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Rendering stiffness and damping properties of gynecologic tissues through wearable haptics: modeling, design and control for robot assisted surgery applications

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Academic year: 2021

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(1)

Universit`

a degli Studi di Pisa

FACOLT `A DI INGEGNERIA

Corso di Laurea Magistrale in Robotica e Automazione

Tesi di laurea magistrale

Rendering stiffness and damping properties of gynecologic

tissues through wearable haptics: modeling, design and control

for robot assisted surgery applications

Candidato: Luigi Storniolo Relatore: prof. A. Bicchi prof. M. Bianchi dott. E. Battaglia dott. D. Doria dott. V. Arapi

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(3)

"Perchè le mie vittorie, sono le nostre..."

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Indice

Sommario 1

1 Introduzione 1

2 Tessuti Biologici 3

2.1 Classificazione . . . 3

2.2 Struttura del Collagene . . . 4

2.2.1 Proprietà Meccaniche del Collagene . . . 5

2.3 Elastina . . . 6

2.3.1 Proprietà Meccaniche dell’Elastina . . . 7

2.4 Sostanza Fondamentale . . . 8

2.5 Comportamento meccanico dei tessuti molli . . . 8

2.5.1 Modelli multielemento di Voigt e Maxwell . . . 9

2.6 Utero . . . 10

2.7 Tumori . . . 12

2.7.1 Leiomiomi . . . 13

2.7.2 Leiomiosarcomi . . . 13

2.7.3 Terapia . . . 14

2.8 Chirurgia Robotica: da Vinci . . . 14

3 Sistema Aptico W-FYD: Wereable Fabric Yelding Display 16 3.1 Architettura . . . 16 3.1.1 Frame . . . 17 3.1.2 Base . . . 17 3.1.3 Fissaggio . . . 17 3.2 Modalità di Funzionamento . . . 17 3.2.1 Attiva . . . 18 3.2.2 Passiva . . . 18 3.2.3 Scorrimento . . . 18 3.3 Caratterizzazione . . . 19

(5)

4 sSense: Stiffness’s Sense System 20 4.1 Introduzione . . . 20 4.1.1 Esperimenti Utero . . . 20 4.2 Architettura . . . 22 5 Ricerca Modello 23 5.1 Studio Proposto . . . 23

5.2 Fase I: Modello Viscoelastico . . . 24

5.2.1 Identificazione Modello: Pseudoinversa . . . 25

5.2.2 Regressore Quadratico . . . 25

5.3 Fase II: Modulo Elastico . . . 27

5.3.1 Approccio A: Senza Filtro . . . 28

5.3.2 Approccio B: Con Filtro . . . 29

5.3.2.1 Confronto Approcci . . . 30

6 Finite Element Analysis (FEA) 32 6.1 Metodo agli Elementi Finiti (FEM) . . . 33

6.2 Ansys . . . 34

6.3 Analysis Type . . . 35

6.4 Engineering Data . . . 37

6.4.1 Meccanica del Continuum di Cauchy . . . 37

6.4.1.1 Cinematica . . . 38

6.4.1.2 Bilancio . . . 39

6.4.1.3 Legami Costitutivi . . . 40

6.4.2 Materiali Iperelastici . . . 41

6.4.2.1 Modello Iperelastico: Ogden . . . 41

6.4.3 Materiali Viscoelastici . . . 42 6.4.3.1 Rayleigh Damping . . . 43 6.4.4 Proprietà Materiale . . . 45 6.5 Geometry . . . 45 6.6 Model . . . 46 6.7 Setup . . . 47 6.8 Solution . . . 48 6.9 Results . . . 48 7 Machine Learning 49 7.1 SVM: Support Vector Machine . . . 51

7.1.1 SVR: Support Vector Machine - Regression . . . 53

7.2 LSTM: Long Short-Term Memory . . . 53

(6)

8 Haptic Feedback 58

8.1 Blocco di Controllo . . . 58

8.2 Generazione Stimolo Aptico . . . 59

8.2.1 Legge di Controllo . . . 60 9 Binding Code 63 9.1 Cython . . . 63 10 Esperimenti 65 10.1 Setup . . . 65 10.1.1 Protocollo . . . 65

10.1.2 Task di Profondità e Rigidezza . . . 66

10.2 Risultati . . . 67

10.3 Conclusioni . . . 68

11 Progetti Futuri 69

(7)

Sommario

Per rendere meno invasivi gli interventi chirurgici in ambito ginecologico è stato implementato e progettato uno strumento che possa rendere disponibile un feedback tattile, oltre che visivo, al chirurgo stesso. Ciò è reso possibile da una rete neurale, addestrata con un dataset, in grado di predire in real time il valore della stiffness di un qualsiasi tessuto biologico indentato. Il dataset tende a generalizzare il tessuto in esame grazie alla scelta di 1229 campioni aventi proprietà viscoelastiche differenti, ma conformi ai tessuti biologici mol-li. Il feedback tattile può quindi essere creato e inviato al dito del chirurgo che, grazie ad un device aptico indossabile, può finalmente avere informazioni sulla rigidezza del tessuto analizzato al fine di rilevarne la natura più o meno tumorale. Sulla base degli esperimenti svolti l’utente riesce a discriminare la rigidezza dei vari campioni passati in esame. Se ne deduce quindi che il lavoro svolto è un ottimo punto di partenza per lo sviluppo di tecnologie chirurgiche all’avanguardia, come il robot da Vinci, atte a rendere possibile la discriminazione dei tessuti sani da quelli tumorali in modo completamente mini invasivo.

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Capitolo 1

Introduzione

L’ingegneria dei materiali è un settore dell’ingegneria che si occupa di stu-diare e caratterizzare le proprietà dei materiali in modo da ottimizzarne l’im-piego in vari campi tecnologici, migliorarne le prestazioni e studiare materiali innovativi da impiegare sostituendo i materiali meno appropriati o dalle pre-stazioni non più soddisfacenti per una determinata applicazione (fonte: [1]). Nello specifico un biomateriale è un materiale che si interfaccia bene con i sistemi biologici, siano essi tessuti viventi, microrganismi o organismi. I biomateriali si possono classificare in base alla natura chimica del materiale stesso: metallici, polimerici, ceramici e compositi. Possono anche essere di derivazione biologica. Grazie alla loro affinità con i tessuti umani, questi materiali sono ideali per permettere la formazione di un nuovo osso e la gua-rigione dei tessuti nel corpo umano. Si integrano nell’organismo durante il processo di guarigione, oppure vengono progressivamente degradati dai pro-cessi metabolici del corpo.

Un fronte molto attivo della ricerca promuove e sviluppa tecnologie avanzate nel settore della chirurgia robotica. Infatti lo studio di nuove tecnologie in questo campo ha portato e porterà miglioramenti sempre più rilevanti alla chirurgia.

Il lavoro di questa tesi pone le basi proprio su questo. Infatti una delle te-matiche sempre vive è la realizzazione di tecnologie che possano rendere gli interventi meno invasivi e sempre più precisi. Nello specifico interventi chi-rurgici atti alla rimozione di tessuti tumorali possono essere molto invasivi se non aiutati da tecnologie all’avanguardia. Spesso ci si trova di fronte a tessuti tumorali da asportare e spesso si preferisce asportare più tessuto in modo da evitare di lasciare in corpo tessuti danneggiati. Questo accade poi-chè gli strumenti esistenti fino ad oggi non sono abbastanza sufficienti. Lo scopo di questa tesi è migliorare gli strumenti già in essere. Al momento lo strumento più utilizzato in un intervento poco invasivo è principalmente

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la telecamera. In questo modo il chirurgo può solo fare fede al senso visivo. Allora si è pensato di sviluppare uno strumento che possa rendere il chirurgo più cosciente di ciò che si trova di fronte.

A tal proposito è stato sviluppato un sistema che possa mettere a disposi-zione del chirurgo un feedback tattile in aggiunta a quello visivo. In questo modo il chirurgo potrà prendere decisioni maggiori su quale tessuto asportare e quale no.

L’idea è di permettere al chirurgo di indossare un device sul dito (fyd wea-rable) e di decidere attivamente di "palpare" il tessuto da esaminare. Un altro device (indentatore), comandato in teleoperazione dal dito del chirur-go, tocca il tessuto e ritorna un valore di forza grazie ad un sensore montato sulla superficie di contatto del device stesso. L’idea è di trasformare questo valore di forza in un input da dare al fyd wearable in modo da dare un’idea di rigidezza al chirurgo riguardo il tessuto analizzato.

Per fare ciò è stata implementata una rete neurale che possa predire tale valore di rigidezza una volta indentato un qualunque tessuto biologico. Per generalizzare il problema sono state effettuate circa 1229 simulazioni in am-biente virtuale in modo da ottenere quanti più dati per poter effettuare un buon training della rete neurale.

Per poter effettuare tali simulazioni è stato necessaria la ricerca e lo studio di un modello matematico che approssimasse al meglio il comportamento mec-canico di un tessuto biologico molle.

Infine sono stati implementati i controlli di posizione per la teleoperazione e di feedback aptico per quanto concerne la traduzione del segnale di rigidezza in un segnale che il chirurgo possa interpretare al meglio.

(10)

Capitolo 2

Tessuti Biologici

I tessuti biologici non rientrano nella classe dei materiali ingegneristici tra-dizionali. Tessuti e organi sono costituiti dai materiali biologici. I materiali biologici di maggiore interesse sono i tessuti connettivi che sono costituiti da una sostanza fondamentale nella quale sono immerse le cellule ed hanno in genere funzione di sostegno o di trasporto. Ovviamente tale definizione è estremamente generale poichè comprende anche tessuti quali l’osso e il san-gue.

I tessuti connettivi sono fra loro fortemente differenziati per quanto riguarda la morfologia, la struttura, la composizione e la funzione. I quattro diversi tipi di tessuto biologico sono quello epiteliale, connettivo, muscolare e nervo-so e si differenziano dai biomateriali artificiali perchè nervo-sono viventi. I tessuti biologici sono riconducibili alla classe dei materiali compositi.

2.1

Classificazione

Distinguiamo due macrofamiglie di tessuti biologici quali i tessuti molli, com-posti principalmente da collagene, elastina e sostanza fondamentale, e i tes-suti duri. In particolare:

Tessuti duri • Denti • Ossa

Tessuti molli ricchi di collagene • Pelle

(11)

• Cartilagine • Tendini • Legamenti

Tessuti molli ricchi di elastina • Vasi sanguigni

• Tessuti muscolari

2.2

Struttura del Collagene

Il collagene è la principale proteina del tessuto connettivo negli animali. Nei mammiferi è quella più presente rappresentando nell’uomo circa il 6% del peso corporeo. La sequenza flessibile di amminoacidi nella catena α consen-te a quesconsen-te caconsen-tene di avvolgersi strettamenconsen-te in configurazioni a tripla elica formando così la molecola di tropocollagene. Quella a tripla elica è la più stabile disposizione del collagene.

Il tropocollagene rappresenta l’unità strutturale del collagene con la par-ticolarità che ogni unità ha la stessa lunghezza e la stessa ripetitività di amminoacidi. Le differenze nelle catene α di tropocollagene nei vari tessuti corporei danno quindi luogo a specie molecolari diverse e quindi a vari tipi di collagene. In generale ci sono almeno 12 tipi di collagene nel corpo.

Il collagene di Tipo I è il classico fibrillare e anche quello più abbondante nel corpo umano. Lo si può trovare in:

• Ossa • Dischi Intervertebrali • Pelle • Menischi • Tendini • Legamenti

Il collagene di Tipo II è presente prevalentemente in: • Cartilagine Articolare

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• Setto Nasale

• Cartilagine dello Sterno • Menischi

Questa organizzazione a tripla elica, dovuta all’intrecciamento di tre catene

α, constituisce una elevata resistenza a trazione delle fibre di collagene.

2.2.1

Proprietà Meccaniche del Collagene

Le proprietà meccaniche più importanti delle fibre di collagene sono la rigi-dezza e la resistenza a trazione. Sebbene non sia mai stata provata a trazione una singola fibrilla di collagene, la resistenza a trazione del collagene può es-sere dedotta da prove su strutture con alto contenuto di collagene. I tendini, per esempio, sono costituiti all’80% di collagene ed hanno rigidezza a trazione di 103M P a e resistenza a trazione di 50M P a. Per rendere l’idea, l’acciaio ha una rigidezza a trazione di circa 220GP a.

Sebbene forti a trazione, le fibrille di collagene offrono scarsa resistenza a compressione.

Figura 2.1: Struttura Fibre Collagene (fonte: [2])

Come abbiamo visto la struttura particolare delle fibre di collagene è responsabile del suo comportamento meccanico. Analizzando la figura in basso, dove è mostrato l’andamento stress-strain, si distinguono due regioni con due comportamenti differenti. Nella prima regione la struttura elicoidale delle catene proteiche ed i legami intramolecolari fanno si che le fibre di colla-gene abbiano una modesta capacità di sopportare i carichi. Le fibre ruotano e si flettono modificando la loro geometria spaziale dalla forma elicoidale a quella lineare. Per tale motivo la regione uno è caratterizzata da un compor-tamento elastico con un basso valore del modulo di Young. Quando le catene

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proteiche sono distese le proprietà meccaniche diventano dipendenti dai le-gami intra e intermolecolari. Per tale motivo la regione due è caratterizzata da un comportamento elastico con un elevato modulo di Young.

Figura 2.2: Grafico Sigma Epsilon Fibre Collagene (fonte: [4])

2.3

Elastina

L’elastina è una proteina costituente il tessuto connettivo. Le fibre di elastina sono insolite in quanto durano quanto l’arco di vita dell’organo in cui sono depositate e solitamente non c’è formazione di nuove fibre nell’adulto. Infat-ti le stesse fibre elasInfat-tiche depositate durante la vita fetale debbono resistere fino a migliaia di milioni di cicli di stiramento e riavvolgimento senza defor-mazione irreversibile o incapacità funzionale. Per questa ragione l’elastina è uno dei materiali più elastici nel mondo biologico, infatti l’energia dissipata ad ogni carico è quasi trascurabile.

Questo comportamento è fondamentale in tutti quei tessuti ai quali è richie-sta un’ampia deformazione con ripristino delle dimensioni originali dopo la rimozione del carico, o comunque per quei tessuti sottoposti a sollecitazioni cicliche. Si trova infatti principalmente nei polmoni, nella pelle, nella parete arteriosa, nella parete venosa e nel cuore. Grazie a queste caratteristiche l’elastina è definita resiliente. La resilienza è infatti data da una rete di fibre elastiche che permette tale riavvolgimento dopo uno stiramento transitorio.

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Figura 2.3: Struttura Fibre Elastina (fonte: [3])

2.3.1

Proprietà Meccaniche dell’Elastina

L’elastina è composta da catene lunghe e flessibili reticolati per formare reti tridimensionali. La struttura è quindi amorfa. Questa struttura rende l’e-lastina molto estensibile con un comportamento elastico con bassa rigidezza fino a deformazioni di circa il 200%.

Le fibre di elastina sono caratterizzate, al contrario di quelle di collagene, da un basso modulo elastico. Come si può notare dal grafico sottostante, l’ela-stina ha un comportamento lineare fino a deformazioni di circa 150% per poi aumentare notevolmente fino a un punto di collasso o rottura. Da notare è che le fibre di elastina non manifestano sensibili deformazioni plastiche prima della rottura.

(15)

2.4

Sostanza Fondamentale

La sostanza fondamentale è una componente acellulare del tessuto connet-tivo. Consiste principalmente di proteine polisaccaridi o glicosaminoglicani (GAG), i quali si riunisono in subunità dette aggrecani (in gergo spazzole per bottiglia). A loro volta gli aggrecani si legano ad una catena di acido ia-luronico dando vita a macromolecole complesse dette proteoglicani. I GAG servono come sostanza cementante tra le fibre di collagene ed elastina. I proteoglicani hanno la capacità di mantenere consistenti quantità di acqua formando un gel che ha la funzione di sostegno meccanico, resistenza alla compressione e filtro che regola la velocità di diffusione di liquidi attraverso il tessuto connettivo.

Figura 2.5: Struttura Sostanza Fondamentale (fonte: [4])

2.5

Comportamento meccanico dei tessuti

mol-li

Poichè il fine ultimo di questa tesi riguarda particolarmente i tessuti molli allora è bene soffermarci solo su di essi. Collagene ed elastina spesso si trova-no insieme ed è la loro interazione che dà luogo alle proprietà viscoelastiche del tessuto connettivo biologico. Il grado di viscoelasticità dipende infatti dalle quantità relative di collagene, elastina e sostanza fondamentale. Si ha quindi che l’arrangiamento strutturale delle fibre di collagene e di elastina ed i loro rapporti quantitativi sono responsabili di molte proprietà dei tessuti connettivi quali la densità, l’elasticità, l’anisotropia.

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Figura 2.6: Grafico Sigma Epsilon Fibre Collagene-Elastina (fonte: [4]) Dalla figura in alto si può notare in via generale l’interazione collagene-elastina all’interno dei tessuti. Nel grafico sono riportati tre andamenti. La curva 1 rappresenta la simil linearità iniziale dell’elastina, la curva 2 l’alta rigidezza del collagene e infine la curva 3 rappresenta una sorta di somma tra le due curve. Si nota infatti che un tessuto presenterà i comportamenti di entrambe le fibre di elastina e collagene seguendo prima l’uno e poi l’altro andamento. Si ha in definitiva che il materiale composito costituito dal col-lagene e dall’elastina ha la caratteristica curva stress-strain mostrata nella figura precedente (curva 3).

2.5.1

Modelli multielemento di Voigt e Maxwell

Come altri materiali viscoelastici quali i polimeri, anche i tessuti molli strano un comportamento meccanico che può essere rappresentato con i mo-delli multielemento di Voigt o di Maxwell.

Nonostante questo tipo di analisi fornisca uno strumento utile alla rappre-sentazione del comportamento meccanico dei tessuti molli, essa non spiega esplicitamente la relativa importanza dei singoli componenti.

Un materiale viscoelastico presenta il comportamento elastico, tipico di una molla, e viscoso, tipico di uno smorzatore. Combinando questi due compo-nenti si da vita ad uno dei due modelli sopra citati. In particolar modo se i due componenti si combinano in parallelo si dà vita ad un elemento di Voigt, se in serie ad un elemento di Maxwell.

(17)

Figura 2.7: Elemento Voigt (sopra) e Maxwell (sotto)

Il modello risultante sarà composto da una ennupla di elementi con co-stanti (elastica e viscosa) non necessariamente tutte uguali.

2.6

Utero

Lo scopo ultimo di questa tesi è quello di studiare e implementare un me-todo utile a migliorare le strumentazioni robotiche già presenti in ambito chirurgico, in particolar modo nel campo della ginecologia. A tal proposito è bene presentare brevemente il tessuto che ha dato vita a questo studio che è proprio quello uterino.

L’utero è un organo impari che fa parte dell’apparato genitale femminile. Esso può essere considerato formato da:

• Corpo, parte centrale dell’utero, la quale contiene l’orifizio interno dell’utero

• Fondo dell’utero, la parte più estesa che termina superiormente

• Cervice, collo che penetra nella sottostante vagina fino a sporgere al-l’interno di essa

L’utero è un importante organo sessuale ormone responsivo nel corpo fem-minile. E’ collegato alla vagina, tramite la cervice, e alle tube di Falloppio. Di solito è a forma di pera e misura circa 7.6cm di lunghezza, 4.5cm di lar-ghezza e 3cm di spessore. Il peso è di circa 50g in età riproduttiva, cresce leggermente fino a 70g dopo la gravidanza e si riduce fino alla metà dopo la menopausa. Durante le attività sessuali l’utero aumenta il flusso sanguigno

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verso il bacino, le ovaie e la vagina.

La funzione principale dell’utero è, comunque, quella di ospitare il feto du-rante lo sviluppo gestazionale. La struttura dell’utero è quella tipica degli organi cavi e come tutti gli organi cavi, la parete dell’utero è costituita da tonache che, dall’interno all’esterno sono rappresentate dalla tonaca muco-sa (endometrio), dalla tonaca muscolare (miometrio) e dalla tonaca sieromuco-sa (perimetrio) che non riveste completamente l’organo. Nello specifico:

• L’endometrio è una mucosa che ricopre la cavità interna dell’utero, for-mata da uno strato di epitelio ghiandolare e da mucosa direttamente aderente al miometrio. L’endometrio più superficiale va incontro alle modificazioni che sono proprie del ciclo mestruale; il più interno, o ba-sale, ha funzione di rigenerazione.

Durante il ciclo mestruale infatti l’endometrio ha uno spessore va-riabile. Se non si verifica alcun impianto embrionale, il rivestimento endometriale viene eliminato e causa sanguinamento mestruale

• Il miometrio è la tonaca muscolare della parete uterina ed è compresa fra il perimetrio e l’endometrio. E’ costituito principalmente di tessuto muscolare liscio, fibre di collagene ed elastina. Le cellule muscolari lisce permettono all’utero di espandersi durante la gravidanza e si contrag-gono durante il parto. Le fibre di elastina sono presenti in una matrice spugnosa.

Ci sono due distinti strati all’interno del miometrio: lo strato interno, noto anche come zona giunzionale, che contiene cellule muscolari lisce con nuclei più grandi, e lo strato esterno che contiene cellule muscola-ri lisce con nuclei più piccoli. Il contenuto di elastina nello strato di miometrio interno è inferiore rispetto allo strato di miometrio esterno • Il perimetrio è il mesotelio della parete uterina e rappresenta la parte

più esterna della parete. E’ principalmente fatto di tessuto connettivo lasso e protegge l’utero dall’attrito con altri organi del corpo umano. Nella cavità uterina ci sono due fitte famiglie di fibre muscolari e di collagene che sono principalmente orientate nella direzione circonferen-ziale. Il contenuto delle fibre muscolari aumenta durante la gravidanza e diminuisce con la menopausa. Ciò perchè la sua principale funzione è quella di proteggere l’eventuale feto dai possibili urti

Dei test su tessuto uterino ex vivo hannno mostrato che il tessuto uterino di pazienti in stato di gravidanza presenta un tasso di correlazione dello stress superiore a quello del tessuto uterino da pazienti non gravidi sottoposti agli stessi livelli di stress. E’ interessante notare che non è stato trovato che l’età o

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la fase del ciclo mestruale influenzano in modo significativo il comportamento materiale dell’utero da parte dei pazienti non gravidi [5]. Questi studi hanno rivelato l’anisotropia del tessuto determinata dall’orientamento della fibra di collagene e dall’orientamento della fibra muscolare.

Figura 2.8: Tonache Uterine (fonte: [6])

2.7

Tumori

I leiomiomi uterini, spesso chiamati fibromi, sono tumori benigni che possono essere presenti in circa il 75% delle donne in età riproduttiva e in ogni utero si trovano in media 6 tumori.

Ogni leiomioma uterino è un’unica neoplasia clonale, la maggior parte ha un normale cariotipo, ma circa il 40% ha una anomalia cromosomica semplice. I lemioiomi dell’utero, anche quando molto estesi, possono essere asintomatici. I sintomi più importanti sono determinati dai leiomiomi sottomucosi che sporgono in cavità uterina sollevando la mucosa e talvolta ulcerandola, dalla compressione della vescica, dall’improvviso dolore se si verifica l’interruzione dell’apporto ematico e dalla compromissione della fertilità.

Nelle donne gravide i miomi aumentano la frequenza di aborti spontanei, anomalie di presentazione del feto, inerzia uterina ed emorragia postpartum. Anche se estremamente raro, un leiomioma può diventare maligno trasfor-mandosi in leiomiosarcoma.

I leiomiosarcomi sono ugualmente frequenti prima e dopo la menopausa, con un picco di incidenza tra i 40 e i 60 anni di età.

Questi tumori tendono a recidivare dopo la loro asportazione e più della metà dei casi metastatizza attraverso i vasi ematici a organi distanti come: polmoni, ossa e cervello. [7] [8] [9]

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2.7.1

Leiomiomi

I leiomiomi sono tumori pelvici ben circoscritti di consistenza dura e di di-mensioni variabili da piccoli noduli a malapena visibili fino a grosse masse che occupano l’intera pelvi.

Questi tumori si trovano principalmente nel contesto del miometrio del corpo (95%) ed in rare situazioni si possono trovare nei legamenti uterini come il collo (3.5%) e l’istmo (1.5%).

Possono presentarsi entro il miometrio dove si sviluppano nello spessore della muscolatura, appena al di sotto dell’endometrio (sottomucosi) dove sporgo-no in cavità uterina sollevando la mucosa e talvolta ulcerandola o al disotto della sierosa (sottosierosi).

I fibromi hanno un aspetto fascicolato delle fibre muscolari al taglio e questo le rende facilmente identificabili, indipendentemente dalla dimensione, all’e-same macroscopico.

All’esame istologico invece, il fibroma è composto da fasci intrecciati di cel-lule muscolari lisce che assomigliano al miometrio circostante non coinvolto. Le singole cellule muscolari sono uniformi nella grandezza e nella forma, comprendono un nucleo ovalare e lunghi processi bipolari citoplasmatici af-fusolati.

Esistono delle varianti benigne dei leiomiomi che comprendono tumori atipici o simplastici aventi un basso indice mitotico.

2.7.2

Leiomiosarcomi

I leiomiosarcomi crescono all’interno dell’utero e sono caratterizzati da due aspetti fondamentali: masse voluminose e carnose che invadono la parete uterina, o masse polipoidi che protrudono nel lume uterino.

All’esame istologico, essi sono atipici variando da forme ben differenziate a lesioni anaplastiche che presentano le alterazioni citologiche di sarcomi in accrescimento selvaggio.

La differenza tra leiomiosarcomi e liomiomi è basata dalla combinazione del grado di atipia nucleare, dell’indice mitotico e della necrosi zonale. Un segno di malignità è la presenza di dieci o più mitosi per 10 campi ad alto ingran-dimento (x400).

Si può giustificare una diagnosi di malignità se il tumore contiene atipie nucleari o cellule epiteliomorfe con ampio citoplasma (epitelioidi) e se sono presenti almeno cinque mitosi per campo ad alto ingrandimento.

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2.7.3

Terapia

I fibromi possono essere asintomatici o diventare sintomatici. Finché i fibromi sono asintomatici non occorre osserave alcuna terapia, ma è importante tene-re sotto controllo il volume e la posizione del fibroma effettuando periodiche visite specialistiche ginecologiche ed ecografie trans vaginali e , se necessario, trans addominali. Quando i fibromi diventano sintomatici, la terapia varia in base al tipo, al numero e alle dimensioni dei fibromi presenti.

La terapia meno invasiva è di tipo farmacologica e varia in base all’evoluzione della malattia. Lo scopo è quello di limitare i sintomi, rallentare la crescita del fibroma e prevenire la formazione di nuovi. In altri casi si sceglie una terapia di tipo chirurgica mininvasiva ed è quella più frequente. La terapia chirurgica si suddivide in isterectomia totale (laparoscopica se il fibroma è sintomatico per via addominale e laparotomica se il fibroma è sintomatico per via vaginale) oppure in miomectomia che consiste nell’asportazione dei soli noduli miomatosi.

2.8

Chirurgia Robotica: da Vinci

Il sistema chirurgico da Vinci della Intuitive Surgical è un sistema innovativo di chirurgia robotica.

Figura 2.9: Robot Chirurgico da Vinci (fonte: [10])

Il robot dispone di 4 manipolatori a 7 gradi di libertà che permettono una libertà di movimento estrema e di un endoscopio per il sistema visivo. Il chirurgo è in grado di eseguire interventi complessi grazie all’integrazione di un sistema di visione 3D ad alta definizione (Endowrist) e da un sistema

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di controllo intuitivo degli strumenti per mezzo di due manipolatori master-slave e di pedali.

Questi sistemi sono integrati in una console esterna al campo sterile dove l’operatore può controllare i manipolatori ed effettuare teleoperazioni di chi-rurgia mininvasiva. Il chirurgo, durante la teleoperazione, fa affidamento solo alla visione e non al tatto.

Lo scopo della tesi è quello di progettare un sistema aptico in grado di resti-tuire un feedback tattile di stiffness ed indentazione, da aggiungere al sistema di visione, per il robot da Vinci in modo da aumentare la precisione e l’accu-ratezza degli inverventi. Soprattuto per le operazioni riguardo l’asportazione di fibromi uterini, infatti la palpazione dell’area interessata ed un feedback tattile di stiffness aumenterebbe notevolmente la precisione nell’identificare la posizione esatta e circoscriverne l’area del fibroma all’interno del tessuto uterino.

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Capitolo 3

Sistema Aptico W-FYD:

Wereable Fabric Yelding

Display

Le interfacce aptiche sono dispositivi in grado di interfacciare l’uomo con il robot restituendo dei feedback sensoriali. Applicazioni in cui si possono trovare attualmente queste interfacce sono la realtà virtuale, tele-operazioni e sistemi robotici remoti, specialmente nel campo della chirurgia robotica. La necessità di utilizzare questi dispositivi si trova in contesti su cui non è sufficiente far affidamento solo negli altri sensi, come la vista, per portare a termine un obiettivo in maniera controllata.

Per il lavoro di tesi si ha a disposizione il Wereable Fabric Yelding Display (W-FYD), un sistema aptico in grado di restituire un feedback tattile su applicazioni riguardanti la palpazione. (fonte: [11])

3.1

Architettura

Il W-FYD è un dispositivo indossabile che restituisce un feedback tattile sul dito dell’utente durante operazioni di palpazione in realtà virtuale o in tele-operazione. Il feedback è composto da un ritorno di stiffness attraverso un tessuto elastico che viene teso da due motori e da un ritorno di indentazione tramite un meccanismo di rialzo attivato da un servomotore.

Si può dunque suddividere la struttura in tre parti indipendenti: un frame per il ritorno di stiffness, una base per il ritorno di indentazione e un supporto ergonomico per indossare il dispositivo su un dito.

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3.1.1

Frame

Il feedback tattile è restituito da un tessuto elastico su cui viene appoggiato il dito che va ad effettuare la palpazione. La stiffness varia a seconda del corpo su cui si va ad operare, pertanto, sul frame è presente un meccanismo che premette di allungare e rilassare il tessuto andandone a cambiare le sue proprietà elastiche. Questo è possibile grazie a due motori DC (Pololu 298:1 Micro Metal Gearmotor) su cui sono montati dei rulli e su quest’ultimi sono fissate le estremità del tessuto.

Quando i motori sono attivi, i rulli ruotano seguiti dall’estremità del tessuto fissato su di essi causando una differenza di stiffness percepita dall’utente che sta indossando il dispositivo. Infine, sono montati due encoder magne-tici davanti ai motori che permettono di misurare l’angolo effettuato e di controllarli attraverso la misura di posizione ottenuta.

3.1.2

Base

Sulla base è presente un meccanismo di rialzo che permette di restituire un feedback di indentazione. Questo meccanismo è composto da due alberi a camme attuati da un servomotore (HS-5055MG Servo by Hitec) e connessi tra loro attraverso un ingranaggio. Durante questa fase, il frame si solleva e con esso tutte le parti a lui vincolate, andando a premere contro il dito restituendo un feedback tattile. La traslazione è vincolata da un pin che funge da guida per il frame permettendo di effettuare un moto lineare su un unico gado di libertà.

3.1.3

Fissaggio

Il dispositivo è disegnato in modo tale che l’intera struttura viene posta tutta al di sopra del dito ad eccezione del tessuto elastico. Quest’ultimo è installato in modo da poterci appoggiare il polpastrello del dito interessato, creando una superficie di contatto che interfaccia l’utente con il robot. Inoltre è montato un clip elastico che permette di fissare il dispositivo sul dito e mantenerlo stabile.

3.2

Modalità di Funzionamento

Il W-FYD ha diverse modalità di funzionamento in base a come vengono gestiti i motori ed il servomotore. A seconda dell’azione e del tipo di feedback che si vuole ottenere si può configurare il dispositivo in modalità attiva, passiva o scorrimento.

(25)

3.2.1

Attiva

Il servomotore viene mantenuto fermo e l’indentazione viene effettuata dal dito dell’utente che indossa il dispositivo. L’indentazione effettuata viene misurata da un sensore ad infrarossi montato sul frame e posizionato sopra il dito interessato restituendo tale misura al robot su cui si è interfacciati per effettuare la palpazione. Dunque, il feedback tattile ottenuto è dato solo dal ritorno di stiffness restituito dai motori che stressano il tessuto.

3.2.2

Passiva

Il dito viene mantenuto fermo con il polpastrello appoggiato sopra il tessuto del dispositivo e tutte le misure di cui si necessita vengono fornite dal robot su cui si è interfacciati. A differenza della modalità attiva, in questo caso il feedback di indentazione viene restituito andando ad attivare il servomotore in modo da sollevare il frame del dispositivo. Sollevano il frame, il tessuto preme contro il dito facendo percepire all’utente un feedback tattile e la stiffness percepita dipenderà da quanto è stato allungato il tessuto attraverso i motori.

3.2.3

Scorrimento

Fino ad ora si è considerato che i motori del frame ruotano in direzioni opposte, andando a stressare il tessuto del dispositivo per variare la stiffness percepita dall’utente. In questa modalità è possibile far ruotare i motori nello stesso verso in modo da far scorrere il tessuto da un rullo all’altro, facendo percepire all’utente una sensazione di scorrimento.

Figura 3.1: Modalità Attiva (sinistra), Passiva (centro) e Scorrimento (destra) (fonte: [11])

(26)

3.3

Caratterizzazione

Quando il tessuto viene teso le proprietà elastiche dello stesso variano e in questo modo varia anche la stiffness percepita dall’utente attraverso il proprio dito.

Per tale motivo è stato, nei lavori precedenti, caratterizzato il tessuto al variare degli angoli del motore. Per permettere tale caratterizzazione è stato utilizzato lo strumento Instron Zwick Roell Z005. L’idea è stata di far ruotare i motori da 0 a 90 gradi con un passo di 5 gradi tra una caratterizzazione e l’altra.

L’instron è dotato di un indentatore con precisione estrema e in questo modo è stato possibile ricavare l’andamento di forza e indentazione per ogni angolo dato al motore.

Per ogni angolo dei motori sono state effettuate cinque prove e per ciascuna sono stati acquisiti i dati di posizione e forza. In post processing sono state poi ricavate le curve di caratterizzazione mostrate nella seguente figura:

Figura 3.2: Caratterizzazione W-Fyd (fonte: [11])

Le curve mostrate nella figura precedente sono state ricavate utilizzando un’interpolazione lineare con bontà del fit maggiore di R2 > 0.97.

(27)

Capitolo 4

sSense: Stiffness’s Sense

System

4.1

Introduzione

Poichè questo lavoro di tesi è l’evoluzione di un lavoro di tesi passato, è do-veroso far presente quali sono stati i dati che hanno reso possibile una prima analisi.

In particolar modo il punto di partenza di questa tesi sono stati degli espe-rimenti svolti in ospedale, cui i metodi e le procedure sperimentali per l’ac-quisizione di tali dati sono riportate nel lavoro di tesi "Progettazione, analisi

e controllo di interfacce aptiche indossabili per applicazioni in chirurgia ro-botica ginecologica" (fonte: [12]). Tali esperimenti, con lo scopo di ottenere

le curve di forza-indentazione e il valore di stiffness nelle varie aree dell’utero e dei fibromi, hanno messo a disposizione di questo studio di ricerca dei dati prelevati su tessuto uterino ex vivo.

4.1.1

Esperimenti Utero

Gli esperimenti sono stati svolti su campioni reali con lo scopo di ricavare le curve di forza-indentazione.

Sono stati esaminati tre organi uterini che contenevano al loro interno dei fibromi di varie dimensioni. Alcuni di questi fibromi erano ben visibili ad occhio nudo, mentre altri si trovavano più in profondità e si rilevavano solo attraverso il tatto.

(28)

Figura 4.1: Uteri Fibromatosi (fonte: [12])

Il fibroma più grande è caratterizzato da una forma sferica di diametro di 60mm, quello più piccolo ha una forma ellittica di dimensioni 30x20mm ed il campione di tessuto uterino ha una forma simil cubica di lato di 15mm.

Figura 4.2: Tessuto Uterino (al centro) e Fibromi Asportati (ai lati) (fonte: [12])

Per ogni campione sono stati ripetuti gli stessi esperimenti di forza-indentazione e sono così stati memorizzati i dati ottenuti.

La caratterizzazione che ne è conseguita ha dato vita a un modello lineare del tipo:

F = Kx (4.1)

Questo tipo di modello, oltre ad essere lineare, trascura drasticamente gli effetti viscosi che si possono presentare sul tessuto a fronte di un carico esterno. L’obbiettivo di questo lavoro di tesi è, come ormai noto, quello di calcolare la stiffness e il damping di tessuti biologici al fine di riuscire ad ottenere un feedback tattile in real time attraverso il device aptico W-FYD. L’idea è quella di indentare su un tessuto biologico e, tramite un sensore, ottenere la forza di pressione nell’area di contatto tra il device (indentatore)

(29)

e il tessuto stesso. Tale device è reso disponibile a questo lavoro di tesi grazie a progetti espletati in passato (fonte: [12]). In questo modo è possibile dare in input alla rete neurale i valori di forza, posizione e velocità al fine di predire un valore di stiffness e damping per poter ritornare un feedback aptico. Il device utilizzato per indentare sui campioni utilizzati è proprio la struttura sSense.

Tale struttura simula il comportamento di un indentatore che agisce su un corpo viscoelastico e acquisise la forza e l’indentazione applicata su di esso. Il sensore di forza implementato all’interno della struttura è un ATI Nano17 che è spesso usato per applicazioni aptiche e di chirurgia robotica.

4.2

Architettura

Tali esperimenti sono stati effettuati tramite un indentatore sviluppato al-l’interno di un progetto di tesi (fonte: [12]) e messo a disposizione per questo nuovo lavoro di tesi. L’indentazione su un corpo avviene tramite un moto rettilineo generato da un pignone attuato ed una cremagliera su cui sono fissati il sensore di forza e l’end effector.

Figura 4.3: sSense (fonte: [12])

Sull’albero del pignone sono montati da un lato un motore e dall’altro un encoder in modo da poter misurare l’angolo effettuato dal motore passo passo.

Sull’end effector invece è montato il sensore di forza accennato prima. L’end effector è una punta su cui viene effettuato il contatto tra indentatore e corpo.

(30)

Capitolo 5

Ricerca Modello

5.1

Studio Proposto

Noto il setup degli esperimenti e preso possesso dei dati acquisiti in ospedale a questo punto è stato cruciale decidere come procedere.

Il primo step è stato quello di voler validare i dati acquisiti al fine di cercare un modello valido che potesse quantomeno rappresentare, seppur approssi-mativamente, il tessuto uterino.

Come abbiamo già visto, caratterizzare il tessuto uterino è molto difficile a causa delle variabili in gioco. In particolar modo è stato ampiamente spie-gato come le fibre di collagene ed elastina giochino un ruolo fondamentale. Infatti in linea teorica il tessuto uterino presenta una serie di non linearità dovute alla presenza di tali fibre e alle varie fasi che l’organo in questione attraversa durante la propria esistenza.

Quindi è stato opportuno soffermarsi sui dati ottenuti per verificare la con-sistenza e la correttezza del modello già in essere.

L’idea è di riuscire ad estrapolare un modello matematico dal quale poter ricavare la grandezza fisica scopo di questo lavoro di ricerca: la stiffness. Il primo lavoro allora è stato suddiviso in due fasi.

La prima fase prevedeva l’analisi dei dati acquisiti al fine di proporre un nuovo modello che tenesse conto delle non linearità in gioco e anche del comportamento viscoso del tessuto biologico. Infatti abbiamo visto come il tessuto organico, e in particolar modo quello uterino, ha un comportamento viscoelastico per nulla lineare e quindi è lecito aspettarsi un andamento non lineare di forza e indentazione.

La seconda fase consisteva nel verificare se i dati acquisiti fossero coerenti con quanto noto in letteratura riguardo il modulo elastico o modulo di Young di tali tessuti.

(31)

In questo modo è stato possibile validare i dati acquisiti dal lavoro prece-dente e affermare di aver trovato un modello che approssimasse al meglio un tessuto biologico.

5.2

Fase I: Modello Viscoelastico

Sono stati presi i dati acquisiti in ospedale e sono stati analizzati tramite il software di sviluppo di calcolo numerico e analisi statistica Matlab. Nello specifico sono stati effettuati i seguenti step:

1. Import: per ogni esperimento si avevano a disposizione una ennupla di prove, tutte svolte nelle medesime condizioni, e per ogni prova è stato acquisito un insieme di campioni di forza tramite l’utilizzo di un sensore montato sul device di indentazione

2. Merge: tutte le prove dello stesso esperimento sono state analizzate come fossero un unico grande esperimento

3. Fit: è stato poi applicato un fit per ottenere un unico modello che tenesse conto di tutti i campioni acquisiti

Figura 5.1: Fit Dati

Dall’immagine si evince che l’andamento forza-indentazione è tutt’altro che lineare, come ci si aspettava. A questo punto ciò che rimaneva era constatare il comportamento viscoelastico del tessuto uterino a partire da questi dati. A tal proposito è stato implementato un algoritmo di identificazione utilizzando un metodo con la pseudoinversa.

(32)

5.2.1

Identificazione Modello: Pseudoinversa

Questo algoritmo si basa sull’identificazione delle costanti elastica e di smor-zamento a partire dai valori noti di forza, identazione e velocità. Considerato che:

F = kx + βv → F = [x v][ k

β ]

applicando il metodo della pseudoinversa si ottiene in definitiva:

" b k b β # =h x v i†F

Si può pensare quindi di ripetere in real time tale operazione ogni volta che vengono acquisiti dei campioni. In maniera iterativa si ha:

[f1] = [x1 v1] " k1 β1 # " f1 f2 # = " x1 v1 x2 v2 # " k2 β2 # e così via...

in modo da ottenere l’andamento nel tempo delle stime di k e β.

5.2.2

Regressore Quadratico

A questo punto bisognava fare una giusta scelta dei regressori. Sappiamo che l’andamento forza-indentazione non è lineare per cui ci aspettavamo un regressore che rispettasse tale condizione. Bisognava quindi trovare un buon modello e analizzare l’errore tra modello e dati reali al fine di constatarne la correttezza.

• Noti: x, v, F • Stimati: k,b βb

• Calcolata la forza stimata: F =b kx +b βvb

se il modello fosse completamente esatto allora idealmente F = F , ma nelb

caso reale ciò non è possibile per cui definiamo l’errore come: |e| := |F −F |b

Osservando l’immagine seguente notiamo ancora una volta l’andamento non lineare della curva forza-indentazione

(33)

Figura 5.2: Dati Acquisiti

Se ipotizziamo β e v costanti, scelta ammissibile a causa della quasi stati-cità dell’esperimento, allora si può pensare il termine βv come una costante. Definendo ¯f := F − βv, allora

¯

f = kx

L’idea è quindi di trovare una funzione del tipo: ¯

f = kg(x)

e la scelta di g(·) è:

g(x) = x2

per cui il modello ipotizzato è:

F = kx2+ βv

Nelle figure in basso si nota come tale regressore stimi bene i dati acquisiti del tessuto uterino e confermi quanto detto precedentemente e cioè che a causa delle fibre di elastina e collagene si viene a creare una non linearità concernen-te le proprietà fisiche e meccaniche del concernen-tessuto in questione. Ciò ci permetconcernen-te di affermare che i dati acquisiti, seppur affetti da errore, rappresentano bene l’andamento meccanico di un tessuto uterino.

(34)

Figura 5.3: Dati Acquisiti e Stime Regressore Quadratico (sinistra) - Fit Dati e Fit Stime Regressore Quadratico (destra)

5.3

Fase II: Modulo Elastico

La seconda fase consiste nell’utilizzare i dati acquisiti per calcolare il modu-lo elastico o modumodu-lo di Young. Tale modumodu-lo elastico verrà poi confrontato con lo stato dell’arte oggi in uso al fine di verificarne la correttezza. Questa rappresenta una seconda validazione dei dati acquisiti che rende più robusto lo studio di ricerca che mette le basi proprio su quel dataset a disposizione. Per fare ciò si è pensato di ripulire i dati acquisiti da eventuali errori appli-cando un filtro. Sono stati quindi analizzati i risultati in primo luogo senza l’applicazione del filtro e successivamente implementando il filtraggio. In ultima battuta sono stati messi a confronto i due risultati per valutare l’ef-ficacia o meno del filtro e per constatare la consistenza dei risultati ottenuti facendo uso dello stato dell’arte.

(35)

5.3.1

Approccio A: Senza Filtro

Sono stati presi i dati acquisiti in ospedale e sono stati analizzati utilizzando il software di calcolo numerico e analisi statistica Matlab. Nello specifico:

1. Import: sono stati importati, su Matlab, i dati disponibili di forza e indentazione acquisiti dai tessuti uterini in ospedale

2. Merge: poichè per ogni esperimento sono state effettuate più prove, con le stesse condizioni, allora sono state raggruppate tutte le prove di ogni esperimento

3. Fit: a questo punto è stato effettuato un fit dell’insieme dei dati cer-cando un trade off tra la minimizzazione dell’errore quadratico medio e la sovrastima del fit. Quest’ultima infatti potrebbe aumentare la complessità computazionale inutilmente

Figura 5.4: Fit Dati Tessuto

4. Stress-Strain: trovato un modello grazie al fit utilizzato, a partire da quel modello sono state calcolate le grandezze necessarie al fine di verificarne la correttezza

5. Modulo di Young: è stato infine calcolato il modulo di Young del tessuto in questione

(36)

Figura 5.5: Modulo di Young Tessuto Uterino

5.3.2

Approccio B: Con Filtro

Poichè per ogni esperimento sono state effettuate varie prove uguali e poi-chè è stato notato che le varie prove hanno differenze sostanziali, allora si è pensato che tali dati siano affetti da errori non trascurabili dovuti anche alle vibrazioni del device ancora in sperimentazione e continua evoluzione. A tal proposito è stato implementato un filtro che possa identificare ed ap-punto eliminare eventuali outliers acquisiti. Questo nuovo approccio opera come segue:

1. Import: sono stati importati, su Matlab, i dati disponibili di forza e indentazione acquisiti dai tessuti uterini in ospedale

2. Merge: poichè per ogni esperimento sono state effettuate più prove, con le stesse condizioni, allora sono state raggruppate tutte le prove di ogni esperimento

3. Filtro: è stato applicato un filtro per la ricerca di eventuali campioni da non considerare

(37)

Figura 5.6: Filtraggio Dati Tessuto

4. Stress-Strain: trovato un modello grazie al fit utilizzato, a partire da quel modello sono state calcolate le grandezze necessarie al fine di verificarne la correttezza

5. Fit: a questo punto è stato effettuato un fit dei dati calcolati di stress-strain cercando un trade off tra la minimizzazione dell’errore quadratico medio e la sovrastima del fit. Quest’ultima infatti potrebbe aumentare la complessità computazionale inutilmente

6. Modulo di Young: è stato infine calcolato il modulo di Young del tessuto in questione

Figura 5.7: Modulo di Young con Filtro Tessuto Uterino

5.3.2.1 Confronto Approcci

Una volta effettuati i due approcci è stato doveroso metterli a confronto per capire in primo luogo se il filtro avesse o meno senso e successivamente

(38)

constatare la consistenza e correttezza dei dati.

Dall’analisi dei due moduli elastici si evince che l’approccio A ha portato ad un modulo di Young di circa 30KP a, mentre inserendo il filtro si ha un modulo di Young di circa 2.5KP a.

A questo punto era doveroso guardare allo stato dell’arte per capire se e quale dei due approcci fosse conforme al modulo elastico reale. Dallo stato dell’arte si evince, come si può vedere in figura, che i tessuti molli hanno un modulo elastico nell’intervallo [1 − 10]KP a [13].

Figura 5.8: Modulo di Young Tessuti Organici (fonte: [13])

Se ne deduce quindi che l’idea di inserire un filtro per eliminare eventuali outliers non solo ha senso, ma è proprio indispensabile al fine di ripulire l’acquisizione dei dati da errori dovuti a vari fattori.

(39)

Capitolo 6

Finite Element Analysis (FEA)

L’analisi agli elementi finiti (FEA) è una tecnica di simulazione usata nelle analisi ingegneristiche che utilizza il Metodo degli elementi finiti (FEM), il cui obiettivo è la risoluzione in forma discreta e approssimata di generali sistemi di equazioni alle derivate parziali.

I vantaggi di un’analisi agli elementi finiti consistono nella possibilità di trattare problemi di campo, una grandezza fisica esprimibile come funzione della posizione nello spazio e del tempo:

• definiti su geometrie complesse

• relativi ad una larga varietà di problemi ingegneristici (di meccanica dei solidi, dei fluidi, del calore, di elettrostatica, ecc...)

• con complesse condizioni di vincolo • con complesse condizioni di carico Gli svantaggi dell’analisi consistono:

• nell’impossibilità di generare una soluzione in forma chiusa

• nelle approssimazioni della soluzione inerenti all’approccio ad elementi finiti utilizzato: discretizzazione, interpolazione della soluzione, proce-dure numeriche per il calcolo di quantità integrali

• negli errori connessi alle procedure di calcolo utilizzate

La necessità di utilizzare l’analisi agli elementi finiti nasce dal fatto che per vari motivi si è impossibilitati ad eseguire esperimenti e studi su organi ex vivo. Infatti per motivi etici ciò è preferibilmente evitabile. Inoltre, al fine di generalizzare l’algoritmo proposto, era doveroso costruire molti campioni

(40)

in silicone con caratteristiche meccaniche differenti in modo da simulare il comportamento fisico dei tessuti biologici. La costruzione di centinaia o addirittura migliaia di campioni di siliconi è risultata dispendiosa in termini di tempo e risorse.

Per queste ragioni si è pensato allora di proseguire il lavoro in ambiente simulativo al fine di poter utilizzare tutti i campioni desiderati.

6.1

Metodo agli Elementi Finiti (FEM)

Il metodo agli elementi finiti (FEM) trova origini nelle necessità di risoluzione di problemi complessi di analisi elastica e strutturale nel campo dell’ingegne-ria. Esso rappresenta uno strumento avanzato che permette di rappresentare un qualsiasi sistema fisico reale in formato digitale. La sua versatilità sta nel fatto che tale metodo è possibile applicarlo a sistemi molto complessi e per questo è uno degli strumenti più utilizzati.

Ciò che sta alla base della FEM è la modellizzazione del sistema che consiste nella ricerca e creazione del modello computazionale a partire dal sistema reale. Ciò che invece è lo scopo di tale strumento è la simulazione del pro-blema che consiste nell’esecuzione dei modelli computazionali costruiti per verificare che il comportamento risultante dalla simulazioni sia il più simile possibile al comportamento che si ottiene con il sistema reale di partenza. Il metodo agli elementi finiti (FEM), Finite Element Method, permette di risolvere problemi per i quali non è ricavabile la soluzione analitica. É una tecnica che cerca di risolvere in modo approssimato, riducendo ad un siste-ma di equazioni algebriche, le equazioni differenziali alle derivate parziali che descrivono il problema analizzato.

Si fa riferimento ad approssimazione in quanto le equazioni sono ottenute appunto da un numero finito di elementi. Infatti con questo metodo si di-scretizza il continuo, che ha infiniti gradi di libertà, con un insieme di elementi di dimensioni finite tra loro interconnessi in punti predefiniti, detti nodi. Il metodo FEM si applica quindi a corpi fisici che possono essere suddivisi in un certo numero, anche molto grande, di elementi di forma definita e dimen-sioni contenute. Nel continuum ogni singolo elemento finito viene considerato un campo di integrazione numerica di caratteristiche omogenee.

La caratteristica principale del metodo degli elementi finiti è la discretiz-zazione attravero la creazione di una griglia, appunto mesh, composta da primitive (elementi finiti) di forma codificata. Su ciascun elemento caratte-rizzato da questa forma elementare, la soluzione del problema è assunta essere espressa dalla combinazione lineare di funzioni dette funzioni di forma. Tali

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funzioni sono scelte in modo da descrivere lo spostamento dei punti interni dell’elemento che si vuole rappresentare. Ogni elemento è caratterizzato da:

• Dimensione: 1D, 2D, 3D

• Nodi: punti precisi dell’elemento che ne individuano la geometria. Su ogni nodo dell’elemento viene associato il valore di un campo o gradiente che interessa l’intera struttura

• Gradi di libertà: i possibili valori che possono assumere i campi o gradienti nei nodi, due nodi adiacenti hanno gli stessi valori

• Forze sui nodi: forze esterne applicate sui nodi o l’effetto delle reazioni vincolari

• Proprietà costitutive: le proprietà dell’elemento e del suo comporta-mento

• Soluzione: soluzione di un sistema di equazioni, anche non lineari risolte per via numerica dall’elaboratore

Per ottenere la giusta simulazione di un problema fisico reale bisogna im-plementare alcuni passaggi al fine di rappresentare il meglio possibile ciò che si vuole emulare. Per ottenere ciò bisogna quindi seguire delle fasi fondamentali ognuna delle quali comporterà l’inserimento di un errore di approssimazione nella soluzione finale.

6.2

Ansys

Oggi sono disponibili una grande varietà di software di analisi agli elementi finiti. Comune a tutti i pacchetti software è la suddivisione del processo di analisi in tre fasi:

1. Il pre-processing dove è costruito il modello ad elementi finiti

2. Il processing di analisi vero e proprio con la risoluzione del problema agli elementi finiti

3. Il post-processing dove viene elaborata e rappresentata la soluzione La fase di pre-processing si articola nella scelta del tipo di analisi da effet-tuare (statica, dinamica, termica, lineare, non lineare), nella scelta del tipo di elmenti finiti (problemi piani o tridimensionali, ad andamento polinomiale

(42)

lineare o quadratico o differente), nella definizione dei parametri che ca-ratterizzano il comportamento costitutivo dei materiali, nella definizione del reticolo di nodi del problema discreto, nella costruzione della discretizzazione ad elementi finiti assegnando per ognuno i nodi a cui essi fanno riferimento, applicando le condizioni di vincolo e di carico.

La fase di post-processing elabora e rappresenta la soluzione sia nelle quan-tità fondamentali sia delle quanquan-tità da esse derivate.

Ciò che spesso ci si può domandare è se l’utilizzo di tali software può rite-nersi un banco di prova o meno. La nuova generazione di software FEM ha raggiunto, a tal proposito, un livello di accuratezza paragonabile a quello di un banco di prova a tal punto che oramai il vero limite non sono i software ma l’utilizzatore. Infatti così come su un banco di prova è il collaudatore che deve garantire la regolarità del test che viene eseguito.

Per questo lavoro di tesi è stato utilizzato il software Ansys e per la precisio-ne la versioprecisio-ne Ansys 19 Student version che è concessa in versioprecisio-ne gratuita dalla stessa Ansys Inc. Il software mette a disposizione un’interfaccia grafica che rende la definizione della simulazione più semplice ed intuitiva. Come già accennato Ansys permette di simulare un qualsiasi tipo di problema ingegne-ristico e cosa comune ad ogni applicazione sono gli step che caratterizzano la definizione del problema. Infatti per poter effettuare una simulazione ci sono sei step da seguire a prescindere dalla natura del problema:

1. Analysis Type 2. Engineering Data 3. Geometry 4. Model 5. Setup 6. Solution 7. Results

6.3

Analysis Type

L’utilizzo di Ansys per lo svolgimento di questo lavoro di tesi nasce dal-la necessità di voler simudal-lare dal-la dinamica forza-indentazione di un tessuto biologico ed in particolar modo quello uterino. É quindi essenziale dover effettuare un tipo di analisi che sia dipendente dal tempo di applicazione di

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una sollecitazione esterna, in questo caso l’indentazione. Ciò che si vuole ottenere è analizzare la risposta del sistema in oggetto sotto l’applicazione di un’indentazione che genererà quindi una forza di reazione causata dal di-splacement del campione di tessuto sotto esame. Per questo motivo è stata implementata un’analisi di tipo Transient Structural.

Un’analisi transitoria, per definizione, coinvolge carichi che sono funzione del tempo. Nell’applicazione Mechanical di Ansys è possibile eseguire un’analisi transitoria su una struttura flessibile o rigida. Questo tipo di analisi viene ap-punto utilizzato per determinare la risposta dinamica di una struttura sotto l’azione di qualsiasi carico generale dipendente dal tempo. É possibile usare questa analisi per determinare spostamenti, tensioni, sforzi e forze variabili nel tempo in una struttura mentre risponde a qualsiasi carico transitorio. Un ruolo importante in un’analisi di questo tipo è giocato dall’inerzia e dagli effetti di smorzamenti della struttura stessa. Un’analisi transitoria può essere lineare o non lineare.

Su Ansys sono ammessi tutti i tipi di non linearità: grandi deformazioni, plasticità, contatto, iperelasticità e così via. Un’analisi dinamica transitoria è più coinvolta di un’analisi statica e richiede risorse computazionali molto maggiori. Inoltre se il modello considerato include non linearità il tempo di risoluzione del problema può diventare significativo a causa della procedura di soluzione iterativa.

Come è possibile vedere nell’immagine seguente, una volta scelto il tipo di analisi da effettuare è indispensabile la definizione del modello fisico della struttura (materiale), della sua geometria e di eventuali carichi e/o defor-mazioni applicati. Infine, come già anticipato, è possibile ottenere in output qualsiasi tipo di grandezza fisica risultante.

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6.4

Engineering Data

Abbiamo già visto come un tessuto biologico è caratterizzato da un com-portamento non lineare causato dalla presenza delle fibre di collagene ed elastina. Altresì è bene sottolineare che tessuti di questo tipo presentano anche un comportamento viscoso oltre che elastico.

Per questo motivo è stato doveroso soffermarsi sulla definizione fisica del problema al fine di trovare un modello che potesse approssimare al meglio il comportamento complesso di un tessuto biologico.

Per determinare un modello della struttura in esame (campione di tessuto uterino) Ansys permette di definire qualsiasi tipo di parametro fisico come: modulo di Young, coefficiente di Poisson, plasticità, densità, viscosità e così via. Infatti la risposta di un sistema fisico è determinata dalle proprietà del materiale stesso.

Il blocco Engineering Data dell’applicazione Mechanical di Ansys permette di selezionare da una libreria integrata una vastità di materiali già definiti come: ferro, alluminio, elastomeri, e così via. Inoltre è possibile anche de-finire la natura del materiale in completa autonomia customizzandone ogni componente.

Poichè il modello di cui necessitiamo è molto complesso è stato doveroso cu-stomizzarne i vari parametri. A tal proposito è bene descrivere quali sono stati i motivi che hanno portato alle scelte progettuali di questa fase.

6.4.1

Meccanica del Continuum di Cauchy

La meccanica del continuo studia il comportamento di corpi continui. For-malmente, si definisce corpo continuo un corpo i cui punti materiali sono assimilabili con i punti geometrici di una regione regolare dello spazio e do-tati di massa per i quali esista una funzione densità di massa che ne possa rappresentare la misura.

Sia i solidi che i fluidi appartangono al modello corpo continuo che è associato al concetto di corpo deformabile, poichè mentre il moto le varie componenti sono sottoposte a variazioni di forma e di volume. I continui deformabili possono essere visti come sistemi con infiniti gradi di libertà e le relative equazioni meccaniche assumono la forma di equazioni alle derivate parziali. Una classificazione di tali modelli può essere fatta in base alla dimensione dello spazio considerato. Rientra tra i modelli tridimensionali il continuo di

Cauchy, che è quello più conosciuto ed importante.

Lo studio del comportamento meccanico dei corpi continui si suddivide in tre fasi: la caratterizzazione cinematica, la definizione di relazioni generali di bilancio e di relazioni costitutive caratterizzanti il materiale che costituisce il

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corpo. I primi due insiemi di equazioni rappresentano dei vincoli indipenden-ti dal materiale, mentre l’ulindipenden-tima equazione è legata allo specifico materiale constituente il corpo.

L’importanza della meccanica del continuo nasce dal fatto che tratta quan-tità fisiche indipendenti dal sistema di coordinate in vui vengono osservate, rappresentate quindi da tensori.

6.4.1.1 Cinematica

La cinematica analizza il moto e la deformazione di un corpo continuo a prescindere dalle cause che lo determinano. Un sistema si può ritenere co-me continuo alla Cauchy se si possono identificare i suoi eleco-menti con punti geometrici di una regione regolare B. Questa regione è definita come

confi-gurazione del corpo.

É ovviamente possibile definire una configurazione K(B) ed indentificare ogni punto materiale del corpo con la sua posizione X in tale configurazione, de-finita configurazione di riferimento.

Una nuova configurazione è data dalla relazione vettoriale x = χ(X) che lega le varie posizioni dei punti.

Naturalmente affinchè essa possa essere ritenuta una variazione di configura-zione valida, l’applicaconfigura-zione χ(·) deve avere certe proprietà matematiche che traducano certe proprietà fisiche. É infatti necessario che i punti materiali mantengano la loro univocità, senza lacerazioni o comprenetrazioni di ma-teria. É necessario che la funzione χ(·) sia sufficientemente regolare, come nello specifico il gradiente della deformazione F = ∇χ(X).

Il moto è quindi spiegabile tramite una sequenza di cambiamenti di confi-gurazioni al variare del tempo. Esso è pertanto dato da un’applicazione del tipo x = χ(X, t) e da quest’ultima definizione si possono derivare concetti di moto come i campi vettoriali di velocità e di accelerazione.

(46)

Figura 6.2: Configurazione di Riferimento e Deformata del Continuo di Cauchy (fonte: [14])

L’analisi della deformazione consiste nello studio della funzione x = χ(X) che porta il corpo dalla configurazione iniziale alla configurazione deformata. Si definisce così lo spostamento del tipo u(X ) = χ(X) − X .

In particolare si definisce il gradiente della deformazione come:

F = I + ∇u(X ) (6.1) Il gradiente della deformazione è una misura della deformazione di un intorno di un generico punto.

In generale uno spostamento generico di un corpo è formato da uno sposta-mento e una deformazione pura. Effettuando una decomposizione polare del tensore si ottiene F = RU = VR con R tensore ortogonale e (U, V) tensori simmetrici e definiti positivi detti rispettivamente tensore destro e sinistro

della deformazione.

Una deformazione pura è necessariamente indipendente dalla rotazione rigida e quindi dal tensore R, per cui se ne deduce che è solo dipendente dai tensori destro o sinitro. Per tale motivo è bene definire il tensore di Green-Cauchy come:

E = 1 2(F

TF − I) (6.2)

6.4.1.2 Bilancio

Come nella meccanica classica anche la meccanica del continuo ha concetti come: la massa e le forze. Alcune leggi note comeprincipi fondamentali della

meccanica legano questi concetti al concetto del moto.

(47)

ogni parte P del corpo possieda una massa m(P) definita come un numero reale positivo con la proprietà di continuità assoluta rispetto al volume del corpo. Ciò assicura l’esistenza di una funzione densità di massa ρ(·) > 0 definita sulla generica configurazione del corpo χ(B), tale che la massa di una sua generica parte sia misurata dall’integrale di volume:

m(P) =

Z

χ(P

ρ(x)dv (6.3)

A partire da questi concetti è possibile definire le forze che possono essere di due tipi: forze di massa e forze di contatto. A partire da tutto ciò è possi-bile definire un tensore delle tensioni T che rappresenti l’energia del sistema a causa di una deformazione avvenuta per un carico sul corpo continuo.

Figura 6.3: Forze di Massa e di Contatto nel Continuo di Cauchy (fonte: [15])

6.4.1.3 Legami Costitutivi

I legami costitutivi caratterizzano il comportamento del particolare materia-le costituente il corpo. Al variare di tali materia-legami si avrà quindi una classe differente di materiale ideale (comportamenti ideali quali: elasticità, plasti-cità, viscosità, ecc.) che rappresentano un modello di comportamento per i materiali reali.

Una classe molto importante di materiali è quella dei materiali elastici, che godono della caratteristica per cui lo stato di tensione di deformazione, dipen-dente dal tempo, T(x, t) è determinato soltanto dallo stato di deformazione di tale configurazione rispetto alla configurazione di riferimento, e non da tutta la storia passata. Perciò per tali materiali il legame costitutivo è ricon-ducibile alla forma T(x, t) = T(F).

(48)

In particolare si parla di materiale iperelastico se esiste un funzionale del solo stato di deformazione attuale φ(E), con E tensore di Cauchy-Green, tale che il relativo gradiente sia rappresentativo dello stato di sollecitazione e cioè se vale la relazione S = δEδφ. Si può quindi definire, per i materiali iperelastici, la potenza dello stato tensionale

W(P, t) = Z K(P) S · ( d dtE)dV = d dt Z K(P) φ(E)dV (6.4)

Esistono ovviamente altre classi di materiali che però esulano dallo studio di questa tesi e per questo non verranno affrontati.

6.4.2

Materiali Iperelastici

Un materiale iperelastico è definito da un modello per cui il rapporto sforzo-deformazione è derivata dalla strain energy density function. L’iperelasticità è utile a descrivere materiali caratterizzati da comportamenti non lineari, come i tessuti biologici.

In letteratura esistono molti modelli iperelastici, ma per questo lavoro di tesi è stato utilizzato il modello iperelastico di Ogden.

6.4.2.1 Modello Iperelastico: Ogden

Il modello di materiale di Ogden è un modello utilizzato per descrivere il comportamento non lineare dello sforzo-deformazione di materiali complessi come gomme, polimeri e tessuti biologici.

Tale modello si basa su una funzione di densità di energia di deformazione che, come già noto, è funzione del gradiente di deformazione o dei suoi tensori destro o sinistro di Cauchy-Green

W(·) = W(FTF) = W(R) = W(V)

Sotto opportune condizioni la funzione di densità di energia di deformazione può essere espressa unicamente in termini di principal stretches.

I principal stretches non sono altro che gli autovalori dei tensori destro e sinistro. Infatti fisicamente si può pensare ai principal stretches come le direzioni che la deformazione di un corpo subisce. Poichè è quindi possibile definire la funzione di energia in termini dei tensori o dei principal stretches allora si avrà la seguente forma:

W (·) = W (λ1, λ2, λ3) = W (I1, I2, I3) (6.5)

dove I sono gli invarianti e λ i principal stretches.

(49)

C = FTF C

IJ= FkIFkJ = δxδXk

I

δxk

δXJ

esso rappresenta il quadrato del cambiamento locale nelle distanze a causa della deformazione. Gli invarianti più comunemente usati sono definiti come:

       I1 := tr(C) = λ21+ λ22+ λ23 I2 := 12[(tr2(C)) − tr(C2)] = λ21λ22+ λ22λ23 + λ21λ23 I3 := det(C) = λ21λ22λ23 (6.6)

dove i λi sono i rapporti di allungamento per le fibre unitarie che sono

ini-zialmente orientate lungo le direzioni degli autovettori del tensore di defor-mazione destro di riferimento.

Il modello materiale di Ogden è caratterizzato dalla seguente funzione di densità di energia di deformazione:

W (λ1, λ2, λ3) = N X p=1 µ αp (λαp1 + λαp2 + λαp3 − 3) (6.7)

dove N , µp e αp sono costanti del materiale. Sotto l’assunzione di

incom-primibilità e di sforzi uniassiali, che sono alla base di questo lavoro di tesi, valgono le seguenti:        λ2 1 = λ2 λ2 2 = 1 λ λ2 3 = λ22 (6.8) e quindi si ottiene: W = N X i=1 µ αp (λαp+ 2λαp2 − 3) (6.9)

Poichè una funzione di densità di energia di deformazione è tale se è possibile ricavare lo stress dalla sua derivata rispetto ai tratti principali o agli invarianti allora si ottiene che:

σ = dW = N X p=1 µ(λαp−1− λαp2 −1) (6.10)

6.4.3

Materiali Viscoelastici

La viscosità è una grandezza fisica che caratterizza la resistenza di un fluido allo scorrimento. Si tratta in altri termini del coefficiente di scambio di quan-tità di moto. Dal punto di vista microscopico la viscosità è legata all’attrito

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