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Disfunzione diastolica e rimodellamento ventricolare sinistro: classificazione ed impatto prognostico di una analisi combinata strutturale e funzionale ecocardiografica in una coorte di pazienti a rischio di scompenso cardiaco

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso Di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

DISFUNZIONE DIASTOLICA E RIMODELLAMENTO VENTRICOLARE

SINISTRO: CLASSIFICAZIONE ED IMPATTO PROGNOSTICO DI UNA

ANALISI COMBINATA STRUTTURALE E FUNZIONALE

ECOCARDIOGRAFICA IN UNA COORTE DI PAZIENTI A RISCHIO DI

SCOMPENSO CARDIACO

Relatore:

Chiar.ma Prof. Rossella Di Stefano Correlatore:

Dott. Iacopo Fabiani

Candidato: Laura Bertini

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INDICE

1. RIASSUNTO 5 2. SCOMPENSO CARDIACO 7 2.1 introduzione 7 2.2 classificazione 7 2.3 epidemiologia 10 2.4 eziologia 11 2.5 sintomi 11 2.6 diagnosi 13 2.7 prognosi 13

3. SCOMPENSO A FRAZIONE DI EIEZIONE PRESERVATA 14

3.1 introduzione 14 3.2 fisiopatologia 15 3.3 clinica 15 3.4 diagnosi 16 3.5 morbilità 16 3.6 prognosi 16

3.7 fattori prognostici nei pazienti con scompenso a frazione di eiezione preservata 17

4. LA DISFUNZIONE DIASTOLICA 19

4.1 introduzione 19

4.2 epidemiologia 19

4.3 fisiologia della diastole 20

4.4 valutazione della funzione diastolica 23

4.5 valutazione ecocardiografica della funzione diastolica del ventricolo sinistro 24

4.6 condizioni patologiche associate alla disfunzione diastolica 34

5. IL RIMODELLAMENTO CARDIACO 45

5.1 definizione 45

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5.3 storia naturale del rimodellamento cardiaco 47

5.4 reversibilità del rimodellamento ventricolare sinistro 48

5.5 classificazione del rimodellamento cardiaco 48

5.6 parametri ecocardiografici per la valutazione del rimodellmaneto ventricolare 50

6. STUDIO CLINICO 53

6.1 obiettivo dello studio 53

6.2 materiali e metodi 54

6.2.1 popolazione in studio 54

6.2.2 ecocardiografia 55

6.2.3 valutazione della disfunzione diastolica 55

6.2.4 valutazione del rimodellamento del ventricolo sinistro 56

6.2.5 follow-up e outcome 56

6.2.6 analisi statistica 56

6.3 risultati 58

6.3.1 disfunzione diastolica del ventricolo sinistro 59

6.3.2 rimodellamento del ventricolo sinistro 63

6.3.3 analisi del follow-up 63

6.4 discussione 71

6.4.1 i risultati dello studio 71

6.4.2 il ruolo prognostico della disfunzione diastolica nei pazienti a rischio di scompenso 71

6.4.3 il ruolo prognostico del rimodellamento ventricolare nei pazienti a rischio di scompenso 73

6.4.4 l’importanza dell’analisi integrata strutturale e funzionale 74

6.4.5 limiti dello studio 76

7. CONCLUSIONI 77

7.1 cosa aggiunge il nostro studio alle conoscenze attuali 77

8. BIBLIOGRAFIA 78

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1. RIASSUNTO

La disfunzione diastolica e il rimodellamento cardiaco rappresentano le basi fisiopatologiche dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata. Nonostante questa sindrome clinica derivi dall’interazione di più meccanismi patogenetici, la disfunzione diastolica e il rimodellamento svolgono un ruolo cruciale nella patogenesi e ne rappresentano lo stadio pre clinico.

Lo studio clinico di seguito presentato ha l’obiettivo di valutare l’impatto prognostico degli algoritmi diagnostici per la disfunzione diastolica, dei metodi classificativi per il rimodellamento cardiaco e di una valutazione combinata strutturale e funzionale, in una coorte ampia di pazienti a rischio di scompenso cardiaco (appartenenti allo stadio A e B della classificazione ACC/AHA).

Abbiamo selezionato 1923 pazienti a rischio di scompenso cardiaco (di cui il 43% maschi; età media 57 anni, 33-76) afferenti ad uno studio multicentrico (“la disfunzione asintomatica del ventricolo sinistro”, DAVES – Società Italiana di Ecocardiografia e Imaging Cardiovascolare, SIEC) comprendente 19 ambulatori di ecocardiografia. È stat valutata la funzione diastolica con tre algoritmi diagnostici (Paulus 2007, Nagueh 2009 e Nagueh 2016) e il rimodellamento cardiaco con il modello classico e complesso di classificazione (Complex Remodeling Classification-CRC).

Abbiamo considerato un end point composito: morte per tutte le cause, ospedalizzazione per aggravamento di scompenso cardiaco ed edema polmonare.

La disfunzione diastolica, valutata con i tre algoritmi diagnostici, è stata osservata in una piccola percentuale di pazienti. La maggior prevalenza è stata rilevata con l’algoritmo diagnostico del 2009 (11%, 211 pazienti) mentre con l’algoritmo del 2016 è stata riscontrata la percentuale più bassa (3,3%, 63 pazienti p < 0,001). La proporzione di pazienti con funzione diastolica indeterminata è risultata simile usando tutti e tre gli algoritmi, con una prevalenza lievemente più alta usando l’algoritmo del 2016 (8%).

Secondo la classificazione tradizionale del rimodellamento cardiaco, 731 pazienti (38%) hanno mostrato ipertrofia (concentrica 385, 20% ed eccentrica 346, 18%); con la classificazione CRC 486 pazienti (25,3%) hanno presentato ipertrofia (concentrica 294-15,3%, mista 39-2%, ipertrofia dilatata 80-4,2%). 294 pazienti sono risultati non classificabili.

Dopo un follow up mediano di 29 mesi, l’analisi multivariata con regressione di Cox aggiustata per età, sesso, storia di cardiopatia ischemica e classificazione tradizionale del rimodellamento, ha indicato come migliori predittori indipendenti di end point l’algoritmo diagnostico Nagueh 2016 (p<0,001) e la classificazione CRC (p=0,01).

All’analisi di sopravvivenza a 60 mesi i pazienti con ipertrofia, in particolare concentrica ed eccentrica, hanno mostrato una prognosi peggiore.

La presenza contemporanea di disfunzione diastolica (Nagueh 2016) e di ipertrofia (CRC) si associa ad una prognosi peggiore rispetto a quella calcolata per i gruppi di pazienti con ipertrofia o disfunzione diastolica.

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L’analisi di sopravvivenza è stata effettuata anche per i pazienti con funzione diastolica indeterminata, confrontando la prognosi di questo gruppo di pazienti con quella dei pazienti con funzione diastolica indeterminata e ipertrofia secondo la classificazione CRC. In conclusione l’analisi ha mostrato una prognosi peggiore per il secondo gruppo di pazienti. In conclusione l’analisi integrata, strutturale (secondo CRC) e funzionale (secondo Nagueh 2016), migliora la stratificazione prognostica dei pazienti a rischio di scompenso cardiaco.

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2. LO SCOMPENSO CARDIACO

2.1 Introduzione

Lo scompenso cardiaco è, ad oggi, definito come una sindrome clinica caratterizzata da segni e sintomi tipici, causati da modifiche cardiache strutturali e/o funzionali che provocano un’alterazione dell’ output cardiaco e/o un aumento delle pressioni intracardiache a risposo o sotto sforzo¹.

L’attuale definizione di scompenso cardiaco è applicabile esclusivamente a pazienti sintomatici; gli asintomatici, seppure portatori di anomalie strutturali o funzionali cardiache, (ad esempio pazienti con disfunzione diastolica o sistolica del ventricolo sinistro) sono da considerare come pazienti “a rischio” di scompenso cardiaco. Riconoscere tale categoria di pazienti è di cruciale importanza in quanto l’inizio precoce del trattamento, soprattutto per i pazienti con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro, può portare ad una riduzione della mortalitಠ³.

Numerose sono le patologie che possono portare allo sviluppo dello scompenso cardiaco. Tra queste si annoverano, ad esempio, anomalie miocardiche che causano disfunzione sistolica e/o diastolica, valvulopatie, patologie del pericardio, dell’endocardio e disturbi del ritmo e della conduzione. La comprensione della precisa patogenesi è fondamentale per ottimizzare e personalizzare il trattamento medico.

2.2 Classificazione

Le più recenti Linee Guida, promulgate dalla Società Europea di Cardiologia nel 2016 (linee guida ESC 2016)¹, categorizzano lo scompenso cardiaco in base al valore della frazione di eiezione del ventricolo sinistro, calcolata con metodica ecocardiografica, con scintigrafia miocardica o con risonanza magnetica.

Vengono così identificate tre distinte categorie di scompenso cardiaco:

- Scompenso a frazione di eiezione ridotta (HFrEF-Heart Failure with Reuced Eiection Fraction), con frazione di eiezione del ventricolo sinistro <40%

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- Scompenso a frazione di eiezione preservata (HFpEF-Heart Failure with Preserved Eiection Fraction ), con frazione di eiezione del ventricolo sinistro ≥ del 50%

- Scompenso a frazione di eiezione moderatamente ridotta (HFmrEF-Heart Failure with mid range Eiection Fraction), con frazione di eiezione compresa tra il 40% e il 49%. Le tre sottoclassi appena presentate si distinguono per diversa patogenesi, caratteristiche demografiche, co-morbilità e risposta alla terapia.

I pazienti con HFpEF presentano frequentemente anomalie cardiache come l’aumento dello spessore del ventricolo sinistro e/o l’aumento del volume atriale, segno questo di aumentata pressione di riempimento ventricolare sinistra.

La disfunzione diastolica ed il rimodellamento ventricolare sono i maggiori caratterizzanti morfo-funzionali di questa peculiare sotto-classe di scompensati.

La categoria dello scompenso a frazione di eiezione moderatamente ridotta, solo recentemente introdotta con le ultime linee guida, individua un gruppo di pazienti con disfunzione sistolica ma che, al tempo stesso, presenta alcune caratteristiche tipiche dell’HFpEF.

La classe dello scompenso a frazione di eiezione ridotta è quella che fino ad oggi è stata più studiata e l’unica in cui la terapia è in grado di ridurre la morbilità e la mortalità.

Viceversa le altre due classi, rappresentano categorie ancora da studiare per comprenderne in modo completo patogenesi, caratteristiche cliniche e strategia terapeutica.

Esistono inoltre due ulteriori classificazioni dello scompenso cardiaco, focalizzate sulla sintomatologia del paziente: la classificazione della New York Heart Association (NYHA)⁴ e quella della American College of Cardiology Foundation/American Heart Association (ACCF/AHA)⁵.

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9 NYHA

ACCF/AHA

È importante notare come questa classificazione ponga un’attenzione particolare anche alle fasi precliniche dello scompenso cardiaco (stadio A e B).

Classe 1 Il paziente non presenta limitazione all’attività fisica. Le attività normalmente svolte dal paziente non causano dispnea, affaticamento o palpitazioni.

Classe 2 È presente una lieve limitazione all’attività fisica. Il paziente non presenta sintomi a riposo ma le attività fisiche normalmente svolte dal paziente causano, dispnea, affaticamento o palpitazioni.

Classe 3 È presente una marcata limitazione all’attività fisica. Il paziente non ha sintomi a riposo ma attività inferiori a quelle normalmente svolte causano dispnea, affaticamento o palpitazioni

Classe 4 Il paziente non è in grado di svolgere alcuna attività senza presentare sintomi. I sintomi sono presenti a riposo. Per qualsiasi attività venga intrapresa, i sintomi aumentano.

A Pazienti ad alto rischio per scompenso ma senza alterazioni strutturali cardiache o sintomi tipici di scompenso

B Pazienti con alterazioni strutturali cardiache ma senza segni o sintomi di scompenso

C Pazienti con alterazioni strutturali cardiache e sintomi presenti al momento o che sono stati presenti in precedenza

D Scompenso cardiaco refrattario e che richiede interventi specialistici

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2.3 Epidemiologia

La prevalenza dello scompenso si attesta intorno all’1-2% della popolazione adulta nei paesi sviluppati, divenendo superiore al 10% tra le persone con più di 70 anni⁶⁻⁹.

Tra gli individui con più di 65 anni, che presentano per la prima volta dispnea da sforzo, uno su sei in media ha scompenso cardiaco non riconosciuto, prevalentemente HFpEF¹º ¹¹. Si stima che il rischio globale di sviluppo di scompenso cardiaco nel corsa dell’intera vita sia del 33% per gli uomini e del 28% nelle donne⁸.

L’esatta proporzione di pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, tra tutti i pazienti con scompenso, è di difficile definizione; i dati ottenuti a tal proposito presentano un ampio range oscillante tra il 22 e il 73%, frutto di una variabilità inerente alla definizione applicata, al setting clinico, all’età, al sesso della popolazione in studio, alla presenza di precedente infarto miocardico ed all’anno della pubblicazione dei dati ⁹ ¹º ¹²⁻²². Si suppone che l’incidenza dello scompenso cardiaco possa calare nei prossimi anni, più per l’HFrEF che per l’HFpEF²² ²³. Alcuni autori sostengono invece che la prevalenza dell’HFpEF aumenterà nei prossimi anni, forse come conseguenza dell’invecchiamento della popolazione e della maggior capacità di diagnosi.

I pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata e quelli con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta presentano inoltre caratteristiche epidemiologiche senz’altro differenti; i primi sono tendenzialmente più anziani, di sesso femminile, più frequentemente affetti da ipertensione arteriosa e fibrillazione atriale mentre raramente hanno storia di infarto miocardico²³ ²⁴ .

I pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione lievemente ridotta (HFmrEF) presentano caratteristiche epidemiologiche intermedie tra le due classi principali di scompenso²⁵.

Negli ultimi 30 anni si è assistito ad una riduzione di mortalità e di tassi di ospedalizzazione nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta, grazie al miglioramento delle strategie terapeutiche.

Un recente studio epidemiologico (ESC-HF pilot study) ha valutato mortalità e tasso di ospedalizzazione nei pazienti con scompenso: la mortalità a 12 mesi-per tutte le cause nei pazienti ospedalizzati e ambulatoriali è risultata rispettivamente del 17% e il 7%; il tasso di

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ospedalizzazione a 12 mesi si è attestato al 44% ed al 32%, rispettivamente²⁶. Nei pazienti con scompenso, sia ospedalizzati che ambulatoriali, la mortalità è legata generalmente a cause cardiovascolari e principalmente a morte cardiaca improvvisa e riacutizzazione di scompenso cardiaco.

In generale la mortalità per tutte le cause è più alta nei pazienti con HFrEF piuttosto che in quelli con HFpEF²⁶ ²⁷.

Le cause di ospedalizzazione dei pazienti possono essere suddivise in cardiovascolari e non cardiovascolari; quest’ultime sono più frequenti nei pazienti con HFpEF e sono aumentate dal 2000 al 2010²².

2.4 Eziologia

L’eziologia dello scompenso cardiaco è eterogenea ed una classificazione eziologica univoca è di difficile elaborazione. Spesso, lo scompenso è il risultato di molteplici noxe patogene, che esitano nella determinazione finale di questa sindrome clinica. L’identificazione dei singoli elementi patologici è in ogni caso di fondamentale importanza, perché guida il trattamento.

2.5 Sintomi

Il corteo sintomatologico è ampio e la dispnea rappresenta per certo il sintomo cardine. La classificazione riportata di seguito identifica i sintomi ed i segni più o meno comuni:

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Sintomi tipici Sintomi meno tipici

Dispnea Tosse notturna

Ortopnea Respiro sibilante

Dispnea parossistica notturna Perdita di appetito

Ridotta tolleranza all’esercizio fisico Confusione mentale

Fatica Depressione

Edemi periferici Palpitazioni

lipotimia sincope Bendopnea

Segni specifici Segni meno specifici

Pressione venosa giugulare elevata Aumento di peso (più di due chili alla settimana)

Reflusso epatogiugulare Perdita di peso Ritmo di galoppo ventricolare Cachessia Itto della punta lateralizzato Edemi periferici

Soffi cardiaci Crepitii polmonari

Riduzione della ventilazione e ottusità alla percussione delle basi polmonari

tachicardia Polso irregolare tachipnea epatomegalia ascite Estremità fredde oliguria Polso flebile

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2.6 Algoritmo diagnostico

Quando un paziente si presenta per la prima volta con segni e sintomi indicativi di scompenso cardiaco, è opportuno procedere in primo luogo con la valutazione generale anamnestica, clinica e strumentale in modo tale da poter ottenere informazioni utili alla diagnosi. Si inizia quindi con l’anamnesi patologica remota e prossima, ricercando la presenza di un precedente infarto miocardico, di ipertensione arteriosa, dell’assunzione di farmaci cardiotossici o radiazioni a livello del torace, uso di diuretici, ortopnea o dispnea parosissistica notturna. Successivamente si passa all’esame fisico ponendo particolare attenzione alla ricerca di segni suggestivi di scompenso come i crepitii alle basi polmonari, edemi periferici bilaterali, turgore delle giugulari, spostamento laterale o aumento dell’itto della punta e soffi cardiaci. Infine si esegue un ECG.

Se non è presente nessuno degli elementi descritti, allora la diagnosi di scompenso cardiaco è poco probabile ed è opportuno orientarsi su una diagnosi alternativa.

Alternativamente, in presenza di almeno uno degli elementi sopracitati, la diagnosi di scompenso cardiaco risulta probabile. Il passaggio successivo può prevedere a questo punto il dosaggio dei livelli sierici di peptide natriuretico (Brain Natriuretic Peptide – BNP ) o del suo frammento amino terminale (NT-proBNP) rispettivamente la componente attiva ed inattiva di un peptide secreto dai miociti dei ventricoli cardiaci in risposta all'espansione di volume od al carico pressorio, il cui incremento al di sopra di specifici valori soglia (corrispondenti rispettivamente a 35 pg/mL per il BNP ed a 125 pg/mL per l’NT-pro BNP) è indicativo di stress parietale ventricolare sinistro e di sovraccarico di volume.

A questo punto dell’algoritmo diagnostico si renderà necessaria la valutazione ecocardiografica che potrà essere in grado di confermare l’ipotesi diagnostica e categorizzare lo scompenso cardiaco permettendo l’eventuale introduzione di una terapia farmacologica appropriata.

Se il dosaggio del BNP e proBNP è negativo allora la diagnosi di scompenso può essere esclusa. Quando il dosaggio non può essere fatto dovrebbe essere sempre effettuata una valutazione ecocardiografica¹.

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La sopravvivenza a cinque anni per tutti i pazienti con scompenso cardiaco è inferiore al 50%. Sebbene la sopravvivenza sia migliorata nel tempo per i pazienti con HFrEF, essa non è cambiata per i pazienti con HFpEF²³. Questo è dovuto alla mancanza di terapie in grado di migliorare la sopravvivenza di questi pazienti, a differenza di quanto accade nei pazienti con scompenso a frazione di eiezione ridotta.

3. SCOMPENSO A FRAZIONE DI EIEZIONE PRESERVATA

3.1 Introduzione

Lo scompenso a frazione di eiezione preservata è una variante dello scompenso cardiaco, che si caratterizza per valori di frazione di eiezione maggiori o uguali al 50%. Le caratteristiche epidemiologiche, eziopatogenetiche e prognostiche di questa peculiare forma di scompenso differiscono rispetto a quelle dello scompenso a frazione di eiezione ridotta. L’HFpEF è più frequente nelle donne e la sua prevalenza aumenta con l’avanzare dell’età²⁸. Riguardo a questa peculiarità epidemiologica, un’eccezione legata all’etnia è rappresentata dagli afroamericani, che possono sviluppare l’HFpEF in età più precoce rispetto al resto della popolazione. Tale andamento può essere ascritto alla coesistenza in questo caso di fattori di rischio come ipertensione, obesità e diabete mellito.

L’ipertensione arteriosa è il fattore eziologico che più frequentemente è coinvolto nello sviluppo dello scompenso a frazione di eiezione preservata, con una prevalenza di ipertesi tra i pazienti affetti da HFpEF dell’80-90% ²⁹. Per contro il dato anamnestico di cardiopatia ischemica è presente meno frequentemente in questa categoria di pazienti, rispetto all’HFrEF.

Altre patologie frequentemente associate ad HFpEF sono: - L’obesità: si osserva nel 30-50% dei pazienti

- Il diabete: si ha nel 20-30%

- La fibrillazione atriale: presente nel 20-30% dei casi - Disfunzione renale

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Alcune di queste possono essere patologie preesistenti in grado di contribuire alla determinazione delle alterazioni strutturali e funzionali responsabili della fisiopatologia dell’HFpEF e/o in grado di precipitare il grado di compenso determinando scompenso acuto ed influenzando quindi negativamente morbilità e mortalit೺.

L’associazione tra queste patologie e lo scompenso a frazione di eiezione preservata si riflette nelle alterazioni strutturali e funzionali frequentemente reperibili nei pazienti con HFpEF: normale FE, rimodellamento concentrico del ventricolo sinistro e disfunzione diastolica. La visione “classica” della scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, accomunava questa entità nosologica alla disfunzione diastolica. La visione più moderna dell’HFpEF si discosta da questo assioma, estendendo la definizione di scompenso a frazione di eiezione preservata anche a pazienti che non presentino disfunzione diastolica.

Il termine disfunzione diastolica si riferisce ad anomalie del riempimento del VS secondarie ad alterazioni della compliance, del rilasciamento e/o della retrazione dei cardiomiociti. Le anomalie della disfunzione diastolica possono sussistere in presenza o assenza di una sindrome clinica da scompenso e con funzione sistolica normale o alterata.

3.2 Fisiopatologia

La fisiopatologia dello scompenso a frazione di eiezione preservata non è stata ancora definita completamente; i due aspetti più importanti e meglio studiati sono la disfunzione diastolica e il rimodellamento del ventricolo sinistro, ma esistono comunque altri aspetti che contribuiscono alla patogenesi come la disfunzione sistolica ventricolare sinistra, la disfunzione vascolare extracardiaca, la mancanza di coordinazione tra cuore e sistema vascolare periferico³¹.

Queste alterazioni fisiopatologiche sono presenti a riposo e si accentuano con l’esercizio fisico o con l’aumento della frequenza: in queste condizioni il riempimento diastolico ventricolare può essere mantenuto solo con l’aumento della pressione atriale. L’aumento cronico della pressione atriale si riflette sul circolo polmonare determinando congestione polmonare, dalla quale derivano i sintomi tipici dello scompenso cardiaco.

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La sintomatologia è simile a quella dell’HFrEF, non consentendo un preciso discrimine clinico tra queste due forme.

3.4 Diagnosi

La diagnosi di scompenso a frazione di eiezione preservata è complicata: la frazione di eiezione è normale e i sintomi non permettono di differenziarlo ne dallo scompenso a frazione di eiezione ridotta ne da altre condizioni patologiche.

Per la diagnosi, secondo le ultime linee guida (ESC 2016), devono essere soddisfatti più requisiti:

- Presenza di segni e sintomi di scompenso cardiaco

- Presenza di frazione di eiezione superiore o uguale al 50%

- Livelli di BNP e NT-proBNP superiori rispettivamente a 35 pg/mL e a 125 pg/mL - Chiara evidenza di alterazioni strutturali e funzionali cardiache che possano spiegare la

presenza dello scompenso cardiaco, valutate tramite ecocardiografia¹.

In ogni caso il percorso diagnostico deve iniziare seguendo l’algoritmo che viene comunemente usato anche per l’HFrEF e deve proseguire valutando la presenza di tutti i requisiti necessari per la diagnosi. Tuttavia ancora mancano dei criteri diagnostici universalmente accettati.

3.5 Morbilità

La morbilità dei pazienti con HFpEF ed HFrEF è simile; la frequenza di ospedalizzazione, per entrambi le classi, si avvicina al 50% a sei mesi.

La morbilità, come la mortalità, è influenzata sicuramente dalle numerose patologie concomitanti che i pazienti presentano³².

3.6 Prognosi:

Esiste un’apparente discrepanza per quanto attiene i dati di mortalità, se si confrontano i risultati provenienti da studi epidemiologici e quelli dei trials randomizzati (RCT).

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I primi mostrano una mortalità annua di circa il 10%, mentre i secondi del 5%, una differenza almeno in parte ascrivibile all’esclusione dagli RCT di pazienti con comorbidità. E’ peraltro vero che la mortalità osservata nei pazienti con HFpEF non è esclusivamente legata alle patologie che concomitano come dimostrano i dati provenienti dagli stessi studi randomizzati nei quali i pazienti affetti da HFpEF con patologie precedenti e coesistenti, come ipertensione, diabete mellito e coronaropatie, sono risultati avere una mortalità più che doppia rispetto a quelli con ipertensione, coronaropatie, diabete mellito ma non affetti da HFpEF³³.

La maggior parte dei decessi (>70%) dei pazienti con HFpEF è dovuta a cause cardiovascolari, con un 20% legato all’insufficienza cardiaca e un 35% riconducibile a morte improvvisa³⁴. L’incidenza di decessi da cause non cardiovascolari è superiore nei pazienti con HFpEF rispetto ai pazienti con HFrEF e questo riflette l’età più elevata e le maggiori comorbilità presenti in questo gruppo di pazienti.

3.7 Fattori prognostici nei pazienti con HFpEF

I fattori prognostici nello scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata sono stati valutati nello studio I-PRESERVE³º che ha esaminato il valore prognostico di parametri clinici, laboratoristici ed ecocardiografici.

I valori clinici e laboratoristici più importanti sono risultati essere: - NT-proBNP - Età - Diabete mellito - Precedente ospedalizzazione - BPCO - Numero di neutrofili - Frequenza cardiaca

- Valore stimato di filtrazione glomerulare - Almbuminuria

Dallo studio dei parametri ecocardiografici è emerso che la massa del ventricolo sinistro e la dimensione dell’atrio sinistro sono correlati ad una maggior morbilità e mortalità.

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Lo studio TOPCAT³⁵ ha analizzato il valore prognostico di altri parametri ecocardiografici: è emerso che l’ipertrofia del ventricolo sinistro, il rapporto E/e’ e il picco di velocità del flusso del rigurgito transtricuspidalico, hanno valore prognostico indipendentemente dalle caratteristiche cliniche e laboratoristiche del paziente. Dato che l’ipertrofia del ventricolo sinistro spesso si associa ad elevate pressioni di riempimento e valori di PASP elevati, allora anche questi ultimi possono essere considerati fattori prognostici negativi.

Dallo studio KAREN³⁶ sono emersi risultati simili a quelli degli studi precedenti; in questo caso gli indicatori indipendenti di prognosi sono risultati:

- Età

- Storia di sincope non cardiaca - Valvulopatie

- Anemia - Iposodiemia

- Iperpotassiemia (indice di ridotta funzionalità renale)

In conclusione possiamo dire che i risultati di questi studi hanno stimolato l’interesse per la ricerca di ulteriori parametri ecocardiografici in grado di fornire informazioni aggiuntive circa la prognosi del paziente.

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4. LA DISFUNZIONE DIASTOLICA

4.1 Introduzione

La disfunzione diastolica è un’alterazione della funzionalità ventricolare sinistra caratterizzata dalla ridotta capacità del ventricolo a riempirsi o, in alternativa, a mantenere la gittata sistolica, senza determinare l’aumento delle pressioni di riempimento³⁷.

In un primo momento può essere asintomatica, ma successivamente, esitando nell’ aumento delle pressioni a monte del ventricolo sinistro, porta allo sviluppo della sintomatologia tipica dello scompenso cardiaco caratterizzata da ridotta tolleranza allo sforzo, dispnea ed infine edema polmonare.

L’evoluzione verso lo scompenso cardiaco può accompagnarsi o meno alla riduzione della frazione di eiezione potendo dar luogo sia allo scompenso a frazione di eiezione ridotta nonché preservata. La disfunzione diastolica, insieme al rimodellamento ventricolare sinistro, rappresenta una delle ipotesi patogenetiche meglio studiate dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata. È comune nell’ambito della popolazione generale e prevale nella popolazione anziana e nelle donne. Rappresenta un importante fattore di rischio per eventi avversi cardiovascolari e scompenso cardiaco.

La disfunzione diastolica caratterizza un ampio spettro di patologie di cui può rappresentare la prima e talvolta l’unica manifestazione di coinvolgimento cardiaco. L’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, l’obesità e la cardiopatia ischemica rappresentano i fattori di rischio più frequenti per lo sviluppo della disfunzione diastolica.

4.2 Epidemiologia

La prevalenza della Disfunzione Diastolica, come già accennato, aumenta con l’avanzare dell’età: va dal 27% al 43% negli individui di mezza età e diventa molto comune negli individui con più di 85 aa ³⁸ ³⁹ ⁴º ⁴¹. Rimane ancora oggetto di studio e ricerca se la disfunzione diastolica sia la conseguenza inevitabile della senescenza cardiaca o il risultato dell’accumularsi di numerosi fattori di rischio CV. È stato messo in evidenza, in più studi, il decremento della funzione diastolica del ventricolo sinistro con l’avanzare dell’età, in

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campioni di individui sani, senza patologie cardiovascolari o altri fattori di rischio. Questi dati supportano quindi l’ipotesi che l’invecchiamento da solo possa ridurre la funzione diastolica del ventricolo sinistro ⁴².

Nella popolazione generale l’ipertensione arteriosa è il fattore di rischio più comune per lo scompenso cardiaco e l’infarto miocardico: la progressione della cardiopatia ipertensiva verso lo scompenso cardiaco passa attraverso il rimodellamento concentrico, l’ipertrofia e la disfunzione diastolica ventricolare.

Un ruolo importante per la patogenesi della disfunzione diastolica è svolto dal rimodellamento cardiaco; possono essere presenti infatti alterazioni della funzione diastolica in assenza di segni ipertrofia: Zile et al.⁴³ hanno riscontrato la presenza di alterazioni della funzione diastolica in un gruppo di pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione conservata: più del 90% dei soggetti aveva parametri ecocardiografici indicativi di rimodellamento concentrico del ventricolo sinistro, in assenza di ipertrofia.

Fattori di predisposizione genetica possono concorrere alla patogenesi della disfunzione diastolica; recenti studi hanno documentato infatti che essa è riscontrabile già in giovani soggetti maschi, figli di ipertesi, sebbene normotesi⁴⁴: potrebbe quindi essere correlata a caratteristiche strutturali intrinseche del miocardio⁴⁵.

4.3 Fisiologia della diastole

La funzione diastolica normale consente al ventricolo di riempirsi adeguatamente durante il riposo e l’esercizio fisico, senza provocare l’aumento della pressione nell’atrio sinistro⁴⁶. Si distinguono due fasi:

- Caduta pressoria isovolumetrica o fase di rilasciamento isovolumetrico - Fase di riempimento, a sua volta divisa in:

- riempimento rapido ventricolare - riempimento lento o diastasi - sistole atriale.

La fase di rilasciamento isovolumetrico è una fase attiva, ATP-dipendente, che provoca la riduzione della pressione all’interno del ventricolo, essa avviene nell’arco temporale che intercorre tra la chiusura della valvola aortica e l’apertura della mitrale.

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I fattori determinanti del rilasciamento ventricolare sono: il carico emodinamico, l’inattivazione delle miofibrille, l’uniformità della distribuzione del carico, la dissincronia e la dissinergia dell’attività miocardica.

Un aumento del post carico determina il ritardo e il rallentamento della caduta pressoria e del riempimento precoce. In particolare aumenti tardivi del post carico accelerano l’inizio del rilasciamento del ventricolo sinistro, che poi si conclude più lentamente. Un aumento acuto del post carico (improvviso aumento pressorio ad esempio), a riposo o sotto sforzo, altera l’eiezione, rallenta la caduta pressoria, allunga il tempo necessario per il rilasciamento e riduce il ritorno elastico. Queste alterazioni riducono il gradiente pressorio atrio-ventricolare alterando, di conseguenza, il riempimento diastolico precoce, ed aumentando la pressione diastolica del ventricolo e dell’atrio sinistro.

La sincronia e la sinergia del miocardio favoriscono il rilasciamento ventricolare, mentre la dissincronia e la dissinergia (ad esempio conseguenti ad infarto, ischemia, asimmetria dell’ipertrofia o anomalie di conduzione) alterano il rilasciamento complessivo.

Successivamente inizia la fase di riempimento rapido ventricolare che, in condizioni fisiologiche, è responsabile di circa l’80% del volume telediastolico; il contributo che deriva da questa fase diminuisce con l’età e in presenza di molte condizioni patologiche. Il riempimento rapido dipende sia dalla fase di rilasciamento che dalla retrazione/aspirazione conseguente alla liberazione di energia potenziale accumulatasi durante la sistole ventricolare mediante la contrazione⁴⁷. La rapidità del riempimento dipende dall’entità del gradiente pressorio esistente tra la camera atriale e quella ventricolare, che a sua volta dipende dalle proprietà attive e passive di entrambi³⁷ come: il rilasciamento del miocardio, la retrazione elastica del VS, la rigidità diastolica del VS, la pressione dell’AS, la rigidità del pericardio, le caratteristiche delle vene polmonari e dall’area dell’orifizio mitralico.

Nel cuore normale, all’interno del range delle frequenze cardiache normali, il rilasciamento e la retrazione sono adeguati e durante la fase di diastole non si assiste ad un aumento della pressione atriale. In condizioni di esercizio fisico il rilasciamento e la retrazione vengono potenziati dall’effetto delle catecolammine (aumenta il gradiente atrio ventricolare e si potenzia di conseguenza anche il riempimento) e quindi, anche in questo caso, le pressioni atriali non aumentano.

Terminata la fase del riempimento rapido, inizia la fase di riempimento lento o diastasi (in mesodiastole). In questa fase il riempimento ventricolare continua ad una velocità minore,

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in quanto il gradiente atrio-ventricolare si è ridotto. La diastasi contribuisce per meno del 5% al riempimento ventricolare e in misura ancora minore quando aumenta la frequenza cardiaca.

L’ultima fase è quella della sistole atriale; è caratterizzata dalla contrazione della muscolatura atriale e, di conseguenza, dall’aumento della pressione atriale che crea un nuovo incremento della velocità del flusso atrio-ventricolare. Nel soggetto sano la sistole atriale contribuisce per il 15% circa al riempimento ventricolare. L’efficacia della sistole atriale è determinante ed è influenzata dai seguenti fattori: l’intervallo PR, lo stato inotropo del miocardio atriale, il precarico ed il post carico atriale, il tono autonomico e la frequenza cardiaca; quindi, ad esempio, la dilatazione atriale, l’aumento della frequenza, la riduzione del precarico e le aritmie la influenzano negativamente³⁷.

Quindi in conclusione possiamo distinguere due processi: il rilasciamento ventricolare e la compliance. Il primo è un processo attivo durante il quale le miofibrille tornano alla condizione di riposo. Il secondo rappresenta l’insieme delle proprietà passive del ventricolo sinistro durante la fase diastolica; la compliance viene espressa, nella pratica clinica, come rapporto volume/pressione³⁷. La relazione volume-pressione è influenzata negativamente dal rimodellamento concentrico del ventricolo sinistro e dalle alterazioni delle proprietà intrinseche del muscolo cardiaco⁴⁸.

Immagine: relazione pressione-volume del ventricolo sinistro durante il ciclo cardiaco; sulle ascisse sono rappresentati i volumi, sulle ordinate le pressioni.

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Immagine: relazione pressione-volume del ventricolo sinistro durante il ciclo cardiaco in presenza di disfunzione diastolica.

4.4 Valutazione della funzione diastolica

Il gold standard per la valutazione della funzione diastolica è il cateterismo cardiaco: esso permette la misurazione della pressione e del volume durante il ciclo cardiaco. Viene inserito un micromanometro nelle cavità cardiache funzionale alla misurazione della pressione all’interno della camera ventricolare. La tecnica descritta permette di valutare con precisione la compliance ventricolare⁴⁹.

I parametri emodinamici che permettono di descrivere le proprietà di rilasciamento del ventricolo sono:

- tau: costante di declino della pressione ventricolare in funzione del tempo. Descrive la velocità di caduta pressoria nel VS per effetto del rilasciamento isovolumetrico. Al crescere di tau aumenta il tempo necessario per la caduta della pressione e contemporaneamente aumenta l’alterazione del rilasciamento ventricolare. Il valore normale è <40 ms.

- Rapporto ΔP/ΔT: misura la velocità di caduta della pressione in un determinato momento. È fortemente influenzato dalla pressione del VS al momento della chiusura della valvola

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aortica ed è quindi post carico dipendente. I pazienti con HFpEF hanno ΔP/ΔT aumentato rispetto ai valori fisiologici e ciò indica che la velocità di rilasciamento è ridotta⁴⁸.

Altre metodiche che possono essere utilizzate sono l’angiografia con radionuclidi e la RMN. La prima metodica valuta il rilasciamento tramite il normalized filling peak rate che permette lo studio del riempimento ventricolare, e, conseguentemente della funzione diastolica; non rappresenta il metodo di scelta perché non fornisce una stima effettiva della pressione telediastolica, o della rigidità della parete miocardica, ed è fortemente influenzata dal pre carico⁵º. La RMN fornisce invece dati anatomici e funzionali trai quali anche la funzione diastolica ma, non rappresenta la metodica diagnostica di scelta data la scarsa praticità. L’ecografia è la metodica non invasiva più usata per la semplicità e ripetibilità, per la maggiore accuratezza nell’identificare eventuali anomalie, per il basso costo e l’assenza di radiazioni ionizzanti³⁷; le attuali raccomandazioni consigliano l’ecocardiografia per la valutazione della funzione diastolica.

4.5 Valutazione ecocardiografica della funzione diastolica del ventricolo sinistro

La tecnica ecocardiografica usata per valutare la funzione diastolica del ventricolo sinistro si avvale dello studio del flusso transmitralico con doppler pulsato, del flusso delle vene polmonari e della velocità di spostamento del tessuto miocardico in prossimità dell’anulus mitralico con il doppler tissutale.

Si registrano:

- l’onda E: corrisponde al flusso transmitralico durante la fase di riempimento precoce; l’onda E trans mitralica riflette il gradiente pressorio esistente tra atrio e ventricolo sinistro durante il riempimento precoce diastolico e per questo motivo è influenzata dal precarico e dalle alterazioni del rilasciamento ventricolare.

- l’onda A: corrisponde al flusso transmitralico durante la telediastole, quindi durante la sistole atriale. L’onda A riflette il gradiente pressorio tra atrio e ventricolo sinistro durante la telediastole ed è influenzata dalla compliance ventricolare e dalla funzione contrattile dell’atrio sinistro.

Le misurazioni vengono effettuate utilizzando la finestra apicale quattro camere e ponendo il volume campione del doppler in corrispondenza dell’estremità distale (tips) dei lembi

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mitralici. Una volta registrate le velocità del flusso transmitralico E ed A, si procede al calcolo del loro rapporto (E/A).

- deceleration time (DT): corrisponde al tempo che impiega la velocità del flusso protodiastolico transmitralico a ridursi fino ai valori minimi. È influenzato dal rilasciamento ventricolare, dalla compliance del ventricolo sinistro e dalla pressione intraventricolare dopo l’apertura della valvola mitralica.

- Le velocità transmitraliche sono strettamente collegate alla frequenza cardiaca, all’intervallo PR, all’età ed alla respirazione. La tachicardia ad esempio può determinare la fusione dell’onda E ed A e rendere mal valutabile la linea di decelerazione DT; in questo caso è opportuno tracciare una linea immaginaria che parte dal picco E ed arriva fino alla linea di base, per non sottostimare la misura del tempo di decelerazione. - Il tempo di rilasciamento isovolumetrico, IVRT, corrisponde al tempo in cui avviene la

fase di rilasciamento isovolumetrico; rappresenta l’intervallo tra la fine dell’eiezione aortica e l’inizio del flusso transmitralico. Viene valutato utilizzando la finestra apicale 5 camere: si posiziona il cursore del doppler continuo nel tratto di efflusso ventricolare sinistro, dove è possibile valutare sia il flusso sistolico che diastolico. A questo punto si misura il tempo che intercorre tra il termine del flusso sistolico e l’inizio del flusso diastolico. L’IVRT è aumentato in pazienti che presentano alterato rilasciamento ventricolare ma normali pressioni di riempimento ventricolari. Quando la pressione dell’atrio sinistro aumenta, l’IVRT diventa più breve e quindi la sua durata è inversamente correlata alle pressioni di riempimento del ventricolo sinistro.

In conclusione, alterazioni dei volumi ventricolari telesistolici o telediastolici, della fase di “svolgimento” del ventricolo sinistro e /o delle pressioni intraventricolari diastoliche influenzano direttamente le velocità di flusso transmitralico e gli intervalli di tempo come l’IVRT e il DT.

- Velocità di propagazione del flusso transmitralico (Vp): la velocità di flusso transmitralico nel soggetto normale raggiunge valori più elevati nella fase precoce della diastole.

- flusso venoso polmonare: è il risultato della cinetica sia ventricolare che atriale. Anche in questo caso possono essere registrate due onde, una sistolica (S) e una diastolica (D) tramite il doppler pulsato; queste rispecchiano sia i flussi di eiezione e rilasciamento ventricolare, che quelli di contrazione atriale.

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- L’onda sistolica S1 (positiva) è data dal rilasciamento atriale. L’onda S2 (positiva) corrisponde invece alla contrazione sistolica del ventricolo sinistro.

- L’onda diastolica D (positiva) corrisponde alla diastole ventricolare e di solito è uguale o poco inferiore rispetto alla S.

- Infine viene calcolata anche l’onda Ar, negativa e di piccola ampiezza, che corrisponde al flusso che si dirige verso le vene polmonari durante la contrazione atriale.

Anche queste ultime tre misurazioni vengono effettuate usando la finestra apicale quattro camere, con il volume del doppler pulsato che viene posizionato in corrispondenza dello sbocco della vena polmonare superiore destra. Dopo aver calcolato l’onda S, D e Ar, viene calcolato il rapporto S/D e la differenza tra la durata di Ar e A. Quest’ultima è associata all’aumento della pressione del ventricolo a causa dell’aumento della contrazione atriale e della pressione telediastolica ventricolare. Maggiore è il valore della differenza di tempo, tanto più alta è la pressione telediastolica ventricolare sinistra.

Oltre al doppler pulsato per la valutazione del flusso transmitralico, può essere utilizzato il doppler tissutale che misura, in questo caso, la velocità di movimento del tessuto miocardico, in prossimità dell’anello mitralico. Tale indice riveste un ruolo fondamentale per la valutazione e il grading della disfunzione diastolica unitamente al doppler transmitralico. Vengono registrate due onde:

- l’onda e’: rappresenta velocità di spostamento del tessuto miocardico in prossimità dell’anulus mitralico durante la fase protodiastolica. I determinanti emodinamici della velocità e’ sono il rilasciamento ventricolare, il precarico, la funzione sistolica e la minima pressione intraventricolare. In presenza di un alterato rilasciamento ventricolare, indipendentemente da un aumento della pressione atriale sinistra, la velocità dell’onda e’ è ridotta e ritardata.

- l’onda a’: rappresenta il movimento del tessuto miocardico in prosimità dell’anulus mitralico durante la fase tardiva della diastole. I principali determinanti emodinamici dell’onda a’ sono la funzione sistolica dell’atrio sinistro e la pressione telediastolica ventricolare sinistra; un aumento di quest’ultima provoca la riduzione dell’onda a’, mentre un aumento della contrattilità dell’atrio sinistro ne provoca un aumento.

Per la valutazione viene usata la finestra apicale 4 camere e viene posizionato il campione del Doppler pulsato un cm al di sotto dell’inserzione settale e/o laterale dell’anello mitralico, nel versante ventricolare. Infine viene calcolato il rapporto e’/a’, E/e’ e T(E-e’).

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Quest’ultimo valore può aiutare a identificare i pazienti con DD in quanto e’ è sempre ritardata se è presente un’alterazione della funzionalità miocardica ⁵¹.

Quindi il doppler tissutale può essere usato per ricavare informazioni sul rilasciamento ventricolare e, insieme al picco di velocità dell’onda E (E/e’) può essere usato per stimare le pressioni di riempimento ventricolari. I dati ricavati sono molto importanti ma devono essere valutati non singolarmente nell’ambito della diagnosi della disfunzione diastolica.

NOTA: immagine tratta dalle Linee Guida ASE/EACVII 2009 per la valutazione ecocardiografica della funzione diastolica del ventricolo sinistro. ⁵²

Il deterioramento della funzione diastolica può essere descritto attraverso tre fasi:

- pattern di alterato rilasciamento (disfunzione diastolica di primo grado): si caratterizza per la presenza di una lieve disfunzione diastolica con rilasciamento rallentato del VS; il gradiente atrio ventricolare è ridotto in quanto non vi è un aumento della pressione dell’atrio sinistro e la pressione diastolica precoce del VS è più elevata a causa del rilasciamento anomalo. Si riducono quindi E ed e’, aumenta A (assume importanza la sistole atriale in questa fase per garantire il riempimento ventricolare normale), calano DT e E/A. In questa fase la pressione atriale è ancora normale.

- Pattern pseudonormalizzato (disfunzione diastolica di grado 2): la disfunzione diastolica peggiora e la pressione dell’atrio sinistro aumenta: si ripristina, in questo modo, il normale rapporto atrio-ventricolare. L’onda E rientra nell’intervallo di normalità ma il DT rimane ridotto rispetto ai valori normali; e’ rimane anch’essa ridotta. Il rapporto E/e’

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aumenta e questo permette di distinguerlo dalla condizione di normale funzione diastolica.

- Pattern restrittivo (Disfunzione diastolica di grado 3): si verifica quando una grave disfunzione diastolica causa un forte ritardo nel rilasciamento ed un aumento della pressione dell’atrio sinistro. L’onda E aumenta e il DT diventa molto breve. L’onda e’ si riduce ulteriormente con conseguente aumento del rapporto E/e’. In questa fase, se la manovra di valsalva determina una riduzione dell’onda E, la condizione è considerata reversibile; se la manovra di Valsalva non modifica l’onda E allora si definisce irreversibile⁴⁸.

Dato che la disfunzione diastolica può derivare da un alterato rilasciamento, dalla riduzione delle forze di ritorno elastico e/o da un aumento della rigidità delle pareti del ventricolo, quando viene eseguita una valutazione ecocardiografica in pazienti con potenziale disfunzione diastolica, dovrebbero essere sempre valutati il rilasciamento ventricolare, il ritorno elastico e la rigidità del ventricolo. Ancora più importante è la stima delle pressioni di riempimento del ventricolo in quanto un aumento della pressione ventricolare diastolica, in assenza di un aumento del volume ventricolare telediastolico, è un chiaro segno di disfunzione diastolica.

Secondo le più recenti linee guida (Linee Guida della Società Americana di Ecocardiografia e dell’Associazione Europea dell’Imaging Cardiovascolare; Nagueh 2016)⁵³, gli indici ecocardiografici della funzione diastolica dovrebbero essere sempre interpretati nell’ambito dell’ inquadramento generale del paziente che include condizione clinica e altri parametri eco 2D e Doppler, che potrebbero rivelare altre patologie sottostanti e fattori falsamente indicativi per la diagnosi.

Valutazione della disfunzione diastolica nei pazienti con normale frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF)

La valutazione della disfunzione diastolica è un percorso complesso; spesso infatti i dati ecocardiografici raccolti nei pazienti sani e in quelli con disfunzione diastolica sonodifficilmente distinguibili. Il semplice processo di invecchiamento comporta cambiamenti importanti nel sistema cardiovascolare, determinando una riduzione del

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rilasciamento ventricolare che può provocare disfunzione diastolica. Con l’aumentare dell’età si assiste ad un decremento del rapporto E/A e di e’, d’altra parte, invece, i parametri che vengono meno influenzati dall’età sono: E/e’, i cambiamenti nelle velocità del flusso transmitralico determinati dalla manovra di Valsalva e Ar-A.

II corretto studio della funzione diastolica inizia quindi dalla valutazione dei parametri ecocardiografici di seguito elencati secondo quando raccomandato dalle ultime Linee Guida ASE/EACVII (Nagueh 2016):

- la velocità di e’ laterale e settale (valori patologici: e’ settale <7 cm/sec, e’ laterale <10 cm/sec)

- avarage E/e’ ratio (valori patologici: E/e’>14)

- il volume atriale sinistro, indicizzato per la superficie corporea (LA maximum volume index >34 mL/m2)

- la velocità di picco del Jet da rigurgito transtricuspidalico (peak TR velocity >2,8 m/sec). La funzione diastolica può essere considerata normale se più della metà dei valori rientrano nei range di normalità. Si può parlare di disfunzione diastolica quando più della metà degli indici valutati risultano alterati.

La valutazione risulta invece non conclusiva se esattamente metà dei parametri non coincidono con i cutoff di anormalità indicati.

Per la valutazione del grado, invece, ci si può avvalere delle velocità del flusso transmitralico, della velocità e’ del miocardio in prossimità dell’anulus mitralico, del rapporto E/e’, del picco della velocità del jet da rigurgito transtricuspidalico e del volume atriale sinistro indicizzato per la superficie corporea; in aggiunta si possono utilizzare altri parametri come la velocità del flusso delle vene polmonari e, per identificare una lieve riduzione della funzione sistolica, il LV GLS.

Anche in pazienti con frazione di eiezione ridotta può essere utile valutare la funzione diastolica, ma lo scopo dell’operazione è stimare le pressioni di riempimento del ventricolo sinistro.

Dato che esistono situazioni in cui la pressione dell’atrio sinistro (LAP) e la pressione telediastolica del ventricolo sinistro (LVEDP) sono diversi e posto che la LAP è il valore

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che è correlato in modo elettivo con la PCWP media e con i sintomi da congestione polmonare, l’algoritmo diagnostico inizia proprio con la sua valutazione.

L’algoritmo proposto è valido sia per i pazienti con riduzione della frazione di eiezione che per quelli con normale FE.

Il processi di valutazione del grado inizia con l’analisi del rapporto E/A:

- se questo è inferiore o uguale a 0,8 e il picco di velocità di E è inferiore o uguale a 50 cm/sec questo vuol dire che la pressione atriale sinistra (LAP) è normale o bassa e il grado di disfunzione è il I.

- se E/A è superiore o uguale a 2, LAP è elevata e il grado di disfunzione diastolica è il III.

- se E/A è minore o uguale a 0,8 e il picco di velocità di E è > 50 cm/sec o E/A>0,8 ma <2 allora si rende necessari la valutazione di altri tre parametri come il picco della velocità del jet da rigurgito transtricuspidalico con doppler continuo, E/e’ avarage e il volume atriale sinistro indicizzato per la superficie corporea. Nei pazienti in cui uno dei tre principali parametri non può essere calcolato allora risulta utile il calcolo del rapporto tra il picco di flusso sistolico delle vene polmonari e il diastolico, anche se questo è applicabile solo per i pazienti con FE ridotta.

È molto importante ricordare come tra i parametri citati il picco della velocità del jet da rigurgito transtricuspidalico fornisca una stima della PASP, in paticolar modo se combinato con la pressione atriale destra; dato che la frequenza delle patologie vascolari polmonari primitive è bassa, ritrovare una PASP elevata indica la presenza di un’elevata LAP.

- Se tutti e tre i parametri possono essere calcolati e solo uno dei tre risulta alterato, allora LAP è normale e abbiamo un I grado di disfunzione diastolica.

- Se due dei tre parametri o tutti e tre sono alterati, allora LAP è elevata e il grado di disfunzione diastolica è II.

- Se sono disponibili solo due dei tre parametri ed entrambi sono negativi, allora possiamo diagnosticare un primo grado di disfunzione diastolica, se invece entrambi sono positivi allora diagnosticheremo una disfunzione diastolica di secondo grado. Se uno è positivo e uno è negativo non sarà possibile effettuare il grading della disfunzione diastolica ne calcolare la pressione atriale sinistra.

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NOTA: (A) Algorithm for diagnosis of LV diastolic dysfunction in subjects with normal LVEF. (B) Algorithm for estimation of LV filling pressures and grading LV diastolic function in patients with depressed LVEFs and patients with myocardial disease and normal LVEF after consideration of clinical and other 2D data. ⁵³

Negli anni la ricerca ha proposto molti algoritmi per la valutazione della disfunzione diastolica e ancora oggi non ne esiste uno universalmente accettato dalla comunità scientifica. La disfunzione diastolica rappresenta infatti un argomento in studio, per l’approfondimento della patogenesi e per l’individuazione di un algoritmo di diagnostico efficace e facilmente utilizzabile nella pratica clinica.

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Prima del 2016, sono stati proposti altri due algoritmi significativi: quello di Paulus del 2007⁵⁴ e quello di Nagueh del 2009⁵².

Le linee guida del 2009 ASE/EACVII (Nagueh) proponevano nell’algoritmo, per la valutazione e il grading della funzione diastolica, la misurazione di molti parametri ecocardiografici 2D e Doppler. In questo modo le linee guida hanno reso il processo di diagnosi troppo complicato per entrare a fare parte della valutazione routinaria dei pazienti che si sottoponevano alla valutazione ecocardiografica.

Lo scopo principale delle linee guida del 2016 è stato, infatti, quello di semplificare l’approccio alla valutazione della funzione diastolica del ventricolo sinistro e aumentare così l’utilità delle linee guida nella pratica clinica.

Algoritmo per la valutazione e il grading della funzione diastolica del ventricolo sinistro tratto dalle linee guida 2009 (Nagueh) ASE/EACVII.

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NOTA: immagini tratte dalle Linee Guida ASE/EACVII 2009⁵².

Merita comunque ricordare, andando a ritroso nel tempo, che il documento di consensus del 2007 promulgato dalla Società Europea di Cardiolgia⁵⁴, inerente alla valutazione della diastole, associava il concetto di disfunzione diastolica a quello di scompenso cardiaco “distolico”, successivamente messo a lato da contenuti delle successive linee guida.

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4.6 Condizioni patologiche associate alla disfunzione diastolica

Ipertensione arteriosa

L’ipertensione arteriosa è il fattore di rischio più importante e frequente per lo sviluppo di disfunzione diastolica del ventricolo sinistro. Quest’ultima rappresenta un collegamento fondamentale tra ipertensione e scompenso cardiaco, in particolare per la forma a frazione di eiezione preservata⁵⁵.

Dato che la prevalenza di HFpEF è aumentata negli ultimi decenni ma la mortalità non è cambiata in modo significativo nonostante i trattamenti farmacologici⁵⁶, si può comprendere quanto sia importante riconoscere precocemente i cambiamenti fisiopatologici che precedono lo sviluppo dello scompenso cardiaco, come la disfunzione diastolica⁵⁷.

La prevalenza della disfunzione diastolica nei pazienti ipertesi è difficilmente valutabile; sono stati riportati dati eterogenei calcolati in diverse coorti di pazienti ipertesi. Riassumendo i risultati di studi effettuati nell’arco degli anni, i valori spaziano dal 18 all’84%⁵⁸ ⁵⁹ ⁶º ⁶¹ ⁶² ⁶³ ⁶⁴ ⁶⁵. L’eterogeneità è legata alla mancanza di criteri universalmente accettati per la valutazione ecocardiografica della disfunzione diastolica e all’azione di alcuni fattori confondenti per la diagnosi quali i cambiamenti delle velocità di rilasciamento miocardico correlati all’età e l’eterogeneità della sintomatologia propria di ciascun paziente.

L’ipertensione può causare disfunzione diastolica tramite: fattori emodinamici, non emodinamici e ischemia miocardica.

L’aumento cronico della pressione arteriosa sistolica costituisce infatti un importante stimolo per il rimodellamento strutturale e le alterazioni funzionali cardiache. La cardiopatia ipertensiva è caratterizzata infatti dal rimodellamento concentrico o da ipertrofia concentrica, dalla compromissione del rilasciamento e dall’aumento della rigidità ventricolare.

L’associazione tra alterata funzione diastolica e ipertrofia ventricolare ha fatto presupporre che quest’ultima potesse esserne la causa: l’ipertrofia indotta dall’aumento cronico del lavoro ventricolare legato all’incremento del postcarico, comporta una crescita sproporzionata di elementi muscolari e non muscolari, a favore di questi ultimi, responsabili della riduzione della compliance ventricolare; nell’ipertrofia indotta dall’esercizio fisico, al

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contrario, l’aumento della componente muscolare è pari a quello della componente non muscolare, senza danni a carico della funzione⁶⁶.

Nell’ambito di uno studio di qualche anno fa è stato ipotizzato il possibile collegamento tra ipertrofia miocardica e disfunzione diastolica derivante da un particolare modello infiammatorio formulato. Partendo dall’osservazione del coinvolgimento dei macrofagi e dei processi fibrotici, che si verificano in diversi tipi di patologie infiammatorie, gli autori hanno dimostrato in precedenza, che il sovraccarico pressorio induce un rapido e transitorio aumento dell’espressione da parte delle cellule endoteliali di ICAM-1, una molecola di adesione intercellulare, e che i macrofagi accumulatisi nelle aree di fibrosi perivascolare adiacenti esprimono anch’essi la stessa molecola⁶⁷.

Altri autori hanno dimostrato che il reclutamento dei macrofagi perivasali è regolato principalmente da una molecola con proprietà chemiotattiche, conosciuta come MCP-159. Kuwahara et al⁶⁸. hanno dimostrato, per la prima volta, che nel ratto, il sovraccarico pressorio induce, come primo evento di rimodellamento ventricolare, un rapido aumento dell’espressione di MCP- 1 a livello miocardico e dell’infiltrazione perivascolare dei macrofagi; inoltre, anticorpi contro MCP-1 inibivano la secrezione di transforming growth factor da parte dei macrofagi e la proliferazione dei fibroblasti, a conferma del loro coinvolgimento nello sviluppo della fibrosi miocardica.

Anche meccanismi umorali, come ad esempio i componenti del SRAA, sono responsabili del rimodellamento e della fibrosi ventricolare nell’ipertensione arteriosa. A conferma di ciò, studi clinici hanno dimostrato che l’uso di ace inibitori riduce la fibrosi e migliora la funzione diastolica⁶⁹.

Il ruolo della fibrosi è stato studiato sul muscolo papillare isolato proveniente da ratti con ipertensione nefrovascolare, nel quale si è dimostrata correlata all’alterazione della funzione diastolica più di quanto non lo fosse l’ipertrofia⁷º.

Un’altra prova del ruolo della fibrosi nella disfunzione diastolica deriva da uno studio effettuato in pazienti affetti da ipertensione arteriosa essenziale in cui è stata dimostrata un’associazione significativa tra alterato riempimento diastolico e aumentati livelli sierici di propeptide aminoterminale del procollagene di tipo 3, confermando la relazione tra la disfunzione diastolica e la fibrosi miocardica⁷¹.

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Infine è stato osservato in modelli animali che interventi associati all’aumento o alla riduzione della fibrosi miocardica erano caratterizzati da aumento o diminuzione della rigidità diastolica del VS.

Vi è dunque una forte evidenza che l’ECM contribuisca alla disfunzione diastolica aumentando la rigidità in diastole o partecipando all’alterazione del rilasciamento. Infatti anche se il rimodellamento cardiaco è accompagnato da cambiamenti dei cardiomiociti, un ruolo importante è svolto dalle alterazioni della struttura e della composizione della matrice extracellulare: questa è una struttura dinamica, controllata da mediatori fisici, neurormonali e infiammatori, che svolge un’importante funzione di adattamento del miocardio a stress patologici favorendo quindi il processo di rimodellamento.

L’ischemia miocardica rappresenta anch’essa un fattore di innesco per il rimodellamento ventricolare, la fibrosi e l’alterazione del rilasciamento ventricolare.

Il ruolo dell’ischemia miocardica è stato studiato con tomografia ad emissione di positroni, scintigrafia miocardica ed ecocardiografia transesofagea che hanno mostrato come il flusso coronarico a riposo dei pazienti ipertesi possa essere normale o ridotto, mentre la riserva coronarica, dopo somministrazione di dipiridamolo, è uniformemente ridotta: rimane comunque ancora controversa l’associazione di questo fenomeno con l’aumento della massa ventricolare.

Esiste inoltre una correlazione tra riduzione della riserva coronarica e prolungamento del tempo di rilasciamento isovolumetrico⁷²: il flusso coronarico avviene prevalentemente durante la diastole, quindi è lecito pensare che le alterazioni delle proprietà diastoliche, osservate negli ipertesi, possano avere un ruolo nella riduzione del flusso di riserva coronarica osservata in tali soggetti; d’altro canto l’ischemia miocardica può provocare alterazioni della funzione diastolica prima ancora della comparsa delle alterazioni della cinesi segmentaria o delle modificazioni elettrocardiografiche del tratto ST.

Si può quindi affermare che esiste una reciproca relazione tra proprietà diastoliche del ventricolo sinistro e flusso di riserva coronarica; il flusso coronarico viene alterato a causa delle aumentate pressioni di riempimento ventricolari diastoliche e al tempo stesso l’ischemia miocardica può alterare ulteriormente la funzione diastolica compromettendone la fase energia dipendente (il rilasciamento isovolumetrico ventricolare) e inducendo il rimodellamento ventricolare.

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NOTA: schema riassuntivo della patogenesi della DD nei pazienti ipertesi⁵⁷.

Sul piano morfologico, la progressione della cardiopatia ipertensiva verso lo scompenso cardiaco include, dunque, una serie di modificazioni della geometria ventricolare, quali rimodellamento concentrico e ipertrofia, il cui ruolo prognostico è stato già ampiamente riconosciuto⁶⁹. Tali variazioni morfologiche si accompagnano, dal punto di vista funzionale, ad alterazioni delle proprietà diastoliche del ventricolo sinistro.

Allo stesso modo la presenza di disfunzione diastolica rappresenta un fattore prognostico negativo nei pazienti con ipertensione arteriosa. Dati importanti derivano dallo Strong Heart Study⁷³ il quale ha dimostrato che, in un follow up di tre anni, il pattern di alterato rilasciamento era associato ad una mortalità raddoppiata, mentre il pattern di flusso pseudonormalizzato e il restruttivo si associavano all’ aumento di tre volte di mortalità per cause cardiache.

Dal punto di vista clinico i pazienti, inizialmente asintomatici, possono progredire verso lo scompenso cardiaco presentando quindi tutti i sintomi tipici di questa patologia come la ridotta tolleranza all’esercizio fisico, la dispnea, la congestione venosa, fino all’edema polmonare.

La progressione dall’ipertensione allo scompenso, dal punto di vista morfo-strutturale, può seguire due vie: la dilatazione cardiaca o l’ipertrofia concentrica che portano rispettivamente

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ad una riduzione della frazione di eiezione o ad una disfunzione diastolica e quindi scompenso a frazione di eiezione conservata.

Diabete

Il diabete, come noto, rappresenta un importante fattore di rischio cardiovascolare sia per cardiopatia ischemica che per scompenso (sia a frazione di eiezione ridotta che preservata). Sebbene il diabete predisponga a coronaropatia, disfunzione renale e ipertensione, sono stati descritti molti effetti diretti del diabete e dell’iperglicemia sulla struttura e sulla funzione del miocardio. Le alterazioni morfologiche indotte sono rappresentate da: ipertrofia dei miociti, aumento della MEC (fibrosi) e microangiopatia intramiocardica. Le modificazioni funzionali comprendono: compromissione della vasodilatazione endotelio dipendente e indipendente, alterazione del rilasciamento del VS, aumento della rigidità ventricolare e disfunzione contrattile.

I meccanismi che contribuiscono alle modificazioni miocardiche e coronariche, funzionali e strutturali comprendono i disturbi metabolici, l’attivazione dei mediatori proinfiammatori e profibrotici, la neuropatia autonomica cardiaca e l’aumento dei prodotti di glicazione avanzata (AGE), i quali favoriscono l’aumento dell’accumulo di collagene e della sua rigidità.

Sembra inoltre che un miglior controllo della glicemia si associ a miglioramenti della funzionalità diastolica del VS valutata con metodi non invasivi⁷⁴.

Lo studio più importante che è stato fatto per valutare il legame tra controllo metabolico/glicemico e disfunzione diastolica è lo Strong Heart Study⁷⁵ che ha stabilito una correlazione positiva tra grado di disfunzione diastolica e controllo glicemico, ma la reversibilità del danno mediante terapia antidiabetica rimane tuttavia un capitolo ancora aperto.

La complessità dei meccanismi fisiopatologici che conducono allo sviluppo di modificazioni della funzione diastolica in corso di diabete mellito necessita tuttavia di ulteriori studi che ne chiariscano l’origine e indichino il possibile risvolto terapeutico.

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L’ischemia miocardica, sia acuta che cronica, può indurre la comparsa di alterazioni della funzione diastolica.

Il collegamento fisiopatologico tra cardiopatia ischemica cronica e I grado di disfunzione diastolica consiste in modificazioni del sequestro di calcio intracellulare e nel rimodellamento cardiaco indotto dall’ischemia. Le sindromi coronariche acute sono più frequentemente associate a gradi superiori di disfunzione diastolica⁷⁶, ma il loro ruolo nello sviluppo della disfunzione diastolica cronica e dei sintomi nei pazienti affetti da HFpEF rimane ipotetico.

Un dato importante riguarda il valore prognostico della disfunzione diastolica in questi pazienti: in particolare al pattern restrittivo è stata associato una prognosi peggiore. Recentemente è stato dimostrato come la valutazione Doppler del riempimento ventricolare possa fornire informazioni prognostiche, insieme alle alterazioni della funzione sistolica, soprattutto nei di pazienti con funzione sistolica ancora normale, ma pattern diastolico pseudonormalizzato. Queste affermazioni sono supportate dai risultati di uno studio eseguito su pazienti sopravvissuti a infarto miocardico acuto, sottoposti a valutazione ecocardiografica a 24 h, 1, 3 e 12 mesi dall’evento, dal quale è emerso un miglior outcame non solo nel gruppo di pazienti con pattern di riempimento ventricolare normale in tutti gli esami, ma anche in quelli con pattern diastolico in miglioramento nel primo mese dall’infarto⁷⁷.

Cardiopatia ipertrofica

La cardiopatia ipertrofica è una patologia ereditaria, AD, dovuto a mutazioni in geni codificanti per proteine del sarcomero.

Le proteine anomale vengono incorporate nel sarcomero, alterano la normale capacità contrattile del miocardio e inducono così lo sviluppo di un’ipertrofia compensatoria, responsabile dell’aspetto anatomico tipico del ventricolo sinistro in questa patologia. Dal punto di vista strutturale, la cardiopatia ipertrofica è caratterizzata da fibrosi interstiziale, microangiopatia e ipertrofia asimmetrica del ventricolo sinistro. Le alterazioni strutturali si traducono in normale funzione sistolica ma alterata funzione diastolica.

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