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La disfunzione diaframmatica nel paziente critico post-operatorio: Studio di correlazione con lo Score di Aerazione Polmonare e gli Score Clinici di Gravità.

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

La disfunzione diaframmatica nel paziente critico post-operatorio:

Studio di correlazione con lo Score di Aerazione Polmonare e gli Score

Clinici di gravità

Relatori:

Prof. Francesco Forfori

Dott. Francesco Corradi

Candidato:

Andrea Galli

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SOMMARIO

1 - RIASSUNTO 2 - INTRODUZIONE

2.1 - DIAFRAMMA: CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA ... 6

2.2 - LA DISFUNZIONE DIAFRAMMATICA... 7

2.2.1 - Definizione ... 7

2.2.1.1 - Weakness (debolezza) e Paralisi diaframmatica ... 7

2.2.1.2 - Eventratio (Relaxatio) diaframmatica ... 12

2.2.2 - Clinica ... 13

2.2.3 - Diagnosi ... 13

2.2.3.1 - Rx del torace ... 14

2.2.3.2 - Fluoroscopia ... 14

2.2.3.3 - Ecografia diaframmatica... 15

2.2.3.4 - Test di funzione polmonare ... 16

2.2.3.5 - Test con stimolazione del nervo frenico ... 16

2.2.4 - Prognosi e conseguenze cliniche ... 17

2.2.5 - Menagement terapeutico ... 17

2.3 - POLMONE: CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA ... 19

2.4 - DISORDINI POLMONARI NEL PAZIENTE CRITICO ... 20

2.4.1 - Versamento pleurico ... 20 2.4.1.1 - Definizione ... 20 2.4.1.2 - Epidemiologia ... 20 2.4.1.3 - Eziopatogenesi ... 20 2.4.1.4 - Clinica ... 21 2.4.1.5 - Diagnosi ... 22 2.4.1.6 - Cenni di terapia ... 23 2.4.2 - Consolidamenti alveolari ... 23

2.4.2.1 - Polmoniti associate a ventilazione meccanica ... 24

2.4.2.2 - Atelettasie ... 26

2.4.3 - Acute Lung Injury (ali) e ARDS ... 27

2.4.3.1 - Definizione ... 27

2.4.3.2 - Eziologia ... 28

2.4.3.3 - Cenni di Fisiopatologia ... 29

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2 2.4.3.5 - Diagnosi ... 29 2.4.3.6 - Cenni di terapia ... 30 2.4.4 - Pneumotorace (PNX) ... 30 2.4.4.1 - Definizione ... 30 2.4.4.2 - Epidemiologia ... 30 2.4.4.3 - Eziopatogenesi ... 30 2.4.4.4 - Clinica ... 32 2.4.4.5 - Diagnosi ... 32 2.4.4.6 - Cenni di terapia ... 33

2.5 - FISICA DEGLI ULTRASUONI ED ECOGRAFIA ... 34

2.5.1 - Il Suono ... 34

2.5.2 - La Sorgente sonora ... 34

2.5.3 - Caratteristiche dell’ onda acustica ... 34

2.5.3.1 - Periodo (t) e Frequenza (f) ... 35 2.5.3.2 - Lunghezza d’ onda (λ) ... 35 2.5.3.3 - Velocita’ di propagazione ... 35 2.5.3.4 - Ampiezza ... 35 2.5.3.5 - Potenza ... 35 2.5.3.6 - Intensita’ ... 35 2.5.4 - L’ Attenuazione ... 36 2.5.5 - L’ Onda pulsata ... 37 2.5.6 - Strumentazione ... 37 2.5.6.1 - Trasduttore (o sonda) ... 37 2.5.6.2 - Elaboratore (computer) ... 38 2.5.6.3 - Display ... 38 2.5.7 - La Risoluzione ... 39 2.5.7.1 - Risoluzione Spaziale ... 39 2.5.7.2 - Risoluzione Temporale ... 39 2.5.7.3 - Risoluzione di Contrasto ... 40

2.5.8 - Modalita’ di Visualizzazione: A-MODE, B-MODE ED M-MODE ... 40

2.5.8.1 - A-MODE ... 40

2.5.8.2 - B-MODE ... 41

2.5.8.3 - M-MODE ... 41

2.5.9 - Gli Artefatti ... 42

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2.5.9.2 - Coni d’ Ombra... 42

2.5.9.3 - EDGE Artifact ... 43

2.5.9.4 - Immagini Specchio... 43

2.5.10 - Doppler ... 44

2.5.10.1 - Doppler ad onda continua ... 45

2.5.10.2 - Doppler ad onda pulsata ... 45

2.6 - L’ ECOGRAFIA DIAFRAMMATICA ... 46

2.6.1 - Indicazioni cliniche ... 46

2.6.2 - La tecnica ... 47

2.6.2.1 - Escursione diaframmatica ... 47

2.6.2.2 - Ispessimento diaframmatico ... 48

2.6.3 - Ecografia e Disfunzione diaframmatica ... 49

2.6.3.1 - Paralisi diaframmatica ... 49

2.6.3.2 - Eventratio diaframmatica ... 50

2.6.3.3 - Weakness diaframmatica ... 50

2.6.4 - Limiti dell’ ecografia diaframmatica ... 51

2.7 - L’ ECOGRAFIA POLMONARE ... 52

2.7.1 - I sette principi dell’ ecografia polmonare ... 52

2.7.2 - Tecnica e semeiotica ecografica del polmone normale ... 53

2.7.3 - Semeiotica ecografica dei principali disordini polmonari acuti ... 55

2.7.3.1 - Versamento pleurico ... 55

2.7.3.2 - Consolidamento alveolare ... 56

2.7.3.3 - Sindrome alveolo\interstiziale ... 57

2.7.3.4 - Pneumotorace (PNX) ... 58

2.7.4 - Score di Aerazione Polmonare (o LUSs) ... 60

2.7.4.1 - LUSs: Il calcolo ... 60

2.7.4.2 - LUSs: I limiti ... 62

2.7.5 - LIMITI DELL’ ECOGRAFIA POLMONARE ... 62

2.8 - SCORE PROGNOSTICI E PAZIENTE CRITICO ... 63

2.8.1 - IL SAPS II ... 64 2.8.1.1 - Applicazioni ... 64 2.8.1.2 - Il calcolo ... 64 2.8.2 - IL SOFA SCORE ... 66 2.8.2.1 - Applicazioni ... 66 2.8.2.2 - Il Calcolo ... 67

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3 - SCOPO DELLA TESI 4 - MATERIALI E METODI

4.1 - CALCOLO DEGLI SCORE PROGNOSTICI: SAPS II E SOFA SCORE ... 70

4.2 - STUDIO ECOGRAFICO DEL DIAFRAMMA ... 71

4.3 - STUDIO ECOGRAFICO DEL POLMONE ... 72

4.4 - ANALISI STATISTICA ... 74

5 - RISULTATI 5.1 - CARATTERISTICHE DELLA POPOLAZIONE ... 75

5.2 - CORRELAZIONI FRA LE VARIAIBILI ... 77 6 - DISCUSSIONE

7- CONCLUSIONI 8 - BIBLIOGRAFIA

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1 - RIASSUNTO

La Disfunzione Diaframmatica è definita come la riduzione della forza muscolare che il diaframma è in grado di esercitare al fine di generare pressioni adeguate allo svolgimento della normale meccanica ventilatoria. Le anomalie che possono determinarla si dividono in alterazioni strutturali/morfologiche e alterazioni della mobilità diaframmatica. Tali anomalie sono la conseguenza fisiopatologica di numerose condizioni

riscontrabili comunemente nei pazienti critici ricoverati in Terapia Intensiva. In questa categoria di malati la prevalenza di Disfunzione Diaframmatica varia fra il 34 e il 75 %.

Questo studio analitico prospettico di tipo osservazionale si è proposto primariamente di studiare l’eventuale esistenza di una correlazione tra la funzione diaframmatica, stimata con differenti metodiche ecografiche, e gli score di gravità clinica (SAPS II e SOFA Score) nei pazienti critici ricoverati in Terapia Intensiva (UTI). Secondariamente di indagare l’eventuale esistenza di correlazioni fra gli indici di funzione diaframmatica, lo Score di Aerazione Polmonare (LUSs), un indice ecografico di aerazione polmonare appunto, e i principali parametri Gas-Analitici.

I pazienti arruolati sono stati sottoposti ad indagine ecografica morfo-funzionale della cupola

diaframmatica, ecografia polmonare ed infine, per ognuno di essi, sono stati registrati i parametri gas-analitici d’ interesse e calcolati gli indici clinici di gravità SAPS II e SOFA Score al momento dell’ammissione nell’ U.O. Anestesia e Rianimazione IV dell’AOUP Pisana.

L’ analisi dei risultati ci ha permesso di concludere che il diaframma è, come gli altri organi, un bersaglio della sepsi e/o del processo infiammatorio sistemico che consegue a stress chirurgici derivanti da interventi addominali maggiori. Come conseguenza di ciò, la disfunzione diaframmatica si associa ad un maggior impegno del paziente e ad un peggioramento della prognosi, come evidenziato dall’ incremento degli indici clinici di gravità SAPS II e SOFA Score. È emerso inoltre, che riduzione della contrattilità e riduzione dello spessore del diaframma sono due meccanismi fisiopatologici della disfunzione diaframmatica caratterizzati da tempistiche di innesco e progressione differenti, gli indici ecografici di funzione diaframmatica che descrivono queste due proprietà del muscolo omonimo non sono risultati correlati fra loro. Si è evinto infine, che lo spessore a CFR (T Min) rappresenta l’unico dato ultrasonografico che permette di valutare la funzionalità diaframmatica nel caso in cui il paziente necessiti del supporto ventilatorio meccanico. Tale indice, correlandosi negativamente al LUSs, ha dimostrato come effettivamente un diaframma disfunzionante si associ ad una peggiore aerazione polmonare.

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2 - INTRODUZIONE

2.1 - DIAFRAMMA: CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA

Il Diaframma è una struttura muscolare sottile e cupuliforme, interposta fra la cavità toracica e quella addominale.

Tale organo rappresenta il principale muscolo respiratorio ed è innervato dal Nervo Frenico che origina dalle radici spinali C3-C5.

In condizioni eupnoiche la cupola diaframmatica si muove solo minimamente e l’azione muscolare causa un accorciamento della Zona di Apposizione (l’area in cui la porzione inferiore della gabbia toracica e il diaframma sono in contatto diretto) tale da indurre il diaframma a muoversi in senso caudale come un pistone, ne derivano l’incremento della pressione addominale e il decremento di quella pleurica. Quest’ ultima è trasmessa al polmone che si insuffla, e alla gabbia toracica che tenderebbe a collassare se non fosse per l’aumento della pressione addominale e per la contrazione della porzione inferiore del muscolo diaframmatico che inducono, invece, l’espansione della gabbia toracica stessa. Il gradiente pressorio generatosi fra le cavità toracica e quella addominale è proporzionale alla tensione sviluppata dalle fibre muscolari, esso prende il nome di Pressione

Trans-diaframmatica (Tdi). Il valore di tale gradiente pressorio dipende dalle variazioni di volume

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2.2 - LA DISFUNZIONE DIAFRAMMATICA

2.2.1 - DEFINIZIONE

Il termine Disfunzione Diaframmatica racchiude al suo interno tre condizioni2:

• Weakness (Debolezza) Diaframmatica • Paralisi Diaframmatica

• Relaxatio (Eventratio) Diaframmatica

La Disfunzione Diaframmatica è una condizione patologica che molto frequentemente caratterizza il malato critico ricoverato in UTI, in questo subset di pazienti infatti è stimata una Prevalenza compresa fra il 34 e il 75% 3 .

2.2.1.1 - WEAKNESS (DEBOLEZZA) E PARALISI DIAFRAMMATICA3

Definizione

La Weakness (debolezza) Diaframmatica è definita come la riduzione della forza muscolare che il diaframma è in grado di esercitare al fine di generare pressioni adeguate allo svolgimento della normale meccanica ventilatoria.

La Paralisi Diaframmatica rappresenta invece la totale incapacità di garantire tale fenomeno.

Eziologia e Fisiopatologia nel Paziente Critico

La Weakness Diaframmatica, nel paziente critico, può essere conseguenza fisiopatologica di numerose condizioni: • Iper-insufflazione; • Neuropatie; • Miopatie; • Alterazioni Metaboliche; • Ipossia; • Farmaci.

Le Miopatie, a loro volta, possono essere il risultato di diversi processi fisiopatologici, pertanto vengono classificate in:

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• “Critical Illness Myopathy” (Miopatia del Paziente Critico); • Miopatia Settica;

• Miopatia da Ventilazione Meccanica; • Atrofia da Inattività;

• Miopatia Metabolica; • Miopatia da Farmaci.

Nel malato, a maggior ragione nel paziente critico ricoverato in Terapia Intensiva (UTI), è probabile che molteplici fattori fra quelli sovra elencati agiscano simultaneamente. Alcuni di essi inoltre (Sepsi, Alterazioni Metaboliche, Sforzi Inspiratori Eccessivi ecc..), iniziano ad agire prima dell’ammissione in UTI, determinando Weakness precocemente e rendendo molto più probabile la necessità di ricorrere alla Ventilazione Meccanica, causa, essa stessa, di disfunzione diaframmatica.

I meccanismi fisiopatologici alla base della Weakness diaframmatica verranno descritti, nei paragrafi che seguono, schematizzati sulla base di un criterio temporale, al fine di comprenderne meglio il ruolo, la complessità e le interconnessioni esistenti tra essi. Possono essere descritte:

• Cause di Weakness diaframmatica all’ Ammissione in UTI • Cause di Weakness diaframmatica Durante il Ricovero in UTI

CAUSE DI WEAKNESS DIAFRAMMATICA ALL’ AMMISSIONE IN UTI

Insufficienza Respiratoria Ipercapnica

L’ Ipercapnia acuta stimola l’area chemosensibile del centro respiratorio aumentandone l’attività. I suoi effetti sulla Contrattilità diaframmatica non sono ancora completamente noti, gli studi hanno fornito risultati contrastanti.

In uno studio condotto su soggetti sani sottoposti ad un incremento acuto della pCO2, la forza diaframmatica diminuiva precocemente. In queste condizioni, l’Ipercapnia non incideva significativamente sulla fatica muscolare nel lungo termine, ma determinava una riduzione della contrattilità diaframmatica immediatamente successiva alla massima

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ventilazione volontaria. Studi in vitro d’ altro canto, hanno dimostrato che l’Acidosi

Respiratoria in ratti non ventilati meccanicamente induce Weakness diaframmatica.

In generale, nella pratica clinica, consideriamo l’Ipercapnia Acuta la causa di uno scadimento clinico che favorisce la Weakness diaframmatica.

Shock Cardiogeno

Lo Shock Cardiogeno si associa sia ad una riduzione della perfusione, quindi della disponibilità di ossigeno, sia ad un incremento del lavoro muscolare diaframmatico. Il disequilibrio tra la domanda e l’offerta di ossigeno, secondario ad una portata cardiaca insufficiente, si traduce necessariamente in Weakness diaframmatica a causa dello shift verso il metabolismo anaerobico e l’incremento della produzione di Lattati.

La Ventilazione Meccanica e la Paralisi Muscolare d’ altro canto, determinano un grande risparmio in termini di flusso ematico necessario a garantire il normale svolgimento delle attività metaboliche dei muscoli respiratori, diaframma in primis. Questo principio, entro certi limiti, può essere sfruttato a fini terapeutici.

Sepsi

La Sepsi può rappresentare sia la causa che una temibile complicanza del ricovero presso il reparto di Terapia Intensiva ed è associata in più della metà dei casi a Weakness diaframmatica.

Essa influenza negativamente la forza muscolare diaframmatica indipendentemente da qualsiasi effetto sulla massa muscolare o sull’ architettura del muscolo stesso, suggerendo un ruolo importante dell’Infiammazione Sistemica nella genesi della disfunzione diaframmatica.

Lo Stato Settico agisce a vari livelli:

• Altera i meccanismi che consentono l’approvvigionamento e l’utilizzazione dei substrati energetici da parte delle cellule muscolari;

• Gli elevati livelli di citochine pro-infiammatorie compromettono direttamente l’attività delle proteine contrattili.

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• Rende il diaframma più sensibile al danno muscolare indotto dall’ utilizzo della ventilazione meccanica, determinando, probabilmente, un’aumentata fragilità del

Sarcolemma.

• Favorisce l’Atrofia diaframmatica.

Chirurgia

La Chirurgia Addominale, in particolare quella che interessa i quadranti superiori dell’addome, è associata a diverse complicanze respiratorie post-operatorie in cui la disfunzione diaframmatica sembra frequentemente implicata.

Sebbene il dolore e l’anestesia generale possano contribuire a tali fenomeni, è stato dimostrato che la terapia analgesica non migliora la forza diaframmatica post-operatoria e che l’anestesia generale per interventi del basso addome non conduce a Weakness diaframmatica.

L’ attenuazione dell’attività efferente del nervo frenico, a seguito di una importante stimolazione di una sua via afferente durante l’intervento chirurgico, sembra poter essere responsabile delle complicanze suddette.

Weakness e Paralisi diaframmatica (mono o bilaterale) possono anche insorgere come complicanze di interventi di By-Pass Coronarico. In questo caso la lesione diretta del nervo frenico durante la procedura ne rappresenta la causa.

CAUSE DI WEAKNESS DIAFRAMMATICA DURANTE IL RICOVERO IN UTI

Sedativi, Steroidi e Bloccanti Neuromuscolari

I Sedativi possono avere effetti diretti sulla funzione del diaframma oltre a promuoverne l’inattività. Pazienti sottoposti ad anestesia generale, operati in elezione, mostrano un decremento della funzione diaframmatica proporzionale alla dose di sedativo (Propofol) utilizzato, così come i pazienti critici ricoverati in UTI a cui sia stato somministrato tale anestetico.

I Corticosteroidi sono stati associati allo sviluppo della Miopatia del Paziente Critico. Essi infatti, influenzano la funzione contrattile dei muscoli striati attraverso l’inibizione della sintesi proteica e l’attivazione del catabolismo proteico. Tuttavia, gli effetti dei

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corticosteroidi sul diaframma non sono totalmente prevedibili e possono variare a seconda dello specifico farmaco, della dose e del tipo di fibra muscolare interessata. Alla luce di quanto detto è probabile, ma non certo, che l’incidenza di Weakness diaframmatica correli con la dose e la durata di esposizione al farmaco.

I Bloccanti Neuromuscolari, quando utilizzati per adattare i pazienti alla ventilazione meccanica, rendono il diaframma inattivo e possono contribuire all’ Atrofia da Inattività. Particolare attenzione andrebbe posta alla concomitante somministrazione di glucocorticoidi e bloccanti neuromuscolari.

Ventilazione Meccanica

La Ventilazione Meccanica è stata identificata chiaramente come possibile causa di Weakness diaframmatica. Essa influenza negativamente l’azione dei muscoli respiratori mediante tre meccanismi:

1. Atrofia da Inattività

Condizione secondaria ad un eccessivo supporto ventilatorio. Solo pochi giorni di completo controllo ventilatorio meccanico determinano rapidamente atrofia e decremento della forza contrattile diaframmatica. Al contrario, un supporto parziale meccanico alla ventilazione, riduce il rischio di atrofia e Weakness diaframmatica.

Più che la ventilazione meccanica stessa infatti, è l’inattività muscolare a determinare disfunzione diaframmatica.

I meccanismi fisiopatologici precisi sono ancora oggetto di studio. La disfunzione delle fibre muscolari diaframmatiche, in pazienti critici ricoverati in UTI, sembra non essere solo conseguenza della perdita di massa muscolare, ma derivare anche dalla riduzione di contrattilità delle miofibrille conseguente l’alterazione dei ponti crociati fra actina e miosina. Inoltre, studi in pazienti in morte encefalica, suggeriscono un ruolo fisiopatologico importante della disfunzione mitocondriale e dello stress ossidativo nello sviluppo di disfunzione diaframmatica durante ventilazione meccanica.

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2. Eccessivo Carico di Lavoro Respiratorio

Un insufficiente supporto ventilatorio è causa di danno muscolare diaframmatico indotto dall’ eccessivo carico di lavoro richiesto per garantire una ventilazione adeguata.

Tale danno è caratterizzato istologicamente da: disorganizzazione delle miofibrille, presenza di infiltrato infiammatorio e edema. La sepsi, come sottolineato in precedenza, favorisce questo tipo di danno conferendo fragilità al sarcolemma. Recenti studi hanno evidenziato che, alcuni pazienti ventilati meccanicamente e con sforzo inspiratorio elevato, presentano paradossalmente spessore diaframmatico aumentato. Il correlato istologico sopradescritto (in particolare l’edema) sembra poter spiegare tale fenomeno. Alla luce di quanto affermato è plausibile che, un insufficiente o ritardato ausilio meccanico alla ventilazione, possa comportare insufficienza respiratoria acuta secondaria alla disfunzione diaframmatica.

3. Ipercapnia in Ventilazione Controllata

Gli effetti dell’Ipercapnia sulla forza contrattile diaframmatica, in condizioni di ventilazione meccanica, sono stati studiati in modelli sperimentali. I risultati ottenuti sono in parte contrastanti: in maiali anestetizzati e ventilati, una breve e acuta esposizione all’ Ipercapnia si è mostrata responsabile di una marcata riduzione della forza contrattile diaframmatica. Al contrario, quando la ventilazione meccanica insisteva da più di 72 h, l’ipercapnia limitava l’insorgenza di disfunzione diaframmatica indotta dalla ventilazione meccanica stessa.

2.2.1.2 - RELAXATIO (EVENTRATIO) DIAFRAM MATICA 4

La Relaxatio (o Eventratio) diaframmatica propriamente detta è una condizione rara nella popolazione generale. Essa è caratterizzata da un’elevazione permanente di un emidiaframma (tutto o in gran parte), che mantiene le sue inserzioni sulle coste e che non presenta soluzioni di continuo ma uno spessore ridotto.

Si riconoscono Eventratio congenite (propriamente dette) e acquisite.

Le forme congenite sono da attribuire ad anomalie di sviluppo riconducibili ad aplasia muscolare della porzione di diaframma coinvolto. Più frequentemente interessano i maschi e l’emidiaframma sinistro. Solitamente sono condizioni del tutto asintomatiche diagnosticate nell’ età adulta in soggetti sottoposti ad accertamenti per altre ragioni.

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Le forme acquisite sono da ricondurre ad un danno a carico del nervo frenico tale da determinare una paralisi dell’emidiaframma omolaterale. Neoformazioni, traumi, interventi chirurgici e numerose altre condizioni possono rappresentarne la causa.

2.2.2 - CLINICA2

La disfunzione diaframmatica monolaterale, anche grave, può essere asintomatica, ciò spiega perché essa è spesso diagnosticata incidentalmente mediante l’osservazione di un’elevazione dell’emidiaframma interessato ad una radiografia del torace eseguita per altri motivi. I sintomi sono più frequenti e più gravi in pazienti obesi, cardiopatici o malati polmonari cronici. I sintomi più frequenti sono la dispnea da sforzo e l’ortopnea, ma sono possibili anche sintomi e segni di ipoventilazione notturna e reflusso esofageo. L’ esame obiettivo è aspecifico: riduzione dei rumori respiratori alla base dell’emitorace coinvolto, associata o meno ad ottusità alla percussione.

Quando la disfunzione diaframmatica coinvolge entrambi gli emidiaframmi, i pazienti di solito lamentano ortopnea. All’ esame obiettivo sono spesso riscontrabili: cianosi, riduzione bilaterale dei rumori respiratori, respirazione rapida e superficiale.

Quando la disfunzione è rappresentata da completa paralisi diaframmatica, l’inspirazione avviene grazie all’azione degli intercostali esterni e dei muscoli accessori, (sternocleidomastoideo, scaleni) che espandono la gabbia toracica generando una pressione negativa a livello toracico. Tale pressione trascina superiormente il diaframma e i visceri addominali, provocando un avvallamento a livello della parete addominale anteriore.

Numerosi pazienti con disfunzione diaframmatica sia essa mono o bilaterale accusano disturbi del sonno, in particolare ipoventilazione e desaturazione durante la fase REM. 2.2.3 - DIAGNOSI

Il sospetto di disfunzione diaframmatica può derivare da una dispnea non spiegabile clinicamente o, occasionalmente, dal riscontro casuale di un’elevazione diaframmatica (mono o bilaterale) nel corso di test di imaging eseguiti per altri motivi. In ogni caso la diagnosi è posta, generalmente, sulla base dell’esecuzione di un test di imaging.

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Gli strumenti diagnostici a disposizione sono comunque molteplici e comprendono altre tecniche oltre alle già citate metodiche di imaging. Nelle pagine che seguono passeremo in rassegna le varie metodiche.

2.2.3.1 - RX DEL TORACE5

La radiografia del torace è un test facilmente eseguibile che permette di valutare il parenchima polmonare al fine di individuare altre potenziali cause di dispnea.

L’ RX del torace consente inoltre la valutazione della struttura, della morfologia e dell’elevazione diaframmatica, con un’affidabilità però, moderatamente osservatore-dipendente.

La diagnosi di paralisi monolaterale posta mediante radiografia del torace ha sensibilità del 90%, specificità del 44%, valore predittivo positivo del 33% e valore predittivo negativo del 93%.

In caso di paralisi bilaterale il reperto tipico è un’elevazione di entrambi gli emidiaframmi che si associa a piccoli volumi polmonari e atelettasie bibasilari.

2.2.3.2 - FLUOROSCOPIA6

La fluoroscopia è un test che ci permette di visualizzare il diaframma in continuo durante il normale ciclo respiratorio e nel corso di manovre di inspirazione forzata.

È un test facilmente eseguibile ed interpretabile, con una buona riproducibilità inter-osservatore. Per questo, per anni, ha rappresentato il gold standard per la diagnosi di paralisi diaframmatica.

In alcuni casi di Weakness bilaterale però, il reperto fluoroscopico è difficilmente interpretabile. Questo subset di pazienti è rappresentato da soggetti con disfunzione

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bilaterale che, in posizione ortostatica, adottano un pattern respiratorio inusuale, simulando una contrazione diaframmatica efficace.

Tale fenomeno può essere prevenuto effettuando il test in posizione di clinostatismo ed è per questo che numerosi autori consigliano tale atteggiamento posturale per eseguire la fluoroscopia.

2.2.3.3 - ECOGRAFIA DIAFRAMMATICA7

L’ ecografia diaframmatica è un test eseguibile al letto del paziente, non invasivo, rapido, semplice e ben tollerato, che permette una valutazione qualitativa e quantitativa della funzione diaframmatica senza esporre il paziente a radiazioni ionizzanti, che non richiede inoltre grande collaborazione da parte del malato.

Per tutti questi motivi l’ecografia diaframmatica è ad oggi la tecnica di scelta in caso di sospetta disfunzione diaframmatica. Se eseguita da operatori esperti è una tecnica dotata di ottima riproducibilità e affidabilità.

Gli indici considerati per la valutazione della funzione diaframmatica sono: lo spessore misurato a Capacità Funzionale Residua (CFR) (o Spessore Minimo), lo spessore misurato al termine di una inspirazione tranquilla (o Spessore Massimo), la Frazione d’ Ispessimento (𝑇𝐹 =𝑆𝑃𝐸𝑆𝑆𝑂𝑅𝐸 𝑀𝐴𝑆𝑆𝐼𝑀𝑂−𝑆𝑃𝐸𝑆𝑆𝑂𝑅𝐸 𝑀𝐼𝑁𝐼𝑀𝑂𝑆𝑃𝐸𝑆𝑆𝑂𝑅𝐸 𝑀𝐼𝑁𝐼𝑀𝑂 %) e l’ Escursione Diaframmatica (misura di quanto la cupola si è spostata alla fine di una inspirazione, sia essa tranquilla o profonda). Questi sono soltanto alcuni cenni introduttivi. L’ Ecografia Diaframmatica verrà approfonditamente trattata, con un capitolo dedicato, più avanti nel corso di questo elaborato (Capitolo 2.6).

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16 2.2.3.4 - TEST DI FUNZIONE POLMONARE8

I test di funzione polmonare sono utili strumenti per approfondire la diagnosi di disfunzione diaframmatica.

Generalmente una condizione di Weakness diaframmatica genera un pattern spirometrico restrittivo, con riduzione della Capacità Polmonare Totale, della Capacità Vitale e della Capacità Funzionale Residua, in presenza di Volume Residuo e Diffusione del CO conservati. L’ indice di Tiffenau è anch’ esso generalmente normale.

La misurazione della massima pressione statica a livello della bocca, misurata a glottide chiusa durante inspirazione ed espirazione, è un valido metodo per stimare la forza prodotta dai muscoli respiratori, diaframma in primis. Tale tecnica è facile e ben tollerata, ma richiede un’attiva collaborazione da parte del paziente.

Lo “Sniff Test” è una tecnica simile alla precedente che consente di misurare, a livello nasale, la pressione generata in fase inspiratoria dall’ azione dei muscoli inspiratori. La stima della pressione Trans-diaframmatica (Pdi) rappresenta infine il gold standard per la valutazione della funzione diaframmatica. È possibile stimare la Pdi misurando la Pressione Esofagea (Pes) e la Pressione Gastrica (Pga) durante uno sforzo inspiratorio massimale. La differenza fra Pes e Pga rappresenta infatti una valida stima della Pdi.

2.2.3.5 - TEST CON STIMOLAZIONE DEL NERVO FRENICO9

Il Gold Standard per la valutazione della funzione meccanica del diaframma è la misurazione della pressione negativa generata dalla sua contrazione in risposta alla stimolazione esterna del nervo frenico.

Questa metodica offre la possibilità di attivare e studiare il diaframma separatamente rispetto agli altri muscoli respiratori.

L’ esecuzione prevede la stimolazione elettrica transcutanea del NF a livello del collo (mono o bi lateralmente) mentre si misura la Pdi mediante il test descritto al paragrafo precedente (Pes-Pga).

Il test con stimolazione del nervo frenico risulta molto utile in caso siano sospettati disordini neuro-muscolari.

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2.2.4 - PROGNOSI E CONSEGUENZE CLINICHE10

Indipendentemente dal fatto che la disfunzione diaframmatica si presenti precocemente o tardivamente rispetto all’ ammissione in UTI, essa rappresenta un marker di gravità della malattia e un fattore prognostico negativo.

Quando presente al momento dell’ammissione in UTI, la disfunzione diaframmatica deve essere considerata al pari delle altre forme d’ insufficienza d’ organo e la sua presenza correla con una mortalità più elevata.

La disfunzione diaframmatica che si esacerba dopo molti giorni di ventilazione meccanica correla, per quanto precedentemente detto, con aumentate probabilità di fallimento dello svezzamento dalla ventilazione meccanica stessa. La Weakness diaframmatica infatti, comporta una ridotta riserva funzionale nei confronti di nuovi insulti polmonari. Da sola generalmente non è in grado di determinare insufficienza respiratoria, ma in presenza di un’elevata domanda ventilatoria o di alterazioni della meccanica respiratoria, può condurre a un fallimento dell’estubazione.

La Weakness diaframmatica può inoltre insistere in pazienti svezzati con successo. Esistono evidenze infatti, che suggeriscono un alto rischio di re-ospedalizzazione a 7 giorni dalla dimissione dall’ UTI, per i pazienti con malattia polmonare cronica che presentavano disfunzione diaframmatica.

2.2.5 - MENAGEMENT TERAPEUTICO11

Tutti i pazienti ricoverati in UTI, che abbiano dimostrato una disfunzione diaframmatica, devono innanzitutto essere studiati per escludere cause facilmente diagnosticabili e trattabili di Weakness. Ad esempio, squilibri idro-elettrolitici e alterazioni del metabolismo significative.

Il secondo step consiste nel prendere in considerazione una miopatia sistemica come possibile causa di Weakness diaframmatica. Questa eventualità deve sempre essere sospettata nel paziente ventilato meccanicamente che presenti disfunzione diaframmatica grave e con insufficienza respiratoria non altrimenti spiegabile (con RX pulito e polmoni non patologici). La Miastenia Gravis, la Polineuropatia Infiammatoria Demielinizzante Cronica, il deficit di Carnitina e la Malattia di Pompe ad esordio tardivo sono condizioni

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trattabili e per questo dovrebbero essere sempre considerate di fronte al quadro clinico suddetto.

In ogni caso, come sottolineato nei paragrafi precedenti, i motivi eziopatologici più frequenti di disfunzione diaframmatica, nel paziente critico ricoverato in UTI, sono i processi infiammatori sistemici riconducibili alla sepsi e/o la ventilazione meccanica. Le infezioni, in quanto fattore di rischio principale per lo sviluppo di Weakness, devono essere prevenute e trattate rapidamente. Un secondo approccio per il trattamento della disfunzione diaframmatica sepsi-indotta prevede l’utilizzo di farmaci che migliorano la forza muscolare. Sono in studio due gruppi di agenti farmacologici: gli inibitori della proteolisi e gli stimolatori della sintesi proteica.

La disfunzione diaframmatica indotta dalla ventilazione meccanica (o VIDD) è una forma potenzialmente trattabile di Weakness, acquisita dal paziente critico durante il ricovero in UTI. Questo subset di pazienti è spesso sedato e ventilato con tecniche che minimizzano il drive respiratorio, oltre che paralizzato mediante l’utilizzo di bloccanti neuro-muscolari. Tutti questi presidi terapeutici predispongono alla VIDD, ma con alcuni accorgimenti è possibile ridurre questo rischio. In particolare, non abolire completamente la respirazione spontanea, assicurando una corretta sincronizzazione paziente-ventilatore, sembra poter scongiurare, almeno in parte, il rischio di atrofia da inutilizzo e in generale di VIDD.

La fisioterapia dei muscoli respiratori è una misura terapeutica utile in aggiunta alle metodiche sopracitate. In particolare, esercizi mirati ad allenare l’inspirazione, sembrano favorire un’adeguata funzionalità del muscolo diaframma.

Esistono, infine, alcune condizioni particolari che richiedono specifici e più complessi approcci terapeutici. In caso di paralisi diaframmatica monolaterale sintomatica ad esempio, potrebbe rendersi necessaria una plicatura diaframmatica. In pazienti con danno spinale esteso, ma con funzione del nervo frenico conservata, l’impianto di un pacemaker che stimoli e regoli l’attività di quest’ ultimo, può trovare indicazione.

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2.3 - POLMONE: CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA

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Il polmone umano è un organo pari alloggiato all’ interno della gabbia toracica e protetto, quindi, dalle coste.

Il polmone ha la forma di un tronco di cono e, il suo peso, molto variabile, si aggira introno ai 680 g per il destro e ai 620 g per il sinistro.

La superficie dei polmoni si presenta suddivisa in aree poligonali che nell’ adulto assumono una colorazione roseo/grigiastra, le quali sono contornate da linee più scure: le aree rappresentano i lobuli più periferici, mentre il contorno pigmentato corrisponde al connettivo dove si depositano particelle di pigmento fagocitate dai macrofagi.

Ogni polmone è rivestito da una membrana sierosa, la pleura, formata da due foglietti: uno addossato al polmone stesso, la pleura viscerale, ed uno addossato alla parete toracica (pleura parietale). Lo spazio fra i due foglietti è uno spazio virtuale che contiene un velo di liquido, esso viene detto spazio pleurico. In fase Inspiratoria in tale spazio si genera una pressione negativa che permette ai polmoni di espandersi.

La quantità d’ aria che può essere contenuta nei polmoni è detta Capacità Polmonare e varia in base alle fasi della respirazione. Nel vivente al termine di un’inspirazione tranquilla i polmoni contengono circa 3.500 cm3 d’ aria. Il Volume Tidale corrisponde all’ aria che viene inalata e quindi emessa con una respirazione tranquilla si aggira introno a 500/600 cm3.

Nei polmoni avvengono gli scambi gassosi fra aria e sangue, hanno quindi il ruolo di permettere l’ossigenazione del sangue e l’espulsione dell’anidride carbonica.

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2.4 - DISORDINI POLMONARI NEL PAZIENTE CRITICO

2.4.1 - VERSAMENTO PLEURICO13 2.4.1.1 - DEFINIZIONE

Il Versamento Pleurico è definito come una raccolta di liquido nel cavo pleurico che superi quella fisiologicamente presente (8-10 ml).

2.4.1.2 - EPIDEMIOLOGIA

Il versamento pleurico è condizione patologica piuttosto frequente nei pazienti critici ricoverati in UTI, sebbene, solo raramente, costituisce l’indicazione primaria al ricovero in Terapia Intensiva.

La prevalenza di Versamento Pleurico in UTI è difficilmente stimabile a causa della diversa sensibilità delle metodiche diagnostiche utilizzate per rintracciare tale condizione.

2.4.1.3 - EZIOPATOGENESI

Il versamento pleurico si verifica quando l’equilibrio fra produzione e smaltimento di liquido a livello pleurico si altera.

Moltissime condizioni sono in grado di determinare un eccesso di produzione o un difetto di smaltimento del liquido pleurico, risulta quindi utile ricondurre a due macrocategorie questo vasto insieme di motivi eziopatogenetici:

• Cause che determinano un versamento pleurico di tipo Essudatizio; • Cause che determinano un versamento pleurico di tipo Trasudatizio.

Il versamento pleurico di tipo Trasudatizio insorge quando sussistono una o entrambe le seguenti condizioni: aumento della pressione idrostatica capillare; decremento della pressione oncotica plasmatica.

Il versamento pleurico di tipo Essudatizio è determinato dall’ aumento di permeabilità dei foglietti pleurici che consegue ad un processo infiammatorio. Il liquido che lo caratterizza è ricco in proteine.

In generale, i motivi eziopatogenetici che più frequentemente si rendono responsabili dell’insorgenza di versamento pleurico nei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva sono:

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1. Sovraccarico di Volume Iatrogeno, secondario ad un ripristino volemico troppo brusco, in assenza di scompenso cardiaco;

2. La Ventilazione Meccanica, essa infatti favorisce la formazione di atelettasie che possono associarsi allo sviluppo di versamento pleurico. La ragione di ciò è da ricercare nella sedazione, nella paralisi, nell’ immobilità e nel danno polmonare acuto secondari alla ventilazione meccanica prolungata, i quali determinano il collasso dei segmenti polmonari basilari e lo sviluppo conseguente di regioni focali a pressione intra-pleurica negativa;

3. L’ ipoalbuminemia determina una riduzione della pressione oncotica plasmatica e contribuisce in questo modo alla formazione di versamento pleurico;

4. La polmonite, in particolare quella associata a ventilazione meccanica, si complica spesso con versamento pleurico;

5. Cateterizzazioni di vasi intratoracici, toracentesi e posizionamenti di drenaggi toracici possono determinare emotorace iatrogeno;

6. Interventi chirurgici maggiori, in particolar modo di ambito cardiotoracico, si associano allo sviluppo nel decorso post-operatorio di versamento pleurico;

7. Il versamento pleurico è una complicanza frequente (20%) ed un fattore prognostico negativo in caso di Pancreatite Acuta;

8. Neoplasie Maligne si associano in svariati modi allo sviluppo di versamento pleurico Fattori di rischio per lo sviluppo di versamento pleurico durante il ricovero in UTI sono: l’età avanzata, l’ipoalbuminemia, una lunga degenza e una prolungata ventilazione meccanica.

2.4.1.4 - CLINICA

I sintomi e i segni apprezzabili in corso di versamento pleurico dipendono dalla patologia di base.

In generale, in relazione all’ entità del versamento, si descrivono i seguenti sintomi e segni: dispnea, dolore toracico, cianosi, anemia e febbre. Inoltre, all’ esame obbiettivo dell’ambito toracico coinvolto è possibile riscontrare: Fremito Vocale Tattile ridotto, rumori respiratori ridotti, soffio pleurico, ottusità plessica.

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22 2.4.1.5 - DIAGNOSI

La diagnosi di versamento pleurico può risultare difficile nei pazienti critici ricoverati in UTI a causa della presenza di cateteri, drenaggi, medicazioni e della frequente scarsa cooperazione del paziente.

La valutazione clinica del paziente con sospetto versamento pleurico permette di confermare la diagnosi soltanto quando il versamento è di dimensioni rilevanti (>300 mL). Oltre ad essere un indagine scarsamente sensibile, risulta di difficile esecuzione nel paziente critico a causa della posizione, delle medicazioni e della presenza di presidi terapeutici che ostacolano l’esame obbiettivo.

L’ RX del torace è frequentemente eseguibile soltanto in proiezione antero-posteriore, a causa della posizione supina o semi-seduta assunta dal paziente ricoverato in Terapia Intensiva. Ciò incide negativamente sulla sensibilità e la specificità di tale strumento diagnostico. Quando la radiografia del torace riesce ad individuare il versamento pleurico l’immagine caratteristica è rappresentata da un’ area iper-densa localizzata nelle regioni inferiori del polmone, che tende ad estendersi cranialmente man mano che il versamento aumenta in volume.

La TC e la RMN sono sicuramente fra gli strumenti diagnostici più sensibili e specifici. Oltre ad innumerevoli e indubbi vantaggi presentano però tutta una serie di svantaggi che ne limitano l’utilizzo ad una minoranza di casi.

Infine, l’Ecografia del Torace, come descritto nei capitoli che seguono (Capitolo 2.7), rappresenta oggi uno strumento diagnostico vantaggiosissimo, sia per la diagnosi che per il management terapeutico del paziente critico con versamento pleurico sospetto o accertato. In questa sede l’ecografia polmonare sarà solamente accennata, per approfondimenti si rimanda al capitolo 2.7.

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In casi selezionati, a completamento dell’inquadramento diagnostico del paziente con versamento pleurico, è opportuno eseguire una Toracentesi e l’analisi del liquido prelevato. Ciò risulta importante per definire in maniera più accurata il motivo eziopatogenetico del quadro clinico osservato.

2.4.1.6 - CENNI DI TERAPIA

In caso di versamento pleurico scarso si evita la Toracentesi, concentrando gli sforzi terapeutici verso la causa che lo ha determinato.

In caso di versamento trasudatizio da insufficienza cardiaca i presidi terapeutici fondamentali sono l’ossigenoterapia e i diuretici. In caso di versamento complicante un quadro di polmonite batterica sono necessari gli antibiotici, in particolare, se la polmonite è tipica, Penicilline e Cefalosporine.

I versamenti pleurici massivi richiedono la Toracentesi o il posizionamento di un drenaggio toracico.

2.4.2 - CONSOLIDAMENTI ALVEOLARI

Un consolidamento alveolare rappresenta una regione di parenchima polmonare, normalmente comprimibile e piena d’ aria, che si è riempita di fluidi.

I consolidamenti alveolari sono segni radiologici le cui cause possono essere ricondotte a diverse condizioni patologiche, non costituiscono quindi entità nosologiche indipendenti. Considerando i motivi eziopatogenetici che più frequentemente determinano la formazione di consolidamenti alveolari nel paziente critico, verranno trattate le seguenti condizioni patologiche:

• POLMONITI ASSOCIATE A VENTILAZIONE MECCANICA • ATELETTASIE

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24 2.4.2.1 - POLMONITI ASSOCIATE A VENTILAZIONE MECCANICA1 4

Definizione ed Epidemiologia

Le polmoniti nosocomiali [“Hospital-Acquired Pneumonia” (HAP)] sono definite come polmoniti che insorgono almeno 48 ore dopo il ricovero.

Le “Ventilator-Associated Pneumonia” (VAP), o polmoniti associate alla ventilazione meccanica, possono essere definite come polmoniti che insorgono almeno 48/72 ore dopo intubazione tracheale.

Le VAP rappresentano un importante sub-set di HAP che è osservabile in UTI, la prevalenza varia fra il 10 e il 20% nei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva che necessitano di ventilazione meccanica per più di 48 ore. Inoltre, circa il 90% delle HAP si sviluppa in UTI, in pazienti intubati e ventilati meccanicamente.

Eziologia

Le specie patogene che più frequentemente determinano lo sviluppo di HAP, quindi di VAP, sono:

• BACILLI GRAM+: Pseudomonas Aer., E. Coli, Klebsiella P., Enterobacter, Acinetobacter • COCCHI GRAM+: Staphylococcus Aureus, inclusi ceppi Meticillina-resistenti (MRSA),

Streptococcus spp.

I fattori di rischio del’ ospite e gli agenti eziologici sono elementi strettamente interconnessi, è possibile elencare una serie di fattori di rischio per i diversi pattern eziologici di HAP, ad esempio:

• FATTORI DI RISCHIO PER VAP MULTIDRUG-RESISTANT (MDR): • Shock Settico;

• ARDS prima dell’insorgenza di VAP;

• Terapia Antibiotica Intravenosa entro 90 giorni dall’ insorgenza di VAP; • Ospedalizzazione > di 5 giorni;

• Terapia Sostitutiva Renale per Danno Renale Acuto. • FATTORI DI RISCHIO PER HAP MDR E PER VAP/HAP MRSA:

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Clinica

I sintomi possono includere: tosse, espettorazione, febbre, dolore toracico e dispnea. Fra i segni si annoverano tachipnea, rumori discontinui e aree di ottusità plessica che radiologicamente ed ecograficamente corrispondono alle aeree di consolidamento alveolare.

Diagnosi

La diagnosi si basa sulla presenza di infiltrati polmonari di nuova insorgenza (rintracciati mediante indagini strumentali) riconducibili clinicamente ad un processo di natura infettiva.

L’ indagine strumentale di scelta per porre diagnosi di HAP, ma in generale di polmonite, è l’RX del torace. Quest’ ultima è la metodica di riferimento ed il segno radiologico tipico è costituito da aeree iper-dense più o meno estese e più o meno localizzate.

L’ Ecografia Toracica inoltre, in particolare nei reparti di Terapia Intensiva, si è dimostrata strumento utilissimo per la diagnosi e la gestione terapeutica di HAP, in questa sede tale tematica non sarà approfondita ulteriormente, si rimanda per una descrizione dettagliata al capitolo dedicato (2.7).

L’ indagine microbiologica completa il processo diagnostico attraverso l’identificazione dell’agente eziologico e l’esecuzione dell’antibiogramma.

Cenni di Terapia

La terapia si basa sulla somministrazione di Antibiotici. Esistono diversi schemi terapeutici, essi sono stati ideati pensando alla variabile natura eziologica del processo patologico e ai vari fattori di rischio che i pazienti possono presentare. Ulteriori approfondimenti su questa tematica esulano dallo scopo di questo lavoro, si rimanda quindi alla letteratura specifica per dettagli aggiuntivi.

Il management terapeutico e il monitoraggio strumentale del paziente affetto da HAP si è, fino ad oggi, basato sulla clinica, le indagini laboratoristiche e sull’ RX del torace. L’ ecografia polmonare però, sempre più prepotentemente, si sta imponendo come metodica

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utilizzabile nella diagnosi, nel monitoraggio strumentale e nella gestione terapeutica di questi pazienti, in particolare di quelli ricoverati in UTI. Le ragioni di ciò sono da ricercare negli innumerevoli vantaggi che tale strumento diagnostico possiede rispetto alle indagini convenzionali, si rimanda al capitolo 2.7 per la trattazione approfondita di questa tematica.

2.4.2.2 - ATELETTASIE15

Definizione

L’ atelettasia polmonare è una condizione patologica piuttosto frequente fra i pazienti ricoverati in UTI, essa corrisponde all’ assenza di aria negli alveoli della porzione d’ organo interessato, cui consegue la diminuzione dei volumi aerei contenuti e il consolidamento del parenchima a causa del collasso del tessuto stesso.

Eziopatogenesi

Sulla base del motivo Eziopatogenetico che l’ha determinata, l’atelettasia può essere classificata in:

1. Ostruttiva

L’ ostruzione di un bronco determina l’impossibilità di ventilare la porzione di parenchima a valle dell’ostruzione stessa.

Possibili motivi eziologici di Atelettasia Ostruttiva sono: tumori, corpi estranei, TBC, tappi di muco, ecc...

2. Da Compressione

Versamento Pleurico o PNX determinano rispettivamente la presenza di liquidi o gas nello spazio pleurico, con conseguente compressione delle porzioni di parenchima adiacenti e sviluppo di atelettasia.

3. Da Trazione

L’ atelettasia da trazione è la conseguenza di processi fibrotici, generalmente cronici, che determinano l’impossibilità, per la porzione di polmone interessata, di espandersi.

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Clinica

Il quadro clinico è caratterizzato da dispnea e alle volte Tosse. Obbiettivamente è possibile osservare: ipofonesi timpanica alla percussione, aumento del fremito vocale tattile, riduzione dei rumori respiratori.

Diagnosi

La diagnosi di atelettasia è una diagnosi radiologica. L’ RX del torace è l’ esame di scelta, la TC del torace costituisce il gold standard, ma ovviamente viene riservata a casi selezionati. L’ ecografia polmonare infine, costituisce un valido strumento, in particolare in regime di ricovero in Terapia Intensiva, per la diagnosi e la gestione terapeutica delle atelettasie. Il pattern ecografico caratteristico, i vantaggi e le modalità d’ impiego di tale metodica verrà trattato in seguito, per cui si rimanda al capitolo 2.6.

2.4.3 - ACUTE LUNG INJURY (ALI) E ARDS16 2.4.3.1 - DEFINIZIONE

L’ “Acute Respiratory Distress Sindrome” (ARDS) è un processo patologico complesso che consegue allo sviluppo di un “Acute Lung Injury” (ALI), ovvero di un Danno Polmonare Acuto. Consiste in un danno diffuso dei capillari alveolari, cui consegue grave insufficienza respiratoria caratterizzata da Ipossiemia Arteriosa refrattaria alla somministrazione di O2. Secondo la definizione della “American-European Consensus Conference” (1994) è possibile parlare di ARDS quando sono verificati i seguenti 4 criteri:

1. Insorgenza Acuta

2. Ipossiemia (PaO2/FIO2 <200 mmHg)

3. Infiltrati bilaterali alla proiezione frontale dell’RX del torace;

4. “Wedge Pressure” inferiore a 18 se misurata o, in ogni caso, esclusione di Ipertensione Atriale Sinistra che possa spiegare il quadro clinico-radiologico

In presenza di PaO2/FIO2 <300 mmHg e degli altri criteri suddetti si parla di ALI.

Nel 2012 a Berlino la precedente definizione è stata modificata, al fine di precisare meglio i criteri di inclusione già presenti:

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1. Insorgenza entro una settimana da un danno clinico noto, o dalla comparsa di nuovi sintomi respiratori, o, infine, dal peggioramento di questi ultimi;

2. Opacità bilaterali all’RX o alla TC del Torace. Tali reperti non devono poter essere completamente attribuibili a Versamenti Pleurici, Collabimenti lobari o polmonari, o a Noduli polmonari;

3. Scompare il concetto di ALI, sulla base della gravità dell’Ipossiemia si classificano: • ARDS LIEVE→ PaO2/FIO2 tra 200 e 300 mmHg;

• ARDS MODERATO→ PaO2/FIO2 tra 100 e 200 mmHg; • ARDS GRAVE→ PaO2/FIO2 <100 mmHg

Il rapporto PaO2/FIO2 deve essere valutato in presenza di PEEP o C-PAP ≥ 5.

4 L’ edema e la conseguente Insufficienza Respiratoria non deve poter essere completamente attribuibile ad una Insufficienza Cardiaca o ad un Sovraccarico di Fluidi.

2.4.3.2 - EZIOLOGIA

Le condizioni predisponenti all’ insorgenza di ARDS sono numerose: • Inalazione Gas Tossici;

• Annegamento; • Infezioni;

• Overdose da Farmaci o Sostanze d’ Abuso; • Shock;

• Trauma (Ustioni, Contusione Polmonare, trauma Cranico); • Radiazioni;

• Complicanze Ostetriche; • Alterazioni Ematologiche; • Circolazione Extra-Corporea;

• Alterazioni Metaboliche (Pancreatite, Uremia ...)

La maggior parte delle condizioni sopracitate si presenta con maggiore frequenza, visto i fattori di rischio, nel paziente ricoverato in UTI, ciò rende conto di quanto sia importante saper diagnosticare, monitorare nel tempo e gestire da un punto di vista terapeutico e del supporto ventilatorio, un paziente di questo tipo.

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29 2.4.3.3 - CENNI DI FISIOPATOLOGIA

Qualunque sia la causa, nella fase Acuta il polmone si presenta diffusamente aumentato di consistenza, rossastro, congesto e pesante, con un danno alveolare diffuso, istologicamente caratterizzato da edema, membrane ialine e infiammazione acuta. Alla fase acuta segue la fase di Proliferazione e Organizzazione, compaiono aree confluenti di fibrosi interstiziale con proliferazione di Pneumociti tipo II.

Frequentemente il quadro si complica a causa di sovra-infezione, risultando spesso fatale.

2.4.3.4 - CLINICA

Inizialmente, da un punto di vista clinico, il paziente con ARDS mostra lievi segni di distress respiratorio caratterizzati da tachipnea, dispnea e aumentato fabbisogno di O2. Obbiettivamente, all’ auscultazione, possono essere rilevati rantoli sparsi.

Entro poche ore si sviluppa però Ipossiemia severa con Ipercapnia, fino ad un quadro di IR tipo 2.

L’ edema infiammatorio determina addensamenti diffusi bilaterali evidenti all’ RX del torace.

2.4.3.5 - DIAGNOSI

La diagnosi di ARDS viene posta, come deducibile dai criteri di definizione, sulla base del quadro clinico e radiologico.

Radiologicamente la fase precoce, essudativa, si caratterizza per aree iper-dense disposte bilateralmente ed irregolarmente. Corrisponde anatomo-patologicamente all’ edema interstiziale e alle membrane ialine. La disposizione geografica delle lesioni, insieme al risparmio lobulare e al consolidamento del lobo inferiore fungono da segni radiologici caratteristici.

Gli elementi radiologici caratteristici delle fasi successive di malattia (fase proliferativa e fibrotica) sono le bronchiolo-ectasie da trazione o le bronchiectasie, esse appaiono come aree di maggior attenuazione su scansioni TC ad alta risoluzione.

Infine, occorre citare l’Ecografia Polmonare. Quest’ ultima ha visto un aumento vertiginoso del suo impiego soltanto di recente, in particolar modo nelle Unità di Terapia Intensiva.

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Tale metodica non è ancora stata standardizzata a fini diagnostici per l’ARDS, l’ utilizzo nel monitoraggio e nella gestione terapeutica dei pazienti però, è, oggi, una pratica diffusa. Ecograficamente l’ARDS si configura come una Sindrome Alveolo-Interstiziale, per i dettagli e la trattazione dettagliata di questo tema si rimanda però al paragrafo dedicato del capitolo 2.7.

2.4.3.6 - CENNI DI TERAPIA

Il trattamento è generalmente una terapia di supporto, volta inoltre all’ eliminazione della causa sottostante che ha determinato lo sviluppo di ARDS.

La mortalità di questa condizione clinica è molto elevata, circa il 40%. Una lieve riduzione in termini di mortalità è possibile ottenerla con Volumi Tidali Bassi (inizialmente 6 mL/Kg) con una pressione di Plateau di 30 cmH2O o meno. Oltre a ridurre la mortalità, tale intervento sembra aumentare i giorni liberi da ventilazione meccanica.

2.4.4 - PNEUMOTORACE (PNX)17 2.4.4.1 - DEFINIZIONE

Lo Pneumotorace (PNX) si definisce come una raccolta d’ aria nello spazio pleurico.

2.4.4.2 - EPIDEMIOLOGIA

Lo PNX rappresenta un’evenienza molto comune nel paziente critico che necessita del ricovero in Terapia Intensiva. La prevalenza di PNX fra i pazienti ricoverati in UTI che richiedono ventilazione meccanica varia fra il 4 e il 15% e costituisce una delle più gravi complicanze della ventilazione a pressione positiva.

2.4.4.3 - EZIOPATOGENESI

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1. Una comunicazione fra lo spazio pleurico e lo spazio alveolare determinata dalla rottura della pleura viscerale;

2. Una comunicazione fra lo spazio pleurico e l’atmosfera creatasi per via iatrogena o traumatica;

3. Presenza di organismi gas-produttori nel contesto dello spazio pleurico. È possibile classificare lo PNX da un punto di vista eziologico in:

• PNX Spontaneo • PNX Non-Spontaneo

Gli PNX spontanei vengono definiti tali in assenza di fattori precipitanti noti. Riconosciamo comunque alcuni fattori di rischio:

• Somatotipo Ectomorfo;

• Storia di abitudine al fumo; → PNX Spontaneo Primario • Sesso maschile;

• Storia di malattia polmonare cronica;

• Fibrosi Cistica; → PNX Spontaneo Secondario • LInfoAngioLeioMiomatosi

Gli PNX non-spontanei vengono definiti tali quando si riconoscono fattori precipitanti. Sulla base della tipologia di fattore precipitante distinguiamo:

• PNX Traumatici; • PNX Iatrogeni.

Gli PNX Iatrogeni del paziente ricoverato in UTI sono più frequentemente la conseguenza di:

• Posizionamento di CVC; • Toracentesi;

• Biopsia polmonare trans-bronchiale; • Ventilazione a Pressione Positiva.

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32 2.4.4.4 - CLINICA

PNX Spontanei primari sono generalmente caratterizzati da una blanda sintomatologia che consiste in lieve Dispnea e Dolore Toracico.

PNX Spontanei Secondari, per definizione, si verificano in soggetti con malattie polmonari sottostanti, capaci di ridurre la riserva funzionale dell’organo. La sintomatologia quindi tende ad essere più grave rispetto allo PNX Primario Spontaneo. Ipossiemia, tachicardia, cianosi, ipercapnia fino al coma, accompagnano una dispnea grave, ingravescente e ad insorgenza Improvvisa. A ciò si aggiunge anche il dolore toracico che in questi casi può essere anche molto marcato.

All’ esame obbiettivo, in ogni caso, si riscontrano rumori respiratori ridotti a livello della regione coinvolta.

2.4.4.5 - DIAGNOSI

La diagnosi di PNX nel paziente critico può, talvolta, essere posta sulla base del semplice esame clinico. Tale metodica è però poco sensibile e poco specifica, oltre che incapace di definire con precisione l’estensione e la natura del quadro clinico.

L’ RX del torace rimane, tutt’oggi, la metodica di riferimento per la diagnosi di PNX.

L’ Ultrasonografia Toracica è uno strumento utilissimo ed è caratterizzato da numerosi e indubbi vantaggi; nel processo diagnostico dei disordini polmonari acuti del paziente critico più frequenti trova, oggi, largo impiego. Questo tema verrà trattato dettagliatamente al capitolo 2.7, si rimanda quindi a tale capitolo per approfondimenti.

Occorre infine citare la TC toracica. Tale metodica è sicuramente la più sensibile e la più specifica, oltre che la più precisa nella definizione delle dimensioni dello PNX. Tale strumento diagnostico è gravato però da una serie di svantaggi che nel limitano l’utilizzo soltanto a casi selezionati.

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33 2.4.4.6 - CENNI DI TERAPIA

Il trattamento dello PNX dipende da una serie di fattori. Esso può variare da una decompressione in regime di emergenza (PNX iperteso) ad un trattamento conservativo, passando per il posizionamento di un tubo (drenaggio) toracico.

La strategia di gestione dipende dalla gravità dei sintomi, dalla presenza di una malattia polmonare di base, dalla dimensione stimata dello PNX e in alcuni casi dalle volontà del paziente.

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34

2.5 - FISICA DEGLI ULTRASUONI ED ECOGRAFIA

2.5.1 - IL SUONO

Il suono è un fenomeno fisico che deriva dall’ interazione fra Energia e Materia, è energia meccanica trasmessa, sotto forma di onde di pressione, in un mezzo. In assenza di un mezzo (nel vuoto) le onde sonore non possono propagarsi e il suono non può esistere.

La sorgente sonora agisce come un pistone sul mezzo a contatto con essa, creando onde sonore caratterizzate da aree di compressione (ad alta densità) e da aree di rarefazione (a bassa densità).

18Gli ultrasuoni sono onde sonore caratterizzate da frequenze più elevate rispetto a quelle

percepibili dall’ orecchio umano. L’ultrasonografia diagnostica sfrutta frequenze superiori ai 2 MHz.

2.5.2 - LA SORGENTE SONORA

La produzione di un’onda sonora richiede una sorgente vibrante od oscillante. I moderni ecografi, utilizzati nella pratica clinica, sfruttano come sorgente ultrasonora un gruppo ordinato di cristalli piezoelettrici, più precisamente un amalgama di zirconato titanato di piombo.

L’ effetto piezoelettrico inverso consente a questo tipo di cristallo di entrare in vibrazione quando sottoposto a una differenza di potenziale, generando così l’onda ultrasonora. Al contrario, l’effetto piezoelettrico diretto, ovvero la conversione di energia meccanica in una differenza di potenziale, consente alla stessa sorgente di fungere anche da sensore. L’ eco di ritorno infatti (energia meccanica), viene convertito in una differenza di potenziale che dà origine ad un segnale elettrico sfruttato per ricreare le immagini ecografiche.

2.5.3 - CARATTERISTICHE DELL’ ONDA ACUSTICA

Ogni onda sonora è definita da una serie di variabili fisiche e caratterizzata da parametri acustici che descrivono come essa interagisce col mezzo in cui si propaga18.

(36)

35 2.5.3.1 - PERIODO (T) E FREQUENZA (F)

Il periodo è descritto come il tempo necessario all’ onda per compiere un ciclo compressione-rarefazione completo.

La frequenza è la funzione inversa del periodo, quindi il numero di cicli che avvengono nell’ unità di tempo (s).

2.5.3.2 - LUNGHEZZA D’ ONDA (Λ)

La distanza tra due picchi è definita Lunghezza d’ Onda (λ). Rappresenta un ciclo descritto nello spazio.

2.5.3.3 - VELOCITA’ DI PROPAGAZIONE

La velocità di un’onda sonora in un mezzo è descritta dalla relazione: V = f x λ. Essa rappresenta la distanza percorsa dall’ onda nell’ unità di tempo (ricorda che f = 1\T). La velocità di propagazione dipende esclusivamente dalle caratteristiche del mezzo, in particolare dalla Densità e dalla Stiffness (rigidità) del mezzo stesso. Più precisamente la velocità è direttamente proporzionale alla Stiffness e inversamente proporzionale alla Densità.

2.5.3.4 - AMPIEZZA

L’ ampiezza rappresenta la forza dell’onda misurata dalla linea zero al picco.

2.5.3.5 - POTENZA

La Potenza dell’onda è definita come l’energia (joules) generata per unità di tempo (s). È espressa in Watt.

2.5.3.6 - INTENSITA’

L’ intensità è definita come il rapporto fra la potenza dell’onda e l’area sulla quale incide. È descritta dalla relazione: INTENSITA’ (dB) = POTENZA (Watts) / AREA (m2). È un parametro importante in quanto direttamente correlato agli effetti biologici sui tessuti. A questo proposito è opportuno sottolineare come l’ecografia, con i mezzi di cui disponiamo oggi, sia uno strumento diagnostico assolutamente sicuro. Non sono mai stati registrati eventi avversi né per i pazienti, né per gli operatori.

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2.5.4 - L’ ATTENUAZIONE

L’ attenuazione può essere descritta come l’indebolimento dell’onda ultrasonora durante il suo viaggio all’ interno del mezzo.

Onde ad alta frequenza subiscono una maggiore attenuazione rispetto a quelle a bassa frequenza.

Differenti tipologie di tessuto hanno effetti diversi sull’ attenuazione dell’onda sonora. Matematicamente questo concetto è espresso dal Coefficiente di Attenuazione, tale parametro varia se prendiamo in considerazione l’acqua, i tessuti molli, il grasso etc... Esistono tre cause principali di attenuazione18:

1. Riflessione

Quando un’onda sonora interagisce con l’interfaccia di due mezzi distinti, caratterizzati quindi da una diversa impedenza acustica, parte di essa viene riflessa (onda riflessa), parte continua ad essere trasmessa nel mezzo (onda trasmessa), ovviamente con ampiezza, potenza e intensità diminuite.

L’ onda riflessa è quella sfruttata in diagnostica. Essa infatti ritorna verso la sonda che, per effetto piezoelettrico diretto, trasformerà quel segnale meccanico in una differenza di potenziale, quindi in un segnale elettrico sfruttato per creare le immagini.

2. Scatter

Il fenomeno dello Scatter consiste nella dispersione del suono in numerose direzioni. Ciò avviene, quando l’interfaccia fra i tessuti in cui l’onda sonora incide è minore della lunghezza d’ onda di quest’ ultima.

In generale la dispersione è proporzionale alla frequenza.

Strutture all’ interno di uno stesso tessuto possono disperdere in maniera diversa l’ultrasuono, giustificando la differente ecogenicità osservata (ad esempio un emangioma nel contesto epatico). Aree caratterizzate da maggior scattering appariranno iperecogene rispetto ad aree caratterizzate da un minor livello di dispersione.

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3. Assorbimento

L’ assorbimento consiste nella conversione dell’energia acustica in calore. Questa è la componente maggiore di attenuazione.

L’ aumento di calore prodotto nel corso di uno studio diagnostico standard è comunque irrilevante e non determina cambiamenti misurabili della temperatura dei tessuti coinvolti. L’ assorbimento è proporzionale alla frequenza e alla profondità di scansione.

2.5.5 - L’ ONDA PULSATA

Abbiamo, fino ad ora, descritto il suono come un'unica onda continua (sinusoidale) nel tempo. Un’ onda con queste caratteristiche però, non può essere sfruttata per ricreare immagini anatomiche. L’ ecografia diagnostica infatti, sfrutta brevi impulsi ultrasonori. Un impulso è costituito da un treno di onde sonore. La sorgente emette un impulso caratterizzato da una durata definita, quest’ ultima può essere descritta come il tempo che intercorre fra l’inizio e la fine dell’impulso stesso, ed è anche detta tempo di trasmissione. Tra gli impulsi, la sonda, che nel tempo di trasmissione si comportava da sorgente, funge da ricevitore, permettendo, attraverso effetto piezoelettrico diretto, la conversione degli echi di ritorno in segnali elettrici sfruttati per ricreare le immagini anatomiche.

Il tempo fra due impulsi successivi viene quindi detto tempo di ricezione.

Minore è la durata dell’impulso, quindi il tempo di trasmissione, maggiore sarà la possibilità di discriminare tra loro due oggetti (risoluzione).

2.5.6 - STRUMENTAZIONE

Al fine di comprendere la fisica degli ultrasuoni occorre descrivere sinteticamente la strumentazione di base di un moderno ecografo. Abbiamo infatti accennato al funzionamento della sonda e del trasduttore (il cristallo piezoelettrico), ma numerose altre componenti debbono essere descritte.

2.5.6.1 - TRASDUTTORE (O SONDA)

Il trasduttore è quella componente in grado di convertire un segnale elettrico in un segnale meccanico (onda acustica) e viceversa, agendo in pratica da rice-trasmittente.

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Il cristallo piezoelettrico rappresenta l’unità funzionalmente attiva della sonda. Le sonde di un comune ecografo sono dotate di numerosi piccoli cristalli organizzati in modo ottimale. I segnali elettrici ottenuti nella fase di ricezione sono dati grezzi, hanno bisogno di essere amplificati, filtrati, compensati, devono subire tutta una serie di complessi processi di raffinazione affinché possano essere utilizzati per ottenere le immagini e i dati ricercati. Questo processo inizia a livello della sonda e si completa nell’ elaboratore.

La sonda infatti è costituita da altre 6 componenti, che per quanto tecnicamente importanti, non meritano, in questa sede, ulteriori approfondimenti: il rivestimento protettivo (case), lo schermo elettrico, l’isolatore, il filo, lo strato di accoppiamento e il materiale smorzante.

Le sonde disponibili in commercio hanno una forma geometrica e caratteristiche tecniche differenti in base ai campi di applicazione: Convex, Micro-convex, Settoriale, Lineare,

Biplanare, Ecc..

Queste sono soltanto alcune delle sonde più frequentemente utilizzate nella pratica clinica. Sono caratterizzate da frequenza di trasmissione differente, geometria del fascio ultrasonoro differente e di conseguenza trovano applicazione in diverse tipologie di studio ecografico.

Approfondiremo nei capitoli successivi questo tema parlando dettagliatamente dell’ecografia diaframmatica e polmonare.

2.5.6.2 - ELABORATORE (COMPUTER)

L’ elaboratore ha il compito di processare ed organizzare i segnali elettrici formatesi nella fase di ricezione permettendo quindi la creazione delle immagini.

2.5.6.3 - DISPLAY

Il display è la componente che consente la visualizzazione delle immagini e dei dati ottenuti una volta che i segnali sono stati ricevuti, organizzati ed elaborati mediante le componenti sopra descritte.

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2.5.7 - LA RISOLUZIONE

La risoluzione può essere definita come la misura della capacità dell’ecografo di fornire immagini accurate.

Nel concetto di risoluzione sono insite molteplici caratteristiche, queste rendono conto della necessità di descrivere tre “tipologie” di risoluzione: Spaziale, Temporale e di Contrasto.

2.5.7.1 - RISOLUZIONE SPAZIALE

La risoluzione spaziale è definita come la misura della capacità dell’onda sonora di discriminare fra loro due oggetti spazialmente vicini. 18Questa può essere classificata a sua

volta in:

• Risoluzione Spaziale Assiale

La risoluzione spaziale assiale rappresenta la capacità di distinguere strutture diverse lungo l’asse principale del raggio. Impulsi brevi forniscono immagini migliori. Essi infatti saranno caratterizzati da piccola lunghezza d’ onda e una frequenza elevata.

• Risoluzione Spaziale Laterale

La risoluzione spaziale laterale rappresenta la capacità di distinguere strutture diverse poste lungo l’asse perpendicolare rispetto a quello del raggio.

2.5.7.2 - RISOLUZIONE TEMPORALE

La risoluzione temporale rappresenta il tempo necessario per la creazione dell’immagine. Equivale al numero di fotogrammi che possono essere creati nell’ unità di tempo (s) [Frame Rate].

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