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Sieroprevalenza di Toxoplasma gondii pre e post trapianto di fegato: studio unicentrico cross sectional

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Academic year: 2021

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Indice

1. Introduzione

1.1 Infezione da Toxoplasma gondii pag. 1

1.2 Patogenesi pag. 6

1.3 Manifestazioni cliniche di toxoplasmosi umana pag. 12

1.4 Diagnosi di toxoplasmosi umana pag. 14

1.5 Trattamento della toxoplasmosi pag. 30

1.6 Toxoplasmosi in corso di trapianto pag. 33

2. Scopo

pag. 36

3. Materiali e metodi

3.1 Popolazione in studio pag. 37

3.2 Sierologia per la toxoplasmosi pag. 37

3.3 Chemioprofilassi pag. 40

3.4 Bias dello studio pag. 41

4. Risultati

pag. 42

4.1 Prevalenza di Toxoplasma gondii in pazienti riceventi e donatori di fegato pag. 43 4.2 Prevalenza di Toxoplasma gondii in pazienti sottoposti a trapianto

ortotopico di fegato, suddivisi in italiani e stranieri pag. 47

5. Discussione

pag. 49

6. Conclusioni

pag. 51

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1. Introduzione

1.1 Infezione da Toxoplasma gondii

Toxoplasma gondii è un protozoo intracellulare obbligato, appartenente al phylum Apicomplexa, sottoclasse coccidia. E’ uno dei parassiti maggiormente diffusi al mondo in

quanto è in grado di infettare la maggior parte degli animali a sangue caldo, tra cui l’uomo1. Attualmente la toxoplasmosi rappresenta la terza causa di morte per malattie infettive trasmesse attraverso il cibo, dopo salmonellosi e listeriosi1,2. T. gondii assume le forme di oocisti, tachizoita, bradizoita e cisti. Il genoma di questo parassita è sempre aploide tranne nella divisione sessuale all’interno del gatto, in cui contiene 8x107 paia di basi1,5,6.

Alcuni studi hanno dimostrato un declino progressivo della sieroprevalenza di toxoplasmosi negli ultimi due decenni nei paesi industrializzati, sia negli Stati Uniti che nei paesi dell’Unione Europea, probabilmenente dovuto ad una maggiore sicurezza igienico-alimentare e ad una diversificazione delle tecniche agricole (ad esempio, mediante l’utilizzo di concimi non direttamente provenienti da deiezioni animali ma di sintesi); questo trend in decremento è maggiormente apprezzabile nei soggetti più giovani. In Italia non ci sono dati epidemiologici sulla prevalenza di T. gondii nella popolazione generale, come avviene invece in Francia dove esiste un registro nazionale della toxoplasmosi dal 1978 (French National Institute for Public Health Surveillance and the National Reference Centre for Toxoplasmosis), ma solo dati principalmente su donne in gravidanza, o su popolazioni di aree circoscritte, comunque in linea con il trend epidemiologico mondiale3. Uno studio di Mosti et al. (2013) condotto sulla

popolazione toscana ha mostrato una maggiore prevalenza nel sesso maschile rispetto a quello femminile; risultati analoghi, con un lieve incremento al termine del periodo adolescenziale (superiore a 15 anni), sono stati rilevati in uno studio di Pinto et al. (2016). Questo dato potrebbe dipendere da abitudini diverse riguardo il lavoro con consumo frequente di cibi fuori casa e verosimilmente grazie all’adozione, da parte dei soggetti di sesso femminile, di misure preventive dettate da una maggiore consapevolezza dei rischi associati alla toxoplasmosi nel periodo gravidico4.

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2

1.1.1 Ciclo vitale di Toxoplasma gondii

Oocisti

La fase sessuata del ciclo di T. gondii avviene nei felini, quindi per quanto ci riguarda il gatto, che rappresentano l’ospite definitivo. La replicazione avviene nell’intestino di questi animali portando alla formazione delle oocisti (10x12 μm) che, in corso d’infezione acuta, si ritrovano nelle feci nell’ordine dei milioni per 7-21 giorni. Dopo la sporulazione, che può avvenire tra il primo e il ventunesimo giorno, le oocisti maturano e, se ingerite da mammiferi, sono infettanti: la digestione gastrica libera infatti dalle oocisti gli sporozoiti, che giunti a livello intestinale si trasformano in tachizoiti1,5,6. (Figura 1)

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Tachizoiti

I tachizoiti assumono generalmente una forma falciforme (4-8 µm x 2-4 µm) e rappresentano lo stadio con maggiore rapidità di replicazione. Grazie al complesso apicale penetrano attivamente all’interno di tutte le cellule nucleate mediante un movimento chiamato “twist and rock”, e nella cellula formano un vacuolo parassitoforo. Qui, dopo ripetute replicazioni, le cellule ospiti si lisano ed i tachizoiti si disseminano per via ematica infettando più tessuti, tra cui il Sistema Nervoso Centrale (SNC), l’occhio, il muscolo scheletrico e cardiaco e la placenta. La replicazione di questa forma del parassita conduce alla morte della cellula ospite e alla conseguente invasione delle cellule adiacenti, causando un’intensa risposta infiammatoria e distruzione tissutale; quest’ultime sono alla base delle manifestazioni cliniche dell’infezione da

T. gondii.

In un individuo immunocompetente, il sistema immunitario dopo circa due settimane riesce a far diminuire la spinta riproduttiva riportando il parassita allo stadio di bradizoita e confinandolo in cisti 1,5,6.

Cisti

I bradizoiti persistono all’interno delle cisti per tutta la vita dell’ospite. Essi sono morfologicamente identici ai tachizoiti ma differiscono per una minore velocità di replicazione, per il fatto di possedere un metabolismo più lento, sono meno suscettibili all’azione degli enzimi proteolitici e per l’espressione di molecole stadio-specifiche7. Le cisti tissutali

contengono centinaia/migliaia di bradizoiti. I bradizoiti possono essere rilasciati dalla cisti, trasformarsi di nuovo in tachizoiti e causare riacutizzazione dell’infezione in pazienti immunocompromessi. Le cisti rappresentano lo stadio infettivo per l’ospite intermedio, ma anche per quello definitivo1,5,6.

Genotipi di Toxoplasma gondii

Esistono tre diverse linee clonali di T. gondii, denominate tipo I, II e III, che differiscono molto per virulenza e pattern epidemiologico, nonostante la poca divergenza genetica (1-2%)7. A

seguito di una singola ricombinazione genica avvenuta circa 10.000 anni fa si sono sviluppati questi tre genotipi che, al contrario di Neospora, Sarcocystis e Hammondia, che sono parassiti molto simili, hanno acquisito la capacità di infettare l’ospite intermedio mediante l’ingestione di cisti tissutali, eludendo la riproduzione sessuata nell’ospite definitivo, il che ha portato ad

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4 una ulteriore espansione mondiale di T. gondii8. La maggior parte dei genotipi isolati da pazienti

affetti da AIDS appartengono al tipo II. I tipi I e II sono stati identificati in pazienti affetti da toxoplasmosi congenita, mentre i genotipi isolati dagli animali appartengono principalmente al tipo III7. Peptidi specifici per ciascun genotipo, antigeni SAG2A, GRA3, GRA6 e GRA7

attraverso metodo ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay), consentono di identificare il genotipo di T. gondii isolato dal siero del paziente infettato9.

Vie di trasmissione

L’essere umano può essere infettato da T. gondii attraverso l’ingestione di carne cruda o poco cotta, soprattutto suina ed ovina, contente cisti tissutali; addirittura la manipolazione di carne cruda può rappresentare un rischio di trasmissione. Un’altra modalità è legata all’ingestione di acqua, nei Paesi a basso tenore igienico-sanitario o cibo contaminato da oocisti espulse con le feci di gatti infetti. La maggior parte dei soggetti contrae l’infezione inavvertitamente e spesso non è possibile risalire alla specifica via di trasmissione. Variazioni di sieroprevalenza sembrano correlate direttamente con le abitudini alimentari ed igieniche di una popolazione, cosa che fa supporre che la via orale sia la via di infezione più frequente rispetto alle altre modalità descritte più avanti1,10. Uno studio europeo condotto su oltre 24000 gatti infatti ha

riportato una prevalenza delle oocisti nello 0,11 % dei campioni fecali esaminati; generalmente gatti domestici che non cacciano o si cibano di carne cruda hanno un rischio molto basso di contrarre l’infezione da T. gondii9,11.

Trasmissione congenita

Il parassita, quando la madre si infetta durante la gestazione, è in grado di raggiungere la circolazione sanguigna fetale dopo aver infettato la placenta. La prevalenza di toxoplasmosi congenita varia da 1 a 10 ogni 10.000 nati vivi. L’infezione materna contratta prima della gestazione invece non costituisce alcun rischio per il feto tranne quando la madre venga infettata da T. gondii nei tre mesi precedenti il concepimento. Questo comunque è un evento raro in quanto, come vedremo successivamente, il sistema immunitario di un adulto immunocompetente è in grado di arginare rapidamente l’infezione da T. gondii12. L’incidenza

della trasmissione congenita varia con il periodo gestazionale in cui avviene l’infezione da parte del parassita, essendo notevolmente maggiore nell’ultimo trimestre rispetto al primo ed al secondo. Tuttavia, l’incidenza di trasmissione congenita e la gravità del quadro sono inversamente correlate: infezioni materne precoci, infatti, si associano a toxoplasmosi congenita più grave, con possibile morte intrauterina fetale o aborto spontaneo; al contrario,

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bambini nati da madri infettate nell’ultimo trimestre di gravidanza possono risultare completamente normali oppure presentare un quadro subclinico; se non trattati tempestivamente, tuttavia, essi possono sviluppare successivamente corioretinite o ritardi di crescita nella seconda o terza decade di vita1,13,14. Il trattamento della madre affetta da

toxoplasmosi durante la gravidanza con spiramicina riduce l’incidenza e la gravità dell’infezione fetale di circa il 60%15.

La trasmissione verticale dell’infezione da T.gondii da madre con infezione latente cronica è descritta solo in casi di madri immunodepresse quali quelle affette da AIDS o in terapia immunosoppressiva, ma in tal caso la frequenza sembra essere molto bassa1,14,15.

Donazioni di sangue, trapianto di organi e altre modalità

La trasmissione di T. gondii attraverso il trapianto di organi solidi o di cellule staminali da donatore sieropositivo a ricevente sieronegativo è una possibile via di trasmissione e patologia. Inoltre, quando sia il donatore che il ricevente del trapianto sono sieropositivi, la riattivazione è il meccanismo principale con cui la toxoplasmosi può insorgere nei trapiantati di midollo osseo, cellule staminali ematopoietiche, di organi solidi quali cuore, fegato, rene ecc., e nei soggetti affetti da AIDS1,16. È descritta in letteratura la trasmissione anche per via ematica da

trasfusione di leucociti da donatori sia immunocompetenti che immunocompromessi17. Infine,

è documentata anche l’infezione nel personale di laboratorio attraverso punture incidentali con aghi infetti o da animali infetti18.

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1.2 Patogenesi

1.2.1 Invasione cellulare

Una volta introdotto, qualunque sia la via di trasmissione, il parassita invade attivamente tutte le cellule nucleate dell’organismo19. A livello intracellulare T.gondii induce la formazione di

vacuoli parassitofori che contengono al loro interno proteine secrete dal parassita e ne escludono altre dell’ospite che normalmente promuoverebbero la formazione dei fagolisosomi, impendendo pertanto la fusione lisosomiale; le proteine vengono secrete da differenti organelli del parassita, come roptri, micronemi e granuli densi; essi, insieme all’antigene di superficie SAG1 presente sui tachizoiti, rappresentano il target più promettente per lo sviluppo del vaccino contro questa zoonosi1,20 (Figura 2).

Figura 2. Struttura del tachizoita. Ajioka JW et al. Cambridge University Press (2001)21.

L’infezione di T. gondii comporta una risposta non specifica da parte dell’immunità innata, di cui fanno parte macrofagi e cellule NK (Figura 3, A). In particolare, nelle fasi precoci dell’infezione, il macrofago infettato da T. gondii produce interleuchina-12 (IL-12, citochina proinfiammatoria), che va a stimolare le cellule NK che a loro volta producono anch’esse interferon- γ (INF-γ) e tramite questo attivano i macrofagi. I macrofagi attivati quindi inibiscono la replicazione di T. gondii oppure, nel caso dei ceppi a bassa virulenza, uccidono i T. gondii intracellulari1,22.

In aggiunta alla risposta immunitaria innata, questa infezione provoca anche una forte risposta immunologica cellulo-mediata (immunità acquisita) che consente all’ospite di arginare la rapida replicazione dei tachizoiti (Figura 3, B): inizialmente infatti, dopo essere penetrato attraverso le cellule enteriche, o essere giunto nel sangue (a seconda delle modalità di trasmissione), il parassita infetta le cellule presentanti l’antigene (APC), che inducono una

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risposta locale infiammatoria transitoria attivando, con la produzione di IL-12, i linfociti Th-1, la cui principale funzione è quella di attivare i macrofagi mediante il rilascio di interferon-γ (INF-γ) sempre con lo scopo di uccidere il parassita o inibirne la replicazione, a seconda della virulenza del genotipo23.

Figura 3. In alto: Vie alternative per l’induzione della sintesi di INF- γ T cellulo-mediata e non mediata. Denkers

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Il parassita, dal canto suo, è in grado di eludere la risposta immunitaria inducendo la produzione di citochine down-regolatorie come interleuchina-10 (IL-10), trasforming growth factor-β (TGF-β) e specie reattive di ossido nitrico (NO). Quest’ultimo ha un ruolo duplice, dipendente dalla virulenza del ceppo di Toxoplasma: viene prodotto dai macrofagi attivati mediante l’induzione della nitrossido-sintasi inducibile, un enzima che converte la L-arginina in NO e citrullina. Nei ceppi a bassa virulenza, NO può uccidere il parassita ed eradicarlo, nei ceppi a virulenza intermedia esso trasforma il tachizoita in bradizoita, mantenendolo tale, ma è nei ceppi ad alta virulenza che questa molecola assume un ruolo a favore del parassita, andando a indurre delle proteine di shock termico (heat shock protein, HSP-70) che bloccano la differenziazione del tachizoita in bradizoita. Le HSP-70 vanno poi a stimolare la down-regulation di NO. Lo scopo finale della produzione di HSP-70 e la down-regolazione di NO è quello di inibire la via apoptotica nella cellula ospite: i linfociti T e i leucociti infatti inducono l’apoptosi nella toxoplasmosi. Di contro, il parassita va ad inibire la cascata apoptotica nella cellula ospite, bloccando la cascata delle caspasi e inducendo l’espressione di molecole anti-apoptotiche come le proteine della famiglia Bcl-2 nella cellula ospite infettata25.

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È presente infine anche la risposta umorale: dopo due settimane dall’infezione sono rilevabili nel siero dell’ospite immunoglobuline di tipo IgA, IgG, IgM e IgE contro varie proteine di T.

gondii. Le IgG persistono per tutta la vita, le IgM anche per 18 mesi. La produzione di IgA a

livello mucosale sembra proteggere l’ospite da reinfezione da parte del parassita, che è comunque descritta in letteratura ma non causa la malattia o la trasmissione congenita1,27.

In pazienti trapiantati che ricevono un trattamento immunosoppressivo, così come nei pazienti con un deficit al sistema immunitario (pazienti con AIDS), questi sistemi di controllo del parassita diminuiscono e, sebbene non siano ancora chiari i meccanismi alla base della rottura della parete della cisti tissutale, è stato visto che il rischio di riattivazione toxoplasmica è significativamente aumentato quando la conta ematica di linfociti CD4+ è < 200 cell/mm328.

1.2.2 Disseminazione nei tessuti

I tachizoiti in seguito a lisi cellulare vengono trasportati ai linfonodi, dove comportano la formazione di iperplasia follicolare reattiva, clusters irregolari di istiociti epitelioidi presso i margini dei centri germinativi e distensione dei sinusoidi con cellule monocitoidi. Dai linfociti essi migrano per via ematica in altri tessuti. In soggetti immunocompetenti i tachizoiti spariscono rapidamente dai tessuti che hanno infettato, mentre nei soggetti immunocompromessi - ma sono descritti casi in cui questo avveniva anche in soggetti senza deficit immunologici - l’infezione progredisce con conseguenze potenzialmente letali come polmonite, miocardite ed encefalite necrotizzante1,29.

Corioretinite

L’infezione oculare in soggetti immunocompetenti produce corioretinite acuta, caratterizzata da cospicua infiammazione e necrosi cellulare, che secondariamente provoca la formazione di granulomi all’interno della coroide dell’occhio. Quando il parassita raggiunge l’occhio tramite la circolazione sanguigna, a seconda dello status immunologico dell’ospite, vi è un focolaio clinico o subclinico a livello retinico. L’infiammazione comporta la trasformazione dei tachizoiti in cisti o bradizoiti, i quali sono molto resistenti alle difese immunologiche dell’ospite e pertanto causano infezione cronica-latente. Se il focolaio è subclinico, non si rilevano alterazioni all’esame del fundus oculi, mentre nel focolaio clinico è possibile apprezzare la cicatrice retinocoroidale di guarigione. Qualora le difese dell’ospite vengano meno, la parete delle cisti si può rompere, riversando parassiti vitali nella retina e riattivando pertanto il processo infiammatorio. Raramente i parassiti vengono identificati all’interno dell’umor

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10 acqueo in pazienti affetti da toxoplasmosi oculare attiva e questo suggerisce come la proliferazione di questo parassita avvenga solo nelle fasi iniziali dell’infezione ed i danni a livello retinico siano probabilmente causati dalla risposta infiammatoria conseguente. Quando

T. gondii infetta le cellule dell’epitelio pigmentato della retina (RPE) c’è una aumentata

produzione di varie citochine proinfiammatorie come interleuchina-1ß (IL-1ß), interleuchina-6 (IL-6), granulocyte-macrophage colony-stimulating factor (GMCSF) e molecole di adesione intracellulare (ICAM).Pazienti con corioretinite toxoplasmica acquisita mostrano un livello aumentato di IL-1 rispetto ai pazienti asintomatici. Sembra che polimorfismi del gene che codifica IL-1, che comportano una maggiore produzione di questa interleuchina, possano essere associati a frequenti episodi di corioretinite da T. gondii, come avviene in soggetti portatori di polimorfismi per il gene dell’IL-10 con una sua ridotta produzione1,30-34.

La corioretinite solitamente è il risultato di una riattivazione di infezione congenita, ma sono descritti anche casi in cui essa si sviluppa nell’ambito di un’infezione acuta da T. gondii35

.

Ad oggi sono state proposte cinque ipotesi per spiegare il processo infiammatorio alla base dell’impegno oculare della toxoplasmosi, che appare tuttora controverso:

• Infezione e risposta infiammatoria dopo rottura spontanea della parete cistica • Infiammazione sostenuta da mediatori secreti dal parassita

• Infiammazione come risultato di effetto litico di mediatori secreti dal parassita • Reazione di ipersensibilità di tipo ritardato verso gli antigeni del parassita

• Reazione infiammatoria sostenuta dall’immunità cellulo-mediata verso antigeni renitici1,36

Infezione del Sistema Nervoso Centrale

Il coinvolgimento a livello del sistema nervoso centrale da parte di T. gondii è caratterizzato dalla comparsa di numerosi foci di necrosi e noduli di microglia37. Nei bambini la vasculite

periacqueduttale e periventricolare e la necrosi sono patognomonici di toxoplasmosi cerebrale38. Le aree necrotiche possono calcificare e portare a reperti radiografici suggestivi

ma non patognomonici della malattia. L’idrocefalo può risultare dall’ostruzione dell’acquedotto di Silvio o dal forame di Monro. Tachizoiti e cisti possono essere osservati

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11 dentro e vicino ai foci necrotici o nei noduli gliali, nelle regione perivascolare e nel tessuto cerebrale non coinvolto nel cambiamento infiammatorio.

La presenza di molti ascessi cerebrali è il reperto più caratteristico dell’encefalite toxoplasmica nei pazienti con immunodeficienza grave e soprattutto negli individui affetti da AIDS1,37. Come

evidenziato nei reperti autoptici di pazienti con AIDS, l’encefalite toxoplasmica può interessare tutto l’encefalo, con una particolare predilezione per i gangli della base1,39. Nella toxoplasmosi

congenita invece la necrosi cerebrale interessa maggiormente la corteccia e talvolta le aree periventricolari1,38.

Toxoplasmosi nei disordini mentali

Recenti studi hanno suggerito come la toxoplasmosi cronica possa giocare un ruolo importante nell’eziologia di differenti patologie psichiatriche39.

In particolare è emerso come in soggetti affetti da schizofrenia o altre forme di gravi disordini mentali siano rilevabili spesso anticorpi anti-T. gondii, che verosimilmente sono diretti verso gli stessi neurotrasmettitori implicati in queste gravi patologie psichiatriche, soprattutto dopamina40.

Ulteriori studi sono necessari infine per accertare l’associazione tra toxoplasmosi e Morbo di Parkinson e Malattia di Alzheimer41,42.

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1.3 Manifestazioni cliniche di toxoplasmosi umana

1.3.1 Toxoplasmosi acuta nel soggetto immunocompetente

Solitamente l’infezione da T. gondii nei bambini e negli adulti (anche donne in gravidanza) è asintomatica. Nel 10% dei casi provoca una malattia aspecifica autolimitante di lieve entità, la cui manifestazione clinica più tipica è una linfoadenopatia cervicoccipitale, con linfonodi di consistenza non elastica, non suppurati, di grosse dimensioni, che rimangono tali per quattro-sei settimane. Molto raramente si possono sviluppare miocardite, polimiosite, polmonite, epatite o encefalite anche in individui sani1.

La corioretinite toxoplasmica si ritrova nel contesto della malattia congenita o postnatale come risultato di infezione acuta o riattivazione. I reperti tipici della corioretinite toxoplasmica includono lesioni focali bianche con intensa reazione infiammatoria intravitreale. Il segno classico del “faro nella nebbia” è attribuibile alla comparsa di lesioni retiniche con intensa reazione infiammatoria. La corioretinite negli adulti viene solitamente ritenuta una manifestazione tardiva o una riattivazione di toxoplasmosi congenita, anche se è comunque descritta in associazione con la malattia acuta e risulta difficile distinguere se l’infezione primaria sia congenita o acquisita in pazienti che sviluppano corioretiniti ricorrenti43.

1.3.2 Toxoplasmosi acuta nel paziente immunocompromesso

Al contrario dei soggetti immunocompetenti, l’infezione da T. gondii nel soggetto immunocompromesso può arrivare ad essere letale, e si sviluppa solitamente in seguito a riattivazione di toxoplasmosi pregressa 44.

Il sistema nervoso centrale è solitamente il distretto corporeo più frequentemente interessato dall’infezione: in particolare si presenta come un’encefalite, che varia dal presentarsi come processo subacuto che evolve in settimane ad uno stato confusionale acuto, con o senza deficit neurologici focali, che si sviluppa rapidamente in giorni. Le manifestazioni cliniche più frequenti includono alterazioni dello stato mentale, convulsioni, deficit motori focali, deficit sensitivi, disordini a carico dei nervi cranici, segni cerebellari e manifestazioni neuropsichiatriche, mentre i segni meningei si ritrovano raramente. Il segno neurologico più frequente è l’emiparesi con difficoltà nell’eloquio, che lo pone in diagnosi differenziale con numerose patologie cerebrali con manifestazioni cliniche simili, come linfoma cerebrale, leucoencefalopatia progressiva multifocale, ventricolite o encefalite da cytomegalovirus o

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13 lesioni focali causate da altri patogeni come Cryptococcus neoformans, Aspergillus spp.,

Mycobacterium tuberculosis, Nocardia spp. o ascessi cerebrali di origine batterica1,45.

La toxoplasmosi nei soggetti immunocompromessi può anche presentarsi come corioretinite, polmonite – più frequente nei pazienti affetti da AIDS o trapiantati di midollo osseo - ed interessamento multiorgano con insufficienza respiratoria acuta ed alterazioni emodinamiche simili allo shock settico1,44.

1.3.3 Toxoplasmosi congenita

Feti affetti da toxoplasmosi congenita solitamente non mostrano alterazioni durante l’ecografia prenatale; i reperti ecografici di più frequente riscontro includono calcificazioni intracraniche, dilatazione dei ventricoli cerebrali, epatomegalia, ascite ed aumentato spessore placentare46. Le

manifestazioni cliniche variano molto ed includono idrocefalo, microencefalia, calcificazioni intracraniche, corioretinite, strabismo, cecità, epilessia, ritardo psicomotorio o mentale, petecchie da piastrinopenia ed anemia, nessuna delle quali è patognomonica per toxoplasmosi47.

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1.4 Diagnosi di toxoplasmosi umana

L’infezione da T. gondii può essere diagnostica indirettamente attraverso metodi sierologici o direttamente tramite PCR, ibridazione, isolamento ed istologia. Solitamente i metodi indiretti sono largamente utilizzati nei pazienti senza compromissione del sistema immunitario, mentre la ricerca diretta del patogeno è rivolta ai pazienti immunocompromessi, associata in alcuni casi anche alla ricerca anticorpale. La ricerca diretta del parassita nel liquor cefalorachidiano, sangue, umor acqueo o urine e le indagini radiologiche possono essere d’aiuto soprattutto in caso di toxoplasmosi congenita1,48.

1.4.1 Diagnosi indiretta

La risposta anticorpale primaria ad un antigene nel circolo ematico è caratterizzata da una curva costituita da una prima fase, detta di latenza, in cui gli anticorpi non sono rilevabili; una seconda fase, detta logaritmica o esponenziale, in cui la concentrazione degli anticorpi nel siero aumenta fino a raggiungere un plateau (la terza fase), per poi decrescere nella fase di declino senza però raggiungere mai lo zero. Qualora l’antigene venisse reincontrato per la seconda volta, la caratteristica della curva sarà quella di mostrare un accorciamento della fase di latenza, con shift isotipico (o commutazione di classe) da immunoglobuline di tipo M (IgM) a immunoglobuline di tipo G (IgG) (Figura 4).

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15 La ricerca degli anticorpi IgG dovrebbe essere fatta nelle donne in gravidanza e nei pazienti immunocompromessi. Nel primo caso l’assenza di IgG nei mesi antecedenti il concepimento o nei primi mesi di gravidanza permette un’identificazione di tutte quelle donne a rischio di acquisire l’infezione, mentre nel caso di pazienti immunocompromessi, la presenza di anticorpi anti-Toxoplasma permette l’identificazione di coloro che sono a rischio di riattivazione di una pregressa infezione1.

Per la ricerca delle IgG e IgM possono essere usati vari test come il Sabin-Feldman dye test49,

immunofluorescenza indiretta50, i test immunoenzimatici51, il test dell’avidità52,53 e vari test di

agglutinazione54.

Sabin-Feldman dye test

È il primo test immunologico indiretto ad essere stato sviluppato, ed è attualmente il gold standard a cui tutti i test automatizzati odierni vengono paragonati come sensibilità e specificità. Questa metodica si basa sull’utilizzo di tachizoiti vitali e pertanto è sia costoso che potenzialmente rischioso per l’operatore. L’elevato costo della metodica deriva dalla difficoltà nell’ottenere un quantitativo sufficiente di parassiti vivi e dalla abilità tecnica richiesta all’operatore, nonché dal costo per mantenere gli animali da laboratorio da cui ottenere i parassiti vitali1. Il siero del paziente viene incubato con i parassiti vivi e il Complemento (C’)

presente nel siero stesso, e si aggiunge poi un colorante vitale quale il blu di metilene. Se nel siero in esame sono presenti anticorpi IgG o IgM (le uniche classi anticorpali capaci di fissare il C’) specifici per Toxoplasma, si formano immunocomplessi che determineranno l’attivazione del sistema del C’ e quindi la lisi del parassita e conseguente perdita di colorazione del parassita. L’ultima diluizione del siero che provocherà il 50% della morte dei parassiti rappresenterà il titolo del siero in esame55.

Poiché i risultati delle diluizioni sieriche sono difficilmente paragonabili, nel 1968 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha proposto l’uso di unità internazionali (U.I., sulla base dei risultati ottenuti) con un siero di riferimento con titolo noto in modo da poter meglio confrontare i dati ottenuti in tempi successivi e provenienti da laboratori diversi (1 U.I. = 0.001 ml del siero umano di controllo con titolo noto).I vantaggi del Sabin-Feldman dye test sono l’elevata sensibilità e specificità. Il test infatti è in grado di evidenziare la comparsa di anticorpi precoci dosabili alla fine della prima settimana dopo l’infezione. La soglia di sensibilità è molto bassa (2 U.I./ml) e la lettura semplice. L’inconveniente di questa reazione è quello di usare come antigeni parassiti vitali e virulenti dal momento che vengono coltivati in cavità peritoneale di topo. E’ necessario inoltre disporre di siero fresco umano o di cavallo

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16 negativi per la toxoplasmosi, rendendo il test denso di difficoltà tecniche, motivo per cui viene svolto solo in centri di riferimento56.

Emoagglutinazione indiretta

Si tratta di una agglutinazione di globuli rossi sensibilizzati che avviene in presenza di anticorpi specifici eventualmente presenti nel siero in esame. Più precisamente l’antigene viene fissato su emazie di animali che divengono in tal modo agglutinabili in presenza di anticorpi

anti-Toxoplasma. Reazioni aspecifiche positive possono essere eliminate mediante adsorbimento di

agglutinine naturali con emazie di controllo non sensibilizzate. La soglia di sensibilità del test è per diluizioni sieriche uguali o maggiori di 1:64. Questo test gode dei vantaggi della rapidità e semplicità di esecuzione ma soffre per insufficiente sensibilità nelle fasi acute dell’infezione per cui non può essere impiegato come test isolato negli screening in gravidanza o nella sorveglianza delle infezioni neonatali. Un altro svantaggio è rappresentato dalla variabilità dei risultati e dalla scarsa standardizzazione della metodica56.

Saggio di immunofluorescenza indiretta - IFAT

I test che utilizzano anticorpi fluoresceinati come anticorpi secondari vengono eseguiti fissando il parassita o antigeni del parassita su un vetrino portaoggetto, su cui viene aggiunto il siero del paziente, alle varie diluizioni. Sono aggiunti successivamente anticorpi anti-IgG umane coniugati con molecole fluorescenti, che permettono quindi la visualizzazione del parassita al microscopio a fluorescenza1.

Questa tecnica offre il vantaggio di una rapida individuazione degli anticorpi cercati e quindi la possibilità di essere impiegata in studi di massa con impegno limitato di tempo. Il titolo del siero è dato dalla più alta diluizione che mostra ancora una fluorescenza periferica o globale netta dei tachizoiti. Ogni operatore dovrà poi stabilire una corrispondenza tra le diluizioni del siero e il titolo in U.I./ml. I limiti per la diagnostica sono i seguenti: — titolo minore di 10 U.I./ml = assenza di immunità titolo maggiore o uguale a 10 U.I./ml = immunità acquisita -titolo maggiore o uguale a 500 U.I./ml = infezione in atto. Il test soffre per la soggettività della lettura e per i possibili falsi positivi dovuti alla presenza nel siero in esame di anticorpi anti-nucleoche si possono fissare sul Toxoplasma reagendo poi con l’antisiero fluorescente. I falsi negativi sono dovuti alla diluizione elevata di partenza (1:50) necessaria per evitare attività aspecifiche56.

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Chemioluminescenza immunoassay (CLIA)

La metodica CLIA è una tecnica in cui la sonda, cioè l’indicatore della reazione analitica, è una molecola chemioluminescente. In generale, la luminescenza è l’emissione di una radiazione visibile o vicina allo spettro della luce visibile ( λ = 300-800 nm) quando un elettrone passa da uno stato eccitato ad uno di livello più basso, e l’energia potenziale che ne risulta viene rilasciata dall’atomo in forma di luce. I metodi di chemioluminescenza possono essere diretti o indiretti, a seconda che sia usato un marker luminoforo o un enzima. Nei metodi diretti, i luminofori utilizzati sono esteri di acridinio e rutenio, mentre come markers enzimatici nei metodi indiretti si usa la fosfatasi alcalina con adamantil-1, 2-diossetano-aril-fosfato (AMPPD) come substrato o perossidasi di rafano con luminolo o derivati (sempre come substrati). L’attivazione di questi substrati necessita di reazioni chimiche o enzimatiche associate a reazioni immunologiche

(Figura 5). L’uso del luminolo come sonda chemioluminescente, ad esempio, dipende

dall’accoppiamento del saggio immunologico con reazioni enzimatiche catalizzate dalla perossidasi. L’aggiunta di un amplificatore come gli ioni metallici potenzia ulteriormente l’attivazione elettronica, portando alla fine a un’elevata sensibilità analitica (mol-16/L) sicuramente superiore a quella ottenibile attraverso altre metodiche immunologiche come ad esempio i test immunoenzimatici (ELISA). Il segnale luminoso, grazie alla sua curva cinetica costante, contribuisce allo sviluppo di strumentazioni automatiche CLIA relativamente semplici. Gli strumenti CLIA si sono inseriti stabilmente tra i saggi immunometrici, per misurare anche gli anticorpi. I vantaggi principali della chemioluminescenza risiedono nell’ampio campo di applicazione, l’alta intensità del segnale, l’assenza di interferenze, la rapida acquisizione del segnale analitico, l’elevata stabilità dei reagenti e dei loro coniugati, lo scarso consumo di reagenti, il ridotto tempo di incubazione e la totale compatibilità con i protocolli dei saggi immunologici. Gli svantaggi sono rappresentati da un rilevamento limitato dell’antigene, costi elevati, pannelli di test limitati e sistemi analitici rigidi. L’uso di piattaforme analitiche automatizzate basate sulla tecnologia CLIA rendono le reazioni immunochimiche in fase solida significativamente più rapide (30-40 minuti) rispetto ad altri tipi di tecniche immunologiche57.

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Figura 5. Schema del sistema Bioflash, un test CLIA ampiamente utilizzato nel campo dell’immunità. Cinquanta

et al. (2017)57

Test immunoenzimatici

Tra questi il test maggiormente utilizzato è l’ELISA, ovvero una metodica basata sull’utilizzo del cambiamento di colore di un cromogeno mediato dalla produzione di un substrato ad opera di un enzima per ricercare la presenza dell’antigene (ELISA diretto) o dell’anticorpo (ELISA indiretto) nel campione del paziente. Per la ricerca delle IgG si utilizza un test ELISA semplice: nel pozzetto contenente antigeni di Toxoplasma viene posto il siero del paziente e, se sono presenti le immunoglobuline G, queste andranno a legarsi all’antigene presente nel pozzetto

(Figura 6, ELISA diretto). Si effettua un lavaggio e successivamente si aggiunge un anticorpo

secondario anti-IgG umane, coniugato ad un enzima, generalmente la perossidasi; dopo un secondo lavaggio si aggiunge il substrato come perossido di idrogeno e il cromogeno e, se è avvenuto il legame tra antigeni e anticorpi, avverrà la trasformazione del cromogeno e quindi lo sviluppo di colore. Per la ricerca delle IgM invece si utilizza un test ELISA a cattura, che aumenta la sensibilità e specificità della metodica (Figura 6, ELISA sandwich). Il pozzetto viene rivestito con anticorpi monoclonali anti-IgM, viene aggiunto il siero del paziente e, se saranno presenti IgM nel siero, esse si legheranno al primo anticorpo. Viene aggiunto l’antigene di

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19 enzima; infine viene aggiunto il substrato e il cromogeno, che produrranno sviluppo di colore se sono avvenuti tutti i legami descritti. Dopo ogni passaggio nominato viene eseguito un lavaggio. Per la ricerca delle IgM viene utilizzata questa metodica perché, se venisse usato direttamente il siero, si potrebbero riscontrare dei falsi negativi dovuti alla competizione tra IgG e IgM per gli stessi siti di legame dell’antigene. Si possono avere tuttavia anche dei falsi positivi dovuti al fattore reumatoide presente nel siero del paziente. Il fattore reumatoide è anch’esso un’immonoglobulina di tipo M che si lega a particolari IgG. Nella ricerca delle IgM anti-Toxoplasma, a meno che non sia un test a cattura, all’antigene di Toxoplasma che serve per sensibilizzare i pozzetti nella piastra per l’ELISA, si aggiunge il siero del paziente. Se il paziente possiede il fattore reumatoide, avrà delle IgG che legheranno il fattore reumatoide stesso per cui, al momento in cui si inserisce un anticorpo secondario coniugato (Ab secondario anti-IgM), si andrà a rilevare delle IgM che si legano alle IgG anti-Toxoplasma e non alle IgM anti-Toxoplasma. Oggi i kit sono forniti del fattore reumatoide con cui poter adsorbire i sieri prima dell’analisi58. Nel laboratorio in cui si è svolta questa tesi viene utilizzata la metodica

automatizzata VIDAS TOXO IgM (test qualitativo) e IgG II (test quantitativo), in cui si associa una tecnica ELISA a cattura in due fasi ad una rivelazione finale in fluorescenza (ELFA,

Enzyme Linked Fluorescent Assay). Una volta escluso il fattore reumatoide, se il paziente è

risultato positivo alla ricerca delle IgM e delle IgG, andrà datata l’infezione mediante l’analisi dell’avidità58.

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Analisi dell’avidità delle IgG per datare l’infezione – VIDAS TOXO IgG AVIDITY

Le IgG umane sono interessate da un fenomeno chiamato “maturazione dell’affinità” nei confronti dell’antigene: con “affinità” si indica la forza di legame antigene-anticorpo, che non è un legame covalente, bensì reversibile. Durante una risposta anticorpale primaria, la quantità dell’antigene in circolo è elevata, e l’antigene rimane in circolo a lungo, andando ad attivare i linfociti B, che produrranno immunoglobuline che possono avere un’affinità bassa, media o alta per l’antigene stesso. La sommatoria di tutte le affinità per l’antigene, che è l’avidità, sarà quindi tendenzialmente bassa. Durante una risposta secondaria, gli anticorpi sono già in circolo, e quindi saranno in grado di legare più rapidamente l’antigene e farne diminuire la sua concentrazione. La bassa quantità in circolo dell’antigene farà sì che si attiveranno solo i linfociti B le cui immunoglobuline di superficie possiedono un’alta affinità, ovvero quelle che sono in grado di rilevare bassissime concentrazioni di antigene. Il risultato sarà quindi che questi linfociti B diventeranno plasmacellule producenti IgG ad altà affinità. È l’antigene stesso dunque che seleziona i cloni B, attraverso la sua concentrazione. Nel caso della toxoplasmosi acuta, le prime IgG prodotte sono a bassa affinità, quindi anche l’avidità (la sommatoria delle affinità) sarà bassa. Nella toxoplasmosi cronica, il parassita è localizzato a livello intracellulare, e la bassa quantità di antigene circolante sarà complessato da anticorpi con alta affinità. Il risultato sarà un’avidità elevata (Figura 7)60.

Figura 7. Alta e bassa avidità anticorpale Rahbari et al. (2012) 60.

Il test che misura l’avidità è sempre un test ELISA svolto in presenza/assenza di un agente dissociante (urea) che va ad agire sulla forza di legame antigene-anticorpo, rendendo possibile

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21 la quantificazione dell’avidità delle IgG, ed è diventato lo standard per discernere tra infezione acquisita recentemente e infezione pregressa. Nel laboratorio in cui si è svolta questa tesi viene utilizzata la metodica automatizzata VIDAS TOXO IgG AVIDITY, in cui si associa una tecnica ELISA a cattura in due fasi ad una rivelazione finale in fluorescenza (ELFA).

I limiti di questi test sono dovuti al fatto che è comunque difficoltoso stabilire il tempo dell’infezione perchè l’avidità può rimanere bassa fino ad un anno dopo l’infezione, mentre le IgM possono persistere più a lungo di sei mesi (fino ad un massimo di diciotto)60.

Test ISAGA (immunosorbent agglutination assay)

Per la ricerca delle IgM, che si sviluppano durante la prima settimana d’infezione, si può ricorrere anche all’utilizzo di un saggio di agglutinazione detto ISAGA (immunosorbent agglutination assay)46-50. La metodica si basa sulla cattura delle IgM umane mediante l’utilizzo

di anticorpi monoclonali anti-IgM adesi alle pareti dei pozzetti di piastre per la microtitolazione. Qui si mette ad incubare il siero del paziente, dopodiché nel pozzetto viene inserita una sospensione di toxoplasmi interi trattati, come antigene. In presenza di IgM specifiche “catturate” e adese alle pareti del pozzetto, i parassiti reagiscono con gli anticorpi IgM specifici e rimangono anch’essi attaccati alle pareti del pozzetto formando un film omogeneo. In assenza di IgM Toxoplasma nel siero in esame non si può formare il ponte fra gli anticorpi anti-IgM umane e i parassiti, per cui questi ultimi scivolano sul fondo del pozzetto a V formando un bottone. La metodica è semplice, rapida e di facile lettura poiché si effettua con il semplice rilievo ad occhio nudo dell’agglutinazione dei toxoplasmi interi56. Duffy et al. hanno dimostrato

che il test ISAGA è più sensibile del test ELISA a cattura per le IgM, ma non hanno rilevato variazioni significative in termini di specificità e riproducibilità61 e spesso è utilizzato per la

diagnosi di infezioni congenite nei neonati.

Talvolta però risultati falsi positivi e la persistenza di positività dei titoli anticorpali IgM anche un anno dopo l’infezione primaria ostacolano la corretta interpretazione dei risultati. Il grande valore dei test per la ricerca di IgM è dato dal fatto che, se negativi, escludono un’infezione acquisita recentemente. Per questo, è sempre importante combinare i vari test sierologici, anche in rapporto con la valutazione dello stadio dell’infezione62, ad esempio i test ELISA per la

ricerca degli anticorpi IgA sono ancora più sensibili di quelli per la ricerca delle IgM nei feti e nei neonati, e combinare questi test permette di identificare più del 75% dei neonati infetti63.

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Western blot

Nei bambini con sospetta toxoplasmosi congenita, può rivelarsi utile l’uso di Western Blot per la ricerca di IgM/IgG sia della madre che del bambino64. In questo test infatti vengono

confrontati i profili immunologici (CIP) nella diagnosi di toxoplasmosi congenita alla nascita (confronto tra sangue materno e sangue cordonale o neonatale), nel follow-up neonatale (confronto tra sangue cordonale al giorno 0 e sangue del bambino al giorno zero G0 + N giorni) e anche per la diagnosi di toxoplasmosi oculare (confronto del siero del paziente con l’umor acqueo, solo IgG). La tecnica Western Blot viene così eseguita: gli antigeni di Toxoplasma

gondii, dopo la separazione sulla base del peso molecolare, mediante elettroforesi su gel di

poliacrilammide, in presenza di Na-dodecil-solfato, con l’esecuzione dell’elettroblot si legano alla superficie della membrana di nitrocellulosa (denominata transfer), che viene ritagliata in strisce. Il test consiste nell’incubare separatamente due strisce con i due campioni (materno/neonatale o siero/umor acqueo) di cui si vogliono confrontare i profili immunologici. Ciascun campione di siero (o umor acqueo) da analizzare viene incubato separatamente con una striscia. Gli anticorpi anti-Toxoplasma, potenzialmente presenti nel campione, si legano in modo selettivo agli antigeni di T. gondii, presenti sulla striscia. L’aggiunta di Iganti-IgG o IgM umane coniugate a fosfatasi alcalina determineranno il legame con gli eventuali anticorpi

anti-Toxoplasma, e gli immunocomplessi formati permetteranno la reazione dell’enzima con il

substrato. Gli antigeni riconosciuti dagli anticorpi anti-Toxoplasma di classe IgG o IgM presenti nel campione sono rivelati come strisce trasversali di colore viola. L’interpretazione del risultato dipende dal confronto delle coppie di strisce IgG o IgM. Ciò consente di rilevare uguaglianze o differenze tra gli antigeni riconosciuti in uno o nell’altro caso. Ogni banda con risoluzione ben definita, peso molecolare (PM) inferiore a 120 kDa, aggiuntiva a quelle riconosciute dalla madre, dimostra la sintesi da parte del bambino di anticorpi anti-Toxoplasma suggerendo una diagnosi di una toxoplasmosi congenita (Figura 8), lo stesso vale per ogni banda presente a G0+N, con le stesse caratteristiche precedenti.

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Figura 8. Confronto profili immunologici tra madre e figlio per la diagnosi di toxoplasmosi congenita. “T” = toxoplasmosi congenita. LD BIO DIAGNOSTIC, TOXOPLASMA WB IgG-IgM, CE 0459.

Infine, ogni banda con risoluzione ben definita, peso molecolare inferiore a 120 kDa e presente solo nell'umore acqueo, dimostra la sintesi locale di anticorpi anti-Toxoplasma e sta ad indicare una toxoplasmosi oculare. Negli adulti invece le IgA possono rimanere positive per un anno o più, e quindi sono meno utili per valutare l’infezione recente65.

Ricapitolando, esistono varie metodiche che possono indagare la risposta anticorpale per permettere la diagnosi di toxoplasmosi, e talvolta esse possono essere usate in combinazione per andare a superare i punti critici nella diagnostica sierologica (Figura 9). I metodi diagnostici visti possono essere suddivisi in due gruppi, per cercare di ottimizzare le interpretazioni dei dati sierologici: il primo include test di screening rapidi o automatizzati, il secondo test di conferma. I metodi di screening sono a basso costo e possono essere limitati a una piccola quantità di siero (ad esempio, emoagglutinazione), oppure possono essere automatizzati in casi di screening su larga scala (ELISA o CLIA). I test di conferma sono di solito metodiche più costose come il dye test, IFAT, WB e ISAGA: queste metodiche solitamente sono effettuate in centri di riferimento.

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Figura 9. Immunoglobuline coinvolte nello sviluppo e diagnosi della toxoplasmosis, e test analitici ad esse correlati. Montoya (2002)66.

Le raccomandazioni nella scelta dei test, locali o nazionali, possono variare in base ad esempio all’osservazione della situazione clinica del paziente (donna in gravidanza, neonato, paziente immunocompromesso). I risultati di queste indagini possono portare a un trattamento solo profilattico, a un trattamento specifico, a dar seguito a un follow-up sierologico o all’utilizzo di metodiche più invasive per la ricerca del Toxoplasma come amniocentesi, lavaggi broncoalverolari o raccolta di liquor cefalo-rachidiano.

Il Centro di Riferimento Nazionale Francese per la toxoplasmosi nel 2016 ha messo a punto algoritmi diagnostici in base ai vari quadri sierologici che possono presentarsi in laboratorio. Interessanti sono i casi in cui si ha una negatività per IgG e positività per IgM (Figura 10). Il riscontro di positività per IgM in assenza di IgG suggerisce una infezione recente da

Toxoplasma e necessita di una seconda conferma dopo 2 settimane, ma la specificità di IgM

dovrebbe essere confermata subito attraverso un’altra metodica come ISAGA IgM o IFAT. Se le IgM si negativizzano, la presenza di IgM non specifiche indica un falso positivo. Se dopo 2 settimane viene rilevato un altro isotipo IgG/IgA, l’infezione acuta è confermata67. Se le IgM

restano stabili e non si rileva sieroconversione per IgG, si raccomanda un follow up sierologico con monitoraggio delle IgG nelle successive altre 2 settimane. Jost et al. (2011) hanno dimostrato che il WB è la metodica con sensibilità maggiore per rivelare precocemente la sieroconversione delle IgG68.

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Figura 10. Diagramma di flusso per la diagnosi sierologica di toxoplasmosi in caso di IgG negative e IgM positive.

Villard O. et al. (2016)67

In caso di positività sia per IgG che per IgM (Figura 11) è opportuno utilizzare il test per l’avidità di IgG per stabilire se l’infezione sia acuta o cronica. Nelle fasi precoci dell’infezione sono poche le IgG ad alta affinità per l’antigene, mentre in un’infezione cronica aumentano. Se l’avidità è alta, possiamo escludere un’infezione acuta, altrimenti bisogna ripetere il dosaggio delle IgG dopo 3 settimane: se i livelli di IgG sono stabili, l’infezione è stata contratta in un periodo antecedente i 2-3 mesi dall’esecuzione del primo prelievo, altrimenti nella finestra dei 2-3 mesi dal prelievo67.

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Figura 11. Diagramma di flusso per la diagnosi sierologica di toxoplasmosi in caso di IgG positive e IgM positive.

Villard O. et al. (2016)67

In caso di IgG dubbie e IgM negative (Figura 12), si pone il problema di caratterizzare il profilo immunologico del paziente, che dipende anche dalla soglia della tecnica utilizzata. È pertanto raccomandata una seconda prova con una metodica diversa: se il titolo rimane dubbio, si raccomanda l’esecuzione in un centro di riferimento del dye test o dell’immunoblot al fine di confermare il basso titolo anticorpale e assicurare alle donne in gravidanza e ai pazienti immunocompromessi le corrette misure profilattiche. Se invece il titolo IgG è positivo, ai pazienti immunocompromessi viene avviato il protocollo di trattamento in base ai segni clinici, mentre alle donne in gravidanza viene ripetuto un secondo prelievo a distanza di tre settimane67.

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Figura 12. Diagramma di flusso per la diagnosi sierologica di toxoplasmosi in caso di IgG dubbie e IgM negative.

Villard O. et al. (2016)67

La toxoplasmosi, essendo un’infezione opportunistica, comporta un alto rischio di complicanze nei pazienti affetti da AIDS e in coloro che ricevono un trapianto di cellule staminali o organi solidi (Figura 13). In questi casi, due sono le popolazioni a rischio: pazienti che non sono mai venuti a contatto con T. gondii che possono essere a rischio di presentare toxoplasmosi acuta e potenzialmente letale e nei quali la diagnosi di infezione rappresenta un’emergenza, e pazienti con infezione latente che sono a rischio di riattivazione. La diagnosi in questi pazienti è sempre difficoltosa, soprattutto per le manifestazioni cliniche aspecifiche di questa patologia. La sierologia è essenziale per stabilire se questi pazienti siano o meno a rischio di riattivazione. Inoltre, è necessario tener conto dello status immunologico sia del ricevente che del donatore, nonostante la sierologia sia spesso di interesse limitato in quanto l’immunodeficienza e il trattamento immunosoppressivo determinano anche un effetto inibitorio significativo sulle cellule B, che producono immunoglobuline una volta divenute plasmacellule. L’immunodeficienza tuttavia può facilitare la disseminazione dell’infezione. La diagnosi diretta attraverso PCR è pertanto fortemente raccomandata in caso di sierologia negativa, in

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quanto essa assicura un’alta sensibilità. In particolare, lo screening sierologico dei donatori e dei riceventi nel trapianto di organo solido permette di identificare pazienti a più alto rischio di presentare toxoplasmosi in seguito a trapianto da donatore positivo (donatore +/ricevente- o D+/R-, mismatch). I sintomi clinici compaiono solitamente nei tre mesi successivi al trapianto. Gallino et al. (1996) hanno stimato che l’incidenza di toxoplasmosi in caso di mismatch possa arrivare fino a circa il 50-70% in assenza di profilassi con cotrimoxazolo. La trasmissione dell’infezione da donatore sieropositivo a ricevente sieropositivo è possibile anche se è difficile distinguere una trasmissione derivata dal trapianto dalla riattivazione dell’infezione nel ricevente67.

Figura 13. Diagramma di flusso per la diagnosi sierologica di toxoplasmosi in caso di pazienti immunocompromessi. B, trapianto di organo solido. A, AIDS. C, trapianto di cellule staminali ematopoietiche.

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1.4.2 Diagnosi diretta

Polymerase Chain Reaction - PCR

L’amplificazione mediante Polymerase Chain Reaction (PCR) della sequenza ripetuta 35 del gene B1 per la ricerca del DNA di T. gondii nei liquidi biologici e tessuti corporei è stata usata con successo per la diagnosi diretta di toxoplasmosi congenita, cerebrale, oculare e disseminata69.

La sensibilità dei risultati della PCR può essere influenzata dall’appropriatezza della manipolazione del campione, dalle condizioni di spedizione e di stoccaggio dei materiali, dalle tecniche usate per l’amplificazione e la ricerca dei prodotti di PCR, e infine da un uso precedente alla raccolta del campione di farmaci specifici contro il Toxoplasma. Se la contaminazione non è un problema, la specificità e il valore predittivo positivo si avvicinano al 100%1.

La PCR su liquido amniotico ha rivoluzionato la diagnosi prenatale di toxoplasmosi congenita, permettendo una diagnosi precoce ed evitando il ricorso a procedure più invasive per il feto. Nei nuovi nati con sospetta toxoplasmosi congenita sarebbe opportuno valutare sempre tramite PCR il sangue periferico, il fluido cerebrospinale e le urine.

Nei pazienti immunocompromessi, in cui si sospetta una toxoplasmosi locale o disseminata, la PCR su sangue, fluidi corporei, aspirato midollare o tessuti è di notevole aiuto66. Non è utile

invece effettuare una PCR su tessuto cerebrale perchè potrebbe non distinguere un paziente con encefalite toxoplasmica da un individuo con differenti patologie cerebrali e con infezione cronica da Toxoplasma1.

Un isolamento dal sangue o da fluidi corporei del parassita dimostra la presenza di infezione acuta, ma le tecniche di isolamento espongono al rischio di manipolare parassiti vivi e non sono sensibili; tuttavia queste rimangono però molto accurate per la tipizzazione dei ceppi66.

La tecnica immunoistochimica dell’immunoperossidasi, che utilizza antisieri specifici verso T.

gondii,si è dimostrata essere sia sensibile che specifica e superiore alla ricerca diretta su sezione di tessuto colorato1. Questa tecnica è stata utilizzata con successo per mostrare la presenza del

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1.5 Trattamento della toxoplasmosi

1.5.1 Infezione nel paziente immunocompetente

La linfoadenite in soggetti adulti o bambini immunocompetenti non viene solitamente trattata a meno che non si sviluppi una sintomatologia grave. Se eseguito, il trattamento prevede una combinazione di pirimetamina, sulfadiazina o clindamicina e acido folico per quattro-sei settimane. L’infezione contratta accidentalmente in laboratorio o per trasfusioni di sangue è di solito la più grave e necessita quasi sempre di trattamento1, 71.

1.5.2 Infezione materna e fetale

Il trattamento prenatale in presenza di sieroconversione durante la gravidanza non riduce significativamente il rischio di trasmissione dell’infezione, ma permette di ridurre la gravità della toxoplasmosi congenita72, 73.

Nella figura 14 di seguito viene descritto il diagramma di flusso per la diagnosi di sospetta toxoplasmosi materna, al fine di orientarne il trattamento74.

Figura 14. Diagnosi ed approccio terapeutico di toxoplasmosi congenita. Toxoplasma HA = Hemoagglutination. Yamada H et al. (2011)74.

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31 La scelta del farmaco per il trattamento della toxoplasmosi congenita dipende dal fatto che il feto sia o meno infetto dal parassita. Nel caso in cui il feto non sia infetto, viene generalmente utilizzata come profilassi spiramicina, un antibiotico appartenente alla classe dei macrolidi che si concentra nella placenta, ma non è in grado di attraversarla e pertanto impedisce al parassita di attraversarla prevenendo la trasmissione verticale. La spiramicina viene generalmente somministrata ad un dosaggio di 1 grammo ogni otto ore per tutta la durata della gravidanza fino a che la PCR su liquido amniotico non si negativizza. Se invece si sospetta o è stata diagnosticata un’infezione fetale, vengono utilizzati per il trattamento pirimetamina e sulfadiazina. La pirimetamina è un antagonista dell’acido folico che agisce sinergicamente con i sulfonamidi, di cui fa parte la sulfadiazina, ma non può essere utilizzata durante il primo trimestre di gravidanza in quanto potenzialmente teratogeno. Dal momento che questo farmaco causa una soppressione dose-dipendente del midollo osseo viene somministrato insieme ad acido folinico (diasteroisomeri del 5-formil derivato dall’acido tetraidrofolico). La combinazione di questi farmaci riduce significativamente la gravità della malattia1, 72. In molti

Paesi, tra cui l’Italia, il trattamento della toxoplasmosi fetale viene continuato per tutto il primo anno di vita del neonato utilizzando la combinazione descritta, al posto della spiramicina in monoterapia, in quanto può provocare un pericoloso allungamento dell’intervallo QT all’ECG; vengono inoltre effettuati durante tutto il periodo pediatrico controlli annuali del fundus oculi (in quanto è possibile che, benché l’infezione congenita sia generalmente asintomatica, possano svilupparsi nuove lesioni corioretiniche) e controlli dello sviluppo neuromotorio con particolare riferimento anche all’udito, dal momento che studi clinici confermano l’associazione positiva tra toxoplasmosi congenita ed ipo- od acusia, correlata con la precocità e tempestività dell’eventuale trattamento farmacologico75.

1.5.3 Corioretinite

La scelta terapeutica della corioretinite toxoplasmica deve essere successiva ai risultati della visita specialistica oculistica, in particolare ne viene raccomandato il trattamento in caso di rilevazione di intensa risposta infiammatoria e vicinanza delle lesioni retiniche con la fovea e/o il disco ottico1,76. Generalmente si rilevano bassi titoli di anticorpi IgG e IgM assenti in corso di

corioretinite acuta da riattivazione di toxoplasmosi congenita, mentre coloro che sviluppano infezione oculare secondaria a toxoplasmosi acquisita postnatale mostrano reperti sierologici maggiormente significativi 43.

Il trattamento della corioretinite toxoplasmica prevede generalmente un’associazione di pirimetamina, sulfadiazina e prednisone, anche se l’utilizzo di clindamicina o cotrimoxazolo ha

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32 dato risultati positivi. Dal momento che l’infezione oculare nell’individuo immunocompetente è di solito autolimitante, molti medici non raccomandano il trattamento di lesioni retiniche periferiche, che non causano una riduzione del visus. L’utilizzo di cicli ripetuti di cotrimoxazolo riduce significativamente il rischio di recidiva43, 77. Nel caso di lesioni oculari non diagnostiche

o scarso successo della terapia farmacologica, viene ricercata la risposta abnorme ad anticorpi nei fluidi oculari (coefficiente di Goldman-Witmer: titolo anticorpale oculare * Ig totali nel siero / titolo anticorpale sierico * Ig totali oculari: se è > 2 è fortemente suggestivo di toxoplasmosi oculare) ed il parassita stesso tramite PCR al fine di stabilire la diagnosi accurata1,78.

1.5.4 Infezione nel paziente immunocompromesso

I soggetti sieronegativi che ricevono un trapianto sono coloro che più facilmente vengono infettati da T. gondii attraverso l’allotrapianto da donatore sieropositivo; in questi casi l’uso di cotrimoxazolo è molto efficace nel prevenire la malattia. La riattivazione di infezione latente nel ricevente sieropositivo (D-/R+ o D+/R+) è il più comune meccanismo di presentazione di toxoplasmosi in corso di trapianto di midollo osseo, di cellule staminali ematopoietiche e di fegato, e in persone affette da AIDS, come affermato da Montoya et al. (2004)1. Il trattamento

maggiormente utilizzato per i pazienti immunocompromessi con toxoplasmosi è l’associazione pirimetamina, sulfadiazina ed acido folico; la clindamicina può essere utilizzata al posto della sulfadiazina in caso di intolleranza ai sulfonamidi. La terapia viene di solito proseguita fino a quattro-sei settimane dopo la risoluzione di tutti i segni e sintomi della malattia. In caso di pazienti affetti da AIDS viene raccomandato il trattamento con cotrimoxazolo al posto di pirimetamina e sulfadiazina79.

In caso di encefalite acuta con compromissione delle funzioni cerebrali alla combinazione di pirimetamina e sulfadiazina viene associato atovaquone80. In seconda linea si utilizzano

claritromicina, azitromicina e dapsone, malgrado la loro efficacia sia ancora non ben stabilita e vengano comunque associati alla pirimetamina44.

Dopo la risoluzione della fase acuta viene instaurata una terapia di mantenimento, utilizzando i medesimi farmaci alla metà della dose della terapia d’attacco, e questa viene mantenuta per tutta la vita del paziente o fino alla risoluzione della condizione di immunodepressione1; in

particolare nei pazienti affetti da AIDS la dose di mantenimento viene sospesa quando la conta dei CD4+ supera le 200 cellule/mL e la viremia di HIV da sangue periferico è efficacemente controllata per almeno sei mesi81.

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1.6 Toxoplasmosi in corso di trapianto d’organo solido o di

cellule staminali

In uno studio condotto da Fabiani et al. (sottomesso nel 2017) sono stati presi in esame tutti i casi di parassitosi in riceventi di trapianto di organo solido (SOT) presenti in letteratura dal 1996 al 2016. Per quanto riguarda la toxoplasmosi, in questi venti anni i casi documentati sono stati 162, per la maggior parte a seguito di trapianto d’organo con un elevato numero di cisti tissutali. Nei pazienti trapiantati essa si può sviluppare sia da trasmissione del parassita attraverso l’organo trapiantato da donatore sieropositivo a ricevente sieronegativo (D+/R-) che come riattivazione di infezione latente nel ricevente sieropositivo. La trasmissione di T. gondii può avvenire anche da D+ a R+, ma in questo caso è difficoltoso confermare la trasmissione a seguito del trapianto differenziandola da quella che potrebbe essere una riattivazione dell’infezione latente nel ricevente sieropositivo (R+). Questa ipotesi è stata comunque suggerita da studi in cui l’analisi eseguita mediante WB ha evidenziato una neosintesi di IgG, probabilmente correlata al differente riconoscimento degli epitopi antigenici da parte del sistema immunitario di ciascun individuo, oppure, ma non è stato mai dimostrato finora, a genotipi diversi del parassita82.

Dei 162 casi di toxoplasmosi dopo SOT, quelli che riguardano il trapianto di fegato sono stati 19 (11,7%), preceduti solo da cuore (34%) e rene (46,3%). La modalità di presentazione del parassita, nei casi in cui il meccanismo era noto, è stata proprio il trapianto (31,5%), tuttavia nell’8% dei casi si ha avuto una riattivazione del parassita82.

Una review del 2008 di Derouin et al. segnala che il rischio di trasmissione in corso di trapianto è significativamente maggiore in caso di trapianto di organi solidi piuttosto che in caso di trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, che tuttavia hanno un rischio maggiore in caso di riattivazione in toxoplasmosi latente per via di una duranta più prolungata del trattamento immunosoppressivo28. Sempre in questa review, facendo riferimento anche a studi

condotti da Campbell et al., l’inizio della manifestazione dei sintomi avviene mediamente attorno ai 24 giorni dal trapianto in caso di mismatch tra ricevente e donatore28, mentre tra i casi

noti nello studio di Fabiani et al. (il 50%), la maggior parte dei pazienti (37,1%) ha mostrato i sitnomi d’esordio dell’infezione tra i 30 e i 100 giorni82. Dal momento che il numero dei

trapianti effettuati nel mondo cresce costantemente, anche l’incidenza della patologia associata con la riattivazione di toxoplasmosi latente continua a crescere83. Dai dati in letteratura non è

possibile fare una stima reale dei casi di toxoplasmosi nei riceventi di trapianto di organo solido, tuttavia c’è un trend positivo nel numero di pubblicazioni, dovuto probabilmente a un

(35)

34 incrementato numero di pazienti trapiantati e trattati con immunosoppressori, ma anche un’aumentata attenzione alla diagnosi/notifica/pubblicazione di casi82.

1.6.1 Manifestazioni cliniche di toxoplasmosi in corso di trapianto d’organo

La gravità del quadro clinico dipende dall’entità della soppressione immunologica indotta dal trattamento immunosoppressivo. Inizialmente la sintomatologia può essere aspecifica con febbre e sintomi respiratori e neurologici, seguiti poi dalla disseminazione ai vari organi con corioretinite, miocardite, encefalite, polmonite e multiple organ failure (MOF). La mortalità della malattia disseminata è del 80%84.

1.6.2 Diagnosi di toxoplasmosi in pazienti sottoposti a trapianto d’organo

La diagnosi di toxoplasmosi in corso di trapianto d’organo si basa sull’individuazione di segni e sintomi, che possono essere aspecifici e pertanto fuorvianti, eventualmente l’ausilio dell’imaging, soprattutto in caso di impegno del SNC, sulla sierologia, con la limitazione indotta dai bassi titoli anticorpali dovuti al trattamento immunosoppressivo, e soprattutto sull’osservazione diretta al microscopio dei parassiti nel sangue, nei fluidi corporei e nei tessuti. Per via della bassa sensibilità dei metodi diretti, in associazione alla microscopia vengono utilizzati metodi di arricchimento, in particolare inoculo nel topo, che permette inoltre l’isolamento dei ceppi e la loro genotipizzazione, ma ha un tempo di risposta di quattro settimane, e più recentemente l’utilizzo delle tecniche di PCR; la positività al test PCR eseguito su sangue, anche in assenza di evidenza di coinvolgimento d’organo è suggestivo di toxoplasmosi28,85; d’altra parte un risultato negativo della PCR ha un alto valore predittivo

negativo, malgrado non permetta da solo di escludere la diagnosi di toxoplasmosi86.

La diagnosi di toxoplasmosi da riattivazione di infezione latente deriva o dal rilievo di un aumento dei titoli anticorpali di IgG, con valori normali di IgM e IgA o, come detto precedentemente, da analisi eseguite con WB; queste IgG hanno un’elevata avidità, la quale indica una riattivazione piuttosto che una risposta immunologica primaria. L’aumento delle IgM può essere osservata nei pazienti soggetti a trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche come risposta primaria delle cellule trapiantate da donatore sieronegativo. Tuttavia non è ancora chiara la relazione tra riattivazione sierologica in pazienti riceventi sieropositivi e malattia conclamata28. Nello studio condotto da Fabiani et al. la metodica che

(36)

35 (11%), ma nella maggior parte dei casi da loro osservati purtroppo non si fa riferimento al metodo diagnostico utilizzato (77,8%)82.

1.6.3 Profilassi per toxoplasmosi in corso di trapianto d’organo

L’uso della profilassi con cotrimoxazolo, utilizzato anche per la prevenzione dell’infezione da

Pneumocystis jirovecii, ha diminuito drasticamente l’incidenza di toxoplasmosi in corso di

trapianto d’organo, particolarmente elevata in caso di trapianti di cuore rispetto agli altri organi solidi87, come evidenziato in una review di Campbell et al., che ha identificato solo 52 casi di

toxoplasmosi in trapianti di organi non cardiaci in 40 anni88.

Il follow-up sierologico è utile in caso di mismatch tra donatore positivo e ricevente negativo (D+/R-), dal momento che la sieroconversione indica l’avvenuta trasmissione dell’infezione da

T. gondii, mentre negli altri casi di trapianto sia di organi solidi che di cellule staminali

ematopoietiche ha minore utilità in quanto un incremento dei titoli anticorpali non è indicativo di patologia in atto. La PCR è la metodica maggiormente informativa per pazienti a rischio, essendo in grado di rilevare i segni precoci della malattia, tuttavia, per via del costo elevato del test, dovrebbe essere riservata a pazienti ad alto rischio o che non abbiano ricevuto o non tollerano la profilassi con cotrimoxazolo28,89.

Dallo studio di Fabiani et al. emerge che su 162 pazienti, il 46% ha ricevuto il trattamento standard, mentre negli altri casi non è stato possibile valutarlo.

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