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L’INSERIMENTO DEI GIOVANI NEL MONDO DEL LAVORO DIFFICOLTA’ E PROBLEMATICHE INERENTI ALLA QUESTIONE.

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea in MAGISTRALE DI II LIVELLO

COMUNICAZIONE D’IMRESA E POLITICA DELLE RISORSE UMANE

TESI DI LAUREA

L’INSERIMENTO DEI GIOVANI NEL MONDO DEL LAVORO DIFFICOLTA’ E PROBLEMATICHE INERENTI ALLA QUESTIONE.

RELATORE: CANDIDATO: Prof. Chiarissimo Matteo Villa Zani Pier Luigi

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ELENCO CAPITOLI

INTRODUZIONE

CAP. I - LA CONDIZIONE GIOVANILE IN ITALIA

CAP. II- LE NUOVE SFIDE DELLO STATO ASSISTENZIALE :L’EMERGENZA DELLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE IN EUROPA?

CAP. III- LA SOVRA PREPARAZIONE ,FORMAZIONE ,SPECIALIZZAZIONE DEI LAVORATORI ITALIANI

CAP. IV- ALLA RICERCA DI UNA EDUCAZIONE DELL’APPRENDISTATO IN ITALIA

CAP. V - ATTUAZIONE “GARANZIA GIOVANI” DEL PIANO COMUNITARIO EUROPEO NEL TERRITORIO MARCHIGIANO

CAP. VI- ANALISI DELLE DINAMICHE DELLA DISOCCUPAZIONE E

OCCUPAZIONE ,DIFFERENZE STRUTTURALIFRA ITALIA E GERMANIA CAP. VII- RISCHI SOCIALI PER LA GIOVENTU’ ,IMPORTANTI INIZIATIVE ,DELLE REGIONI PUGLIA E TOSCANA A FRONTE “GIOVANI E GIOVANI

ADULTI”

CAP. VIII- L’OCCUPABILITA’ E LA DISOCCUPAZIONE TRA I GIOVANI EUROPEI CAP. IX - L’INSERIMENTO NEL LAVORO DEI GIOVANI DAL 2008 NELLA PROVINCIA DI MASSA – CARRARA

CAP. X - I NEET IN EUROPA E IL SISTEMA ITALIA

CAP. XI - L’ATTENZIONE PUBBLICA IN ITALIA DELLA FUGA DELL’ INTELLIGENZA DEI NOSTRI MIGLIORI STUDIOSI E RICERCATORI

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INTRODUZIONE

Con il presente lavoro verrà valutato, la combinazione dei cambiamenti demografici, istituzionali ( si pensi alle riforma del lavoro ) e di mercato avvenute in Italia negli ultimi decenni ,si accompagneranno a un allargamento dello spazio sociale della vulnerabilità le cui conseguenze si riverseranno con particolare forza sulle generazioni dei più giovani. Tali elementi ,uniti a un welfare nazionale tradizionalmente poco orientato verso i giovani , hanno influenzato la struttura dei vincoli e delle opportunità che regolano il passaggio alla vita adulta e reso più complesso il pieno raggiungimento dell’indipendenza dalla famiglia di origine.

Nel papier verrà discusso alcuni risultati di una ricerca ,volta ad indagare se e come le politiche pubbliche si stiano attrezzando per far fronte a tali difficoltà e problematiche. Il contributo analizzerà in particolare il ruolo delle Regioni nella produzione di politiche e interventi di supporto all’ autonomia dei/ delle giovani, a partire da quelli più vulnerabili.

L’ analisi presenterà il quadro teorico di riferimento e si analizzeranno alcuni indicatori che descrivono con efficacia la vulnerabilità della condizione giovanile .

Sarà osservato come alcune Regioni italiane ,si stiano confrontando con tali problematiche ,abbandonando un approccio settoriale a favore di una programmazione integrata degli interventi per le giovani generazioni .

Prenderemo in esame il termine << NEET >> che sempre più spesso ricorre non solo all’interno degli studiosi delle Scienze Sociali ,ma gradualmente anche nei social networks e nei mass media ,tanto da divenire familiare ,nonostante si tratti di un acronimo derivato da quattro parole inglesi :( Youth Not (engaged in) Employment , Education (and) Training .

Non è facile oggi vivere ed essere giovani. Stiamo attraversando un momento nel quale le conquiste economiche e sociali del passato hanno posto i giovani nella spiacevole condizione della “trappola del benessere” .Troppe opportunità ,troppe ,forse per poter sceglierne una. Dall’altro l’assetto sociale richiede ai giovani di essere efficienti ,competitivi e di avere le idee chiare su come indirizzare il cammino della propria vita .Soprattutto perché è da queste decisioni che dipenderà ,la direzione che la nostra società prenderà in futuro.

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Esistono condizioni di ineguaglianza fortissime in Italia ,sia dal punto di vista ,territoriale ,di genere ,legate alle famiglie di provenienza. In Italia attualmente quello delle pari opportunità è un punto cruciale e difettoso rispetto alle giovani generazioni.

La crisi soggettiva ,dunque ,non può essere analizzata in termini individuali e psicologici ,ma deve essere ricondotta e collegata anche alla crisi della società contemporanea, alla perdita di fiducia nel futuro e nella mancanza di risposte alle grandi sfide che si prospettano nell’ Umanità .Crisi individuale e crisi di sistema sociale sono strettamente interdipendenti ,e il disagio giovanile talvolta si manifesta come incapacità di costruire un progetto di vita realistico e soddisfacente in un contesto socio-culturale caratterizzato dalla mancanza di riferimenti collettivi valori condivisi.

Nel presente lavoro saranno esaminate delle scelte effettuate dalle politiche regionali e provinciali ,come dalle ricerche di Massa Carrara ,Puglia e delle Marche .Il compito di chi scrive è molto arduo ,ma al tempo stesso non impossibile per migliorare questa crisi che attanaglia queste nuove generazioni.

I giovani mostrano punti di forza che vanno incoraggiati ,e debolezze che vanno ascoltate e comprese per evitare che queste si trasformino in ostacoli ad una felice realizzazione dei loro progetti di vita.

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CAPITOLO I

LA CONDIZIONE GIOVANILE IN ITALIA.

LA GENERAZIONE DEI MILLENNIALS

La generazione dei Millennials è composta da coloro che hanno compiuto 18 anni dal 2000 in poi (gli attuali 18-33 anni) ;presenta alcuni tratti culturali e sociali comuni in tutto il mondo sviluppato ,ma esprime condizioni molto diverse nei vari contesti ,anche all’interno della stessa Europa.

L’Italia , è senz’altro uno dei paesi in cui la realtà è più problematica sul versante della capacità di dotare le nuove generazioni degli strumenti e delle opportunità per essere vincenti di fronte alle sfide del proprio tempo.

I primi dieci anni del nuovo secolo sono stati indicati come <<decennio perduto>>per l’Italia ,per i bassi livelli di sviluppo e la crescita delle disuguaglianze .La crisi economica ,iniziata nel 2008 ,ha peggiorato enormemente il quadro ulteriormente .Tutta la popolazione ne ha risentito le conseguenze ,ma l’impatto maggiore è inciso sulle nuove generazioni .I Millennials si sono trovati a costruire il proprio percorso di transizione alla vita adulta in un contesto di particolare difficoltà e di crescente incertezza.

Invari documenti ufficiali dell’Unione Europea (UE) e del Fondo Monetario Internazionale (Fmi ) ,si è evocato il rischio di una lost generation .In totale assenza di rilancio ,il tempo necessario per riassorbire gli effetti negativi della crisi sull’occupazione potrebbe rilevarsi oltremodo lungo in paese come l’Italia e la Spagna (rispettivamente in 20 anni e 10 anni secondo stime del Fmi).

La percentuale in Italia di neet(1) ( i giovani non in formazione e senza lavoro) è tra le più elevate nell’Unione europea ,dopo la Grecia ,è salita nella nostra penisola ,relativamente alle persone tra i 15 e i 29 anni ,dal 19,3% del 2008 al 26,2% del 2014 (ultimo dato disponibile) ,mentre nell’Ue ,nello stesso periodo ,è passata dal 13% al 15,4%. Tale dato deriva dalla scarsa

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capacità di attivazione delle nuove generazioni nel mercato del lavoro e della inadeguata valorizzazione del loro capitale umano nel nostro sistema produttivo .Risente anche di una fragilità di sistema nel processo formativo .Ci distinguiamo tra i paesi più avanzati ,in particolare ,per un elevato tasso di abbandono precoce degli studi ( il 15% non va oltre la terza media contro il 11% Ue a 28) e per una bassa percentuale di laureati ( per i 30-34 anni, rispettivamente il 22,4% contro il 36,9%. Fonte Istat 2015) .Il tasso di occupazione dei laureati tra i 25 e i 34 anni è risultato pari al 62% nel 2014 ,20 punti sotto la media del mondo sviluppato.

Tutte le tappe di transizione allo stato adulto ,dall’autonomia dai genitori fino alla formazione di una propria famiglia e alla nascita del primo figlio ,sono maggiormente posticipate per l’italiano medio rispetto al coetaneo europeo. ?età mediana di uscita dalla famiglia di origine è attorno ai 30 anni nel nostro paese ,mentre è inferiore ai 25 anni scandinavi ,in Francia, Germania e Regno Unito. In Italia meno del 12% dei giovani vive in un’unione di coppia tra i 16 e i 29 anni ,un valore che è la metà rispetto alla media europea. Di conseguenza siamo diventati ,assieme alla Spagna ,il paese con più bassa fecondità realizzata prima dei 30 anni ( Fonte :dati Eurostat ,anno 2013 ) .Non a caso il numero delle nascite ha toccato negli ultimi anni livelli negativi record per la storia del paese ( da oltre un milione a metà anni Sessanta a meno di mezzo milione nel 2015 ,compreso il contributo degli stranieri. Questo non significa che i giovani italiani non siano portatori di desideri ,valori ,motivazioni .Vero è che alcune loro fragilità interagiscono negativamente con le maggiori difficoltà oggettive che incontrano nel loro percorso di vita.

Indagare il disagio sociale delle nuove generazioni senza metterlo in relazione anche con le carenze di welfare e le difficoltà occupazionali che incontrano .Il lavoro è diventato negli ultimi anni uno dei temi principali di preoccupazione per i giovani stessi ,le famiglie ,le istituzioni .Questa crescente attenzione non deve però oscurare molti altri mutamenti di grande rilievo nel modo di interpretare la presenza dei giovani nella società ,nella costruzione della propria identità adulta ,nelle modalità dello stare in relazione e del produrre valore attraverso le proprie scelte di vita. Cambiamenti che contengono sia rischi sia opportunità.

Si pensi ad esempio al tema del confronto tra culture ,che può essere subito negativamente (generando frustrazione e insicurezza) quando mancano strumenti di integrazione ,ma anche vissuto positivamente se consente di arricchire il proprio sguardo sul mondo e l’interscambio costruttivo con gli altri. Si pensi anche ai processi di innovazione tecnologica ,che possono sia migliorare la posizione dei giovani nella società e nel mondo del lavoro sia creare nuove disuguaglianze.

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RAPPORTO GIOVANI DEL 2012 E 2015.

E’ stato analizzato le condizioni delle nuove generazioni a partire dal Rapporto Giovani 2013,utilizzando come base empirica quella che in questi anni è diventata la principale rilevazione continua italiana sull’universo giovanile. La prima indagine è stata condotta nel 2012 su uncampione ,rappresentativo a livello nazionale ,di 9000 intervistati tra i 18 e i 29 anni.

La scelta della fascia di età ,ha una coerenza generazionale (centrata sul Millennials), e rappresenta una ben definita fase di vita ( quella in cui si realizzano le prime scelte della transizione allo stato adulto).

L’elevata numerosità campionaria ,l’ampio spettro dei temi sociali trattati ,l’attenzione alla ricostruzione dei percorsi e dei progetti di vita, sono aspetti qualificanti che rendono i dati raccolti particolarmente utili sia a fini scientifici sia di miglioramento della conoscenza dei giovani nel dibattito pubblico.

A differenza di altre indagini limitate e occasionali ,lo strumento che l’Istituto Toniolo ha realizzato (con il sostegno della Fondazione Cariplo e di Intesa San Paolo) permette un’osservazione continua ,attraverso ampie rilevazioni annuali e approfondimenti tematici nel corso dell’anno.

Quello dei giovani è considerato un target molto difficile da raggiungere a da <<fidelizzare>> nelle rilevazioni statistiche .L’impianto dell’indagine è stato quindi reimpostato secondo un ciclo triennale .Il primo ciclo è stato iniziato nel 2012 ,un nuovo ciclo è partito nell’autunno 2015 con un rinnovato campione di 9000 giovani tra i 18 e i 32 anni. L’osservatorio è stato nel corso del 2015 potenziato su vari fronti :estensione internazionale ( per ora limitata agli altri grandi paesi europei :Spagna ,Francia ,Germania e Regno Unito); integrazione dei dati ottenuti da survey con quelli dei social network e valutazione di impatto di alcuni programmi sperimentali di attivazione lavorativa e sociale dei giovani .In questa sede sono già in grado di fornire i frutti del primo di questi nuovi fronti aperti ,ovvero la comparazione internazionale. Con ciò è interessante ricostruire la cornice storican ,sociale e istituzionale all’interno della quale si collocano le analisi e le riflessioni proposte.

Negli ultimi anni è senz’altro cresciuto il senso di insicurezza come esito degli attentati terroristici che hanno colpito il mondo occidentale e i luoghi dell’aggregazione giovanile, coinvolgendo anche giovani italiani che si trovavano per studio e lavoro all’estero. Si pensi in

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particolare ,ma non solo ,agli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 .Questi fatti hanno scosso in modo particolare una generazione che considera connaturata la mobilità internazionale ed è portata ,di fondo a vivere in modo positivo l’apertura al mondo e il confronto tra culture.

E’ diventato più acceso il dibattito politico e pubblico sui temi dell’immigrazione ,anche come conseguenza dell’inedito aumento e della difficoltà di gestione di flussi di profughi da Siria ,Eritrea , Libia e da altre aree in cui l’instabilità politica genera conflitti e peggioramento delle condizioni di sopravvivenza. Secondo gli indicatori Ipsos sul clima del paese ,la preoccupazione per i temi della sicurezza e dell’immigrazione è quella lievitata di più tra il secondo semestre 2013 e il secondo semestre 2015 (dal 9 al 31%) L’occupazione e l’economia rimangono comunque in assoluto le preoccupazioni prevalenti(indicate come problema nazionale dall’86% degli intervistati nel 2015).

Un cambiamento politico rilevante ,rispetto ad un quadro istituzionale accusato da più parti in passato di essere << gerontocratico>> è stato inoltre l’insediamento di un esecutivo prima con Enrico Letta ma ancor più con Matteo Renzi ,molto più giovane dei precedenti. Il governo ha catturato curiosità e attenzione ,ma il credito da parte dei giovani è rimasto pragmaticamente legato alla realtà e in attesa della prova dei fatti .Questo giudizio sospeso vale anche per le forze di opposizione in particolare per quelle più interessate all’elettorato giovanile ,come il Movimento 5 stelle .L’antipolitica è limitata ;c’è piuttosto ,come abbiamo documentato in varie occasioni ,una domanda di buona politica che dimostri di saper sortire vero miglioramento di condizioni e opportunità. I risultati concreti tardano però ad arrivare. Come già evidenziato sopra ,i tassi di disoccupazione e di neet ,continuano ad essere tra i più alti in Europa .Se i governi precedenti si sono rivelati incapaci a contrastare il peggioramento (nonostante le continue dichiarazioni di considerare le politiche per il lavoro dei giovani una priorità) ,quello attuale ,pur in un quadro di progressiva uscita dalla morsa della crisi ,incontra difficoltà nel produrre un concreto e sostanziale miglioramento.

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CAPITOLO II

LE NUOVE SFIDE DELLO STATO ASSISTENZIALE :L’EMERGENZA

DELLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE IN EUROPA ?

INTRODUZIONE

In questo lavoro prenderemo in esame dell’emergenza dei “regimi di disoccupazione giovanile “ in Europa , ovvero un insieme di misure e politiche coerenti volte a rispondere a livello statale al problema della disoccupazione e, in particolare ,a quello della disoccupazione giovanile. Allo stesso tempo ,tuttavia , i risultati permettono di riflettere sui possibili modelli di conseguenza tra i Paesi europei. In particolare si dimostrano alcune somiglianze importanti in termini di regolamentazioni flessibili del mercato del lavoro . A tal proposito ,negli ultimi anni si è assistito a una tendenza a rendere più flessibile il mercato del lavoro ,indipendentemente dal regime del benessere prevalente.

L’argomento principale di questo scritto è la politica di disoccupazione .sviluppatasi in tempi recenti ,che ha dato forma a profonde differenze nazionali che coincidono solo parzialmente con i modelli di insegnamento consolidati dello stesso di benessere ,discusso nella letteratura scolastica. Dello stato assistenziale le caratterizzazioni esistenti (ad es. ,(1)Bonoli & Palier,2001) ) seguono un approccio globale e comprensivo ,che include diversi aspetti dello stato di benessere (salute, disoccupazione ,aiuto sociale , pensioni ,invalidità ,maternità ecc.) Altri studiosi hanno fornito studi più specifici ,concentrati sull’intervento dello stato nel campo della disoccupazione (2) ( Gallie & Paugam ,2000)

1) BONOLI & Palier ,(2001) 2) GALLIE & Paugam,(2000)

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STATI DI BENESSERE E REGIMI DI DISOCCUPAZIONE .

Recentemente ,gli studiosi hanno discusso la trasformazione degli stati di benessere in riferimento alla globalizzazione e alle sue conseguenze , in particolare per ciò che riguarda le tendenze alla liberalizzazione e i nuovi rischi relativi alla società post-industriale.(3) (Clasen & Clegg,2011).Mentre i nuovi rischi sono associati a molte componenti del benessere pubblico ( salute ,sistemi pensionistici , disoccupazione ,ecc.),oggi sono soprattutto oggetto di dibattiti riguardanti il mercato del lavoro e le politiche occupazionali. Soprattutto per quanto riguarda la disoccupazione. E’ necessario ,di conseguenza , un approfondimento della questione. Questo è ciò che (4) (Gallie & Paugam ,2000) hanno proposto nei loro studi sui regimi di disoccupazione e sul loro impatto dell’esperienza della disoccupazione . Secondo gli studiosi ,questi ultimi possono essere influenzati dal grado di copertura ,dal livello di compensazione finanziaria e dall’importanza delle misure attivate per l’occupazione. Con ciò intendiamo un insieme di misure coerenti e di politiche mirate al fornire risposte statali al problema della disoccupazione e, soprattutto al problema della disoccupazione giovanile .

Con tale considerazione si da’ la precedenza allo spazio concettuale con quattro configurazioni ideali/tipiche dei regimi di di disoccupazione giovanile . Assegnando sette Paesi europei (Francia, Germania , Italia , Polonia , Portogallo , Svezia e Svizzera ) allo spazio concettuale , abbiamo esaminato il loro potenziale euristico. In particolare ,abbiamo inserito le nostre conclusioni nel contesto delle tipologie esistenti nello stato sociale , sottolineando i principali aspetti contro-intuitivi.

Allo stesso modo , sosteniamo che la “precarietà” può essere elemento distinto dalle politiche dirette specificamente ai giovani disoccupati in Germania. In definitiva , mostriamo che il modo in cui la disoccupazione è pensata e regolamentata istituzionalmente merita il massimo dell’attenzione , poiché potrebbe essere al centro delle più ampie dinamiche che interrogano la natura dello stato sociale per come lo intendiamo oggi. Nonostante questo e simili sforzi .tuttavia ,spesso l’analisi non comparativa delle risposte statali alla disoccupazione si riferiscono ancora a disposizioni in materia di benessere generico. Anche quando si ha che fare direttamente con gli indicatori della normativa in maniera di

3) Clasen & Clegg ,(2011) 4) GALLIE & PAUGAM , (2000)

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disoccupazione (5) (Bambra & Elkemo ,2009) ,la ricerca comparativa può ignorare le conclusioni che non appoggiano l’insegnamento di una borsa di studio tradizionale.

Di conseguenza ,è necessaria una ricerca più sistematica per valutare la necessità di creare una rete di sicurezza per coloro che sono esclusi o che lo sono stati dal mercato del lavoro i (cosiddetti provvedimenti passivi ) e nel dar loro maggiori probabilità di trovare un impiego ( le cosiddette misure attive) . Come sottolineano Clasen e Clegg ,(2011):nella grande letteratura comparativa sullo sviluppo degli stati di benessere negli ultimi decenni ,non esistono molti studi che comprendono i sistemi di protezione alla disoccupazione nell’insieme e meno ancora che si concentrano esplicitamente sul rapporto di regolamentazione del rischio di disoccupazione e il cambiamento del mercato del lavoro.

Quindi sebbene certamente siano fortemente correlati alle caratteristiche generali dello stato sociale, dobbiamo tener conto di approcci più specifici alla disoccupazione , L’altra faccia è costituita dall’intervento statale nel mercato del lavoro, ovvero da regolamentazioni come ha sottolineato (6) (Esping-Andersen ,1999) ,le norme sul mercato del lavoro sono fondamentali per comprendere il moderno stato sociale. (7) ( Sapir (2005) ha affermato che diversi tipi di stati di benessere tendono ad avere una diversa organizzazione nel mercato del lavoro .

Quindi, per ottenere un’immagine più comprensibile dell’intervento dello Stato nel campo della disoccupazione, occorre tener conto non solo di come lo stato risponda alla sfida della disoccupazione ,ma anche di come regola il mercato del lavoro.

Con ciò si evidenzia la potenziale organizzazione di questo spazio in quattro ideali categorie principali. La prima categoria combina l’inclusione dei disoccupati con la flessibilità del mercato del lavoro, rappresentando la cosiddetta flexicurity o modello di protezione sociale. La seconda , opposta , il modello tradizionale di corporativismo o di protezione economica, combina l’esclusione dei disoccupati con l’elevata protezione dei lavoratori .

In terzo luogo la combinazione di rigidità sulla dimensione del mercato e l’inclusione sulle dimensioni dei regolamenti di disoccupazione rappresenta il modello di protezione completo in cui la partecipazione di tutti gli altri non risulta trattata contro la perdita dei diritti dei lavoratori. Infine, il modello di precarietà combina un basso livello di diritti per i lavoratori tradizionali con l’esclusione dei disoccupati.

5) BAMBRA & EIKEMO , 2009. 6) ESPING-ANDERSEN ,1999 . 7) SAPIR (2005 ).

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Questo spazio concettuale è utile anche per andare oltre il rigido quadro di categorie presente nella letteratura e che tendono ad assegnare ai Paesi dei modelli fissi . In altre parole ,i Paesi non necessariamente presentano una categoria precisa, ma possono essere collocati in posizioni diverse entro una medesima categoria e muoversi in quello spazio se l’analisi viene condotta in maniera diacronica.

Le due dimensioni che formano la nostra definizione di regimi di disoccupazione giovanile sono state rese operativi da una serie di indicatori di politiche e misure riguardanti le regolamentazioni della disoccupazione e del mercato del lavoro concentrato sulla disoccupazione giovanile ,che includono giovani tra i 18 e i 34 anni .siamo consapevoli del fatto che le statistiche ufficiali della disoccupazione ,per esempio quelle prodotte dai governi centrali dei nostri paesi come Eurostat , l’Organizzazione internazionale del lavoro, ecc.,si riferiscono in maniera specifica ai giovani di età inferiore ai 25 anni.

Tuttavia abbiamo voluto essere più inclusivi possibili in termini di età (18-34) , in modo da tenere conto dei processi sociali in corso che hanno aumentato sostanzialmente l’intervallo di tempo necessario per far si che tali individui conducano una vita adulta completa.

La dimensione dei regolamenti sul mercato del lavoro riconosce che i diritti e i doveri derivati dalla legislazione in materia di disoccupazione e, in linea di principio dello stato di benessere ,possono essere compatibili con gli accordi di mercato del lavoro ,come esempio di misure attive. E’ fondamentale considerare l’esistenza di una chiara distinzione tra i lavoratori e i disoccupati protetti o, altrimenti , tra gli insiders e gli outsiders .come conseguenza della tipologia di regolamentazione del mercato del lavoro. (8)(Rueda ,2005) . Il punteggio medio per questa seconda dimensione si basa su otto indicatori : la protezione degli insiders contro i licenziamenti ,la regolamentazione delle forma temporanee di lavoro, i requisiti per i licenziamenti collettivi ,il ruolo dei sindacati nel sistema dei benefici ,il ruolo dei sindacati per la protezione dei lavoratori e (come indicatori output) il numero di lavoratori temporanei ,il numero di lavoratori flessibili e,infine ,il numero di partecipanti alle misure di attivazione. Abbiamo già indicato che le nostre informazioni si riferiscono alla costituzione e alla creazione delle politiche, ma comprendono anche gli indicatori di output in modo da includere le forme più sofisticate della categoria. In questo senso ,vogliamo scoprire l’effetto dei vincoli che possono operare in base alle normative formali. Per esempio ,consideriamo molto utile il numero di persone impegnate in contratti flessibili per indicare la flessibilità del mercato del lavoro per i giovani disoccupati.

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I REGIMI DI DISOCCUPAZIONE IN EUROPA : UNA VALUTAZIONE EMPIRICA.

Gli anni 2000 sono stati caratterizzati dall’attuazione di un aumento di polizze per la disoccupazione e della disoccupazione in particolare. Recentemente ,a seguito della recessione economica degli anni 2000 , il numero politico dei governi nazionali si è ricollegato ai loro interventi nel settore della disoccupazione .Al di là delle traiettorie dei dirigenti nazionali specifici , l’Unione Europea ha adottato il Patto Europeo per la Gioventù nel 2005 e ha posto le linee Guida all’ Occupazione al centro della Strategia europea per l’impiego .Sia la Commissione che il Consiglio hanno sentito la necessità di intensificare la loro strategia per favorire l’inclusione dei disoccupati e, più in generale dei giovani svantaggiati. Interventi come la strategia dell’UE per la Gioventù ,la Risoluzione del consiglio sul rinnovato quadro di cooperazione europea nel settore giovanile (2010-2018) e l’Agenda 2020 forniscono una prova sostanziale dello sforzo politico globale che sia intersettoriale e altamente articolato.

Questa combinazione di sforzi comuni a livello europeo e gli interventi nazionali specifici in termini di mercato di lavoro e regolamenti per la disoccupazione rivolti ai giovani disoccupati ,possono essere apprezzati attraverso le analisi delle nostre conclusioni. Alcuni paesi attuano politiche altamente inclusive nei confronti dei giovani disoccupati ,mentre e altri risultano essere esclusivi. La differenza è particolarmente marcata ,per esempio ,comparando la Francia e la Polonia. Più in generale ,si può sostenere che i Paesi tendono a scegliere chiaramente un approccio più o meno inclusivo. In altre parole , la posizione di un Paese può essere simile ,ma anche molto dissimile tra le due dimensioni in materia di regolamentazioni della disoccupazione e del mercato del lavoro. Osservando il posto occupato dai nostri sette Paesi all’interno dello spazio concettuale del quale abbiamo discusso in precedenza , è per prima cosa evidente che non si trovano casi che offrono una protezione completa .Nel complesso , quindi Italia e Portogallo sono i due casi che si avvicinano maggiormente al modello di protezione economica.

Infine ,la posizione della Germania è piuttosto sorprendente ,data la materializzazione del modello bismarckiano del paese , Le nostre conclusioni dimostrano che la Germania ha politiche in linea con la flessibilità del mercato del lavoro, ma che ha una scarsa regolamentazione della disoccupazione per l’inclusione dei giovani disoccupati. La Germania si adatta ,così , al modello di precarietà che fa poco per gli insider e dà poco agli outsiders. Le nostre conclusioni risultano piuttosto conclusive , per il fatto che le politiche specifiche per i giovani , in tutti i Paesi non sono sufficienti. Così la Svizzera e la Svezia , i Paesi più flessibili

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come è emerso dal nostro studio , si distinguono come i luoghi in cui le persone di 18-24 anni sono particolarmente presenti in maniera fissa o part-time nel mondo del lavoro. In Svezia , il 47% dei giovani dipendenti sotto i 25 anni sono stati assunti per contratti di lavoro part-time nel 2010 ,mentre, allo stesso tempo ,rappresentavano poco più del 26% della forza lav oro nazionale ( Labour Force Survey ,2010). In Svizzera ,il 27% della popolazione attiva di età inferiore ai 25 anni è stata assunta nel 2008 in vari contratti a tempo determinato ,il 41% dei quali consisteva in precari lavori a chiamata per i giovani (ESPA, 2008).In Svezia , i più giovani perdono il diritto ai benefici della disoccupazione non appena rifiutano un’offerta di misura di attivazione (lo stesso rifiuto è sanzionato solo con la riduzione dei benefici per disoccupati di età compresa tra i 25 e i 34 anni ) ,mentre in Svizzera gli studenti e gli apprendisti ,così come i giovani al di sotto dei 25 anni che non hanno alcuna formazione (completata o in corso ) ,non possono ricevere benefici regolari . Nel complesso ,quindi Svezia e Svizzera confermano il loro approccio orientato alla flexicurity per qjuel concerne il problema della disoccupazione giovanile nell’intervallo di età 18-34 anni. Anche in Francia conferma la propria posizione all’interno del campo di flexicurity .Così ,il 44% dei disoccupati sotto i 25 anni ricevono benefici dall’assicurazione contro la disoccupazione , una percentuale molto elevata , se confrontata con il 55% dei disoccupati che 2010 , il passaggio dalla disoccupazione all’assicurazione sociale è diventato più inclusivo anche per i più giovani grazie all’estensione del Revenu de Solidaritè Active per i giovani disoccupati di uguale o inferiore ai 25 anni.

Infine, si è dimostrato che tali politiche per i giovani si adattano ai modelli più ampi di adeguatezza dei regimi per la disoccupazione sia in Italia che in Portogallo. Il caso italiano è notevole per l’approccio restrittivo del Paese nel merito dei benefici alla disoccupazione (indipendemente dalle diverse fasce di età) e dal fatto che la flessibilità del mercato del lavoro è particolarmente intensa, in relazione ai contratti a tempo determinato per la fascia 25-34 . Per quanto riguarda il Portogallo .si nota che i giovani disoccupati al di sotto dei 25 anni di età non hanno più la possibilità di beneficiare dell’assicurazione contro la disoccupazione ,con forme flessibili di lavoro come il part-time ,essendo piuttosto equilibrato tra le diverse fasce di età dei lavoratori.

CONCLUSIONE

In questo dettaglio si è indagato sul numero di indicatori lungo le due dimensioni delle regolamentazioni per la disoccupazione e per il mercato del lavoro , per discutere le

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configurazioni variabili dei regimi per la disoccupazione giovanile. Abbiamo considerato leggi formali e le politiche attuate, ma anche gli indicatori di output in modo da identificare i vincoli e le facilitazioni che potrebbero nascondersi sotto alle regolamentazioni formali. La nostra spinta principale è stata di creare uno spazio concettuale che consentisse di identificare e le variazioni transnazionali in Europa e la valutazione empirica della posizione di sette Paesi europei in questo spazio. A questo proposito ,abbiamo osservato consistenze e risultati inaspettati. I due paesi dell’Europa meridionale come ,la Polonia , riflettono la caratterizzazione dei regimi sulla disoccupazione risultando “sotto protettivi” (9) (GALLIE & PAUGAM, 2000) . La Francia e la Svizzera si distinguono per essere piuttosto generose in termini di norme sulla disoccupazione ma hanno regolamenti piuttosto flessibili nel campo del mercato del lavoro, che le spingono verso il modello flexicurity .Per quanto riguarda la Svizzera ,non esiste un regime liberale/minimo (10 BERTOZZI ,2005) .La sua elevata flessibilità nel merito del mercato del lavoro non è accompagnato da condizioni restrittive per i disoccupati ,bensì, piuttosto ,da elevate compensazioni in caso di disoccupazione e condizioni relativamente favorevoli per i precari con scarse competenze (11) ( BONOLI E MACH ,2001)

Le nostre ricerche ci hanno portato a trovarci contro all’idea di Stato Bismarckiano per eccellenza, perché la Germania è caratterizzata da un’elevata flessibilità in termini di regolamentazioni del mercato del lavoro. Infatti ,la Germania si distingue per un elemento di precarietà nel suo approccio alla disoccupazione giovanile .Allo stesso tempo , il modello bismarckiano non funziona per altri Paesi europei. Abbiamo constatato l’esistenza di una serie di somiglianze importanti in termini di regolamentazioni flessibili del mercato del lavoro .In particolare ,dai nostri dati è emerso che esiste una preferenza comune per la flessibilizzazione del mercato del lavoro , a prescindere dalle differenze transnazionali.

Così ,la flessibilità si è posizionata ai primi posti dell’agenda politica sia dei Paesi tradizionalmente con regimi basati su un assicurazione ,come Francia e Germania .sia nei Paesi tradizionalmente universalisti o socialdemocratici ,come la Svezia. Non solo i processi sociali hanno aumentato la spanna di tempo che serve agli individui per entrare a pieno nell’età adulta ,ma hanno anche avuto un forte impatto sulle disposizioni specifiche relative alla disoccupazione. Di conseguenza ,abbiamo sistematicamente analizzato non solo le informazioni riferite alla nostra ampia definizione di giovani disoccupati (18-34) ,ma anche quelle più

9) GALLIE & PAUGAM ,2000. 10) BERTOZZI ,2005

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rilevanti per i disoccupati più giovani sotto ai 25 anni. A tal fine, volevamo valutare se i nostri regimi di disoccupazione giovanile funzionassero per i tagli di età suggeriti ,spesso, dalle statistiche ufficiali. La risposta tutto sommato è stata positiva. Abbiamo anche scoperto che la distinzione tra giovani e giovanissimi è ancora molto utile per aprire uno spazio a ulteriori ricerche per ciò che riguarda le differenze all’interno di un angolo del nostro spazio bidimensionale. In particolare ,abbiamo mostrato che il modello flexicurity può mettere maggiormente l’accento sul lato flessibile delle norme (ad esempio ,in Svezia e ancor più in Svizzera ) o ,in alternativa ,sul lato inclusivo delle norme sulla disoccupazione (ad esempio in Francia).

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CAPITOLO III

LA SOVRA PREPARAZIONE-FORMAZIONE-SPECIALIZZAZIONE DEI

LAVORATORI ITALIANI.

PRATICHE SOCIALI FINALIZZATE ALLA VALORIZZAZIONE DEL CAPITALE UMANO.

Le economie europee avranno sempre maggiore bisogno di lavoratori qualificati e competenti per la sostenibilità del modello sociale europeo ,fatto di crescita economica nel settore dei servizi avanzati alle imprese di un welfare ad orientamento più produttivistico sostenuto dai paesi membri .Purtroppo analizzando il sistema Italia ci accorgiamo che a livello europeo ,siamo un caso unico punto di vista della capacità di assorbire laureati nel contesto produttivo.

Infatti l’Italia è tra i paesi con la più analizzando il sistema Italia ci accorgiamo che a livello europeo ,siamo un caso unico dal punto di vista della capacità di assorbire laureati nel contesto produttivo .

Infatti ,l’ Italia è tra i paesi con la più bassa percentuale di individui con educazione terziaria tra i 30-34 anni e nello stesso tempo è tra i paesi in cui i giovani laureati sono maggiormente esposti al rischio disoccupazione .Rimangono forti dubbi dell’effettiva capacità italiana per poter cogliere la sfida del social investment mettendo a valore la conoscenza delle giovani generazioni.

Dato questo contesto poco favorevole ,questo papier si concentra ,non sull’analisi fondata tra titolo di studio posseduto e domanda di lavoro (come tradizionalmente si fa),quanto sul confronto tra attività lavorativa effettivamente svolta e qualifica in possesso dei lavoratori occupati in ciascuna posizione professionale.

L’analisi consente di pervenire ad una stima sufficientemente puntuale .della proporzione di persone con alte credenziali educative impiegate in lavoro di bassa o mediaqualifica ,attraverso un’analisi dei database Istat-Forze di lavoro -Isfol-Indagine sulle professioni- Excelsior –Indagini sui bisogni delle imprese. I risultati dimostrano che vi è un

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grosso scarto tra lavoratori italiani e lavoratori stranieri nell’esposizione al rischio di sovra-qualificazione.

In particolare ,come vedremo,sono le caratteristiche della domanda di lavoro ad influire in maniera significativa sul rischio di sovra-qualificazione :una struttura produttiva particolarmente sfavorevole alla promozione di attività ad alta intensità di capitale umano e caratterizzata da un tasso elevato di disoccupazione e lavoro non standard giovanile non offre infatti le precondizioni adatte alla promozione di pratiche di social investment .(1)

COSA E’IL SOCIAL INVESTMENT ?

Il Social investment è una della parole determinanti delle politiche sociali degli ultimi anni(2) Hemerijck,A.2015). Iniziato a partire dall’esperienza della terza via di Blair (3) Morel, N. 2012 ) conciliare i principi economici del neoliberismo con una maggiore attenzione all’equità nella società e tra le generazioni. L’obbiettivo dichiarato è legato strettamente ad una visione produttivistica delle politiche sociali: con l’obbiettivo finale di conseguire una stabile e sostenibile crescita economica ,uno dei compiti principali dello stato è di stimolare la formazione di una forza lavoro preparata che sappia sostenerla (4) (Peng ,I ,2011).Nell’ottica della trasformazione post- industriale ,questo obbiettivo si declina nel tentativo di incrementare il più possibile il patrimonio di conoscenza dei lavoratori.

Tra i principi cardine del Social investment due principi rilevanti sono :da un lato promuovere la partecipazione dei gruppi sociali meno rappresentativi sul mercato del lavoro complesso. Dall’altro ,favorire l’accrescimento del livello medio di competenze sulla base del principio che ,aumentando gli ”skills “ del lavoratore ,aumenteranno anche i “Goods Jobs” ai quali egli potrà accedere.

1) KAZEPOVY Y.,e RANCI C.(2015) Missione impossibile ,L’impatto dlle politiche d’investimento sociale .La difficile innovazione del welfare italiano, Bologna , Il Mulino ,pp.333-365.

2) HEMERIJCK,A., (2015) , The Quiet Paradigm Revolution of Social Investment. Social Politcs ,22 (2) ,242-256.

3) MOREL ,N.,PALIER ,and J.PALME (eds), (2012) .Toward a social investment welfare state ? Ideas ,policies, challenges, Bristol: Policy Pess.

4) PENG,A.(2011) ,Social investment Policies in Canada ,Australia,Japan. International Journal of Child Care ,5(1) ,41-53.

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In particolare ,sono le caratteristiche, della domanda del lavoro ad influire in maniera significativa sul rischio di sovra-qualificazione : una struttura produttiva particolarmente sfavorevole alla promozione di attività ad alta intensità di capitale umano e caratterizzata da un tasso di disoccupazione e lavoro non-standard giovanile non offre le precondizioni adatte alla promozione di politiche di “Social Investment”

IL PROBLEMA DELLA SOVRA QUALIFICAZIONE DELLA FORZA LAVORO IN LETTERATURA.

Definire la qualità del lavoro è sicuramente un esercizio teorico e empirico di non facile soluzione .(5) (Dieckhoff, M. 2011). Esiste sicuramente una dimensione soggettiva legata alla soddisfazione che l’individuo trae dal proprio lavoro ,connessa alla ricompensa monetaria che alla posizione sociale associata ad una specifica attività lavorativa (6) Bourdieau, P .1997) .Poi vi è una dimensione oggettiva che riguarda ,soprattutto, l’inquadramento contrattuale dell’individuo :contratti come il part-time o il lavoro temporaneo sono spesso considerati di qualità inferiore .La qualità di un impiego viene dunque misurata nelle minori probabilità di perdere il lavoro ,nella facilità di trovare un nuovo lavoro a seguito di un episodio di disoccupazione ,nell’accesso a livelli salariali superiori . Un lavoro di cattiva qualità può anche essere misurato sulla base della congruenza tra il capitale umano posseduto dal lavoro e le capacità richieste per lo svolgimento della posizione nella quale l’individuo è impiegato.

Il passaggio alla società post-industriale ha determinato in molte economie a capitalismo avanzato, una modificazione della struttura occupazionale , anche in termini delle capacità richieste al lavoratore .Lo“Skill-biased tecnological change” come viene chiamato in letteratura economica fin dagli anni 80 (7) (Ballarino-Scherer, S. 2013) è una teoria che afferma come la trasformazione in senso post-industriale dell’economia stia portando ad una erosione soprattutto di quelle mansioni di livello medio e ad alta routine che possono essere facilmente sostituite dalle macchine e dai computer .

5) DIECKOFF,M.(2011) The effect of unemployment on subsequent job quality in Europe. Comparative study. ACTA SOCIOLOGICA,54(3) ,233-249.

6) BOURDIEU ,P. (1997) Contre –feux , GRENOBLE ,Ed. LIBER RAISON D’AGIR.

7) BALLARINO ,G. & SCHERER, S. (2013) More investment-less returns ?STATO E MERCATO,99 (3dicembre 2013) ,359-388.

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Una seconda teoria ,ovvero l’inflazione delle credenziali formative ,afferma come il livello formativo di un individuo sia importante non tanto per il bagaglio formativo acquisito nel corso della formazione ,quanto per le capacità di “signalling” che un titolo di studio può avere sulla disponibilità e produttività dell’individuo. In Italia il progressivo innalzamento del livello formativo delle nuove generazioni ha determinato il declino del valore del titolo di studio come segnale , un fatto che deve essere messo in relazione con le dinamiche in atto sul sistema produttivo più in generale .Infatti ,la struttura occupazionale non ha avuto un corrispondente innalzamento ,determinando una sempre maggiore concorrenza tra lavoratori per l’ottenimento dei pochi ”goods jobs” all’apice della struttura occupazionale ,che si sono contratti a seguito del cambiamento tecnologico.

L’effetto combinato e perverso di queste due tendenze è quello di un progressivo scivolamento di tutta La forza lavoro verso posizioni di un livello inferiore :i lavoratori che hanno una formazione di livello terziario o secondario occupano posizioni disponibili sul mercato del lavoro anche se non sono in linea con le competenze che hanno maturato, con il risultato di escluder dal mercato i lavoratori con bassa qualifica ( 8 ) Abrassart, 2015 ). Secondo questa interpretazione ,lo svantaggio vissuto dei lavoratori con bassa qualifica è determinato non tanto dal disallineamento delle loro competenze con le posizioni lavorative offerte dal mercato del lavoro ,ma dall’accresciuta concorrenza tra lavoratori in ingresso ,che determina l’ accettazione di posizioni di qualifica inferiore anche da parte di coloro che potrebbero accedere a posizioni elevate. Solo una minoranza di lavoratori è dunque in grado di accedere a posizioni in linea con le proprie competenze ,generando una sempre maggiore polarizzazione del mercato del lavoro per la riduzione delle posizioni a media qualifica.

Peraltro ,in Italia la crisi ha agito come catalizzatore di questa situazione(9) Fellini,2015): mentre in gran parte dei paesi europei essa ha sollecitato l’aumento del livello medio di qualificazione degli occupati grazie alla crescita dell’occupazione nel settore dei servizi avanzati alle imprese (10 Gallie ,D.2013), nel nostro paese l’incremento occupazionale post-crisi è avvenuta prevalente mente nel settore dei servizi alla persona , per mansioni esecutive connesse soprattutto alla cura della persona (11) Reyneri ,Pintaldi,2013). Ciò ha contribuito

8) ABRASSART ,A. (2015) Low skill jobs or Jobs for low –skilled workers ? in 21 OECD countries ,1997-2009 ,Journal social Policy ,25(2) 225-241.

9) FELLINI , I. (2015) Il mercato del lavoro italiano tra crisi e debolezze strutturali .POLITECNICO di Milano,17 Febbraio.

10)GALLIE D.(2013) Economic crisis , Quality of Work. The European Experience .Oxford : Oxford University Press.

11)REYNERI E.e PINTALDI F. (2013) Dieci domande su un mercato del lavoro in crisi. Bologna , Il Mulino Editore.

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ad erodere la possibilità di impiego nei settori a più alto contenuto di conoscenza e nelle posizioni più qualificate in corrispondenza dell’erosione di posizioni a media qualifica (soprattutto nel settore manifatturiero). E’ stato dimostrato che essere occupati in posizione di sovra-qualificazione porta con sé numerose conseguenze negative ,che possono influenzare la carriera di un individuo anche a medio e lungo termine in modo molto più persistente rispetto ad un semplice contratto temporaneo (12 Scherer ,S.,2004 ) .La sovra-qualificazione riduce la soddisfazione soggettiva legata al proprio lavoro ,è associata ad una minore produttività e a un minore ritorno in termini di salario. E’ in generale associata ad una peggiore salute e, in modo abbastanza ovvio , riduce la possibilità sociale dell’individuo (13 Piper,2014). La sovra – qualificazione, nella prospettiva del Social investment questo non è un mero rischio individuale ,ma un rischio per la sostenibilità futura della crescita economica (14 Ortiz ,2010) . Un ulteriore effetto da non sottovalutare sono le sue ricadute sull’intero sistema di formazione . Gli individui ,consci del mancato ritorno sul mercato del lavoro del loro investimento privato in capitale umano ,potrebbero decidere di disinvestire nella formazione in alta qualità ,di fatto riducendo la domanda ed abbassando la composizione di qualità tra le agenzie formative, Questo determinerebbe un circolo vizioso che contraddice la prospettiva del Social Investment ,che al contrario considera l’investimento in formazione il primo passo verso la crescita economica. A livello nazionale, il fenomeno della sovra-qualificazione della forza lavoro interessa il 15% degli occupati, per un totale di circa 3,2 milioni su 22 milioni di occupati nel 2012. I lavoratori sovra-qualificati hanno per lo più un diploma superiore (53%),ma una quota importante riguarda anche le persone con laurea (40%). Per la maggior parte ,essi si concentrano nelle mansioni qualificate e non qualificate del mercato dei servizi e dell’industria ;in particolare ,le mansioni non qualificate e manuali contano circa il 36% del totale degli occupati interessati da questo fenomeno. Sono due principali che influenzano l’andamento di questo fenomeno in Italia :l’età anagrafica e la nazionalità . Infatti ,l’andamento per età della distribuzione dei lavoratori sovra-qualificati è fortemente influenzata dalla nazionalità degli intervistati. Il fenomeno si concentra nelle giovani generazioni soprattutto tra gli italiani ,prolungandosi peraltro in misura significativa sino alla soglia dei 39 anni ,mentre tende a rimanere costante ,se non a subire un incremento al crescere dell’età ,per lde persone straniere.

12)SCHERER ,S.(2004) Stepping –Stones or Traps ? The Consequences of Labour Market . Employment & Society ,18(2) ,369-394.

13) PIPER , A.(2014) . Heaven Knows I’m miserable now : overeducation and reduced satisfaction. Education Economics , (July) ,1-16.

14) ORTIZ ,L.(2010) “ Not the right iob , but a secure one : over-education and temporary employment in France ,Italy and Spain.Work , Employment & Society 24 (1) ,47- 64 .

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Di contro gli stranieri tendono a essere maggiormente interessati dalla sovra-qualificazione :oltre la metà degli stranieri contro poco più di una persona su dieci nel caso degli italiani.

IL FENOMENO DELLA SOVRA-QUALIFICAZIONE IN ITALIA.

Infatti ,per i giovanissimi sotto i 19 anni l’elevata quota degli intervistati che sono ancora fuori dal mercato del lavoro (circa il 90%) rende il fenomeno della sovra-qualificazione trascurabile sul totale della popolazione. Tuttavia ,quando i giovani iniziano ad affacciarsi sul mercato del lavoro e ad essere stabilmente attivi allora anche la quota di sovra-qualificazione tende a salire ,arrivando ad interessare quasi un lavoratore su tre tra i 25 e i 29 anni (il 27,3% dei lavoratori occupati ,ha una qualifica superiore alla mansione che occupa). Tale situazione è particolarmente insidiosa :studi precedenti dimostrano che il maggior svantaggio sul mercato del lavoro non è determinato tanto dall’essere assunti con contratto non-standard quanto in posizione dequalificata rispetto alle proprie competenze. La situazione che i nostri giovani si trovano ad affrontare può dunque degenerare in un intrappolamento in una posizione subalterna nel mercato del lavoro. Peraltro ,la situazione di sovra qualificazione persiste fino alla soglia dei 39 anni interessando un lavoratore su cinque.

Per quanto riguarda gli stranieri ,la situazione è nettamente differente. Fino alla fascia di età di 24 anni ,composta da immigrati di seconda generazione ,non si nota un discostamento sostanziale dall’andamento già messo in evidenza per i giovani italiani . Tuttavia a partire dai 25 anni e con maggiore evidenza dai 30 anni in su ,si nota come la quota di sovra qualificazione tende a crescere al crescere dell’età :essa arriva a interessare la metà dei lavoratori stranieri tra i 30 e i 40 anni . Può essere interpretata sulla base della forte segregazione che caratterizza l’integrazione degli stranieri ,soprattutto di prima generazione ,nel mercato secondario del lavoro.

Mentre nell’analisi variabile di genere, quella è una tendenza decisamente divergente tra italiani e stranieri .Infatti, le donne italiane tendono a essere meno sovra-qualificate degli uomini in ciascuna fascia d’età considerata.

Concentrandosi sulla distribuzione territoriale del fenomeno ,si nota come essa sia particolarmente diseguale sul territorio nazionale. Infatti ,la maggior quota dei lavoratori sovra-qualificati si concentra nella parte centrale della penisola ,in particolar modo l’Umbria (21,5%) ,l’Abruzzo(18,6%)e il Lazio (18,6%).Tra le regioni meno interessate al fenomeno è importante fare una distinzione :ci sono regioni del Nord come il Trentino (10,9%), Valle d’Aosta (11,2%)

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e la Lombardia (13,2%), e quindi si può interpretare come il risultato di un mercato del lavoro più vivace ;mentre il altre Regioni del Sud ,fortemente esposte al fenomeno della disoccupazione (Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna) è maggiore la presenza dell’inattività rispetto alla sovra-qualificazione .Tuttavia, l’ampiezza relativa dei mercati del lavoro regionali ,siano soprattutto la Lombardia e il Lazio a costituire il bacino più importante di lavoratori sovra-qualificati nel nostro paese.

UN’ANALISI DEI FATTORI DI RISCHIO.

Abbiamo analizzato l’andamento della variabile sovra-qualificazione sia per le caratteristiche anagrafiche del lavoratore ,sia per la tipologia di inquadramento contrattuale svolto per le caratteristiche dell’impresa. Nel primo modello sono quindi presenti soltanto variabili individuali ,riferite all’età ,al genere ,al titolo di studio e alla regione di residenza .Nel modello 2 viene riferita le variabili alla tipologia contrattuale e all’orario di lavoro. Nel modello 3 comprende le variabili della domanda di lavoro ,ovvero riferite al settore economico e alla dimensione dell’impresa. Infine il modello 4 considera anche l’incidenza della durata del contratto di lavoro. Prima di tutto è interessante notare che il fenomeno della sovra-qualificazione è tanto più evidente al crescere del titolo di studio posseduto, con i laureati più esposti al fenomeno rispetto a chi possiede un titolo di studio superiore. Tale svantaggio è persistente in tutti i modelli e cresce al crescere delle dimensioni di controllo inserite. Pertanto dalla dimensione dell’instabilità lavorativa ( qui misurata come durata dell’attuale contratto in essere ) si pone fortemente in evidenza come rischio di sovra qualificazione diminuisca in modo del tutto al crescere della durata del rapporto lavorativo ,tanto da costituire il maggiore fattore di protezione del rischio di sovra qualificazione. Tale ipotesi sembra essere confermata anche dal valore associato al contratto a tempo determinato ,che tra tutte le forme contrattuali è quella che espone maggiormente il lavoratore al rischio di sovra-qualificazione . Pertanto ,slegare il fenomeno della sovra-qualificazione da un discorso più ampio sulle caratteristiche della domanda di lavoro può essere fuorviante. Le dimensioni di impresa e il tipo di attività lavorativa hanno un impatto rilevante sull’esposizione al rischio di sovra qualificazione ,a cui nessuna politica che agisca solo sul lato dell’offerta del lavoro può davvero fare fronte. Mettere a tema soltanto la questione della deregolamentazione della protezione del lavoro ,come è stato fatto dal dibattito politico degli ultimi anni, può portare a una visione distorta dei problemi del mismatch tra domanda e offerta di lavoro. L’eccessiva attenzione a questo aspetto è coincisa ,peraltro con un’assenza pressochè totale di considerazione del problema della transizione tra

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formazione e lavoro ,ma anche del ritardo italiano nello sviluppo di settori di alta intensità di capitale umano. Il rischio è che la struttura produttiva italiana non sia in grado di far valere il maggiore bagaglio di conoscenza ,rassegnandosi .come le nuove generazioni ,ad una condizione futura peggiore rispetto a quella del passato , intrappolata in una via bassa alla transizione post-industriale.

CONCLUSIONI

L’analisi dei dati sulla diffusione del lavoro sovra-qualificato in Italia ,sviluppata attraverso una metodologia originale ,è approdata ad alcuni risultati di interesse .In linea generale ,il fenomeno interessa quasi un sesto dei lavoratori italiani ,con una forte concentrazione sia nel lavoro giovanile che in quello della fascia 30-40 anni. Tra i fattori che spiegano l’esposizione a questo fenomeno ,spicca innanzitutto la tipologia contrattuale :risultano infatti più esposti lavoratori a tempo determinato e quelli part-time. Meno colpiti risultano ,oltre ai lavoratori stabili anche i collaboratori e i lavoratori autonomi . in linea generale ,la sovra-qualificazione sembra dunque associata ad una condizione di temporaneità e insicurezza del lavoro ,anche se non colpisce la fascia esposta alla precarizzazione più qualificante ,che si inserisce nel mercato del lavoro in una posizione debole caratteri a cui la sovra-qualificazione aggiunge un elemento di forte delusione delle aspettative che di scarso ritorno degli investimenti formativi.

I fattori di domanda costituiscono una componente causale che deve essere tenuta in considerazione .La sovra-qualificazione colpisce i lavoratori impiegati in settori tradizionali ed è concentrata nella dimensione micro delle imprese. Essa costituisce quindi l’esito di una dinamica occupazionale che ha visto privilegiati settori produttivi a bassi contenuti di qualificazione ,in cui si sono concentrati lavoratori che,per competenze acquisite, avrebbero dovuto essere assorbiti in settori più qualificati.

Nel complesso ,questi elementi contribuiscono a deprimere l’offerta di lavoro con contenuti di alta qualificazione e rendono non solo ardua ma anche potenzialmente inefficace una politica orientata esclusivamente a potenziare l’offerta di lavoro attraverso investimenti nel capitale umano. Ci sono infatti limiti strutturali del sistema che rendono difficile, se non impossibile , una politica di social investment orientata esclusivamente al potenziamento dell’offerta .

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CAPITOLO IV

ALLA RICERCA DI UNA EDUCAZIONE DELL’APPRENDISTATO IN

ITALIA.

L’APPRENDISTATO DEGLI ULTIMI ANNI.

A partire dalla seconda metà degli anni novanta ,l’apprendistato è stato posto al centro dell’attenzione di numerosi provvedimenti legislativi .In risposta agli alti livelli di disoccupazione giovanile e dispersione scolastica ,tale strumento è stato caricato di importanti aspettative .L’abbandono scolastico e la preparazione dei giovani per lo svolgimento di lavori qualificati.

l recente decreto legislativo 81/2015 di riordino dei contratti di lavoro,quarto atto del Jobs Act entrato in vigore il 25 giugno 2015 ,costituisce l’ultima delle ripetute modifiche strutturali che hanno interessato tale istituto contrattuale.

E’ importante ripercorrere brevemente le principali tappe del percorso di riforma dell’apprendistato in Italia ,onde tracciare un quadro significativo delle principali caratteristiche .

LE VARIE FASI LEGISLATIVE PER RECUPERARE IL DISPOSITIVO

DELL’APPRENDISTATO.

L’apprendistato ha una lunga storia italiana ,essendo stato introdotto già nel 1955. Nel 1997 la legge Treu ha elevato il limite di età per l’assunzione da 20 a 24/26 anni ,abolendo i vincoli settoriali al suo utilizzo .La riform Biagi ha infatti modificato profondamente l’istituto , ampliandone la platea di riferimento e includendo le fasce più qualificate i laureati .L’apprendistato è stato articolato in tre livelli , introducendo una caratteristica strutturale ,destinata a durare fino ad oggi .La particolare importanza è la differenza tra l’apprendistato di secondo livello , finalizzato a una qualifica contrattuale ,e gli apprendistati “ Scolastici “di primi e terzo livello ,mirati al conseguimento di un titolo di

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studio per mezzo di un’alternanza scuola-lavoro .A seguito del decreto legislativo 167 del 2011 , risultato di mesi di lunghe negoziazioni tra governoe Regioni e parti sociali ,ha riformato la disciplina dell’ apprendistato ,abrogando la normativa preesistente e riunendo in un Testo Unico le precedenti norme che erano intervenute nella regolazione dell’istituto.

Il T. U. ribadiva la centralità dell’apprendistato nelle strategie di inserimento lavorativo ,definendolo un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato al duplice obbiettivo (causa mista ) della formazione e occupazione di giovani . La struttura tripartita manteneva l’impianto introdotto dalla legge Biagi L’elemento più rilevante risiedeva nell’introduzione di un sistema di governance multilivello dell’apprendistato attraverso la costituzione di un network di cooperazione tra Governo centrale Regioni e parti sociali .

Il sistema del “nuovo apprendistato” introdotto dal TU ha rivestito un ruolo centrale nella successiva riforma del mercato del lavoro attuata dal Ministro Fornero.

normativi di modifica .Agendo su un sistema ancora lontano dall’essersi consolidato soprattutto dal punto di vista della regolamentazione regionale e della cooperazione tra regioni e attori della contrattazione collettiva ,gli interventi legislativi hanno mirato innanzitutto alla semplificazione delle procedure e al progressivo alleggerimento degli obblighi formativi in capo all’impresa (tendenza peraltro rinvenibile già dalla legge Fornero per quanto riguarda l’apprendistato professionalizzante ,nonché alla riduzione dei vincoli di stabilizzazione (in queste direzioni si sono mossi ,ad esempio il decreto Giovannini e Letta e il decreto Poletti.

IL NEGATIVO STATO DELL’APPRENDISTATO.

I dati contenuti nel XV rapporto ISFOL(1) sull’apprendistato ,risultano particolarmente utili nel contestualizzare e identificare l’attuale sistema di apprendistato italiano , come esito di oltre quindici anni di riforma .

Innanzitutto, se nel 2014 appare finalmente concluso il lungo processo di recepimento e adeguamento delle normative regionali anche per l’apprendistato di I e III livello , ciò è avvenuto con importanti differenziazioni territoriali sia nei tempi sia nei contenuti. Inoltre, il rapporto segnala come una quota rilevante di amministrazioni

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regionali non abbia ancora attuato le proprie discipline attraverso l’emanazione di Avvisi, bandi ,linee guida volti alla definizione di una offerta formativa pubblica per gli apprendisti e all’individuazione dei soggetti attuatori .Tutto questo riflette dunque l’esistenza di una forte frammentazione nell’utilizzo dell’ apprendistato ,la cui diffusione si concentra nell’Italia settentrionale (soprattutto nel Nord- Ovest ) .Lo stock medio dei lavorator occupati in apprendistato risulta ancora in contrazione .Seguendo un trend ch ha avuto inizio nel 2009, il numero medio di contratti è sceso da 650.000 a meno di 450.000 nel 2014 .Nonostante le differenze regionali questo trend accomuna sia le regioni del centro-Nord ,dove l’apprendistato è maggiormente diffuso sia le regioni del Sud del paese.

Il sistema tripartito soffre di un forte squilibrio laddove la tipologia di contratto professionalizzante copre oltre il 90%dei contratti di apprendistato, mentre il restante 10% confluiscono i contratti ancora in essere regolati dalla legge Treu ,e le altre due tipologie di apprendistato. Nel 2013 ,l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale contava 3.405 iscritti ,di cui solo 3000 nella provincia di Bolzano .che ha sviluppato una propria struttura in larga autonoma ispirata all’organizzazione del sistema duale tedesco e austriaco . La diffusione marginale del I e III livello è connessa anche alla concorrenza con l’apprendistato professionalizzante che, a parità di esenzioni contributive e vantaggi fiscali ,rappresenta uno strumento maggiormente flessibile per le imprese ,soprattutto visti i minori obblighi formativi.

Per quanto riguarda la composizione per età della popolazione lavorativa in apprendistato ,a una persistente prevalenza di apprendisti assunti tra i 20 e i 24 anni si affianca una crescita della componente dei giovani lavoratori tra 25-29 anni e con più di 30 anni ,e una diminuzione di quella di 15-19 anni . La scarsa capacità di questo istituto di fungere da effettivo canale di ingresso nel mondo del mercato del lavoro per i più giovani e per coloro che non hanno compiuto un percorso scolastico di livello secondario-superiore è evidente anche dal bassissimo numero di apprendisti minorenni.

Le caratteristiche attuali del sistema di apprendistato italiano sono dunque sostanzialmente riferibili all’apprendistato di II livello che si connota per una dimensione marcatamente aziendalistica, l’assenza di una compiuta integrazione con il sistema educativo un’utenza sempre più compiuta da giovani adulti ,per una tendenza all’indebolimento della componente formativa come evidenziato dai recenti sviluppi di riforma di tale tipologia contrattuale.

Dal punto di vista dell’impatto occupazionale i dati dimostrano molto come il sistema di apprendistato in Italia non sia risultato uno strumento di politicy efficace nel contrastare

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le difficoltà incontrate dai giovani nel mercato del lavoro. Dopo il 2008 il declino si è accompagnato alle dinamiche di aumento della disoccupazione giovanile, della quota dei NEET e di diminuzione del tasso di occupazione giovanile. Ad ulteriore conferma di quanto sopradetto ,si attestano, la scarsa volontà di ricorrere al contratto di apprendistato . Le offerte di un’occupazione in apprendistato coprono appena l’1,7% del totale dei posti di lavoro disponibili , laddove la maggior parte delle offerte riguarda invece posti di lavoro a tempo determinato e tirocini (rispettivamente al 68,7% e 14%).

I PROVVEDIMENTI DI ATTUAZIONE DEL JOBS ACT.

A perdurante bassa diffusione del contratto di apprendistato nonostante le ripetute riforme, ha condotto infine , nell’ambito dei provvedimenti di attuazione del Job Act ,all’adozione del decreto legislativo 15 giugno 2015 n°81(2) . In materia di apprendistato il decreto prevede l’abrogazione del TU del 2011, fatta salva la disciplina transitoria , e una rilevante modifica degli equilibri reciproci tra le tre tipologie , agendo sulla leva della convenienza economica per aumentare la diffusione degli apprendistati scolastici. L’intento della promozione dello strumento si concentra dunque sul I livello e III livello, ora determinati apprendistato per la qualifica e il diploma professionale ,il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore , apprendistato di alta formazione e ricerca. L’obbiettivo è quello della costituzione di un sistema integrato duale di formazione e lavoro , incentivando il ricorso agli apprendisti scolastici di I e III livello rispetto a quello professionalizzante. Anche la riforma de “La Buona Scuola” (legge 107/2015)(3) ha cercato di far fronte al regime di separazione tra sistema educativo-formativo e mondo del lavoro che da tempo caratterizza il nostro sistema di istruzione pubblico.

L’iniziale riferimento al contratto di apprendistato è stato stralciato dal testo definitivo del provvedimento ,riconducendo interamente la modifica di tale tipologia contrattuale al già citato decreto 81.

La promozione degli apprendisti scolastici trova seguito anche nell’accordo sottoscritto in sede di Conferenza-Stato Regioni sul progetto sperimentale recante “ Azioni di accompagnamento ,sviluppo e rafforzamento del sistema duale nell’ambito dell’istruzione e

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formazione Professionale. In tale accordo ,che dovrebbe coinvolgere 60.000 studenti in percorsi di apprendistato di I livello e alternanza scuola lavoro ,è certamente possibile leggere un tentativo di coordinamento e l’integrazione delle riforme avviate con il Job Act e la “Buona Scuola”. Il gap culturale dell’apprendistato all’italiana rimanda alla ristretta concezione dell’apprendistato come contratto scarsamente appetibile ,diretto per lo più a chi ha avuto forti difficoltà nel percorso scolastico , e riguardante soprattutto occupazioni a basso livello di competenze .I continui cambiamenti hanno invece tolto certezze agli operatori e si sono intrecciati alle criticità più profonde e di matrice anche culturale che caratterizzano l’Italia, ostacolando lo sviluppo di un sistema di apprendistato radicato e diffuso ,in cui tale contratto rappresenti un effettivo strumento di investimento sociale per la valorizzazione del capitale umano. La nuove riforme si propongono per l’ennesima volta, ambizioni obbiettivi, modificando le strutture contrattuali e dando avvio ad una nuova stagione di sperimentazioni ,sulla scuola di segnali parzialmente incoraggianti che potremo tuttavia valutare solo nel tempo.

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CAPITOLO V

ATTUAZIONE “GARANZIA GIOVANI” DEL PIANO COMUNITARIO

EUROPEO NEL TERRITORIO MARCHIGIANO.

INTRODUZIONE..

La presente ricerca nasce come approfondimento nel quadro del progetto di ricerca Inspires relativo agli effetti delle innovazioni introdotte nelle politiche del lavoro in Europa negli ultimi 15 anni sulla resilienza dei lavoratori appartenenti a categorie sociali vulnerabili. Con la ricerca sulle politiche del lavoro destinate ai giovani abbiamo constatato che il piano comunitario denominato Garanzia Giovani aveva molte caratteristiche che lo rendevano oltremodo interessante . Si è trattato ,infatti, del primo programma di politiche del lavoro destinate esclusivamente ai giovani e con un sistema di governance europea ,nazionale, regionale e locale che lo ha reso particolarmente interessante dal punto di vista dell’implementazione . Dopo una analisi per identificare il bacino di utenza delle misure di policy previste. “Essa appare infatti a seconda di come la si guardi una categoria allo stesso tempo troppo larga o troppo restrittiva che non ha tardato ad attirare critiche e perplessità metodologiche. “(1)(Serracant,2014)

In questo modo “l’uso di categorie controverse rischia di condizionare negativamente gli esiti delle politiche che si affidano ad essa per identificare obbiettivi e strategie . “(2) (Cefalo, 2015) Su Garanzia Giovani in Italia sono in corso molte ricerche, anche grazie al sistema di monitoraggio affidato a Isfol che ha prodotto grande quantità di dati. Accanto ad una valutazione oggettiva delle politiche in atto è stato raccolto dal punto di vista soggettivo dei giovani beneficiari sulla loro condizione sociale e la lavorativa. La ricerca ha portato ad ascoltare alcune voci raccolte in tutte e cinque le province della regione ed esserci confrontati anche con le istituzioni regionali possiamo dire di conoscere qualcosa di più sulla realtà concrete di questo esperimento di policy .

1) Serracant P. (2014) A Brute Indicator for a NEET Case : Gensis and Evolution of a Problematic Concept and results.Social Indicator Results 117;401-419

Riferimenti

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