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Conservazione della memoria storica e diritto ad essere dimenticat

I LIMITI ALL’OBLIO

3.2 Conservazione della memoria storica e diritto ad essere dimenticat

Per lungo tempo la trasmissione della conoscenza è rimasta affidata all’oralità e al linguaggio che consentiva di trasmettere ad

illuminarsi, questo homo riceve maggiore pienezza di vita e, quindi, più intensa dignità umana». Disponibile in Internet all’indirizzo http://civilistica.com/wp-

content/uploads/2015/02/Rodot%C3%A0-civilistica.com-a.2.n.1.2013.pdf [consultato in data 20 giugno 2017].

166Cfr. PIZZETTI F., Il prisma del diritto all’oblio, in Il caso del diritto all’oblio, cit.,

2013, pp. 21 e ss..

84 altre persone e di tramandare alle future generazioni informazioni complesse. L’invenzione della scrittura e della stampa aumentarono poi le possibilità di condividere e trasmettere il sapere, anche da una generazione all’altra, e progressivamente si diffusero le biblioteche e gli archivi quali luoghi di conservazione della memoria.

L’informatica e Internet hanno modificato questo paradigma intervenendo nel processo di archiviazione ed accesso alle informazioni. Una catalogazione, quella compiuta da Internet, inordinata sul piano cronologico. Il tempo di Internet si presenta infatti, rispetto a quello della carta stampata, come un tempo generico, spesso non identificabile: si parla a tal proposito di un ‘tempo sempre presente’. Conseguenza diretta di tale nuovo modello di conservazione della memoria è una rivoluzione che ha coinvolto e riformato l’identità individuale e collettiva168. Identità che ora si presenta dilatata, frammentata, dispersa e instabile. Il diritto all’oblio, le sue applicazioni a Internet e agli archivi (giornalistici e non) hanno giocato un importante ruolo in questa rivoluzione identitaria, i cui effetti si ripercuotono sulla conservazione della memoria e la narrazione del passato. Si pone al riguardo una importante questione di carattere giuridico- sociologico: i limiti alla rievocazione di fatti del passato ̵ implicanti, tra i vari effetti, la loro scomparsa dalle pagine di indicizzazione dei motori di ricerca ̵ possono influire sulla memoria storica della collettività? La cancellazione dei dati, cui fa riferimento l’art. 17 del Regolamento (UE) n. 679 del 2016, può giungere sino all’oscuramento di importanti pagine del vissuto, che hanno segnato il processo evolutivo storico-culturale di una parte della società? Internet è infatti un poderoso strumento di

85 archiviazione che ha stravolto il rapporto tra l’uomo e il suo passato, ma tutto ciò che nella Rete è impresso è altresì cancellabile. Mai, nella storia dell’umanità, è stato possibile accedere a una memoria così globale, diffusa, radicale e, al tempo stesso, mai si è registrato un così forte desiderio di sottrarsi alla memoria storica. Parte della dottrina ha sostenuto come nel tempo vi sia stato un ribaltamento di prospettive che ha condotto al passaggio dalla damnatio memoriae169 alla memoria dannata170. Posto che il diritto all’oblio è oggi, al termine di un percorso definitorio durato decenni, pacificamente riconosciuto quale diritto soggettivo autonomamente tutelato dall’ordinamento, la prima domanda cui bisogna rispondere è: esiste, quale contrappeso al ‘diritto di essere dimenticati’, un diritto a ricordare? E quindi, al c.d. right to be forgotten può contrapporsi un diritto alla memoria?

È bene precisare da subito che le questioni suddette riguardano principalmente il diritto all’oblio nella sua accezione classica ‘a non essere indeterminatamente esposti alla pubblica critica’, e non il diritto alla deindicizzazione. Il perché è presto detto. Il potere di deindicizzazione, riconosciuto dalla sentenza Google Spain, è un potere limitato da questo punto di vista e, per questo, poco influente sulla ricostruzione storica di alcuni avvenimenti. Esso incide sulle ricerche effettuate nel motore di ricerca partendo

169 La locuzione damnatio memoriae (trad. letterale: condanna della memoria)

indicava, nel diritto romano, una pena consistente nella cancellazione di ogni ricordo di una persona e nella distruzione di qualsiasi traccia potesse tramandare la sua esistenza ai posteri. Si trattava di una pena particolarmente aspra, riservata ai nemici di Roma e del Senato.

170 Cfr. ZENO-ZENCOVICH V., Comunicazione, reputazione, sanzione, in Dir. inf.,

86 dal nome del soggetto interessato, lasciando aperte le altre “porte di accesso” alla notizia e intatta l’informazione originale. Questa non verrà difatti rimossa dal web, né, di conseguenza, verrà intaccata la sua valenza storica. Alla luce di ciò, gli effetti di una deindicizzazione non possono essere messi sullo stesso piano delle ripercussioni generate dall’esercizio del diritto all’oblio, nella accezione offerta dalla Cassazione nella sentenza n. 3679 del 1998171.

Il rapporto tra diritto e storia è un tema altamente critico e fortemente dibattuto172. È innegabile infatti che il diritto influisca in maniera determinante sulla storia. Pensiamo al rapporto esistente tra ‘verità dei fatti’ e ‘verità processuale’. Sebbene il fine fondamentale di ogni processo (penale in particolare) sia quello di ottenere una perfetta ricostruzione dei fatti, è impossibile raggiungere una utopica omogeneità tra realtà fattuale e realtà processuale. Le minuziose disposizioni che regolano il procedimento giudiziario sono sì volte all’accertamento della verità ma, nel far ciò, chi è chiamato al giudizio deve tenere in considerazione l’esistenza di tutta un’altra serie di diritti e garanzie che ben possono influire sull’atto decisionale finale, sicché la verità processuale risultante potrà differire dalla verità dei fatti. Dal punto di vista storico la ‘verità’ ̵ per quanto si possa discostare dalla realtà ̵ sarà quella descritta nella sentenza di condanna o di assoluzione di un determinato soggetto. L’atto volitivo decisionale può dunque potenzialmente distorcere la realtà che sarà tramandata ai posteri. Ecco un chiaro esempio di come il diritto possa influenzare la ricostruzione storica dei fatti.

171 V. supra, nota 80.

172CALAMANDREI P., “Il Giudice e lo storico”, in Opere giuridiche, 1965, pp. 393

87 Riprendendo, dopo questa breve digressione, il tema del rapporto tra diritto all’oblio e “diritto alla memoria”, possiamo richiamare quanto detto in precedenza sui limiti applicativi dell’art. 17 del Regolamento 679/2016, e in particolare quanto sancito alla lettera d) del paragrafo 3, ove si prevede l’inapplicabilità del diritto alla cancellazione dei dati, qualora il trattamento sia necessario: “a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca

scientifica o storica o a fini statistici conformemente all'articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento”. Prendendo come norma di riferimento per il diritto all’oblio l’art. 17 del recente Regolamento, notiamo come il legislatore comunitario abbia attentamente considerato l’archiviazione storica quale causa escludente il diritto all’oblio. Già in passato le varie autorità amministrative e giudiziarie, chiamate a pronunciarsi sul riconoscimento del diritto all’oblio, hanno evidenziato come la natura storica della notizia abbia un ruolo fondamentale nella concessione della rimozione o dell’aggiornamento dei dati personali oggetto del trattamento. Il diritto alla memoria storica si pone come direttamente correlato al diritto all’informazione, descritto nel precedente paragrafo. Il diritto alla conservazione storica delle informazioni confluisce dunque nel pubblico interesse alla diffusione sancito dal Regolamento (e prima dalla direttiva 95/46/CE) quale ‘controlimite’ alla limitazione nella diffusione dei dati.