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La storia della Biblioteca "Eleonoro Pasini" di Schio, 1928- 1955

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Corso di Laurea magistrale (ordinamento

ex D.M. 270/2004)

in Storia e gestione del patrimonio

archivistico e bibliografico

Tesi di Laurea

La Biblioteca «E. Pasini»

di Schio

Dal 1928 al 1955

Relatore

Ch. Prof. Dorit Raines

Laureanda

Maria De Muri

Matricola 818131

Anno Accademico

2012 / 2013

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INDICE

Introduzione

p. 3

1

La situazione italiana e la situazione scledense dopo

l’Unità

p. 5

1.1 Breve storia di Schio dalle origini all’Ottocento p. 5 1.2 L’Ottocento scledense e Alessandro Rossi p. 8 1.3 Il panorama italiano post-unitario e le biblioteche effimere p. 13 1.4 Gabinetti di lettura e Biblioteche popolari nella Schio

di fine Ottocento p. 15

1.5 Il primo Novecento e la Federazione Italiana delle

Biblioteche Popolari p. 25

2

La Biblioteca «E. Pasini» di Schio: 1928- 1943

p. 32 2.1 Le prime testimonianze: 1928- 1930 p. 33 2.2 La richiesta di trasferimento della biblioteca p. 35 2.3 I dati amministrativi 1930-1942 p. 37

2.4 Il Museo archeologico p. 38

2.5 Il 1935: riordino della biblioteca e l’ipotesi di trasferimento

al secondo piano del Palazzo del Municipio p. 44 2.6 La nuova sede alla Casa del Littorio: Villa Rossi, 1937 p. 47 2.7 1940: il questionario della Soprintendenza Bibliografica p. 54

(4)

3

I due registri d'ingresso della «E. Pasini»

p. 57 3.1

I

l registro R28: dal 1928 al 1943 p. 58 3.2 Il registro R35: il riordino del 1935 p. 60 3.3 Il periodico «La Parola e il Libro» e la linea bibliografica

del regime fascista p. 61

3.4 Il fondo librario della Biblioteca «E. Pasini» p. 67

3.5 Il catalogo p. 72

4

Gli anni ‘50: Renato Botoli e la Biblioteca Civica

p. 74 4.1 I primi passi verso la riapertura p. 75 4.2 La delibera istitutiva e il nuovo Statuto p. 77 4.3 Il recupero del fondo librario p. 78 4.4 L’inaugurazione della nuova Biblioteca Civica di Schio p. 80

Conclusioni

p. 82

Bibliografia

p. 85

Appendice A

Fotografica p. I Documentaria p. XVI Grafica p.XXXVI

Appendice B

Catalogo della Biblioteca Popolare Fascista e del Dopolavoro «E. Pasini» di Schio – 1928-1943

(5)

Introduzione

Questo elaborato si propone di indagare e ricostruire la storia della Biblioteca «E. Pasini» di Schio, attiva dal 1928 al 1943 come Biblioteca Popolare Fascista, poi anche del Dopolavoro, e ricostituita nel 1955 come Civica. La storia dell’evoluzione di una biblioteca, ai nostri occhi, può diventare specchio della società in cui l’istituzione nasce e per la quale viene organizzata e modificata nel tempo; a volte invece, come vedremo in questa tesi, è un abile strumento di propaganda gerarchica e tentativo di controllo della società.

Gli eventi che porteranno alla nascita della «E. Pasini» affondano le loro radici in un contesto cittadino specifico, quello scledense, non dissimile però da quello generale dell’Italia pre e post unitaria; quello cioè delle biblioteche effimere, instabili e spesso inconsistenti, nate per iniziative di privati e, a livello nazionale, disorganizzate per quasi mezzo secolo.

Schio, complice il rapido inurbamento causato dall’imponente sviluppo industriale che travolse la morfologia della città e le abitudini dei suoi cittadini, si è presentata ai nostri occhi ricca di iniziative culturali. Inoltre la presenza di una classe dirigente borghese fortemente influenzata dalle correnti di pensiero progressiste portò alla fondazione di teatri, Gabinetti di Lettura, Biblioteche Circolanti e Popolari fin dalla prima metà dell’Ottocento – nel 1828 abbiamo testimonianza del primo Gabinetto di Lettura. Di questi ben poco è rimasto, spesso solamente Statuti e Regolamenti: abbiamo voluto però analizzare con attenzione queste testimonianze, anche per sottolineare come fossero realtà profondamente diverse tra di loro, oltre che dalla nostra concezione odierna di biblioteca. Il processo che le vedeva nascere, lo scopo, il modo di porsi nei confronti dei fruitori, le modalità di consultazione del materiale le caratterizzavano e le distinguevano fortemente; possiamo quasi dire che Gabinetti di Lettura e Biblioteche Circolanti si trovassero agli antipodi di una

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concezione della cultura prettamente ottocentesca: teatri e biblioteche per acculturare il popolo, case e dopolavoro per migliorarne le condizioni di vita, il tutto permeato però da una forte volontà di radicamento e controllo sociale.

Nel caso di Schio, i vari tentativi di dotare la città di una biblioteca stabile e comunale si concretizzeranno solamente con l’avvento del fascismo: il regime di Mussolini vide infatti nel libro uno strumento adatto a veicolare la propaganda di regime. Inoltre il panorama delle biblioteche italiane, frammentario e disorganizzato, si prestava con particolare facilità ad essere velocemente inglobato e controllato. Anche realtà come la milanese Federazione Italiana delle Biblioteche Popolari, promotrice strutturata della prima rete di biblioteche, cedettero senza troppa resistenza ai progetti del regime.

La Biblioteca di Schio, intitolata al suo più cospicuo finanziatore Eleonoro Pasini, inizia la sua attività nel 1928 in un’aula delle scuole comunali di Via P. Maraschin per poi essere trasferita, nel 1937, presso la Casa del Fascio locale. Chiuderà quando, nel 1943, la sua sede verrà occupata dal comando tedesco stanziato in città. Circa dieci anni dopo, grazie ad un lungimirante professore scledense, i libri dell’ex-biblioteca torneranno alla luce: tra scarti e pulizia se ne salveranno 1.430. Circa 2/3 di questi volumi sono tutt’oggi conservati presso il magazzino della Biblioteca Civica di Schio, rinata nel 1955 e dal 2001 intitolata proprio a quel professore lungimirante che era Renato Bortoli.

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1.

La situazione italiana e la situazione scledense dopo l’Unità

Per poter parlare di come nacque la Biblioteca Civica «Renato Bortoli» di Schio è necessario risalire fino al panorama ottocentesco scledense ed italiano, dove affondano le sue radici più profonde. Radici che, nutrendosi degli stessi moti e ideali che percorrevano tutta la penisola, daranno vita nella prima metà del Novecento alla Biblioteca Popolare «E. Pasini», diretta antenata dell’attuale.

1.1 Breve storia di Schio dalle origini all’Ottocento

La storia di ha Schio origini antiche: le prime tracce di presenza dell’uomo nell’area scledense si hanno nel Paleolitico superiore, testimoniate dai reperti archeologici rinvenuti a Bocca Lorenza presso Santorso; dal X° secolo a.C. il territorio fu occupato dagli Euganei e successivamente dai Veneti. La posizione geografica colloca la città lungo l’antica Pista dei Veneti, l’unica via di comunicazione che, partendo da Este e costeggiando i Berici, giungeva fino a Vicenza, per proseguire poi lungo la Val d’Astico. In epoca romana abbiamo notizie di luoghi di culto situati nel territorio di Ascledum, cioè luogo ricco di ischi, da cui Scledum e quindi Schio, l’attuale denominazione: evidentemente non esisteva ancora un insediamento vero e proprio, e il nome si riferiva a tutta la zona.

Non abbiamo altre documentazioni relative al territorio scledense fino al 983 d.C. quando «il Vescovo di Vicenza Rodolfo dona ai monaci del convento di S. Felice una corte in Scledo, nel luogo chiamato Garzone […]1». Non molti

anni dopo, attorno al 1033, un altro Vescovo di Vicenza, Ludigerio, in un suo diploma concernente una donazione al monastero benedettino femminile di S. Pietro, cita espressamente la cappella di S. Pietro del Gorzone, sita nel mezzo 1 SCHIO: Vita Cultura Economia, ASGES Schio, 1981, p.50

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del paese chiamato Schio2. Ecco quindi che dopo il 1000 è testimoniata la

presenza ormai strutturata di un centro abitato.

Non essendo nominata la città di Schio nei castelli posseduti dal Vescovo di Vicenza nell’anno 1000, si può dedurre che il paese fosse posseduto da feudatari imperiali. All’inizio del XII secolo è testimoniata la presenza del conte Umberto III dei Maltraversi (a cui si deve tradizionalmente l’escavazione della Roggia maestra, corso d’acqua artificiale che attraversava a mezzo il paese, costituendo la risorsa principale per il successivo sviluppo agricolo ed industriale del luogo), seguito da Uguccione, molto meno virtuoso. Il figlio di quest’ultimo, Alberto, mantenne viva l’alleanza con gli Ezzelini inaugurata dal padre: sposò infatti Emilia, figlia di Ezzelino il Monaco e sorella del famigerato Ezzelino da Romano. Proprio quest’alleanza porterà alla caduta dei Maltraversi in quanto Uguccione, figlio di Alberto, che era succeduto al padre nella contea di Schio, venne condannato dall’Imperatore Federico II alla confisca di tutti i beni e a cedere i castelli di Schio e Santorso ai da Romano3.

Successivamente a Schio, come anche a Vicenza, si susseguirono la dominazione padovana e nel 1311 quella degli Scaligeri con i vicari Dinadano e Cagnolo Nogarola. Estromessi gli Scaligeri dai Visconti verso la fine del secolo - Schio era ancora una piccola realtà di circa 3.000 abitanti con un’attività economica che cominciava solo allora a prosperare - subentrava per acquisto nella reggenza del feudo comitale la nobile famiglia veronese dei Cavalli, che ne detenne la proprietà fino al 1406.

In quella data Schio – due anni dopo Vicenza – sottoscrisse un atto di 2 «Si ricorderà che nel 983 il vescovo Rodolfo donava o confermava al monastero di S. Felice di Vicenza: in Scledo curtem unam que vocatur Warzone. Nel 1033 il suo successore donava o confermava alle monache di S. Pietro di Vicenza: Cappellam S. Pietri de Garzono que

subiacet infra qui dicitur scledo, com omnibus sibi pertinentibus. Per questi ed altri privilegi,

vedi D. Bortolan, I Privilegi antichi del monastero di S. Pietro di Vicenza, Vicenza, 1884.» G. MANTESE, Storia di Schio, Edizione del Comune di Schio, Seconda ristampa, 1969, p. 216

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dedizione alla Serenissima, allineandosi, quindi, a quasi tutto l’entroterra veneto. La signoria dei conti Cavalli ebbe così termine. Di qui in avanti, e fino quasi alla fine del Settecento, Schio sarà retta da Vicari di nomina vicentina e tutti provenienti dalla nobiltà del capoluogo.

Di questo periodo storico è interessante ricordare le continue richieste da parte della città di non dipendere amministrativamente da Vicenza, ma di avere dei podestà nominati direttamente da Venezia: questa richiesta era finalizzata al conseguimento del privilegio di fabbricare panni alti, cioè di pregio, che gli verrà concesso solo dopo quasi tre secoli, nel 1701. L’arte della lana a Schio era una realtà importante già dal secolo XV. La concessione del privilegio per i

panni alti, assieme al basso costo della manodopera locale, richiameranno su

Schio l’attenzione di Nicolò Tron, importante nobile veneziano ed ambasciatore in Inghilterra della Serenissima, che si recherà a Schio nel 1718 «per avviare un impresa industriale senza paragone in tutto lo stato Veneto.4»

Inizia qui l’evoluzione che porterà Schio ad essere uno dei maggiori centri tessili d’Italia; grazie una serie di innovazioni tecniche (tra cui i pregiati panni londrini, cioè lana dei Sette Comuni tessuta assieme alla lana di Spagna) e con il concorso di coincidenze positive (l’andamento favorevole dei prezzi, le esigenze e l’estensione del mercato) i piccoli artigiani scledensi accolsero la sfida di Tron e investirono per diventare piccoli imprenditori. I telai iniziano a concentrarsi in queste nuove fabbriche per la produzione tanto di panni alti quanto dei più richiesti e redditizi panni bassi; prima tra tutte quella di Tron, con 44 telai, a cui subentrerà poi il Bologna, associato a Garofolo.

«Proprio in questi anni, il governo, accertato che il lanificio di Schio è il più florido di tutto lo Stato e riesce a produrre ad alto livello di qualità, comincia a concedere una serie di privilegi quali sgravi di dazi e facilitazioni nell’acquisto delle lane, esonero dalle tasse, premi e monopoli, i cui primi beneficiari sono il Titoni e il Bologna […]. 4 SCHIO: Vita Cultura Economia, op. cit., p.66

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Schio, da sola, produce un terzo dei panni di tutto il Veneto […]. Intorno al 1770, il 48% degli abitanti risulta occupato nell’industria, il 37% nei lavori di campagna.5»

La classe dirigente scledense, composta prevalentemente di commercianti e industriali lanieri, vista la crescente importanza di Schio alla fine del Settecento, inizia a rivolgere le proprie istanze direttamente a Venezia, riuscendo finalmente ad aggirare la tanto sofferta dipendenza amministrativa da Vicenza.

1.2

L’Ottocento scledense e Alessandro Rossi

Il dominio napoleonico (1805-1813) peserà sulla città soprattutto dal punto di vista sociale, con rivolte popolari contro la classe dirigente scledense filofrancese: sarà preso particolarmente di mira il Bologna e il suo lanificio, con ingenti danni alle attrezzature. Questi danneggiamenti crearono però, per quanto indirettamente, le condizioni per l’associazione dei Bologna con Giovanni Maria e Francesco Rossi.

«I Rossi, nel 1809, associano 30.000 lire di capitale ad una pari quota di Sebastiano e Luigi Bologna, dando inizio all’attività del lanificio che, dal 1818, continuerà ininterrottamente con la società Rossi & Pasini, e poi, dal 1839, solo con Francesco e Alessandro Rossi. […] L’avvio del lanificio Rossi -preparazione della società con Eleonoro Pasini, padre di Valentino e Lodovico 6 – nel 1817 coincide con un

5 Ibid, p.69-70

6 Ludovico Pasini nacque a Schio nel 1804 e vi morì nel 1870. Il fratello Valentino nacque a

Schio nel 1806 e morì a Torino nel 1864. Patrioti nell'animo mal sopportavano che la loro patria fosse oppressa. Ludovico era ritenuto un valente naturalista tanto da godere già nel 1838 della fama di primo tra i geologi italiani. Fu attento indagatore delle caratteristiche geologiche delle regioni alpine, soprattutto venete. I moti del '48 li trovarono tra i più convinti assertori e propagandisti; appartenevano entrambi alla scuola politica di D. Manin cioè della lotta aperta se pur legale. A Ludovico Pasini venne dato il compito di organizzare la sussistenza di Venezia in lotta con l'Austria e della presidenza dell'assemblea ed ebbe parte essenziale nelle trattative con gli austriaci. Venne relegato dall'Austria dopo il '49 a Vicenza dove continuò i suoi studi. Dopo la liberazione del Veneto venne chiamato al Senato del

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altro avvenimento importante sul piano civile: il 26 agosto 1817 Schio viene elevata al rango di Città. 7»

Sono proprio la famiglia Rossi e la famiglia Pasini le protagoniste fondamentali per ricostruire la storia delle Biblioteche popolari e dei Gabinetti di lettura scledensi, oltre che dell’antenata dell’attuale Biblioteca Civica. Le vite dei membri di queste famiglie si intrecciarono di generazione in generazione nel panorama politico ed economico della nascente Italia.

Francesco Rossi ebbe il merito di aver introdotto, per primo in Veneto, la filatura laniera meccanica; egli si associò con Eleonoro Pasini, dando vita alla società Rossi &Pasini, realtà di breve durata. Rilevata da Francesco Rossi nel 1839, passerà nelle mani del figlio Alessandro8 a partire dal 1845. Già dalla fine

degli anni ‘50 il giovane Rossi poteva essere considerato il titolare della maggiore industria tessile italiana.

I figli del sopracitato Eleonoro Pasini, invece, si distingueranno per le doti fuori dal comune che li renderanno famosi studiosi e abili politici.

«Nell’insurrezione antiaustriaca del 1848-49, gli Scledensi sono in prima fila, sul piano militare, con i 120 cacciatori guidati da Arnaldo e Clemente Fusinato da Sorio alla Vallarsa a Vicenza, sul piano politico-diplomatico con don Giovanni Rossi nel governo

regno e divenne Ministro dei Lavori pubblici.

Valentino invece, giovanissimo, si era già fatto conoscere nel campo del diritto tanto da attirare su di sé l'attenzione di valenti giuristi. Fu valente giureconsulto e divenne intermediario tra i governi provvisori di Venezia e di Milano; divenne ambasciatore del governo veneziano a Parigi e a Londra, ricoprì anche incarichi diplomatici in Austria. Manin lo annoverava come uomo di stato di prim'ordine. Venne esiliato. Rientrato in Italia si dedicò allo studio dei problemi economico-finanziari e all'insegnamento. Al riprendere delle speranze patriottiche entrò nella Camera dei Deputati e sarebbe divenuto uno dei maggiori uomini di stato della nuova Italia se non forse scomparso prematuramente.

Fonte: http://www.comune.schio.vi.it

7 SCHIO: Vita Cultura Economia, op. cit., p. 74-75

8 La figura di Alessandro Rossi è stata ampiamente indagata nel corso degli anni da studiosi, storici e ricercatori. Indicare perciò una bibliografia di riferimento esaustiva risulta difficile. I saggi, gli articoli e i libri consultati durante la stesura di questa tesi sono indicati in bibliografia.

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provvisorio di Vicenza e coi fratelli Pasini nel capoluogo vicentino e a Venezia. Valentino è l’uomo di fiducia di Daniele Manin, per il quale svolge una difficile missione diplomatica a Parigi, Bruxelles e Vienna, assumendo definitivamente quel ruolo politico di primo piano che manterrà, nei quindici anni successivi, dopo il ritorno degli Austriaci nel Lombardo-Veneto, anche nel Piemonte cavuriano e in Toscana, indi nel primo parlamento italiano.9»

Se Eleonoro Pasini -nonno- era il primo socio di Francesco Rossi nell’avvio di quello che sarà il Lanificio Rossi, così Eleonoro Pasini (nipote e figlio di Valentino e Caterina Vandinelli) sarà in stretti rapporti politici con Alessandro Rossi10, figlio di Francesco, futuro senatore e fautore dell’ascesa

della fabbrica di famiglia e della città di Schio su scala nazionale. Egli aveva ricevuto un’educazione umanistica e cristiana che lo portava, se non a superare la concezione puramente utilitaristica del mondo del lavoro, di certo a svolgere una sottile riflessione in quest’ambito. Decisivo per la sua formazione fu il viaggio che intraprese nel Nord Europa (Francia, Belgio ed Inghilterra) dove, a metà dell’Ottocento, era già iniziato un processo di evoluzione democratica che vedeva sorgere istituzioni e provvidenze destinate ad elevare il tenore di vita delle classi popolari. Rossi si rese conto di come un maggior coinvolgimento, una maggiore inclusione dell’operaio nel tessuto urbano della città e soprattutto nelle dirette emanazioni della fabbrica rossiana, tramite opere assistenziali e ricreative, potesse riflettersi positivamente sullo sviluppo dell’industria.

9 Ibid, p. 76

10 «Nell’ambito dei rapporti diretti tra Rossi ed esponenti della classe politica vicentina

postunitaria un capitolo a parte meritano quelli tra l’industriale-senatore e i deputati del collegio di Schio a lui succeduti, Eleonoro Pasini e Antonio Toaldi. Due deputati, uno della destra, figlio del noto esponente moderato preunitario Valentino Pasini, l’altro della sinistra, ex garibaldino, entrambi uniti però dalla comune sorte di rappresentare la longa manus di Alessandro Rossi alla Camera. Rossi, come si è detto, fu deputato di Schio per le prime due legislature postunitarie; si dimise nel 1870 [essendo stato nominato senatore]. Alle suppletive per la sua sostituzione fu eletto Eleonoro Pasini, che al secondo turno superò Antonio Toaldi di un solo voto. Da allora Pasini diventò l’uomo di Rossi alla Camera. […]» G.A.CISOTTO, «Rossi e la politica vicentina», in Schio e Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica,

cultura e paesaggi sociali del secondo Ottocento, a cura di G.L. Fontana, Roma, Edizioni di

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«Se questi [l’operaio] si fosse assentato meno dal lavoro a causa di malattie, se avesse avuto una retribuzione continuativa e sicura, se avesse potuto disporre di una casa propria, di istituzioni che si occupassero di lui anche dopo il lavoro, certamente si sarebbe potuto ottenere una maggiore continuità e un maggiore attaccamento al lavoro, con sensibili vantaggi per l’industria stessa. 11»

Nel 1866 le provincie venete, fino ad allora parte dei domini austriaci, vengono annesse al Regno d’Italia; Rossi viene eletto deputato e quattro anni dopo senatore, facendosi portavoce degli industriali. La città di Schio vive in quegli anni un forte inurbamento: attirati dalla possibilità di lavorare nella promettente industria tessile, e in un secondo momento dal fatto di poter usufruire della strutture assistenziali rossiane, dai 6.610 abitanti del 1866 si passa a 12.242 del 1885, fino ad arrivare a 13.524 al 1901; i lavoratori impiegati al Lanerossi salgono dagli 800 del 1862 agli oltre 5.000 del 1900 12.

È evidente come fosse necessario creare fin dai primi anni della seconda metà del secolo una forte integrazione sociale tra la fabbrica e la città, soprattutto alla luce dei cospicui investimenti in macchinari (i telai meccanici affiancati dal mantenimento dei telai manuali jacquard), in nuovi edifici industriali e in fonti di energia, quali quella idraulica, a gas, etc. Assicurarsi una costanza nel lavoro da parte degli operai, la maggior parte dei quali manteneva una mentalità più legata al mondo agricolo, era evidentemente una priorità. 11 R. BORTOLI, «Vicende e conquiste di un glorioso sodalizio» in Le Società di Mutuo

Soccorso in Schio. Cent’anni di vita 1861-1961, Rassegna di Storia e Vita Scledense,

Biblioteca Civica, Schio, 1961, p. 6

12 I dati relativi alla popolazione residente a Schio divergono leggermente di pubblicazione in pubblicazione: nello SCHIO. Numero Unico, del 1932 troviamo scritto «Nel 1855 troviamo Schio con 5.000 abitanti, con 6.300 nel ‘63, con 7.200 nel ‘68, con 7.900 nel ‘71, anno in cui il Regio Governo le riconfermava il titolo di Città già concessole nel 1817 da Francesco I d’Austria, con 15.200 nel ‘91 e circa 14.000 nel 1901, con una decrescenza dovuta a forti emigrazioni avvenute intorno al 1895, con 15.200 abitanti nel 1911 e 16.400 nel 1921. Oggi Schio conta circa 22.000 abitanti ma sarebbe suscettibile di maggiori sviluppi demografici, industriali e commerciali se con l’attuazione di annosi progetti di comunicazioni ferroviarie se ne facesse una stazione di transito per l’Europa Centrale, concedendole, verso il nord, quel respiro che la posizione topografica le ha sempre negato.» SCHIO: Vita Cultura Economia,

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Non stupisce quindi la tempestività di Rossi nell’aprire l’Asilo infantile per 150 bambini (1867), ampliato nel 1872 per ospitarne fino a 471, a cui si aggiungerà l’Asilo di maternità (1878); contemporaneamente si avviano scuole serali per gli adulti (1873) e il Teatro Jacquard (1869). Ma l’opera più imponente affrontata dal Rossi è, forse, la costruzione del Quartiere Nuovo: 16 ettari in cui sorgono 211 case, cedute in affitto-riscatto ai lavoratori della sua industria. Questa fitta rete di strutture culturali, sociali e assistenziali rivelò ben presto però le strette maglie di cui era formata: tutta la città di Schio ruotava attorno a Rossi e alla sua industria e da egli dipendeva la fortuna o la sfortuna degli scledensi, spesso costretti all’emigrazione come unica possibilità dopo il licenziamento13.

Risale inoltre al 1861 la nascita di una realtà associativa che resterà fondamentale fino all’avvento del fascismo: lo Società di Mutuo Soccorso. Al ritorno dal suo viaggio in Nord Europa, Alessandro Rossi propose un Piano di

fondazione della Società di S. Rocco pel Mutuo Soccorso degli Artieri dello stabilimento Francesco Rossi in Schio14. Sappiamo che alla data del 25 agosto

1861 la Società, così come auspicata da Rossi, era una realtà viva e operante e che, aderendo a svariate richieste, nello stesso anno venne aperta a tutti gli artigiani della città, cambiando quindi la propria denominazione in «Società di Mutuo Soccorso fra gli Artieri in Schio».

Era difficile per questa neonata Società pareggiare i bilanci durante i primi anni: il 1870 poi fu un anno particolarmente pesante per il gran numero di malati, oltre che per i richiamati al servizio militare a causa della campagna per la liberazione di Roma. Si pensò quindi a creare un fondo di riserva, che riuscì a prendere vita nel 1876 grazie all’istituzione di un Magazzino Merci.

13 E.M. SIMINI, Alessandro Rossi e la «questione sociale», in «Quaderni di storia e cultura scledense» , n°10, Schio : Odeonlibri-Ismos, 2005

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«Nell’intento dei promotori esso doveva non solo facilitare agli operai l’acquisto di oggetti di vestiario, vendendo a prezzo ridotto telerie e scampoli, che il lanificio cedeva ad ottime condizioni, ma consentire il reperimento dei mezzi necessari per costituire un fondo di riserva. Infatti nel regolamento di tale Magazzino, che fu istituito nel 1876, gli utili sono così ripartiti: 80% al fondo di riserva, 5% alla biblioteca, 10% a sussidi ed elargizioni straordinarie, 5% a scopo di incoraggiamenti e fratellevoli riunioni tra i soci. Per porre un riparo al rincaro dei generi di prima necessità, era già stato istituito un Magazzino Cooperativo […].15»

In questo clima teso al miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia si inseriscono coerentemente le scuole serali, gli asili e l’istituzione della Biblioteca Circolante, che risale al 7 luglio 187316 e della

quale purtroppo, ma non stranamente, ci restano scarsissime testimonianze. Il caso scledense presenta infatti notevoli similitudini con il panorama generale italiano, soprattutto per quanto riguarda la fondazione di Biblioteche circolanti, popolari o Gabinetti di lettura.

1.3 Il panorama italiano post-unitario e le biblioteche effimere

Alessandro Rossi col suo «paternalismo» è un esempio prettamente scledense, ma esemplificativo, di ciò che, nell'Italia post-unitaria, associava chi si accingeva ad occuparsi di educazione e di cultura: da un lato la necessità creata dallo sviluppo industriale di manodopera specializzata, dall'altra l'ampio progetto di elevazione morale del popolo. A Schio, come a Venezia e in molte altre realtà d’Italia, ci fu una «presa di coscienza, negli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, dell’analfabetismo come piaga sociale […] ritenuta nemica del progresso di un popolo e dell’intera civiltà.17».

15 R. BORTOLI, «Vicende e conquiste di un glorioso sodalizio» op. cit., p.9 16 Loc. cit.

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La nuova classe dirigente liberale iniziò a vedere nella biblioteca, come nei corsi di istruzione e nelle opere filantropiche, uno strumento capace di trasmettere al popolo valori laici e attivistici, allargando quindi l'area di consenso, ma col fine ultimo di integrare le classi lavoratrici in un ordine politico-sociale prestabilito. In tutta Italia si stava diffondendo una politica dello «studio e lavoro», che stimolava il singolo a far leva sulla volontà per elevare la propria condizione. La biblioteca era quindi concepita come un nuovo strumento messo a disposizione delle classi popolari da parte della una classe dirigente per soddisfare le nuove esigenze di sapere, ma con un evidente fine di indirizzo culturale e di controllo sociale18. Se i Gabinetti di lettura e le Società di lettura

erano destinate ad una cerchia ristretta di persone colte, le Biblioteche popolari nacquero invece per un pubblico di estrazione sociale bassa, promosse dal «ceto borghese, vuoi per idee di assistenzialismo, per volontà di coesione sociale, o per desiderio di un nuovo ordine controllato […]19».

A livello nazionale mancherà per quasi cinquant’anni un intervento ufficiale, coordinato ed efficace per gestire unitariamente queste singole realtà, minando così le basi stesse del movimento italiano delle biblioteche. Le Popolari e soprattutto le Circolanti si caratterizzeranno infatti per la loro transitorietà, lasciando ben poche testimonianze della presenza e attività nei territori.

La mancanza di informazioni riguardo i Gabinetti di Lettura, le Società e le Biblioteche popolari del XIX secolo è un fenomeno comune nell’Italia post unitaria: la recente pubblicazione a cura di Dorit Raines dal titolo Biblioteche

in Biblioteche effimere, a cura di D. Raines, Edizioni Ca’ Foscari, 2012, p.13

18 «Le biblioteche popolari sono nate, in Italia, alla metà del secolo scorso col proposito di diffondere in seno alle masse italiane, analfabete o semialfabetizzate, il gusto e l'abitudine alla lettura. Naturalmente, esse risentirono pesantemente dell'ambiguità insita nel concetto di «popolo» e delle funzioni moralistico-educative che i fondatori vollero conferire a queste prime iniziative di acculturazione» G. BARONE, A. PETRUCCI, Primo: non leggere, Milano: Mazzotta, 1976, p. 38

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effimere. Biblioteche circolanti a Venezia (XIX-XX secolo) tratta proprio queste

realtà definite, non a caso, effimere. Pur analizzando i fenomeni veneziani, le similitudini che si riscontrano con la realtà scledense sono moltissime, poiché a Schio come a Venezia esistevano:

« […] queste biblioteche ‘a consumo’, nate grazie a private iniziative di mecenati per incentivare e soddisfare il desiderio di lettura dei ceti meno abbienti della popolazione. Si trattava di biblioteche ‘a consumo’ per molti motivi. Innanzitutto i luoghi trovati per allestire la biblioteca, sempre concessi pro tempore, la qualità dei libri donati o acquistati, la mancanza di finanziamenti e e addetti al lavoro […] . In secondo luogo, il cambiamento dei gusti della lettura rendeva queste biblioteche obsolete dopo qualche decennio di vita. Se spariva il mecenate, vero propulsore dell’iniziativa, data la provvisorietà della struttura veniva meno anche l’esperienza socioculturale della biblioteca fondata per soddisfare uno specifico pubblico.20»

1.4 Gabinetti di lettura e Biblioteche popolari nella Schio di fine

Ottocento

Nell’archivio dell’attuale Biblioteca Civica di Schio (da ora BCS) sono conservate diverse testimonianze relative all’esistenza in città di «biblioteche a consumo» a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Cercando di fare ordine tra i pochi documenti relativi a queste realtà, la testimonianza più antica, sembra, risale al 1867 ed è lo Statuto del Gabinetto di

Lettura in Schio21. Questo documento è diviso in 26 articoli, raggruppati in

diverse sezioni tematiche («dello scopo della Società e dei socj», «delle cariche», «delle adunanze», «regole disciplinari», «dello scioglimento della società» e infine «disposizione finale»). Proprio l’ultimo articolo ci fornisce un’informazione fondamentale: dice infatti come il presente Statuto (del 1867) 20 Ibid, p. 11-12

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vada ad abrogare il «Regolamento Sociale 28 Dicembre 1828, e le successive modificazioni introdotte dalla Società». L’esistenza di un Gabinetto di lettura sito a Schio è quindi testimoniata a partire dal 1828 e la sua fondazione sembra risalire proprio a Lodovico Pasini22.

Dall’analisi dello Statuto, purtroppo, emergono poche disposizioni che confermino la struttura amministrativa del Gabinetto, e non forniscono quindi informazioni indirette sul precedente Regolamento e sull’attività dal Gabinetto dal 1828 al ‘67. Ad esempio l’art. 5 dice che «l’annuo contributo d’ogni Socio resta fissato in Lire Italiane ventiquattro» e l’art. 22 sottolinea come «Resta rigorosamente proibito ad ogni Socio di portare fuori dal Gabinetto, anche per pochi momenti, qualunque Giornale o libro»; infine, all’art. 23, si riconfermano gli orari di apertura del Gabinetto. Sono questi i pochi articoli che, usando termini come «si riconferma» o «resta», ci portano a ritenere che queste disposizioni siano state riprese dal Regolamento del 1828 e confermate nello Statuto successivo.

Il Gabinetto al 1867 si presentava come una Società il cui scopo era «la lettura dei Giornali e Libri in un determinato locale comune» e il cui numero di soci si definiva illimitato; per essere socio era necessario che la propria candidatura fosse approvata a maggioranza di voti dalla Presidenza, oltre che essere in regola con il pagamento della quota associativa di «ventiquattro Lire Italiane» l’anno. L’accesso al Gabinetto era consentito ai soci, ai loro parenti e anche ai forestieri se presentati da un socio garante, previo pagamento da parte di questi ultimi di due lire al mese.

22 «Fu [ Lodovico Pasini] precipuo fondatore nel ‘28 del Casino di lettura, e nel ‘36 del teatro sociale.» A. DA SCHIO, Schio nel corso dei tempi, Venezia : Stab. Tipo-Litografico F.lli Visentini, 1890, p.55

«L’attenzione tutta rivolta ai grandi fatti nazionali tiene in ombra la realtà cittadina; Lodovico Pasini istituisce nel ‘28 un gabinetto di lettura, nel ‘36 nasce il Teatro Sociale, illustrato dal canto di G. B. Genero» SCHIO: Vita Cultura Economia, op. cit., p. 76

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L’articolo 10 definisce le cariche presenti nella Società:

«La Società sarà rappresentata e amministrata da tre Presidenti, coll’assistenza di un Segretario-cassiere. Le persone nominate conservano la carica per tre Anni, e possono essere rielette. 23»

Abbiamo poi, in ordine cronologico, una Lettera della Commissione per

la Istituzione della Biblioteca Popolare alla Congregazione di Carità di Schio

datata 1 giugno 1869 ed un Regolamento della Biblioteca Popolare in Schio24

datato anch’esso 1 giugno 1869. Entrambi questi documenti riportano la stessa data: è possibile ipotizzare che il Regolamento sia stato stilato in previsione dell’istituzione della Biblioteca Popolare, ma non testimoni quindi l’effettiva realizzazione del progetto a questa data.

La Lettera è firmata dai membri della Commissione, cioè Antonio Toaldi, Giacomo Melchiori e Gioachino Folladore. Essa riferisce che, a seguito dell’incarico di istituire una Biblioteca popolare trasmesso dal Municipio alla Commissione, i membri di quest’ultima si sono adoperati per aprire una raccolta di sottoscrizioni e offerte per una buona riuscita dell’impresa.

Il «Regolamento», all’Art.1, definisce la Biblioteca Popolare che si andrà ad istituire come «un’associazione per la diffusione delle lettere utili al popolo per l’esercizio delle arti, delle industrie, e dell’agricoltura, nonché pel suo morale e civile miglioramento»25. Continua poi sottolineando che «si

provvederà a tal fine coi spontanei donativi di libri, o denaro, che verranno fatti alla Biblioteca, e coi fondi derivanti dai pagamenti dei soci effettivi» e che i soci «effettivi saranno quelli che pagheranno £.2 semestrali anticipate con obbligazione triennale.» Un dato importante ci viene fornito dall’art. 4 , dove si specifica che «la lettura gratuita non è esclusiva dei soci effettivi, ma sarà

23 Statuto del Gabinetto di Lettura in Schio, 1867, BCS, Archivio

24 Vedi Appendice documentaria p. XXII

25 Regolamento della Biblioteca Popolare in Schio, Schio, 1 giugno 1869, BCS, Fondo Dalla Ca’, Busta 136/D

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estensibile a chiunque abbia dimora nel Comune26». Ci troviamo quindi di fronte

ad un’organizzazione totalmente diversa rispetto ai Gabinetti di lettura visti in precedenza, in cui soltanto i soci potevano entrare e usufruire dei servizi dall’associazione; la Biblioteca popolare che si vuole istituire è organizzata in modo innovativo non solo per la gratuità del servizio, ma anche per la possibilità di prestito dei libri27. A livello gestionale la nascente Biblioteca

popolare sembra organizzata con attenzione e competenza: viene previsto un catalogo generale in cui trascrivere il «numero d’ordine» dei libri, ognuno dei quali contrassegnato dal timbro della Biblioteca; inoltre sono previsti anche un catalogo per materie e il registro di circolazione.

Con l’Art. 2628, relativo allo scioglimento dell’istituzione, si conclude il

Regolamento, senza alcuna sottoscrizione o data di approvazione; c’è però un lungo Commento in appendice, conservato anch’esso presso l’Archivio della Biblioteca di Schio nel Fondo Dalla Ca’, di cui riportiamo alcuni passi:

«Il Municipio onorava di suo mandato una Commissione per istituirla [la Biblioteca popolare], e la Commissione assumendolo, senza disconoscere le difficoltà inerentivi relativamente alla nostra situazione politica- regionale, facevasi animo a proseguire nell’impresa, è perché non ignorava che, ed i rappresentanti del Comune, e l’eletta gioventù, ed i cittadini tutti sarebbero sempre accorsi con il loro aiuto là dove era una buona opera da porre a compimento. La Commissione rifletteva a due cose per il buon andamento della istituzione. L’una relativa alla parte economico-26 Loc. cit.

27 Regolamento della Biblioteca Popolare in Schio, op. cit. ,BCS, Archivio

«Art. 6: Ogni lettore sarà fornito di una carta di ammissione, nella quale di volta in volta saranno registrati i libri concessi a prestito.

Art. 7: Non si presterà che un solo libro per volta, e nel caso l’opera consti di più volumi si terranno tutti a disposizione del lettore.

Art. 8: Il volume dato in prestito non si potrà tenere oltre un mese, trascorso il quale il lettore riceve una richiesta di restituzione.»

28 Regolamento della Biblioteca Popolare in Schio, op. cit. , BCS, Archivio

«Art. 26: Qualora l’associazione fosse ridotta ad un numero di membri inferiore ai trenta s’intenderà sciolta, ed in questo caso offrirà tutto regolarmente al Municipio, a patto che si assuma di curare la Biblioteca a beneficio del popolo.»

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finanziaria, riflettente la parte morale-disciplinare la seconda. Assicurato il buon esito della prima, e pell’energico concorso dei cittadini, e per la buona volontà dimostrata da molti operai nell’associarsi alla lettura, rimaneva di pensare alla seconda […] :la parte più facile è quella di raccogliere i libri, la più difficile che siano letti, e letti con profitto, dai popolani».29

Il commento si conclude con una frase che lascia intendere chiaramente come la Biblioteca Popolare fosse in fase di progettazione, ma nel 1869 non ancora realtà30. Appena un anno dopo, nel 1870, un’utile testimonianza ci viene fornita

dall’Annuario delle biblioteche popolari in Italia: alla voce «Schio» troviamo scritto:

«È istituita in Schio un’associazione per la diffusione delle letture utili al popolo: questo beneficio è gratuito per tutti gli abitanti del Comune. […] La sede della Biblioteca è presso il Municipio, il quale ne diè l’iniziativa coll’offerta di £. 200 e del locale gratis. I volumi esistenti ascendono a 250 per lo più della Biblioteca utile del Treves; i lettori iscritti 36; e lessero 90 volumi.31»

Sappiamo quindi che a Schio nel 1867 era attivo un Gabinetto di lettura, fondato nel 1828 da Lodovico Pasini, e che nel 1869 era stata progettata una Biblioteca popolare, concretizzatasi nel 1870. Potremmo ricollegare a breve queste due 29 BCS, Fondo Dalla Ca’, busta 136.G

Vedi Appendice documentaria, p. XXIII

30 Regolamento della Biblioteca Popolare in Schio, op. cit. «Se l’appello che viene mosso dalla

Commissione troverà tutti unissoni, e nell’intendimento, e nello scopo, avrà essa la compiacenza di aver ottenuto la prima vittoria nell’impresa che si assume.»

31 «SCHIO: È istituita in Schio un’associazione per la diffusione delle letture utili al popolo: questo beneficio è gratuito per tutti gli abitanti del Comune. I soci in numero di 60 pagano £.1 al semestre obbligatoria per un triennio. La sede della Biblioteca è presso il Municipio, il quale ne diè l’iniziativa coll’offerta di £. 200 e del locale gratis. I volumi esistenti ascendono a 250 per lo più della Biblioteca utile del Treves; i lettori iscritti 36; e lessero 90 volumi. Il Comune di Schio conta 9.300 abitanti, di cui 2.300 occupatissimi nei lanifici, per cui è facile spiegare la ragione dello scarso numero di letture che vien fatto nella stagione di estate e d’autunno; forse maggiore è da ripromettersi nelle lunghe serate d’inverno, potendo l’operaio risecare qualche ora per la lettura, almeno in comune. Il sig. Giacomo Melchiori è fra gli operosi membri della Commissione che dirige la nascente Biblioteca.» A. BRUNI, G. BENEDETTI, Annuario delle biblioteche popolari d'Italia , Firenze : Coi tipi di M. Cellini, 1870, p.91

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iniziative, e le successive, in un unico quadro riassuntivo, grazie all’ausilio di un’interessante, quanto inaspettata, Guida Alpina.

Una realtà viva e operante è sicuramente quella della Società di Mutuo Soccorso, di cui abbiamo già parlato, e la sua Biblioteca Circolante, fondata nel 1873 e finanziata grazie agli utili del Magazzino Merci. A testimoniare la sua attività resta un prospetto riassuntivo dal 1873 al 188032, anni durante i quali il

numero di libri posseduto (tra acquisti e donazioni) sale da 119 a 846, mentre quello dei lettori passa dai 38 del primo anno di attività ai 266 dell’ultimo anno testimoniato. Ulteriori informazioni ci vengono date dalla pubblicazione e distribuzione tra i soci della Società dell’opuscolo Storia dei cinquant’anni di

vita33, stampato nel 1911: qui si specifica come, tra la fine dell’Ottocento e i

primi anni del Novecento, sia stata incrementata la Biblioteca, riordinandola, comprando nuovi libri e aumentando lo stanziamento annuo (dal 5% al 10%)34.

Si parla inoltre dell’apertura di un Gabinetto di Lettura ad essa collegato35, ma di

entrambe queste istituzioni non abbiamo né statuti né regolamenti né ulteriori 32 R. BORTOLI, «Vicende e conquiste di un glorioso sodalizio» in Le Società di Mutuo

Soccorso in Schio. Cent’anni di vita 1861-1961, Rassegna di Storia e Vita Scledense,

Biblioteca Civica, Schio, 1961, p. 9

33 Nozze d’oro della Società del Mutuo Soccorso fra gli Artieri in Schio. Storia di

cinquant’anni di vita 1861-1911. Questo opuscolo risulta essere il riassunto di due

pubblicazioni precedenti: Cenni storici del 1881 redatto in occasione del Concorso all’Esposizione di Milano, e Relazione documentata, del 1906. Tutto conservato presso BCS, Archivio

34 « [1901-1905] Altro lavoro imprese l’Amministrazione: visto che la Biblioteca aveva

bisogno di riordino, nomina all’uopo una Commissione, delibera di provvedere intanto al rifornimento di buoni libri con somme da prelevarsi dal fondo del Magazzino Merci e dispone che cominciando col 1905 il Magazzino stesso abbia a devolvere una quota parte degli utili a favore di questa Istituzione, perché negli anni susseguenti possa provvedere a quanto sarà ritenuto necessario per rispondere ai desideri dei lettori e al maggior incremento della Biblioteca stessa.» Nozze d’oro della Società del Mutuo Soccorso, op. cit., p. 21

35 « [1906-1910] La coltura individuale e collettiva è la leva più efficace per mantenere

nell’ambiente sociale quella serietà e serenità di propositi che riescono ad unificare le forze necessarie per raggiungere le desiderate finalità; e la Società mentre continua ad incoraggiare la Scuola Libera Popolare, riordina la sua Biblioteca Circolante, istituendovi un Gabinetto di Lettura che è aperto ai soci due volte a settimana.»

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bilanci amministrativi.

Risale al 1893 un ulteriore statuto: lo Statuto del Gabinetto di Lettura e

Casino Sociale di Schio36. Vista la denominazione di quest’ultimo documento si

sono cercati punti in comune, o discordanti, rispetto a quello precedentemente presentato, cioè lo Statuto del Gabinetto di Lettura in Schio, risalente al 1867. Troviamo corrispondenze soprattutto negli articoli che definiscono le adunanze della Società: in entrambi i casi vengono previste due sessioni ordinarie, una in Novembre e una in Febbraio e, sempre in entrambi gli Statuti «qualora la I Sessione andasse deserta per mancanza del numero soprafissato, la II Sessione sarà valida qualunque sia il numero degli intervenuti.37». Anche dal punto di

vista dell’ammissione al Gabinetto dei parenti del socio (madri, mogli, «Signore di loro conoscenza» e figli, specificando per questi ultimi non minori di quattordici e, per i figli maschi, non maggiori di diciotto) i due Statuti presentano similitudini. Questi rimandi non sono però da considerare decisivi, tutt’altro, in quanto trattano prevalentemente la sfera organizzativa dei Gabinetti, e potrebbero quindi rifarsi a regolamenti e statuti standard per 36 Vedi Appendice fotografica, Tav. 2, p.IV, e Appendice documentaria, p. XXVI

37 Nello Statuto del Gabinetto di Lettura in Schio del 1867 troviamo scritto:

«Le Adunanze generali sono ordinarie e straordinarie, e si fanno dietro lettera d’invito nella quale saranno indicati gli oggetti da trattarsi. La Sessione sarà legale allora soltanto che il numero dei Socj intervenuti personalmente raggiungerà il terzo degli iscritti aventi diritto al voto. Qualora la I Sessione andasse deserta per mancanza del numero soprafissato, la II Sessione sarà valida qualunque sia il numero degli intervenuti. Ogn’Anno vi saranno due sessioni ordinarie, l’una in Novembre e l’altra nel mese di Febbrajo. Gli oggetti di trattarsi nella prima saranno: approvazione del Preventivo, scelta dei Giornali e libri per l’anno successivo, rielezione delle Cariche in quanto fossero scoperte. Nella seconda: Approvazione del Consuntivo.»

Lo Statuto del Gabinetto di Lettura e Casino Sociale di Schio, risalente al 1893, recita a sua volta:

«Le adunanze generali ordinarie sono due: la prima nel mese di Novembre per la presentazione da farsi del Comitato del Conto preventivo delle rendite e delle spese generali per l’anno successivo e per la sua approvazione. In questa convocazione ha luogo la nomina delle cariche. La seconda nel mese di Febbrajo per la approvazione del rendiconto dell’anno precedente. […] L’adunanza sarà legale quando intervenga almeno un sesto dei soci ordinari, se l’adunanza non avesse effetto per mancanza di numero, sarà legale una seconda qualunque sia il numero degli intervenuti.»

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regolamentare le Società del tempo. Inoltre nello Statuto del 1893 manca completamente la Disposizione Finale che, ben specificata in quello del 1867, sottolineava come il presente Statuto venisse a sostituirne uno precedente. È quindi più probabile che si trattasse di due differenti realtà attive nella Schio di fine Ottocento.

Tornando all’analisi dello Statuto del 1893 vediamo come questo documento sia suddiviso in otto capitoli, per un totale di 47 articoli; il primo dichiara:

«È costituita una Società con nome di Gabinetto di Lettura e Casino Sociale; ha per iscopo la lettura, la conversazione, i giuochi e altri divertimenti.»

I Soci che ne fanno parte vengono divisi in due classi: ordinari e straordinari. I primi sono «quelli che si obbligano per tre anni decorribili dal primo Gennaio 1893 e pagano trimestralmente £ 6 (sei) anticipate» mentre i secondi sono «quelli che domiciliano temporaneamente nel Comune o nel mandamento di Schio, si obbligano di mese in mese e pagano £. 2 (due) mensili anticipate.» Per i forestieri, cioè coloro che abitano fuori dalla città di Schio, era possibile essere ammessi al Gabinetto solo previa presentazione da parte di un socio garante. Al capitolo VI si parla degli organi amministrativi del Gabinetto, cioè un Comitato composto da Presidente, Vicepresidente e tre Consiglieri, di cui uno incaricato di ricoprire anche la funzione di Bibliotecario (figura non presente nello Statuto del 1867). Anche qui, come nei casi precedenti, nulla è rimasto oltre lo Statuto: non si hanno notizie sulla sede, sul numero di soci, sul capitale, etc.

Prima di parlare delle radici vere e proprie dell’attuale BCS, e alla luce di tutti i dati sovraesposti, ricostruiamo il panorama complessivo delle Biblioteche popolari e dei Gabinetti di lettura a Schio. Fondamentale per questa descrizione risulta essere una guida turistica, la Schio Alpina, edita nel 1878.

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Nell’elencare i luoghi di ritrovo interessanti e utili per un viaggiatore, questo modesto volume ci dice come a Schio fossero presenti il Teatro Sociale38 e il

Teatro Jacquard39, siti entrambi in via Palestro40; presso quest’ultimo aveva

inoltre sede il «Casino Sociale, stanze da gioco, da biliardo, da lettura (una ventina di periodici italiani e esteri), sala da ballo41». Nello stabile del Teatro

Jacquard aveva certamente sede la Società di Mutuo Soccorso tra gli Artieri di Schio42, con la propria Biblioteca circolante. Si spiegherebbe quindi

l’indicazione, contenuta nell’opuscolo Storia dei cinquant’anni di vita, di un Gabinetto di lettura sorto accanto la Biblioteca del Mutuo Soccorso43, anche se

le date riportate da questi documenti non coincidono44.

Inoltre, in questi anni di fine secolo, abbiamo testimoniata anche la presenza di un Casino Sociale e Caffè presso il Teatro Sociale45; la nostra ipotesi

38 Per la storia e le vicende relative al Teatro Sociale si sono consultati:

E.M. SIMINI, Il Teatro degli operai, Abano Terme : Francisci, 1986 - M.T. NARDELLO, Il

Teatro Sociale di Schio , Tesi di laurea, Università degli studi di Padova, a.a. 1968-1969 - Il Teatro Sociale, in «Bollettino Parrocchiale», n°6, giugno 1937, p.3 - G. BAICE, I 50 anni del Teatro Sociale, in «Schio. Numero Unico», 1985, p.33

39 Per la storia e le vicende relative al Teatro Jacquard si sono consultati:

P. GIANDOMENICIi, Il Teatro Jacquard di Schio, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, a.a. 1968-1969 - Trasformazione dello stabile del teatro Jacquard, in «Lane Rossi», I, giugno 1949, p.2

40 Oggi Via Pasubio e Via Rovereto.

41 F. ROSSI, Schio alpina : saggio di guida alle vallate del Leogra, del Timonchio, dell'Astico,

del Posina ; in appendice i Sette Comuni vicentini, la Valle dell'Agno (Recoaro) e passi nel Tirolo, Schio : L. Marin e comp., 1878, p. 61

42 Come suggerito dal documento Piano di fondazione della Società di S. Rocco pel Mutuo

Soccorso degli Artieri dello stabilimento Francesco Rossi in Schio, la Società di Mutuo

Soccorso nasceva in seno all’industria tessile dei Rossi, così come lo stabile Jacqard; quest’ultimo si sviluppava sotto la Chiesa di S,Rocco, della quale inizialmente la Società prese il nome.

43 Nozze d’oro della Società del Mutuo Soccorso, op. cit., p. 25

44 Vedi Nota 35, da Nozze d’oro della Società del Mutuo Soccorso, op. cit., p. 25

La Guida Alpina di Rossi è del 1878, mentre da questo opuscolo il Gabinetto di lettura della Società del Mutuo Soccorso sembra sia stato fondato agli inizio del Novecento.

45 «Intanto urgente era la necessità di dare al Teatro una decorosa facciata; dal momento che di fronte esisteva una casa quasi cadente di proprietà della Società, si credette opportuno trasformare tale edifico in via Palestro in un Casino Sociale e Caffè con sale da gioco e di lettura." M. T. NARDELLO, Il Teatro Sociale di Schio, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 1968-1969, p. 84

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è che si trattasse del Gabinetto di Lettura e Casino sociale di cui abbiamo analizzato lo Statuto, risalente al 1893.

Ancora: la guida indica, parlando delle biblioteche presenti in città, la Biblioteca Popolare del Mutuo Soccorso e una Biblioteca Popolare Circolante presso il Municipio, di cui parla il già citato Annuario46. Nessun altro documento

ci viene in aiuto per chiarire una situazione tutt’altro che lineare. È indubbio però come, in questi anni, fermentasse a Schio un clima carico di un rinnovamento culturale stimolante e attivo, che porterà all’istituzione di quattro o addirittura cinque realtà differenti.

Proseguendo nella nostra ricostruzione cronologica, ed essendo ormai arrivati ai primi anni del Novecento, dovremmo iniziare a parlare della radici della Biblioteca Civica di Schio.

Tali radici risalgono infatti al 1918, e cioè a quando il sopraccitato Eleonoro Pasini, politico, predispose un lascito di circa 6.000 lire in previsione dell’apertura di una Biblioteca. L’anno seguente seguirono il suo esempio le Industrie Saccardo, donando la somma di 1.000 lire. Ma tratteremo questi lasciati e lo sviluppo della Biblioteca Civica in modo dettagliato nel prossimo capitolo.

Vi sono altre due biblioteche da presentare per completare la panoramica dell’ambiente scledense. La prima è anch’essa strettamente collegata all’Industria Lanerossi di Schio. Istituita nel 1934, Luigi Bonomo ne racconta nel suo articolo Confidenze del Bibliotecario:

«Quando nei primissimi mesi dell’ormai lontano 1934, il dott. Rodolfo Gavazzi, mi chiede se accettavo l’incarico di costruire una Biblioteca circolante per il personale del Lanificio, e pose a mia disposizione una somma che oggi farebbe sorridere, ma che allora era cospicua, assunsi il nuovo compito con vera gioia. […] Accettato l’incarico, mi posi subito all’opera per l’acquisto dei primi volumi e per stabilire un piano per il funzionamento dell’istituzione. […] La 46 A. BRUNI, G. BENEDETTI, Annuario delle biblioteche popolari d'Italia, op. cit.

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biblioteca cominciò a funzionare per il pubblico nei primissimi giorni del luglio 1934, e oggi a oltre 17 anni di distanza è più fiorente che mai. […] Nei primissimi tempi la Biblioteca veniva aperta ai lettori un giorno alla settimana, dalle 17 alle 19; poi i giorni di apertura vennero portati a 2 alla settimana, e finalmente a 3 giorni settimanali, sempre dalle 17 alle 19.47»

La seconda è la Biblioteca Cattolica, istituita presso il Teatro Sociale dal momento che quest’ultimo venne acquistato dalla Parrocchia. Si tratta di una biblioteca circolante istituita tra il 1936 -data di acquisizione dello stabile- e il 1941 - anno per il quale abbiamo i primi dati sul lavoro svolto. A questa data sappiamo che la suddetta era dotata di 3.479 volumi, per un totale di 15.000 prestiti per l’anno in corso. La Biblioteca teneva aperto la domenica dalle 10,30 alle 12, il mercoledì dalle 20 alle 21 e il giovedì dalle 18 alle 19.

1.5

Il primo Novecento e la Federazione Italiana delle

Biblioteche Popolari

In questo panorama di biblioteche «effimere», inizia a sentirsi fortemente la necessità di coordinare a livello nazionale le iniziative filantropico-populiste dei privati che avevano portato alla nascita di circa un migliaio di biblioteche popolari negli anni '70 dell'Ottocento48. Nascono così le

prime società che si occupano della questione bibliotecaria italiana.

In Italia per circa un secolo si affiancheranno due realtà parallele in questo settore: da una parte i censimenti, le leggi, le iniziative e i finanziamenti dello Stato, previsti e attuati prevalentemente in funzione delle biblioteche

47 L. BONOMO, Confidenze del Bibliotecario, in «Noi del Lanerossi», anno III, n°10 del 15 ottobre 1951, p.12

48 M. L. BETRI, Leggere Obbedire Combattere : le biblioteche popolari durante il fascismo, Milano: Francoangeli, 1991, p.22

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governative49; dall’altra l’effettiva realtà delle biblioteche minori e del loro

ristretto bacino di utenti. È noto come, all’indomani dell’Unità, la situazione italiana fosse critica sotto molti punti di vista: tra questi, estremamente eterogeneo, il tasso di alfabetizzazione. Nel 1861 tre quarti della popolazione italiana era incapace di scrivere e di leggere, con una netta prevalenza di analfabetismo femminile. La situazione andò via via migliorando, arrivando a percentuali di analfabetismo del 48% nel 1901 e 37% nel 191150. Sembra

evidente quindi come una larghissima parte di italiani non fosse nelle condizioni di usufruire, necessariamente, delle attività e dei libri di una biblioteca.

Nel 1865 a Milano si istituisce la Società promotrice delle biblioteche popolari, realtà pionieristica ma che entrerà in crisi agli inizi del Novecento; grazie ad un lungimirante consiglio di amministrazione, parte del fondo librario della Società fornirà la base per il più fortunato Consorzio delle biblioteche popolari. Il Consorzio si costituì nel 1903 sotto la presidenza del socialista Filippo Turati : la sua nascita, promossa dall'Umanitaria51, rispondeva alla una

nuova esigenza di attivare una rete funzionale e funzionante tra le biblioteche popolari, sostenuta da una pluralità di enti.52 Il vero teorico ed organizzatore di

49 «Le 32 biblioteche governative erano così suddivise: due nazionali centrali (Vittorio Emanuele di Roma e Nazionale Centrale di Firenze), con il beneficio di ricevere dagli editori un esemplare di ogni opera pubblicata nel Regno, in base alla legge del 7 luglio 1910, n°432; cinque altre nazionali ( Nazionale di Torino, Braidense di Milano, Marciana di Venezia, Nazionale di Napoli, Nazionale di Palermo); dodici biblioteche universitarie […], e infine altre tredici governative. […] Erano amministrate direttamente dal Ministero della Pubblica Istruzione, divenuto Ministero dell’Educazione Nazionale con r.d. N°1661 del 12 settembre 1929» Ibid, p.55

50 Ibid, p.16

51 «Su questo terreno si colloca la Società Umanitaria, fondata nel 1893 con un ricco lascito al Comune di Milano da parte di Prospero Mosè Loria, la quale iniziò la propria attività effettiva nel 1902 […]. L’importanza del ruolo assunto dall’Umanitaria in campo bibliotecario consiste comunque essenzialmente nella promozione del Consorzio milanese delle biblioteche popolari, istituito nel 1903, dal quale trarrà origine la Federazione nazionale.» P. TRAINELLO, Storia delle biblioteche in Italia : dall'Unità a oggi , Bologna : Il Mulino, 2002, p. 148- 149

52 «Turati fu nominato presidente del Consorzio delle biblioteche popolari, costituito nel 1903, oltre che dalla Società promotrice, dall'Umanitaria, dall'Università popolare, dalla Camera del lavoro, dalla Società promotrice della cultura popolare, ben presto sostenuto da un contributo

(29)

questa realtà fu però un altro socialista, Ettore Fabietti, il quale, incaricato di riordinare e catalogare il fondo librario della Società promotrice, recuperò seimila libri destinandoli a formare le prime quattro biblioteche «satelliti» della rete del Consorzio53.

Ricordiamo qui brevemente come il neonato Stato italiano si occupò solo superficialmente del problema delle biblioteche: in primo luogo venne promosso un censimento che portò ad una documentazione statistica considerata necessaria «prima di formulare una proposta di legge e di addivenire a uno speciale regolamento delle biblioteche».54 Si procedette quindi con il primo

decreto, firmato da Vittorio Emanuele II il 25 novembre 1869, atto a regolare il riordino delle biblioteche pubbliche governative, per arrivare a stilare il loro «Regolamento» nel 1876; in entrambe queste misure si prevedevano inoltre corsi tecnici per formare il personale bibliotecario, nella realtà mai attivati55.

Nel 1908 a Roma si svolse il primo Congresso nazionale delle biblioteche «il quale riaccese anche qualche speranza circa il futuro impegno dello Stato a favore delle biblioteche popolari.56»

«L'ente di coordinamento in sede locale, proponevano i relatori, doveva essere il Comune, con l'ovvio supporto legislativo e finanziario della Stato. Nel corso dei lavori venne inoltre approvato lo statuto della Federazione italiana delle biblioteche popolari, che entrò subito in funzione a Milano in una sede messa a disposizione dall'Umanitaria.57»

La Federazione italiana delle biblioteche popolari (da ora F.I.B.P.) si

del Comune, della Camera del Commecio e dalla Cassa di Risparmio» M. L. BETRI,

Leggere Obbedire Combattere , op. cit., p.25

53 E. FABIETTI, La Biblioteca popolare moderna : manuale per le biblioteche pubbliche,

popolari, scolastiche, per fanciulli, ambulanti, autobiblioteche, Milano : Vallardi, 1933

54 «Essa registrava l'esistenza di 210 biblioteche (di cui soltanto 164 aperte al pubblico), suddivise in 32 governative, 100 comunali e provinciali, 71 appartenenti a istituzioni scientifiche, a corporazioni religiose e a privati, e 6 miste.» M. L. BETRI, Leggere Obbedire

Combattere , op. cit., p.17

55 Ibid, p. 26-27 56 Ibid, p. 35 57 Loc. Cit.

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approcciò alla realtà italiana in modo totalmente innovativo: da un lato forniva materiale tecnico necessario per l'avvio e l'organizzazione di piccole biblioteche, come registri d'ingresso, moduli, schede, etc.; dall'altro, grazie a convenzioni stipulate con case editrici, offriva ai suoi associati58, o meglio «federati», la

possibilità di acquistare libri a prezzi scontati anche del 40% rispetto al prezzo di copertina. La F.I.B.P. si caratterizzò anche da un incoraggiante inizio: le biblioteche che facevano richiesta di associazione aumentarono con costanza, passando da 221 federate nel 1909 a ben 1.052 nel 1912.59

Tuttavia ben presto le correnti riformiste e positivistiche, con i loro esponenti impegnati in prima fila in queste associazioni, si trovarono ostacolate prima da correnti antagoniste e dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale e poi totalmente represse con avvento del fascismo. Con il fascismo l'idea e la volontà di creare una «coscienza libraria» nel Paese cambiava completamente obiettivo: il libro diventava strumento di propaganda politica e nazionalistica, e si conia lo slogan «Libro e moschetto, fascista perfetto».

Se nacquero velocemente in tutta Italia istituti di cultura fascista, altrettanto velocemente si procedette con la «fascistizzazione» delle realtà già attive: e la Federazione milanese si presentava come un obiettivo da conquistare con urgenza. Nel 1926 Leo Pollini venne nominato commissario prefettizio della F.I.B.P. e direttore del periodico «La Parola e il Libro»; egli portò con sé una concezione della cultura esattamente agli antipodi di quella di Fabietti. Seguendo il motto «Non tutto il sapere a tutti» si modellava la nuova missione che la Federazione e le biblioteche avrebbero dovuto svolgere: improntata su basi etiche, patriottiche e religiose la «nuova» biblioteca popolare doveva «preparare con sforzo paziente e adeguato le classi della nazione a compiere 58 Si richiedeva una quota associativa proporzionata rispetto alla consistenza della biblioteca : nel 1925 ammontava a lire 10 annue fino a una consistenza di 500 volumi: a 15 lire fino a 1.000 libri; a 20 fino a 5.000, e a 50 oltre i 5.000.

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ciascuna bene tecnicamente e moralmente il compito che le è assegnato nella grande fatica.60». Inoltre Pollini sosteneva con fermezza come l'estensione

nazionale della rete delle biblioteche popolari dovesse fornire un mercato privilegiato per l'editoria italiana. La F.I.B.P. aveva infatti raggiunto un bacino d'utenza notevole: in un anno (dal luglio del 1927 al giugno del '28) aveva spedito alle biblioteche federate circa 160.000 volumi61. Gli interessi

dell'editoria e del fascismo trovarono quindi un punto di contatto: se l'editoria mirava ad ottenere dal regime un circuito di mercato privilegiato e protetto

-sgravi fiscali, tariffe ridotte, etc.- contemporaneamente il regime individuava in

un produzione editoriale alleata uno strumento di grande importanza politica62.

Un’ulteriore elemento messo in campo nel tentativo di creare un apparato amministrativo funzionale sarà la Direzione generale accademie e biblioteche: istituita con r.d. n°944 del 7 giugno 1926, nasce in seno al Ministero della Pubblica istruzione (il quale diventerà, pochi anni dopo, Ministero dell’Educazione Nazionale). Ma la situazione concreta e reale delle biblioteche italiane non era migliorata: se il Ministero elargiva maggiori finanziamenti alle governative per avere un immediato ritorno di prestigio e visibilità, con particolare attenzione alla conservazione e ai fondi antichi63, le biblioteche

popolari continuavano ad essere «effimere» o «sabbie mobili64» per il loro

continuo nascere e scomparire.

Tra il 1929 e il 1930 venne promossa un'indagine ufficiale, in collaborazione con l'Ufficio centrale di statistica, per avere una panoramica globale della situazione delle biblioteche italiane: i risultati furono tutt'altro che confortanti. Vennero individuate 3.270 biblioteche popolari così suddivise: 738 60 G. BARONE, A. PETRUCCI, Primo: non leggere,op. Cit.,, p. 84

61 M. L. BETRI, Leggere Obbedire Combattere , op. cit., p. 54 62 G. BARONE, A. PETRUCCI, Primo: non leggere,op. Cit.,, p. 86

63 A. SERRAI, Breve storia delle biblioteche in Italia, Milano : Edizioni Sylvestre Bonnard, 2006, p.121

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scolastiche, 601 gestite dai Comuni, 523 dell'Opera nazionale dopolavoro, 145 dell'Opera nazionale combattenti, 78 dell'Opera nazionale Balilla, 213 gestite dai Fasci locali, 374 dalle parrocchie, 471 gestite da privati e 127 non classificabili. I dati sul patrimonio librario ci dicono che solamente 141 possedevano più di 3.000 volumi, 385 da 1.000 a 3.000 e 408 dal 500 a 1.000 volumi.65 Di fronte a questa situazione estremamente eterogenea il governo

decise di istituire un ente con funzioni di indirizzo, promozione e coordinamento: siamo nel 1932 quando nasce l'Ente Nazionale per le Biblioteche Popolari e Scolastiche (da ora E.N.B.P.S.)

Dopo pochi mesi dalla sua fondazione l'E.N.B.P.S. congloberà la F.I.B.P., realtà già irrimediabilmente compromessa dalla direzione di Pollini, ereditando in parte le sue funzioni, ma con un taglio totalmente diverso. L’E.N.B.P.S. continuerà a fornire materiali e libri a prezzi scontati alle biblioteche ad esso associate, ma con una nuova, preponderante funzione: controllare e indirizzare le scelte di lettura. Particolarmente funzionale a quest’ultimo scopo risultò l’aver ereditato dalla F.I.B.P. il periodico «La Parola e il Libro», al quale allegare preposti listini-guida bibliografici. Nel 1935 inoltre si porterà a quindici il numero delle Soprintendenze Bibliografiche, istituite nel 1919 ma inattive per mancanza di fondi: la loro funzione verteva nell’individuazione e tutela del materiale librario (di pregio), e nell’ispezione, sostegno e incremento delle biblioteche locali (pubbliche non governative). Ma, come precedentemente detto, tra l’organizzazione amministrativa e la sua applicazione pratica vi era grande differenza: il principale compito degli ispettori della soprintendenza si riduceva spesso ad un intervento «educativo e politico» (controllo della congruità del materiale librario nelle biblioteche 65 «Le oltre 2.300 che rimanevano usurpavano la denominazione di biblioteca possedendo talvolta 10 o addirittura 5 volumi». M. L. BETRI, Leggere Obbedire Combattere , op. cit., p. 68

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minori) oltre che decisamente sporadico66.

In questo contesto italiano, anche Schio muove i primi passi per dotarsi di una Biblioteca: è il 1928 quando la futura bibliotecaria Giuditta Boniver Valinotto inizia a prendere contatti con la F.I.B.P., prima chiedendo informazioni e poi associandosi, ricevendo la tessera di federata n° 5061.

66 A. SERRAI, Breve storia delle biblioteche in Italia, op. cit., p. 177 M. L. BETRI, Leggere Obbedire Combattere , op. cit., p. 59

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