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Il laboratorio di identificazione di specie a supporto della tracciabilità aziendale

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria

Tesi di Laurea

Il laboratorio di identificazione di specie a

supporto della tracciabilità aziendale.

Candidato:

Relatore:

Andrea Toto

Dott. Andrea Armani

Correlatore:

Prof.ssa Daniela

Gianfaldoni

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RIASSUNTO

Negli ultimi anni a livello mondiale si è assistito ad una crescente richiesta di prodotti della pesca e conseguentemente, al considerevole aumento del numero di prodotti commercializzati. Vista la pluralità di intermediari coinvolti nella filiera ittica e la difficoltà di effettuare controlli sulla tracciabilità, questo settore si trova maggiormente esposto a frodi per sostituzione di specie. In questo contesto l’OSA rappresenta il garante unico della veridicità dell’etichettatura ed è tenuto pertanto a mettere in atto sistemi per la certificazione della tracciabilità a tutela del consumatore e degli interessi aziendali. Tra gli strumenti analitici ad oggi disponibili, le metodiche molecolari basate sull’analisi del DNA rappresentano quelle d’elezione per l’identificazione di specie. In particolare, il DNA barcoding, dato l’elevato potenziale di standardizzazione, può costituire lo strumento ideale per il controllo dei fornitori e delle informazioni a monte della filiera produttiva. Questo studio, condotto in collaborazione con una catena della GDO, ha permesso di valutare l’applicabilità ed i limiti dell’analisi di DNA barcoding come strumento di controllo interno di tracciabilità aziendale. Lo studio ha permesso inoltre di individuare fenomeni di mislabeling tra i principali articoli ittici immessi in commercio. Il campionamento è stato condotto in funzione delle necessità aziendali ed è stato indirizzato al prelievo di tutte le categorie commerciali (pesce, molluschi e crostacei) nelle diverse tipologie di presentazione (fresco, surgelato, salato, trasformato). In totale sono stati raccolti 44 prodotti prelevati presso una Piattaforma di distribuzione e diversi punti vendita. Per ciascun prodotto sono stati raccolti da 1 a 3 campioni di tessuto (104 campioni totali), destinati alla successiva analisi molecolare. Sul DNA estratto con una metodica salting out sono state eseguite una valutazione quali-quantitativa ed una stima del grado di frammentazione. Tutti i campioni sono stati amplificati, in PCR, attraverso l’utilizzo di primer universali per l’amplificazione di frammenti (lunghezza > o < di 500 pb), di 2 geni mitocondriali (COI, 16S rRNA) e 1 gene nucleare (PEPCK). I protocolli di reazione sono stati ottimizzati in funzione della qualità del DNA estratto ed i prodotti di PCR sono stati inviati al sequenziamento. Le sequenze target ottenute sono state confrontate con i database internazionali per l’identificazione di specie (GenBank e BOLD) ed i risultati sono stati comparati con le informazioni in etichetta. Ad eccezione di un prodotto a base di molluschi cefalopodi freschi, tutti i campioni sono stati amplificati con successo. La metodica Barcoding ha permesso l’identificazione specie specifica per il 93% delle sequenze ottenute sul target COI, per il 33% delle sequenze ottenute sul target 16S rRNA e per il 100% di quelle ottenute con il target PEPCK. Per i restanti campioni, anche in assenza di una identificazione specie specifica, i dati molecolari sono stati ritenuti sufficientemente informativi per l’analisi di mislabeling. Nel complesso è stato evidenziato un valore di mislabeling pari al 18,8% (9 su 43). Le non conformità riscontrate sono in linea con i dati di mislabeling riportati in studi analoghi di settore e possono essere ricondotte sia a limiti nella formazione del personale di filiera, sia a frodi volontarie per vantaggi economici. In conclusione, il DNA barcoding si conferma uno strumento utile e direttamente applicabile, a supporto del piano di autocontrollo aziendale.

PAROLE CHIAVE: GDO (grande distribuzione organizzata), prodotti ittici, DNA barcoding, identificazione di specie.

.

ABSTRACT

In recent years, a worldwide rising demand for seafood and a subsequent diversification of seafood products have been observed. The high number of suppliers involved and the complexity of the traceability system contribute to the fishery sector particular vulnerability to fish frauds..

In this context the FBO (Food Business Operator) is the sole guarantor of the labelling truthfulness and he must therefore put in place systems for the traceability certification in favour of consumer protection and business interests. To date, among the available analytical tools, DNA based techniques represent elective instruments for species identification. In particular, DNA barcoding, given the high standardization potential, may represent the ideal tool for monitoring suppliers and label information throughout the production chain. The present study, developed with the collaboration of a Large-Scale Retail Trade Company, allowed to evaluate the DNA barcoding applicability and limits as a tool for the internal tracking system.. The sampling was carried out following the company requests and taking into account the main market macro categories (fish, mollusks, shellfish) and different type of presentation (fresh, frozen, salted, canned products). Totally 44 seafood products were collected and, for each of them, 1 to 3 tissue samples (104 samples in total) were submitted to the following molecular analysis. All the samples were subjected to total DNA extraction by a salting out procedure and to the subsequent evaluation of DNA quality, quantity and fragmentation degree. All the DNA samples were amplified by PCR, using universal primers for the amplification of DNA fragments (longer or shorter than 500bp) belonging to 2 mitochondrial genes (COI, 16S rRNA) and 1 nuclear gene (PEPCK). Reaction protocols were optimized on the basis of the total DNA quality and the PCR products were sent to an external laboratory for sequencing. The target sequences obtained have been compared with international databases (GenBank and BOLD) and the molecular results were compared with the product labeling information. Except for one fresh cephalopod product, all the samples have been successfully amplified. DNA Barcoding allowed the molecular identification at species level for 93% of the sequences obtained with the COI target, for 33% of the 16S rRNA sequences and for 100% of the sequences obtained with the PEPCK target. For the remaining samples, even in the absence of a specific identification, molecular data have been deemed informative enough for the evaluation of potential mislabeling. The study allowed to highlight mislabeling among some of the most requested seafood products on the market. An overall mislabeling of 18,8% (9 out 43 products) was highlighted. The non-compliances emerged from the study are consistent with those of similar studies and can be attributed both to limits in operators’ training and to frauds for economic interests. In conclusion, DNA barcoding is confirmed as a useful tool to be directly applied as a supporting analysis to the internal traceability system of the company.

KEY WORDS: Large-Scale Retail Trade Company, seafood, DNA barcoding, species identification

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INDICE RIASSUNTO/ABSTRACT

CAP. 1 I PRODOTTI DELLA PESCA E DELL’ACQUACOLTURA 6

1.1 Pesce: composizione nutrizionale ed importanza nell’alimentazione 6

1.2 Problematiche e rischi associati al consumo di pesce 8

1.3 Panoramica internazionale sulla pesca e sull’acquacoltura 9

1.4 Statistiche di mercato 10

1.4.1 Pesca 10

1.4.2 Acquacoltura 11

1.5 Flussi di importazione 14

1.6 Il comparto ittico e la grande distribuzione 16

1.7 Le strategie della GDO nella selezione dell’assortimento dei prodotti 18

CAP. 2 LE FRODI ALIMENTARI PER SOSTITUZIONE DI SPECIE NEL SETTORE ITTICO

20

2.1 Il concetto di frode 20

2.2 Frodi nel comparto ittico 23

CAP. 3 NORMATIVA COGENTE: SISTEMA DI AUTOCONTROLLO E HACCP, TRACCIABILITÀ ED ETICHETTATURA

26

3.1 La figura dell’OSA: obblighi e responsabilità 26

3.2 Autocontrollo e HACCP 27

3.3 Tracciabilità e rintracciabilità 30

3.3.1 Flusso di tracciabilità a livello aziendale 32

3.4 Etichettatura dei prodotti alimentari 33

3.5 Etichettatura e tracciabilità dei prodotti ittici 34

3.5.1 Etichettatura dei prodotti ittici trasformati 39

CAP. 4 NORMATIVA VOLONTARIA: CERTIFICAZIONE E QUALIFICA DEI FORNITORI

(4)

4.1 Certificazioni volontarie 41

4.2 Le norme ISO 43

4.3 Qualifica dei fornitori 45

CAP. 5 METODICHE PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE NEL COMPARTO ITTICO

48

5.1 Tecniche di laboratorio per l’identificazione di specie 48 5.2 Metodiche basate sull’analisi del DNA: selezione dei target molecolari 49

5.2.1 Selezione del materiale genetico 50

5.2.2 DNA mitocondriale 50

5.2.3 Target genici utilizzati per l’identificazione di specie 51 5.3 Estrazione e valutazione quali-quantitativa del DNA totale 52

5.4 Amplificazione del DNA: Polymerase Chain Reaction 54

5.5 Metodiche analitiche specie specifiche ed universali per l’identificazione di specie 55 5.5.1 Tecnica FINS (Forensically Informative Nucleotide Sequencing) 56

5.5.2 DNA Barcoding 57

5.5.3 Database di riferimento 58

CAP. 6 SCOPO DELLA TESI 60

CAP. 7 MATERIALI E METODI 61

7.1 Raccolta dei campioni 61

7.2 Estrazione del DNA totale 61

7.3 Valutazione quali-quantitativa e dell’integrità del DNA estratto 61

7.4 Selezione dei primer, amplificazione e sequenziamento 62

7.5 Analisi delle sequenze post sequenziamento ed identificazione molecolare 64 7.6 Confronto dei dati molecolari con le informazioni riportate in etichetta 65

(5)

CAP. 8 RISULTATI E DISCUSSIONI 66

8.1 Raccolta dei campioni 66

8.2 Valutazione della qualità, del livello di frammentazione e dell’amplificabilità del

DNA

67

8.2.1 Efficienza della procedura estrattiva e qualità del DNA totale 67

8.2.2 Frammentazione del DNA 68

8.2.3 Efficienza di amplificazione ed ottenimento dei target per il sequenziamento 69 8.3 Analisi post-sequenziamento ed identificazione molecolare di specie 71 8.4 Confronto dei dati molecolari con le informazioni riportate in etichetta 72

CAP. 9 CONCLUSIONI 77

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 78

RIFERIMENTI NORMATIVI 90

APPENDICE 95

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6

CAP. 1

I PRODOTTI DELLA PESCA E DELL’ACQUACOLTURA

Sin dall’antichità, il comparto ittico ha rivestito un ruolo fondamentale all’interno della società.

In passato il consumo di pesce era limitato alle popolazioni delle aree costiere e, nella maggior parte dei casi, questi prodotti non venivano assunti freschi, ma sottoposti a processi di conservazione, per affumicamento o per salagione.

In Italia alla fine dell’Ottocento, pesce e carne, fonti di importanti nutrienti essenziali, erano pressoché inesistenti in una dieta, poco variata, che vedeva il pane, legumi e prodotti della terra come alimenti principali (Capatti et al. 1998). Lo stato di salute della popolazione italiana dell’epoca rifletteva infatti le condizioni generali di inadeguata disponibilità alimentare: malnutrizione diffusa, bambini con crescita compromessa, anemie, rachitismo, alta mortalità. Con la comparsa del boom economico lo stato nutrizionale vede un netto miglioramento, cui fa seguito la scomparsa delle malattie da carenza. I prodotti alimentari di pregio: carne, latte e formaggi diventano accessibili a tutti, ma il pesce, fino all’inizio degli anni Settanta, rientra abitualmente solo nella dieta delle popolazioni costiere e delle famiglie altolocate, restando un alimento legato ad occasioni particolari per gli altri cittadini. Solo intorno agli anni Ottanta-Novanta inizia ad essere un caposaldo sulle tavole degli italiani (Thomson et al., 1999)

Oggi la pesca e l’acquacoltura rappresentano un’importante fonte di prodotti ad elevato valore nutrizionale, di reddito e di occupazione.

L’aumentato consumo di prodotti ittici è diretta conseguenza della forte crescita dei settori della pesca e dell’acquacoltura mondiale, legati a nuovi stili di vita, all’evoluzione delle tecnologie di pesca, di conservazione e trasformazione dei prodotti ittici ed allo sviluppo delle tecniche di allevamento ittico (FAO, 2010).

1.1 PESCE: COMPOSIZIONE NUTRIZIONALE ED IMPORTANZA NELL’ALIMENTAZIONE

I principali fattori all’origine del cambiamento nelle abitudini alimentari nei Paesi Occidentali sono rappresentati dal progressivo innalzamento dell’aspettativa di vita, dall’aumento dei ritmi lavorativi e dall’affermazione sociale di modelli familiari spesso mononucleari. Il primo fattore ha portato ad una sempre maggior consapevolezza delle funzioni terapeutiche e preventive di una corretta alimentazione favorendo lo spostamento

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7

dei consumi alimentari verso esigenze salutistiche e la promozione di prodotti su misura (novel food) e dietetici (light). Tutto ciò ha determinato l’aumento, da parte del consumatore, della consapevolezza dell’importanza dei prodotti ittici nel proprio regime alimentare facendone innalzare progressivamente la richiesta di mercato.

Ogni specie ittica ha una sua composizione chimico-nutrizionale che subisce modificazioni più o meno marcate durante il corso dell’anno, in relazione al luogo di pesca, alla stagione, ma soprattutto al periodo riproduttivo. In generale, questi alimenti forniscono:

 proteine di elevato valore biologico, bilanciate nella composizione in amminoacidi essenziali, ricche di metionina e lisina (spesso carenti nelle alimentazioni delle popolazioni più povere, basate soprattutto sul consumo di tuberi o cereali);

 sostanze minerali (presenti nei diversi tipi di pesce in quantità superiore a quella degli animali terrestri), tra cui le più significative sono: selenio, iodio, fosforo e zinco;

 vitamine A ed E, presenti in quantità discreta nel tessuto muscolare dei pesci grassi; nei pesci magri la vitamina A è abbondante nel fegato dove è presente anche la vitamina D;

 grassi ricchi di acidi grassi polinsaturi, in buona parte a catena lunga (20, 22 atomi di carbonio); di particolare rilevanza sono quelli della serie ω3 (o n-3), in particolare l’acido docosaesaenoico (DHA) e l’acido eicosapentaenoico (EPA), dei quali i prodotti ittici sono l’unica fonte alimentare significativa (Capatti et al., 2003). Il DHA costituisce il 25-33% degli acidi grassi dei fosfolipidi cerebrali e il 40-50 % nella retina. E’ stato dimostrato che una dieta mancante di n-3 provoca visione ridotta, anormalità nell’elettroretinogramma, profonde modificazioni biochimiche nella composizione in acidi grassi delle membrane di cervello, retina e altri organi.

Dall’EPA vengono poi prodotte prostaglandine, trombossani, leucotrieni, ad azione antitrombotica e vasodilatatrice, che migliorano la fluidità del sangue prevenendo la formazione di trombi; hanno importanti funzioni nelle reazioni infiammatorie e in numerose altre funzioni. L’assunzione abituale di pesce è in grado di determinare un abbassamento del livello dei trigliceridi e del colesterolo diminuendo i fattori di rischio coronarico. Tali acidi grassi, uniti ad un’alimentazione equilibrata, possono quindi contribuire alla prevenzione delle malattie cardiovascolari (Orban et al., 2003).

Molluschi e crostacei hanno una composizione simile al pesce magro, i loro grassi sono anch’essi ricchi di polinsaturi, in particolare n-3. I molluschi bivalvi sono anche ricchi di ferro, magnesio e zinco (Orban et al., 2002).

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Le direttive delle Società scientifiche internazionali, dell’American Cancer Society in particolare, le “Linee guida per una sana alimentazione italiana” dell’INRAN, inseriscono tra i suggerimenti per un corretto comportamento alimentare ad azione preventiva su alcune tipologie di tumori e malattie cardiovascolari:

 la riduzione delle calorie assunte con l’alimentazione,

 l’aumento del consumo di vegetali e frutta,

 una vita attiva, accompagnata da una sana attività fisica,

 l’aumento del consumo di pesce per l’assunzione degli acidi grassi n-3 o (ω3). L’American Dietetic Association include i prodotti ittici tra i “functional foods” e la quantità di acidi grassi omega-3 da inserire nella dieta giornaliera (1 g/giorno) viene suggerita, tra i livelli di assunzione di nutrienti raccomandati, da molte Società di nutrizione Nazionali ed Internazionali (Orban et al,. 2003).

1.2 PROBLEMATICHE E RISCHI ASSOCIATI AL CONSUMO DI PESCE

I rischi biotici associati al consumo di prodotti ittici sono molteplici e derivano principalmente dalla presenza di patogeni, autoctoni o alloctoni, di natura batterica, virale e parassitaria, responsabili di infezioni e tossinfezioni alimentari (Feldhusen 2000; Croci e Suffredini 2003).

I momenti critici per la contaminazione e la proliferazione da parte di popolazioni batteriche patogene di origine ambientale all’interno del muscolo del pesce sono rappresentate dalle operazioni di lavaggio, eviscerazione, dissanguamento del pesce, e durante lo stoccaggio. Altri fattori che possono concorrere nel determinare fenomeni di contaminazione sono gli enzimi cellulari (catepsine e peptidasi) che in post mortem possono favorire l’invasione batterica del muscolo ad opera della flora intestinale attraverso reazioni autolitiche. (Croci e Suffredini 2003). Altri fattori di rischio possono essere associati alla presenza di prodotti di degradazione batterica di alcuni amminoacidi muscolari (conversione di istidina in istamina) e biotossine marine derivanti dal metabolismo di microalghe responsabili di sindromi ad andamento acuto e decorso più o meno rapido: PSP (Paralitic Shellfish Poisoning), DSP (Diarrhetic Shellfish Poisoning), NSP (Neurotoxic Shellfish Poisoning), ASP (Amnesic Shellfish poisoning). Tra i rischi abiotici assumono particolare importanza quelli associati alla presenza di sostanze chimiche di origine naturale o di sintesi diffusi accidentalmente o intenzionalmente nell’ambiente acquatico quali metalli pesanti (Hg, Cr, Pb) (Oken, Bellinger 2008), pesticidi, PCBs, di cui organismi acquatici e pesci costituiscono ottimi bioaccumulatori e biomagnificatori attraverso la catena trofica (Van Der Oost et al., 2003).

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Infine, l’ultimo aspetto da tenere in considerazione è rappresentato dall’introduzione di conservanti in modo non controllato con l’esposizione a fenomeni di accumulo a livello organico e la comparsa di reazioni oriticarioidi di tipo allergico (Grattan et al., 2002; Ritz et

al., 2012).

1.3 PANORAMICA INTERNAZIONALE SULLA PESCA E

SULL’ACQUACOLTURA

La Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) stima che la pesca e l’acquacoltura siano i mezzi di sostentamento principali del 10-12% della popolazione mondiale. Dal 1990 l’occupazione nel settore è cresciuta ad un tasso più rapido della crescita della popolazione mondiale e nel 2014 ha fornito occupazione a circa 56,6 milioni di persone impegnate sia nel settore della pesca in mare aperto che in quello dell’acquacoltura (36% full time, 23% part time, la restante parte lavora occasionalmente nel settore). Di questi, l’84% si trova in Asia, il 10% in Africa.

Il rapporto FAO stima che la produzione ittica complessiva, comprendente pesca ed acquacoltura, nel 2014 pari a 167,2 milioni di tonnellate, abbia riportato un incremento di circa 5 milioni di tonnellate rispetto ai valori relativi al 2012 e di circa 19 milioni di tonnellate rispetto al 2010 (dati FAO 2016).

Allo stesso tempo, il consumo pro-capite di pesce è salito da una media di 9,9 kg nel 1960 a 14,4 kg nel 1990 e 19,7 kg nel 2013, con stime preliminari per il 2014 e 2015 rivolte verso un’ulteriore crescita (oltre i 20 kg) (dati FAO 2016). Il nuovo rapporto evidenzia che il pesce rappresenta ormai quasi il 17 % del consumo totale di proteine a livello mondiale, con picchi pari al 70% in alcune zone costiere ed insulari.

Il pesce rimane tra i prodotti alimentari più scambiati al mondo, per un valore nel 2014 di quasi 160 miliardi dollari. Il rapporto evidenzia una tendenza importante che vede i paesi in via di sviluppo rafforzare la loro quota nel commercio ittico nel 2012: il 54% del totale delle esportazioni per valore e oltre il 60% per quantità (peso vivo).

Questo significa che la pesca e l'acquacoltura giocano un ruolo sempre più importante per molte economie locali di questi paesi. Circa il 90% dei pescatori svolge attività di piccole dimensioni e si stima che, complessivamente, il 19% delle persone impiegate nel settore siano donne. In attività secondarie quali la lavorazione dei prodotti ittici, questa cifra può raggiungere anche il 90%. (FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations). (2014, The state of world fisheries and aquaculture.).

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10 1.4. STATISTICHE DI MERCATO

La pesca e l’acquacoltura hanno fornito a livello mondiale circa 148 milioni di tonnellate di pesce (dati FAO 2010), dei quali 128 milioni di tonnellate sono stati utilizzati per il consumo umano. All’inizio del 2011 è stata registrato un incremento e la produzione ha raggiunto i 154 milioni di tonnellate. Nel 2012 si è assistito ad un ennesimo aumento della produzione dei prodotti ittici totali, pari a 157,9 milioni di tonnellate, ulteriormente aumentati a 167,2 milioni di tonnellate nel 2014. La tabella 1.A riporta la produzione ittica mondiale per differenti tipologie produttive (esclusa la produzione di piante acquatiche) dal 2008 al 2014.

(milioni di tonnellate)

2008 2009 2010 2011 2012 2103 2014

Pesca 10,3 10,5 11 11,1 11,6 11,7 11,9

Acquacoltura 32,4 34,3 37 38,7 42.0 44.8 47.1

Totale acque interne 42,7 44,8 48,1 49,8 53,5 56,5 59,0

Pesca 79,9 79,6 78 82,6 79,7 81,0 81,5

Acquacoltura 20,50 21,4 22 23,3 24,4 25.5 26.7

Totale produzione in mare 100,4 101,0 100,1 105,9 104,4 106,6 108,2

Totale pesca 90,2 90,1 89,1 93,7 91,3 92.7 93.4

Totale acquacoltura 52,9 55,7 59,1 62,0 66,5 70.3 73.8

Totale prodotti ittici 143,1 145,8 148,2 155,7 157,8 162,9 167,2

Tab.1.A: Produzione ittica mondiale per tipologie produttive (2008/2014). Fonte: Sofia 2016, FAO.

1.4.1 PESCA

Negli ultimi anni la pesca mondiale ha raggiunto una produzione ittica stabile intorno ai 90 milioni di tonnellate annui circa, malgrado frequenti cambiamenti nei trend di cattura a livello di Paese, di aree di pesca e di specie (FAO, 2016).

Secondo i dati FAO, la produzione mondiale ha avuto un ammontare, nel 2014, pari a 93,4 milioni di tonnellate, registrando una flessione del 0,24% rispetto al 2011 (anno in cui è stato registrato il massimo livello degli ultimi sei anni) (tab.1.A). Di questi, 81,5 milioni di tonnellate sono relativi alla pesca in mare mentre 11,9 milioni di tonnellate derivano dalle acque interne (FAO, 2016). Gran parte di questo prodotto è stato destinato al consumo

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umano, garantendo a più di 4,3 miliardi di persone un buon apporto proteico (15%) di origine marina ed acquatica.

Il Pacifico nord-occidentale è rimasta l’area di pesca più produttiva, seguita da Pacifico centrale, occidentale, Atlantico nord-orientale e Oceano indiano orientale.

Con l'eccezione dell'Atlantico nord-orientale, queste aree hanno dimostrato aumenti delle catture rispetto alla media per il decennio 2003 – 2012. La situazione nel Mediterraneo e nel Mar Nero è invece allarmante, dal 2007, infatti, le catture sono diminuite di un terzo rispetto al 2007.

La Cina è rimasta il maggior produttore, seguita da Indonesia, Stati Uniti e Federazione Russa. Tra i primi diciotto paesi produttori, Perù e Cile hanno subìto delle marcate contrazioni rispetto al 2011. I maggiori incrementi hanno invece riguardato India, Vietnam, Malesia e Birmania (FAO 2016).

La cattura nelle acque interne stima, nel 2014, 11,9 milioni di tonnellate di pescato, continuando quel trend positivo che ha visto una crescita di circa un 10% nell'ultimo decennio. I primi sedici Paesi per catture nelle acque interne, rappresentano l’80% del totale mondiale e vedono valori di pescato superiore a 200.000 tonnellate.

L’Unione Europea contribuisce per il 3,5% alla produzione mondiale di pesca e acquacoltura, in leggero calo rispetto agli anni precedenti (-1%). In Spagna (1.135.000 tonnellate), Regno Unito (798.000 tonnellate), Danimarca (771.000 tonnellate) e Francia (650.000 tonnellate) si concentra oltre il 50% della produzione comunitaria.

In Italia il settore della pesca, secondo i dati relativi al 30 Settembre 2012, occupa 28.217 pescatori, con una pesca prevalentemente marina e lagunare. Gli ultimi dati disponibili indicano che la produzione nazionale ha raggiunto le 194.208 tonnellate corrispondenti a 905,28 milioni di euro (ad esclusione della cattura di tonno rosso). La regione che mostra la più alta produzione è la Sicilia che, ha raggiunto le 36.265 t, per un corrispettivo di 241,2 milioni di euro. Il sistema di pesca che fa registrare i più alti quantitativi di pescato e di ricavi è la pesca a strascico (nel 2012, 61.733 t, pari a 432,66 milioni di euro).

1.4.2 ACQUACOLTURA

Nel 2014, l’acquacoltura ha registrato una produzione di 73,8 milioni di tonnellate, per un stima economica di 160,2 miliardi di dollari. Di queste 73,8 milioni di tonnellate 49,8 sono pesci a pinne (99,2 miliardi di dollari), 16,1 di molluschi (19 miliardi di dollari), 6,9 di crostacei (36,2 miliardi di dollari) e 7,3 milioni tonnellate di altri animali acquatici (3,7 miliardi di dollari).

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Negli ultimi anni, tutti i Continenti hanno mostrato un generale aumento della quota di produzione dell'acquacoltura (tranne l’Oceania che, da tre anni, e in continua deflessione) (FAO, 2016).

I Paesi che nei dati statistici, risultano come principali produttori sono: Cina, India, Vietnam, Bangladesh e Egitto. A seguire, altri ottimi produttori sono Grecia, Repubblica Ceca ed Ungheria per quanto riguarda l’Unione Europa e il Nepal in Asia.

Oltre alla produzione di pesci, l’acquacoltura produce una notevole quantità di piante acquatiche. La produzione totale di acquacoltura (comprese le piante acquatiche), ammonta a 101,1 milioni di tonnellate di peso vivo nel 2014 per un valore di 165,8 miliardi di dollari. Le specie di maggior interesse produttivo risultano essere l’alga giapponese, la carpa erbivora, la carpa argentata, l’ostrica concava, la carpa comune, la vongola verace asiatica, la tilapia del Nilo e la mazzancolla tropicale, rappresentando complessivamente più del 36% della produzione acquicola mondiale.

Le performance positive delle produzioni di acquacoltura, in particolare di quelle ottenute da specie di pesci diadromi (Storioni, anguille, salmoni, trote ed altre specie), pesci d’acqua dolce e pesci marini, ha permesso di aumentare le produzioni di pesci, molluschi e crostacei allevati, con un’incidenza sul totale dell’offerta ittica superiore al 40%, e di raggiungere 65,8 milioni di tonnellate di produzione ed un valore stimato superiore a 134 miliardi di dollari. La produzione di pesci, soprattutto negli impianti in acque interne di specie erbivore e onnivore, è il sub-settore più importante della produzione dell’acquacoltura in termini di volume e costituisce una fonte di proteine di qualità a prezzi accessibili in molti paesi in via di sviluppo.

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Produzione (migliaia di tonnellate)

Pesci d’acqua dolce Pesci diadromi2 Pesci

marini Crostacei Molluschi

Animali acquatici Prodotti acquatici vari Piante acquatiche Totale Valore (milioni di dollari) Bangladesh 1.526 - 63 137 - - - - 1.726 3.911 Brasile 608 4 - 74 21 1 - 1 708 1.502 Cile - 818 0 - 253 - - 4 1.076 6.003 Cina 23.005 332 1.032 3.593 12.343 803 3 12.832 53.943 60.077 Egitto 849 0 167 1 - - - - 1.018 2.011 India 3.812 - 84 300 13 - - 5 4.214 9.249 Indonesia 2.117 489 73 388 - 0 17 6.515 9.600 8.073 Giappone 3 40 241 2 346 1 0 441 1.074 5.501 Corea del nord 4 - - - 60 0 - 444 508 116

Corea del sud 7 7 76 3 373 18 - 1.022 1.507 1.786

Malesia 152 20 13 56 - 0 - 331 573 897 Myanmar 824 0 0 59 - 2 - 0 886 1.501 Norvegia - 1.307 12 - 2 - - - 1.321 5.167 Filippine 283 387 2 73 46 - - 1.751 2.542 2.186 Taiwan 80 102 34 21 105 2 - 3 348 1.239 Thailandia 381 17 3 624 205 4 - - 1.234 3.316 USA 168 37 2 45 168 - - - 420 1.006 Vietnam 2.090 1 51 513 400 30 - 235 3.320 5.925 Totale 35.910 3.562 1.855 5.888 14.337 861 20 23.585 86.017 128.465 Altri Paesi 1.508 991 327 559 834 3 3 192 4.415 15.859 In Complesso 37.418 4.553 2.181 6.447 15.171 865 22 23.776 90.432 144.324

Tab.1.B: Classificazione ISSCAAP (International Standard Statistical Classification of Aquatic Animals and

Plants).2Storioni, anguille, salmoni, trote ed altre specie diadrome. Fonte: Pierangeli, F., Henke, R., Monteleone, A., Tudini, L., Cardillo, C., Carpentieri, P., ... & Orsini, S. (2015). Il settore ittico in cifre. 2015 (1.

Nell’Unione Europea, la produzione ittica proveniente dall’attività di allevamento è pari a circa 1,3 milioni di tonnellate con un valore di 4,7 miliardi di dollari. Tuttavia, il contributo comunitario costituisce meno del 2% delle quantità e il 3,5% del valore dell’offerta ittica mondiale. Rispetto al 2011, inoltre, la produzione dell’UE è in leggero calo in termini

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quantitativi ma in forte diminuzione in termini di valore, soprattutto in ambito di molluschi bivalvi e pesci marini.

Tra i pesci d’acquacoltura assumono particolare rilievo la trota iridea, il salmone dell’Atlantico, l’orata e la spigola; tra i molluschi prevalgono le produzioni di ostrica concava e di cozze atlantiche e del Mediterraneo.

La Norvegia costituisce il principale paese produttore europeo, con 1,3 milioni di tonnellate e un valore di 5,2 miliardi di dollari. L’Italia, al quinto posto dopo Norvegia, Spagna, Francia e Regno Unito (paesi nei quali si concentrano il 78% delle quantità prodotte e il 79% del valore), contribuisce al 13% del volume della produzioni da acquacoltura dell’UE e al 10,7% del valore della produzione. Come la Spagna e la Francia, anche l’Italia concentra la sua produzione soprattutto sulla molluschicoltura, risultando il principale paese produttore di vongole veraci (della specie Ruditapes philippinarum) dell’UE, con un 94,2% in volume e un 91,6% in valore; inoltre, copre i due terzi della produzione acquicola comunitaria per quanto riguarda i mitili (specie Mytilus galloprovincialis), e rappresenta il 45% della produzione di storioni (famiglia Acipenseridae) e il 20% circa della produzione di trota iridea (Oncorhynchus mykiss).

1.5. FLUSSI DI IMPORTAZIONE

Negli ultimi anni si è potuto assistere ad un forte aumento del commercio internazionale che ha visto al suo interno una crescita nei consumi di pesce fresco e trasformato.

L’Unione Europea è il principale mercato mondiale di prodotti di origine acquatica (12,3 milioni di tonnellate nel 2012), ma oltre il 65% dei prodotti consumati viene importato. Si riducono, infatti, le produzioni di pesca EU mentre l’acquacoltura europea mostra trend di crescita stabili, senza svolgere il ruolo vicariante atteso nella fornitura di prodotti ittici (solo il 20% dei prodotti consumati in EU). I prodotti più importati sono gamberi, tonno, pesce bianco e farine di pesce.

Il commercio UE di prodotti della pesca e dell’acquacoltura, comprendente, sia i flussi di importazioni ed esportazioni con paesi terzi sia gli scambi interni all’Unione europea stessa, mostra un trend positivo dal 2009. Nel 2014, il flusso totale ammontava a 49,5 miliardi di euro, pari a 13,8 milioni di tonnellate mostrando un incremento del 5%, rispetto al 2013, sia in termini di volume che di valore. Nel 2014 gli scambi tra gli Stati membri, così come le importazioni, hanno contribuito maggiormente all’incremento generale dei flussi commerciali. In confronto al 2013, il valore netto degli scambi interni e delle importazioni è cresciuto rispettivamente di 0,93 e 1,15 miliardi di euro (EUMOFA, www.eumofa.eu).

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L’Unione europea è importatore di prodotti ittici e il deficit del saldo commerciale (esportazioni meno importazioni) è dal 2009 in rapida crescita. Nel 2014, il deficit ha raggiunto 16 miliardi di euro, in aumento di 1 miliardo (7%) rispetto all’anno precedente. Il deficit del 2014 è stato il più alto registrato nei 12 anni analizzati, dovuto all’aumento di prodotti freschi e congelati importati tra il 2013 e il 2014, ognuno al proprio picco. Tale aumento è stato osservato principalmente in 6 Stati membri: Spagna, Svezia, Paesi Bassi, Italia, Regno Unito e Danimarca.

L’incremento degli scambi commerciali è avvenuto in particolar modo con Paesi terzi; il continente asiatico detiene infatti i 2/3 della produzione mondiale del settore in questione. La Cina da sola produce il 34,4% dell’intera produzione di prodotti ittici, seguita, in ordine di produttività da Perù, India, Indonesia, Stati Uniti, Giappone ed infine Cile.

I valori delle importazioni da paesi extra-UE sono in aumento dal 2009, ad un tasso di crescita media annua del 6%. Nel 2014, hanno toccato il picco degli ultimi 9 anni, a quasi 21 miliardi di euro, in crescita di più di un miliardo rispetto al 2013, con 5,9 milioni di tonnellate ed un aumento del 6%, pari a 310.000 tonnellate rispetto all’anno precedente. Gamberoni, mazzancolle e salmone sono i prodotti che hanno spinto questa crescita, registrando forti aumenti in termini economici.

La Norvegia è il paese da cui deriva la maggior parte dei prodotti ittici importati dall’UE. Nel 2014, con importazioni pari a 1,5 milioni di tonnellate per 4, 8 milioni di euro, ha coperto un quarto del totale delle importazioni.

Le importazioni dalla Cina sono rimaste invariate rispetto al 2013, con 513.000 tonnellate e1,46 miliardi di euro. Si è registrato invece un aumento delle importazioni dal Perù, sia in termini di volume (32%), sia di valore (30%), raggiungendo 327.000 tonnellate e 551 milioni di euro.

Riguardo alle esportazioni di prodotti ittici dell’UE, il valore raggiunto è di 4,3 miliardi di euro, in aumento del 3% rispetto al 2013. I volumi sono aumentati del 13%, raggiungendo il picco dal 2006 e superando per la prima volta i 2 milioni di tonnellate.

Le esportazioni sono per lo più rappresentate dal pescato (94% del totale nel 2012). I prodotti allevati sono principalmente destinati alla domanda interna.

Gli Stati Uniti sono rimasti la destinazione più importante delle esportazioni UE inerenti al 2014; hanno importato infatti 85.000 tonnellate, per un valore di 517 milioni di euro. E’ stato registrato un aumento delle esportazioni anche verso la Cina, l’Africa e la Nigeria, che hanno raggiunto i livelli della Norvegia. Diminuite invece le esportazioni verso la

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Russia, in seguito al divieto, imposto dal governo russo nell’agosto 2014, di importare prodotti dall’ UE.

Gli scambi tra gli Stati membri, rivestono un ruolo essenziale nel commercio dell’Unione europea. Questi infatti rappresentano l’86%, in valore, del commercio totale del 2014 (interno ed esterno all’UE), con un valore di 20,6 miliardi di euro e un volume di 5,74 milioni di tonnellate (dati EUROSTAT 2015).

Per ridurre la dipendenza dalle importazioni e favorire lo sviluppo nelle aree costiere e rurali, la Commissione Europea, nell’ambito della nuova Politica Comune della Pesca (Regolamento 1380/2013/UE), ha ridefinito gli orientamenti strategici per l’acquacoltura europea per il periodo 2014-2020, che mirano a promuovere la crescita e ad aumentare le produzioni dell’acquacoltura negli Stati membri.

Riguardo alla situazione nazionale, negli ultimi anni si è avuta una progressiva riduzione della flotta da pesca italiana, favorita dagli incentivi Comunitari. Questa riduzione, unitamente allo stato di sovra sfruttamento di molte risorse, ha contribuito, nel breve termine, ad una minore produzione interna e un consequenziale aumento dell’importazione che ha segnato una negatività ulteriore nella bilancia economica del settore ittico; l’approvvigionamento di prodotti ittici dipende infatti per il 76% da prodotti importati di pesca e allevamento, registrando un deficit commerciale di oltre 3.700 milioni di euro nel 2013. Dal 2000 al 2012, infatti, le importazioni di prodotti ittici sono aumentate, in Italia, del 6.7%3.

1.6 IL COMPARTO ITTICO E LA GRANDE DISTRIBUZIONE

L’elevato numero di specie di interesse commerciale, le differenze legate alla fisiologia (in

vitam e post mortem) degli organismi acquatici, le problematiche legate alla complessità

dell’ambiente in cui vivono, le particolarità dei sistemi di pesca e allevamento e la complessità della filiera ittica, rendono i comparti della pesca e dell’acquacoltura tra i più dinamici e complessi settori alimentari.

Questa complessità ha dato origine ad una serie di problematiche ispettive relativamente alla gestione alla conservabilità ed alla rintracciabilità.

Da una decina di anni a questa parte si è assistito ad una implementazione del mercato ittico globale; la rivista Largo Consumo riporta nell’ estratto n. 5 del 2008: «La grande

distribuzione punta sul pesce: ormai quasi tutti gli ipermercati hanno un banco pescheria dove le vendite hanno già raggiunto il 67% del venduto su base nazionale, mentre i consumi continuano a crescere».

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L’avvento e lo sviluppo della grande distribuzione sono stati un vero e proprio “evento sociologico” che ha modificato le abitudini d’acquisto dei consumatori.

Gli anni Novanta, oltre alla crescita di molteplici punti vendita e di piccoli esercizi commerciali, hanno visto la nascita di numerosi ipermercati e centri commerciali.

Il mercato dei prodotti ittici, fino a quel momento in mano a grossisti, piccoli dettaglianti e venditori ambulanti, ha tratto giovamento da queste nuove formule distributive; ogni supermercato ha infatti inserito nella struttura un banco pescheria, da subito rivelatosi importante sia sotto il profilo della vendite, sia in termini di immagine.

Con i moderni mezzi di trasporto è possibile avere, sui banchi pescheria dei supermercati, pesce fresco, pescato o di acquacoltura proveniente da tutto il mondo.

Inoltre, nei punti vendita, i prodotti vengono puliti, eviscerati, preparati, conditi e precotti; procedure atte ad aumentare la domanda, accontentando, attirando e fidelizzando il consumatore (Chiodi, 2008).

Alla base della commercializzazione della vasta gamma di prodotti ittici offerti, ci sono attente e ricercate strategie di marketing decise a monte dalle aziende leader del settore ed applicate e gestite dai vari capi reparto per permettere un costante aumento dell’incidenza dei fatturati riguardanti le vendite. Per finalizzare ciò, è fondamentale studiare le scelte d’acquisto dei consumatori. Queste, infatti, sono direttamente correlate all’evoluzione della società che comprende:

 cambiamento degli stili di vita: ritmi di vita lavorativi e gestionali stressanti, aumento dell’uso di alcolici, fumo, etc..;

mutate abitudini di consumo: si mangia spesso fuori casa, si prediligono cibi ready

to cook, si seguono mode come quella della crudità, si pretendono alimenti di alto

valore nutrizionale e con caratteri sensoriali molto vicini a quelli tipici di un alimento “appena prodotto” o “naturale”;

 nuove sensibilità nei confronti della salvaguardia ambientale, del benessere animale, del salutismo;

 conoscenze e livello culturale del consumatore; fenomeni di immigrazione e cambiamenti demografici, con conseguente allargamento culturale ed aumentato interesse nei confronti di cibi etnici. L’alimento diventa uno strumento per mantenere la propria identità culturale.

L’industria si deve quindi adeguare per soddisfare le nuove esigenze di mercato ed è proprio su salutismo, genuinità, facilità di preparazione e di consumo che si concentrano i piani promozionali della grande distribuzione all’interno dei punti vendita.

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Le statistiche di vendita ISMEA del 2010, hanno delineato un aumento, rispetto agli anni precedenti, delle quantità di prodotti ittici trasformati acquistati dalle famiglie a discapito dei prodotti freschi.

Tra le cause che hanno contribuito al calo nell’acquisto di prodotti freschi a discapito dei preparati troviamo: l’elevato prezzo di acquisto del pescato, fattore rilevante in un periodo di crisi economica come quello odierno; i ritmi di vita sempre più frenetici che lasciano poco tempo da dedicare alle preparazioni culinarie laboriose; la difficoltà nel far mangiare il prodotto (frequente difficoltà nell’utilizzo di prodotti ittici non trasformati per l’alimentazione infantile) (ISMEA, 2010).

D’altro canto, l’ambiente marino ha suscitato da sempre un’immagine di purezza e salute: i prodotti ittici sono alimenti salutistici (ricchi di Omega 3), dietetici, di facile reperibilità (grazie all’implementazione dei mercati), spesso legati a mode alimentari (crudità). Per tale motivo restano tra gli articoli di punta della grande distribuzione.

Il consumatore, di fronte alla qualità certificata e garantita dei prodotti, è disposto ad affrontare una spesa maggiore; questi, infatti, non basa la sua scelta solo sul prezzo di acquisto ma tiene conto anche della sua qualità, oggi requisito fondamentale.

Per soddisfare tali esigenze, è fondamentale quindi adottare azioni di marketing che forniscano una comunicazione adeguata e nello stesso tempo mettano in evidenza le caratteristiche della merce (Chiodi, 2008).

1.7 LE STRATEGIE DELLA GDO NELLA SELEZIONE

DELL’ASSORTIMENTO DEI PRODOTTI

Nel corso degli ultimi decenni, la grande distribuzione (GDO) ha subito un rilevante sviluppo che ha modificato radicalmente il ruolo del settore distributivo da semplice raccordo per il trasferimento dei prodotti dal produttore al cliente finale, a stadio che fornisce un contributo strategico per la creazione di valore per il consumatore. Oggi la GDO, in seguito alle strategie di differenziazione attuate e finalizzate a recuperare margini di redditività e a rendere il consumatore “fedele al punto vendita”, ha raggiunto una posizione di forza rispetto agli altri soggetti del sistema ed ha assunto il ruolo di garante della qualità dei prodotti (Giacomini, C. et al., 2006).

Inoltre, è opportuno evidenziare come la GDO, essendo il principale collegamento tra i consumatori e la filiera produttiva, si trova in una posizione privilegiata per quanto riguarda l’accesso alle informazioni sul consumatore, che può ottenere con minori costi, in modo

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dettagliato e con maggiore rapidità di quanto non sia possibile fare per i produttori (Arfini.

et al ,. 2004).

La conoscenza delle preferenze e dei comportamenti di acquisto dei consumatori è indispensabile per le imprese industriali ed agricole per poter realizzare prodotti in grado di soddisfare ogni tipo di domanda.

Le imprese della GDO, per differenziarsi tra loro, operano attraverso la selezione dell’assortimento; la gestione dello spazio espositivo, la determinazione dei prezzi, le azioni di promozione e comunicazione nel punto vendita non ché lo sviluppo di una “politica di marca”. Ogni azienda, inoltre, amplia il proprio assortimento con l’introduzione dei banchi freschi (macelleria, gastronomia, pescheria, ortofrutta) che contribuiscono ad incrementare la differenziazione, ad aumentare la frequenza delle visite del consumatore al punto vendita e a trasmettere l’immagine del livello della qualità dell’intera offerta (Giacomini, C. et al., 2006).

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CAP. 2

LE FRODI ALIMENTARI PER SOSTITUZIONE DI SPECIE NEL

SETTORE ITTICO

2.1 IL CONCETTO DI FRODE

In ambito di Diritto Comunitario, ancora non si è giunti ad una definizione univoca di “frode alimentare”. In generale, comunque, con questo termine si fa riferimento alla produzione, detenzione, commercio, vendita o somministrazione di alimenti non conformi alle normative vigenti (Colavita et al., 2012).

A livello internazionale il termine frode è associato a qualsiasi pratica illecita condotta deliberatamente attraverso la sostituzione, aggiunta, manomissione od errata presentazione di un alimento in toto, di un ingrediente e del confezionamento relativo. (Spink and Moyer 2011). Il termine raccoglie quindi un insieme di condotte illecite a fini di lucro volte alla “adulterazione”, “sofisticazione”, “alterazione” degli alimenti durante le fasi produttive associate e in fase di commercializzazione, a fenomeni di “contraffazione” e “falsificazione” (Spink and Moyer 2011). Le alterazioni sono rappresentate da modifiche nella composizione e nei caratteri organolettici degli alimenti causate da fenomeni degenerativi per cattiva o prolungata conservazione. Con il termine adulterazione e sofisticazione si fa riferimento a tutte quelle operazioni che determinano modificazioni nella composizione analitica del prodotto alimentare, attuate mediante l’aggiunta o la sottrazione di alcuni componenti (Semeraro 2011). Tipici esempi sono la vendita di latte scremato o parzialmente scremato, come latte intero; vino annacquato; olio d’oliva a cui viene aggiunto olio di semi ed immesso sul mercato come olio d’oliva puro al 100%, l’aggiunta, di carni alterate, di sostanze in grado di ravvivarne il colore. Sono comunque previsti casi in cui sono ammesse pratiche tendenti a migliorare l’aspetto estetico o comunque le caratteristiche organolettiche del prodotto (uso di coloranti, aromatizzanti, addensanti, gelificanti ecc.); in questi casi sono da ritenersi sofisticati quegli alimenti in cui sia stata aggiunta una quantità di additivo superiore a quella consentita. Infine, con i termini contraffazione e falsificazione si classificano rispettivamente frodi per commercializzazione di prodotti industriali con nomi o marchi atti a indurre in inganno il consumatore ed operazioni fraudolente che consistono nella sostituzione totale di un alimento con un altro (per es., olio di semi al posto di olio d’oliva, margarina al posto di burro, ecc.).

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Un secondo tipo di classificazione prende in considerazione il danno arrecato al consumatore o utilizzatore finale del bene suddividendo tali azioni in due macro-categorie: frode sanitaria e commerciale. La frode sanitaria si configura ogni qual volta le azioni compiute rendono nocivo un alimento e costituiscono un pericolo per la salute pubblica, si parla di frode commerciale, invece, quando non vi è un’alterazione nella qualità dell’alimento tale da renderlo nocivo, ma un illecito profitto a danno del consumatore per differenti dichiarazioni, solitamente attraverso la fornitura di messaggi ingannevoli, nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità dei prodotti alimentari (De Giovanni G.,2005).

Tra i “delitti contro l’incolumità pubblica”, del Titolo VI, capo II del Codice Penale, gli art. 439-440-442 e 444 del Codice Penale definiscono come “delitti di comune pericolo mediante

frode” i casi di “avvelenamento”, “adulterazione”, “contraffazione di sostanze alimentari”.

- Art. 440 – Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari

“Chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio.”

- Art. 442 – Commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate

“Chiunque, … detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose che sono state da altri avvelenate, corrotte, adulterate o contraffatte in modo pericoloso alla salute pubblica, soggiace alle pene rispettivamente stabilite …”.

- Art. 444 – Commercio di sostanze alimentari nocive

“Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il

consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte ne adulterate, ma pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni …”.

Il reato, quindi, si configura anche per il solo fatto di esporre, porre in commercio o distribuire sostanze pericolose, pur se non sono state ancora vendute.

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Dal punto di vista normativo, le frodi commerciali sono regolamentate dal Codice Penale, Titolo VIII, “dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio”, capo II, “dei

delitti contro l’industria e il commercio”.

- Art. 515 – Frode nell’esercizio del commercio

“Chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni…”.

- Art. 516 – Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine

“Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi…”.

Gli organismi pubblici incaricati dei controlli ufficiali in materia di igiene, profilassi e vigilanza sugli animali destinati all'alimentazione umana, controllo dei prodotti agroalimentari e somministrazione di alimenti e bevande fanno capo al Ministero della Salute, al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MIPAAF), al Ministero dell'Economia e delle Finanze e, a livello territoriale, alle giurisdizioni Comunali e Regionali o delle Province autonome.

Oltre alle Amministrazioni pubbliche, altri organi di controllo sono l’Arma dei Carabinieri, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di Finanza (D.lgs 193/07).

Per l’importazione di alimenti di origine animale da Paesi Terzi, la verifica della conformità alle normative comunitarie è demandata ad Uffici Veterinari Periferici, i Posti di Ispezione Frontaliera (PIF), chiamati ad effettuare controlli di tipo documentale, d’identità, fisici o materiali e analitici sulle partite di animali e prodotti inclusi nella Decisione 2007/275/CE, come modificata dalla Decisione di esecuzione 2012/31/UE e dal Regolamento (UE)

n.28/2012

(http://www.salute.gov.it/portale/ministro/p4_5_3_3.jsp?lingua=italiano&label=ufficiPerife rici&dir=pif&menu=ufficiPeriferici).

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23 2.2. FRODI NEL COMPARTO ITTICO

Anche nel settore ittico, come per gli altri settori agroalimentari, le frodi sono un fenomeno diffuso ed in crescita (Bernard-Capelle et al., 2015;Pardo et al., 2016). In particolare, il settore ittico figura tra i distretti commerciali maggiormente soggetti a frodi di sostituzione di specie, poiché contraddistinto da un numero di specie potenzialmente commercializzabili e da una diversificazione dell’offerta dei prodotti molto vasta (Armani et al., 2012a). Tale fenomeno, conosciuto anche con il termine latino aliud pro alio, prevede infatti la sostituzione del prodotto desiderato dal consumatore con altre tipologie di prodotto, di minor pregio o valore economico e di maggiore disponibilità. Non è raro che sul mercato europeo e nazionale siano immessi prodotti a prezzi superiori rispetto al reale valore commerciale sotto falsa denominazione commerciale e in contravvenzione con quanto previsto dalla normativa vigente. L’attualità del problema è testimoniata dalle numerose segnalazioni di frodi riscontrate sulle varie tipologie di prodotto ittico (Armani et al., 2015; Jacquet e Pauly, 2008, Wong e Hanner, 2008).

Tra i fattori che hanno portato ad un forte aumento dei fenomeni di mislabeling e misleading dei prodotti ittici troviamo:

 la globalizzazione dei mercati;

la crescente richiesta di prodotti della pesca (soprattutto ready to cook): il pesce non lavorato, oggi, rappresenta solo una piccola frazione del pesce importato (Rasmussen, 2009);

 l’aumento delle specie commercializzate e la vasta offerta di prodotti: lo sviluppo di nuove tecniche di conservazione e di trasporto ha potenziato il commercio mondiale di pesce, rendendo più facile l’importazione dall’estero (Mansfield, 2003; Hajipieris, 2009). Oggi, negli USA, si registrano più di 1800 specie ittiche di provenienza internazionale (Armani et al., 2012a; FDA 2014), mentre in Italia il numero è salito da 200 a più di 900 (Armani et al., 2015);

 nuove tecniche di lavorazione, conservazione e trasporto del prodotto ittico: spesso importato direttamente in forma di filetto o pronto per il consumo (panato, ready to

eat). Il pesce lavorato (decapitato, spellato, sfilettato), perdendo alcune

caratteristiche anatomiche distintive (pelle, testa, pinne) non è facilmente identificabile: i filetti di pesce sono quelli più difficili da identificare (Garcia et al., 2011; Stiles et al., 2011; Armani et al., 2012a) e in molti Paesi una gran parte di prodotti vengono commercializzati sotto la denominazione di “filetti di pesce”;

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 l’elevato numero di intermediari di filiera: tracciare un prodotto all’interno di tutta la catena produttiva, ed eseguire controlli sulla qualità, risulta essere molto complicato, perché passa, almeno, attraverso 5-7 intermediari (Moe T., 1998; Iles A., 2007);

 il reperimento delle materie prime in zone di pesca non soggette a tracciabilità;

fenomeni di pesca illegale ed overfishing.

Nella maggior parte dei casi, una frode per sostituzione di specie determina un danno di tipo economico-commerciale, in quanto vengono immessi sul mercato prodotti a prezzi superiori rispetto al reale valore qualitativo-commerciale; l’azione costituisce quindi un illecito profitto a danno del consumatore senza comportare di per sé alcun rischio per la salute pubblica.

Recenti indagini hanno dimostrato che frodi commerciali inerenti ad erronea etichettatura dei prodotti ittici hanno raggiunto livelli allarmanti (Warner et al., 2013; Armani et al., 2013; Carvalho, Neto, Brasil, & Oliveira, 2011).

Tuttavia, a volte, questo tipo di frode può avere risvolti più complessi, fino a costituire un potenziale pericolo per la salute del consumatore. Basti pensare ai casi di sostituzioni illecite riguardanti il consumo di specie pericolose come i pesci palla (Tetraodontidae), la cui vendita è vietata in Europa perché potenzialmente letali, ma sporadicamente venduti al posto di code di rana pescatrice (Lophius sp. Lophidae)

(http://www.fda.gov/NewsEvents/Newsroom/PressAnnouncements/2007/ucm108920.htm). Di solito, le sostituzione illecite che non sfociano nella frode sanitaria, riguardano errate aree di provenienza e denominazioni scientifiche e/o commerciali, oppure la vendita di prodotti decongelati come freschi.

Nel 2013, l’ “Oceana Study Reveals Seafood Fraud Nationwide”, ha riportato che su un

totale di 1.215 campioni di pesce analizzato, provenienti da più di una dozzina di aree metropolitane o regioni tra cui Seattle, WA, Portland, OR, Los Angeles e le città circostanti nel sud della California, San Francisco e in altre città nel nord della California, Denver, CO, Austin e Houston, TX, Kansas City, MO / KS, Chicago, IL, Washington, Boston, MA, New York, NY e Miami e South Florida, FL (oltre ad alcuni campioni supplementari da Atlanta, GA, Pittsburgh, PA, Milwaukee, WI e Santa Fe, NM), un terzo dei campioni di pesce geneticamente analizzati (33%) sono stati mislabeled, con tassi variabili a seconda del pesce acquistato (Warner et al., 2013).

Il confine tra le due tipologie di frode può essere talvolta molto labile come ad esempio nel caso dell’errata indicazione di provenienza e l’immissione sul mercato di specie provenienti

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da aree di pesca sottoposte a fermo per inquinamento ambientale (Cawthorn et al., 2015). La sostituzione di specie, inoltre, potrebbe comportare la maggior esposizione all’ingestione di ammine attive come l’istamina, con la comparsa di fenomeni simil-allergici (prurito, comparsa di eritema diffuso orticarioide, difficoltà respiratorie (Cattaneo, 2011). Infine, da non sottovalutare la possibilità di commercializzazione di preparazioni alimentari contenenti crostacei o molluschi non indicati in etichetta, esponendo così la categoria dei consumatori allergici per queste tipologie di prodotti a possibili rischi per la loro salute (Abelson and Daley, 2011; Triantafyllidis et al., 2010).

Nel corso degli anni, pubblicazioni, documenti ufficiali e reportage hanno riportato e descritto eclatanti esempi di mislabeling. Alcuni di questi riguardano aspetti puramente commerciali come:

 i casi del merluzzo del sud del Pacifico, pesce di mare pelagico, venduto come tilapia, pesce allevato d’acqua dolce (Martinez-Ortiz, J., 2005);

 alcune specie di molluschi bivalvi fraudolentemente vendute con il nome di vongola verace (Mafra, 2008);

 le sostituzioni del merluzzo bianco con specie più comuni ma di minor valore commerciale come il pollock (Miller & Mariani 2010), per creare nel consumatore l’illusione di una abbondanza di merluzzo;

lo squalo mako, in Sud Africa, commercializzato con il nome “ocean fillets”, proprio per attrarre di più il consumatore (Atkins, 2010).

Altri episodi di mislabeling, invece, sono da considerersi, veri e propri problemi sanitari, dannosi per il consumatore. Tra i più diffusi si annoverano i casi di specie etichettate come “pesce spada” e “White steenbras” (Lithognatus lithognatus), sostituite con il Ruvetto,

Ruvettus pretiosus (oil fish), specie tossica della famiglia Gempilidae, la cui

commercializzazione è stata già regolamentata in Europa e in alcuni Paesi asiatici (Ling et

al., 2009) e le sostituzioni illecite con specie contenenti alti tassi di mercurio. Quasi tutti i

pesci ed i crostacei contengono tracce di mercurio, alcune specie ittiche come tonno e pesce spada, però, in funzione della taglia e della provenienza geografica, ne accumulano concentrazioni più elevate, particolarmente dannose per soggetti sensibili come donne gravide e bambini.

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CAP. 3

NORMATIVA COGENTE: SISTEMA DI AUTOCONTROLLO E

HACCP, TRACCIABILITÀ ED ETICHETTATURA

Lo scopo primario della legislazione alimentare è quello di garantire il massimo grado di tutela dei consumatori, con particolare riguardo alla sicurezza e alla salubrità dei prodotti. Alcune gravi crisi alimentari che si sono verificate in Europa negli anni ‘90 e culminate con l’emergenza BSE hanno indotto la Commissione Europea ad avviare una profonda revisione della normativa sulla sicurezza alimentare finalizzata all’individuazione di principi generali e procedure condivise a livello comunitario per il controllo degli alimenti e la tutela del consumatore. L’applicazione del nuovo impianto normativo, attuato in modo condiviso da tutti i paesi Membri, ha segnato il passaggio da un tipo di controllo incentrato sull’analisi del prodotto finito e sull’applicazione di sanzioni in caso di irregolarità e di violazioni, a un approccio globale di filiera che investe tutti i soggetti coinvolti nelle varie fasi del ciclo produttivo (Sciarroni, 2006).

Il Reg.(CE) n. 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio costituisce il caposaldo della revisione europea in materia di sicurezza alimentare, stabilendo i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, attraverso la completa integrazione della filiera alimentare, la definizione delle responsabilità degli operatori del settore alimentare, la definizione dei concetti di rintracciabilità e analisi del rischio e l’obbligo di trasparenza nei confronti del consumatore (Capelli et al., 2006).

In tema di controlli, di fondamentale importanza è stata l’introduzione dell’obbligatorietà del sistema dell’autocontrollo, basato sui principi dell’HACCP (Hazard Analysis and

Critical Control Points). Questa auto-responsabilità da parte degli operatori si somma ai

controlli ufficiali, i quali mantengono i compiti di sorveglianza dell’attività produttiva e di quella distributiva delle imprese con ispezioni e con verifiche mirate, con audit e con esami delle documentazioni aziendali e dei relativi piani di autocontrollo.

3.1 LA FIGURA DELL’OSA: OBBLIGHI E RESPONSABILITÀ

La responsabilizzazione dell'operatore del settore alimentare è un punto cardine della nuova legislazione alimentare, che sposta l’onere primario di sicurezza alimentare dagli organismi di controllo all’Operatore del Settore Alimentare (OSA) il quale diviene il garante unico della salubrità dei prodotti immessi in commercio (Reg CE 178/2002; art. 17). L’OSA, è

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tenuto al rispetto dei principi e degli oneri riportati in tutte le fasi della filiera, ovvero durante la produzione, la trasformazione, il trasporto, la distribuzione e la fornitura degli alimenti. Agli Stati membri dell’Unione Europea è demandato il compito di organizzare un apparato ufficiale di controlli e di ulteriori attività volte a perseguire l’obiettivo della sicurezza stessa e a valutare i rischi.

Soggetti obbligati al rispetto del Regolamento 178/2002

Tutti gli operatori del settore alimentare (compreso il settore primario) e dei mangimi

Obblighi degli operatori del settore alimentare (compreso il settore primario) e dei mangimi

Dimostrare da chi hanno ricevuto un alimento o un mangime e a chi hanno fornito i loro prodotti:

 Identificativo del fornitore/cliente diretto (es. sede sociale, stabilimento di provenienza dell’alimento, del mangime, dell’animale ecc.);

 Natura e quantità dei beni ricevuti/venduti (es. denominazione, presentazione ecc.);

 Data di ricevimento/vendita;

 Indicazioni ai fini dell’individuazione del prodotto (es. partita, lotto, consegna ecc.);

 Altre informazioni previste da norme specifiche.

Modalità di rispetto dell’obbligo

Obbligo espresso in termini di risultato; non è prescritto l’uso di specifici mezzi (sistemi di archiviazione dei documenti, codici a barre, strumenti elettronici ecc.).

Tab.3.A: Quadro di sintesi del Reg. CE 178/02: l’obbligo della rintracciabilità. Fonte: Dintec Camera di

Commercio di Genova.

3.2 AUTOCONTROLLO E HACCP

Il sistema di autocontrollo si fonda su un insieme di prassi e di procedure interne all’azienda effettuate dagli operatori per controllare e per garantire la sicurezza igienica dei prodotti attraverso l’applicazione del metodo HACCP per la gestione dei rischi (Sciarroni, 2006). Come già detto, autocontrollo e sistema HACCP non sono termini sinonimi. Il concetto di autocontrollo ha una valenza più ampia che discende dalla responsabilizzazione dell’OSA in materia di igiene e sicurezza degli alimenti e corrisponde all’obbligo di tenuta sotto controllo delle proprie produzioni.

L’HACCP è invece un sistema che consente di applicare l’autocontrollo in maniera razionale e organizzata. Obbligatorio solo per gli Operatori dei settori post-primari, viene utilizzato per identificare i rischi per la salute del consumatore e per individuare le idonee misure di prevenzione. Il metodo HACCP era già espressamente previsto ai sensi dell’articolo 3 del

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ogni fase che potrebbe rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti e deve garantire che siano individuate, applicate, mantenute e aggiornate le adeguate procedure di sicurezza, avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema di analisi dei rischi e di controllo dei punti critici HACCP”.

Questo sistema è quindi uno strumento teso ad aiutare gli OSA a conseguire un livello più elevato di sicurezza alimentare.

Il Regolamento CE 852/2004 (art. 5) indica i principi di riferimento del sistema HACCP: a. identificare ogni pericolo che deve essere prevenuto, eliminato, o ridotto a livelli

accettabili;

b. identificare i punti critici di controllo nella fase o nelle fasi il cui controllo stesso si rivela essenziale per prevenire o per eliminare un rischio o per ridurlo a livelli accettabili;

c. stabilire, nei punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabilità e l’inaccettabilità ai fini della prevenzione, eliminazione, o riduzione dei rischi identificati;

d. stabilire e applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo; e. stabilire le azioni correttive da intraprendere nel caso in cui dalla sorveglianza risulti

che un determinato punto critico non è sotto controllo;

f. stabilire le procedure, da applicare regolarmente, per verificare l’effettivo funzionamento delle misure di cui alle lettere da a) a e);

g. predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare al fine di dimostrare l’effettiva applicazione delle misure di cui alle lettere da a) a f).

Data l’ampia gamma di imprese alimentari prese in considerazione dal Regolamento CE

852/2004 e la grande varietà di prodotti alimentari e di procedure di produzione applicate

agli alimenti, sono state redatte dalla Commissione Europea delle Linee guida generali sullo sviluppo e sull’applicazione delle procedure basate sui principi del sistema HACCP come documento diretto ad aiutare tutti coloro che intervengono nella catena della produzione alimentare.

Tali linee-guida si ispirano principalmente ai principi enunciati nel “Codex Alimentarius” CAC/RCP 1-1996 Rev 4-2003 (versione in italiano e versione italiano/inglese) e forniscono indicazioni su un’applicazione semplificata delle prescrizioni in materia di HACCP in particolare nelle piccole imprese alimentari.

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Considerando un’impresa alimentare, il responsabile del piano di autocontrollo deve predisporre e attuare il piano con l’attiva partecipazione della dirigenza e del personale, avvalendosi, se del caso, di un supporto tecnico-scientifico esterno. Il piano deve essere applicabile e applicato, finalizzato a prevenire le cause di insorgenza di non conformità prima che si verifichino e deve prevedere le opportune azioni correttive per minimizzare i rischi quando, nonostante l’applicazione delle misure preventive, si verifichi una non-conformità

(http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=1225&area=sicurezza Alimentare&menu=igiene). Il piano è predisposto con la collaborazione di tutti i soggetti che lavorano nell’azienda allo scopo di ottenere la massima efficacia dallo stesso. Nelle imprese di grandi dimensioni viene creato un apposito gruppo di lavoro multidisciplinare, composto da varie figure professionali con competenze e con professionalità specifiche, mentre nelle aziende medie e piccole, la squadra di lavoro è costituita dallo stesso titolare insieme ai responsabili incaricati, per i quali un valido supporto è dato dai manuali di corretta prassi igienica.

L’obiettivo principale è quello di istituire un sistema documentato con cui l’impresa sia in grado di dimostrare di aver operato in modo da minimizzare il rischio. Tuttavia, in alcuni casi come nelle piccole imprese, l’applicazione del sistema HACCP può risultare complessa. E’ necessario comunque che la corretta predisposizione e applicazione di procedure, se pure semplificate, consenta nell’ambito del processo produttivo, il controllo e la gestione dei pericoli (Toni, F. et al., 2007)..

La documentazione deve essere conservata e posta a diposizione delle autorità competenti in occasione di audit e di ispezioni ufficiali. Tramite i controlli ufficiali previsti nei

Regolamenti CE 854/2004 e 882/2004, nonché nella legislazione nazionale, tutti gli Stati

Membri devono riscontrare ed accertare la conformità e il rispetto degli obblighi stabiliti dalla legge nei confronti delle imprese. Un simile obiettivo viene raggiunto mediante interventi di sorveglianza attuati dagli organi competenti con strumenti quali: controlli ufficiali di routine, ispezioni senza preavviso, audit, analisi di laboratorio, verifiche della documentazione aziendale. Lo scopo di tali accertamenti consiste nel valutare l’efficacia delle misure di autocontrollo realizzate dai singoli operatori (Vitale, 2007).

L’applicazione dei principi del sistema (HACCP) alla produzione primaria non è ancora praticabile su base generalizzata, ma si incoraggia l’uso di prassi corrette in materia d’igiene in questo settore.

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