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Le nuove prospettive del diritto all'oblio alla luce della sentenza Google Spain e del Regolamento (UE) sulla privacy

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

Le nuove prospettive del diritto all’oblio alla luce

della sentenza Google Spain e del

Regolamento UE sulla privacy

Candidato

Relatore

Andrea Grillo

Chiar.ma Prof.ssa D. Poletti

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INTRODUZIONE

Capitolo I

Diritti della personalità e Internet

1.1 Identità personale e profilo virtuale

1.2 Il diritto alla reputazione e le sue attinenze con il diritto all’oblio

1.3 La reputazione nella rete: Web Reputation, Brand Reputation e Reputation Economy

1.4 Il controllo dei dati personali in Internet

Capitolo II

Evoluzione storico-giurisprudenziale del diritto

all’oblio

Sezione prima

2.1 Introduzione

2.2 La nascita del ‘droit à l’oubli’

2.3 Le prime affermazione dottrinali e giurisprudenziali in Italia 2.4 Il riconoscimento di un diritto all’oblio ‘analogico’

2.5 Internet e oblio. Dalla contestualizzazione alla deindicizzazione

Sezione seconda

2.6 Sentenza CGCE 13 maggio 2014, causa C-131/12: Google Spain Vs AEPD, Mario Costeja Gonzàlez

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2.6.1 Il rinvio pregiudiziale dell’Audiencia Nacional alla base della sentenza Google Spain

2.6.2 L’applicazione del diritto comunitario a Google: il criterio funzionale inclusivo del ‘contesto delle attività’ 2.6.3 Il nuovo status di Google: da mero intermediario a

responsabile del trattamento 2.6.4 Oblio e deindicizzazione

2.6.5 Una nuova chiave di lettura dell’oblio: il diritto alla deindicizzazione nella giurisprudenza italiana

2.7 Regolamento (Ue) 679/2016 e diritto all’oblio

2.7.1 L’art. 17 del Regolamento (UE) 679/2016: diritto alla cancellazione e diritto all’oblio

2.7.2 Quali gli obblighi in capo al titolare del trattamento?

Capitolo III

I limiti all’oblio

3.1 Libertà di espressione e manifestazione del pensiero: il fondamentale bilanciamento costituzionale tra diritto all’informazione e diritto all’oblio

3.2 Conservazione della memoria storica e diritto a essere dimenticati

3.3 Diritto all’oblio e pubblici registri

3.4 I parametri applicativi della sentenza ‘Google Spain’ nelle linee guida dell’Article 29 Working Party

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Capitolo IV

Strumenti di tutela

4.1 Premessa

4.2 Forme di tutela tradizionali

4.2.1 I provvedimenti di urgenza ex art. 700 c.p.c. 4.2.2 Il procedimento civile in via ordinaria

4.2.3 La tutela amministrativa del Garante della privacy 4.3 Le forme di tutela “alternative”

4.3.1 La risposta di Google alla sentenza Google Spain v. AEPD and Costeja

4.3.2 Gli strumenti tecnici per la deindicizzazione

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INTRODUZIONE

Il processo di digitalizzazione della realtà continua a procurare profonde metamorfosi in ambito giuridico. Si è sviluppato, negli ultimi decenni, un acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale su temi e quesiti del tutto nuovi. A questi si è cercato di offrire delle soluzioni talora ricorrendo ad una interpretazione innovativa ed estensiva di disposizioni legislative preesistenti, riscoperte e conformate ad uso della persona fisica ora iperconnessa, talora adoperandosi nella ricerca, nella scoperta e quindi nella produzione di nuovi istituti giuridici plasmati ex novo sulla figura dell’utente telematico e sulle neofite esigenze di tutela di questo. L’utilizzo massivo di Internet ha portato ad una rinnovata attenzione nei confronti dei cosiddetti diritti della personalità, ossia quella serie di diritti “aventi natura giuridica di

diritto soggettivo assoluto, essenziale, personalissimo, originario, non patrimoniale, indisponibile, imprescrittibile, irrinunciabile e non trasmissibile”1, volti a garantire ed assicurare le ragioni fondamentali della vita e dello sviluppo, fisico e morale, della persona.

Le nuove pratiche di scrittura, di comunicazione e di diffusione dell’informazione investono nel suo complesso la nostra maniera di agire, di pensare, quindi di essere. L’instaurarsi di una società iperconnessa ridisegna il modo in cui si creano, si intrecciano e si “verificano” le relazioni sociali tra gli individui, così come tra le persone e l’ambiente in cui queste vivono. La realtà risulta aumentata da fattori e strumenti tecnologici diffusi che filtrano la percezione che della stessa si può avere. Ne risulta una comunità

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nella quale ogni elemento sociale è caratterizzato da una storia personale a portata di click, pubblicamente accessibile e difficilmente cancellabile.

Prima della diffusione del Web, attraverso una connessione sempre più mobile, vivevamo un mondo (inteso come sistema di oggetti e relazioni) che aveva una tendenza naturale a dimenticare, e che richiedeva quindi di escogitare tecniche di memorizzazione e archiviazione che non lasciassero cadere nell’oblio importanti frammenti del vissuto. Oggi invece la società “hi-tech” è caratterizzata da una istantanea e permanente registrazione ̵ spesso automatica ̵ insita nel processo stesso di scrittura (messaggi, email, post, tweet, like, commenti, articoli, ecc.) e navigazione.

La persistenza delle informazioni raccolte nella Rete ̵ dettata da una riduzione dei costi di archiviazione che ha reso possibile immagazzinare immensi quantitativi di dati ̵ in comode pagine

Web, apparentemente ben organizzate, indicizzate e dotate di una

forte attrattiva, ha condotto ad una “memoria della Rete infinita e senza tempo”2 che tutto memorizza e nulla dimentica. In questo contesto sorge per la persona un’esigenza impellente, già percepita in un’era ‘pre-digitale’. L’essere dimenticati assurge a necessità, dettata dal riscatto da un passato indebitamente persecutorio. Un affrancamento che non può non passare da un intervento su quei mezzi che hanno fotografato eventi remoti conducendo la persona alla, legittima ma indesiderata, ribalta. Ecco allora che con il diritto all’oblio viene offerto uno strumento giuridico che permette alla persona la riconquista della privacy. Prima la giurisprudenza e in seguito il legislatore comunitario

2G. FINOCCHIARO, La memoria della rete e il diritto all'oblio, in Diritto

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ravvedono nel trascorrere del tempo un importante parametro da valutare quale limite alla libertà di informare ed essere informati. Da ciò il trattamento dei dati personali, effettuato dagli organi di informazione, perde nel tempo il suo iniziale carattere lecito, imponendo come conseguenza la rimozione della informazione dalla memoria di Internet, non rispondendo più questa a esigenze di pubblico interesse alla conoscenza.

Nel presente lavoro di tesi si analizzano in primo luogo quei diritti della personalità che rappresentano il sostrato sul quale si è erto il diritto all’oblio. Si ripercorre poi l’evoluzione storica dell’istituto per approfondire, attraverso uno studio che trascende il diritto all’oblio, l’evoluzione in dottrina e giurisprudenza del diritto ad essere dimenticati. Un’attenzione particolare si riserva alla sentenza Google Spain SL, Google Inc. v Agencia Española de

Protección de Datos, Mario Costeja González del 2014, dato il ruolo

fondamentale avuto nella definizione del diritto all’oblio in rapporto al mondo di Internet, e alle innovazioni introdotte in materia dal recente Regolamento (UE) 2016/679 sulla protezione dei dati personali, il quale, all’art. 17, disciplina espressamente il ‘diritto alla cancellazione («diritto all’oblio»)’. Il presente elaborato si conclude con un’analisi degli strumenti, giuridici e tecnici, che permettono un effettivo esercizio del diritto in parola e del nuovo ruolo assunto dai motori di ricerca a seguito della sentenza Google Spain.

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1

CAPITOLO I

DIRITTI DELLA PERSONALITA’ E INTERNET

1.1 Identità personale e profilo virtuale

Al fine di delineare i contorni del diritto all’oblio e quindi la sfera di applicazione e l’estensione di questo ‘nuovo’ diritto, riconosciuto da ultimo nel recente Regolamento UE sulla privacy3, saranno tracciati i contorni di quei diritti che presentano con il cosiddetto ‘right to be forgotten’ una forte connessione, concentrando l’analisi su alcuni tra i diritti della personalità e sull’influenza che Internet ha avuto su di essi.

Per meglio individuare i diritti a cui si fa riferimento, parte della dottrina4 opera una distinzione tra diritti della persona e diritti della personalità, volendo così marcare la differenza tra gli aspetti attinenti alla persona fisica intesa nella sua corporalità e gli aspetti

3 Regolamento (UE) del 27 aprile 2016 n. 679 - Relativo alla protezione delle

persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) ̵ che d’ora in avanti, per brevità, si

denominerà Regolamento 2016/679. Il testo integrale del Regolamento è consultabile in: L BOLOGNINI. – E. PELINO – C. BISTOLFI, Il Regolamento privacy

europeo. Commentario alla nuova disciplina sulla protezione dei dati personali,

Giuffrè, 2016.

4 G. PINO, Teorie e dottrine dei diritti della personalità, uno studio di

metagiurisprudenza analitica, in Materiali per una storia della cultura giuridica,

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2 afferenti la personalità da considerarsi nella sua dimensione morale, ideale, spirituale, relazionale e sociale.

Rientra tra i diritti appartenenti alla seconda categoria menzionata il diritto all’identità personale, riconosciuto dalla giurisprudenza5 come il diritto a non vedere travisato o alterato all’esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale.

Il diritto in questione, che nasce come costola del diritto al nome e del diritto all’immagine, ha sviluppato nel tempo una sempre maggiore rilevanza. La Corte Costituzionale ha riconosciuto il diritto all’identità personale come appartenente a quei diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana6, riconoscendone altresì l’autonomia e la garanzia costituzionale offertale dall’art. 2 della Carta Costituzionale. Si tratta, quindi, di un diritto ormai pacificamente riconosciuto come pienamente tutelabile e sancito dalla Costituzione della Repubblica.

Una problematica sorge tuttavia laddove si tenti di tracciare un perimetro netto dell’identità di un soggetto e, per quanto nello

5 Ex multis: Cass., 22 giugno 1985, n. 3769, in Foro. it, 1996, p. 2211 con nota di

R. PARDOLESI. Nel celebre “caso Veronesi” la Cassazione così si espresse: “Ciascun soggetto ha interesse, ritenuto generalmente meritevole di tutela

giuridica, di essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identità, così come questa nella realtà sociale, generale e particolare, è conosciuta o poteva essere conosciuta con l’applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva; ha, cioè interesse a non vedersi all’esterno alterato, travisato, offuscato, contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale ecc., quale si era estrinsecato od appariva, in base a circostanze concrete ed univoche, destinato ad estrinsecarsi nell’ambiente sociale”.

6 Corte Cost., 24 gennaio 1994, n. 13 disponibile in Internet all’indirizzo:

http://www.giurcost.org/decisioni/1994/0013s-94.html [consultato in data 12 aprile 2017].

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3 specifico attiene al diritto dell’informatica, sulla questione se il diritto, così come descritto dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 7769/19857, possa essere ascrivibile non solo ad una persona fisica reale, ma altresì ad un profilo virtuale, arrivando dunque ad una equiparazione dell’identità digitale e dell’identità personale.

La questione che rileva è la suddetta: alla luce del fatto che, tramite processi di anonimizzazione, pseudonimizzazione o terzi processi di alterazione della percezione della realtà fattuale può verificarsi una forte discrasia tra l’identità virtuale e l’identità del soggetto che sta dietro al profilo virtuale, può considerarsi l’identità virtuale tutelabile alla stregua di quella personale?

Ebbene, laddove l’identità digitale si palesi in una mera proiezione di sé stessi sul web8, allora la giurisprudenza9 ha optato per una effettiva parificazione tra mondo virtuale e mondo reale ̵ così come spesso avviene in ambito penalistico ̵ con una estensione analogica della tutela che l’ordinamento offre all’identità personale (o al nome e lo pseudonimo qualora oggetto della questione sia il nickname10) all’identità virtuale. Resta ferma, inoltre, la tutela offerta all’identità personale dal decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 ̵ dove l’identità personale è espressamente richiamata negli artt. 1 e 2 ̵ il quale garantisce il

7 V. supra, nota 4.

8 G. SCIULLI, Il diritto all’oblio e l’identità digitale, Narcissius, Bologna, 2014. 9 Principio ribadito, ex multis, in: Cass., 5 aprile 2012, n. 5525, in Nuova giur. civ.

comm., 2012, pp. 836 e ss., con nota di A. MANTELERO, Right to be forgotten ed archivi storici locali.

10 Sulla questione cfr. M. NISTICO’, Identità digitale e diritto al nome: il problema

dell’usurpazione e la questione dell’anonimato, in P. PASSAGLIA – M. NISTICO’ (a

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4 diritto dell’individuo a ottenere la rettifica, la contestualizzazione, l’aggiornamento progressivo nel tempo e, in taluni casi, la de-indicizzazione e la cancellazione dei propri dati personali dal web, al fine di assicurare una rappresentazione corretta e attuale della propria identità11.

Viceversa qualora il soggetto, attraverso gli strumenti che Internet offre, abbia creato un profilo del tutto fittizio discostandosi in maniera netta dalla propria identità reale, allora egli non potrà godere della medesima tutela apprestabile a protezione della sua identità personale, in quanto questa si riferisce esclusivamente ad un soggetto identificabile ed al suo patrimonio intellettuale, politico, religioso non ascrivibile dunque ad un profilo anonimo o inventato di sana pianta12 e che, quindi, non rispecchia una corrispondenza con la “rappresentazione integrale della

persona”1314.

11 G. E. VIGEVANI, Identità, oblio, informazione e memoria in viaggio da

Strasburgo a Lussemburgo, passando per Milano, in Danno e responsabilità,

2014, pp. 742-748.

12 G. FINOCCHIARO, Diritto all’anonimato. Anonimato, nome e identità personale,

in F. GALGANO (a cura di), Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico

dell’economia, CEDAM, Padova, 2008.

13 S. RODOTA`, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla

protezione dei dati personali, in Riv. crit. dir., 1997, p. 605.

14 G. RESTA, Identità personale e identità digitale, in Il diritto dell’informazione e

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5

1.2 Il diritto alla reputazione e le sue attinenze con il diritto all’oblio

Altro diritto inerente l’integrità morale della persona che presenta forti legami con il diritto all’oblio è, inevitabilmente, quel diritto che attiene alla proiezione verso terzi della propria identità personale e del giudizio che da tale proiezione scaturisce.

La reputazione, intesa come la rappresentazione della personalità di un soggetto in una cerchia di consociati15 da cui deriva la stima sociale di cui il soggetto gode nella comunità in cui vive od opera16, è dunque, tra i diritti garantiti dal nostro ordinamento, quello che maggiormente si avvicina, per affinità teleologica, all’oggetto di questo lavoro. Per tale motivo, nel presente paragrafo, si svolgerà un’introduzione all’istituto salvo poi concentrarsi, nel paragrafo successivo, sulla tutela della reputazione on line.

Il diritto in questione ha origini molto antiche e nel nostro ordinamento una definizione della reputazione si è sviluppata principalmente in ambito penalistico (sebbene il numero di cause aventi ad oggetto la lesione della reputazione, dell’onore o del decoro pendenti in sede civile, volte ad ottenere un risarcimento

ex artt. 2043 e 2059 c.c., abbiano ad oggi di fatto superato le liti

pendenti in sede penale1718) partendo dal reato di diffamazione,

15 V. ZENO-ZENCOVICH, Onore e reputazione in Digesto – discipline privatistiche

– sezione civile, UTET, 1996.

16 A.RICCI, Il valore economico della reputazione nel mondo digitale. Prime

considerazioni, in Contratto e Impr., 2010, p. 1297 e ss..

17 Sul rapporto tra giudizio civile e penale in materia di risarcimento del danno

cfr. P. ZIVIZ, La Responsabilità Civile, I danni non patrimoniali, in P. CENDON (a cura di) Il diritto italiano nella giurisprudenza UTET, 2012, pp. 346 e ss..

18 Sulla facoltà di adire direttamente il giudice civile senza la necessità di

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6 intesa come l'offesa arrecata alla reputazione altrui in assenza del soggetto passivo, comunicando con più persone ̵ e che prevede tra le aggravanti l’utilizzo del mezzo della stampa o di qualsiasi altro mezzo di pubblicità19 ̵ previsto dall’art. 595 c.p.. Gli elementi costitutivi della fattispecie sono quindi tre: l'offesa alla reputazione altrui, l'assenza della vittima del reato e la comunicazione con più persone20.

Ciò che rileva in questa sede è come, analogamente al diritto all’oblio, il reato di diffamazione trovi il suo fondamento nell’esigenza di tutela della dignità sociale e, in virtù di ciò, si presentino per esso le medesime problematicità che si riscontrano in tema di diritto all’oblio.

In primis un problema di tipo ontologico, concernente la

variabilità storica ed etimologica del sintagma “dignità sociale”, posto come specificazione della dignità umana e, quindi, del bene giuridico oggetto di tutela. Fermi il riconoscimento di “bene fondamentale” riconosciuto dalla Corte Costituzionale21 e i

Dir. inf., 1985, p. 143, con nota di S. FOIS, G. GIACOBBE, F. MOROZZO DELLA

ROCCA.

19 La giurisprudenza dominante riconosce l’applicabilità dell’aggravante di cui

all’art 595 c.p., 3° co. (“Offesa recata… con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”) alla diffamazione perpetrata attraverso l’utilizzo di Internet. Sul punto Cfr. Cass. Sez. V, 27 dicembre 2000, n. 4741, CED 217745; Cass. pen. sez. I, 16 Aprile 2016, n. 16712; In dottrina: V. PEZZELLA, La diffamazione, UTET, 2016; C. PARODI, I

reati di ingiuria e diffamazione a mezzo internet in Diritto penale e processo,

IPSOA, 2000, pp. 882 e ss.. In senso contrario: M. MINASOLA, Blogging e

diffamazione: responsabilità dell’amministratore del sito per i commenti dei lettori in Archivio Penale, 2013, n. 3.

20 G.FIANDACA – E.MUSCO, Diritto penale, parte speciale, Vol. II, 1, I delitti contro

la persona, Zanichelli, 2013, pp. 104 e ss..

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7 plurimi richiami al principio supremo del rispetto della dignità della persona nei dettati costituzionali di altri Paesi22 o nei più importanti Patti e Convenzioni Internazionali23, il concetto di dignità umana, e quindi sociale, si presenta come eterogeneo, mutevole nei vari tempi e nei vari luoghi e, quindi, in fase di costante evoluzione e adattamento24.

In secundis, così come sistematicamente avviene in sede

giudiziale25 (ma anche extragiudiziale26) nella verifica sulla legittimità dell’invocazione del diritto all’oblio, anche in materia di tutela della reputazione è necessario porre, come contrappeso alla tutela della dignità del soggetto, il diritto alla libera manifestazione del pensiero e il diritto di cronaca, che con questo si pone in un rapporto di genus ad speciem. Notiamo dunque come, anche nella tutela dell’integrità della reputazione, ci si trovi a commisurarsi con il medesimo interesse che nei confronti del diritto all’oblio si pone come principale interesse antinomico, ossia la libertà d’espressione e l’interesse pubblico alla diffusione della notizia. È bene specificare, tuttavia, che nei casi concernenti il diritto all’oblio, salvo rari casi, non ci troviamo di fronte ad una notizia avente carattere diffamatorio in quanto l’informazione,

22 A titolo di esempio: Legge Fondamentale Tedesca, art. 1: “La dignità dell'uomo

è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”;

Costituzione federale della Confederazione Svizzera, art. 7: “La dignità della

persona va rispettata e protetta”.

23 A titolo di esempio: Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, 1948, che

all’art. 1 recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.

24 E. RIPEPE, Sulla dignità umana e su alcune altre cose, Giappichelli, 2014. 25 Ad es. Cass., 24 giugno 2016, n. 13161, in Foro it., 2016, p. 2729. 26 Vedi infra cap. IV.

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8 nuovamente diffusa o mai rimossa/aggiornata, appartiene al mondo delle verità acquisite e non contestate.

1.3 La reputazione nella rete: Web Reputation, Brand

Reputation e Reputation Economy

Il diritto alla reputazione è altresì tra quelli che ha subito in maggior misura l’influenza di un utilizzo diffuso di Internet. Se invero si vanno ad analizzare distintamente gli elementi strutturali da cui la reputazione (e, sul piano patologico, la lesione di essa) è costituita, si nota come questi siano stati stravolti in maniera radicale dallo sviluppo del Web come nuovo mezzo di comunicazione e informazione.

Internet ha innanzitutto esteso in maniera esponenziale il novero dei soggetti destinatari delle informazioni, che tramite esso vengono veicolate, portando a una diffusione globale dei dati pressoché istantanea. La facilità di accesso, di conservazione e di riproduzione dell’informazione, la diffusione capillare del mezzo, l’immediatezza della distribuzione, la permanenza sulla rete a tempo indeterminato (aspetto questo sul quale interviene il diritto all’oblio) hanno condotto ad una espansione, proporzionale al potenziamento di Internet e dunque abnorme, della capacità lesiva di un’offesa che può derivare al diritto alla reputazione di un soggetto dalla propalazione di una notizia a carattere diffamatorio sul Web.

La Rete ha poi offerto numerose nuove vie di diffusione dell’informazione (e-mail, social network, blog, forum, portali dedicati alle recensioni, testate giornalistiche online, solo per citarne alcuni) che spesso presentano una totale mancanza di filtri in ingresso delle notizie. In virtù dell’interattività della rete ciascun utente può al tempo stesso essere fruitore e creatore di

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9 informazioni, è stato affermato in dottrina che: «chiunque può

diffondere informazioni senza che siano operabili vagli di riconoscibilità dell’autore, di autorevolezza, di correttezza, di completezza o di mera corrispondenza al vero del contenuto dell’informazione inserita, con effetti evidenti sulla qualità dell’informazione27».

Allo stesso tempo, la Rete offre al soggetto passivo un potere di reazione più rapido ed efficace rispetto al passato. A differenza di quanto avviene nel mondo fisico, ove la reputazione rappresenta una forma di patrimonio socialmente acquisito, derivante dall’altrui considerazione e su cui l’interessato non può incidere direttamente, se non in maniera modesta, nel mondo digitale, in ragione proprio del carattere interattivo della Rete, il soggetto passivo può facilmente monitorare in maniera costante il contenuto delle informazioni diffuse in Internet ed interferire nel processo di formazione dell’opinione pubblica arrivando finanche a porre in essere una autopromozione della sua persona28. Da quanto appena descritto si desume dunque come la Rete, con la sua accessibilità, abbia portato ad una diversa concezione di reputazione. Non più esclusivamente intesa come recezione sociale della proiezione dell’individuo ma, altresì, come uno strumento di valorizzazione sociale e quindi di promozione dell’individuo (Web Reputation).

La considerazione sociale assume poi una maggiore rilevanza di carattere economico, trasformandosi a tutti gli effetti in un bene avente carattere patrimoniale, laddove questa si riferisca a un’attività economica o ad un professionista. È evidente come oggi

27 A. RICCI, La reputazione nell’era digitale, in G. FINOCCHIARO, F. DELFINI (a

cura di), in Diritto dell’informatica, UTET, 2014, p. 151.

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10 la reputazione digitale rappresenti per ogni operatore economico un asset strategico in grado di generare considerevoli vantaggi in termini di competitività e, in ragione di ciò, si è venuto a creare un insieme di figure professionali specializzate nella reputazione online (tecnici, esperti di marketing, giuristi) che, monitorando e adeguatamente intervenendo sulla reputazione di un’azienda su Internet, hanno dato vita a quella che viene definita Reputation

Economy29. Investire in azioni mirate al consolidamento della fama e del credito di cui si gode presso gli operatori del mercato (consumatori telematici in primis) equivale a compiere un'operazione finalizzata alla crescita del valore sociale dell’impresa. Questa forma di reputazione che si suole definire reputazione aziendale o professionale (Brand Reputation o

Corporate Reputation), è costituita da commenti, articoli,

recensioni o semplici opinioni espresse dagli utenti su imprese, aziende, prodotti o servizi ed è in grado di produrre ingenti guadagni o, in senso inverso, di portare al fallimento un’impresa o un professionista.

Sebbene i limiti tra reputazione commerciale e reputazione personale si presentino spesso come sfumati (si pensi, ad esempio, al rapporto che sussiste tra la reputazione dell’impresa e la reputazione dell’imprenditore che ha legato il suo nome a questa), è importante sottolineare come il diritto alla reputazione commerciale si ponga su un piano differente rispetto al diritto alla reputazione personale e da questo vada tenuto distinto. La reputazione personale, infatti, annoverabile tra i diritti inviolabili

29 Q. LEI, Financial value of reputation: evidence from the ebay auctions of gmail

invitations in The Journal of Industrial Economics, vol. 59, no. 3, 2011, pp. 422–

456, disponibile nella banca dati JSTOR all’indirizzo www.jstor.org/stable/41289461 [consultato in data 29 aprile 2017].

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11 della persona, tutela un interesse legato alla dignità della persona non connotato da un carattere patrimoniale. La reputazione commerciale, invece, attiene a quei diritti patrimoniali che si legano all’art. 41 della Costituzione e che tutelano l’interesse a non subire un danno ingiusto derivante da un discredito commerciale del soggetto nel settore lavorativo in cui opera. Questo aspetto pone i due diritti su piani differenti ed ha delle importanti ripercussioni, ad esempio per quanto riguarda le regole inerenti l’onere probatorio in un giudizio avente ad oggetto la lesione della reputazione. Per quanto concerne la reputazione personale, nel momento in cui in giudizio viene provato il fatto lesivo, il danno è

in re ipsa e dunque le conseguenze lesive della condotta non

necessitano di prova diretta; viceversa, per ottenere una tutela risarcitoria alla lesione della reputazione commerciale, la prova del fatto lesivo non è mai stata riconosciuta come sufficiente, rendendosi dunque necessario la dimostrazione che tale offesa ha cagionato un danno ingiusto patrimoniale e/o non patrimoniale, del cui onere probatorio è gravato il danneggiato30. Il profilo è molto dibattuto in dottrina31 ed anche la giurisprudenza di

30 R. CUSMAI, E. GREGORACI, Lesione della reputazione professionale:

risarcimento del danno non patrimoniale in Le questioni, Il sole 24 ore; Edizione

febbraio 2010, n°2, Disponibile in Internet all’indirizzo: www.24oreavvocato.ilsole24ore.com, [Consultato in data 24 aprile 2017].

31 E. NAVARETTA (a cura di), Il danno non patrimoniale: principi, regole e tabelle

per la liquidazione, Giuffrè, 2010; Cass., 18.4.2007, n. 9233, in Danno e resp.,

2007, 151, con nota di P. MANINETTI, Danno in re ipsa: il danno evento è sempre

in agguato; S. SANZO, Note in tema di protesto illegittimo e danno alla reputazione (personale e commerciale) in Giur. it., pp. 770 e ss.

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12 legittimità è apparsa scostante sul tema32: sembra tuttavia che si stia consolidando il principio del danno-conseguenza a scapito del danno-evento anche in materia di risarcimento di danni non patrimoniali derivanti da lesioni di diritti della persona.

1.4 Il controllo dei dati personali in Internet

L’art. 1 del Codice della Privacy così recita: «Chiunque ha diritto

alla protezione dei dati personali che lo riguardano». Si tratta di un

costrutto legislativo frutto di un’evoluzione storico/giuridica del concetto di privacy lunga più di un secolo. La prima definizione di

“right to privacy” si fa risalire tradizionalmente al 1890, quando

Samuel Warren e Louis Brandeis – due avvocati statunitensi e professori alla Harvard University – in seguito al fatto che uno dei due (Warren) fu oggetto d’attenzione da parte dei giornali locali per vicende legate alla vita mondana della consorte, scrissero un saggio, pubblicato sulla Harvard Law Review33 intitolato “The

Right to Privacy. The Implicit Made Explicit34”. In questo testo monografico teorizzavano, attraverso una interpretazione

32 A favore di un riconoscimento diretto del danno Cass., 5 novembre 1998, n.

11103 in Corr. giur., 1999, p.998; Cass. civ., 10 maggio 2001, n. 6507, in GC, 2001, 2644; Cass. Civ., 27 aprile 2004, n. 7980. In senso contrario Cass. Civ., sez un., 11 novembre 2008, n. 26972, in Guida al diritto, 2008, p. 18; Cass., 28 settembre 2012, n. 16543, in Danno e resp., 2014, p. 247, con nota di MEINERI,

«Pigiami e camici»: an e quantum del danno da diffamazione; Cass., 12 giugno

2015, n. 12225.

33 Rivista giuridica ancora oggi tra le più autorevoli negli Stati Uniti.

34 S. D. Warren, L. D. Brandeis, Right to privacy, in Harvard Law Review, Vol. 4,

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13 estensiva dei diritti alla proprietà e alla vita35, un archetipo del diritto alla privacy così come è attualmente conosciuto, asserendo l’esigenza di un riconoscimento del diritto ad essere lasciati da soli (nella versione originale “right to be let alone”). Essi sostenevano l’esistenza di una sfera intangibile della vita privata alla quale doveva essere garantita una permeabilità da ogni ingerenza esterna e in particolar modo, poste le ragioni da cui scaturisce il saggio, da interferenze nella sfera privata da parte dei mass media. Il principio della tutela della privacy nasce quindi dal desiderio che non venga violata la propria intimità, dalla volontà di essere lasciati in pace36, quanto meno tra le proprie mura domestiche, e dall’interesse a non vedere rilevate informazioni private tra i cosiddetti pettegolezzi da rotocalco. Nella sua forma iniziale, il diritto alla privacy era inteso dunque come jus excludendi alios37 e rivolto esclusivamente alla tutela di quelle persone dotate di una certa notorietà (altresì detti personaggi pubblici o Vips) e in

35 Ibid. «…adesso il diritto alla vita significa il diritto a godersi la vita, il diritto a

stare da soli; il diritto alla libertà assicura l’esercizio di privilegi civili; e il termine proprietà è cresciuto fino a comprendere ciascuna forma di possesso sia intangibile che tangibile». Nella versione originale: «… now the right to life has come to mean the right to enjoy life, — the right to be let alone ; the right to liberty secures the exercise of extensive civil privileges ; and the term “property” has grown to comprise every form of possession — intangible, as well as tangible.»

36 M.SURACE, Analisi socio-giuridica del rapporto tra sorveglianza e diritto alla

riservatezza nell'era di Internet, Disponibile in Internet all’indirizzo

http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/control/surace/index.htm [Consultato in data 28 aprile 2017].

37 S. SICA, La tutela dei dati personali, Cap. 3 in D. VALENTINO (a cura di),

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14 questa accezione si affermò nelle aule giudiziarie statunitensi durante i primi decenni dello scorso secolo38.

Lo sviluppo di nuove tecnologie volte al controllo ed allo spionaggio delle persone, portò ad una immorale intrusione nella sfera privata dei cittadini da parte delle autorità statali (si pensi, ad esempio, all’attività svolta dalla Gestapo e dalla Stasi in Germania), e ciò fece sì che il concetto di privacy presto trascese l’originaria impostazione legata alla riservatezza in senso stretto, spostando l’attenzione verso una tutela in senso ampio della privacy, che ha condotto nel tempo al riconoscimento non solo della libertà negativa di non subire interferenze nella propria vita privata – c.d. diritto alla riservatezza in senso stretto –, ma anche del diritto di esercitare una padronanza sul flusso delle informazioni riferibili alla persona39.

Andando ad analizzare l’evoluzione che la privacy ha avuto nel nostro ordinamento, vediamo come già durante il periodo fascista parte della dottrina avesse teorizzato l’esistenza tra i diritti della personalità, del diritto alla riservatezza40. A partire dagli anni Cinquanta, in alcune note sentenze di merito41, i giudici riconobbero l’esistenza di tale diritto, talora attraverso

38 Cfr. Weeks v. United States, 232 U.S. 383 (1914) disponibile in Internet

all’indirizzo

https://supreme.justia.com/cases/federal/us/232/383/case.html [Consultato in data 30 aprile 2017].

39 G. FINOCCHIARO, F. DELFINI (a cura di), Diritto dell’informatica, UTET, 2014. 40 Cfr. A. RAVA’, Istituzioni di diritto privato, CEDAM, Padova 1938; A. De Cupis,

I diritti della personalità, in CICU, MESSINEO (diretto da) Trattato di diritto civile, Milano, 1942.

41 Trib. Roma, 14 settembre 1953, in Foro it., 1954, 1, e. 115 e ss., c.d. “Caso

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15 un’applicazione analogica della tutela al diritto d’immagine, talora ritenendo applicabile l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo42; ma, in entrambi i casi, in sede di legittimità le sentenze furono ribaltate dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale sul punto di diritto si espresse negativamente, affermando che “il semplice desiderio di riserbo non è stato ritenuto dal

legislatore un interesse tutelabile”, e quindi che nell’ordinamento

italiano non esiste “un generale diritto alla ‘riservatezza’, o

‘privatezza’”43. Sempre in Italia, i primi interventi del legislatore in materia di privacy si ebbero in ambito lavoristico nel corso degli anni Settanta. Nello Statuto dei Lavoratori44 il legislatore previde alcune disposizioni volte alla tutela della dignità morale e della privacy dei lavoratori. L’art. 4, ad esempio, ove si vieta al datore di lavoro l’esercizio di un controllo a distanza mediante l’utilizzo di impianti audiovisivi, o anche l’art. 8 il quale proibisce al datore di lavoro di svolgere indagini su fatti non rilevanti circa l’attitudine professionale (vengono specificamente richiamate le opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore). Si tratta di un primo

42 “Convenzione del Consiglio d’Europa per la salvaguardia dei diritti dell’uomo

e delle libertà fondamentali”, firmata a Roma nel 1950 e ratificata in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848. L’art. 8 così dispone:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui».

43 Cass., 22 dicembre 1956, n. 4487, in Giur. it., 1957, pp. 366 e ss.. 44 L. 20 maggio 1970, n. 300.

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16 importante intervento in materia di privacy, sebbene rivolto ad una categoria determinata di individui – il riferimento si limita ai lavoratori nell’ambito lavorativo – e senza il richiamo espresso al diritto in parola45.

All’inerzia del legislatore ha supplito la Suprema Corte che nel cosiddetto “caso Soraya”46 formalmente riconobbe l’esistenza di un diritto alla riservatezza anche nel nostro ordinamento, sulla base del combinato disposto degli artt. 2 e 3 della Costituzione e degli artt. 8 e 10 della CEDU, definito come il diritto “che consiste

nella tutela di quelle vicende strettamente personali e familiari le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l’onore, la reputazione o il decoro, non siano giustificate da interessi pubblici preminenti”

Le riflessioni sul diritto alla riservatezza appassionarono poi i giuristi degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, ma una significativa innovazione sul tema si ebbe solo a metà degli anni novanta quando, nel 1996, il legislatore intervenne sulla materia ̵ per rispettare gli accordi di Schengen e dare attuazione alla direttiva 95/46/CE ̵ con la legge 31 dicembre 1996 n. 675 ‘Tutela

delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali’, la quale entrò in vigore nel maggio del 1997 e fu negli

anni successivi ampiamente riformata e affiancata da diverse leggi

45 Il coordinamento fra disciplina lavoristica e protezione dei dati personali è

sempre stato particolarmente stringente. Questo nesso è evidenziato, tra le altre cose, dai numerosi richiami effettuati nelle più rilevanti leggi sul lavoro ̵

ex multis v. d.lgs. 81/2015 (c.d. Jobs act) ̵, alla disciplina contenuta nel c.d.

Codice della privacy.

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17 speciali, tanto da portare, pochi anni dopo la sua vigenza, ad un’esigenza di riordino della materia che sfociò nell’emanazione del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, altresì noto come ‘Codice della Privacy’, e che rappresenta il testo attualmente vigente in materia47. In questo testo unico in materia di privacy, il diritto alla protezione dei dati personali viene configurato come diritto del soggetto ad avere una padronanza delle informazioni che ad esso si riferiscono e che si esplicita in un diritto di accesso, controllo e rettifica dei propri dati personali, nonché di opposizione al trattamento di questi48. L’art. 4 del Codice ci restituisce poi una

47 Per completezza si fa presente che nel momento in cui si scrive è già entrato

in vigore il Regolamento (UE) 2016/679 relativo alla protezione delle persone

fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali ̶ che andrà ad abrogare la

Direttiva Privacy 95/46/CE ̶ il quale tuttavia diventerà applicativo a decorrere dal 25 maggio 2018.

48 Cfr. Art. 7, D.lgs. 196/2003: «Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti.

1. L'interessato ha diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.

2. L'interessato ha diritto di ottenere l'indicazione: a) dell'origine dei dati personali;

b) delle finalità e modalità del trattamento;

c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l'ausilio di strumenti elettronici;

d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell'articolo 5, comma 2;

e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.

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18 definizione molto ampia di dato personale, dal quale deriva all’interessato un potere di controllo sulla generalità delle informazioni a lui riferibile49, fermo restando il rispettoso bilanciamento con le altre libertà sancite da diritti costituzionalmente garantiti.

Ormai da diversi decenni i dati vengono trattati con l’ausilio di mezzi elettronici; essi corrono a ritmi vertiginosi nella Rete la quale dispone di una capacità di memoria pressoché illimitata. In un sistema di questo tipo si può facilmente intuire come l’esercizio di un potere di controllo sui propri dati personali, sancito dall’art.

a) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati;

b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;

c) l'attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.

4. L'interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:

a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;

b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale».

49 Così l’art. 4, co. 1, lett. b: «Ai fini del presente codice si intende per "dato

personale", qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale».

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19 7 del d.lgs. 196/2003, incontri delle importanti criticità, intrinseche alla natura stessa della Rete. Internet ha portato enormi ed evidenti benefici in quasi tutti gli aspetti della vita umana, ma ha altresì dato origine ad alcune gravi difficoltà nella protezione dei dati personali degli utenti. La complessa collocazione territoriale e l’“inafferrabilità” del Web, lo sfruttamento massivo dei dati personali degli utenti (si pensi, ad esempio, al possibile uso distorto della profilazione on-line) con la consequenziale mercificazione dell’individuo50, il trattamento automatizzato dei dati di carattere personale e la loro raccolta in archivi informatici (si pensi ai Big Data), le difficoltà nell’identificazione di un responsabile in caso di illecito trattamento dei dati, la regolamentazione di nuove forme contrattuali che hanno proprio come oggetto il trattamento dei dati personali (ad es. Cloud Computing) e altri aspetti contrattuali riguardanti i contratti stipulati attraverso Internet sono solo alcune delle problematiche che hanno interessato negli ultimi anni dottrina e giurisprudenza e che sono state oggetto di molteplici argomentazioni interpretative ed applicative. Si tratta di tematiche di estrema importanza in quanto le attività che un utente pone in essere attraverso la connessione in Rete sono numerose e di tale delicatezza, da mettere a rischio valori come la sua libertà, dignità e sicurezza51.

“L'invasività delle tecniche di circolazione delle informazioni porta, in effetti, alla creazione di tre situazioni in cui il diritto dell'individuo di sviluppare

50 A. MANTELERO, Il costo della privacy tra valore della persona e ragione

d'impresa, Giuffrè, 2007.

51 F. CARIGLINO, A. BENVEGNÚ, F. PARUZZO, Diritto dell’Internet, Primiceri

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20 appieno le proprie potenzialità risulta messa in pericolo: la perdita della propria tranquillità a seguito di un'utilizzazione persecutoria dei dati, la distorsione della propria identità sociale, tale da compromettere le relazioni con i soggetti quotidianamente avvicinati dall'individuo tutelato e, infine, l'impossibilità di operare delle scelte in maniera autonoma a seguito delle informazioni indiscriminate incidenti sulla propria sfera giuridica.”

Così un autore52 riassume in tre macrocategorie le insidie in cui

può incorrere un utente nell’utilizzo di Internet.

Gli strumenti predisposti a tutela dell’utente telematico sono prevalentemente contenuti all’interno del Codice della Privacy e, in materia di commercio elettronico, nel d.lgs. n. 70/200353. Nella salvaguardia del diritto alla privacy un ruolo fondamentale lo hanno: l’obbligo di fornire una preventiva, completa e corretta informazione sulle modalità di raccolta e utilizzo dei dati personali, che verte in capo al titolare, o anche al responsabile, del trattamento (art. 13 Cod. Priv.); la disciplina del consenso al trattamento da parte dell’interessato che deve essere libero e preceduto da idonea ed esaustiva informativa (artt. 23 e ss. Cod. Priv.); la necessaria autorizzazione del Garante della Privacy54 nel

52 Così G. CASSANO, Il diritto alla riservatezza fra dottrina e giurisprudenza,

disponibile su Internet all’indirizzo www.studiocelentano.it.

53 Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 - Attuazione della direttiva

2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno –

testo disponibile in Internet all’indirizzo http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/03070dl.htm, [Consultato in data 1 maggio 2017].

54 Il Garante per la protezione dei dati personali è un'autorità amministrativa

indipendente istituita dalla legge n. 675 del 31 dicembre 1996 tra i cui compiti vi sono quelli di controllare che i trattamenti siano effettuati nel rispetto delle

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21 trattamento di talune categorie di dati (art. 26 Cod. Priv.); l’ispirazione ai principi di necessità (art. 3 Cod. Priv.), liceità, correttezza, pertinenza, proporzionalità, esattezza e conservazione nel trattamento dei dati personali raccolti; il potere dissuasivo dell’apparato sanzionatorio predisposto dal Codice (artt. 161 e ss.)55.

La privacy, bene giuridico costituzionalmente protetto, trova dunque in Internet uno strumento potenzialmente pericoloso ma, al tempo stesso, una raggiunta maturazione legislativa sul tema offre all’utente telematico gli strumenti di una ampia tutela preventiva e repressiva.

norme di legge, di ricevere ed esaminare i reclami e le segnalazioni e provvedere sui ricorsi presentati dagli interessati.

55 L’art 83 del Regolamento (UE) 2016/679 ha innalzato sostanzialmente i

limiti massimi delle sanzioni pecuniarie previsti nel d.lgs. 196/2003. Il regolamento applicabile dal 2018 prevede, nei casi più gravi, sanzioni amministrative pecuniarie fino a venti milioni di euro o, nel caso in cui il trasgressore sia un’impresa, fino ad un importo pari al 4% del fatturato mondiale annuo conseguito nell’esercizio precedente.

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22

CAPITOLO II

L’EVOLUZIONE STORICO-GIURISPRUDENZIALE DEL

DIRITTO ALL’OBLIO

1.1 Introduzione

Il diritto all’oblio rientra tra quei diritti della personalità preesistenti all’avvento di Internet ma che da questo sono stati radicalmente trasformati. Il diritto all’oblio in particolare ha trovato nella Rete un ‘humus’ e sede di applicazione ideale. Il Web ha portato ad una nuova chiave di lettura dell’oblio, quale interesse non più tutelabile esclusivamente a fronte di una reiterata divulgazione di un’informazione riguardate la persona, ma altresì nell’ipotesi di una permanenza ad libitum dell’informazione nella Rete.

Il diritto all’oblio, identificato nell’art. 17 del nuovo Regolamento sulla privacy come ‘right to be forgotten’, assume una valenza fondamentale nel panorama dei nuovi diritti della personalità. In un’epoca in cui sempre più l’individuo viene percepito attraverso la sua reputazione e la sua identità digitale, la possibilità di intervenire sul solco tracciato da eventi pregiudizievoli rinvenibili attraverso i motori di ricerca assume una evidente e palese rilevanza. La volontà di apprestare una tutela a questo interesse, nonché l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale dei diritti della personalità quali quello alla riservatezza, all’identità personale e al principio di dignità della persona, hanno portato al conio di un nuovo diritto, riconosciuto in maniera netta dalla Corte di

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23 Giustizia della Comunità Europea il 13 maggio del 2014 e recepito nel Regolamento UE sulla privacy del 2016.

2.2 La nascita del ‘droit à l’oubli’

Sebbene il nostro ordinamento appartenga a quella tradizione giuridica riconducibile alla c.d. famiglia di civil law56, l’attività

ermeneutica esercitata dalla giurisprudenza nel corso della storia repubblicana del nostro Paese ha giocato un ruolo fondamentale di precursore e sollecitatore di norme su esigenze sociali non ancora oggetto di attenzione da parte del legislatore. Giurisprudenza e dottrina si sono spesso poste come forze originarie e originanti di nuove figure giuridiche svolgendo un’attività di natura non solo interpretativa ma altresì creativa e definitoria. Questa loro funzione ha trovato specifica applicazione in molti di quei diritti considerati di ‘nuova generazione’, e ciò anche in conseguenza della velocità di produzione di nuovi mezzi informatici e del consequenziale e continuo affacciarsi nel panorama giuridico di nuove esigenze di tutela, cui con difficoltà il legislatore nazionale riesce a far fronte. Il diritto storicamente emerge da un sostrato sociale fatto di motivazioni psicologiche,

56 Gli ordinamenti di Civil Law sono quelli che si ispirano al modello introdotto

in Francia nei primi dell’Ottocento con la codificazione napoleonica, la cui caratteristica è quella di affidare un ruolo primario alla fonte legislativa. Il legislatore e la legge codificata assumono così il ruolo di cardine del diritto mentre ai giudici viene demandato il compito (subordinato) di applicare la legge attraverso la sua corretta interpretazione. A questo si contrappone il sistema di Common Law, tipico degli ordinamenti anglo-sassoni e vigente in Paesi quali gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito o il Canada (con esclusione del Québec). Cfr. CARETTI P. – DE SIERVO U., Diritto costituzionale e pubblico,

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24 antropologiche e culturali57 e, nel caso in questione, dalla esigenza di regolamentazione del rapporto sussistente tra evento e ricordo (privato ma soprattutto pubblico), tra informazione e fatto che ad essa precorre, tra recupero sociale della propria identità e interesse generico e facoltà cognitiva del “pubblico”, tra persona e

media.

Sebbene si possa immaginare come il desiderio che alcuni fatti negativi vengano pubblicizzati il meno possibile sia innato nella natura umana, l’esigenza di una regolamentazione, avente ad oggetto la riproposizione di vecchie notizie, è divenuta impellente con la diffusione dei cosiddetti mezzi di informazione di massa. Già in precedenza si è evidenziato come alla nascita del diritto alla privacy si ponga, in definitiva, la diffusione sulla carta stampata di notizie considerate come riservate dai soggetti interessati, nonché ideatori del concetto di diritto alla privacy (WARREN - BRANDEIS, 1890). Così, anche per il diritto all’oblio, il potenziale diffusivo del mezzo giornalistico si è posto come forza motrice di una discussione dottrinale vertente sulla legittimità del richiamo di notizie appartenenti ad un passato ragguardevolmente lontano. L’espressione ‘Diritto all’oblio’ (Droit à l’oubli) fu coniata dalla dottrina francese nel 1965, in una nota ad un caso giudiziario legato ad una produzione cinematografica in cui venivano narrati gli eventi criminosi del serial killer Henri Landru (altrimenti noto come Barbablù), attivo nella Francia settentrionale tra il 1915 e il 191958.

57 A. MANTELERO, Il diritto all’oblio dalla carta stampata ad Internet, in

PIZZETTI F., Il caso del diritto all’oblio, Giappicchelli, 2013, pp. 145 e ss..

58 Henri Désiré Landru, noto anche come il "Barbablù di Gambais", fu uno dei

primi assassini seriali francesi che, a partire dal 1915, mise in atto un piano per raggirare e uccidere donne benestanti al fine di impossessarsi dei loro averi. Landru, dopo aver adescato facoltose signore in cerca di marito, le spingeva con

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25 Le vicende del pluriomicida Landru furono descritte in numerosi scritti e rappresentazioni cinematografiche tra cui il film “Landru”, diretto da Claude Chabrol e proiettato per la prima volta il 25 gennaio 196359. Tale film portò ad una doglianza da parte di una delle amanti del losco personaggio, la quale chiedeva un risarcimento per danni morali, lamentando come il film, riproponendo un periodo remoto e doloroso della sua vita privata, avesse rievocato pubblicamente fatti che essa era intenzionata a dimenticare. Le istanze avanzate dalla ricorrente furono inizialmente accolte in primo grado – il giudice francese in questo caso evocò una prescription du silence ̵ salvo poi essere respinte in appello60. In una nota alla sentenza l’autorevole Prof. Gérard Lyon-Caen, per rappresentare il contenuto del diritto riconosciuto in prima istanza alla ricorrente, utilizzò per la prima volta la fortunata formula droit à l’oubli. Questo identificava la pretesa a che le vicende, pur divenute di dominio pubblico, non fossero nuovamente diffuse una volta coperte “dal velo del tempo” e

lusinghe a firmare una procura che garantisse all’uomo la cessione dei loro beni. Ottenuto ciò che voleva Landru provvedeva a condurre le donne in un villino isolato nella campagna di Gambais dove le strangolava e ne faceva sparire i resti bruciandoli nella stufa della cucina per poi disperderne le ceneri.

Il 30 novembre 1921 Henri Désiré Landru venne condannato alla pena capitale per l’omicidio di 10 donne e un bambino, al termine di un processo che sin dal suo esordio ebbe un’enorme eco mediatica, dovuta da una parte allo scalpore che le vicende sollevarono nell’opinione pubblica, dall’altra alla verve teatrale e sprezzante mostrata dall’imputato finanche nei momenti immediatamente precedenti l’esecuzione.

59 Cfr. Https://it.wikipedia.org/wiki/Landru [consultato in data 7 maggio

2017].

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26 venne riconosciuto dal famoso giurista come un autonomo diritto della personalità61.

In Italia nel 1958 la Corte di Cassazione ebbe ad esprimersi su quello che viene considerato il primo leading case nostrano in materia di diritto all’oblio62. A seguito di un’azione avviata dalla vedova del questore romano Pietro Caruso, coinvolto attivamente nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, la Cassazione Civile si occupò della vicenda processuale inerente la realizzazione e la diffusione di un film documentario sulla strage. Nella trascrizione cinematografica, a detta della ricorrente, furono attribuiti al questore fatti e responsabilità superiori rispetto alle colpe già accertate. La Suprema Corte nella sentenza del 13 maggio 1958, n.156363 invocò per il questore il “diritto al segreto del disonore” riconoscendo come fondata la pretesa a che “altri non alteri

l’entità dei reati da lui commessi e non accresca il grave fardello delle sue colpe con l’aggiunta di fatti non veri”, e inoltre sottolineò

come “anche una reputazione grandemente compromessa da una

condanna per gravissimo reato può essere ulteriormente scossa dall’alterazione di un fatto non vero, per mezzo di un documentario cinematografico: a chi ha subito tale pregiudizio spetta, pertanto, non solo il diritto di rettifica ai sensi dell’art. 8 della legge sulla stampa, ma anche il diritto al risarcimento dei danni”. La Corte nel

caso in questione riconobbe quindi una lesione del diritto all’identità personale e alla reputazione del soggetto e, sfiorando per la prima volta il concetto di oblio, riconobbe come legittima la

61 M. DI MARZIO, Il diritto all’oblio, 6 luglio 2006, disponibile in Internet

all’indirizzo www.personaedanno.it [consultato in data 7 maggio 2017].

62 A. RICCI, Il diritto alla reputazione nel quadro dei diritti della personalità,

Giappichelli, 2014.

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27 pretesa del singolo a ritornare all'anonimato dopo la cessazione della risonanza dei fatti per i quali è divenuto (tristemente) noto64. Nelle motivazioni della Corte si intravede per la prima volta la

ratio ispiratrice del diritto all’oblio, ossia la volontà di evitare che

vengano nuovamente accesi i riflettori su di una questione dolorosa che il tempo ha nel frattempo riposto nell’ombra della memoria. In queste fu inoltre evidenziato come, sebbene l’onore del soggetto risultasse già corrotto dagli eventi del passato, la reviviscenza della notizia potesse aggravare ulteriormente e inutilmente il patimento subito, portando ad una lesione dei diritti della persona6566.

2.3 Le prime affermazioni dottrinali e giurisprudenziali in Italia

Al di là dei riferimenti storico-giuridici appena citati, una concreta e solida affermazione del diritto all’oblio si è avuta nel nostro ordinamento in tempi relativamente recenti. Premesso infatti che solo tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta in Italia si giunse ad una sedimentazione del diritto alla riservatezza67 e che

64 A. MANTELERO, Il diritto alla riservatezza nella l. n. 675 del 1996: il nuovo che

viene dal passato in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2000, p. 973.

65 Si tenga presente che ai tempi dell’emanazione della sentenza (1958) il

dibattito sull’esistenza di un diritto alla riservatezza, così come quello sul diritto all’identità personale, era ancora ad uno stadio embrionale e, proprio in virtù di ciò, si rileva il carattere innovativo e straordinario della decisione di cui si tratta.

66 L. FEROLA, Dal diritto all'oblio al diritto alla memoria sul web. L'esperienza

applicativa italiana, in Dir. informatica, 2012, p. 1001.

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28 il diritto all’oblio emerse, in una fase successiva, come specificazione del diritto alla privacy, figurando come un ulteriore profilo dinamico del diritto alla riservatezza; per una maturazione dottrinale sul tema, tale da condurre ad un riconoscimento in sede giurisprudenziale e legislativa del diritto all’oblio, si dovrà attendere l’ultimo decennio del secolo scorso.

Una prima discussione dottrinale sull’esistenza di un diritto ad essere dimenticati prese le mosse dal concetto di identità personale (riconosciuto come bene giuridicamente tutelabile nel “caso Veronesi”) e da un’analisi sulla rilevanza del parametro temporale nell’individuazione del patrimonio morale della persona riconosciuto come tutelabile. Tale aspetto è emerso in alcune decisioni giurisprudenziali sul finire degli anni Ottanta che ben evidenziano le prime attenzioni rivolte dalla giurisprudenza verso la dimensione temporale dell’identità. Si può ricordare il caso deciso dalla Pretura di Roma il 10 febbraio 198868, ove ai responsabili della pubblicazione di un fotoromanzo, nel quale venivano riprodotti dei fotogrammi di alcuni film erotici risalenti nel tempo ritraenti due note soubrettes che, nel frattempo, avevano modificato il loro ambito lavorativo, fu concessa la possibilità di divulgazione dell’opera a condizione che fosse specificato che i fotogrammi presenti nella rivista risalivano ad un periodo diverso rispetto a quello della pubblicazione dell’opera. La giurisprudenza pretoria motivò tale scelta interpretativa rilevando che una volta riconosciuto il diritto di ciascuno ad una proiezione di sé nel "sociale" il più possibile corretta, così che la propria identità attuale non sia presentata al pubblico in modo distorto e difforme dalla realtà69, dovrà essere altresì riconosciuta

68 Pret. Roma, 10 febbraio 1988, in Dir. Inf., 1988, p. 860.

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29 la legittimità della pretesa a che non sia omessa ogni utile indicazione circa il decorso nel tempo trascorso dalla pubblicazione originaria della notizia o dell'immagine (e quindi alla sua differenza rispetto a quella attuale). Dovendosi altresì attribuire a siffatte indicazioni il massimo rilievo possibile, attraverso segnalazioni grafiche o una collocazione autonoma e separata dell'aggiornamento all'interno della pubblicazione. Nella sentenza si legge “non esiste il diritto di ripudio (“diritto di

pentimento”) degli originari atteggiamenti, ossia di rinnegare il proprio passato alla luce di una nuova prospettiva di vita e di lavoro non più confacente alle modalità dell’esordio, ma esiste indubbiamente il diritto alla propria identità personale … come espressione del diritto di manifestarsi quali si è effettivamente e nel tempo presente”. Rileva evidenziare come nella sentenza il pretore

ponga in risalto il ruolo svolto dal fattore temporale nel processo di percezione soggettiva dell’identità personale e, quindi, come il “patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico,

professionale”70 sia da determinarsi all’interno di una cornice71 cronologica e tutelato nella sua dimensione attuale. Il tempo assume una valenza simile in tema di diritto all’oblio: la riproposizione di una vecchia notizia/informazione (o la permanenza di essa in Internet) è considerata legittima laddove, per motivi estrinseci, questa abbia assunto un nuovo carattere di

70 Cass., Id..

71 Il richiamo è alla cosiddetta “Teoria della cornice” elaborata nello scorso

secolo dal giurista e filosofo Hans Kelsen, secondo cui il significato di una norma non è uno e univoco ma va ricercato all’interno di un ambito di possibili interpretazioni (una cornice appunto) la cui selezione attraverso l’atto normativo esecutivo o giudiziale applicativo si risolve in un atto creativo di diritto positivo. Cfr. H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, Einaudi, 1960.

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30 attualità, tale da ridestare nei confronti di essa l’interesse pubblico all’informazione nel frattempo sopito, o non abbia mai perso tale caratteristica, in virtù del carattere storico degli avvenimenti ivi descritti. Si percepisce fin da subito come, sin dalle prime pronunce giurisdizionali, il tempo abbia giocato nel bilanciamento tra il diritto di informazione e i diritti posti a protezione della persona un ruolo determinante, ed evidenza di ciò lo dà il caso esaminato in questo paragrafo, in cui l’attenzione del pretore si concentra, tra l’altro, sulla presenza o meno di una sincronia tra la diffusione e la produzione delle immagini a carattere erotico, disponendo, laddove questa non si riscontri, l’imposizione di oneri informativi a carico del responsabile editoriale.

2.4 Il riconoscimento del diritto all’oblio ‘analogico’

Sebbene ancora non si possa parlare di un riconoscimento esplicito del diritto all’oblio, in sede giurisprudenziale si tende sempre più frequentemente a riconoscere il carattere offensivo di una riproposizione immotivata di fatti lesivi della reputazione, dell’onore e dell’identità personale, facendosi strada la volontà di tutelare, in generale, la dignità della persona umana. Permane tuttavia l’assenza di una norma positiva o di un riconoscimento esplicito del diritto all’oblio, volto a definire e rendere autonomo questo ‘novello’ diritto della personalità.

Il quadro storico-giuridico contraddittorio degli anni Novanta, in cui ad un’applicazione giurisprudenziale che nella realtà delle cose sempre più si si accostava all’ammissione pratica di tale diritto, ma che effettivamente non perveniva ad un riconoscimento espresso della situazione giuridica come autonomamente tutelabile, è ben sintetizzato da un autore nel

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