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Il reinsediamento quale strumento di protezione dei rifugiati

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Academic year: 2021

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La determinazione è la sveglia del volere umano.

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INDICE

Introduzione ... 5

CAPITOLO I Il reinsediamento dei rifugiati 1. Il reinsediamento: strumento per la protezione dei rifugiati ...9

2. La mancanza di protezione nel Paese di primo asilo...11

3. Gli scopi del reinsediamento...13

4. La determinazione del bisogno di protezione...15

5. I metodi di selezione dei candidati al reinsediamento...24

5.1 La formazione prima della partenza e il trasferimento ....25

5.2 L’integrazione nello Stato di accoglienza...31

CAPITOLO II Le iniziative di reinsediamento dei rifugiati portate avanti dall’UNHCR 1. La definizione di reinsediamento secondo l’UNHCR ... 39

2. Evoluzione e portata delle prime iniziative di reinsediamento dei rifugiati: le origini della moderna politica di resettlement… ... .41

3. L’istituzionalizzazione della pratica del reinsediamento ...42

4. Le operazioni di reinsediamento condotte dall’UNHCR: alcune statistiche.. ...44

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6. Il Fondo fiduciario dell’UNHCR per il rafforzamento delle attività di reinsediamento...52 7. L’impegno globale nel reinsediamento:

applicazioni recenti ...53 8. L’impegno dell’UNHCR al fine di prevenire e contrastare

eventuali frodi...57 9. Lo sviluppo delle capacità dei Paesi di reinsediamento nuovi

ed emergenti...60 10. Le esigenze di reinsediamento nel 2019 ...61

11. Le priorità chiave per il 2019: i Paesi di Roll Out del CRRF, il Mediterraneo centrale ed il reinsediamento in Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto nel contesto della situazione in Siria...65

12. La direzione strategica dell’UNHCR nel 2019...68 CAPITOLO III

Il supporto dell’Unione Europea alle politiche di reinsediamento

1. Panoramica generale...71 2. Il programma di reinsediamento dell’Unione...73 3. L’assenza di una base giuridica per il reinsediamento nei Trattati

istitutivi...77 4. Criteri e procedure di selezione nei Paesi dell’UE...79 5. L’arrivo e l’integrazione delle persone reinsediate negli Stati

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6. Il criterio della “potenziale integrazione”...85

7. I diritti delle persone reinsediate...87

8. Gli sviluppi della politica europea sul reinsediamento: la proposta di istituire un approccio comune in materia...90

8.1 Criteri di ammissibilità e di esclusione...97

8.2 Le due procedure previste per il reinsediamento: la procedura ordinaria e quella accelerata...99

8.3 Ulteriori novità previste dalla proposta...102

CAPITOLO IV I “CORRIDOI UMANITARI” 1. I Protocolli di intesa tra enti di ispirazione religiosa ed il Governo: quadro introduttivo... 106

2. Corridoi umanitari: etimologia del nome... 109

3. Flussi migratori anomali e crescenti crisi umanitarie... 111

4. I “corridoi umanitari” nel contesto della società civile... 116

5. La sponsorizzazione privata... 117

6. L’ambito di applicazione dei corridoi umanitari...120

7. I “corridoi umanitari” nel quadro delle Protected Entry Procedures...124

8. Il “visto umanitario”...129

9. Conclusioni...133

Bibliografia...137

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro trae ispirazione dalle vicende inerenti i flussi migratori anomali sviluppatisi in particolare nel primo decennio del XXI secolo e protrattisi nel tempo sino ai giorni nostri. Nello specifico, viene preso in considerazione un particolare strumento di carattere internazionale, quale il reinsediamento dei rifugiati.

Per reinsediamento si intende, nel contesto internazionale, quella modalità di protezione umanitaria destinata a soggetti che, a causa di situazioni patologiche comportanti una possibile lesione alla propria incolumità psico-fisica, fuggono dal proprio Paese d’origine approdando in un altro Paese, c.d. di primo asilo. In tale contesto, detti soggetti verranno, appunto, re-insediati in un altro paese (di ultima destinazione), dove troveranno la possibilità di intraprendere un percorso destinato ad offrire loro una seconda possibilità di vita. L’elaborato dedica una prima parte alla disamina di tale strumento per come si è forgiato e per come è stato poi recepito nel contesto del diritto internazionale. Verranno prese in considerazione, in maniera piuttosto dettagliata, le criticità inerenti tale modalità di protezione umanitaria e, al contempo, sarà proiettata una visione prospettica di come tale strumento possa influire sulle politiche nazionali ed internazionali.

Nella seconda parte, invece, l’attenzione si focalizzerà su un organismo precursore e vettore di politiche inerenti la protezione internazionale dei rifugiati, l’UNHCR. A questo, segue una disamina puntuale delle politiche inerenti il reinsediamento da parte dell’Unione Europea.

Infine, verrà preso in considerazione un progetto peculiare, inerente lo strumento del reinsediamento, portato avanti da enti di ispirazione religiosa e il Governo, tramite l’istituto della c.d. sponsorizzazione privata.

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In apicibus, verrà analizzato l’istituto del reinsediamento in una prospettiva generale, focalizzando l’attenzione sui caratteri principali che lo contraddistinguono. Contestualmente verrà fatta una comparazione con gli strumenti di protezione internazionale precipui allo strumento in questione, quali l’integrazione nella società di accoglienza e il rimpatrio volontario.

Premesse queste considerazioni, si procederà ad analizzare le criticità inerenti i Paesi di primo asilo, in cui i rifugiati si trovano spesso in condizioni di esasperazione psico-fisica non sempre temporanea. A ciò, seguirà la specificazione del c.d. “bisogno di protezione”, facendo riferimento ai parametri dettati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in merito alla qualificazione di rifugiato; a tale qualificazione, si vedrà, dovrà seguire un bisogno, appunto, di protezione derivante da una precipua situazione di vulnerabilità derivante da condizioni che verranno specificate nell’elaborato. Al contempo, verrà prospetta una visione di insieme in riferimento alle modalità per l’attuazione del reinsediamento e a ciò che seguirà, dalla fase precedente la partenza sino alla fase ultima dell’accoglienza.

Di seguito, l’analisi verterà su una disamina di un organismo internazionale tendente alla protezione umanitaria dei rifugiati: l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). In primis, si vedrà come quest’ultimo si sia approcciato allo strumento del reinsediamento e, al contempo, quale definizione ne dia del medesimo. A ciò, seguirà un esame riguardo alle prime politiche avallate dall’UNHCR partendo dal secondo dopoguerra.

Contestualmente, verrà attenzionata la pratica del reinsediamento riguardo alla sua istituzionalizzazione negli anni ’70, con le conseguenti politiche modellatesi nel tempo. Un riflettore verrà posto, in ultima analisi, sull’impatto eventuale che tale strumento

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avrà al giorno d’oggi, prendendo in considerazione il rapporto di partenariato che ha iniziato ad avere sviluppi e, si spera, continui ad averne sempre maggiori tra i singoli Stati e l’UNHCR.

Conclusa la disamina inerente l’UNHCR, l’attenzione si rivolgerà alle politiche di reinsediamento portate avanti dall’Unione Europea. Dopo un’analisi sistematica riguardo all’attuale contesto, si porrà in evidenza la supposta carenza di vincolatività del reinsediamento, derivante da una mancanza di una effettiva base giuridica; ciò sta nel fatto che non rientri in alcun Trattato istitutivo.

L’attuale sistema europeo, pur essendo lacunoso rispetto a tale strumento, non ne esclude la sua applicazione. Infatti, nonostante vi sia l’assenza di una previsione normativa specifica, ciascun Stato membro (non tutti) si è prodigato ad attuare, tramite scelte di carattere politico, programmi di reinsediamento spontanei, con la collaborazione dell’UE e dell’UNHCR. Contestualmente, però, si vedrà di seguito come la Commissione Europea abbia prospettato un programma di reinsediamento, rientrante in un quadro più esteso inerente il piano sulla migrazione. Tale proposta verrà scandagliata in tutti i suoi punti cruciali, denotando alcune soluzioni innovative ma, al contempo, non mancheranno le criticità del caso derivanti da un’insicurezza da parte dei singoli Stati europei.

La parte finale dello scritto si incentrerà su un progetto realizzato da enti di ispirazione religiosa in collaborazione con il Governo: i c.dd. “corridoi umanitari”.

L’analisi prende in considerazione le Procedure di ingresso protetto (PEPs) nella loro accezione più generale sino ad arrivare alla contestualizzazione rispetto al progetto suddetto. Oltre allo strumento del reinsediamento inteso come vettore tendente alla protezione umanitaria da parte delle organizzazioni internazionali e i

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singoli Stati, viene vagliata la possibilità da parte dei singoli, associazioni o enti, di portare avanti le medesime finalità tramite la c.d. sponsorizzazione privata. In tale contesto, saranno comparati gli strumenti dell’UNHCR e delle sponsorship riguardo agli standard inerenti i soggetti vulnerabili, rispetto al fatto se rientrino o meno nell’alveo di coloro i quali possano ottenere lo status di “meritevoli di protezione umanitaria”. Infine, verrà delineata la possibilità rispetto all’introduzione di un possibile visto universale che possa permettere ai migranti interessati (rifugiati e non) di avere la possibilità di spostamento più semplice e sicura.

Conclusivamente verrà posto l’accento su come “i corridoi umanitari” possano fungere da monito per alcune imprese sociali offertesi nel mercato del settore. I soggetti volontari, spesso, si trovano ad avere più professionalità derivante, senz’altro, dallo spirito di solidarietà, profuso nel tempo dalle associazioni di riferimento.

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CAPITOLO I

Il reinsediamento dei rifugiati.

SOMMARIO: 1. Il reinsediamento: strumento per la protezione dei rifugiati. 2. La mancanza di protezione nel Paese di primo asilo. 3. Gli scopi del reinsediamento. 4. La determinazione del “bisogno di protezione”. 5. I metodi di selezione dei canditati al reinsediamento 5.1 La formazione prima della partenza e il trasferimento. 5.2 L’integrazione nello Stato di accoglienza.

1. Il reinsediamento: strumento per la protezione dei rifugiati.

Il reinsediamento è uno degli strumenti, di carattere internazionale, insieme all’integrazione nella società di accoglienza e al rimpatrio volontario, finalizzato ad assicurare una soluzione duratura per i rifugiati1, con la prospettiva di garantire loro protezione umanitaria. Trattasi di un processo peculiare attraverso il quale un rifugiato, fuggito dal proprio Paese d’origine e temporaneamente “rifugiatosi” in un altro Paese, è ulteriormente trasferito – “re”insediato – in un Paese terzo, dove troverà una protezione umanitaria permanente. Ciò implica che i soggetti reinsediati posseggono il medesimo “status” degli altri rifugiati, fuggiti dal proprio Paese d’origine per via di guerre civili e/o persecuzioni legate all’etnia, alla religione, al genere o alle opinioni politiche divergenti rispetto a chi detiene il “potere”.

Il reinsediamento diviene uno strumento cruciale per quei “soggetti

1 Con il termine rifugiato ci si riferisce ad una precisa definizione legale e a

specifiche misure di protezione stabilite dal diritto internazionale. I rifugiati sono persone che si trovano al di fuori del loro paese di origine a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o altre circostanze che minacciano l’ordine pubblico, e che, di conseguenza, hanno bisogno di “protezione internazionale.” La loro situazione è spesso talmente rischiosa e intollerabile che attraversano i confini nazionali in cerca di sicurezza nei paesi limitrofi, e diventano quindi internazionalmente riconosciuti come “rifugiati,” ossia come persone bisognose di assistenza da parte degli Stati, dell’UNHCR e delle organizzazioni competenti. Il loro riconoscimento è così precisamente definito in quanto è troppo pericoloso per loro tornare a casa, e hanno quindi bisogno di protezione altrove. Sono persone per le quali il rifiuto della domanda di asilo ha conseguenze potenzialmente mortali.

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deboli” (rifugiati) che non possono trovare adeguata protezione nel Paese nel quale sono fuggiti e che, per contro, non possono nemmeno vagliare la possibilità di un possibile rientro nel loro Paese originario, per via dei rischi suddetti.

Pertanto, devono essere trasferiti in un Paese terzo dove possano permanere, nel quale possa essere loro garantita legittima protezione internazionale.

Il reinsediamento, in altri termini, è utilizzato per alleviare la condizione di limbo in cui si trovano i rifugiati nei Paesi terzi di primo rifugio, quando la protezione nei confronti di queste persone è inadeguata o addirittura inesistente. Esso è, altresì, utilizzato nei confronti di persone ad alto rischio per la propria incolumità e che necessitano di essere trasferite rapidamente per urgenti motivi di sicurezza in un altro Stato che garantisca loro protezione dal refoulement2 e assistenza all’integrazione. Il reinsediamento non deve essere confuso con il “ritorno” o il “rimpatrio” che prevedono rispettivamente il rientro nel paese di origine, l’uno volontario l’altro forzato. Come sottolineato precedentemente, il reinsediamento non sostituisce in alcun modo altre forme di protezione come l’asilo richiesto spontaneamente, ma è ad esso complementare. Comunque, i punti di partenza dei processi sono differenti.

Il reinsediamento è un programma attraverso il quale gli Stati decidono in anticipo chi possono aiutare, selezionando le persone alle quali possono riuscire a garantire protezione dopo l’arrivo.

Contrariamente a quanto si crede, nei Paesi con programmi di resettlement il diritto a chiedere asilo spontaneamente non viene

2 Il principio di non-refoulement è il caposaldo della protezione internazionale dei

rifugiati. Esso è enunciato nell’art. 33 della Convenzione del 1951, vincolante anche per gli Stati parte del Protocollo del 1967. L’art. 33(1) della Convenzione del 1951 dispone che: “Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (“refouler”) - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche”. https://www.asgi.it/wpcontent/uploads/public/unhcr.parere.consultivo.pdf.

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minato.

Sia il reinsediamento che l’asilo possono offrire protezione umanitaria e sono elementi complementari in un quadro generale di protezione dei rifugiati. Inoltre, entrambi gli strumenti servono allo stesso scopo: proteggere i rifugiati.

Il reinsediamento offre una soluzione durevole a quei rifugiati che si trovano in questa condizione da tempo e dovrebbe essere uno strumento per un arrivo organizzato dei rifugiati, il cui status è determinato in anticipo, prima del loro viaggio.

Tale strumento non è una modalità per gestire la migrazione in generale, per esempio quella dei migranti economici, ma è mirato alla protezione dei rifugiati in modo specifico ed esclusivo.

2. La mancanza di protezione nel Paese di primo asilo

Una mancanza di protezione nel Paese di primo asilo può essere il risultato di vari fattori.

• In alcuni casi, il Paese di primo asilo non offre nessun riconoscimento legale ai rifugiati (per esempio, nel caso in cui non abbia ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951).3

In questa situazione i rifugiati potrebbero non essere rinviati nel loro Paese d’origine, tenuti in condizioni disumane e, talvolta, anche imprigionati nell’attesa di lasciare il paese.

• Alcuni Paesi di primo asilo non sono in grado di offrire una protezione permanente, sia da un punto di vista organizzativo che finanziario. È molto frequente che Paesi piuttosto poveri accolgano un gran numero di rifugiati, ma spesso i governi sentono di non potersi permettere che tali individui si stabiliscano in modo permanente tra la

3 Convenzione sullo statuto dei rifugiati conclusa a Ginevra il 28 luglio 1951

Approvata dall’Assemblea federale il 14 dicembre 1954 strumento di ratificazione depositato dalla Svizzera il 21 gennaio 1955 Entrata in vigore per la Svizzera il 21

aprile 1955

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popolazione autoctona, poiché questo porterebbe maggiori tensioni alle già fragili infrastrutture del paese.

• Nei casi di persone che fuggono da conflitti armati, i governi che le accolgono, facendole stabilire in modo permanente, potrebbero avere il timore di introdurre il conflitto all’interno dei loro Paesi. • I conflitti all’interno della popolazione rifugiata rappresentano un altro fattore che contribuisce ad alimentare uno stato di insicurezza. Per esempio, un gruppo di rifugiati che vive insieme in un campo potrebbe entrare in conflitto con un altro gruppo, creando uno stato di tensione. Molto spesso le autorità del paese che accoglie i rifugiati o l’amministrazione del campo (per esempio l’UNHCR)4 potrebbero non essere nella posizione di riuscire a fermare tali conflitti e, pertanto, potrebbero non essere in grado di fornire una adeguata protezione.

In tutti i casi descritti sopra, i rifugiati sono “bloccati” in una situazione che non consente né un possibile miglioramento della loro situazione nel luogo in cui si trovano né la possibilità di ritornare a casa. É in questi casi che il reinsediamento diventa importante.

Nel linguaggio dell’UNHCR, i rifugiati si trovano in una situazione “protratta nel tempo”. Milioni di rifugiati nel mondo non hanno via d’uscita da queste situazioni disperate: alcuni di loro hanno vissuto nel Paese di primo asilo per oltre un decennio. Per questi rifugiati, il reinsediamento è l’unica possibilità per ricostruire veramente la loro vita.

4 L’UNHCR è la principale organizzazione al mondo impegnata in prima linea a

salvare vite umane, a proteggere i diritti di milioni di rifugiati, di sfollati e di apolidi, e a costruire per loro un futuro migliore. Lavora in 138 Paesi del mondo e si occupa di oltre 68 milioni di persone. Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1950, da allora l’Agenzia ha aiutato milioni di persone a ricostruire la propria vita. https://www.unhcr.it/chi-siamo

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3. Gli scopi del reinsediamento

Il reinsediamento persegue tre obiettivi tradizionali ed omogenei: la protezione, la disposizione di soluzioni durevoli e la condivisione di responsabilità con i paesi di accoglienza.

La protezione e la disposizione di soluzioni durevoli sono direttamente pensate nell’interesse del rifugiato reinsediato. Mentre è chiaro che il reinsediamento riguarda un numero limitato di rifugiati, in situazioni d’asilo complesse può rappresentare, per il Paese che accoglie, il segnale che gli altri Paesi sono disposti a condividere la responsabilità dei rifugiati. Pertanto, il reinsediamento può anche aiutare quei rifugiati che si trovano in una situazione di urgente bisogno di protezione nella regione e che rimarranno lì, rendendo più probabile per loro un’integrazione a livello locale. Attraverso questo uso strategico, le operazioni di reinsediamento aiutano sia i rifugiati che sono reinsediati che quelli che rimangono nella regione.

Il reinsediamento è talvolta visto anche come un mezzo per aumentare o, almeno, salvaguardare lo spazio di protezione nei Paesi di primo asilo e nelle regioni in conflitto. Assumendosi la responsabilità di alcune delle persone più vulnerabili, come quelle con esigenze mediche acute, i Paesi di reinsediamento possono sperare di liberare risorse aggiuntive per i rifugiati che rimangono nei Paesi di primo asilo. Questo obiettivo, spesso citato, è anche elencato tra le funzioni fondamentali del reinsediamento descritte nel Manuale dell'UNHCR.5 Per i governi dei Paesi che gestiscono programmi di reinsediamento, tali sforzi possono essere intrapresi anche allo scopo di incentivare alcune azioni da parte dei Paesi di primo asilo. L'accordo del marzo 2016 tra l'Unione europea e la Turchia, ad esempio, ha promesso di creare posti di reinsediamento negli Stati membri dell'UE per i rifugiati siriani in cambio, in parte, di uno spostamento del

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governo turco per aprire il mercato del lavoro del Paese ai siriani sotto protezione temporanea.6

I Paesi possono anche considerare la partecipazione al reinsediamento, o l'aumento della quota di ammissione dei rifugiati, come uno strumento per incoraggiare altri Paesi a partecipare al sistema di resettlement. Gli Stati Uniti, ad esempio, in passato si sono impegnati a reinsediare ogni anno più del 50% di tutti i rifugiati di cui l'UNHCR fa riferimento per il reinsediamento; nuovi impegni da parte di altri Stati possono quindi avere un effetto moltiplicatore, aumentando l'entità dell'impegno di reinsediamento degli Stati Uniti.7 A livello internazionale, questi sforzi sono stati spesso descritti nel quadro del SUR, o "uso strategico del reinsediamento".8

Gli attori internazionali e i Paesi di reinsediamento (tradizionali) che mirano a utilizzare strategicamente il reinsediamento, sperano di assistere i rifugiati che vengono reinsediati e di incidere su cambiamenti più ampi (ad esempio, che sostengono la restante popolazione di rifugiati o la comunità ospitante nel Paese di primo asilo). Questo può essere fatto, ad esempio, invitando i Paesi che non hanno una storia di reinsediamento dei rifugiati a partecipare a una più ampia strategia multilaterale di reinsediamento, moltiplicando così il ritorno sul loro investimento.9 Il SUR è stato utilizzato per la prima volta nel 2007 per reinsediare41 rifugiati bhutanesi bloccati in

6 Consiglio europeo, "Dichiarazione UE-Turchia, 18 marzo 2016".

7 Dipartimento di Stato americano, proposta di ammissione dei rifugiati per l'anno

fiscale 2017.

8 L'espressione "uso strategico del reinsediamento" (SUR) è stata formalmente

definita dal gruppo di lavoro canadese del 2003 sul reinsediamento come "l'uso programmato del reinsediamento in modo da massimizzare i benefici, diretti o indiretti, diversi da quelli ricevuti dal rifugiato da reinsediare. Tali benefici possono andare a favore di altri rifugiati, dello Stato ospitante, di altri Stati o del regime di protezione internazionale in generale. Cfr. UNHCR, "The Strategic Use of Resettlement" (documento di discussione preparato dal gruppo di lavoro sul

reinsediamento, UNHCR, Ginevra, 2003),

www.unhcr.org/refworld/docid/41597a824.html.

9 Joanne van Selm, Grandi aspettative: Riesame dell'uso strategico del

reinsediamento (Ginevra: UNHCR Policy Development and Evaluation Service, 2013), https://www.unhcr.org/en-us/research/evalreports/520a3e559/great-expectations-review-strategic-use-resettlement.html.

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lunghi spostamenti in Nepal. Un nucleo di Paesi si è impegnato a reinsediare più di due terzi dei 108.000 rifugiati registrati, nella speranza che Nepal e Bhutan accettino di integrare localmente o rimpatriare il resto. L'efficacia del SUR, tuttavia, è stata contestata.10 Lo sforzo di reinsediamento su larga scala in Nepal, ad esempio, non ha portato a un numero significativo di rifugiati che ritornano in Bhutan o si integrano in Nepal.11

Nel contesto europeo, alcuni attori possono anche considerare il reinsediamento come un modo per rafforzare le capacità nazionali e locali nei nuovi Paesi di reinsediamento per accogliere e integrare più ampiamente i rifugiati e i migranti. Per i Paesi europei che non hanno una storia recente di migrazione, la partecipazione a iniziative di reinsediamento su piccola scala con il sostegno dell'UE potrebbe rappresentare un'iniziativa per costruire le infrastrutture di integrazione e di gestione della diversità di cui c'è tanto bisogno. In Canada, uno degli obiettivi del programma di sponsorizzazione privata è quello di promuovere lo sviluppo di comunità di accoglienza a beneficio di tutti i migranti che arrivano nel Paese, sostenendone l'accoglienza iniziale e l'integrazione a lungo termine. Tali motivazioni sono una parte esplicita dell'iniziativa canadese di sponsorizzazione globale dei rifugiati, lanciata nel dicembre 2016, che mira a promuovere la creazione di programmi di sponsorizzazione privati simili al modello canadese in altri Paesi.12

4. La determinazione del “bisogno di protezione”

Il primo passo da compiere nel reinsediamento dei rifugiati è

10 Joanne van Selm, Grandi aspettative: Riesame dell'uso strategico del

reinsediamento (Ginevra: UNHCR Policy Development and Evaluation Service, 2013), https://www.unhcr.org/en-us/research/evalreports/520a3e559/great-expectations-review-strategic-use-resettlement.html.

11 Ibidem.

12 UNHCR, 'Global Refugee Sponsorship Initiative Promotes Canada's Private

Refugee Sponsorship Model' (comunicato stampa, Ottawa, 16 dicembre 2016),

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https://www.unhcr.org/en-us/news/press/2016/12/58539e524/global-refugee-16

determinare il loro effettivo bisogno di essere reinsediati: esiste un “bisogno di protezione”?

Innanzitutto, è necessario che i rifugiati rientrino nella definizione data dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e che non siano adeguatamente protetti nella situazione in cui si trovano. Generalmente è compito dell’UNHCR individuare il rifugiato o i gruppi di rifugiati che hanno bisogno di protezione e decidere che l'inserimento in un programma di reinsediamento sia lo strumento per dare loro una protezione migliore. Ogni anno l'UNHCR compila un rapporto sul bisogno di reinsediamento; soprattutto nei casi più urgenti richiede operazioni di emergenza. I casi ritenuti idonei per il programma di reinsediamento sono comunicati a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite.

In via preliminare, occorre introdurre alcune definizioni. Richiedente asilo è un cittadino straniero o apolide (privo di cittadinanza) che cerca protezione fuori dal Paese di provenienza e, avendo manifestato la propria volontà di chiedere asilo è in attesa di una decisione definitiva delle autorità competenti su tale istanza. Ai fini dell'esame della domanda di asilo, è valutata la possibilità di protezione che il soggetto potrebbe ricevere nel Paese di origine, vale a dire se in questo vi siano adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori o danni gravi, come la presenza di un sistema giuridico effettivo che sia accessibile al richiedente asilo e permetta di individuare, perseguire penalmente e punire gli atti che costituiscono persecuzione o danno grave.

La “protezione internazionale” include lo status di rifugiato e lo status di protezione sussidiaria.

Lo status di rifugiato è uno dei possibili status, il più forte, di cui può godere uno straniero o un apolide che accede al diritto d’asilo; esso ha come presupposto il timore fondato di persecuzione individuale dello straniero nel suo Paese e consiste in una serie di diritti e doveri

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riconosciuti alla persona in tutti gli Stati del mondo in cui è in vigore la Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 e specificati da norme dell’Unione europea che includono lo status di rifugiato tra le figure che danno luogo alla protezione internazionale, insieme allo status di protezione sussidiaria. La nozione di rifugiato, i diritti ed i doveri conseguenti al riconoscimento della relativa condizione giuridica, nonché gli obblighi assunti dagli Stati contraenti, sono previsti dalla Convenzione di Ginevra. La Convenzione di Ginevra del 1951 ed il Protocollo relativo allo status di rifugiato, firmato a New York il 31 gennaio 1967, sono ad oggi i soli strumenti internazionali a carattere universale che contengono la definizione di rifugiato. La Convenzione di Ginevra nasce per dare una condizione giuridica più stabile a quegli stranieri o apolidi che restavano sfollati o fuggitivi perché temevano di rientrare in patria dopo gli sconvolgimenti politici, etnici e territoriali successivi alla Seconda Guerra Mondiale e nel clima della c.d. “Guerra Fredda” e, pertanto, è estranea agli sviluppi che la nozione di rifugiato ha subito successivamente per l’evolversi, qualitativo e quantitativo, del fenomeno in tempi più recenti. Successive integrazioni (Protocollo di New York del 1967) ed interpretazioni sempre più estensive della nozione di rifugiato da parte dei numerosi Stati firmatari, e delle relative Corti nazionali, hanno tuttavia consentito di superare l’originaria formulazione della Convenzione ed in particolare le possibili interpretazioni restrittive da essa consentite.

La definizione di rifugiato prevista dall’art. 1, lett. A), co. 2 prevede che è considerato rifugiato colui che “a seguito di avvenimenti verificatisi anteriormente al 1°gennaio 1951, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova al di fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di

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questo Paese, ovvero, che non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. La lett. B) del citato articolo 1 della Convenzione specifica che per “avvenimenti verificatisi anteriormente al 1°gennaio 1951” possano intendersi gli “avvenimenti verificatisi anteriormente al 1°gennaio 1951 in Europa” oppure gli “avvenimenti verificatisi anteriormente al 1°gennaio 1951 in Europa o altrove”, opzione che ciascuno degli Stati contraenti ha potuto scegliere al momento della firma, della ratifica o dell’adesione alla convenzione.

Con la sottoscrizione del citato Protocollo di New York del 1967 la c.d. riserva temporale – avvenimenti verificatisi anteriormente al 1°gennaio 1951 – è stata eliminata, con la conseguenza che gli Stati contraenti si sono impegnati al rispetto degli obblighi convenzionali anche per eventi successivi e futuri, che fossero ascrivibili nella clausola d’inclusione prevista dalla Convenzione. La c.d. limitazione geografica (art. 1, lett. B)), eliminata dall’Italia con Legge 28 febbraio 1990, n. 39, invece, permane tuttora, sebbene solo per un numero limitatissimo di Stati contraenti: Brasile, Paraguay e Turchia.

La Convenzione di Ginevra non contiene norme di carattere procedurale circa l’ammissione al territorio del richiedente o la procedura di esame della domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, ma impone il divieto di respingere il rifugiato verso i luoghi in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate: obbligo di non-refoulement (art. 33).

Il principio di non respingimento ha portata generale e si applica sia nelle ipotesi di espulsione e/o respingimento tecnicamente intese, sia in qualsiasi altra forma di allontanamento forzato verso un territorio non protetto, tra le quali certamente devono ricomprendersi le ipotesi di applicazione di misure di estradizione o di trasferimento informale del soggetto.

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Il divieto di refoulement si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia già stata riconosciuta rifugiata e/o dall’aver quest’ultima formalizzato o meno una domanda diretta ad ottenere tale riconoscimento, tuttavia, può essere eccezionalmente derogato nelle ipotesi di cui agli art. 32 e 33, co. 2, della Convenzione di Ginevra, che consentono l’espulsione del rifugiato “per ragioni di sicurezza nazionale o ordine pubblico” e qualora “per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una con - danna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese”.

Fermo restando che per essere rifugiati è necessario trovarsi al di fuori del Paese di temuta persecuzione, degli obblighi di non-refoulement beneficiano coloro che, pur avendo già abbandonato il proprio Paese di origine, non abbiano ancora fatto tecnicamente ingresso nel territorio dello Stato di accoglienza, in virtù della portata extraterritoriale del principio di non refoulement che mira ad escludere che esso possa trovare applicazione solo quando i migranti si trovino sul territorio dello Stato o in acque nazionali.13

Violazioni del non-refoulement si configurano anche nel caso di non ammissione alla frontiera e in ogni altra condotta - materiale e giuridica - che rischi di rinviare un rifugiato verso luoghi non sicuri, sia quando è rinviato direttamente verso il Paese di origine, sia quando è rinviato in qualsiasi altro Stato in cui abbia motivo di temere minacce per la propria vita o libertà per uno o più dei motivi contemplati dalla norma, o dal quale rischi di essere ulteriormente rinviato verso simili pericoli.

Il richiedente lo status di rifugiato, dunque, ha un diritto soggettivo

13 cfr. UNHCR, Parere consultivo sull’applicazione extraterritoriale degli obblighi di

non-refoulement derivanti dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal suo Protocollo del 1967, Ginevra, 26 gennaio 2007.

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perfetto all’ingresso sul territorio dello Stato di accoglienza, quantomeno al fine di fare esaminare ed accertare la sua situazione personale dalla competente autorità.

Il riconoscimento dello status di rifugiato, infatti, ha natura meramente dichiarativa, e non costitutiva del relativo status. L’obbligo di protezione del richiedente, dunque, sorge nel momento in cui lo stesso soddisfa i requisiti previsti dall’art. 1 lett. A) della Convenzione, indipendentemente dall’intervenuto o meno riconoscimento formale dello status da parte dello Stato di protezione.

Una persona, quindi, non diventa rifugiato perché è dichiarato tale, ma è riconosciuta come tale proprio perché è un rifugiato.14

Gli aspetti più controversi della nozione di rifugiato prevista dall’art. 1, lett. A), co. 2, della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati hanno comportato notevoli divergenze di applicazione da parte degli Stati contraenti e in ogni caso quella definizione si riferisce al timore fondato di persecuzione individuale e non comprende altre fattispecie pur meritevoli di protezione, perché riconducibili a situazioni che impediscono l’effettivo esercizio delle libertà democratiche ma che non consistono in episodi di specifica persecuzione.

L’esigenza di armonizzazione della nozione di rifugiato e quella di ricomprendere in un quadro giuridico preciso le fattispecie meritevoli di protezione che escono dal campo di applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951, hanno portato all’elaborazione del concetto di protezione internazionale, introdotto nell’ordinamento dell’Unione europea dalla Direttiva 2004/83/CE del Consiglio,15 del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di

14 si veda, UNHCR, Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello

status di rifugiato, settembre 1979, Ginevra, di seguito Manuale UNHCR.

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protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

L’obiettivo principale della direttiva è quello di garantire un livello minimo di protezione uniforme in tutti gli Stati membri dell’Unione, armonizzando la nozione di rifugiato contenuta nella Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951, definita “la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa ai rifugiati”, e prevedendo una forma complementare di protezione, per tutte quelle ipotesi in cui il richiedente sia privo dei requisiti per essere ammissibile alla protezione convenzionale, ma ugualmente meritevole di protezione ai sensi della normativa internazionale. Infatti, la nozione di protezione internazionale comprende al suo interno due distinti status (art. 2, comma 1, lett. a): lo status di rifugiato e lo status di protezione sussidiaria.

L’applicazione dell’istituto della protezione internazionale deve consentire a chi ne faccia richiesta di ottenere il riconoscimento dello status maggiormente appropriato alla sua particolare condizione giuridica, sulla base di una richiesta “indistinta” di protezione internazionale.

La direttiva prevede elementi comuni dei due status di protezione internazionale, pur essendo senz’altro più tutelata la posizione del titolare dello status di rifugiato rispetto al titolare della protezione sussidiaria, nonché la facoltà per l’interessato di ricorrere contro le decisioni che riconoscono uno dei due status invece che l’altro.

Proprio perché la domanda di protezione internazionale è unica è poi tendenzialmente unitaria la procedura di esame della domanda, prevista dalla direttiva n. 2013/32/UE.

Il contenuto della protezione internazionale, e dunque l’insieme dei diritti e degli obblighi conseguenti all’accertamento compiuto, differisce a seconda dello status riconosciuto: più ampio nel caso dello status di rifugiato, e più limitato nel caso di beneficiario della protezione

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Con la direttiva citata, dunque, l’Unione europea non ha definito uno status uniforme e unico in materia di protezione internazionale, ma si è limitata a costruire una cornice giuridica di norme minime allo scopo di assicurare, da una parte, che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri. Inoltre, la direttiva citata introduce nell’ordinamento comunitario importanti definizioni innovative e comuni, come quelle di: “bisogno di protezione internazionale sorto fuori dal Paese d’origine (surplace)”; “fonte del danno e della protezione”; “protezione interna”; “persecuzione ivi compresi i motivi di persecuzione”; “appartenenza ad un determinato gruppo sociale”.

Tornando alla questione di chi debba essere reinsediamento (lato sensu connessa alla definizione di “richiedente asilo”), questa è strettamente legata agli obiettivi del programma di reinsediamento di un Paese e agli attori coinvolti nella sua attuazione.

Dato che la portata dei programmi di reinsediamento è intrinsecamente limitata, sono generalmente necessari criteri specifici per concentrare gli sforzi. Tali criteri di selezione sono generalmente definiti dalle priorità sia internazionali che nazionali. Per molti programmi nazionali, l'UNHCR svolge un ruolo critico nell'identificare, selezionare e indirizzare i rifugiati per il reinsediamento. Quasi tutti gli Stati membri dell'UE e la maggior parte degli altri Paesi di reinsediamento (ad esempio, Australia, Canada e Stati Uniti) accettano i deferimenti dell'UNHCR. Molti Paesi europei arrivano al punto di richiedere ai rifugiati di avere uno status riconosciuto dall'UNHCR per poter essere ammessi al reinsediamento.16

16 Rete europea sulle migrazioni (REM), programmi di reinsediamento e di

ammissione umanitaria in Europa: Che cosa funziona? (Bruxelles: Commissione europea, Direzione generale per le migrazioni e gli affari interni, 2016),

https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we- do/networks/european_migration_network/reports/docs/emn-studies/emn-studies-00_resettlement_synthesis_report_final_en.pdf

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I rifugiati reinsediati nel mondo passano quindi attraverso le procedure di reinsediamento dell'UNHCR.17

L'UNHCR controlla continuamente le popolazioni e le località di tuttoil mondo per identificare i gruppi e gli individui che ritiene necessitino di esser reinsediati (generando quello che viene chiamato il carico di lavoro). L'UNHCR, nel determinare lo status di soggetto inquadrabile nella categoria dei possibili reinsediamenti, valuta se, in primis, non sia disponibile un'altra soluzione duratura18 o, in secundis, se vi siano specifiche vulnerabilità (ad esempio, salute, orientamento sessuale o separazione dalla famiglia) che impediscano a tali soggetti di trovare protezione dove si trovano.19 Questi due fattori - la mancanza di alternative e il pericolo di rischi specifici - fanno sì che gli individui identificati per il reinsediamento siano i membri più vulnerabili della popolazione globale di rifugiati. I casi di reinsediamento sono associati a una o più categorie di richiesta di reinsediamento definite dall'UNHCR. Queste categorie comprendono: individui con esigenze di protezione legale o fisica (come quelli a rischio di respingimento); sopravvissuti a violenze o torture; quelli con esigenze mediche complesse; donne e ragazze a rischio; casi di ricongiungimento familiare; bambini e adolescenti; e gruppi senza soluzioni alternative durevoli.20 Inoltre, l'UNHCR assegna a ciascun caso di reinsediamento un livello di priorità (ad esempio, emergenza, urgente o normale).21

17 Nel 2015, tre quarti di tutti i rifugiati reinsediati (82.000 su 107.000) sono passati

attraverso le procedure di reinsediamento dell'UNHCR. Vedi UNHCR, Global Trends: Forced Displacement in 2015; UNHCR, UNHCR Projected Global Resettlement Needs

2017 (Ginevra: UNHCR, 2016),

https://www.unhcr.org/protection/resettlement/575836267/unhcr-projected-global-resettlement-needs-2017.html

18 L'UNHCR identifica tre "soluzioni durature" allo sfollamento dei rifugiati:

rimpatrio, reinsediamento e integrazione locale.

19 UNHCR, "Capitolo 5: Protection Considerations, and the Identification of

Resettlement Needs' in UNHCR Resettlement Handbook (Ginevra: UNHCR, 2011), https://www.unhcr.org/3d464e176.html.

20 UNHCR, UNHCR Resettlement Handbook; UNHCR, "UNHCR Resettlement

Submission Categories" (presentazione sul manuale UNHCR Resettlement Handbook, accesso 17 marzo 2017), https://www.unhcr.org/558bff849.pdf.

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5. I metodi di selezione dei canditati al reinsediamento

I Paesi che accettano rifugiati nell’ambito del programma di reinsediamento conducono un processo di selezione. Essi lavorano con due differenti metodi di selezione: uno è basato sul dossier, l’altro sull’intervista – anche se spesso viene impiegata una combinazione dei due metodi. In maniera crescente, anche le ONG e i partner locali giocano un ruolo nell’iniziale individuazione dei casi.

Utilizzare il metodo di selezione basato sul dossier significa che la decisione su chi inserire nel programma di reinsediamento viene presa esclusivamente sulla base dei dossier compilati dall’UNHCR. I dossier vengono compilati dopo aver identificato che il rifugiato si trova nella condizione di dover essere reinsediato e includono informazioni generali sul rifugiato e sui suoi specifici bisogni di protezione.

La selezione attraverso il metodo del dossier può essere veloce, può avvenire in ogni momento ed è relativamente poco costosa, poiché nel processo di selezione non sono inclusi viaggi dal Paese che accoglierà i rifugiati in futuro.

Tuttavia, poiché non viene condotta nessuna intervista individuale, i Paesi che hanno programmi di reinsediamento sono poco propensi ad accettare rifugiati solo sulla base dei dossier.

Invece, le missioni di selezione assicurano che la politica nazionale sul reinsediamento venga applicata correttamente. I Paesi che hanno programmi di reinsediamento spesso ritengono che soltanto le missioni di selezione possano realmente identificare i bisogni di reinsediamento e quelli dell’integrazione successiva al reinsediamento stesso. Inoltre, ritengono che i funzionari che si occupano della selezione sviluppino una conoscenza della situazione nelle regioni di origine che è indispensabile per prendere le decisioni più appropriate.

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reinsediamento inviino missioni di selezione nelle zone in cui i rifugiati si trovano in situazioni di necessità che si protraggono nel tempo o abbiano un gruppo di lavoro che opera direttamente in quelle regioni. Spesso, i rifugiati chiamati per l’intervista sono stati identificati sulla base del dossier UNHCR. In alcuni casi, sono le ONG o altri partner locali che individuano i casi idonei per il reinsediamento ma, a volte, sono i rifugiati stessi – per esempio quando vengono a sapere che una missione di selezione sta per arrivare nel loro campo rifugiati – che fanno domanda per poter essere reinsediati.

In ogni caso, le interviste individuali danno ai rifugiati la possibilità di motivare personalmente la loro richiesta di essere inseriti in un programma di reinsediamento e permettono agli Stati che attuano il reinsediamento di selezionare i casi sulla base del giudizio dei propri funzionari.

Di contro, un significativo numero dei rifugiati identificati dall’UNHCR sono regolarmente rifiutati dalle missioni di selezione. In ogni caso, i rifugiati, comprensibilmente, nutrono molta speranza in un loro potenziale reinsediamento. Ogni decisione negativa – sia essa presa sulla base del dossier come dell’intervista – crea molta delusione e, qualche volta, addirittura diffidenza.

5.1 Il percorso di formazione prima della partenza e il trasferimento

Una volta che il rifugiato è stato selezionato, il suo trasferimento viene organizzato dal futuro Paese d’accoglienza, spesso in cooperazione con l’UNHCR. Nella maggior parte dei Paesi di reinsediamento, è presente l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) che organizza la logistica del trasferimento. Il tempo che intercorre tra la selezione e la partenza può essere lungo; esso

può variare da qualche settimana a qualche mese. É importante impiegare in maniera produttiva questo tempo,

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26

percorso di vita. Nel periodo che precede la partenza, spesso viene organizzato un percorso di formazione che può includere un orientamento culturale generale sul futuro Paese d’accoglienza o un corso di prima alfabetizzazione linguistica.

Le due principali questioni associate all’arrivo dei rifugiati nel Paese di reinsediamento riguardano la procedura di base in materia di

immigrazione e lo status legale al momento dell’arrivo. Lo status dei rifugiati reinsediati al momento dell’arrivo determina i

diritti all’interno del Paese e i documenti di viaggio. I rifugiati reinsediati hanno la probabilità di rispondere agli ampi criteri di definizione di rifugiato secondo il mandato dell’UNHCR, ma non necessariamente sono rifugiati in linea con l’interpretazione che il

Paese da alla Convenzione di Ginevra del 1951. È comunque pratica generalizzata nei Paesi di reinsediamento

rilasciare i titoli di viaggio previsti dalla Convenzione o i documenti di identità nazionale e di dare ai rifugiati reinsediati uno status simile a quello dei rifugiati riconosciuti sulla base della Convenzione predetta. Nel progettare un programma di reinsediamento, i governi possono scegliere di utilizzare il periodo di tempo che precede la partenza per preparare i rifugiati al viaggio e all'insediamento nella società di accoglienza. Fornire informazioni chiare e complete aiuterà i rifugiati a capire cosa aspettarsi e come partecipare pienamente una volta iniziato il processo. La preparazione andrà anche a vantaggio dei fornitori di servizi che li assistono, evitando che l'incertezza, l'apprensione o la mancanza di conoscenze (ad esempio, su quale documentazione da presentare alle autorità durante il viaggio) ritardino il viaggio e complichino il processo. Oltre ad agevolare il reinsediamento iniziale, la pre-partenza in paramenti può anche facilitare, e forse accelerare, l'integrazione dei rifugiati reinsediati.22

22 IOM, ‘Resettlement Assistance’; IOM, IOM’s Supporting Role in Pre-Departure

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La fase che precede la partenza ha quindi un grande potenziale come terreno di sosta per il successo dopo il reinsediamento. Fino ad oggi, i Paesi di reinsediamento hanno cercato di sfruttare questo potenziale fornendo risorse pre-partenza che vanno dalla diffusione di opuscoli informativi alle sessioni introduttive e informative che durano da due ore a una settimana intera.23

Queste sessioni più lunghe spesso forniscono un'introduzione alla cultura del Paese di insediamento e un supporto per garantire un rapido accesso al mercato del lavoro. Il programma NORCO della Norvegia ne è un esempio molto apprezzato; il programma offre costantemente corsi su misura che coprono un'ampia gamma di temi rilevanti, a differenza di altri programmi di orientamento che tendono invece a basarsi su opuscoli informativi o brevi attività di formazione ad hoc.24

I responsabili politici devono affrontare una serie di scelte quando cercano di progettare un'efficace programmazione pre-partenza, alcune delle quali dipendono da questioni di tempo. La fase di pre-partenza può durare da due settimane a diversi mesi, a seconda delle specificità del programma di reinsediamento e della facilità con cui possono essere organizzati i documenti di viaggio per la persona e le persone a carico. Spesso la durata esatta di questo periodo è difficile

23 Nel 2009, l'Unità Lavoro e migrazione agevolata dell'IOM ha compilato una

panoramica dei programmi di formazione pre-partenza che l'IOM ha fornito come parte dei programmi di reinsediamento in tutto il mondo tra il 1998 e il 2009. Cfr. IOM, Migrant Training Programme Survey 1998-2009 (Ginevra: IOM, 2009) https://www.iom.int/jahia/webdav/shared/shared/mainsite/activities/facilitating/ci c_survey.pdf. Per una panoramica delle prassi degli Stati membri dell'UE in materia di informazione e formazione prima della partenza, cfr. EMN, Resettlement and Humanitarian Admission Programmes in Europe, 27- 28. Per maggiori informazioni sui programmi di orientamento culturale canadesi e statunitensi, cfr. Government of the United States of America, "Country Chapter: USA" nel Manuale di reinsediamento dell'UNHCR, ndr. UNHCR (Ginevra: UNHCR, 2014), https://www.unhcr.org/3c5e5a764.html; Government of Canada, 'Country Chapter: Canada" nel manuale dell'UNHCR sul reinsediamento, ed. UNHCR (Ginevra: UNHCR, 2016), www.unhcr.org/3c5e55594.html.

24 IOM Oslo,"The Norwegian Cultural Orientation Program (NORCO)”,

(presentazione, IOM Oslo, accesso 19 marzo 2017)

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da prevedere. Se i rifugiati devono aspettare settimane o mesi,25 può essere logico sfruttare al meglio questo periodo di tempo fornendo corsi di orientamento approfonditi. Se, tuttavia, passano solo pochi giorni tra la notifica dell'approvazione finale e la partenza (come è comune nel programma di reinsediamento degli Stati Uniti, ad esempio), i rifugiati potrebbero non avere il tempo o la capacità emotiva di concentrarsi su tali corsi mentre si preparano per la loro imminente partenza. D'altra parte, se le informazioni di orientamento sono fornite molto prima della partenza, il loro valore può essere negato dal tempo che intercorre tra il corso e l'effettivo reinsediamento, poiché i rifugiati possono dimenticare molto di ciò che hanno imparato. Dato che spesso il tempo che i rifugiati devono affrontare nel periodo che precede il reinsediamento, i responsabili politici devono considerare se le condizioni di pre-partenza si prestano ad un apprendimento efficace e, di conseguenza, se gli investimenti fatti nelle attività di pre-partenza sono probabilmente efficaci sotto il profilo dei costi. La Nuova Zelanda, ad esempio, ha limitato i propri investimenti in misure di pre-partenza e fornisce invece sei settimane di formazione residenziale e servizi di orientamento dopo l'arrivo dei rifugiati nel Paese - una decisione attribuita alla limitata capacità dei rifugiati di assorbire notevoli quantità di informazioni mentre si preparano per la partenza.26

Anche se la formazione pre-partenza è considerata efficace, i responsabili del programma devono comunque considerare se i risultati valgono i costi (cioè l'efficacia dei costi) e come specifici metodi di formazione ed economie di scala possono ridurre tali costi

25 Questo calendario è stato confermato da diversi rappresentanti degli Stati

membri dell'UE in occasione dello scambio di esperti UE-Francia nel febbraio 2017. Ad esempio, gli esperti hanno indicato che possono trascorrere fino a sei mesi tra la selezione dei rifugiati per il reinsediamento (a seguito della missione di selezione) e il loro trasferimento in Finlandia.

26 Conversazioni degli autori con le autorità neozelandesi responsabili del

reinsediamento in occasione del gruppo di lavoro annuale tripartito per il reinsediamento, L'Aia, febbraio 2016.

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(cioè l'efficienza dei costi).

L'erogazione di programmi online può essere un modo per realizzare economie di scala, in quanto è in grado di raggiungere un gran numero di persone senza grandi investimenti in infrastrutture e personale in più sedi. In Canada, ad esempio, il fornitore di servizi di insediamento Réseau de développement économique et d'employabilité (RDÉE Canada) offre ai rifugiati selezionati per il reinsediamento in Quebec assistenza online per l'identificazione di potenziali datori di lavoro, la costruzione di competenze nella ricerca di lavoro e la presentazione di una domanda di certificazione professionale di lavoro prima della partenza.27 Tuttavia, la letteratura offre finora poche risposte per quanto riguarda l'adeguatezza e la concezione delle risorse prima della partenza, lasciando ai responsabili politici e agli altri soggetti interessati poche prove su cui basare le loro decisioni. Ciò è dovuto in parte al fatto che, sebbene la maggior parte dei programmi di reinsediamento preveda attività pre-partenza, queste sono spesso limitate sia nella portata (ad esempio, opuscoli informativi) che nei tempi. Esempi di servizi pre-partenza più completi sono meno comuni, e valutazioni approfondite di entrambi i tipi, ancora più rari.28 Sono necessarie maggiori prove per capire quali tipi di preparazione e informazioni facilitano efficacemente gli spostamenti dei rifugiati e danno loro un vantaggio nella ricerca di lavoro, nell'istruzione per i loro figli e nell'alloggio.29

27 Services Pré-Départ Canada, "Les Services Pré Départ", accessibile dal 1° marzo

2017, https://predepart.rdee.ca/.

28 L'ultima valutazione del programma di reinsediamento canadese, ad esempio, è

stata estremamente completa, ma non ha incluso un'analisi del programma di orientamento culturale. Cfr. IRCC, Valutazione dei programmi di reinsediamento (GAR, PSR, BVOR e RAP). Secondo le conversazioni dei partecipanti allo scambio di esperti UE-FRANK del febbraio 2017, una valutazione esterna del programma finlandese di orientamento culturale è prevista per il 2018.

29 Julie M. Kornfeld, 'Overseas Cultural Orientation Programmes and Resettled Refugees'

Perception', Forced Migration Review 41 (2012): 53-54, www.fmreview.org/preventing/kornfeld.html.

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Oltre al contenuto dei moduli di formazione, sono necessarie informazioni anche sugli effetti della durata, sui metodi e sul profilo dei formatori sui risultati dei rifugiati. Come in altre aree di reinsediamento, anche i programmi di orientamento trarrebbero beneficio da una dichiarazione d'intenti più chiara e deliberata - in questo caso, una dichiarazione d'intenti incentrata sui risultati dell'apprendimento. Un'analisi costi-benefici dell'offerta di una formazione approfondita prima della partenza (simile a quella della NORCO) sarebbe di particolare interesse per i paesi che intraprendono il reinsediamento per la prima volta, nonché per altri che cercano di aumentare i programmi esistenti.

Tale analisi dovrebbe esaminare attentamente se sia più efficace ed efficiente offrire determinati servizi di accoglienza e di integrazione (come la valutazione delle competenze) nella fase precedente la partenza o riservarli fino all'arrivo nei Paesi di insediamento.

Attualmente, la prassi consiste in una panoramica descrittiva di ciò che i Paesi di reinsediamento hanno fornito nella fase precedente la partenza. Uno studio del 2016 sulla rete europea sulle migrazioni (REM) sul reinsediamento30 e il manuale 2013 sulla rete europea di reinsediamento,31 ad esempio, si limitano a una panoramica dei programmi di reinsediamento UE che attualmente organizzano attività pre-partenza, del contenuto di questi programmi, dei loro quadri organizzativi e dei soggetti coinvolti. Altre fonti di informazione sono i governi e gli attori coinvolti nella facilitazione delle attività di pre-partenza, come l'OIM;32 queste parti interessate spesso registrano quali attività pre-partenza hanno messo in atto o finanziato, chi le fornisce e, nella maggior parte dei casi, quali risultati sono stati generati (ad esempio, quante persone hanno partecipato a un corso

30 REM, programmi di reinsediamento e ammissione umanitaria in Europa. 31 ICMC Europa, Benvenuti in Europa!

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di orientamento culturale o quante ore di formazione ha erogato un determinato fornitore). Le valutazioni dell'impatto che questi elementi del programma hanno avuto sugli esiti dei rifugiati, tuttavia, rimangono scarse.

5.2 L’integrazione nello Stato di accoglienza

Dopo l’arrivo nel Paese di accoglienza, ha inizio la fase di ricostruzione della vita. È importante che lo Stato che attua il programma di reinsediamento accolga i rifugiati al momento dell’arrivo, per esempio, prevedendo la presenza di una ONG di supporto o di rifugiati provenienti dalla stessa comunità che possano dare il benvenuto ai nuovi arrivati.

La sistemazione al momento dell’arrivo dovrebbe anche includere il trasferimento dei rifugiati in alloggi sia temporanei che permanenti. Dopo l’arrivo li attendono sfide complesse e di lungo periodo: la ricerca di un lavoro, di un’abitazione permanente, di nuovi amici e di una nuova comunità.

Nella maggior parte dei Paesi, la società civile gioca un ruolo importante in questo processo.

Le organizzazioni della società civile (ONG, associazioni, chiese, enti e altri attori) sono importanti non soltanto per erogare servizi di assistenza e svolgere una funzione di guida nelle prime fasi di ricostruzione della vita, ma anche come un gruppo di interazione nelle società di accoglienza.

Oltre a dare il benvenuto, i membri della società civile spesso sviluppano una relazione più personale con i singoli rifugiati o con intere famiglie, instaurando con loro rapporti di amicizia e sostenendoli nel loro percorso di ricostruzione di una nuova vita. Sia che arrivino attraverso i flussi di asilo o di reinsediamento, i rifugiati devono affrontare ingenti sfide per integrarsi agevolmente, a seguito di un percorso travagliato e intricato, nei nuovi terrori che

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diventeranno le loro nuove case.33 Poiché sono generalmente tra i più vulnerabili, i rifugiati reinsediati arrivano di solito con poche risorse finanziarie, limitate capacità linguistiche del Paese ospitante e nessuna rete sociale o conoscenza del contesto per aiutarli a navigare nelle loro nuove comunità. Immediatamente dopo l'arrivo, i rifugiati hanno bisogno di un alloggio e di un sostegno finanziario che consenta loro di acquistare cibo e altri beni. A più lungo termine, avranno bisogno di assistenza per imparare la lingua locale, entrare nel mercato del lavoro, creare legami sociali e accedere all'istruzione per i loro figli.

I Paesi di reinsediamento forniscono generalmente assistenza ai rifugiati attraverso uno o più dei seguenti tre canali: servizi sociali tradizionali, servizi generali di integrazione degli immigrati e programmi di sostegno ai rifugiati. Nella maggior parte dei Paesi di reinsediamento, i rifugiati ricevono un qualche tipo di assistenza finanziaria o in natura per un periodo di tempo dopo l'arrivo; la maggior parte di essi riceve anche aiuto per assicurarsi un alloggio e assistenza sanitaria, almeno inizialmente, e ha accesso a corsi di formazione linguistica, servizi per l'impiego e corsi di orientamento culturale. Le condizioni specifiche e la portata di questi aiuti, tuttavia, variano notevolmente da Paese a Paese.34

33 Per una rassegna delle sfide specifiche che i rifugiati devono affrontare per

l'integrazione, vedi Desiderio, Integrating Refugees into Host Country Labor Markets.

34 Uno studio del 2013 commissionato dalla commissione per le libertà civili, la

giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo e una revisione del 2016 da parte della REM forniscono entrambi una panoramica dei servizi disponibili per i rifugiati reinsediati in Europa. Tuttavia, nessuna delle due relazioni mette in luce come, se mai, il sostegno all'integrazione che i rifugiati reinsediati ricevono differisce da quanto è disponibile per i rifugiati che sono arrivati nell'Unione europea attraverso flussi spontanei. Cfr. Parlamento europeo, Direzione generale per le politiche interne, Comparative Study on Best Practices for the Integration of Resettled Refugees in the EU Member States (Bruxelles: European Union, 2013), http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/etudes/join/2013/474393/IPOL-LIBE_ET%282013%29474393_EN.pdf; EMN, Resettlement and Humanitarian Admission Programmes in Europe.

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Alcuni Paesi forniscono servizi speciali per i rifugiati reinsediati, oltre a quelli disponibili per il più ampio numero di richiedenti asilo o di immigrati;35 tuttavia, finora sono state condotte poche ricerche su come i bisogni di servizio e di sostegno dei rifugiati reinsediati differiscono da quelli dei richiedenti asilo o di altri gruppi di immigrati, o su come questi bisogni sono meglio affrontati.36 Oltre alla formazione, all'assistenza sociale e ad altri aiuti diretti, diverse altre politiche influenzano l'integrazione dei rifugiati. In primo luogo, le politiche che determinano lo status giuridico che i rifugiati reinsediati ricevono possono plasmare in modo significativo la loro capacità di stabilirsi in una nuova società. Tradizionalmente, il reinsediamento è stato pensato come una soluzione permanente allo sfollamento e la maggior parte dei programmi nazionali ha concesso ai rifugiati reinsediati uno status di residenza permanente. Negli ultimi dieci anni, tuttavia, le ammissioni umanitarie e altri programmi di protezione alternativi si sono moltiplicati, in particolare sulla scia delle acute crisi di sfollamento in Iraq e Siria. Molte di queste iniziative offrono una residenza temporanea, piuttosto che permanente, e non garantiscono gli stessi diritti e benefici concessi ai rifugiati

35 Il Programma canadese di assistenza ai rifugiati, ad esempio, fornisce ulteriori

livelli di sostegno ai rifugiati reinsediati. Cfr. IRCC, 'The Refugee System in Canada', aggiornato al 16 giugno 2016, https://www.canada.ca/en/immigration-refugees-citizenship/services/refugees/canada-role.html. Nel Regno Unito, i rifugiati reinsediati ricevono assistenza al reddito e sostegno da parte di un operatore del caso – servizi non disponibili per i richiedenti asilo. Cfr. EMN, Programmi di reinsediamento e di ammissione umanitaria in Europa.

36 Le valutazioni globali che esistono ad oggi non confrontano i risultati dei rifugiati

che sono arrivati attraverso i canali dell'asilo con quelli che sono stati reinsediati. Si veda, ad esempio, IRCC, Evaluation of Government Assisted Refugees (GAR) and Resettlement Assistance Program (RAP); European Parliament, Directorate General for Internal Policies, Comparative Study on Best Practices for the Integration of Resettled Refugees; Labour and Immigration Research Centre, New Land, New Life: Insediamento a lungo termine di rifugiati in Nuova Zelanda (Wellington: New Zealand Ministry of Business, Innovation, and Employment, 2012); Nicolien Rengers, Peter Geerlings, e Ruthy Cortooms, Meedoen: Een onderzoek naar participatie, welbevinden en begeleiding van hervestigde vluchtelingen (L'Aia: Centraal Orgaan

opvang asielzoekers, 2015),

https://www.coa.nl/sites/www.coa.nl/files/paginas/media/bestanden/3576.1188_r apport_evf_monitor_web_02.pdf.

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34 reinsediati.37

Nel progettare una nuova iniziativa di reinsediamento, i responsabili politici devono valutare i meriti di offrire uno status di insediamento permanente o temporaneo. Mentre i leader politici possono trovare più facile vendere l'insediamento temporaneo a membri scettici dell'opinione pubblica, il fatto che la maggior parte delle situazioni di rifugiato si protragga significa che i rifugiati ammessi sotto regimi temporanei possono ancora trascorrere anni o addirittura decenni nel Paese di reinsediamento. Se non si riconosce questo potenziale risultato, si rischia di creare aspettative irrealistiche che potrebbero ritorcersi contro i cicli elettorali futuri.

Le politiche che determinano lo status giuridico che i rifugiati reinsediati ricevono possono plasmare in modo significativo la loro capacità di stabilirsi in una nuova società.

Le politiche che regolano l'accesso all'alloggio possono avere un impatto importante anche sul successo post-arrivo. Molti Paesi di reinsediamento, in particolare quelli che affrontano anche l'arrivo spontaneo dei richiedenti asilo, devono affrontare la carenza di alloggi a prezzi accessibili nei centri urbani, dove i servizi sono accessibili e l'occupazione più facile da trovare.38 Di conseguenza, alcune autorità preposte al reinsediamento sono state costrette a stabilirsi in zone suburbane e rurali, dove il costo della vita è più basso, ma i servizi o le opportunità di lavoro sono meno accessibili.

In Svezia, ad esempio, il servizio pubblico per l'impiego era

37 Ad esempio, il programma tedesco per l'ammissione umanitaria dei rifugiati siriani

è durato dal 2013 al 2015 e ha ammesso 20.000 siriani con permessi di soggiorno biennali. Cfr. Grote, Bitterwolf e Baraulina, "Programmi di reinsediamento e ammissione umanitaria in Germania", 5-6.

38 In Canada, ad esempio, grandi famiglie di rifugiati reinsediati possono avere

difficoltà a sostenere i costi elevati degli alloggi nelle aree urbane. Nel frattempo, coloro che si trovano in comunità più piccole potrebbero non avere accesso alla stessa gamma di servizi disponibili per coloro che vivono in città. Cfr. Carla Turner, 'Refugee Agencies Making Headway in Housing Syrians, But Thousing Thousing Still Need Homes', CBC News, 8 marzo 2016, www.cbc.ca/news/canada/refugees-housing-moving-in- 1.3476893.

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