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Una storia a intermittenza. Genesi, sviluppo e prospettive delle relazioni tra Italia e Corea nel contesto internazionale dal 1884 a oggi.

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea Magistrale in Studi Internazionali LM-52

Geopolitica degli interessi Europei nell’era della globalizzazione

Tesi di Laurea Magistrale

Una storia a intermittenza.

Genesi, sviluppo e prospettive delle relazioni tra Italia e Corea nel contesto

internazionale dal 1884 a oggi.

Candidata: Relatore:

Greta Ledda Prof. Simone Paoli

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1

INDICE

INTRODUZIONE ... 3

1)PRIMI CONTATTI TRA ITALIA E COREA ... 6

1.1Breve storia della penisola coreana ... 6

1.2 Primi contatti con l’Italia: dai racconti di Daniello Bartoli al “Trattato di amicizia, commercio e navigazione” tra il Regno di Joseon e il Regno d’Italia del 1884...11

1.3 La Corea attraverso gli occhi di Carlo Rossetti ...16

1.4 Occupazione giapponese e interruzione delle relazioni ...22

2) GUERRA DI COREA E PARTECIPAZIONE ITALIANA ...26

2.1 Guerra di Corea: prodromi e situazione internazionale ...26

2.2 Posizione italiana e dibattito parlamentare ...32

2.3 Azione diplomatica e scambi di corrispondenze ...36

2.4 Ospedale numero 68: struttura ed attività ...40

2.5 Partecipazione all’Armistizio e sviluppi successivi ...47

3) RAFFORZAMENTO DELLA COOPERAZIONE ...57

3.1 Ricostruzione relazioni diplomatiche: dalla “Dichiarazione congiunta tra Corea del Sud ed Italia” del 1959 al primo Accordo Culturale del 1965 ...57

3.2 Considerazioni dell’ambasciatore italiano in Corea del Sud Carlo Trezza sulla cooperazione tra le due Repubbliche ...64

3.3 Cooperazione scientifica e tecnologica dal 1984 ad oggi………..……...67

3.4Cooperazione economica e commerciale: visita ufficiale in Corea dell’allora Presidente del Consiglio dei ministri italiano, On. Prof. Romano Prodi e incontri successivi ...74

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2 3.5 Visita della presidente Park in occasione del 130° anniversario dello

stabilimento delle relazioni bilaterali tra i due paesi ...80

3.6 Cooperazione politica: Memorandum d’intesa sulla cooperazione sui sistemi di difesa e relativo supporto logistico...87

4) PROSPETTIVE FUTURE ...95

4.1 Visita del presidente Moon in Italia: incontro con Conte e Mattarella..95

4.2 Aspetti religiosi: incontro con Papa Francesco ...104

4.3 Potenziamento rapporti ...108 CONCLUSIONI ...113 BIBLIOGRAFIA ...116 ARTICOLI ...119 SITOGRAFIA ...121 RINGRAZIAMENTI ...125

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3

INTRODUZIONE

L’obiettivo di questo lavoro è quello di delineare, attraverso l’analisi dei passaggi costitutivi della vicenda, l’origine e l’evoluzione storica delle relazioni tra Italia e Corea, relazioni che, ancora oggi, risultano essere misteriose per una parte maggioritaria dell’opinione pubblica e della stessa accademia italiana.

All’interno del primo capitolo, utilizzando alcuni dei più importanti saggi in lingua italiana e inglese relativi alla storia della Corea, si è proceduto a delineare le origini del cosiddetto Paese del Calmo Mattino, risalenti, secondo le fonti, al 2333 a.C. Partendo dall’analisi del nome, di cui ricordiamo l’importante contributo fornito dal nostro connazionale Marco Polo, il quale, nel suo “Milione” parlò per la prima volta di Cauli per far riferimento allo Stato coreano di Goryeo, ci si è successivamente concentrati sull’analisi della storia delle varie dinastie succedutesi in Corea. Tale indagine, elaborata mediante la consultazione di monografie realizzate dai più importanti studiosi della Corea, è risultata fondamentale al fine di comprendere la genesi delle relazioni internazionali della penisola coreana, inizialmente circoscritte agli Imperi asiatici quali quello cinese e nipponico. I numerosi scontri, sviluppatisi tra i vari Regni presenti nella penisola, resero sempre difficile, già dai tempi antichi, l’unità del Paese. Questo stato di frammentazione fu uno dei motivi che portarono la penisola a non essere mai del tutto indipendente ma continuamente soggetta alle ingerenze dei più potenti Imperi vicini, i quali interferirono pesantemente nelle questioni coreane, isolando per molto tempo il Paese dalla scena internazionale. Solo con la dinastia Chosŏn (1392-1897) e il Regno di Re Sejong, il “Paese Eremita” iniziò ad aprirsi, seppur timidamente, al resto del mondo. Proprio tale apertura consentì lo sviluppo dell’interesse da parte di una serie di studiosi stranieri, tra i quali il gesuita italiano Daniello Bartoli, il quale, all’interno di una sua opera del 1650, “Istoria della Compagnia di Gesù”, fornì una prima descrizione della Corea, paragonandola per certi aspetti alla nostra penisola. L’analisi dell’opera di Bartoli risulta di estrema importanza al fine di comprendere le dinamiche interne alla Corea e le ragioni che portano quest’ultimo a rifiutare, in un primo

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4 momento, lo stabilimento di relazioni con l’Italia. Fu solamente nel giugno del 1884, infatti, che vennero siglati i primi accordi tra i due Paesi, in particolare mediante la firma del “Trattato di Amicizia, Commercio e Navigazione” il cui contenuto è stato analizzato soprattutto grazie alla consultazione del volume del 1902 del console Carlo Rossetti, “Corea e Coreani: impressioni e ricerche sull’Impero del Gran Han”. Anche la figura di Rossetti, grazie alle due opere scritte durante la sua permanenza in Corea, è fondamentale al fine di analizzare le dinamiche interne alla Corea e le ragioni che consentirono una prima apertura nei confronti dell’Italia. Concluso il primo capitolo con una breve analisi dell’occupazione nipponica, responsabile dell’interruzione dei rapporti tra Corea e Italia, il lavoro si articola in un secondo capitolo interamente dedicato allo studio della Guerra di Corea e al ruolo che l’Italia giocò durante tale conflitto.

Oltre a un’analisi del contesto internazionale, realizzata mediante la consultazione di alcune delle più importanti opere di ricostruzione della storia delle relazioni internazionali, il secondo capitolo contiene una dettagliata analisi del dibattito parlamentare che ebbe luogo in Italia negli anni 50’ e che vide il governo, guidato da Alcide De Gasperi, scontrarsi con le differenti opinioni dei più importanti esponenti della sinistra italiana, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti. Inoltre, grazie alle documentazioni reperite dagli archivi della Croce Rossa Italiana nonché all’opera di Cannonero e Pianese, relativa al ruolo degli italiani in tale conflitto, viene ripercorso l’iter che portò alla decisione di inviare in Corea l’Ospedale numero 68 e in seguito, l’insieme dei passaggi che consentirono lo sviluppo della missione sanitaria italiana che, tutt’oggi, viene ricordata con grande riconoscenza dalla leadership e dalla popolazione coreana.

La ricostruzione di questa vicenda, a sua volta, viene legata all’analisi della Dichiarazione Congiunta tra l’Italia e la Corea del Sud del 1959 che consentì la ricostruzione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi nonché lo stabilimento dei riconoscimenti ufficiali.

Il terzo capitolo si concentra, invece, sugli sviluppi e sul rafforzamento della cooperazione a partire dagli anni ‘60. Sulla base dei dossier reperiti su archivi online dello Stato italiano, sono analizzati una serie di documenti esplicativi della nascita e dello sviluppo della cooperazione tra i due Paesi. Circa gli

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5 ambiti della cooperazione analizzati, particolare attenzione è dedicata ai settori dell’economia, della difesa, della politica internazionale, della cultura, della ricerca e dell’applicazione scientifica.

Per ciascuno di tali settori sono analizzati gli Accordi istitutivi della collaborazione nonché gli sviluppi che, nel corso degli anni, hanno portato ad un rafforzamento della cooperazione tra le parti, senza tralasciare il contesto internazionale all’interno del quale i rapporti si sono andati a sviluppare. Particolare risalto, in questo ambito, viene dato alla visita in Italia dell’allora presidente sudcoreana, Park Geun-hye, in occasione del 130° anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche nonché al successivo incontro tra Park e Renzi in occasione del vertice di Hangzhou.

Il quarto capitolo, infine, ha l’obiettivo di analizzare i più recenti sviluppi, con particolare attenzione agli ultimi incontri tra il presidente sudcoreano Moon Jae-in e i massimi esponenti della politica e delle istituzioni italiane. Tra questi viene messo in luce l’incontro, nell’ottobre del 2018, avvenuto con il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nonché il particolare colloquio tenutosi al Vaticano con Papa Francesco al fine di recapitare a quest’ultimo l’invito del leader nordcoreano Kim per una visita in Corea del Nord.

Vengono inoltre tracciate le possibili prospettive future nonché gli sforzi dell’Ambasciata italiana in Corea del Sud, con il nuovo ambasciatore Federico Failla, volti a integrare maggiormente queste due realtà all’apparenza molto differenti tra loro.

In conclusione, viene esposta una piccola riflessione personale sul senso dello sviluppo storico dei rapporti tra i due paesi nonché sull’attuale dibattito bilaterale relativo alle tendenze e alle sfide della politica globale.

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6

1.

PRIMI CONTATTI TRA ITALIA E COREA

1.1 Breve storia della penisola coreana

Seppur negli ultimi anni si sia sentito parlare sempre più spesso della Corea, soprattutto in virtù dell’atteggiamento aggressivo tenuto dalla leadership della Repubblica Democratica di Corea (Corea del Nord), pochi in Italia conoscono la storia di tale antico Paese e sono al corrente delle relazioni storiche che uniscono il Bel Paese al Chosŏn, il Paese del Calmo Mattino. Quando parliamo di Corea, non tutti sanno che tale nome deriva da “Cauli”, espressione utilizzata da Marco Polo (1254-1324) nel Milione per fare riferimento a Goryeo, lo Stato retto dalla dinastia Wang che, all’epoca, governava il territorio coreano.1 Nonostante i vari appellativi, attribuiti nei secoli soprattutto dalla Cina, in seguito alla divisione della penisola, avvenuta come risultato della guerra fratricida del 1950-1953, i nordcoreani e i sudcoreani iniziarono ad utilizzare nomi differenti per far riferimento alla Corea: i coreani del Nord chiamarono e continuano oggigiorno a chiamare il Paese con il nome originario, Chosŏn, mentre i coreani del Sud utilizzano il termine Han’guk (Paese Han). Tuttavia, tutti i coreani, per parlare della loro patria, fanno riferimento all’espressione uri nara che significa “il nostro Paese”.

La storia della Corea fu caratterizzata da un susseguirsi di dinastie che, dalla fondazione, avvenuta secondo la leggenda il 3 ottobre 2333 a.C., in seguito alla costituzione del primo Stato coreano di Gojoseon, animarono le vicende di tale penisola.2

1 Nel suo Milione Marco Polo, pur non avendo visitato la Corea, la cita con il nome di Cauli

parlando delle imprese di Kublai Khan, che egli aveva avuto modo di incontrare personalmente a Pechino. Marco Polo racconta che l’imperatore aveva mantenuto il controllo della Corea sconfiggendo e condannando a morte, nel 1288, un suo cugino di nome Nayan, che si era ribellato alla sua autorità e gli contendeva il dominio su quel territorio. Marco Polo, Il Milione, a cura di Maria Bellonci, Oscar Mondadori, Milano 2013, pp. 124-129, 354, 365.

2 La fondazione della Corea non fa riferimento ad un evento realmente accaduto ma ad una

leggenda che, tutt’oggi, viene ricordata e venerata dai coreani. Secondo il mito, Hwanung, figlio di Hwanim, Dio del Cielo, scese tra gli esseri umani con tremila seguaci e, su consiglio del padre, prese dimora sul monte T’aebaek, nel nord della penisola coreana. Un’orsa e una

(8)

7 Secondo il Samguk Yusa (Memorie storiche dei tre regni), considerata una delle opere storiografiche più importanti dell’antica Corea, il regno di Gojoseon, a partire dal III secolo a.C., si disgregò in vari stati successori, i quali, intorno all’anno zero dell’era cristiana, vennero conquistati dai tre regni: Koguryŏ, Paekche e Silla Antico.3 Tali regni, seppur emersi in tempistiche differenti e nonostante i continui conflitti che animarono i loro rapporti, furono molto importanti per lo sviluppo delle prime relazioni della Corea in quanto si impegnarono in una politica di espansione, non solo sulla penisola ma persino sul continente, allacciando relazioni diplomatiche ed alleanze militari con i vari stati presenti all’interno dell’Impero Celeste, con i nomadi localizzati nelle steppe cinesi e con il Giappone.4

In tale contesto fu molto importante l’alleanza tra il Silla Antico e la dinastia cinese Tang che consentì al Silla di sconfiggere, prima il regno di Paekche poi quello di Koguryŏ, con il quale il primo si era alleato. Tali scontri consentirono al Silla di portare avanti, nel 668, un importante processo di unificazione che però si rivelò tutt’altro che semplice a causa dell’interferenza della dinastia Tang la quale, avendo fornito aiuto durante le guerre di unificazione, ambiva ad estendere maggiormente la propria influenza sulla penisola coreana.5 Tali ambizioni si scontrarono sin da subito con quelle del re di Silla, il quale riprese, subito dopo le guerre per l’unificazione, le armi,

tigre pregarono Hwanung affinché le trasformasse in umane, ma la divinità volle prima metterle alla prova: diede loro da mangiare un fascio d’assenzio incantato e venti spicchi d’aglio con l’obbligo di stare chiuse cento giorni in una caverna senza mai poter uscire. Solo l’orsa vinse la prova e fu trasformata in donna; ella non avendo un marito pregò però di avere un figlio. Hwanung cambiò quindi le proprie sembianze e si unì alla donna-orso insieme alla quale diede alla luce un figlio chiamato Tan’gun Wanggŏm. Nel 2333 a.C. Tan’gun fondò la città di P’yŏngyang, e chiamò il suo Paese Choson ossia “calmo mattino”.

Alessio Lisi, Corea il paese del calmo mattino, Laputa Geografia insolita, 25/04/2017.

3 Tale opera, che tratta la storia della fondazione dei tre regni in cui la Corea era divisa, venne

scritta dal monaco buddhista Iryon (1206-1289) e completata nel 1280 durante il periodo Koryo (918-1392).

Peter Lee, A History of Korean Literature, Cambridge University Press, 2003.

4 Il regno di Koguryŏ fu il primo fra i tre regni coreani a sorgere e ad affermarsi nella penisola

seguito dal Silla antico e dal regno di Paekche.

E. Collotti Pischel, T. Puggioni, A. Tescari, La Corea di ieri e di oggi, Milano, F. Angeli, 1998, p.15.

5 La dinastia cinese Tang seguì alla dinastia Sui la quale declinò a causa dei ripetuti fallimenti

delle spedizioni contro il regno di Koguryŏ, e alla rivolta conclusasi nel 618. Ivi p.17.

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8 al fine di garantire l’indipendenza e la libertà della Corea.6 Grazie al paradossale aiuto fornito dalla resistenza degli ex regni di Koguryŏ e Paekche, Silla riuscì ad avere la meglio e divenire padrone del territorio coreano fino all’altezza del 39° parallelo.7

L’unificazione del Paese durò però solo per tre secoli in quanto, a causa di una serie di problemi di natura politica che indebolirono il Silla Unificato, si assistette all’emergere di nuove entità che riportarono a una situazione simile a quella pre-unificazione ovvero una Corea divisa in tre nuovi regni. Questi, conosciuti come i tre nuovi regni posteriori di Corea, furono: Silla, Baekje posteriore e Goguryeo posteriore.

La situazione che si venne a creare fu molto simile a quella precedente: il regno di Goguryeo, abbreviato in Goryeo, fondato nel 918 da re Wang Geon, unificò nel 936 i tre regni e governò parte della penisola coreana fino al 1392, anno in cui la dinastia Goguryeo cadde.8 Durante tale regno, che fu il primo in cui un sovrano governò la penisola coreana unita, la Corea conobbe un periodo di profonde riforme soprattutto dal punto di vista amministrativo, che però portarono ben presto al propagarsi del malcontento all’interno della società a causa dell’incessante strapotere dell’aristocrazia.9 Tali malumori, che sfociarono in una serie di rivolte interne, culminarono nel colpo di stato militare del 1170, determinato dalla condizione subordinata del potere militare rispetto a quello civile.I militari infatti, essendo per lo più gente del popolo, furono sempre più spesso, seppur meritevoli, emarginati dalle posizioni di rango e prestigio più elevato, a vantaggio dell’aristocrazia.10

6 M. Riotto, op. cit., p.109.

7 Tutti i domini settentrionali rimasero fuori dal controllo di Silla e vennero, poco tempo

dopo, annessi ad un nuovo regno, quello di Parhae.

8 L'era dei tre regni posteriori terminò quando Goryeo annetté Silla nel 935 e sconfisse Baekje

posteriore nel 936.

H. J. Ryu, Orderly Korea Unification: With the Guarantee of Stability in East Asia, Xlibris Corporation, 2007, p.145.

9 B. Cumings, Korea's place in the sun: a modern history, 1ª ed., W.W. Norton, 1997.

10 La prima rivolta interna, attua a rovesciare il potere del sovrano, e che mostrò la profonda

fragilità interna del regno, fu quella di Yi Chanyom del 1126, stroncata sul divenire dall’esercito. Questa fu poi seguita dalla rivolta di Myoch’ong che, come la precedente si rivelò un nulla di fatto. L’evento che fece scoppiare il caos nel paese fu invece il gesto di un funzionario il quale, in segno di disprezzo verso la casta miliare, bruciò la barba di Jeong Jung-bu, uno dei massimi esponenti dei quadri militari.

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9 I risultati del colpo di stato però si rivelarono non del tutto ottimali: infatti, nonostante l’instaurazione del Chungbang (Consiglio supremo per gli affari militari), l’anarchia continuava a caratterizzare la vita della società coreana la quale fu sempre più scossa da una escalation di rivolte, ciascuna delle quali venne repressa da parte del regime o in maniera diplomatica o con la forza.11 Inoltre, questa instabilità, rappresentò un terreno fertile per le invasioni dei Mongoli i quali, dopo venticinque anni di incessante lotta, riuscirono, nel 1273 circa, ad imporre alla Corea delle spietate condizioni di pace. Questa non perse mai ufficialmente la propria indipendenza, ma divenne una sorta di colonia della Cina mongola della dinastia Yuan.12

Questa condizione di subordinazione costò molto alla Corea, sia in termini di denaro, in quanto furono innumerevoli gli aiuti logistici che la Corea offrì ai colonizzatori, sia in termini di alleanze e relazioni future. Proprio in tale circostanza iniziarono infatti a incrinarsi i rapporti con il Giappone: la spedizione mongola ai danni del Sol Levante, attuata mediante vascelli coreani, seppur fallimentare, venne considerata dal Giappone un atto di inimicizia gratuito, che sarebbe stato usato come pretesto futuro per rappresaglie e ritorsioni ai danni della penisola coreana.13

Con il declino della dinastia Yuan, determinato da una serie di problematiche interne, il re coreano Gongmin ebbe la possibilità di ricostituire il governo del paese ma, tale impresa, si rivelò sin da subito difficile sempre a causa della dilagante instabilità. Proprio questa portò il Paese a essere vittima di ulteriori invasioni: tra il 1359 e il 1361 la Corea subì gli attacchi dei “Turbanti Rossi”, bande di briganti cinesi; poco dopo, essa si trovò a dover fare i conti con la pirateria giapponese, nonché con la Cina dei Ming, la quale, approfittando della situazione critica coreana, cercò di negare ai coreani terre e storia, ponendo i presupposti per la caduta della dinastia Goryeo.14

La fine di tale dinastia fu segnata infatti da un evento particolare: nel 1392, la Casa Reale venne abbattuta mediante un colpo di stato incruento a opera del

12 Ivi. p.163.

13 Ibidem.

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10 generale Yi Seong-gye, noto anche come Taejo, il quale divenne il primo sovrano della nuova dinastia nota con il nome di Chosŏn, la quale, per sottolineare la rottura con il periodo appena trascorso, decise di spostare la capitale del regno ad Hanyang, località conosciuta universalmente come Seoul.15

Il periodo Chosŏn rappresentò un’epoca molto importante per la storia della Corea soprattutto grazie alla leadership del re Sejong, il quale divenne il sovrano più amato e rispettato dalla popolazione coreana grazie alle numerose iniziative che intraprese durante il suo regno (1418-1450): egli prima di tutto cercò di risolvere la spina nel fianco rappresentata dalla pirateria giapponese; in secondo luogo, esso consolidò i confini settentrionali del paese al fine di pacificare le zone a ridosso della Manciuria e infine, aspetto non meno rilevante, promulgò l’hangŭl, l’alfabeto nazionale coreano in vigore tutt’oggi nel Paese.16

Nonostante tali iniziative di successo, è importante osservare come, in tale periodo, la Corea venne sempre più spesso descritta, soprattutto dalle potenze occidentali, come il “Paese Eremita”: che la Corea non fosse un Paese particolarmente propenso ai commerci e all’intrattenimento delle relazioni internazionali con altri paesi, al di fuori della Cina e del Giappone, non era un qualcosa di nuovo ma, il prevalere del Confucianesimo in tali anni, non fece altro che enfatizzare tale tendenza isolazionista. Questo, a sua volta, portò molto spesso la leadership coreana a rifiutare lo stabilimento di relazioni diplomatiche, ostacolando gli stessi rapporti con il Regno d’Italia.17 La conoscenza sommaria di tale era risulta di fondamentale importanza, non solo per comprendere lo sviluppo delle dinamiche della società coreana ma anche perché fu proprio in tali anni che si andarono a sviluppare le prime relazioni tra i due Paesi presi in considerazione in questo lavoro di ricerca.

15 H. B. Hulbert, The History of Korea (vol. 1 of 2), Routledge, 1999, p. 295.

16 Questo, noto inizialmente con il nome di Hunmin chong’um, venne inventato nel 1443, e

promulgato tre anni dopo. M. Riotto, op. cit., p.209.

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11 1.2 Primi contatti con l’Italia: dai racconti di Daniello Bartoli al “Trattato di amicizia, commercio e navigazione” tra il Regno di Chosŏn e il Regno

d’Italia” del 1884

Durante il periodo Chosŏn, che ricoprì un lasso di tempo compreso tra il 1392, anno della caduta della precedente dinastia retta dalla famiglia Goguryeo e il 1910, anno della firma del trattato di annessione nippo-coreano, si consolidarono i primi legami tra l’Italia e la Corea, nota allora con il nome di “Regno del Grande Chosŏn” .18

I primissimi contatti tra i popoli delle due penisole avvennero a partire dalla fine del XVI secolo in seguito alla diffusione del Cristianesimo in Corea che ebbe come conseguenza l’arrivo di numerosissimi missionari cattolici italiani che, d’istanza in Cina e in Giappone, si recarono volontariamente nella penisola coreana.

La diffusione del Cristianesimo, nonché i primi contatti tra i cristiani e i coreani, avvennero in seguito a un evento molto particolare: tra il 1592 e il 1598 ebbero luogo le invasioni giapponesi della Corea, note anche con il nome di Guerra Imjin.19 Queste invasioni, che non furono altro che una serie di attacchi portati avanti dal daimyō giapponese Toyotomi Hideyoshi, contro la dinastia Chosŏn, portarono con sé delle novità nella penisola coreana, in quanto, i preti cattolici, al seguito degli invasori giapponesi in qualità di consiglieri spirituali dei vari generali nipponici, oltre a consentire la diffusione del cristianesimo nel Paese, portarono alla luce una serie di opere di importanti missionari italiani tra cui ricordiamo Matteo Ricci (1552-1610).20 Quest’ultimo, gesuita di origini marchigiane, distinguendosi per il suo valore non solo intellettuale ma soprattutto dottrinario, divenne in Corea uno degli autori più letti grazie alla sua opera Tianzhu shiyi (Il vero

18 Il trattato di annessione nippo-coreano venne firmato il 22 agosto 1910 dai rappresentanti

dei governi imperiali di Corea e Giappone.

19 Kenneth B. Lee, Korea and East Asia: The Story of a Phoenix, Greenwood Publishing

Group, 1997, p. 108.

20 I daimyō erano potenti signori feudali giapponesi che, fino al loro declino durante il

periodo Meiji , governavano la maggior parte del Giappone dalle loro vaste proprietà ereditarie.

Katsuro Hara, An Introduction to the History of Japan, BiblioBazaar, 2009, p. 291. M. Riotto, op.cit., p. 268.

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12 insegnamento del Signore del Cielo), che divenne oggetto di importanti dibattiti filosofici nella penisola.21 Ricci non fu però l’unico italiano ad essere letto ed apprezzato in Corea: altri importanti autori furono Giulio Aleni (1582-1649), Francesco Sambiasi (1583-1649), Alfonso Vagnoni (1556-1640), tutti e tre con lo stesso background, gesuita e missionario.22

In seguito ai vari tentativi di conquista nipponica e all’avvento dei vari missionari italiani nel Paese, l’interesse nei confronti della penisola coreana iniziò a crescere sempre di più tra le fila degli storici e, in più in generale, degli studiosi italiani. Appartiene infatti al 1660 uno dei primi testi in lingua italiana all’interno del quale viene presa in considerazione, seppur in maniera marginale rispetto alla trattazione della Cina e del Giappone, il “Corai”, ovvero la Corea.

L’autore di tale testo, un importante gesuita che fornì una prima descrizione in italiano della Corea, nonché un’analisi dei vari tentativi nipponici di conquista della penisola, fu Daniello Bartoli (1608-1685). Nel suo volume dedicato alle vicende di Francesco Saverio e dei gesuiti missionari in India, Giappone e Cina, contenuto all’interno della sua opera la “Istoria della Compagnia di Gesù”, Bartoli parlò della Corea prendendo in considerazione vari aspetti. Prima di tutto egli sottolineò come i più antichi geografi avessero sbagliato nel definirla “un’Isola in tutto divelta, e corsa intorno dal mare” in quanto quest’ultima non era un’isola ma una penisola, bagnata dal mare solo da tre lati e come tale, molto simile alla nostra penisola italiana, con la quale condivideva, oltre alle caratteristiche territoriali, anche un clima molto simile.23 In seguito a una breve analisi del nome, all’interno della quale Bartoli sottolineò come questo mutava se si prendevano in considerazione gli

21 Ivi p.269.

22 Erroneamente molti ritengono che un altro importante padre gesuita, che contribuì allo

sviluppo del Cristianesimo in Corea, sia Francesco Carletti (1573-1636). Questi in realtà non fu altro che un mercante fiorentino il quale, recatosi a Nagasaki, acquistò cinque ragazzi coreani (dato che allora i prigionieri coreani erano catturati e venduti per essere schiavi) per poi liberarli successivamente in India. Solo uno non venne liberato ma, ribattezzato Antonio, seguì Carletti sino in Italia, stanziandosi stabilmente a Roma.

Ivi p.270.

23 Saverio fu un gesuita e missionario spagnolo, proclamato santo nel 1622 da papa Gregorio

XV.D.

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13 scritti cinesi, dove veniva chiamata Chauli, e gli scritti giapponesi, dove questa veniva comunemente chiamata Corai, l’autore spostò l’attenzione sulle caratteristiche territoriali e amministrative del Paese, nonché sui vari tentativi nipponici di conquista e annessione della penisola. Bartoli sottolineò, inoltre, come, il territorio coreano, seppur diviso in otto province e governato da un solo imperatore, restasse un tributario dell’Impero Celeste.24

Nonostante tale rapporto tributario con la Cina però, Taicosama (nome utilizzato dalle fonti cattoliche per far riferimento al daimyō giapponese Toyotomi Hideyoshi) cercò in tutti i modi di annettere la Corea al Giappone mediante la Guerra Imjin che però si rivelò fallimentare in quanto, se in un primo momento, come sottolineato da Bartoli, i giapponesi riuscirono ad avere la meglio sui coreani, spingendoli fino alle frontiere cinesi, successivamente i nipponici furono costretti ad arretrare a causa dell’attacco difensivo dei coreani, popolazione descritta da Bartoli come “feroce e guerriera più de’ Cinesi”.25

In seguito allo scritto di Bartoli, l’interesse italiano nei confronti del Paese del Calmo Mattino sembrò declinare per circa duecento anni. Come sottolineato precedentemente, la Corea per molti secoli fu un Paese impermeabile alle interferenze provenienti dai Paesi stranieri, sia per le decisioni assunte dalla leadership, che più volte aveva rifiutato di aprirsi al commercio e accettare la presenza straniera, sia per la tradizione confuciana che aveva preso piede nel Paese.26 In seguito alla diffusione del cristianesimo però, la situazione sembrò mutare: le persecuzioni nei confronti dei cattolici infatti determinarono i primi interventi da parte delle potenze straniere, che però portarono a un ulteriore irrigidimento da parte della leadership coreana; questa, infatti, inaugurò una politica di chiusura totale del Paese alle relazioni con gli stati occidentali e con il Giappone, mantenendo esclusivamente i rapporti con l’Impero Celeste.27

Tali eventi, nonché la politica attuata dalla Corea in questi anni, sono molto

24 D. Bartoli, op. cit., p.143.

25 Ibidem.

26 E. Collotti Pischel, T. Puggioni, A. Tescari, op. cit., p.75.

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14 importanti in quanto ci aiutano a comprendere il perché, nel 1866, la dinastia Chosŏn rifiutò la proposta dell’ammiraglio di Savoia della nave commerciale italiana Vettor Pisani, all’epoca ormeggiata nel porto di Wŏnsan. Nell’agosto di tale anno infatti, l’ammiraglio della nave, domandò all’imperatore Gwangmu, di stabilire delle prime relazioni diplomatiche tra i due Paesi; tale richiesta, però, non ottenne risposta positiva tanto è che, per lo stabilimento dei primi rapporti tra i due, si dovettero attendere ulteriori vent’anni.28 Fu infatti solamente nel 1884 che vennero siglati i primi accordi tra i due Paesi: il 26 giugno di tale anno, ad Hanyang, venne firmato infatti il “Trattato di Amicizia, Commercio e Navigazione”, tra il Regno di Chosŏn e il Regno d’Italia, personalmente sottoscritto dai rispettivi plenipotenziari dei due Paesi: per parte italiana dal Cavaliere Ferdinando de Luca, Commendatore dell’ordine della Corona d’Italia, e per parte coreana da Kim Piong Si, presidente del Ministero degli affari esteri, del Consiglio di Stato e guardiano seniore del Principe ereditario.29 Tale trattato si componeva di un totale di 13 articoli, all’interno dei quali le due parti regolarono, per la prima volta nella storia, una serie di aspetti di fondamentale importanza. All’interno del primo articolo, i due regni si impegnarono a garantire la perpetua pace e amicizia, stabilendo che, in caso di dissidi, la risoluzione delle controversie dovesse avvenire in maniera pacifica. Negli articoli successivi si procedette invece a regolare, oltre all’istituzione di un Consolato generale, gli aspetti relativi alle varie questioni diplomatiche, giurisdizionali e soprattutto commerciali.30 Più della metà degli articoli infatti disciplinarono la regolamentazione del commercio stabilendo una serie di obblighi a cui le parti avrebbero dovuto adempiere. Il regno di Corea avrebbe dovuto garantire l’apertura di tre porti al commercio italiano, concedere dei siti commerciali alle potenze straniere nonché dare la possibilità ai sudditi italiani di muoversi, per una distanza non superiore a 100 li coreani dai siti commerciali italiani, all’interno del regno

28 Sotto il suo regno si assistette alla trasformazione della Corea da Regno ad Impero coreano.

Ambasciata della Repubblica di Corea in Italia

http://overseas.mofa.go.kr/it-it/wpge/m_8799/contents.do

29 C. Rossetti, Corea e Coreani: impressioni e ricerche sull’Impero del Gran Han, Bergamo,

Istituto Italiano di Arti Grafiche, 1904, p. 227.

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15 coreano, senza la necessità dell’utilizzo del passaporto.31

In seguito alla firma di tale trattato, il Regno d’Italia inaugurò nel 1902 il primo Consolato nella capitale coreana, nominando come Console Ugo Francesetti di Malgrà il quale, a causa della sua morte improvvisa, avvenuta nel novembre dello stesso anno, venne subito sostituito dal Tenente di Vascello della Regia Marina, Carlo Rossetti.32

La figura di quest’ultimo risulta essere di estrema rilevanza soprattutto per la pubblicazione di due opere, “Lettere dalla Corea: cenni sulle istituzioni ed i commerci di quell’impero”, e “Corea e coreani: impressioni e ricerche sull’Impero del Gran Han”, all’interno delle quali, oltre a un resoconto sulla sua esperienza quale secondo console italiano in Corea, è contenuta una descrizione del Paese, arricchita da numerose fotografie dell’epoca che rappresentano un documento fondamentale per la conoscenza della Corea e della sua società a inizio 900.33

La stabilità nei rapporti con l’Italia appare di particolare significato se si considera il relativo isolamento internazionale in cui viveva la Corea in quel periodo. All’epoca, l’interesse italiano nei confronti della penisola coreana, affondava le sue radici nel commercio: con le sue infinite risorse, soprattutto minerarie, e con i suoi porti situati in posizione strategiche, la Corea rappresentava un alleato appetibile per l’Italia; d’altro canto, per il Regno di Chosŏn, il Bel Paese non aveva mai rappresentato una vera e propria minaccia per la propria integrità, contrariamente agli altri paesi occidentali, i quali avevano cercato numerose volte di penetrare con la forza nel paese.34

31 Tali tre porti che la Corea avrebbe dovuto mantenere aperti erano: Incheon, Wonsan e

Busan.

32 Il console Malgrà morì all’età di venticinque anni a causa di un’epidemia di tifo che colpì

la Corea.

G. Ricaldone, Il primo console d'Italia in Corea: Ugo Francesetti di Malgrà, Casale: la grafica monferrina, 1966.

33Ambasciata della Repubblica di Corea in Italia

http://overseas.mofa.go.kr/it-it/wpge/m_8799/contents.do

34 Seppur la proposta italiana del 1866, relativa all’instaurazione di relazioni tra i due Paesi,

non ottenne alcuna risposta positiva, l’Italia poteva vantare il fatto che la sua nave fosse stata visitata dal magistrato coreano di Wonsan. Questo rappresentò per il Bel Paese un buon inizio, se si considera che le altre potenze, tra cui gli Stati Uniti, la Francia e la Russia, non ottennero né risposte positive, né negative.

C. Rossetti, Lettere dalla Corea: cenni sulle istituzioni e sul commercio di quell’impero, Livorno, Tipografia di Raffaelo Giusti, 1904, p. 40.

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16 Ma il vero motivo per cui la Corea si aprì, attraverso numerosi trattati, all’Occidente, ha radici più profonde: il Regno coreano fu un tributario dell’Impero Celeste e come tale fu soggetto alla sua influenza, la quale, in seguito alle guerre dell’Oppio (1839-1842 e 1856-1860) si fece più pressante. La paura della Cina risiedeva nel fatto che, l’ostinato isolamento coreano, potesse procurarle nuovamente problemi con le potenze occidentali, delle quali l’Impero Celeste aveva appena finito di sperimentare la potenza e la forza.35 A tal proposito, la leadership cinese, guidata da Li Hung Ciang, consigliò al governo coreano la firma dei vari trattati commerciali e l’instaurazione di relazioni internazionali con i vari paesi.

1.3 La Corea attraverso gli occhi di Carlo Rossetti

“Nel fiume Tatong si vuol vedere l’Arno coreano; nell’Han il Tevere; nell’isola di Quelpart la Sicilia.

La Corea ha anch’essa la sua Toscana nella provincia di Ciul-La do…né le manca il suo Piemonte nella settentrionale provincia di Pyeng-An do.” 36

Come aveva fatto Daniello Bartoli duecento anni prima, anche il console Rossetti, in una delle sue opere più importanti, “Corea e Coreani: impressioni e ricerche sull’Impero del Gran Han”, paragonò la nostra penisola a quella coreana. Agli occhi del console italiano, la Corea, sin dalla sua prima visita, avvenuta nel luglio del 1902 a bordo della nave da guerra Puglia, apparve territorialmente molto simile all’Italia ma, allo stesso tempo, molto diversa per usi e costumi.

Le due opere di Rossetti sono molto importanti in quanto ci offrono un quadro, mai visto prima, delle dinamiche della società coreana, all’epoca sconosciuta agli occhi degli italiani e degli europei in generale.

La prima opera, “Lettere dalla Corea”, contiene una preliminare analisi del paese, elaborata in seguito al primo viaggio compiuto dal Tenente. All’interno

35 C. Rossetti, Corea e Coreani: impressioni e ricerche sull’Impero del Gran Han, Bergamo,

Istituto Italiano di Arti Grafiche, 1904, p.20.

36 Quelpart è il vecchio nome che gli Europei attribuirono all’isola di Jeju.

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17 di tale pubblicazione, Rossetti, mostrò un regno coreano differente dai regni orientali conosciuti in Europa: contrariamente a ciò che si pensava dei grandi paesi dell’Oriente, la Corea infatti non ricalcava quell’idea diffusa in Occidente di lusso e di splendore.37 Anzi, già dalle prime pagine del libro, si evince come, lo stesso Rossetti, rimase stupito dalla decadenza caratterizzante la penisola e soprattutto la capitale.38

Questa in particolar modo, nelle descrizioni contenute nel libro, apparve in tutta la sua contraddittorietà: se da una parte emergevano maestosi palazzi, dimora della dinastia regnante all’epoca, dall’altra parte la città pullulava di vecchie capanne, a testimonianza della dilagante povertà che caratterizzava il Paese profondo.

Le stesse legazioni dei vari paesi Occidentali, situate in prossimità di colline verdeggianti e zone signorili, stonavano per lo stile con il resto delle “infrastrutture” coreane, per lo più immerse nel fango delle strade della capitale. Inoltre, è importate osservare come, le strutture ospitanti le legazioni, ricalcassero in maniera fedele l’importanza del Paese preso in questione: mentre quelle ospitanti i Paesi più potenti quali Francia, Russia e Gran Bretagna erano situate sulle sommità delle colline, proprio a dimostrazione della potenza del paese, le altre si trovavano invece o al di fuori delle mura della città, come nel caso belga, oppure in strutture prese in affitto. La stessa legazione italiana, per il primo periodo dopo la sua creazione, ebbe la propria sede presso la casa di un missionario americano che, pur ottimale per la posizione, risultava, secondo le parole del giovane console Malgrà, troppo piccola per ospitare un Consolato.39 Successivamente alla sua morte, la legazione italiana venne infatti spostata in un’altra abitazione presso la Piccola Porta di Ponente, nella quale rimase fino all’occupazione giapponese.

37 C. Rossetti, Lettere dalla Corea, p. 15.

38 Carlo Rossetti ritenne come la decadenza della penisola non fosse da imputare

all’incapacità delle varie dinastie, bensì alle lotte secolari combattute dai cinesi e giapponesi con lo scopo di appropriarsi della bellezza artistica e culturale del paese.

Ibidem.

(19)

18 Fonte: C. Rossetti, Corea e Coreani: impressioni e ricerche sull’Impero

del Gran Han, Bergamo, Istituto Italiano di Arti Grafiche, 1904. Riguardo all’analisi degli usi e costumi coreani, risulta molto interessante un altro aspetto preso in considerazione da Rossetti: in occasione dell’arrivo delle navi da guerra straniere, le abitudini del luogo prevedevano che i comandanti delle navi fossero ricevuti in udienza dall’imperatore. Questo avvenne anche per la nave da guerra italiana Puglia, il cui equipaggio, accompagnato dal console Malgrà e dallo stesso Rossetti, venne invitato presso la residenza imperiale.40 Proprio in occasione di tale udienza Rossetti osservò come l’indipendenza della Corea fosse solamente un mito: il Paese, infatti, era chiaramente soggetto alle ingerenze dei Paesi più potenti i quali influenzavano in tutto e per tutto le decisioni della casa regnante. Tra questi, soprattutto la Russia e il Giappone, si alternavano nell’ingerenza nelle questioni di stato coreane.41

Inoltre, con l’apertura ai Paesi occidentali, la Corea dovette subire l’interferenza nei propri affari anche da parte dei cosiddetti “foreign adviser” i quali non furono altro che ministri francesi, tedeschi e inglesi, nominati dal governo coreano sotto pressione delle potenze straniere, al fine di

40 C. Rossetti, Lettere dalla Corea.

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19 supervisionare la politica e diplomazia coreana.42

Tale ingerenza, oltre ad avere degli effetti diretti sulla politica estera e interna del Paese, ebbe un forte impatto anche sulla popolazione coreana, la quale, per indole, appariva molto diversa dai suoi vicini cinesi. Avendo vissuto per anni nell’Impero Celeste, Rossetti paragonò infatti i due popoli: mentre i cinesi apparivano come una popolazione forte, che avrebbe fatto di tutto pur di non perdere la propria indipendenza, dei coreani non si poteva assolutamente dire lo stesso.

“Nessuna forza in questo popolo, nessun dubbio, ma la sola e grande certezza che la sua fine, come nazione e come stato, è ineluttabilmente vicina.”

Proprio da tali parole si evince come, già dal luglio del 1902, la situazione presente in Corea sembrasse anticipare quello che sarebbe accaduto pochi anni dopo, ovvero l’occupazione del Paese da parte di una grande potenza, la quale avrebbe posto fine alla fittizia indipendenza coreana.43

Rossetti si rese conto come, già dalla fine dell’800, la presenza giapponese e russa, rappresentasse un ostacolo alla reale indipendenza del Paese: se da una parte l’impero nipponico, forte della sua nuova civiltà occidentale, “lavorò di gran lena per renderlo schiavo ed impadronirsi delle sue terre”, dall’altra parte la Russia, per incrementare la sua potenza, cercò in tutti i modi di accaparrarsi la piccola penisola.

In qualità di Tenente della Marina, ma soprattutto successivamente, in qualità di console italiano in Corea, Rossetti avanzò una proposta per la salvezza del Paese. A suo avviso, per la rigenerazione del regno e della popolazione coreana, si sarebbe dovuto istituire un controllo internazionale il quale

42 Questi, essendo dislocati nei più svariati ministeri coreani, fungevano da informatori per i

loro paesi d’origine e utilizzavano le loro posizioni al fine di ottenere concessioni di diverso tipo. Uno dei casi più importati riguarda quello delle scuole: in seguito alla firma dei vari trattati commerciali, i Paesi occidentali più importanti, aprirono nella capitale una serie di scuole governative all’interno delle quali veniva insegnata la propria lingua. L’Italia all’epoca non aveva ancora aperto nessuna scuola ma l’auspicio di Rossetti fu che anche il regno italiano avrebbe potuto aprirne una al più presto, al fine di insegnare nel Paese la lingua italiana.

43 Contrariamente alle descrizioni del popolo cinese, ma anche giapponese, nessun testo

storico ha mai parlato delle valorose imprese dei coreani o delle loro virtù. Anzi, quando si parla dei coreani, molti autori hanno sottolineato la mancanza di personalità di tale popolo, una condizione che per molti è stata la principale causa del triste destino che ha caratterizzato in varie epoche a sorte della penisola coreana.

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20 avrebbe dovuto gestire i numerosi rami dell’attività coreana.44 Si sarebbe dovuto procedere a piccoli passi ma soprattutto si sarebbe dovuto istruire il popolo coreano a una nuova energia che infondesse in questo una rivoluzionaria vitalità.

Lo stesso Rossetti si rese successivamente conto dell’assurdità di tale proposta in quanto nessun grande Paese occidentale si sarebbe mai interessato a un Paese in cui la stessa popolazione risultava disinteressata alla propria esistenza.

“Ed il secolare Paese della Quiete Mattina sarà fatalmente passato all’eterno riposo.”45

Mentre tale prima opera si concentra più su aspetti di natura politica, “Corea e Coreani: impressioni e ricerche sull’Impero del Gran Han”, costituisce invece una vera e propria guida completa al regno coreano durante il periodo Chosŏn. All’interno di questa sono analizzate le più svariate tematiche le quali, in parte, aiutano a comprendere, non solo il perché la Corea sia stata sin dall’antichità un Paese restio ad intrattenere relazioni con altri Paesi, ma soprattutto la cultura e usi di tale antico territorio.

Negli otto mesi in qualità di console, Rossetti riuscì ad acquisire una conoscenza profonda del regno coreano, conoscenza che lo portò a racchiudere in tale opera le sue varie esperienze che andarono a costituire uno dei primi e più importanti testi divulgativi sulla Corea.46

Come accadeva per altri imperi orientali, anche in Corea, la diffidenza e mancata apertura nei confronti dei popoli occidentali, andava ricercata nella tradizione confuciana. Essendo stato per anni un tributario dell’Impero Celeste, il regno coreano fu infatti profondamente influenzato dalle dottrine

44 Ibidem.

45 Il destino della Corea e del popolo coreano era, agli occhi del console, già segnato da anni

e nessuno avrebbe potuto cambiarlo fino a quando il suo popolo non avrebbe acquisito la consapevolezza del dover mutare il proprio atteggiamento, fino ad allora estremamente passivo.

Ivi p.79.

46 In seguito alla morte di Malgrà, Rossetti acquisì la carica di console in maniera provvisoria

in vista della nomina di un nuovo funzionario. Mantenne questo mandato provvisorio per una durata di otto mesi rientrando in Italia nel 1904, anno in cui pubblicò queste opere divulgative sul Regno coreano.

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21 cinesi: anche in Corea, infatti, l’idea dell’occidentale barbaro fu un qualcosa di estremamente diffuso e alla base del totale disinteresse nei confronti di un’apertura verso Occidente.

La tradizione coreana, quindi, ricalcava in tutto e per tutto quella cinese di “grande impero del cielo”, al di fuori del quale tutto era barbaro e, come tale, di scarso interesse.47

Come visto precedentemente, infatti, ci vollero anni prima che la Corea procedesse a un’apertura verso tali Paesi e tutto ovviamente dietro spinta cinese, questo a ulteriore testimonianza, secondo le parole di Rossetti, di una mancata personalità del popolo coreano.

Oltre a ribadire tali aspetti, contenuti in maniera più dettagliata nella prima opera, le pagine di “Corea e Coreani” sono ricche di una serie di descrizioni della vita coreana, delle usanze, della corte e della gente, che consentirono un primo approccio ad un popolo sconosciuto e poco stimato dall’Occidente. Per Rossetti, la realizzazione e pubblicazione di tali opere fu di estrema importanza in quanto, a suo parere, una preliminare conoscenza della penisola coreana e dei suoi abitanti, avrebbe potuto scongiurare quello che in realtà sarebbe accaduto poco dopo: l’occupazione giapponese.

47 Jean-Pierre Duteil, Le mandat du ciel: le rôle des Jésuites en Chine, de la mort de

François-Xavier à la dissolution de la Compagnie de Jésus (1552-1774), Parigi, AP éditions-Arguments, 1994.

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22 1.4 Occupazione giapponese e interruzione delle relazioni

Fonte: http://www.senanfox.com/teaching/global-studies-

seminar/international-relations-iv-post-grad-students-%E2%80%9Ckorean-issues-1945%E2%80%9D-1

Contrariamente a quanto auspicato da Rossetti, la penisola perdette ben presto anche “quell’indipendenza” formale che era faticosamente riuscita a mantenere per secoli, a favore del Paese del Sol Levante.

Come successivamente fece anche l’Italia, l’Impero nipponico, nel 1876, consolidò le relazioni diplomatiche con la penisola coreana attraverso il Trattato di Ganghwa, il quale non fece altro che formalizzare quell’influenza che da secoli il Giappone esercitava sul Paese.48 Quest’influenza, soprattutto a partire da fine 800, andò sempre più spesso a scontrarsi con quella delle altre potenze che da tempo ambivano a un controllo totale sulla Corea: Cina e Russia.

In seguito alla prima guerra sino-giapponese, che stabilì la "piena ed ampia sovranità ed autonomia della Corea", l’influenza nipponica incrementò sempre di più a scapito di quella cinese, il cui impero aveva ormai perso il

48 Der Brockhaus in Text und Bild 2003 [SW], elektronische Ausgabe für

(24)

23 suo antico status di Paese protettore.49

Successivamente, a queste tensioni si affiancarono altre che videro l’Impero nipponico scontrarsi con quello zarista: la guerra russo-giapponese (1904-1905), scaturita dalle ambizioni imperialistiche rivali dei due imperi, costituì un punto di svolta nella storia della Corea.50 Infatti, con la conferenza e il seguente trattato di pace di Portsmouth, vennero riconosciuti i diritti giapponesi sulla penisola coreana stabilendo che quest’ultima sarebbe divenuta area di interesse nipponico.51 In seguito a tale decisione, il 17 novembre 1905, ad Hanseong, venne siglato il trattato di protettorato nippo-coreano (trattato dell’Eulsa), mediante il quale la Corea perdette la propria sovranità diplomatica, divenendo un protettorato nipponico.52

Già a partire da tale trattato, le relazioni diplomatiche che la penisola coreana aveva fino ad allora intrattenuto con le varie potenze occidentali, vennero meno: la gestione diplomatica del paese infatti, cadde completamente nelle mani del Giappone. Secondo quanto stabilito dal trattato, infatti, la Corea avrebbe dovuto rinunciare a stabilire contatti diretti con l’estero senza la previa approvazione dell’Impero nipponico. Proprio a tal proposito infatti si procedette all’installazione di un sovraintendente giapponese a fianco dell’imperatore coreano.53

La situazione rimase tale per tutta la durata dell’occupazione e si dovette

49 La prima guerra sino-giapponese (1894-1895) ebbe tra le varie cause la rivolta di Donghak:

in occasione di questa, il governo coreano demandò l’aiuto della dinastia Qing la quale, senza se e senza ma, inviò subito delle truppe nella penisola. Secondo l’Impero nipponico, l’Impero Celeste violò la Convenzione di Tientsin la quale prevedeva, per l’invio di truppe cinesi, l’approvazione nipponica. Questa tensione sfociò nella prima guerra tra i due imperi che portò alla vittoria del Giappone con la cessione, stabilita dal trattato di Shimonoseki, della penisola del Liaotung e il riconoscimento dell’indipedenza della penisola coreana. J. Z. Gao, Historical Dictionary of Modern China (1800–1949), Scarecrow Press, 2009, p. 120.

50 La pressante influenza giapponese portò a fine 800 alla costituzione, da parte di alcuni

attivisti coreani, dell’Associazione per l’indipendenza. Secondo tale gruppo di attivisti, la Corea avrebbe dovuto negoziare con le potenze Occidentali (soprattutto la Russia) al fine di contrastare le tendenze nipponiche.

D.K. Kim, The History of Korea (The Greenwood Histories of the Modern Nations), Greenwood Press, 2005.

51 Kowner, Historical Dictionary of the Russo-Japanese War, p. 300-304.

52 Il trattato dell’Eulsa anticiperà quelli che saranno i trattati di annessione del 1907 e 1910.

Korean Mission to the Conference on the Limitation of Armament, Washington, DC, 1921– 1922. (1922).

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24 aspettare la fine di quest’ultima affinché la penisola coreana avesse la possibilità di intrattenere nuovamente relazioni diplomatiche autonome. Con il trattato del 29 agosto 1910 il Giappone impose il proprio dominio alla penisola coreana, dando inizio a una delle pagine più tristi della storia della Corea54. Durante i 35 anni di occupazione, infatti, il Giappone procedette a un vero e proprio tentativo di distruzione della memoria storica e dell’identità culturale dei coreani al fine di assorbirli completamente nella comunità giapponese come cittadini di seconda classe.55

Il dominio nipponico non ebbe però solamente tale obiettivo: dal punto di vista strategico-militare, infatti, la Corea aveva una posizione ottimale soprattutto in vista di un possibile attacco alla Manciuria e alla Cina settentrionale; inoltre, soprattutto nelle regioni meridionali, l’abbondanza di risorse si rendeva fondamentale allo sviluppo dell’Impero nipponico.56 Contrariamente a quanto auspicato dai giapponesi però, tale dominazione non si sviluppò mai in una vera unione fraterna tra i due popoli anzi, proprio durante tali anni si assistette a una crescita mai vista prima del sentimento nazionalista coreano.57 L’occupazione fece infatti sviluppare al popolo coreano una consapevolezza della propria identità e della propria civiltà che per tanto tempo era stata dimenticata e messa da parte.

La Corea che emerse dai lunghi anni di dominio nipponico fu una Corea differente, più moderna dal punto di vista della società ma soprattutto più forte e consapevole delle proprie capacità e qualità; queste a loro volta si

54 Il trattato di annessione nippo-coreano, chiamato in Corea “Hanil Hapbang Neugyak”

(trattato forza dell’annessione coreana al Giappone), fu un trattato ineguale in quanto imposto unilateralmente dal Giappone alla penisola coreana. La validità di tale trattato non venne riconosciuta dalle forze alleate in quanto assente della firma dell’imperatore coreano.

55 La dominazione giapponese della Corea può suddividersi in tre fasi: periodo 1910-1919,

noto come governo militare (amhŭkki); 1919-1930, periodo della politica culturale(munhwa t’ongch’i); 1930-1945, periodo caratterizzato da un’indole maggiormente nazionalista e imperialistica.

56 Ivi p.89.

57 Durante l’occupazione giapponese furono infatti numerose le rivolte organizzate dai

coreani contro i dominatori. Tra una delle più importanti vi fu il Movimento del 1° marzo 1919 (Samiljeol): durante tale occasione, 33 attivisti coreani, lessero una dichiarazione unilaterale di indipendenza del paese. La risposta giapponese fu imminente e la repressione fu una delle più feroci di sempre.

(26)

25 rivelarono essenziali per affrontare il periodo successivo alla dominazione nipponica.

(27)

26

2.

GUERRA DI COREA E PARTECIPAZIONE ITALIANA

2.1 Guerra di Corea: prodromi e situazione internazionale

Una ragazza orfana porta il fratello minore sulla schiena vicino a Haengju, in Corea, nel 1951. Alla fine della guerra, c'erano, secondo le stime, più di

100.000 orfani nel paese, mentre, alla fine del 1954, c'erano più di 400 orfanotrofi registrati in tutta la Repubblica di Corea.

Fonte: Archivi nazionali Repubblica di Corea

Già a partire dal 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, il destino della penisola coreana divenne oggetto di un importante dibattito tenutosi nel novembre dello stesso anno al Cairo.58 In tale occasione, gli Alleati, organizzarono una conferenza (nome in codice Sextant) con l’intento di coordinare la loro azione contro l’Impero nipponico e stabilire allo stesso tempo quale sarebbe stato il futuro dell’Asia.59 Al termine di tale conferenza,

58 Mazower M., Le ombre dell'Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo, traduzione

a cura di Sergio Minucci, Garzanti, 2019.

59 Sextant fu il nome in codice utilizzato per fare riferimento alla Conferenza del Cairo

(22-26 novembre 1943).

Churchill, Winston Spencer (1951). The Second World War: Closing the Ring. Houghton Mifflin Company, Boston. p. 642.

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27 Chiang Kai-shek, Roosevelt e Churchill firmarono la cosiddetta Dichiarazione del Cairo prendendo duramente posizione nei confronti del Giappone.60 All’interno di questa si affermò come la Cina, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avrebbero continuato a combattere contro il Giappone fino alla sua resa ed inoltre “consapevoli dell’assoggettamento della popolazione coreana, stabiliscono che a tempo debito la Corea dovrà divenire libera ed indipendente.”61

Tale Dichiarazione fu quindi molto importante, in quanto, per la prima volta nella storia, dei Paesi si accordavano al fine di garantire la reale indipendenza della penisola coreana. L’idea di tali paesi, soprattutto degli Stati Uniti, era quella di istituire nel Paese un’amministrazione controllata che avrebbe consentito loro di supervisionare il passaggio alla piena indipendenza.62 Con la sconfitta del Giappone, avvenuta il 15 agosto del 1945, la Corea divenne un Paese libero ma tale condizione fu di brevissima durata. In seguito ai vari tentativi sovietici di giungere in Corea, infatti, gli americani decisero di inviare due colonnelli al fine di individuare una linea di demarcazione che dividesse la penisola in due zone di influenza.63

In tale occasione la penisola venne divisa all’altezza del 38° parallelo, il quale spartì il Paese in due parti uguali, ciascuna delle quali controllata rispettivamente dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica.64

In occasione della riunione dei Ministri degli esteri, tenutasi a Mosca il 27 dicembre del 1945, Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica ufficializzarono l’occupazione stabilendo che la Corea sarebbe divenuta

60 A. Fiori, L’Asia Orientale, Il Mulino, 2011, p.51.

61 Tale posizione venne nuovamente riconfermata a Postdam nel luglio del 1945.

S.S. Cho, Korea in World Politics 1940-1950: An Evalutation of American Responsibility, Berkeley, University of California Press, 1967, p.19.

62 Gli Stati Uniti volevano agire nella penisola coreana come stavano facendo nelle Filippine

attraverso un controllo che consentì al paese di giungere nel 1946, alla piena indipendenza. A. Fiori, L’Asia Orientale, Il Mulino, 2011, p.52.

63 Già da prima della resa del Giappone, i sovietici iniziarono a muoversi verso la penisola

coreana, la quale interessava parecchio alla Russia sovietica soprattutto per la vicinanza strategica del paese. Gli americani quindi, preoccupati che la penisola coreana potesse cadere in mano sovietica, si mobilitarono immediatamente al fine di elaborare un accordo che avrebbe avuto l’obiettivo di portare ad un’occupazione congiunta della penisola.

Ivi. p.52.

64 La proposta degli americani venne accettata immediatamente dai sovietici.

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28 indipendente attraverso una fase di transizione. Questa avrebbe avuto una durata di cinque anni e sarebbe stata guidata da un’amministrazione controllata formata dai rappresentanti delle forze occupanti, oltre a Cina e Gran Bretagna.65

Tale decisione causò una serie di proteste da parte dei coreani in quanto venne presa senza la consultazione di quest’ultimi. Nel 1947, dato lo stallo della situazione, gli Stati Uniti decisero, nonostante il dissenso dell’Unione Sovietica, di affidare la questione coreana alle Nazioni Unite. A tal proposito venne creata la Commissione Temporanea delle Nazioni Unite sulla Corea (Untcok) incaricata di far svolgere nel paese delle elezioni generali e garantire la conseguente nascita di un governo coreano indipendente.66

I sovietici non riconobbero però l’autorità dell’Untcok e resero, in un primo momento, impossibile lo svolgimento delle elezioni nel Nord del Paese, il quale ricadeva sotto la loro occupazione. Al Sud la situazione fu completamente diversa: il 10 maggio del 1948 si tennero le elezioni per la formazione di un’Assemblea Nazionale e, nell’agosto dello stesso anno, fu proclamata la Repubblica di Corea con un suo Presidente.67 L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 195, riconobbe quello del sud come “solo governo legittimo della Corea”.68 Da quel momento in poi si formarono nel Paese due diverse entità sovrane che resero ufficiale la separazione della popolazione coreana.69

Mentre nel 1948, in seguito alla proclamazione del governo nazionale della Corea del Nord, i sovietici cominciarono a lasciare la penisola, gli americani

65 A. Fiori, op.cit., p.58.

66 L’obiettivo principale era quello di dotare il Paese di un parlamento che avrebbe acquisito

tutti i poteri una volta stabilito il ritiro delle forze occupanti. Solo così si sarebbe potuto procedere verso l’acquisizione della piena sovranità della Corea.

Ibidem.

67 Dalle elezioni del 1948 uscì vincitore Yi Sung-man il quale fu proclamato presidente della

Repubblica di Corea il 15 agosto 1948.

68 C.Y. Pak, Korea and the United Nations, The Hague, Kluwer Law International, 2000.

69 Dopo un primo rifiuto anche al Nord si tennero delle elezioni ma, il rifiuto di qualsiasi

controllo internazionale, portò al riconoscimento del governo del Sud come unico e legale. M. Cannonero, M. Pianese, Gli italiani nella guerra di Corea: “la storia sconosciuta della partecipazione dell’Italia alla guerra coreana del 1951-54”, Fuoco Edizioni, 2013, p.13.

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29 abbandonarono il Paese solo a partire dal giungo del 1949.70

La situazione che si creò in seguito al ritiro dei Paesi occupanti fu, nelle due Coree, completamente differente: se da una parte il Nord partiva avvantaggiato dal punto di vista militare ed economico, del Sud non si poteva dire lo stesso. Proprio la debolezza del Sud convinse sempre di più Kim Il-sung della necessità di procedere verso un’unificazione, sotto il governo del Nord, delle due Coree.

Nel 1950 Kim Il-sung si incontrò con Stalin a Mosca e, proprio da questo, ottenne il permesso di attaccare militarmente la Corea del Sud.71 Il 25 giugno del 1950 la Corea del Nord oltrepassò il 38° parallelo attaccando il Sud senza nessun preavviso e dando inizio alla guerra fratricida tra i due Paesi.72 Una volta ignorata la richiesta delle Nazioni Unite, che richiedeva al Nord il ritiro immediato delle truppe, il presidente americano Truman ordinò l’intervento della marina e dell’aeronautica statunitense in aiuto della Corea del Sud.73 Agli Stati Uniti si aggiunsero ben presto altri Paesi tra cui la stessa Italia che, come vedremo in seguito, pur non facendo ancora parte delle Nazioni Unite, inviò in Corea del Sud un ospedale mobile al fine di fornire assistenza alla popolazione locale.

Se nelle fasi iniziali della guerra, il Nord ebbe la meglio grazie al fatto che il Sud era stato preso alla sprovvista, la situazione nel giro di poco tempo mutò: il 15 settembre 1950, le truppe dell’ONU, guidate dal generale MacArthur, sbarcarono a Incheon, cogliendo di sorpresa il nemico, il quale, fu costretto ad arretrare fino a Seoul. Le truppe americane e sudcoreane oltrepassarono il

70 Il 9 settembre 1948 le autorità del Nord proclamarono la nascita della Repubblica

Democratica Popolare di Corea con Kim Il-sung come primo ministro.

Hobsbawm E.J., Il secolo breve 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, BUR Biblioteca Univ. traduzione di Brunello Lotti, Collana Storica, Milano, Rizzoli, 1995.

71 Stalin, dopo alcune titubanze iniziali, decise di appoggiare il piano del Grande Leader a

condizione che anche Mao fornisse assistenza al Nord in caso di necessità. A. Fiori, op.cit., p.64.

72 La guerra di Corea viene chiamata nei due Paesi in maniera differente: mentre al Sud viene

chiamata “6·25 jeonjaeng”, in riferimento al giorno in cui è scoppiata, al Nord invece “Choguk haebang chŏnjaeng”, ovvero guerra di liberazione patriottica. Pratt, Keith L.; Rutt, Richard; Hoare, James (1999). Korea: A Historical and Cultural Dictionary. Richmond, Surrey: Curzon. p. 239.

73 Per le Nazioni Unite l’invasione da parte della Corea del Nord fu un atto di aggressione

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30 38° parallelo e arrivano fino al fiume Yalu, al confine con la Cina Popolare.74 Tale situazione portò all’intervento delle truppe cinesi che respinsero le truppe alleate nuovamente oltre il confine del parallelo; da quel momento in poi la guerra entrò in una fase di stallo in quanto fu caratterizzata da una serie di attacchi che portarono ad un nulla di fatto.

Per risolvere tale situazione, le parti in conflitto, decisero di incontrarsi al fine di decretare la fine delle ostilità: il 10 luglio del 1953 ebbe luogo la prima conferenza per i negoziati di pace, conferenza che portò, il 27 luglio dello stesso anno, nella cittadina di Panmunjon, alla firma dell’armistizio, il quale, congelò la questione coreana fino ad oggi.75

La guerra ebbe degli effetti devastanti: oltre a determinare un numero altissimo di perdite umane, che fa della guerra di Corea uno tra i conflitti più sanguinosi della storia, moltissime famiglie furono divise, le infrastrutture dei paesi distrutte e soprattutto furono distrutte le fondamenta sociali ed economiche delle due Coree.

Proprio questo portò allo sviluppo di un odio profondo tra i due Paesi che, a distanza di anni, ostacola ancora oggi il processo di pace e unificazione tra le due Coree.76

74 A. Fiori, op.cit., p.66.

75 La firma dell’armistizio, che decretava la fine delle ostilità tra le due Coree, non venne mai

seguito da un trattato di pace, lasciando così la questione coreana ancora oggi irrisolta.

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31 Delegati delle Nazioni Unite e di entrambe le parti belligeranti durante la

firma dell’armistizio. Panmunjom, 27 luglio 1953.

Truppe americane al 38° parallelo.

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32 2.2 Posizione italiana e dibattito parlamentare

Prima di procedere all’analisi del dibattito tenutosi in Italia allo scoppio della Guerra di Corea, risulta opportuno fare un passo indietro alla conclusione della Seconda guerra mondiale.

Subito dopo la fine della guerra, con l’obiettivo di sostituire la Società delle Nazioni, vennero fondate a San Francisco, il 24 ottobre 1945 le Nazioni Unite.77

Lo scopo di tale organizzazione intergovernativa a carattere internazionale, come stabilito all’interno dei 111 articoli dello Statuto costitutivo, era ed è tutt’oggi quello di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, promuovere la soluzione delle controversie, sviluppare relazioni amichevoli tra le nazioni sulla base del principio di uguaglianza e autodeterminazione dei popoli, nonché dar vita a forme di cooperazione internazionale basate sul multilateralismo.

L’Italia, pur inizialmente membro permanente all’interno del Consiglio della Società delle Nazioni, non venne invitata alla conferenza di San Francisco; questo nonostante essa avesse terminato la Seconda guerra mondiale a fianco delle potenze vincitrici. A tal proposito l’Italia presentò la prima domanda di ammissione alle Nazioni Unite il 7 maggio 1947: sia la Democrazia Cristiana che i comunisti ritenevano come entrare a far parte di tale organizzazione fosse un qualcosa di fondamentale per il Paese soprattutto per ristabilire il suo ruolo internazionale e cancellare il suo nome dalla lista dei Paesi sconfitti.78 Tale proposta, nonostante il parere favorevole della Corte Internazionale di Giustizia, non venne accettata in quanto incontrò il veto dell’Unione Sovietica: questa pose come condizione all’ingresso dell’Italia, l’ingresso di

77 Queste furono fondate in seguito alla ratifica dello Statuto da parte dei cinque membri del

Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: Francia, Cina-Taiwan, Unione Sovietica, Regno Unito e Stati Uniti e dalla maggioranza degli altri 46 firmatari.

"On 11 February [1942] the Joint U. S. Strategic Committee (...) was directed to satisfy a Combined Cheafs of Staff request for recommendations for over-all deployment by the United Nations in the Pacific areas".

"The availability of shipping controls all decisions concerning oveseas movements during 1942. The total capacity available to the United Nations in 1942, even if the building program is accomplished, will not exceed the capacity available in 1941".

M. Matloff - E. M. Snell, Strategic Planning for Coalition Warfare 1941-1942, Washington 1953, p. 159-160.

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