Legge n. 4 del 9 Gennaio 2004 “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, all’articolo 2 definisce le tecnologie assistive come “… gli strumenti e le soluzioni tecniche, hardware e

software, che permettono alla persona disabile, superando o riducendo le condizioni di svantaggio, di accedere alle informazioni e ai servizi erogati dai sistemi informatici ...”, ovvero strumenti che consentono di sopperire a

menomazioni sensoriali e cognitive (Parlamento italiano, 2004).

L’e-learning rappresenta una risorsa strategica che consente di superare gli ostacoli connessi alle tradizionali attività d’aula e che può rispondere efficacemente ai bisogni educativi speciali.

Utilizzare l’e-learning come modalità didattica significa utilizzare internet e le tecnologie multimediali per migliorare la qualità dell’apprendimento, facilitando l’accesso alle risorse e ai servizi, incentivando l’utilizzo di materiali didattici da remoto e ponendo particolare attenzione alla collaborazione e alla creazione di comunità virtuali di apprendimento. Contenuti e piattaforme per l’e-learning devono fornire servizi e materiali didattici attraverso modalità che consentano a ciascun studente di utilizzare

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a pieno le proprie potenzialità. In particolare i materiali didattici per l’utilizzo on-line devono essere costruiti per essere fruibili da chiunque, a prescindere da eventuali disabilità e dalle tecnologie utilizzate.

Emerge quindi la necessità di progettare ed erogare percorsi caratterizzati dall’accessibilità, non solo dal punto di vista tecnologico ma anche da quello metodologico e didattico, al fine di garantire esperienze di apprendimento inclusive e di elevata qualità per tutti i discenti, a prescindere dalla loro disabilità. Ciò significa che la piattaforma non solo deve essere accessibile, ma soprattutto è indispensabile concentrarsi sulla progettazione e sull’organizzazione dei corsi in modo da adeguarli alle diverse necessità di tutti gli studenti (Delogu et al., 2008).

Nel primo caso occorre risolvere tutti quei problemi che possono rendere inaccessibili i contenuti erogati, operazione possibile grazie all’applicazione di alcune linee guida, tra le quali le più note sono quelle della WAI (Web Accessibility Initiative) proposte dal W3C (World Wide Web Consortium). Nel secondo caso occorre individuare le modalità di apprendimento più adatte per le diverse tipologie di utenti. Assicurare l’accessibilità dei corsi è sicuramente lo sforzo maggiore, poiché molto spesso questi vengono realizzati in modo inadeguato rispetto ai criteri che l’accessibilità impone (Nicolussi 2004).

L’accessibilità è un aspetto importantissimo nella società moderna e molto spesso viene associata ad altri termini quali istruzione, diritti e inclusione. L’accesso alla formazione, scolastica e universitaria, è un diritto di tutti i discenti. Sempre più spesso vengono realizzate iniziative che hanno lo scopo di pubblicizzare linee guida e proposte di buone pratiche per costruire una didattica per tutti. Accessibilità però non significa apprendimento, per questo verranno di seguito analizzate alcune delle principali teorie dell’apprendimento che sono alla base dell’e-learning.

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1.2 Formazione a distanza

La formazione a distanza (FaD) nasce per svincolare l’intervento didattico dai limiti posti dalla compresenza fisica in un luogo e il suo sviluppo è stato profondamente influenzato da quello parallelo delle tecnologie della comunicazione.

Storicamente la nascita della FaD viene datata in Inghilterra nel 1840, con la pioneristica iniziativa avviata da Isaac Pitman, la cosiddetta “scuola per corrispondenza”. Il suo obiettivo era quello di insegnare la stenografia di base per l’incremento delle capacità segretariali anche a coloro che avevano difficoltà a spostarsi da una città all’altra. La suddivisione storica della formazione a distanza in tre generazioni è stata definita da Garrison (1985) e Nipper (1989) ed è universalmente accettata come tale (Garrison, 1985), (Nipper, 1989).

La FaD di prima generazione (per corrispondenza) è una formazione a distanza di tipo tradizionale. Verso la seconda metà del XIX secolo si diffuse – soprattutto in Inghilterra, Stati Uniti e Canada – un tipo di formazione basata sull’invio di dispense e materiale didattico (a mezzo postale) a gruppi di studenti distribuiti su vaste aree geografiche; questo grazie alle nuove tecniche di stampa e al potenziamento del trasporto ferroviario. Generalmente era un tipo di formazione che forniva agli adulti un’istruzione di base e una preparazione professionale altrimenti impossibili da ottenere, specialmente per chi abitava in zone isolate. L’interazione tra allievo e docente era quasi inesistente, intesa in senso verticale (uno a uno) e limitata allo scambio di elaborati cartacei – per lo più questionari di valutazione – per verificare i progressi degli studenti. Gli incontri in presenza erano rari e le linee programmatiche non definite. In alcuni casi era previsto che l’allievo restituisse i test compilati ad un centro didattico, che talvolta rilasciava al termine del corso di studi un attestato delle competenze e delle abilità acquisite.

La FaD di seconda generazione (sistemi multimediali / plurimediali) si basa sull’ausilio di sussidi multimediali, come le videocassette o i Cd-Rom. Gli anni 60’ del XX secolo furono caratterizzati da un uso integrato di materiale

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cartaceo, trasmissioni televisive, registrazioni audiovisive e software didattici (courseware – a partire dagli anni 80’). La British Open University (fondata nel 1969) è stata la prima istituzione pensata e progettata per l’apprendimento a distanza ed erogava corsi che utilizzavano questo tipo di risorse. Anche in questo caso l’interazione tra docente e discente era abbastanza limitata, anche se prevedeva un minimo di assistenza (telefonica, in presenza, via fax o posta elettronica). L’apprendimento era inteso come un'attività individuale (una sorta di autoistruzione). La didattica era di tipo erogativo e prevedeva una trasmissione verticale dei contenuti dal docente agli studenti, con questi ultimi fruitori passivi della propria formazione. L’infrastruttura della comunicazione rimaneva di tipo massmediale, basata sul rapporto uno a molti.

La FaD di terza generazione (on-line education – formazione in rete) punta sull’uso delle tecnologie informatiche e telematiche e si configura come formazione in rete in senso stretto. A partire dagli anni 90’ del XX secolo, la FaD di seconda generazione è stata sostituita dalla “formazione in rete” detta anche “istruzione a distanza di terza generazione”. L’elemento caratterizzante è la presenza di sistemi basati sulla Computer Mediated Communication (CMC) e sull’impiego di reti telematiche (internet e intranet).

In realtà siamo ancora abbastanza lontani dall’attuare pienamente una FaD di terza generazione in quanto i CMS (Content Management System), i LMS (Learning Management System) e le “piattaforme” sono ancora centrate sull’erogazione di contenuti e i corsi.

Per raggiungerla pienamente, comunicazione e apprendimento dovrebbero essere considerati come processi sociali, in cui la tecnologia per l’erogazione dei contenuti dovrebbe essere basata sull’utilizzo di reti telematiche. L’apprendimento dovrebbe diventare un processo sociale e collaborativo, stimolato dalla negoziazione e dalla cooperazione tra i membri di una comunità (comunicazione molti a molti).

Tale approccio dovrebbe favorire una condivisione orizzontale della conoscenza, la comunicazione tra i partecipanti dovrebbe avvenire secondo

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un modello “a rete”, il processo formativo si dovrebbe basare sull’interazione di tutti i partecipanti (studenti, docenti e tutor) andando a creare una vera e propria comunità di apprendimento. Il singolo individuo verrebbe così aiutato a superare il proprio isolamento, valorizzando i propri rapporti nel gruppo e con il gruppo.

1.3 E-learning

La distinzione della FaD in tre fasi da una parte risulta essere concettualmente efficace, ma dall'altra rischia di oscurare l’importanza assunta dai paradigmi educativi e dalle teorie della conoscenza che accompagnano l’evoluzione del settore. In particolare, per quanto riguarda la formazione a distanza che si basa sulla telematica e che viene generalmente denominata come e-learning, occorre ricordare che l’elemento centrale su cui si basa è l'interazione tra tutti i partecipanti al progetto educativo. È proprio in questo, infatti, che essa si distingue dai sistemi che l’hanno preceduta (Eletti, 2002).

In passato il prefisso “e-” è stato collegato a vari termini come “mail”, “commerce” ed oggi anche a “learning”, formando così il neologismo e-learning. In letteratura esistono svariati documenti che analizzano il significato della “e-”, studi che si orientano verso ambiti disciplinari molto diversi, da quelli di ispirazione più pedagogica a quelli di tendenza spiccatamente tecnologica. A seconda dell'area di riferimento la “e-” viene interpretata come una semplice contrazione di “electronic”, fino all'interpretazione di “e-” come “esperienza” – ovvero come un modo nuovo di insegnare ed apprendere utilizzando internet (Masie, 1999).

L’e-learning è un settore applicativo della Information Technology (IT), che utilizza il complesso delle tecnologie internet (web, e-mail, FTP, IRC, streaming video etc.) e delle tecnologie multimediali per distribuire on-line contenuti didattici multimediali. La tecnologia viene utilizzata per progettare, selezionare, distribuire e supportare la formazione realizzando percorsi formativi personalizzati.

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L’e-learning, quindi, sfrutta le potenzialità rese disponibili da internet per facilitare l’accesso alle risorse e ai servizi, fornendo una formazione sincrona e/o asincrona agli utenti, i quali possono accedere ai contenuti dei corsi in qualsiasi momento e in ogni luogo in cui esista una connessione migliorando la qualità dell’apprendimento. Questa caratteristica e la tipologia di progettazione dei materiali didattici portano a definire alcune forme di e-learning come “soluzioni di insegnamento centrato sullo studente” (Calvani & Rotta, 2000).

Spesso si identifica l’e-learning con qualsiasi tipologia di formazione erogata tramite tecnologia informatica, sia off-line (CD-ROM) che on-line (internet o intranet). In realtà, la componente internet e la presenza di una piattaforma tecnologica specifica (LMS – Learning Management System) distingue l’e-learning da altre versioni di formazione a distanza come i CBT (Computer Based Training). Così come le procedure di monitoraggio e tracciamento degli utenti lo distinguono dai WBT (Web Based Training). Si parla quindi di e-learning come evoluzione della formazione a distanza (Di Russo, 2005).

L’erogazione di attività di e-learning può avvenire attraverso tre distinte modalità:

 On-line in modalità sincrona – grazie all’utilizzo delle classi virtuali in cui gli studenti possono interagire con il docente di riferimento (durante la lezione “dal vivo”, comunicano con l’insegnante, utilizzano materiali disponibili in rete, creano gruppi di lavoro, navigano sul web);

 On-line in modalità asincrona – grazie alla fruizione di contenuti interattivi, gli studenti partecipano attivamente al processo di apprendimento;

 Off-line – grazie all’utilizzo di dispositivi e file in vari formati (file audio e video, cd e dvd, testi cartacei, immagini, file pdf).

Sintetizzando, tutti i sistemi di e-learning devono prevedere alcuni elementi essenziali, che sono:

 un alto grado di indipendenza del percorso didattico da vincoli di presenza fisica o di orario specifico;

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 l’impiego del personal computer (eventualmente integrato da altre interfacce e dispositivi) come strumento principale per la partecipazione al percorso di apprendimento;

 il monitoraggio continuo del livello di apprendimento, sia attraverso il tracciamento del percorso che attraverso frequenti momenti di valutazione e autovalutazione;

 l’utilizzo della connessione in rete per la fruizione dei materiali didattici e lo sviluppo di attività formative basate su una tecnologia specifica, detta “piattaforma tecnologica” (LMS – Learning Management System);

 la valorizzazione della multimedialità (effettiva integrazione tra diversi media per favorire una migliore comprensione dei contenuti), dell’interattività con i materiali (per favorire percorsi di studio personalizzati ottimizzando l'apprendimento), dell'interazione umana (con i docenti/tutor e con gli altri studenti – per favorire, tramite le tecnologie di comunicazione in rete, la creazione di contesti collettivi di apprendimento).

1.4 E-learning 2.0

L’importanza dell’e-learning nella formazione degli studenti è stata riconosciuta anche dall’Unione Europea: il Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000 l’ha inserito fra gli elementi essenziali dell’istruzione del futuro, avviando tutta una serie di iniziative volte a promuovere la creazione e la diffusione di sistemi di apprendimento efficienti ed efficaci. L’e-learning viene visto come una metodologia – uno strumento e un ambiente di apprendimento, che facilita la creazione di un sistema integrato in grado di rispondere alle esigenze di una formazione che si estende per tutta la vita (LLL – LifeLong Learning).

Con la diffusione del Web 2.0 (O’Reilly, 2005; Berners-Lee, 2006; O’Reilly, 2006) la rete diventa più interattiva e dinamica. La caratteristica fondamentale, secondo la visione di O’Reilly, è quella di considerare il web come una “piattaforma” sfruttandola il più possibile. Con questa espressione viene inteso il progressivo utilizzo di applicazioni web (quindi non installate

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localmente), le quali a loro volta portano ad una maggiore presenza on-line degli utenti, i quali portano alla creazione di applicazioni che si migliorano sempre di più con l’aumentare degli utenti stessi. I concetti chiave sono: la collaborazione, l’interazione fra utente e sito web, la condivisione di contenuti multimediali e l’importanza della partecipazione attiva dell’utente nella gestione delle informazioni. Il focus si sposta dalla tecnologia ai soggetti che la utilizzano.

Grazie all’architettura partecipativa messa a disposizione dalle nuove applicazioni, ciascun individuo ha la possibilità di fruire dei contenuti degli altri utenti, di personalizzarli e riproporli sul web, creando così dei nuovi contenuti (nuova conoscenza) da poter condividere con tutta la comunità di riferimento secondo modalità partecipative e collaborative (UGC – User Generated Content).

Nascono e si sviluppano delle comunità di apprendimento “virtuali”, nelle quali ciascun individuo può condividere le proprie aree di interesse con altri soggetti, comunicare interattivamente e creare una conoscenza condivisa. E’ il mondo delle chat, dei newsgroup, dei forum, dei blog, dei wiki, dei podcast, dei social network.

La rete e le nuove tecnologie di comunicazione diventano il luogo dell’intelligenza connettiva (De Kerckhove, 1997) e collettiva (Lévy, 1997). Secondo Derrick De Kerckhove, la rete permette di moltiplicare le connessioni (non solo docenti-studenti, ma anche studenti-studenti e zone periferiche-centri urbani), distribuire le conoscenze che altrimenti resterebbero inaccessibili (soprattutto a coloro che vivono in ambienti remoti) e garantire la ricomposizione completa di tutti i fenomeni della conoscenza (conoscenza connettiva): la connettività consiste nel trovare dei metodi che facciano procedere insieme tutti i pensieri in tempo reale e che facciano pensare più rapidamente in gruppo.

Secondo Pierre Lévy, l’intelligenza è distribuita dovunque c’è umanità e questa intelligenza distribuita dappertutto può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecnologie, soprattutto se messa in sinergia con gli altri

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(possiamo quindi parlare di un nuovo “progetto di civilizzazione”). Per concludere, le nuove tecnologie facilitano la comunicazione e la costruzione condivisa di una nuova conoscenza, non solo all’interno della stessa comunità ma anche fra comunità diverse.

Le trasformazioni avvenute con il web 2.0 hanno caratterizzato in maniera innovativa sia gli strumenti e le metodologie utilizzate per la didattica, sia gli ambienti e le modalità di apprendimento, sia i modelli utilizzati dall’e-learning, portando alla definizione di “e-learning 2.0” (Downes, 2005). Alla definizione concorrono due aspetti: uno di natura pedagogica legato all’apprendimento collaborativo supportato dal computer (CSCL – Computer-supported collaborative learning), l’altro di natura tecnologica legato alle applicazioni on-line che permettono di ottenere sul web uno spiccato livello di collaborazione sociale e messaggistica.

Secondo Downes, l’e-learning 2.0 racchiude in sé tutte le tecniche di apprendimento costruite attorno agli strumenti del web 2.0 (blog, wiki, podcast, social network, etc.). Non si basa sull’erogazione di “corsi on-line” e sull’utilizzo di LMS (Learning Management System) per la gestione e il monitoraggio della formazione.

La sua caratteristica fondamentale è il passaggio da un approccio “formale” a un approccio “informale” dell’apprendimento, legato al recupero di quelle potenzialità che sono peculiari delle modalità informali e spontanee di utilizzo della rete, in cui gruppi di utenti (esperti e non) si aggregano spontaneamente per risolvere problemi concreti (Bonaiuti, 2006).

Si riferisce quindi alla capacità di creare e proporre modelli/modalità di utilizzo di applicazioni web non direttamente finalizzate alla formazione, per attivare processi di creazione – formalizzazione e condivisione della conoscenza.

Scrive ancora Bonaiuti “... il limite dell’insegnamento formale e quindi, per

estensione, dell’e-learning di «prima generazione», deve essere ricondotto all’incapacità di riconoscere e accettare che buona parte delle conoscenze che le persone acquisiscono nel corso della vita passa attraverso

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l’imitazione, la pratica, l’intuizione, la scoperta [cosiddetto apprendimento informale e non formale, ndr] [...]. La prospettiva dell’e-learning informal si inserisce dunque in un modello proteso a recuperare e valorizzare le potenzialità insite nei contesti spontanei, in questo caso della rete ...”

(Bonaiuti, 2006 pp. 53-54).

Jay Cross (2003) ha evidenziato come, nell’ambito delle organizzazioni, circa l’80% dell’apprendimento proviene da occasioni informali, mettendo in evidenza una sorta di paradosso tra i risultati raggiunti – in termini di apprendimento – nell’ambito di azioni formative “formali” e “informali” e gli investimenti che sono spesso rilevanti (figura 01).

figura 01 – Risultato dell’apprendimento vs spesa sostenuta (fonte: Jay Cross)

I primi ambienti di formazione on-line, i VLE (Virtual Learning Environment), si basavano su di un utilizzo estensivo delle piattaforme tecnologiche. Il focus era sui prodotti (corsi e moduli didattici) erogati dalle istituzioni. Si basavano sulla consultazione di materiali preconfezionati che pongono scarsa attenzione alle abitudini sociali, partecipative, collaborative e di co-produzione dei contenuti che sono proprie degli individui che partecipano al processo di apprendimento. Di fatto solo raramente i VLE hanno prodotto cambiamenti significativi in termini di qualità dell’apprendimento. Le cause sono da ricercarsi essenzialmente nella scarsa efficacia delle strategie didattiche adottate, nelle scarse competenze progettuali, nell’eccessiva focalizzazione sugli aspetti tecnologici (Parkin, 2004).

Con lo sviluppo tecnologico sempre crescente e con la maggiore dinamicità e interattività della rete, il web 2.0 diventa il setting formativo ideale per l’integrazione fra apprendimento formale e informale, che si realizza

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attraverso un nuovo ambiente di formazione chiamato PLE (Personal Learning Environment).

Con i PLE ogni soggetto può predisporre il proprio personale ambiente di apprendimento, può organizzare autonomamente le risorse formative che sono a disposizione di ogni individuo, può utilizzare la strumentazione che le moderne tecnologie gli mettono a disposizione per condividere e rielaborare i contenuti, creando delle conoscenze attraverso un insieme di applicazioni fruibili sul web. Il controllo dell’apprendimento è centrato sul soggetto, sui suoi bisogni conoscitivi, sulle sue capacità di aggregare e organizzare le risorse formative (Calvani, 2005; Ranieri, 2005; Attwell, 2007).

Da un modello che prevedeva ambienti chiusi e centrati sull’erogazione di contenuti strutturati e rigidi, siamo passati a modelli basati sulla centralità della persona che apprende la quale – interagendo con gli altri – collabora alla costruzione di una conoscenza condivisa.

L’apprendimento individuale diventa il risultato di un processo collettivo: si impara insieme. Questo modello collaborativo consente la crescita del singolo individuo all’interno di obiettivi condivisi da un gruppo.

Tuttavia, come sostiene Carlo Giovannella, la proposta di PLE basate su aggregatori di servizi e contenuti può condurre allo sviluppo di aggregazioni deboli, in cui rischia di venir meno il senso dell’esperienza – in particolare pedagogica – come conseguenza del venir meno della stratificazione culturale che caratterizza i “place”: ovvero lo spirito dei luoghi (Giovannella, 2008). Propone quindi l’idea di un VLP (Virtual Learning Place) focalizzato sul “place” formativo, sulla centralità della persona e sulla costruzione di una comunità di apprendimento collaborativo. Afferma Giovannella che il “place” ha una sua riconoscibilità che deriva dalla stratificazione delle tracce prodotte dalle attività che vi si sono svolte e dalle relazioni sociali che vi si sono intessute.

La caratteristica di questo ambiente è la presenza di due aree, distinte ma interconnesse fra loro: un’area dedicata alla costruzione di comunità virtuali di apprendimento e allo sviluppo della conoscenza, un’area dedicata alla

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pubblicazione delle informazioni e alla gestione del processo di apprendimento. Al termine di un percorso didattico, il prodotto formativo frutto dell’attività collettiva della comunità virtuale di apprendimento, deve essere mantenuto – valutato – ed eventualmente utilizzato come sedimento culturale finalizzato all’arricchimento del place. Si devono quindi prevedere dei meccanismi in grado non solo di interconnettere queste due aree, ma anche di esportare all’esterno i contenuti prodotti (figura 02).

figura 02 – Virtual Learning Place (fonte: Carlo Giovannella)

Propone quindi l’ambiente LIFE (Learning in an Interactive Framework to Experience), erede di HU Home-University (Giovannella et. al., 2003), ovvero il primo prototipo concreto di VLP (Giovannella et. al., 2008). E’ un esempio di progettazione di ambienti virtuali che permette di ottenere un “place” in grado di preservare la propria memoria, di conservare la propria riconoscibilità e di essere aperto all’interscambio con l’esterno (figura 03).

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figura 03 – LIFE (fonte: sito web)

Come sostiene Giovannella, LIFE è un ambiente molto attento allo sviluppo delle relazioni sociali e all’interazione dialogica. E’ stato progettato per favorire il coinvolgimento emotivo dei soggetti offrendo loro un ambiente aperto al web e in grado di soddisfare – al tempo stesso – le esigenze di costruzione di una propria identità virtuale. Il focus è rappresentato dalla costruzione condivisa e collaborativa della conoscenza – nella forma in cui questa può essere attuata da una comunità di pratica – e non dai moduli o dai corsi che lo compongono.

1.5 Mobile learning

Complice il fatto che i moderni dispositivi mobile sono dei veri e propri computer con applicazioni specifiche per il web, complice il fatto che molto spesso utilizziamo più di un device per connettersi (anche quando siamo fuori casa), complice il fatto che il costo del collegamento sulle reti cellulari diminuisce costantemente, complice il fatto che i dispositivi mobile hanno reso “portatili” molte attività che prima potevano essere eseguite soltanto a casa o in ufficio, complice il grande successo di smartphone tablet e App, il mobile è diventato la modalità privilegiata per l’accesso a internet (Fox & Rainie [1], 2014; Fox & Rainie [2], 2014; Msoftblog, 2014; Gasperini, 2014).

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L’utilizzo dei dispositivi mobile (smartphone, lettori MP3, tablet pc, iPod e iPad) si è sviluppato a tal punto negli ultimi anni, che attualmente la loro diffusione supera quella dei personal computer (nella maggior parte dei contesti sociali e professionali moderni). Tali dispositivi permettono di accedere ad una varietà praticamente infinita di informazioni rimanendo “sempre” e “ovunque” connessi: a casa, sul posto di lavoro, nel luogo di studio, nel tempo libero e così via.

Queste novità stanno investendo anche il mondo dell’educazione e della formazione. L’aggiunta dell’aggettivo “mobile” al termine “apprendimento” è la presa d’atto di queste novità.

Secondo la visione di Helen Crompton il mobile learning viene definito come “... learning across multiple contexts, through social and content

interactions, using personal electronic devices ...”, ovvero un blend dedotto

da mobile e da e-learning indicante l’apprendimento con l’ausilio di dispositivi mobili (Crompton, 2013 pag. 83).

In modo analogo possiamo parlare di mobile working. Basta guardarsi intorno: in treno, nella sala d’aspetto di un aereoporto, in metropolitana o per strada. Ovunque ci sono portatili con chiavette internet, smartphone, cellulari, tablet. I dispositivi utilizzati da un utente “tipo” sono generalmente più d’uno, spesso tre: computer acceso con aperti vari programmi, smartphone o tablet per la posta, un cellulare per parlare a voce (alternando voce, messaggi, e-mail, navigazione).

Gli strumenti mediante i quali è possibile accedere al mobile learning non sono vincolati ad un luogo, possono essere fruibili ovunque ed in qualsiasi situazione, possono essere tenuti in un palmo di mano e possono essere portati con sé in modo discreto.

Tuttavia, anche se l’utilizzo di tali strumenti in ambienti di apprendimento è aumentata sensibilmente negli ultimi anni, considerando la dimensione più squisitamente pedagogico-didattica, si deve rilevare come non esista ancora oggi una teoria pedagogica per il mobile learning o apprendimento ubiquitario.

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Termini come “quando voglio”, “dove voglio” e “come voglio” sono fondamentali per il mobile learning, che ha come punto di massima forza proprio quello di essere sempre a disposizione. L’apprendimento diventa quindi ubiquo e onnipresente (Laouris & Eteokleous, 2005).

Numerose sono quindi le definizioni che mettono in rilievo, di volta in volta, i diversi aspetti tecnologici e didattici del mobile learning. In un primo tempo l’accento era posto soprattutto sulla differenza/analogia con l’e-learning. Punto centrale della discussione, afferma Harris, è la nuova natura del processo di apprendimento che ha abbandonato la sua tradizionale staticità trasformandosi in un’esperienza fruibile in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo “... m-learning is the point at which mobile

computing and e-learning intersect to produce an anytime, anywhere learning experience ...” (Harris, 2001).

Più recentemente è stato evidenziato come, pur considerando le differenze tra e-learning e mobile learning, sia necessario pensare a un continuum dell’apprendimento attraverso diversi contesti e scenari, che può essere realizzato grazie ai dispositivi mobile che ciascuno studente possiede. Per questo Chee-Kit Looi parla di “... ‘seamless learning spaces’ and marked by

continuity of the learning experience across different scenarios or contexts, and emerging from the availability of one device or more per student ...”

(Loii et al., 2010 pag 154).

Salman Khan, il fondatore della Khan Academy, ha proposto il modello della “flipped classroom”, che si contrappone al modello tradizionale dell’insegnamento secondo il quale i docenti tengono la lezione in aula, assegnano degli esercizi a casa e verificano a posteriori l’acquisizione dei contenuti. Con il metodo del “reversed instruction” la fase dell’apprendimento diventa individuale ed effettuata al di fuori dell’aula (mediante la fruizione di contenuti audio e video appositamente predisposti). Gli studenti acquisiscono a casa le informazioni, interagiscono con il materiale on-line e annotano dubbi e domande. L’aula diventa il luogo operativo dove, sotto la supervisione del docente, si realizza in maniera concreta il concetto di “learning by doing” e si svolgono attività di tipo esperienziale e collaborativo (Khan, 2012).

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Negli anni ‘90 internet rappresentava uno strumento adottato da pochissimi e quasi del tutto sconosciuto. Oggi risulta essere uno dei media più utilizzati, soprattutto in ambito didattico e scolastico, rivoluzionando il nostro approccio alla conoscenza. Così anche i modelli educativi ancora oggi ampiamente utilizzati vengono seriamente messi in discussione. Grazie ad internet, scrive Khan “... l’istruzione è molto, molto più accessibile, e la

conoscenze e le opportunità possono essere condivise con maggiore ampiezze ed equità ...” (Khan, 2013).

Da qualche anno – e ultimamente con sempre maggiore frequenza – nei contesti anglosassoni si parla di mobile learning, inteso come un nuovo paradigma dell’apprendimento basato sull’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione mobile e per questo motivo in grado di garantire una formazione continua, capillare e multicanale.

Una delle metodologie maggiormente utilizzate è il “Podcasting”, che consiste nell'utilizzo di contenuti audio e video a supporto delle lezioni. Questo materiale può fornire informazioni aggiuntive per migliorare la didattica tradizionale e può essere usato per rivedere lezioni registrate dal vivo, con un sostanziale miglioramento nei risultati ottenuti dagli studenti (Clark et al., 2007).

Secondo una ricerca condotta dalla psicologa statunitense Dani McKinney, dell’Università Statale di New York a Fredonia, gli studenti universitari che scaricano contenuti podcast – agli esami ottengono dei risultati sostanzialmente più elevati rispetto a quelli ottenuti dagli studenti che frequentano le lezioni frontali e prendono appunti. I contenuti via podcast offrono agli studenti la possibilità di riprodurre parti difficili di una lezione e quindi prendere appunti migliori. Alcuni professori limitano addirittura il download per incoraggiare la partecipazione di classe. Comunque, come afferma McKinney, non è tanto importante realizzare dei podcast ma decidere l’utilizzo che se ne vuole fare (McKinney et al., 2009).

In generale possiamo distinguere fra due distinte strategie per l’apprendimento mobile.

1. Mobile Ready – Contenuti che non hanno bisogno di manipolazioni per essere fruiti. In questa categoria sono inclusi i filmati, i file

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audio, le immagini. Questo approccio è trasversale, economico e permette di impiegare i contenuti in più contesti, ma non riesce ad offrire un’esperienza utente unica e specifica.

2. Mobile First – Tutto viene progettato primariamente per i dispositivi mobile considerandoli come unica fonte di erogazione, tecnica divenuta famosa grazie al libro Mobile First di Luke Wroblewski (Wroblewski, 2011). Per avere un buon risultato vanno tenuti in considerazione scenari che l’e-learning tradizionale non contempla: persone in movimento, luoghi affollati, tempi di fruizione ristretti. Questo approccio, sebbene più dispendioso, se ben articolato permette di rendere l’esperienza formativa mobile più efficace e senza soluzione di continuità.

Inizialmente alcuni autori si sono dimostrati piuttosto scettici sull’effettiva funzionalità del mobile learning per l’apprendimento, evidenziando le criticità che preoccupavano gli esperti del settore. In particolare (Coco et al., 2005):

 la bassa velocità di trasferimento dati legata alla limitata ampiezza di banda;

 la difficoltà di visualizzazione dell’informazione legata alle dimensioni ridotte del display – e di conseguenza la difficoltà nel progettare interfacce usabili;

 l’immissione lenta dei dati;  i costi di connessione;

 la difficile portabilità delle tecnologie esistenti sui dispositivi mobili (ad esempio, l’immissione di dati alfanumerici dai cellulari richiede un riadattamento dell’applicativo che tenga conto del numero limitato di pulsanti a disposizione, della lentezza con la quale si possono inserire i contenuti e dei limiti del display – spesso è più conveniente riprogettare da zero le App avendo in mente fin da subito le limitazioni tipiche di uno smartphone).

Tuttavia la realtà dei fatti ha smentito questo iniziale scetticismo. Attualmente abbiamo due tipologie di tecnologie per l’apprendimento che coesistono, una veicolata tramite il web tradizionale e l’altra veicolata tramite il mobile. In un prossimo futuro si potrebbe verificare una

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convergenza – e forse l’estinzione dell’una mentre l’altra potrebbe prendere il sopravvento (Patel, 2011).

John Polascheck, direttore della learning technology presso la Qualcomm, afferma che la sua organizzazione è attualmente focalizzata sull’utilizzo del mobile web, ma sono comunque pronti ad abbandonare il web dedicandosi ad una progettazione esclusiva di App per mobile.

Mike Sharples, docente di tecnologie didattiche presso l’Università di Birmingham, afferma che i progettisti non hanno ancora capito quale sia l’approccio migliore. Ad oggi esistono alcune interessanti e utili App per il mobile learning, ma non è pensabile prendere un applicativo desktop e comprimerlo in un piccolo schermo per renderlo mobile. Conclude dicendo che attualmente non esiste nessuna App “killer” per il mobile learning. Probabilmente gli iPad e gli altri strumenti di tipo tablet diventeranno i dispositivi dominanti nel futuro. Certamente sono più portabili di molti laptop però, ad esempio, non hanno ancora la mobilità ubiqua di uno smartphone. Entrambi i dispositivi sono in grado di visualizzare e interagire con lo stesso contenuto. L’unica differenza diventa la dimensione dello schermo, che comunque può essere anche una preferenza personale. La soluzione dunque è quella di sviluppare contenuti sempre più “cross-platform” e indipendenti dal dispositivo su cui vengono visualizzati.

Come ricorda Laleh Patel citando una ricerca condotta da ASTD Research, il 55% degli intervistati ritiene che la propria organizzazione si dovrebbe attrezzare per avere una “internal expertise”, in modo da garantire la progettazione di sistemi di apprendimento accessibili da dispositivi mobile (figura 04). Come sostiene Tim Flood docente presso l’università di Stanford, per rendere mobile l’apprendimento non è pensabile replicare su di un dispositivo mobile tutto ciò che esiste già sul sito web.

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figura 04 – Apprendimento su dispositivi mobili (fonte: ASTD Research)

L’interesse della comunità internazionale verso una modalità mobile di fare didattica è cresciuto costantemente nel tempo e viene testimoniato anche dai molteplici progetti di ricerca, finanziati non solo da istituzioni pubbliche ma anche da investitori privati, che si sono preoccupati di analizzare il rapporto fra le tecnologie mobile e l’apprendimento permanente (LifeLong Learning – LLL). L’obiettivo è quello di individuare le possibili strategie innovative nel campo dell’educazione e della formazione (Arrigo et al., 2011). Ne analizzeremo brevemente alcuni.

Il progetto ENSEMBLE (European citizeNShip lifElong MoBile LEarning), co-finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Lifelong Learning Programme (2008-2010) e concluso a fine novembre 2010, ha sperimentato azioni e modelli d’integrazione socio-culturale della popolazione immigrata basati sull’uso di tecnologie digitali mobili (Ranieri et al., 2011).

Il progetto aveva un duplice obiettivo: sperimentare una metodologia didattica innovativa (basata sull’uso di tecnologie mobile per lo sviluppo di un’attività formativa destinata a soggetti potenzialmente a rischio di esclusione sociale) e valutare “se” e “a quali condizioni” l’utilizzo di tecnologie mobile potesse effettivamente offrire opportunità per favorire l’integrazione socio-culturale. Gli strumenti tecnologici utilizzati sono stati il telefono cellulare, i netbook e i lettori Mp3. Questi dispositivi hanno reso

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disponibili due diversi formati di comunicazione asincrona impiegabili in ambito formativo: MMS per i telefonini e podcast per i lettori MP3 (oppure entrambi per i netbook).

La sperimentazione ha evidenziato sensazioni differenti a seconda del tipo di utenti coinvolti (gli studenti sono apparsi i più entusiasti, gli insegnanti i più prudenti, i genitori i meno coinvolti) ma si è conclusa con la ferma convinzione di continuare a utilizzare sia il materiale prodotto che gli strumenti utilizzati anche per i prossimi anni.

Il progetto HISS (Hospital Information System for Students), finanziato da Hewlett-Packard (2003-2005) e concluso a fine 2005, prevedeva una sperimentazione inerente l’utilizzo di tecnologie mobile per la registrazione dei dati relativi ai pazienti da parte degli studenti di medicina, di infermieristica e di dietistica che svolgono il tirocinio nei diversi reparti ospedalieri (Cinque, 2011).

L’obiettivo del progetto era di valutare se l’utilizzo dei dispositivi mobili sia in grado di facilitare la razionalizzazione e la strutturazione dei contenuti da trasmettere. E’ stato creato appositamente un nuovo sistema informativo ospedaliero, accessibile attraverso dispositivi palmari collegati tramite una rete wireless a un apposito data base. E’ stata stimolata una riflessione su quali siano le nozioni teoriche alla base di una certa azione e quali siano le conseguenze di tale azione. Sono state messe on-line alcune risorse (trattati di anatomia e fisiopatologia, informative sulla composizione dei farmaci, etc.) in modo da rafforzare le conoscenze degli studenti.

La sperimentazione ha mostrato come l’utilizzo di tali dispositivi abbia permesso di rendere esplicita buona parte della conoscenza “tacita” insita in molti reparti rendendo meno formale l’apprendimento delle materie tradizionali.

Il progetto MOTILL (MObile Technologies In Lifelong Learning: best practices), finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del National Lifelong Learning Strategies (2009-2010) e concluso a marzo 2010, aveva come obiettivo principale quello di sostenere l’integrazione delle tecnologie

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mobile nei processi educativi, considerando il mobile learning come una metodologia vincente per lo sviluppo di politiche nazionali per l’apprendimento permanente (Arrigo et al., 2011).

Il progetto, avviato nel marzo 2009, analizza come l’applicazione delle tecnologie mobile possa contribuire a diffondere un nuovo modello di società in cui la formazione e la conoscenza siano un bene sempre più diffuso e a disposizione di tutti senza discriminazioni sociali, economiche o culturali. Il progetto, raccogliendo, organizzando e analizzando gli approcci pedagogici che utilizzano le tecnologie mobile nel settore del LLL, ha l’intento di identificare e diffondere buone pratiche (valide ed efficaci) nell’uso delle tecnologie mobile al fine di migliorare la qualità degli interventi in formazione permanente.

Il progetto MOWECS (MObile Wireless Education in a Catering School), finanziato da HP e da Siemens (2004-2005) e concluso a ottobre 2005, prevedeva una sperimentazione inerente l’utilizzo di tecnologie mobile nelle scuole alberghiere (Cinque, 2011).

Lo scopo del progetto era di valutare se l’utilizzo dei dispositivi mobili potesse migliorare l’apprendimento delle materie professionali alberghiere che si insegnano sul posto di lavoro (in cucina, nella lavanderia, nelle camere dei clienti) e non in classe. E’ stata sviluppata un’applicazione ad hoc resa disponibile su dispositivi palmari, App con finalità didattiche tipiche delle scuole alberghiere (pianificare i menù, raccogliere il numero dei commensali, modificare il menù del giorno per esigenze dietetiche, etc) e con apposite sezioni per lo studio in mobilità (individuale o collettivo delle lingue straniere). Le tecnologie informatiche sono state utilizzate per tutte quelle attività che richiedevano la disponibilità immediata di risorse multimediali: testi (ricette), immagini (la mise-en place), video (istruzioni relative all’uso del forno, ai tagli della verdura e della carne).

La sperimentazione ha dimostrato come l’utilizzo di tali dispositivi abbia migliorato la qualità della didattica, abbia consentito un accesso diretto alle informazioni, abbia offerto uno strumento per poter localizzare velocemente

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gli studenti a lavoro nei vari reparti e comunicare con loro (grazie ai sistemi di Instant Messaging e Voice over IP).

Dall’analisi dei progetti è emerso che alcune caratteristiche specifiche delle tecnologie mobile favoriscono i processi metacognitivi e lo scambio di informazioni tra docente e discente. In particolare:

 le tecnologie mobile sono personali e portatili, possono essere utilizzate ovunque e in qualsiasi momento, permettono agli studenti di raccogliere rapidamente dati e informazioni, permettono di accedere a risorse on-line (come linee-guida, meta-analisi, articoli scientifici, ecc.), permettono di utilizzare materiali didattici, permettono di visualizzare e interagire con simulazioni digitali. Gli studenti riflettono di più su quanto fanno e utilizzano anche i “tempi morti” per attività formative;

 le tecnologie mobile, al pari della carta, possono essere utilizzate con la penna o con le dita. A differenza di un laptop, i dispositivi mobili risultano dunque maggiormente ergonomici in ambienti dinamici come può essere un ambiente lavorativo. Non a caso l’utilizzo di queste tecnologie si è diffuso dapprima in alcuni settori professionali (quello sanitario, quello assicurativo, quello immobiliare e di pubblica sicurezza) per essere poi esteso all’ambito educativo (soprattutto universitario);

 le tecnologie mobile sono in rete. Dotati di scheda wireless, i dispositivi consentono agli studenti di essere in continuo contatto con i loro tutor e con i loro colleghi, facilitando forme di collaborazione e promuovendo un maggiore interesse per lo scambio delle esperienze individuali relative ai tirocini.

Fondamentalmente possiamo individuare due tipi di criticità relative a questa modalità di apprendimento:

 prima di intraprendere una nuova direzione in ambito didattico è necessaria una fase di sperimentazione: uno dei problemi che quasi sempre emerge alla fine di una sperimentazione (particolarmente se questa ha dato risultati positivi e si ritiene utile continuare sulla strada segnata) è quello della “sostenibilità economica” dei progetti di ricerca – soprattutto in un momento storico come quello attuale,

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in cui i finanziamenti pubblici per la ricerca e l’innovazione sono ai minimi storici;

 l’altra criticità fondamentale è rappresentata dalla formazione dei docenti, che spesso non sono in grado di progettare le attività didattiche in modo da integrarle con le nuove tecnologie.

Altri progetti di ricerca hanno portato all’implementazione di soluzioni hardware e software per il mobile learning.

HU_mobile© è un un sistema di comunicazione realizzato nel 2004, che permette di utilizzare le potenzialità del telefono cellulare quale strumento per la ricerca e la fruizione di informazioni (interazione con gli ambienti di apprendimento on-line). Il sistema permette di ridurre il rapporto costo/quantità dell’informazione scambiata, permette di fruire dei contenuti in modalità off-line, garantisce una migliore usabilità dello strumento grazie a servizi e strutture di navigazione dell’informazione basate su mappa concettuali, permette di ridurre al minimo l’inserimento dati tramite tastiera alfanumerica, garantisce la personalizzazione del servizio (informazioni ricevute e interfacce di interazione), permette di interagire con le informazioni presenti in altri data base (Coco et al., 2005).

L’E-Learning Lab dell’Università Shanghai Jiao Tong ha sviluppato una piattaforma MOOC orientata al mobile, la We-Cast (nel 2011 è stata messa on-line e nel 2012 sono stati resi disponibili i client iOS e Android). La piattaforma integra la condivisione dello schermo e la registrazione sincrona, la trasmissione a strati di streaming in tempo reale di video multimediale e molte altre tecnologie proprietarie inventate dall’E-Learning Lab. I dati estratti dall’ultima pubblicazione disponibile (2013) parlano di 520 corsi on-line e 675.587 accessi alla piattaforma – di cui 307.357 da dispositivi iOS e 368.230 da dispositivi Android (Meng & Jiajun, 2013).

In questo contesto, cosa significa apprendere in mobilità? come mutano l’apprendimento e l’insegnamento visto che i dispositivi mobile sono sempre più diffusi e potenti? come si possono rendere più attrattive e più efficaci le iniziative formative? come valutare l’apprendimento distribuito tra contesti

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formali e informali? Quali scenari si prospettano nei diversi contesti applicativi (dalla scuola alla formazione professionale)?

Cerchiamo di riflettere su questi aspetti.

Un primo punto di riflessione riguarda ovviamente la mobilità.

La grande differenza fra il mobile learning e le altre metodologie formative è data dal fatto che gli studenti e/o i docenti possono essere in movimento e quindi il processo di apprendimento può avvenire attraverso lo spazio e il tempo. La figura 05 mostra una classificazione in cui i dispositivi mobili sono stati suddivisi in base a due caratteristiche tipiche delle tecnologie mobile, ovvero il fatto di essere personali e portabili (Naismith et. al., 2004).

figura 05 – Classificazione dei dispositivi mobili (fonte: Naismith et. al.)

Nel primo quadrante vengono inseriti i dispositivi portabili personali (come tablet e smartphone), nel secondo quadrante vengono inseriti i dispositivi statici personali (come i sistemi che forniscono il supporto all’attività didattica svolta in classe e utilizzati individualmente dallo studente), nel terzo quadrante vengono inseriti i dispositivi portabili condivisi (come le tecnologie che forniscono esperienze educative in movimento – la portabilità è legata al fatto che è il soggetto stesso che si muove per poter fruire dei servizi), nel quarto quadrante vengono inseriti i dispositivi statici condivisi

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(come le tecnologie di grosse dimensioni – le LIM per esempio – pensate per condividere le interazioni fra gli utenti).

Un secondo punto di riflessione riguarda il fine educativo.

La potenza formativa di un qualunque dispositivo mobile è data dalla portabilità, dall’interazione sociale, dalla sensibilità al contesto, dall’individualità. E’ possibile imparare in movimento, ovunque sia disponibile una connessione. Lo scopo finale non è quello di garantire un corso intero articolato e completo, non è quello di fornire contenuti da capire e da memorizzare per usi futuri, ma è quello di rendere disponibile delle piccoli dosi di formazione (Thüs et al., 2012).

Erogare i contenuti necessari a coloro che li devono utilizzare nel “tempo”, nel “luogo” e nel “contesto” in cui ne hanno bisogno. Ascoltare una lezione di Antropologia sul lettore Mp3 mentre si è in treno, sfogliare le slide di Chimica direttamente sul tablet o sullo smatphone, approfondire l’ultima lezione di Matematica con i link consigliati dal docente. Portando l’offerta formativa al di fuori delle aule universitarie, il mobile learning può andare incontro alle esigenze di chi – come i fuori-sede o i professionisti – non sempre possono frequentare i corsi in Ateneo.

I dispositivi mobili permettono di avere sempre a portata di mano informazioni che possono aiutarci nelle attività di apprendimento, come testi da leggere o esercizi da svolgere, ma permettono anche di avere a disposizione uno strumento con cui annotare l’attività svolta per poi analizzarla in un secondo momento.

Un terzo punto di riflessione riguarda la connettività.

La presenza costante di dispositivi tecnologici nell’ambiente circostante, permette di connettere un individuo all’ambiente in cui si trova. Questo aspetto, nei contesti comunicativi con altre persone, riveste un ruolo importantissimo nella fase di apprendimento collaborativo. Grazie al mobile learning gli utenti passano da semplici fruitori a “produttori di contenuti”, progettati, modificati o semplicemente condivisi (Razzini, 2011).

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Per personalizzare maggiormente l’esperienza di apprendimento, il contesto in cui la persona si trova gioca un ruolo fondamentale. Selezionare i contenuti in base al contesto deriva dall’esigenza di rendere l’apprendimento il più significativo possibile; questo aspetto, se il tempo a disposizione è limitato, diventa la caratteristica fondamentale.

Un quarto punto di riflessione riguarda i processi e le modalità di apprendimento.

Secondo Marc Prensky le persone, per apprendere, utilizzano numerosi processi e differenti modalità. Tra di essi i più efficaci sono ascoltare, domandare, fare pratica, imitare, meditare, osservare, predire, provare, riflettere, stimare. Tutti questi processi possono essere supportati dai dispositivi mobili i quali, essendo degli strumenti di utilizzo quotidiano, sono diventati oggetti familiari per ciascuno di noi. Per questa ragione uno studente è più propenso ad apprendere utilizzando un dispositivo mobile (Prensky, 2005).

Anche secondo Mike Sharples un’attività di apprendimento che utilizza dispositivi mobili non è necessariamente fruibile soltanto attraverso di essi: di solito lo studente integra dispositivi e modalità diverse, per accedere ai contenuti in base alla situazione e al momento (Sharples, 2009). L’apprendimento in mobilità non si limita all’utilizzo dei dispositivi mobili, ma si collega allo sviluppo tecnologico e alle pratiche sociali legate a tale sviluppo (l’utilizzo in classe priva i dispositivi mobili della loro mobilità, un chiosco multimediale statico può favorire la conoscenza di un “utente in mobilità”).

Questo concetto ci porta ad un ultimo aspetto, la modalità di utilizzo. Il mobile learning, quindi, prevede sia l’utilizzo della tecnologia mobile personale (per l’apprendimento in movimento nei diversi contesti) sia l’utilizzo dei dispositivi mobili in classe (come supporto alle attività formali di apprendimento). Questi due aspetti possono essere visti come i due estremi di un ipotetico asse dell’apprendimento (figura 06):

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dall’apprendimento in classe integrato dai dispositivi mobili (visti come sistemi di risposta portatili) all’apprendimento giornaliero (grazie alla comunicazione informale e alla condivisione della conoscenza con i dispositivi mobili).

figura 06 – Asse dell’apprendimento (fonte: Sharples)

La rappresentazione proposta da Sharples può, da una parte riassumere alcune forme di apprendimento che utilizzano i dispositivi mobili, dall’altra rappresentare l'evoluzione della ricerca e lo sviluppo delle prospettive teoriche e pedagogiche sul mobile learning. A una visione inizialmente tecnocentrica viene pian piano sostituito un approccio centrato sullo studente e sul contesto, arrivando a porre le basi per una teoria sul mobile learning.

Sicuramente siamo di fronte a un cambiamento radicale, sono cambiate le tecnologie a supporto della didattica (dalle tecnologie di “ieri” – radio, TV, computer, internet – si sono aggiunte le tecnologie di “oggi” – i dispositivi mobile) e vengono sviluppati dei nuovi ambienti di comunicazione e d’interazione.

Degli ambienti in cui, potenzialmente, si è sempre connessi, in cui l’intera conoscenza umana è accessibile da chiunque, in cui ciascuno può essere sia fruitore che produttore di contenuti multimediali. Un ambiente in cui gli studenti sono “nativi digitali” (termine che indica la naturalezza con cui si muovono in tale ambiente e utilizzano le nuove tecnologie). Un ambiente in cui le tecnologie mobile, se usate in maniera appropriata, facilitano il processo metacognitivo e di autoregolazione incoraggiando forme di apprendimento come il peer tutoring, il collaborative e il cooperative learning (Cinque, 2011).

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Vista la crescita esponenziale dei dispositivi mobili posseduti da ciascuno di noi, ricercatori e educatori sono convinti che in un futuro relativamente breve il mobile learning ricoprirà un ruolo leader nei processi educativi (Arrigo et al., 2011), perché permetterà ai discenti di apprendere al di fuori dei classici ambienti accademici e al di fuori delle rigidità imposte dalle tempistiche della didattica frontale, candidandosi come la modalità più idonea in grado di supportare le attività formative che avvengono nella vita quotidiana (Cinque, 2011).

La progettazione e l’organizzazione dei contenuti per l’apprendimento in mobilità deve partire da alcuni concetti e da alcuni comportamenti.

Secondo uno studio condotto da Google e pubblicato sul “Journal of Retail Analytics (2Q)” del Platt Retail Institute, il 90% degli utenti – per completare un compito e raggiungere un obiettivo – mostrano un comportamento in base al quale si spostano da un dispositivo a un altro. Il report delinea due attività multi-screen:

 uso sequenziale – gli utenti solitamente utilizzano il primo dispositivo a portata di mano – in genere lo smartphone – una volta che il bisogno primario d’informazione è stato soddisfatto, per completare l’attività o per avere un’esperienza d’uso migliore, si spostano su dispositivi aventi dei display più grandi (tablet o computer desktop);

 uso simultaneo – gli utenti utilizzano contemporaneamente i loro dispositivi (smartphone, tablet e computer desktop) sia per le attività collegate (come guardare un programma in TV e comunicarlo agli amici sui social), sia per le attività non collegate (come guardare un programma in TV e giocare con lo smartphone nei momenti meno interessanti del programma).

Il mobile si caratterizza per alcuni comportamenti peculiari tipo (Wroblewski, 2011):

 cercare/trovare (l’utente sovente ha bisogno di una risposta ad un bisogno urgente, spesso legata alla precisa ubicazione geografica in cui si trova in quel momento);

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 check in/status (l’utente sovente ha la necessità di portare a termine in tempi brevi un’attività che reputa importante);

 esplorare/giocare (l’utente utilizza il tempo libero o il tempo di attesa con attività poco impegnative);

 modificare/creare (l’utente controlla ripetutamente alcune informazioni, come la posta elettronica o i social network).

Nella società moderna uno dei ruoli dei social network è quello di mantenere aperta una finestra sul mondo, qualunque sia l’attività svolta e il luogo in cui ci troviamo. L’apprendimento in mobilità si incastra in questa sorta di “tempo in divenire”, nei momenti che si creano in maniera non preventivabile durante lo svolgimento della vita quotidiana.

In letteratura questa modalità di fruizione del mobile learning viene descritta da termini quali “bite-sized”, “context-aware”, “informal”, “opportunistic”, “personal”, “pervasive”, “portable”, “private”, “situated”, “spontaneous”. Questo significa concettualizzare il mobile learning nei termini dell’esperienza utente, con un’enfasi particolare sulle proprietà del dispositivo (quali informalità, spostamento e contesto) che sono inaccessibili all’e-learning tradizionale (Kukulska-Hulme & Traxler, 2007).

Questi comportamenti non solo evidenziano le modalità di utilizzo dei dispositivi, ma soprattutto come l’apprendimento in mobilità sia caratterizzato da “brevi fasi” (legate alla brevità dei tempi a disposizione quando ci spostiamo vs. ricevere una risposta immediata a una domanda). E’ necessario un ripensamento e una progettazione dei contenuti, definendo in modo opportuno le sequenze, le attività ed i formati utilizzati. E’ fondamentale tenere in considerazione i principi di usabilità di questi strumenti: schermi piccoli, interazione touch, necessità di auricolari per fruire dei contenuti, inducono inevitabilmente ad un design specifico.

Per un approfondimento sulla progettazione dei contenuti e dei formati utilizzati si rimanda al capitolo quattro della tesi.

Figura

figura 09 – Processo UCD (standard ISO 9241-210:2010 – fonte: usability.gov)
figura 10 – Interaction Design (fonte: Dan Saffer)
tabella 01 – pubblicazioni sul “mobile learning” per tipologia (fonte: Università di Siena)
tabella 03 – pubblicazioni sul “mobile learning”–“mobile course” per tipologia (fonte: Università di Siena)
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delle Disposizioni Attuative Generali per le misure non connesse a superficie v.2.0. Le spese per la realizzazione del progetto saranno ritenute ammissibili se rispondono ai