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La giustizia internazionale da Norimberga ai tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e il Ruanda. La Corte Penale Internazionale

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STORIA E CIVILTÀ

Titolo della tesi

LA GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE DA NORIMBERGA AI TRIBUNALI AD HOC PER LA EX

JUGOSLAVIA E IL RUANDA. LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE

RELATORE Prof. Alessandro Polsi

CANDIDATO Alberto Cilli

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Indice Capitolo 1

Introduzione

1.1 I primi passi della giustizia internazionale 1.2 Un passaggio decisivo, la Corte Permanente

di Giustizia Internazionale.

Capitolo 2

2.1 Il processo di Norimberga 2.2 Il modello Norimberga

2.3 Uno sguardo critico

Capitolo 3

3.1 La guerra nella ex Jugoslavia

3.2 Il ruolo dei media

3.3 I crimini contro l’umanità

3.4 Il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia (ICTY) 3.5 Il processo contro i criminali di guerra

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Capitolo 4

4.1 Il genocidio del Ruanda

4.2 Il ruolo dei media

4.4 Il tribunale per il Ruanda (ICTR)

Capitolo 5

5.1 La Corte Penale Internazionale dell’Aia (ICC)

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La Giustizia Penale Internazionale da Norimberga ai tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e il Ruanda. La Corte Penale

Internazionale dell'Aia

Introduzione

Secondo la definizione di Pier Paolo Portinaro, la giustizia penale internazionale è l’insieme di norme e di istituzioni che regolano e organizzano la punizione degli individui responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale. Se da una parte la definizione, seppure in astratto, ha un contenuto ed un valore universale, dall’altra, nella sua concreta attuazione, presta il fianco a una serie di obbiezioni e di critiche.

“Nonostante il diffuso ottimismo di quelli che potremmo chiamare globalisti giudiziari, si può osservare che lo statuto istituzionale e normativo della giustizia penale internazionale resta incerto e controverso da numerosi punti di vista: fra gli altri, l’autonomia e imparzialità delle corti, in particolare delle procure generali, il rispetto dei diritti di habeas corpus degli imputati, la qualità delle pene inflitte ai condannati, la loro finalità e la loro efficacia preventiva”.1 Contravvenendo al principio di

universalità, il fatto cioè che la legge penale si applica a tutti i reati, ovunque e da chiunque commessi, l’occidente che ha vinto ha seppellito sotto cumuli di macerie il principio stesso di giustizia. È il caso della dottrina di Bush dell’autodifesa 1 Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori, Editori Laterza, 2006, p 142

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preventiva, (che Luca Baldissara2 definisce, se pur in maniera

dubitativa, un’edizione aggiornata al XXI secolo delle guerre coloniali ottocentesche) tra l’altro vietata dall’articolo 51 della Carta delle N.U.3, o ai bombardamenti sulla Serbia da parte della

NATO, che sancivano il “diritto” all’intervento umanitario, legittimando l’illegalità e alimentando l'idea, da parte del mondo subalterno, che la giustizia internazionale, o, come la definisce Danilo Zolo, cosmopolitismo giuridico, sia parte di un più complesso sistema di potere secondo il quale si dovrebbe «prendere immediato congedo dal sistema degli Stati sovrani che si è affermato in Europa con la pace di Westfalia (1648)» e «al posto del “modello di Westfalia4” […] dar vita e legittimità

formale a una nuova gerarchia di potere internazionale, a qualcosa come una moderna Cosmopolis nella quale sia i rapporti interstatali, sia i rapporti fra gli Stati e i loro cittadini siano sottoposti al controllo e al potere di intervento di un “governo mondiale”5».

La repressione dei crimini internazionali può essere opera di 2 Cit. Baldissara e Pezzino, Giudicare e punire, l'ancora del mediterraneo, 2005,

3 Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. 4 Con il trattato di Vestfalia si inaugurò un nuovo ordine internazionale, un sistema in cui gli Stati si

riconoscono tra loro proprio e solo in quanto Stati, al di là della fede dei vari sovrani. Assume dunque importanza il concetto di sovranità dello stato e nasce una comunità internazionale più vicina a come la si intende oggi. Fonte: wikipedia

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tribunali interni oppure di tribunali internazionali. Fino alla fine della II Guerra Mondiale, i crimini internazionali venivano puniti dai tribunali interni e di regola si trattava della repressione, ad opera del belligerante, di crimini di guerra che l’avversario aveva commesso nei confronti delle sue forze armate o della popolazione civile.

Dopo la II Guerra Mondiale, le potenze vincitrici istituirono i Tribunali di Norimberga e di Tokyo al fine di processare i criminali tedeschi e giapponesi. Esaurita la funzione di questi due tribunali, un prodromo dei tribunali internazionali è individuabile nella Convenzione per la repressione del genocidio del 19486 e in

quella per la repressione del crimine di apartheid del 19737. Tali 6 La Convenzione stabilisce che il genocidio è atto vietato dal Diritto internazionale,

con la conseguenza che la sua perpetrazione può far scaturire sia la responsabilità internazionale dello Stato, sia la responsabilità penale degli individui autori di atti di genocidio o in qualche modo coinvolti in essi. Tale responsabilità penale si determina anzitutto all’interno degli ordinamenti degli Stati contraenti; ma può anche sorgere nel quadro dell’ordinamento internazionale.

Il principale merito della Convenzione è quello di aver formulato per la prima volta una definizione precisa degli atti di genocidio proibiti. Più specificamente, la Convenzione individua tre elementi:

• il compimento di uno dei vari atti criminosi da essa specificati (l’uccisione di membri di un gruppo, l’adozione di misure miranti ad impedire nascite all’interno del gruppo, etc.);

• il compimento di tali atti contro un gruppo «nazionale, etnico, razziale o religioso»;

• la presenza di un dolo aggravato, e cioè «l’intenzione di distruggere in tutto o in parte» un gruppo appartenente ad una di queste quattro categorie protette.

Non rientrano invece nel concetto di genocidio né lo sterminio di gruppi politici, né il cd. "genocidioculturale", ossia la distruzione della cultura di un gruppo umano. La necessità di escludere il genocidio politico fu insistentemente sostenuta dall’Unione Sovietica, la quale rilevò non solo che i gruppi in questione non presentano caratteristiche stabili e permanenti, ma anche che vi era il rischio di una intromissione delle Nazioni Unite o di Stati terzi nella lotta politica interna. Anche la proposta di includere nella definizione il genocidio culturale fu respinto, soprattutto perché fu ritenuta troppo vaga e perché si temeva una interferenza negli affari interni degli Stati. Fonte Wikipedia

7 Il testo è stato adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 3068 (XXVIII) del 30 novembre 1973, ed è entrato in vigore il 18 luglio 1976, ai sensi dell’art. 10.

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convenzioni prevedevano la possibilità di far reprimere i crimini di genocidio e di apartheid da una corte penale internazionale la cui istituzione appariva però in quel periodo ancora un’ipotesi quantomai remota.

Questa lunga fase si conclude, come vedremo, con la creazione del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia -ICTJ) e del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (International Criminal Tribunal for Rwanda - ICTR) istituiti, rispettivamente, con le risoluzioni 827-1993 e 995-1994 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Le due risoluzioni, essendo state adottate nel quadro del Capitolo VII8 della Carta delle Nazioni Unite, sono obbligatorie

per gli Stati membri, con la conseguenza che la giurisdizione dei due tribunali non deve essere ratificata dagli Stati. Pertanto si è preferito procedere con il meccanismo delle risoluzioni del Consiglio, poiché una convenzione9 avrebbe comportato tempi

lunghi e incerti per la negoziazione e l’entrata in vigore, essendo 8 Vedi allegato 5, p. 122

9 La ratifica è una delle quattro fasi che compongono il procedimento normale o solenne, necessario per stipulare i trattati. Tale procedimento comincia con la fase dei negoziati, cui seguono la firma o parafatura, che non vincolano ancora lo Stato ma si limitano a garantire l'autenticità del testo firmato e approvato dai plenipotenziari; vi è poi la ratifica, che avviene con diversi procedimenti interni e lo scambio delle ratifiche, che consente agli Stati contraenti di conoscere gli esiti del processo di adesione al trattato delle controparti. Inoltre, affinché l'applicazione dei trattati possa essere invocata dinanzi agli organi delle Nazioni Unite, è necessaria la registrazione presso il Segretariato delle Nazioni Unite. Nell'ordinamento giuridico italiano la ratifica avviene tramite un atto presidenziale che, in alcuni casi, deve essere autorizzato con legge del parlamento. Non bisogna dimenticare, però, che ogni atto presidenziale, ex. art. 89 della Costituzione italiana, richiede, ai fini della sua validità formale, la controfirma ministeriale. Da ciò si deduce chiaramente che la competenza a ratificare non è sostanzialmente del Presidente della repubblica, ma è invece del Potere Esecutivo che, in base al Ministro competente, propone al Presidente la ratifica dei vari trattati. Fonte wikipedia

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necessaria la ratifica di un certo numero di Stati.

Completamente diverso è stato il percorso per la creazione della Corte Penale Internazionale. È stata negoziata una convenzione internazionale, aperta alla firma a Roma il 17 luglio 1998 ed entrata in vigore il 1° luglio 2002.

All’esperienza della Corte Penale Internazionale occorre aggiungere quella dei cosiddetti Tribunali “ibridi”. Si tratta di tribunali interni, dove siedono però anche giudici internazionali in virtù di una convenzione stipulata tra lo Stato sede del tribunale e le Nazioni Unite o in virtù di altri atti internazionali. Tali tribunali sono in funzione in Sierra Leone, Cambogia, Kosovo e Timor Est. Il tribunale che ha processato Saddam Hussein (Tribunale Speciale Iracheno per i crimini contro l’umanità, istituito il 10 dicembre 2003)10 è difficilmente

ascrivibile a tale categoria, sia perché è stato creato dall’autorità occupante (la Coalition Provisional Authority) sia perché l’integrazione di giudici non iracheni è solo eventuale.

10 In base ad un accordo istituito il 10 dicembre 2003 tra la Forza di coalizione (a guida anglo-statunitense) e il governo provvisorio iracheno è stato approvato lo Statuto del Tribunale Speciale iracheno (TSI). Il Tribunale è competente, quale organo giudiziario indipendente, a giudicare i responsabili di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e altre gravi violazioni delle leggi irachene, compiuti dal 17 luglio 1968 al 1 maggio 2003, nel territorio iracheno e fuori, avvenuti durante la guerra Iran-Iraq e durante l’occupazione del Kuwait da parte dell’Iraq. La giurisdizione della Corte riguarderà anche i crimini compiuti dal regime di Saddam Hussein contro cittadini iracheni (dissidenti), indipendentemente che tali reati siano avvenuti in tempo di guerra o di pace. Il Tribunale è composto dalle Camere di prima istanza, da quella di Appello, dall’uffico della Procura e dalla Cancelleria. Le Sezioni di primo grado sono composte da cinque giudici; quella di Appello da nove. Il Presidente della Camera d’Appello è anche Presidente del Tribunale: il curdo Zarkar Mohamed Amin, primo presidente della Corte, si è dimesso nel gennaio 2006 ed è stato sostituito dal curdo Rauf Rashid Abdel Rahman. La sede del Tribunale è a Baghdad. La lingua ufficiale del Tribunale è l’arabo. I giudici del Tribunale sono tutti iracheni, purchè non ex-militanti del partito Baath (art. 33 dello Statuto). Ai processi, comunque, possono prendere parte, in qualità di osservatori, anche giudici internazionali. Fonte: http://www.conflittidimenticati.it/cd/a/14359.html

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Cap.1 1.1 I primi passi

Il pacifismo settecentesco, influenzato dalla sempre più influente opinione pubblica e da un fervido confronto intellettuale, aveva, seppure con ingenuo ottimismo, mostrato una forte opposizione alla guerra, che fino ad allora era stata l’unica modalità di risoluzione dei contrasti tra stati. Per la prima volta, tra gli anni settanta e ottanta del Settecento, al centro del dibattito intellettuale si impose con forza il valore, intrinseco all’Illuminismo, della pace. Si avvertiva il bisogno di trasformare questa visione rivoluzionaria in qualcosa di concreto, istituzioni sovranazionali e organismi in grado di regolare le relazioni tra stati e assoggettarle al diritto. È sempre nel Settecento che i diritti umani sono divenuti, come sostiene Norberto Bobbio, “diritti storici”, nati in un contesto di lotte e rivendicazioni11. Non è

questa la sede adatta per ripercorrere le tappe che hanno portato all’improvvisa cristallizzazione del dibattito sui diritti umani proprio alla fine del XVIII Secolo, basta ricordare che “il ruolo centrale della legge è presente fin dai tempi più antichi. Il Codice di Hammurabi, il re babilonese morto nel 1750 a. C., è considerato da molti il primo esempio ove è possibile rintracciare delle norme per il comportamento dei governanti fondate su più vasti principi di giustizia”12.

11 Cit. Bobbio, L'età dei diritti, Einaudi, 1997

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Sono opere come Dei Delitti e delle Pene di Cesare Beccaria a scuotere il mondo della giustizia e dell’organizzazione penale, ancora dominata da una cultura il cui unico strumento di dissuasione contro il crimine è l’arbitrio, la repressione violenta e barbarica.

L’habeas corpus13, la garanzia da arresti arbitrari e quella di

essere giudicati da un tribunale di pari e in base a leggi certe, è ancora inapplicato e disatteso perfino nel paese, l’Inghilterra, che l’ha introdotto. Ma le nuove idee si diffondono rapidamente, contribuendo alla concretizzazione giuridica di diritti considerati ormai inalienabili, naturali. Figure come quella di Jeremy Bentham, fautore dei diritti delle donne, dell’abolizione della schiavitù e delle punizioni corporali per i bambini, della fine della discriminazione per gli omosessuali, sono il simbolo lungimirante e visionario di un’epoca gravida di cambiamenti. Ed è proprio in questo contesto di idee in evoluzione che avviene il cruciale cambio della guardia tra la locuzione “diritti naturali” a quella di “diritti dell’umanità” o “diritti dell’uomo”. I diciassette articoli che compongono la Déclaration des Droits de l’Homme

13 Habeas Corpus Rescritto (writ) del diritto inglese, emesso già nel 12° sec.: consiste in un atto, rilasciato dalla giurisdizione competente, con cui si ingiunge a chi detiene un prigioniero di dichiarare in qual giorno e per quale causa sia stato arrestato (onde il nome, in latino «abbi il [tuo] corpo», cioè, ti sia ridata la libertà fisica). Fu richiamato in vigore nella Petition of Rights del 1627, mentre nel 1679 fu promulgato l’Habeas Corpus Act, che sanciva ancora il principio dell’inviolabilità personale e ne regola tuttora le guarentigie: in virtù di questo atto, l’imputato deve conoscere la causa del suo arresto ed è tradotto davanti al magistrato competente che deve immediatamente pronunciarsi sulla sua messa in libertà, ove egli possa fornire cauzione di tornare in giudizio. L’Act del 1816 estese la garanzia dell’h. alle detenzioni per cause civili e diede ai giudici competenza sulla verità del rapporto. Per eccezionali ragioni di ordine pubblico, l’h. può essere per legge temporaneamente sospeso come avvenne, per es., nel periodo 1794-1801. Con riferimento generico all’istituto del diritto inglese, la locuzione è usata per indicare le garanzie delle libertà personali del cittadino assicurate costituzionalmente (il principio è sancito dall’art. 13 della Costituzione italiana). http://www.treccani.it

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et du Citoyen14, ratificata dall’Assemblea della Francia

rivoluzionaria, condensavano i principi e i valori che la nuova cultura aveva fatto emergere e contribuito a diffondere.

La pubblicazione dell’opera kantiana Per la Pace Perpetua (1796), fu l’apice di questo dibattito. Kant prefigurò, con estrema lungimiranza, la costruzione di una confederazione di stati sovrani e indipendenti vincolati da un patto volontario con l’obiettivo comune di risolvere in maniera pacifica i conflitti. Kant è il primo pensatore che delinea un legame fra ordinamento interno degli stati e relazioni internazionali.

L’opera kantiana diede l’avvio a un vero e proprio genere letterario, preceduto dal prezioso contributo di Rousseau e l’Abbé de Saint-Pierre che scrisse il noto saggio Projet pour rendre la paix perpétuelle en Europe (1713).

Alla base di questo dibattito stava dunque l’idea della creazione di un’unione, di una società di stati europei fondata sugli arbitrati perpetui. Due tra i maggiori pensatori del Settecento, Condorcet e Jeremy Bentham, intervennero, seppure con sensibilità diverse, nel dibattito. Il primo con la pubblicazione del libro De l’Influence de la Révolution d’Amérique sur l’Europe (1786) propose la “creazione di un

14 La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 (Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen) è un testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione francese, contenente una solenne elencazione di diritti fondamentali dell'individuo e del cittadino. È stata emanata il 26 agosto del 1789, basandosi sulla Dichiarazione d'indipendenza americana. Tale documento ha ispirato numerose carte costituzionali e il suo contenuto ha rappresentato uno dei più alti riconoscimenti della libertà e dignità umana. Fonte wikipedia

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tribunale internazionale in grado di giudicare relativamente a una serie ben definita di cause politiche-diplomatiche, i conflitti interstatali a nome di tutte le nazioni. Gli stati avrebbero potuto dare corso alla sentenza emanata dal tribunale o ricorrere al giudizio della forza”.15 Il secondo, nel suo Plan for an Universal

and Perpetual Peace (scritto nel 1789 ma pubblicato postumo), propose l’istituzione di una corte internazionale in grado di regolare le controversie tra stati all’interno di un quadro, quantomai utopico, di completo disarmo a cui avrebbe dovuto seguire lo smantellamento degli imperi coloniali.

Il dibattito ebbe nuovo impulso nell’Ottocento, influenzato dalle teorie dei quaccheri William Penn e John Bellers, che individuarono, come elemento imprescindibile per una futura istituzione sovranazionale di sicurezza collettiva, la parziale cessione di sovranità da parte degli stati. In Europa si era avviata una discussione che aveva come paradigma la promozione di un processo istitutivo di un congresso europeo degli stati o di una federazione di stati che avesse come obiettivo la costituzione di un tribunale internazionale composto da giudici permanenti (nominati dagli stati membri della federazione). L’ipotesi di un Europa federale era ritenuta da molti pensatori una delle premesse per scongiurare le guerre. L’Ottocento, contrassegnato da conflitti sanguinosi (drammatico esempio, la guerra franco-prussiana -1870), mostrò quanto fosse prematura e illusoria l’idea

15 Leonida Tedoldi, Quale inizio, in Leonida Tedoldi, La giustizia internazionale, Carocci editore, 2012, p. 23

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di una pace perpetua.

“Così se da una parte i giuristi tentarono di cogliere i limiti profondi del sistema internazionale e di pensare il diritto internazionale, oltre lo spazio europeo, non come prodotto della volontà sovrana ma espressione di una coscienza dei popoli (europei), dall’altra non si pose in forte discussione lo jus ad bellum, cioè la legittimità del ricorso alla guerra, piuttosto si avviò un processo di codificazione dello jus in bello, cioè il modo di regolare lo scontro bellico”.16

L’idea dell’abolizione della guerra rimaneva confinata all’interno di un recinto ideologico, di una discussione puramente accademica e appare marginale, seppure importante, l’apporto dell’opinione pubblica e delle Peace Societies che negli anni ottanta dell’Ottocento entrano nella loro fase di massima espansione costruendo degli efficienti trasnational network, tanto che nel 1891 a Berna venne istituito l’International Peace Bureau che, in sintonia con il dibattito politico, si prefiggeva la nascita e l’istituzionalizzazione di una futura corte permanente di giustizia internazionale, non solo più di semplice arbitrato.

Il dibattito teorico sulla giustizia internazionale escludeva una larga parte del mondo, da sempre ritenuta inferiore e per questo priva di diritti, un peccato originale che mina alla base il concetto stesso di giustizia. Come potremmo definire altrimenti se non con il termine genocidio quello perpetrato dagli americani 16 Leonida Tedoldi, Quale inizio... cit, p. 25

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nei confronti delle cosiddette popolazioni native, crimine mai punito e giustificato dall’idea paradossale e del tutto di parte, che i popoli senza stato non hanno diritti sui territori in cui hanno da sempre vissuto. Da più parti, non senza ragione, quella dell’Occidente sarà con disprezzo definita la “giustizia dei vincitori”.

A diffondere le idee pacifiste contribuivano anche i Congressi Universali per la Pace (il primo ebbe luogo a Parigi nel 1889 a cui seguirono quello di Londra del 1890 e di Roma dove nacque il Bureau International de la Paix), ma l’iniziativa non era monopolio dei movimenti pacifisti.

Il progetto di un tribunale internazionale fu ripreso prima nel Congresso del 1891 e poi da un importante uomo politico inglese, Philip Stanhope, che sostenne la creazione di una corte arbitrale permanente e la contestuale nascita di un Consiglio europeo delle grandi potenze. Nonostante si ribadisse con assoluta decisione che la giustizia internazionale era appannaggio delle grandi potenze, si insinuava l’idea “di oltrepassare il confine politico segnato dall’avversione per la costituzione di un istituzione giudiziaria internazionale”.17 Nel 1895 una nuova

bozza di progetto di una corte internazionale di arbitrato fu presentata e proposta all’Unione Interparlamentare18. Composta 17 Leonida Tedoldi, Quale inizio... cit, p. 41

18 L’idea di un foro di discussione per i parlamentari di Paesi diversi viene avanzata da numerosi pacifisti ed esponenti politici già nel 1849, ma soltanto dopo 40 anni (nel 1889) un membro della Camera dei Comuni

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di 15 articoli prevedeva la creazione di un collegio di arbitri scelti dagli stati ma, come sostiene Leonida Tedoldi19, ci si

affidava alla buona volontà dei governi e non si poteva ricorrere alla sanzione come strumento di risoluzione dei conflitti interstatali. Affidarsi alla buona volontà degli stati, non poter ricorrere alle sanzioni rese questi progetti poco efficaci e velleitari. Ma al contempo il dibattito fu in grado di generare l’humus, la base su cui far nascere e sviluppare idee e progetti ancora più ambiziosi. Fu infatti nelle Conferenze Internazionali per la Pace dell’Aia del 1899 e del 1907 che per la prima volta trovarono spazio le prime prese di posizione su temi come la tutela dell’integrità e dignità degli individui da perseguire con politiche di limitazione della violenza bellica e di difesa delle vittime di guerra, introducendo norme che stabilivano trattamenti umanitari dei prigionieri e la protezione delle popolazioni civili.20

Gli interessi particolari delle varie potenze resero vane le

britannica, William Randal Cremer , e un senatore francese, Frédéric Passy, riescono a dare vita a quella che nel 1899 prenderà il nome di “Unione interparlamentare”. Il percorso di Cremer e Passy s'incrocia nel 1887, quando entrambi si fanno promotori di iniziative parlamentari volte ad impegnare i rispettivi Governi affinchè adottino mezzi pacifici per la soluzione delle controversie in ternazionali.Fin dall’inizio l’Unione interparlamentare si distingue per le sue attività in favore della pace e per il contributo alla creazione della Corte Permanente di Arbitrato dell’Aia e della Società delle Nazioni. Fonte:http://amministrazioneincammino.luiss.it/wpcontent/uploads/2010/04/16062_Amico_unioneinterparla mentare.pdf

19 Professore aggregato presso la facoltà di Scienze della formazione dell’università di Verona

20 Nel 1863 in risposta alla carneficina della battaglia di Solferino del 24 giugno del 1859 viene indetta a Ginevra una Conferenza Internazionale con l’adesione di 18 rappresentanti di 14 Paesi che firmeranno, il 29 ottobre dello stesso anno, la Prima Carta Fondamentale contenente dieci risoluzioni che definiscono le funzioni ed i mezzi dei Comitati di soccorso. Nasce così il Movimento Internazionale della Croce Rossa. Negli stessi anni fu codificato il codice Lieber chiamato così perché ne fu autore il giurista Francis Lieber, che recepiva orientamenti e prassi di conduzione ordinata delle ostilità secondo i principi della "guerra in forma" proclamati il secolo prima dal gius-internazionalista Vattel. Esso codifica in circa 150 articoli le norme del diritto consuetudinario che gli stati maggiori degli eserciti in epoca moderna tendevano ad adottare nell’intento di condurre le guerre secondo metodi razionali coerenti con i principi della civiltà alla quale appartenevano. (fonte Wikipedia)

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speranze di un eventuale futuro disarmo, ma si ottenne almeno l’istituzione di una Corte Permanente di Arbitrato21 (tutt’ora

esistente) delineata secondo lo schema redatto nel 1885 dal giurista belga Edouard Descamps.

Si tentava l’impossibile impresa di “umanizzare” la guerra imponendo codici etici di comportamento che nessun esercito avrebbe mai potuto rispettare. La ferocia della I Guerra Mondiale si incaricherà di dimostrare quanto fosse pura astrazione il concetto di “combattere la guerra”, e quanto fosse invece necessario stabilire regole per costruire la pace.

Tra le varie proposte presentate dalle potenze mondiali e scaturite dalle conferenze dell’Aia, vi fu quella di istituire una corte internazionale di giustizia composta da una lista di giudici nominati dalle potenze mondiali firmatarie e con una giurisdizione speciale con sede all’Aia. Si lasciava però la prerogativa delle funzioni arbitrali anche ai capi di stato.

21 Corte permanente di arbitrato (CPA) è un'organizzazione internazionale fondata nel 1899 per facilitare la risoluzione delle controversie fra stati. Ha sede a L'Aia, nel Palazzo della Pace, che ospita anche la Corte Internazionale di Giustizia e l'Accademia del Diritto Internazionale. La Corte ha di "permanente" un'esile struttura istituzionale, cioè un Ufficio internazionale di cancelleria, un Consiglio di amministrazione permanente, composto dagli agenti diplomatici degli Stati parti della Convenzione, accreditati in Olanda, e presieduto dal Ministro degli affari esteri olandese; un elenco di arbitrati designati dagli Stati parti della Convenzione dell'Aja e infine da un elenco di regole di procedura. La corte "non è un tribunale arbitrale precostituito bensì semplicemente un elenco di persone designate dagli Stati parte della convenzione, da cui gli Stati parte a una controversia possono scegliere gli arbitri investiti della soluzione e utilizzare l'assistenza di un segretariato". Fonte Wikipedia

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1.2 Un passaggio decisivo, la Corte Permanente di Giustizia Internazionale.

La Conferenza dell’Aia nel 1899 aveva sancito la nascita della Corte Permanente di Arbitrato, ma aveva aperte due importanti questioni: l’introduzione dell’obbligatorietà dell’arbitrato e il ricorso esclusivo alla Corte Permanente di Arbitrato. Due temi che ancora oggi sono dibattuti in merito alla giustizia penale internazionale.

Se la convenzione dell’Aia del 1907 codificò le principali leggi di guerra e servì come base normativa per la persecuzione dei reati, la comunità internazionale, accettò con estrema difficoltà i principi di responsabilità individuale delle violazioni del diritto internazionale riguardo ai crimini di guerra.

Il diritto internazionale aveva mostrato con tutta evidenza la sua idiosincrasia a qualsiasi forma di condanna dei rappresentanti politici nei casi di crimini di guerra. Un vero e proprio dogma che sanciva l’impunibilità dei colpevoli.22 Tra i giuristi e nella

comunità internazionale non c’era accordo nell’affermare che i mandanti ed esecutori dei crimini di guerra dovessero essere perseguiti mediante il giudizio di una corte. Esaminerò con più accuratezza, quando affronterò il processo di Norimberga e i tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e del Ruanda, quello che sembra essere uno dei temi principali e più discussi della

22 Nella conferenza dell’Aia per la prima volta fu usato il termine war crime in sostituzione di altre locuzioni come animadversio in hostes, infractions aux regles du droit international, crimes against the captor’s army or people, offences against the costume of war.

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giustizia penale internazionale.

La storiografia del Novecento ci racconta come sul fronte balcanico durante la I Guerra Mondiale si verificassero violenze inaudite nei confronti della popolazione civile, l’espulsione di massa degli ebrei dalle regioni occidentali della Russia e la deportazione degli armeni, da molti considerata parte di un’azione di vero e proprio genocidio.23

Uno dei casi più noti fu il tentativo, da parte di una commissione nominata dai paesi vincitori, di incriminare il Kaiser e gli alti rappresentanti dell’esercito ritenuti responsabili della guerra di aggressione, della violazione della neutralità del Belgio e del Lussemburgo e del mancato rispetto delle leggi belliche. Per la Commissione, tutte le persone appartenenti ai paesi nemici, indipendentemente dal rango, se colpevoli di aver offeso il diritto e le consuetudini belliche e le leggi dell’umanità, avrebbero dovuto essere sottoposte a procedimento penale.

“A giudicare i colpevoli sarebbe stato un istituendo tribunale internazionale. Il rapporto distingueva due possibili tipologie di reato: gli atti che avevano causato la guerra e ne avevano

23 Il termine genocidio non esisteva prima del 1944. Si tratta di un termine molto specifico, che fa riferimento a crimini violenti commessi contro i gruppi umani con l'intento di distruggere l'esistenza stessa del gruppo. Raphael Lemkin. un avvocato ebreo-polacco (1900-1959) cercò di descrivere la politica nazista di sterminio sistematico, compresa la distruzione degli ebrei d'Europa. Ha formato la parola genocidio, combinando geno-, dalla parola greca per la razza o tribù, con-cide, dalla parola latina per l'uccisione. Nel proporre questo nuovo termine, Lemkin aveva in mente "un piano coordinato di differenti azioni miranti alla distruzione dei fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, con l'obiettivo di annientare i gruppi stessi. http://www.ushmm.org/confront-genocide/defining-genocide (USHM-United States Holocaust Memorial Museum). Raphael Lemkin ha coniato questa parola in seguito all'impressione subita nell'apprendere le modalità dello sterminio degli Armeni.

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accompagnato l’inizio; le violazioni delle leggi e consuetudini belliche e delle leggi dell’umanità. Solo i "crimini di guerra" avrebbero dovuto essere oggetto di trattazione da parte del Tribunale. I primi invece configuravano un diverso genus di crimine: il "crimine della guerra", o meglio il "crimine della guerra di aggressione". Ma questo crimine, secondo la Commissione, aveva natura diversa rispetto agli altri, appartenendo alla sfera della morale piuttosto che a quella del diritto. Pur riconoscendo che la Germania aveva infranto i trattati di neutralità con Belgio e Lussemburgo e violato le frontiere di Francia e Serbia anteriormente alla dichiarazione di guerra, la Commissione formulò la seguente conclusione: “The acts which brought about the war should not be charged against their authors or made the subject of proceedings before a tribunal24”.

Il provvedimento immediato che veniva raccomandato era una “condanna formale” da parte della Conferenza degli atti che avevano portato all’inizio della guerra. Ma, in maniera del tutto incongruente rispetto alla conclusione, la Commissione raccomandava anche che venissero prese misure speciali come la creazione di commissioni d’inchiesta straordinarie per l’accertamento della responsabilità della guerra”.25

La I Guerra Mondiale, come ha rilevato George L. Mosse, fu “una diversa specie di guerra”: l’uso di gas asfissianti, dirigibili, aerei e sottomarini fece rapidamente della Grande 24 http://www.juragentium.org/topics/wlgo/cortona/it/pietropa.htm

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Guerra un episodio incomparabile con le guerre fino ad allora combattute. Il potenziale distruttivo dei nuovi strumenti bellici colpì profondamente la popolazione civile, la cui esposizione ai rischi della guerra era stata, seppur parzialmente, limitata nel corso dei secoli precedenti, e che adesso si scopriva particolarmente vulnerabile.

Ciò rese chiara alla comunità internazionale la necessità di definire un nuovo ordinamento internazionale che fosse in grado di intervenire e contrastare le guerre di aggressione26, anche se,

in senso strettamente giuridico, la guerra di aggressione non poteva essere considerata come contraria al diritto internazionale. Il nuovo clima politico postbellico venne influenzato dall’attivismo del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, che proponeva il superamento dell’equilibrio di potere (balance of power) con la nascita di una community of power, un vero e proprio cambio di paradigma politico-istituzionale per la cui attuazione era necessaria una organizzazione diretta dall’alto e legittimata dal consenso. Una visione, quella wilsoniana, fortemente impregnata di religiosità, che si poneva l’obiettivo di assicurare al mondo una pace perpetua, e sintetizzata nei celebri “quattordici punti” del suo discorso dell’8 gennaio 1917 davanti

26 La guerra di aggressione è considerato un vero e proprio crimine e fu sancito dall’articolo 227 del trattato di Versailles. L'art. 227 (vedi allegato 9, p. 19) del Trattato di pace tra le Potenze Alleate e Associate e la Germania, firmato a Versailles il 28 giugno 1919, prevedeva che l'ex Kaiser Guglielmo II Hohenzollern, il quale dopo la guerra si era rifugiato nei Paesi Bassi, fosse giudicato da un tribunale speciale per le sue responsabilità negli eventi che avevano condotto al conflitto mondiale e per violazioni del diritto bellico nella condotta delle ostilità. Fonte: http://www.prassi.cnr.it/prassi/content.html?id=1941

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al Senato degli Stati Uniti. Questi ultimi stabilivano sia principi a carattere generale (rinuncia alla diplomazia segreta, libertà dei mari, libertà di commercio, riduzione degli armamenti, emancipazione graduale dei popoli sotto dominio coloniale, creazione di una Società delle Nazioni), sia criteri diretti alla soluzione dei problemi politico-territoriali sollevati dal conflitto e ispirati ai principi di nazionalità e di autodeterminazione.

Sono i principi che caratterizzarono quella che fu definita la grande utopia borghese: la formazione cioè di un diritto internazionale fatto di trattati e regole generali condivisi; organismi di coordinamento permanente fra gli stati, che rispettino le individualità ma permettano comportamenti collettivi; organi di giurisdizione internazionale; come e se usare strumenti coercitivi internazionali, tema controverso che apriva un dibattito al cui centro stava l’idea se sia lecito fare la guerra per imporre la pace. La grande utopia che sembrò realizzarsi negli anni venti del Novecento con l’istituzione della Società delle Nazioni e della annessa Corte Permanente di Giustizia Internazionale, si eclissa con il sorgere dei nazionalismi degli anni Trenta, quando riemergono i discorsi, mai sopiti, sulla politica di potenza e inizia una riflessione molto problematica sul rapporto fra diritto internazionale e politica degli stati.

La Corte Permanente di Giustizia Internazionale, il cui statuto fu varato il 24 luglio del 1920 e posto in essere nel 1922, nasceva per giudicare i casi di crimini contro l’ordine pubblico

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internazionale e il diritto delle genti universale, che gli sarebbero stati sottoposti dall’assemblea plenaria della Società delle Nazioni o dal Consiglio della Società stessa (art. 3 dello statuto).27

L’ostilità degli stati ad accettare una giurisdizione internazionale fu alla base dell’art. 2 che stabiliva che la Corte dovesse rimanere separata dagli organi della Società nonostante la Società fosse incaricata di nominare i giudici. Un altro evidente fattore che incrinava l’autorità della Corte era l’art. 36 che prevedeva che gli stati potevano accettare la giurisdizione della Corte in maniera condizionata o limitata. Questa decisione fu il frutto di compromessi tra le grandi potenze, riluttanti alla giurisdizione obbligatoria, e i piccoli stati che invece si ritenevano più tutelati da una Corte che obbligatoriamente esercitasse la sua azione28.

27 L. Tedoldi, La Corte permanente di giustizia internazionale, in L. Tedoldi, La giustizia ,... cit. p. 79 28 Il principio della non ingerenza nella domestic jurisdiction nasce nel XIX secolo contro le tendenze

espansionistiche delle potenze europee e si giustifica con la necessità di proteggere la sovranità e la personalità internazionale degli Stati. Per domestic jurisdiction si intende una serie di materie che ricade nella esclusiva giurisdizione dello Stato, una nozione che ebbe una definizione più chiara ad opera della Corte Permanente di Giustizia Internazionale nel 1923: il dominio riservato comprende le materie nelle quali lo Stato è libero da obblighi internazionali di qualsiasi genere: esso ha quindi, secondo la definizione della Corte, un carattere relativo e storico. È relativo perché dipende dal numero di obblighi internazionali che derivano dal diritto consuetudinario e pattizio; ma dato che le consuetudini sono uguali per tutti gli Stati, la competenza domestica varia in funzione dei trattati stipulati dal singolo Stato. A confermare la relatività della competenza domestica, basta considerare che vi sono materie che tradizionalmente rientravano in essa e che oggi invece sono oggetto dell’attività delle Nazioni Unite: si tratta soprattutto del settore relativo a i diritti umani e all’autodeterminazione dei popoli. La domestic jurisdiction ha poi carattere storico perché, dipendendo da consuetudini e trattati, varia come conseguenza dell’evoluzione del diritto internazionale comune e pattizio. Nel diritto consuetudinario lo Stato non incontra nessun limite alla propria sovranità per quanto riguarda il rapporto con i propri cittadini, l’organizzazione di governo e l’uso del territorio. Oggi però lo Stato, con lo sviluppo della tutela dei diritti dell’uomo nel diritto internazionale comune, incontra delle limitazioni al suo potere nei confronti dei cittadini. Per quanto riguarda il diritto pattizio, mentre un tempo gli Stati erano restii a contrarre obblighi che ricadevano nella competenza domestica, oggi le norme pattizie stanno invadendo quasi tutti i settori: possiamo in fatti trovare accordi per collaborazioni economiche, sociali e culturali come l’Unione Europea, nella quale gli Stati membri affidano alla organizzazione materie

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La Corte era composta da 15 membri provenienti tutti dal mondo accademico e dalla magistratura ma nella realtà furono pochissimi i casi trattati: dal 1923 al 1945 la Corte prese in esame solo 65 procedimenti ed espresse 32 giudizi, 27 consulti e 137 ordini.

Il sogno utopico di un progresso giuridico dell’umanità, il tentativo a cavallo tra la politica e il diritto di punire i crimini di guerra, si era infranto di fronte agli innumerevoli fallimenti, e al rifiuto delle grandi potenze di sottostare alle regole della giustizia internazionale, vista come un ostacolo alle politiche di potenza.

originariamente appartenenti alla competenza domestica, come nel caso delle tariffe doganali. Fonte: http://www.educatt.it/collegi/archivio/QDL200403PATETTA.pdf

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Cap. 2

2.1 Il processo di Norimberga

Alla conferenza di Londra del 1943 i crimini contro la pace, nonostante un iniziale contrarietà degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, furono inclusi nello statuto e l’aggressione sarebbe diventata il supreme international crime. Lo statuto di Londra, identificava con assoluta evidenza le tre fondamentali categorie di crimine (crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità) e si definiva come scelta imprescindibile la via giudiziaria e un dispositivo di incriminazione che impedisse ai maggiori responsabili di sfuggire alla pena. Questa complessa e controversa preparazione tecnico-giuridica aveva stabilito i crimini: non restava che trovare i colpevoli. La grande svolta si ebbe con la decisione di sottoporre a giudizio non solo le violazioni del diritto di guerra, di cui erano responsabili i militari, ma anche le decisioni in materia di jus ad bellum, che chiamava in causa i vertici politici29. I 30 articoli dello Statuto del Tribunale

precisano la costituzione, la competenza, la procedura ed i poteri del tribunale, nonostante fosse stato chiamato ‘tribunale militare’, non lo si poteva identificare come una corte marziale, era invece un vero e proprio tribunale civile il cui ’unico militare era il Generale sovietico Nikitchenko. L‟autorità di un simile tribunale fu compromessa sul nascere dalla sua stessa composizione, caratterizzata dalla partecipazione dei soli giudici designati dalle

29 P.P. Portinaro, Il modello di Norimberga e la trasformazione del diritto internazionale, in L. Tedoldi, La giustizia internazionale, Carocci Editori, 2012, p. 112

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quattro potenze vincitrici. Non furono prese in considerazione le proposte di costituire un tribunale con giudici anche di paesi neutrali oltre che dei paesi vincitori. Il tribunale, infatti, aveva competenza sui crimini di guerra commessi dai nazisti ma non sui crimini commessi dalle stesse potenze vincitrici (il lancio delle bombe su Hiroshima e Nagasaki che furono, senza ombra di dubbio, dei crimini contro l‟umanità).

“Norimberga ha finito quindi per diventare un processo “politico” che si è risolto nella celebrazione dell'identità politica dei vincitori. Si è dunque lontani da quelle caratteristiche di imparzialità e neutralità che costituiscono o dovrebbero costituire le caratteristiche dei moderni processi, a partire dallo Stato liberale. Sovente il tribunale di Norimberga è stato accusato di aver mancato di generalità, nel senso di aver creato un diritto che è stato poi applicato soltanto dai vincitori sui vinti, benché anche tra i vincitori si trovassero persone colpevoli di aver commesso crimini altrettanto gravi di quelli nazisti. Tuttavia, la stessa lunghezza del processo, i 22 volumi di verbali ed i 20 volumi di allegati, sono lì a testimoniare lo scrupolo con cui tutte le questioni furono affrontate, gli interrogatori condotti e la difesa ascoltata”30.

Tempi e luoghi:

18 ottobre 1945 Udienza inaugurale con sede a Berlino

14 novembre 1945 Inizio vero e proprio del processo, sede 30 http://www.unipegaso.it/materiali/LMG-01/annoI/FilDir_DiDonato/Lezione_VIII.pdf

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spostata a Norimberga, prima nota come “città dei giocattoli”, poi trasformata nel fulcro delle cerimonie naziste

1° ottobre 1946 Termine del processo

I giudici:

I giudici del processo furono 8 in tutto, 4 titolari e 4 supplenti, rappresentanti delle diverse potenze vincitrici, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica.

Regno Unito: Lord Geoffrey Lawrence (Sir Norman Birkett, supplente)

USA: Francis Biddle (John Parker, supplente)

Francia: Henri Donnedieu de Vabres (Andrè Falco, supplente)

Urss : generale Nikicenko (colonnello Volckov, supplente)

Il pubblico ministero:

USA: Robert Jackson, ministro della giustizia sotto Roosevelt e giudice della corte suprema (2 avvocati generali, 2 colonnelli in carica e 16 sostituti)

Regno Unito: Sir David Maxwell-Fyfe, sostituito dopo le elezioni da Sir Hartley Shawcross (1 avvocato generale e 4 sostituti)

URSS: generale Roman Rudenko, consigliere di Stato (7 avvocati generali)

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Francia: Francois de Menthon, poi sostituito da Champetier de Ribes, presidente del Senato (2 procuratori aggiunti e 2 avvocati generali)

Gli imputati:

Gli imputati hanno rivestito le più alte cariche del governo nazista. Ma tra gli accusati a Norimberga ne mancano tre che, se non avessero preferito il suicidio, sarebbero di sicuro stati presenti. Essi sono Adolf Hitler stesso (suicida il 30 aprile 1945), Joseph Paul Goebbels (suicida il 1° maggio), Heinrich Himmler (Reichsführer delle SS, suicida il 23 maggio).

Gli imputati sottoposti a giudizio invece furono:

Hermann Göring, Rudolf Hess, Martin Bormann (non rintracciato) per il governo centrale;

Joachim von Ribbentrop, Franz von Papen, Constantin von Neurath per il corpo diplomatico;

Wilhelm Keitel, Alfred Jodl per l’esercito;

Erich Raeder, Karl Dönitz per la marina da guerra; Wilhel Frick per l’amministrazione;

Hjalmar Schacht, Walter Funk per l’economia e le finanze; Ernst Kaltenbrunner per la polizia;

Hans Frank, Alfred Rosenberg, Arthur Seyss-Inquart per i governi locali;

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Baldur von Shirach per la Hitler-Jugend;

Julius Streicher, Alfred Rosenberg, Hans Fritzsche per la propaganda;

Robert Ley, Albert Speer, Fritz Saukel per l’armamento e il lavoro obbligatorio;

Gustav Krupp per l’industria.

Le organizzazioni accusate:

il consiglio superiore del Reich la direzione del Partito Nazista le SS

le SD la Gestapo le SA

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I capi d’accusa:

1. Piano di cospirazione contro la pace per la conquista del potere in Germania e la successiva sopraffazione degli altri popoli.

2. Crimini contro la pace e atti di aggressione.

3. Crimini di guerra e violazione delle convenzioni (ad esempio Ginevra-Aia).

4. Crimini contro l’umanità

I dati: 2630 i documenti che presenta l’accusa;

240 le deposizioni e 300.000 le dichiarazioni di cui prende atto la corte;

27 avvocati, 54 assistenti, 67 segretari per la difesa;

24 chilometri di nastro magnetico e 7000 dischi su cui sono registrate tutte le parole del processo31.

La scelta degli imputati fu frutto di un accordo tra gli alleati. Dopo accese discussioni, si arrivò a redigere una lista che prevedeva esponenti dell’élite politica, militare ed economica, anche se tra gli industriali fu imputato il solo Krupp considerati colpevoli di gravi crimini contro l’Umanità.

Il processo di Norimberga, dal punto di vista della dottrina giuridica, come vedremo, presenta delle gravi anomalie e rimane, 31 http://coalova.itismajo.it/ebook/mostra/approfondimenti/at148bis.htm

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come sostiene Peter Maguire, un’enorme confusione ad avvolgere questi rivoluzionari processi32. Il processo di

Norimberga (in realtà i processi furono 13, ma a catalizzare l’attenzione fu quello ai gerarchi nazisti) svolse una funzione di ammonimento la cui valenza, però, ci appare oggi del tutto simbolica. È tuttavia indiscutibile che il lavoro svolto dal tribunale contribuì a definire il concetto di crimini contro l’umanità e delineò lo sviluppo della legislazione internazionale sui diritti dell’uomo, che nel 1948 diede luogo alla Dichiarazione universale dei diritti umani33 adottata nello stesso anno

dall’assemblea generale delle Nazioni Unite.

“Il processo di Norimberga fu comunque solo il primo di una lunga serie di processi contro i criminali di guerra nazisti, effettuati in diversi Stati che avevano subito l’occupazione nazista, contro politici, burocrati, funzionari dello stato, diversi gradi della macchina militare tedesca e affiliati e simpatizzanti nazisti di varie categorie che si erano macchiati o furono ritenuti corresponsabili di crimini e atrocità durante il conflitto. I processi si svolsero negli anni successivi alla fine della guerra e fino agli anni ’90; in questi tribunali, in linea di massima, sono state applicate le singole legislazioni degli stati aderenti alle convenzioni internazionali sui diritti umani che hanno effettuato i processi”34.

32 Peter Maguire, La contraddittoria lezione di Norimberga, in Luca Baldissara e Paolo Pezzino (a cura di), Giudicare e punire, l'Ancora del mediterraneo, 2005, P. 143

33 Vedi allegato 8, p. 152

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Uno dei più controversi e dibattuti fu il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, che, sfuggito al processo di Norimberga e poi all’estero grazie alla complicità attiva dell’organizzazione segreta ODESSA35 e considerato uno dei maggiori artefici dello

sterminio degli ebrei, fu scovato e catturato nel 1960 dal Mossad in Argentina (lo stesso Ben Gurion annunziò allo Knesset che Eichmann era stato trovato dal servizio segreto israeliano), portato in Israele, processato e condannato a morte.

Il processo ad Eichmann è la naturale conseguenza del modello giuridico di Norimberga? Può il diritto del vincitore o del più forte ergersi a diritto universale? Nel processo ad Eichmann i capisaldi della giustizia, cioè l’autonomia e l’imparzialità della corte, i diritti di habeas corpus, e più in generale i diritti soggettivi dell’imputato, la qualità delle pene, erano assenti. Ci sono tra l’altro evidenti similitudini con il caso di Saddam Hussein che nel 2006 fu giudicato e condannato a morte da un “tribunale dei vincitori”, nel silenzio assordante della comunità internazionale. Tutto ciò nonostante la Corte Penale Internazionale (ICC) fosse pienamente in funzione all’Aia dal 2002. Bisogna ricordare, ed è un fattore determinante, che nello statuto dell’ICC firmato a Roma nel 1999, non è prevista la pena di morte.

La gran parte dei procedimenti e delle condanne contro i

35 Con il termine ODESSA o, più precisamente, O.D.E.SS.A. (acr. ted. di Organisation Der Ehemaligen

SS-Angehörigen, Organizzazione degli ex-membri delle SS), ci si riferisce ad una rete di ex-gerarchi e

criminali nazisti fuggitivi, organizzata verso la fine della seconda guerra mondiale da un gruppo di ex-ufficiali delle SS con la collaborazione e l’aiuto di altri soggetti per consentire la fuga dei gerarchi nazisti principalmente in Americalatina. Fonte Wikipedia

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criminali nazisti è stata emanata da corti nazionali. In Italia, dal 1947 al 1951 si sono svolti diversi processi presso i tribunali competenti, come quello per la strage delle Fosse Ardeatine tenutosi a Roma nel 1948 contro Herbert Kappler e altri cinque militari tedeschi, e quello contro il maggiore delle SS Walter Reder a Bologna nel 1951 per la strage di Marzabotto.

Ecco alcuni esempi di condanne di tribunali italiani: Il 9 giugno 1999 il Tribunale Militare di Torino ha condannato in contumacia all’ergastolo l’ex SS-Hauptsturmführer Theodor Emil Saevecke per avere, in qualità di comandante della Sicherheitspolizei-SD in Milano, ideato, richiesto e materialmente organizzato l’esecuzione dei quindici partigiani fucilati in Piazzale Loreto il 10 agosto 1944; il 15 novembre 1999 il Tribunale militare di Torino ha inflitto la medesima pena all’ex SS-Obersturmbannführer Siegfried Engel, riconosciuto responsabile delle stragi della Benedicta (147 fucilati fra il 6 e l’11 aprile 1944), del passo del Turchino (59 fucilati il 19 maggio 1944), di Portofino (22 fucilati nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1944) e di Cravasco (20 fucilati il 23 marzo 1945); la Corte, presieduta dal dott. Giovanni Pagliarulo, ha riconosciuto l’allora giovanissimo graduato delle SS colpevole del reato di “concorso in violenza con omicidio contro privati nemici, aggravata e continuata” per nove dei quindici gravissimi capi d’imputazione ascrittigli e colpevole dell’assassinio di almeno 18 persone detenute nel lager di Bolzano.

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“Aspetto certamente non secondario è che i pochi imputati condannati dai tribunali italiani, ad eccezione proprio di Kappler e di Reder le cui vicende sono altrettanto emblematiche, possono tornare ben presto in libertà grazie a condoni straordinari delle pene. Fondamentali a questo scopo le pressioni esercitate dal Vaticano e dall’alleato tedesco”36.

Norimberga, quindi, come paradigma di una giustizia penale internazionale la cui evoluzione naturale sono l’ICC e i Tribunali ad hoc per l’ex Jugoslavia, il Ruanda, la Sierra Leone. Uno dei più significativi e autorevoli tentativi, almeno sul piano simbolico, di discussione critica sulla giustizia internazionale fu, nonostante non avesse una valenza giuridica, il Tribunale Russell, ribattezzato Tribunale Internazionale contro i Crimini di Guerra, nato per analizzare, in linea con i principi del Diritto Internazionale, la politica estera e l’intervento degli Stati Uniti in Vietnam. Fra i personaggi, tutti di grande spessore culturale, che hanno partecipato alla nascita del Tribunale possiamo citare l’organizzatore, Bertrand Russell, e Jean-Paul Sartre premio Nobel per la letteratura nel 1950 che lo ha presieduto. Le prime sessioni, svolte nel 1967, si celebrarono a Stoccolma e Copenaghen e ad essere sul banco degli imputati era la politica estera statunitense e la guerra nel Vietnam. A più di quaranta anni dalla sua nascita la fondazione Russell ha patrocinato la nascita di un Tribunale Russell sulla Palestina (TRP) “per esaminare le possibili deficienze, omissioni o complicità di Stati terzi o di 36 http://www.anpi.it/processi-ai-criminali-di-guerra-nazisti/

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organizzazioni internazionali che hanno dato luogo alla continua occupazione dei Territori Palestinesi e alla impunità complice di cui gode lo Stato di Israele”37. Il comitato di appoggio

internazionale conta più di 100 personalità come Boutros Boutros-Ghali, Mohammed Bedjaoui (ex presidente del Tribunale Internazionale di Giustizia), Noam Chomsky, Ken Loach (cineasta) o José Saramago. Il Tribunale nasce per denunciare i ripetuti, in disprezzo del diritto e delle risoluzioni stabiliti in ambito ONU, soprusi di Israele nei confronti del popolo Palestinese.

“A processo concluso, nel dicembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituì una Commissione per promuovere lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione38 che, nel 1950, produsse una dichiarazione

contenente i sette principi discendenti da Norimberga che stabiliva:

1) il principio della responsabilità personale;

2) il primato del Diritto Internazionale su quello nazionale;

3) il principio che nessuna immunità fosse concessa sulla base della teoria degli atti di sovranità;

4) che nessuna immunità fosse concessa sulla base di un ordine

37 http://asud.net/contro-il-crimine-del-silenzio-rinasce-il-tribunale-russell/

38 La Commissione del diritto internazionale è un organo sussidiario permanente delle Nazioni Unite. È stata istituita dall'Assemblea generale con la risoluzione del 21 novembre 1947 n. 174 (II), che ne ha approvato lo statuto, per promuovere «lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione. Ne fanno parte 34 membri, esperti di diritto internazionale, scelti dall'Assemblea generale. Fonte: wikipedia

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superiore;

5) il diritto ad avere un processo equo;

6) in che cosa consistessero i crimini contro la pace, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità;

7) che anche la complicità è un crimine di Diritto Internazionale”39.

Io non credo che ci sia alcuna differenza se chi si arrende dichiara di arrendersi confidando nella saggezza del vincitore, o nella sua moderazione, o nella sua misericordia. Tutte queste non sono che belle parole. Resta il fatto che il vincitore è il padrone assoluto.

Ugo Grozio, De jure belli ac pacis

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2.2 Il modello di Norimberga

A questo punto appare necessario definire il modello Norimberga, ripercorrendo brevemente le tappe fondamentali del processo di Norimberga, tenendo presente la sua importanza nell’evoluzione della giustizia penale internazionale e tracciando un quadro dei suoi limiti strutturali e funzionali.

Si tratta di mettere a fuoco, oltre ai temi dell’autonomia delle corti giudicanti e dei diritti degli imputati, anche la questione cruciale della qualità della giustizia praticata e della finalità delle pene40. Danilo Zolo definisce il modello

Norimberga non solo un precedente ma un autentico paradigma che si imporrà seguendo una linea di continuità che passa dalla stessa Norimberga fino Tokyo, all’Aia, a Baghdad.

I principi che hanno ispirato il processo di Norimberga daranno vita a un nuovo modello di giustizia penale internazionale che culminerà con l’istituzione della Corte Penale Internazionale (ICC), nata a Roma nel 1999, che si è costantemente richiamata, come a un precedente positivo, proprio ai “principi di Norimberga” e alla definizione dei crimini internazionali contenuta nello statuto di Londra del 194541.

Durante gli incontri della conferenza di Teheran (1943), della conferenza di Jalta (1945) e della conferenza di Potsdam (1945), le tre principali potenze del tempo di guerra, Stati Uniti, 40 D. Zolo, La giustizia ...cit, 2006, p.145

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Unione Sovietica e Regno Unito, si accordarono sul metodo per punire i responsabili dei crimini di guerra commessi durante la II Guerra Mondiale. Anche la Francia riuscì a guadagnarsi un posto all’interno del tribunale.

Come abbiamo già accennato, lo statuto del tribunale di Norimberga crea ex post una responsabilità penale individuale. Ma questo principio è in contrasto con il principio di legalità: nullum crimen, nulla poena sine lege42. I sostenitori del nuovo

paradigma rispondono a tale critica rifacendosi al Trattato Briand–Kellogg43, noto come trattato di rinuncia alla guerra o

Patto di Parigi, ratificato da nove stati tra cui l’Italia, la Germania e il Giappone e firmato nei mesi seguenti da altri 63 stati, stilato a Parigi il 27 agosto 1928 con il fine di eliminare la guerra quale strumento di politica internazionale. Tuttavia, nel trattato non vi è alcun riferimento alla responsabilità penale individuale. La

42 Il principio di irretroattività della legge penale incriminatrice è una conquista della civiltà di fronte alle invadenze arbitrarie dei poteri costituiti. L’elaborazione del principio di giustizia racchiuso nel brocardo Nullum Crimen, Nulla Poena Sine Lege Praevia, che mira alla salvaguardia delle libertà individuali e vieta di incriminare un comportamento che non è proibito dal diritto al momento della sua commissione, risale, nella sua prima esplicita formulazione normativa, alla Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che incarna le rivendicazioni dei rivoluzionari francesi, i quali reclamarono per tutti gli individui, in primo luogo, sicurezza e autonomia dal potere politico. L'espressione Nullum Crimen, Nulla Poena Sine Lege Praevia, creata dal politico e giurista latino Ulpiano e raccolta nel Digesto, poi ripresa dal giurista tedesco Paul Johann Anselm Ritter von Feuerbach, si fonda sull'assunto che non può mai esservi un reato (e di conseguenza una pena), in assenza di una legge penale preesistente che proibisca quel comportamento. Fonte: wikipedia

43 Il Patto Briand-Kellogg altrimenti noto come Trattato di rinuncia alla guerra o Patto di Parigi è un trattato multilaterale stilato a Parigi il 27 agosto 1928, entrato formalmente in vigore il 24 luglio 1929 con il fine di eliminare la guerra quale strumento di politica internazionale. I due principali articoli del Trattato, composto da tre articoli, recitano infatti quanto segue: "Articolo I: Le alte parti contraenti dichiarano solennemente in nome dei loro popoli rispettivi di condannare il ricorso alla guerra per la risoluzione delle divergenze internazionali e di rinunziare a usarne come strumento di politica nazionale nelle loro relazioni reciproche." "Articolo II: Le alte parti contraenti riconoscono che il regolamento o la risoluzione di tutte le divergenze o conflitti di qualunque natura o di qualunque origine possano essere, che avessero a nascere tra di loro, non dovrà mai essere cercato se non con mezzi pacifici." Fonte: wikipedia

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retroattività delle norme punitive fu giustificata anche dall’argomento che si trattava, almeno per i crimini di guerra e per quelli contro l’umanità, di fatti già previsti in ogni paese civile come delitto, e che la vittoria militare aveva solamente tolto un ostacolo di fatto alla loro perseguibilità e sanzione.

Uno dei principi fondamentali e rivoluzionari del Tribunale Militare Internazionale (IMT) riguardava l’art.6:

“Il Tribunale istituito in base all’Accordo menzionato nel precedente articolo 1 [Patto di Londra del 1945] per il giudizio e la punizione dei grandi criminali di guerra dei paesi europei dell’Asse sarà competente a giudicare e punire tutti coloro che, agendo per conto dei Paesi Europei dell’Asse, avranno commesso sia individualmente, sia quali membri di una organizzazione, uno dei delitti seguenti. Gli atti sotto menzionati, o uno qualunque di essi, costituiscono crimini sottoposti alla giurisdizione del Tribunale e comportano una responsabilità individuale:

a) Crimini contro la pace: vale a dire la progettazione, la preparazione, lo scatenamento e la continuazione di una guerra d’aggressione, o d’una guerra in violazione di trattati, assicurazioni o accordi internazionali, ovvero la partecipazione a un piano concertato o a un complotto per commettere una delle precedenti azioni;

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usi di guerra. Queste violazioni includono, senza esserne limitate, l’assassinio; il maltrattamento o la deportazione per lavori forzati, o per qualsiasi altro scopo, delle popolazioni civili dei territori occupati o che vi si trovano; l’assassinio o il maltrattamento di prigionieri di guerra o di naufraghi; l’esecuzione di ostaggi; il saccheggio di beni pubblici o privati; la distruzione ingiustificata di città e di villaggi, ovvero le devastazioni non giustificate da esigenze d’ordine militare;

c) Crimini contro l’umanità: vale a dire l’assassino, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione e qualsiasi altro atto inumano commesso ai danni di una qualsiasi popolazione civile, prima e durante la guerra, ovvero le persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi, quando tali atti o persecuzioni -abbiano costituito o meno una violazione del diritto interno del Paese dove sono state perpetrate - siano state commesse nell’esecuzione di uno dei crimini rientranti nella competenza del Tribunale, o in connessione con uno di siffatti crimini. I dirigenti, gli organizzatori, gli istigatori o i complici che abbiano preso parte alla elaborazione o all’esecuzione di un piano concertato o di un’intesa criminosa per commettere uno qualunque dei crimini sopra definiti, sono responsabili di tutti gli atti compiuti da parte di qualsiasi persona in esecuzione di tale piano”44.

Tale articolo metteva evidentemente in discussione la sovranità degli stati, la cui giurisdizione risultava scavalcata da 44

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una legge e da un organismo superiore. Il punto era piuttosto controverso e difficile da trattare. Questa era l’opinione di Robert Jackson, giudice della corte suprema statunitense e pubblico ministero al processo di Norimberga:

“Con il paragrafo b) [cioè l’articolo 6c di cui sopra] non otteniamo quello che vorremmo, e molto di quanto otteniamo non vorremmo averlo. Da tempo immemorabile, è principio generale della politica estera del nostro governo di non intervenire negli affari interni di un altro governo. Il modo come la Germania, o qualsiasi altro paese, tratta i suoi abitanti, non è affare nostro, come non sarebbe affare di un altro governo intromettersi in nostri problemi. La ragione per la quale il piano di sterminio degli ebrei e della distruzione dei diritti delle minoranze si trasforma in una questione internazionale è questa: tutti questi fatti facevano parte del piano per scatenare una guerra d’aggressione. Credo non esistano basi giuridiche per occuparci delle atrocità, senza collegarle con la guerra. Se erano una parte di un piano per la preparazione o la condotta della guerra, anche se si sono verificati all’interno della Germania, questi fatti ci riguardano.”

Il modello di Norimberga è considerato l’antenato, l’humus su cui l’attuale giustizia penale internazionale ha tratto il suo nutrimento. Come sostiene Danilo Zolo, si è però incamminata verso una direzione contraria da quella auspicata da studiosi come Kelsen, secondo cui la punizione dei criminali di guerra

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avrebbe dovuto essere un atto di giustizia e non la prosecuzione delle ostilità in forme solo apparentemente giudiziarie, in realtà ispirate da un desiderio di vendetta. Cercherò di esaminare con più accuratezza questo tema quando parlerò dei tribunali ad hoc per la ex Jugoslavia e del Ruanda dove nella giurisprudenza dei tribunali la dottrina della responsabilità di comando ha finito con l’occupare una posizione centrale.

2.3 Uno sguardo critico

Fin dal processo di Norimberga furono espresse critiche da autorevoli studiosi come Hans Kelsen, Hannah Arendt, Bert Roling, Hedley Bull sulla fondatezza normativa, sulla validità giuridica dei processi, sul principio di retroattività della legge penale incriminatrice, e sul fatto che il processo di Norimberga non prevedeva una corte d’appello per la revisione dei processi (che prevedevano la pena di morte). Noam Chomsky affermò che “un giusto processo dovrebbe quanto meno basarsi sull’elementare principio morale dell’universalità: accusatori e accusati devono essere soggetti agli stessi standard [...]”. La corte di Norimberga utilizzò la seguente definizione operativa di “crimine”: “Ciò che i tedeschi hanno fatto e gli alleati no45.

La Arendt riteneva deboli le motivazioni adottate dai paesi vincitori per giustificare i poteri giurisdizionali che essi avevano 45 Chomsky,N., Il processo impossibile , in “Internazionale 525”, 5 febbraio 2004, consultabile alla

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