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L'archivio del laboratorio Barsanti. Arte, artigianato e industria a Pietrasanta tra Otto e Novecento.

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE 1

Cap. 1. Il contesto storico, sociale ed economico 6

Cap. 2. Le fonti dirette: Copialettere, fotografie, cataloghi 15

2.1. La raccolta dei Copialettere del laboratorio Barsanti 15

2.2. Foto, album fotografici e cataloghi nel laboratorio Barsanti 19

Cap. 3. Martino Barsanti e il suo laboratorio 26

Cap. 4. Committenza e concorrenza americana 37

4.1. Committenza e concorrenza centro e sud americana 37

4.2. Un caso spinoso: la concorrenza "sleale" di Luisi e Ferracuti 49

4.3. Committenza e concorrenza nordamericana 54

4.4. I mediatori nord americani 59

4.5. La "Daprato Statuary Company" 62

Cap. 5. Imprenditori italiani e stranieri a Pietrasanta: nascita di un centro

internazionale della lavorazione artistica del marmo 71

Cap. 6. Il laboratorio Barsanti: collaborazioni e funzionamento 80

6.1. Il laboratorio Barsanti e le collaborazioni esterne: professori della

locale Scuola di Belle Arti, scultori, galleristi, architetti 80

6.2. Immagini e gessi: la ricchezza del laboratorio 93

6.3. Strategie di promozione pubblicitaria 99

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Cap.7. Per una ricognizione dei soggetti 110

7.1. Arte funeraria 112 7.2. Arte sacra 118 7.3. "Generi da galleria" 121 TAVOLE 124 APPARATO FOTOGRAFICO 167 BIBLIOGRAFIA 211

FONTI ARCHIVISTICHE E FOTOGRAFICHE 221

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INTRODUZIONE

Questa tesi nasce da un interesse personale maturato nell'ambito del Centro Culturale "Luigi Russo" di Pietrasanta, l'ambiente in cui vivo e lavoro.

Il contatto con persone che operano nell'ambito della documentazione artistica e della conservazione museale, in particolare l'ex direttrice del Museo dei Bozzetti, Dott.ssa Chiara Celli, ha fornito dunque lo spunto dal quale partire per approfondire la storia del successo artigianale e artistico di Pietrasanta, nell'ambito della scultura, tra Otto e Novecento.

Si tratta di un periodo poco esplorato, visto che gli studi hanno teso finora a concentrarsi su un passato più recente legato alla presenza in città di grandi nomi del panorama artistico internazionale.

L'attività di ricerca ha così portato l’autrice a contattare il Dott. Costantino Paolicchi, da cui è stata informata dell'esistenza della corrispondenza commerciale, conservata dagli eredi del laboratorio Barsanti, una delle più prestigiose realtà imprenditoriali del settore lapideo pietrasantino tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo.

Il carteggio, definito complessivamente "Copialettere", contiene copie di missive inviate dalla ditta a partire dal 1884, anno di apertura del laboratorio da parte del fondatore, Martino Barsanti, fino agli anni del secondo dopoguerra.

Si tratta di circa 70.000 lettere distribuite su 155 volumi, conservate grazie alla lungimiranza e all'attenzione per la propria memoria familiare dagli eredi Barsanti, a cui si somma una, altrettanto preziosa, sezione fotografica.

Quello esaminato risulta dunque un archivio di cui ad oggi non si conoscono altri esempi di pari importanza, vista soprattutto l'organicità della documentazione epistolare e la consistenza del repertorio iconografico conservato. Tale corrispondenza, mai analizzata in maniera organica, è risultata in effetti una fonte diretta di primaria importanza per ricostruire l'atmosfera, le relazioni, lo sviluppo socio-economico di Pietrasanta a partire dall'ultimo ventennio dell'Ottocento.

L'ampiezza del periodo coperto dal carteggio, la quantità considerevole di lettere conservate, la complessità delle relazioni emerse e il cospicuo numero di

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personalità coinvoltevi, ha indotto a delimitare il campo di indagine, pur con la consapevolezza dell'importanza di altri possibili approfondimenti e direzioni di ricerca.

Si è dunque preferito approfondire il momento "eroico", "pionieristico" del laboratorio Barsanti, quello degli esordi e dell'iniziale fortuna commerciale.

Tale periodo è risultato importante anche per delineare il contesto socio-economico da cui prende avvio la fortuna artistica, artigianale e industriale di Pietrasanta, una fortuna alimentata oggi dalla presenza costante e continua di artisti di levatura internazionale che a Pietrasanta si affidano a quella perizia esecutiva così connaturata all'identità più profonda della città.

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RINGRAZIAMENTI

Si ritiene doveroso esprimere la propria gratitudine ai Professori, Alessandro Tosi e Luisa Passeggia, per la paziente disponibilità con cui hanno seguito questa tesi e al Dott. Costantino Paolicchi per i preziosi suggerimenti da cui ha preso avvio questo lavoro.

Un sentito ringraziamento va alla famiglia Barsanti, nello specifico Gino, Emanuele e Ornella, per la grande generosità con cui hanno messo a disposizione le loro memorie familiari, alla Dott.ssa Chiara Celli e ai colleghi del Museo dei Bozzetti, della Biblioteca e dell’Archivio Comunale di Pietrasanta per gli spunti di ricerca e il sostegno morale e materiale, al Dott. Enrico Botti per aver permesso la consultazione del suo prezioso materiale archivistico.

Un grazie di cuore alla mia famiglia e alla Prof.ssa Alberta Stefanini che mi ha sempre sostenuto e che, fin dall’inizio, ha speso parte del proprio tempo per leggere e discutere con me le bozze di questo lavoro.

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1. Il contesto storico, sociale ed economico

Un rapporto sulle condizioni politiche ed economiche della Versilia, stilato e presentato al granduca Pietro Leopoldo dal conte Francesco Campana di Seravezza nel 17701, attesta che nella seconda metà del Settecento la manifattura del marmo era "languente" e che la "statuaria" era del tutto inesistente nel capitanato di Pietrasanta2.

Analoga situazione era ancora testimoniata, soprattutto per ciò che riguardava la statuaria, dallo scultore e storiografo Vincenzo Santini che, in alcune sue carte, scriveva che, ancora nel 1815, nessuno si dedicava alla lavorazione del marmo nella comunità di Pietrasanta. In un altro documento, intitolato Stato della lavorazione dei marmi qual si trovava in Pietrasanta nell'agosto del 1842, lo stesso Santini scriveva che, fino agli anni '40 dell'Ottocento, l'artigianato del marmo in città era pressoché inesistente.

Eppure, in Versilia e a Pietrasanta in particolare, una tradizione di lavorazione artistica del marmo c'era stata con esempi e nomi anche illustri. Testimonianze di tale attività che si andava affermando, facendosi apprezzare anche fuori dai confini ristretti della Versilia, si hanno addirittura già a partire dalla seconda metà del XIV secolo3. Tra Trecento e Quattrocento l'attività artistica di famiglie come quelle dei Pardini4, dei Riccomanni5, degli Stagi6 rendono noto il

1 Il conte Francesco Campana di Seravezza (1726-1802), economista versiliese, addetto alla Segreteria di Stato del Granducato dal 1762, terminò l'analisi predetta nel 1770, indirizzandola al Granduca nello stesso anno. Vedi Orlandi 1976, p.111.

2 Campana 1969, vol. III, pp. 129 e sgg.

3 Nel 1379 risultano impiegati pietrasantesi, insieme a carraresi, nel cantiere del Camposanto di Pisa. Dal 1384 al 1420 i cantieri pisani si rivolgono soltanto a Pietrasanta. Vedi Orlandi - Forli 2001, p. 20.

4 Bonuccio Pardini ebbe un rinomato studio a Pietrasanta dove realizzò marmi lavorati anche per committenti forestieri e fu dal 1368 al 1385 in continua relazione d'affari con l'opera del Duomo di Pisa. Il fratello Antonio, scultore e architetto, godette di una tale stima da meritarsi l'incarico di Archimagister del Duomo di Lucca dal 1395 al 1419, dove sotto la sua direzione lavorarono Piero di Agnolo, padre di Jacopo della Quercia e lo stesso Jacopo. Ibidem, p.21. 5 La lavorazione del marmo trovò in Guido Riccomanni e nei suoi discendenti Riccomanno,

Leonardo, Francesco e Lorenzo nuovi esponenti dai caratteri artistici di un raffinato tardo gotico. Per la loro perizia furono chiamati a lavorare a Carrara, a Lucca, a Sarzana, a Genova, a Pisa, a Siena, a Roma e a Napoli. Ibidem, p.22.

6 Stagio Stagi si formò nella bottega del padre a Pietrasanta. Fu attivo nel cantiere pisano dell'Opera del Duomo fino alla sua morte ed ebbe contatti con gli artisti più noti del tempo.

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nome di Pietrasanta, richiamando anche scultori non locali come Priamo della Quercia"7, il lucchese Nicolao Cividali, il fiorentino Donato Benti, uomo di fiducia di Michelangelo, e lo stesso Buonarroti.

Michelangelo, in realtà, fu costretto dai Medici a frequentare la zona, di loro proprietà a partire dal 1513, per poter trovare il modo di sfruttare al meglio le cave del Capitanato di Pietrasanta. La famiglia fiorentina aveva infatti tutto l'interesse ad utilizzare i suoi agri marmiferi, per altro non facilmente accessibili, esistenti in Versilia e trovarne altri per evitare di rifornirsi a Carrara.8

In effetti sotto la dominazione dei Medici, il settore prese notevole sviluppo richiamando, sulla scia di Michelangelo, personalità come Danti, Ammannati, Vasari, Giambologna che venivano di persona a scegliere in zona i marmi più pregiati.

La fase discendente dell'estrazione e lavorazione del marmo inizia con la decadenza dei Medici. Per l'economia locale e per l'"industria" del marmo comincia così, a partire dalla fine del XVII secolo, un periodo di stagnazione che si protrasse fino all'epoca e alla situazione descritta da Campana e da Santini. In tale periodo di crisi la lavorazione del marmo era limitata alla sola zona di Seravezza e consisteva nella produzione di "marmette"9, mattonelle per pavimenti che venivano lavorate in maniera grossolana e rivendute ai carraresi e ai genovesi che a loro volta le commercializzavano. Inoltre, sempre nella stessa epoca, le cave locali non venivano sfruttate in maniera adeguata sia per mancanza di capitali che di sbocchi commerciali ed erano anzi sottoposte ad una sudditanza Eseguì alcune opere all'interno del Duomo di S.Martino di Pietrasanta. Vedi Russo 1992, pp. 43-49.

7 "Nel 1426 ebbe dimora in Pietrasanta Priamo Della Quercia, fratello di Jacopo. La famiglia dei Della Quercia era stata chiamata a Lucca da Antonio Pardini quando questo pietrasantese era soprintendente del Duomo di quella città. Si discute se Priamo soggiornò a Pietrasanta per eseguire pitture nel Duomo di San Martino o per procacciare marmi per il fratello". Orlandi - Forli 2001, p 23.

8 Nel 1513, per un arbitrato di Papa Leone X, della famiglia dei Medici, Pietrasanta e il suo territorio diventano domini fiorentini, rimanendovi fino all'unità d'Italia. I fiorentini nel 1515 chiedono alle comunità della Versilia la donazione degli agri marmiferi di Monte Altissimo, della Cappella, di Trambiserra e della Ceragiola e fra il 1518 e il 1520 mandano varie volte Michelangelo tra Seravezza, Pietrasanta e le cave del Monte Altissimo a rifornirsi di marmi e cercare nuove vene. Vedi Celli 2012, p. 13.

9 Con il termine "marmette" o "quadrette", il Campana parla di "ambrogette", si intendono le mattonelle di marmo per pavimentazioni realizzate nei tempi più remoti a mano e grossolanamente spianate, in seguito tramite uno speciale macchinario, il "frullone", per cui i pietrasantesi venivano soprannominati "piastrini" dagli scultori di Carrara.

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ai carraresi. Quei pochi versiliesi che si dedicavano all'escavazione operavano infatti in subordinazione agli impresari di Carrara. Costoro, quando la richiesta superava la loro capacità produttiva, acquistavano in Versilia il materiale grezzo di cui avevano bisogno, ma le cave del Capitanato rimanevano ai margini del loro giro di affari10.

Per assistere ad una ripresa del settore si dovrà attendere fino alla Restaurazione e alla parallela rivoluzione industriale, quando sarebbero state attuate alcune delle proposte sostenute cinquant'anni prima dall'illuminato Campana.

La ripresa, comunque, riguardò in prima istanza la zona di Seravezza, cosa naturale vista la vicinanza alle cave. Una serie di fattori concomitanti ne fu l'origine.

Di grande importanza, e premessa essenziale, fu il restauro della Via di Marina, da Cardoso all'attuale Forte dei Marmi, andata quasi distrutta durante la dominazione napoleonica, e ripristinata dal granduca Ferdinando III nel 181611. Subito dopo, nel 1820, la comunità di Seravezza e quella di Stazzema cominciarono la vendita degli agri marmiferi con lo scopo di introdurre "dall'estero denaro nello Stato". A dare il maggiore impulso fu poi Marco Borrini, cittadino di Seravezza che aveva ricoperto incarichi amministrativi importanti fin dal periodo napoleonico. Fu infatti lo stesso Borrini che, nel 1820, acquistò gli agri marmiferi del Monte Altissimo, atto temerario perchè allora la montagna era pressochè inaccessibile. Borrini ottenne dal granduca Ferdinando III contributi per rimettere in funzione la strada di accesso ai giacimenti (quella a suo tempo tracciata da Michelangelo) e, nel 1821, si associò al mercante francese Jean Baptiste Alexander Henraux per impiantare uno stabilimento destinato alla lavorazione dei marmi 12. Henraux "garantì di coprire tutte le spese che occorressero per completare qualsiasi lavoro e per fornire l'azienda di tutte le attrezzature necessarie"13. Sull'esempio di Henraux, che era stato agente di Napoleone per l'invio di marmi da Carrara alla Francia, nel decennio 1820-1830 si

10 Vedi Orlandi 1978, p.15. 11 Ibidem, p.17.

12 Per approfondimenti sull'identità e l'attività di Marco Borrini e di Jean Baptiste Alexander Henraux vedi Orlandi 1976, pp. 189 e sgg.

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mossero numerosi altri imprenditori stranieri che apportarono i capitali necessari per far decollare la locale industria marmifera14. "L'epoca era tanto favorevole a quell'attività che la ricerca di bacini marmiferi e il fervore dell'escavazione assunsero l'aspetto di una vera corsa all'oro che spesso fu costellata di episodi di lotta serrata tra vari concorrenti"15.

In quello stesso periodo sorsero nuovi impianti e segherie lungo il corso del fiume Versilia, in cui l'applicazione di moderne tecnologie e macchinari incrementarono e velocizzarono la produzione.

Contemporaneamente l'incremento del commercio dei marmi fece sorgere, dopo il 1821, una piccola marineria locale a Forte dei Marmi da dove iniziarono ad essere spediti i blocchi. L'attività di spedizioni, che aumentò progressivamente, svincolò il commercio del materiale lapideo dalla totale sudditanza a Carrara e favorì il conseguente sviluppo di Forte dei Marmi come centro16.

Nel breve volgere di alcuni anni si assistette così ad una forte ripresa dell'escavazione, della lavorazione e della vendita del marmo. Prodotto di punta di questo periodo iniziale fu la "marmetta", lavorata in loco e commercializzata in maniera autonoma dagli stessi versiliesi. La migliore qualità delle "quadrette" locali e l'esistenza di brecce e mischi pregiati nelle cave del Capitanato costituirono effettivamente il punto di forza del commercio locale del marmo. Da qui l'iniziale concorrenza con Carrara e la nascita dell'appellativo canzonatorio "piastrini" assegnato dai carrarini agli abitanti del Capitanato di Pietrasanta.

Si avverava quello che Campana, più di cinquant'anni prima, aveva sostenuto, cioè che, a proposito del commercio delle marmette, non solo i marmi locali avrebbero vinto la concorrenza di quelli di Carrara, "inferiori per la qualità

14 Il primo straniero fu l'inglese Giacomo Berisford che si portò a Seravezza intorno al 1818 spostandovisi da Carrara, dove da qualche anno si dedicava al commercio dei marmi. Si ricordano poi l'inglese Tommaso Townley, nel decennio 1820-1830 giunse da Marsiglia Clement Froment, dall'Inghilterra i Franklin, i Gubsyn, e più tardi arrivò Wiliam Walton console degli Stati Uniti d'America e dall'Olanda Dalgas. Vedi Orlandi 1978, pp. 18-19. 15 Orlandi 1976, p.185. Sempre Orlandi aggiunge che "in quegli anni infatti gli imprenditori si

combatterono a colpi di carta bollata con cause civili presso il tribunale di Pietrasanta, contendendosi palmi di terreno, opponendosi al passaggio dei blocchi per una lizza o per una mulattiera e chiedendo risarcimenti per danni anche minimi. Altre vertenze dimostrano che imprenditori di Carrara cercavano ancora di far valere diritti di proprietà su certe cave del Vicariato". Ibidem.

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del loro Bardiglio, che essendo di colore sbiadito non istacca bene col bianco"17, ma anche che si poteva vincere la concorrenza dei prezzi, facendo un commercio "di prima mano" da parte dei pietrasantesi 18.

Vista la pregevole qualità dei marmi estratti dalla zona che richiamavano l'attenzione di imprenditori internazionali, committenti e artisti di fama, si iniziava a far strada anche l'esigenza di cimentarsi nella lavorazione più propriamente artistica del pregiato materiale e quindi nella scultura.

A tentarne l'introduzione fu sempre il Borrini che, oltre all'attività estrattiva e di segheria della ditta aperta con il socio Henraux, sostenne la necessità di formare artigiani scultori.

A questo scopo attivò nel 1822 un laboratorio-studio alla Fucina di Seravezza dove chiamò a lavorarvi maestranze e scultori di Carrara con l'intenzione di istruire giovani locali alla lavorazione artistica del marmo19.

Lo stesso Campana, delle cui idee Borrini era a conoscenza, aveva sostenuto a suo tempo l'utilità di formare degli artigiani scultori in modo da aumentare le possibilità d'impiego ed arrivare a commercializzare il marmo lavorato per ottenerne maggiori utili20.

L'esperimento di Borrini però non dette i risultati sperati perchè, all'interno del laboratorio, sull'intento didattico prevalse quello economico. Fu comunque un sintomo dei tempi che cambiavano e della consapevolezza che il marmo poteva rappresentare il futuro della Versilia.

La rinascita dell'attività marmifera aveva coinvolto la zona compresa tra Seravezza, Stazzema e Forte dei Marmi. Pietrasanta, centro politico e amministrativo del vicariato, ne era però rimasta esclusa, tanto che lo stesso giovane Santini si spostò a Seravezza, presso lo studio Borrini, ad "apprendere i primi rudimenti dell'arte di lavorare il marmo"21.

Tuttavia fu proprio grazie allo stesso Vincenzo Santini, noto scultore e storiografo locale, che Pietrasanta, a partire dagli anni Quaranta dell'Ottocento,

17 Campana 1969, p. 137. 18 Ibidem, p. 144. 19 Vedi Orlandi 1976, p. 116. 20 Vedi Campana 1969, pp. 133 e 140. 21 Nepi 2007, p.34.

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diventò parte essenziale del circuito marmifero versiliese grazie all'apertura, nel 1842, della locale Scuola di Belle Arti.

La fondazione di tale istituzione fu dovuta sia al caso sia ad un'intelligente risposta del governo granducale alle necessità della zona. Fu infatti per soccorere lo stesso Santini, che aveva perso una gamba mentre modellava la statua di Leopoldo II, che fu presa la decisione di impiegarlo nell'insegnamento della scultura22.

Di grande interesse, a questo proposito, ciò che si legge nella lettera che la Camera di Soprintendenza comunitativa di Pisa inviò il 29 luglio del 1842 al Cancelliere di Pietrasanta.

In questa missiva è evidente come, oltre al "soccorrere il Santini", il governo granducale mirasse a "mettere a profitto l'industria e l'abilità del Santini medesimo destinandolo ad insegnare gli elementi di scultura in Pietrasanta, ove per la vicinanza delle cave di Seravezza è da ritenere che molti si rivolgerebbero all'arte di lavorare il marmo con utile del Paese, nel quale sorgerebbero nel tal modo in più numero e più abili gli sbozzatori di statue e scarpellatori di quadro"23.

L'idea di aprire una scuola in grado di preparare artigiani specializzati era in realtà nell'aria da tempo. Come si è già detto Campana ne aveva suggerito la necessità e Borrini ne aveva ribadito l'importanza. A concretizzare tale proposta presso il Granduca fu poi Antonio Ramirez de Montalvo, all'epoca direttore della Galleria degli Uffizi alla quale, in un primo momento, lo sfortunato Santini sembrava destinato come custode24.

Vincenzo Santini fu così il primo insegnante e direttore della Scuola di Elementi di Scultura di Pietrasanta25, una scuola che, da quel momento in poi, si occupò della formazione di intere generazioni di artigiani esperti e specializzati

22 All'epoca il Santini si trovava nello studio di Pietro Tenerani a Roma, qui, proprio mentre stava lavorando alla statua del granduca, da collocarsi in piazza del Duomo a Pietrasanta, cadde da un'impalcatura, spezzandosi una gamba che gli fu poi amputata. Sulla figura di V. Santini vedi Pietrasanta 2007.

23 Nepi 2007, p. 31.

24 Antonio Ramirez de Montalvo era anche all'epoca Presidente dell'Accademia di Belle Arti di Firenze. Su di lui e sui suoi rapporti con Borrini, ibidem, pp. 34-35.

25 La scuola, così definita dallo stesso Santini, iniziò la sua attività sotto il nome di "Scuola di Belle Arti". Quest'ultima, comunemente chiamata"Accademia", diventerà l' Isituto di Belle Arti "Stagio Stagi". Per un approfondimento sulla storia della scuola vedi Flora – Paoli 1976.

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nelle molteplici lavorazioni del pregiato materiale. Grazie alla presenza di questa categoria di lavoratori, la realtà economica, sociale e culturale di Pietrasanta ebbe un particolare sviluppo, fondato appunto, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, sulla lavorazione artistica del marmo e sul centrale ruolo formativo della locale scuola d'arte.

Fondamentale fu il carattere che si volle imprimere fin dall'inizio a tale istituto, un carattere tecnico, non accademico, voluto, sostenuto e difeso dallo stesso Santini. La scuola, infatti, non aveva come obiettivo quello di formare degli artisti, ma quello di essere una "Tecnica Istituzione", "intenta all'utile ed all'industria della Versilia" 26, alfabetizzando i giovani alla lavorazione artistica del marmo e formando maestranze specializzate in tale settore27. Lo stesso Santini si impegnò in prima persona, grazie alla fitta rete di amicizie e al prestigio che godeva per la lunga frequentazione teneraniana, ad impiegare nel laboratorio interno alla scuola numerosi e validi maestri per insegnare ai giovani "la pratica del marmo secondo il metodo di Roma Firenze e Carrara"28

Fu infatti proprio l’aspetto tecnico-pratico nell’ambito delle tre sezioni di scultura, architettura, ornato, a caratterizzare il nuovo istituto.

Negli anni, tuttavia, i programmi scolastici vennero perfezionati e aggiornati con l’obiettivo di far fronte alle esigenze dell'industria locale che necessitava di maestranze addestrate nella lavorazione del marmo, in grado di rispondere prontamente alle richieste del mercato e ad una sempre più spiccata industrializzazione dei processi di produzione29.

La scuola d’arte diventò così progressivamente elemento fondante e caratterizzante l’identità sociale, culturale ed economica di Pietrasanta e già dagli anni Sessanta dell'Ottocento poterono concretizzarsi i frutti dell'insegnamento impartito dall’istituto.

26 Nepi 2007, p. 37.

27 Gli studenti entravano nella scuola da piccoli, l'età minima fu stabilita a 10 anni. 28 Tenerini 2007, p. 38.

29 La stretta connessione tra l'istituto e l'economia della zona è testimoniata anche dal fatto che, ad esempio, dal 1860 al 1870 si registrò un minor numero di iscrizioni alla scuola d'arte, parallelamente ad una crisi dell'industria marmifera; al contrario, dal 1870 al 1900, si ebbe un sensibile incremento della scuola in relazione al rifiorire del settore della lavorazione del marmo. Vedi Flora – Paoli 1976, pp. 45 e 49.

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Se, infatti, alla data di apertura della scuola, nel 1842, era operante a Pietrasanta un solo laboratorio, quello di Giuseppe Tomagnini30, vent'anni dopo risultavano attive ben undici aziende per la lavorazione artistica del marmo, arrivando a oltre 40 nei primi anni del Novecento.

D'altra parte il connubio tra scuola d'arte e mondo del lavoro, fin dall’inizio così marcato, si mantenne negli anni sia con la partecipazione attiva degli imprenditori del marmo, nonché ex alunni della stessa scuola, alla vita dell'istituto31 sia nell'elargizione di premi agli studenti più meritevoli.

Si era attivato infatti quel circuito virtuoso per cui i giovani, usciti da una scuola che appositamente li preparava, riuscivano a trovare lavoro nelle ditte esistenti32. I più intraprendenti di loro poi non solo finivano per aprire loro stessi dei laboratori, andando ad aumentare ulteriormente le possibilità di lavoro per chi usciva dall'istituto d'arte, ma si avventuravano anche con spiccato spirito pionieristico in lunghi viaggi con lo scopo di aprirsi interessanti sbocchi commerciali33.

Tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento si ebbe quindi un fiorire di laboratori, ditte, studi, atelier che caratterizzarono, oltre che da un punto di vista economico, anche l'aspetto urbanistico della città. Così proprio a partire da questo periodo Pietrasanta riprese progressivamente a crescere diventando una pericolosa concorrente per Carrara.

30 Il laboratorio di Giuseppe Tomagnini fu il primo ad essere aperto a Pietrasanta nel 1842, anno di istituzione della Scuola di Belle Arti. "Tomagnini Giuseppe apprese l'arte di quadrare i marmi in Seravezza, insegnò ai fratelli ed esercitavansi in ordinari lavori a Vallecchia, nel 1840, ivi, coll'intermezzo e col consiglio artistico dello scultore sottoscritto (Vincenzo Santini), ebbero ad eseguire per l'Ingegner Ridolfo Castinelli gli occhi gotici del Ponte di Pisa. Fu ad istanza dello scrivente, che si recarono a stabilire il loro lavoratorio presso la Posta di Pietrasanta nel 1842. Avanti quell'epoca non vi erano lavoratorii alcuni nella città". Nepi 2007, p. 32.

31 Imprenditori come Martino Barsanti, Luca Arrighini, Ferdinando Palla ricoprirono varie cariche istituzionali all’interno della scuola d’arte. Barsanti ne fu, nel corso degli anni, deputato e consigliere, così come il collega Luca Arrighini. Dal 1904 Ferdinando Palla ne fu presidente. 32 Il laboratorio Palla, forse il più importante a cavallo dei due secoli, avrà un ruolo fondamentale

nella formazione e nel perfezionamento delle maestranze locali. Molti dei giovani che uscivano dalla scuola d’arte infatti ambivano ad entrare in questo rinomato laboratorio. Ad esempio titolari di ditte aperte negli anni a cavallo tra Otto e Novecento, come Ettore Genovesi, Dario Luisi, Angelo Moriglioni, Arnaldo Pardini, Giovanni Benvenuto, Alessandro Bertoni, Ferruccio De Ranieri, Oreste Paoli, Santoli e Rovai, hanno tutti in comune l'aver fatto pratica presso il laboratorio di Ferdinando Palla. Vedi su di loro Uzzani 1995.

33 Lo stesso Campana, addirittura un secolo prima, aveva sostenuto la necessità di viaggiare per gli imprenditori locali che avessero voluto incrementare il loro volume di affari. Campana 1969, p. 145.

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In questo contesto si colloca la storia umana e professionale di Martino Barsanti e del suo laboratorio documentata da una fonte d'eccezione come i volumi dei Copialettere, una raccolta che ci fornisce una testimonianza diretta della crescita del settore marmifero a Pietrasanta tra Otto e Novecento.

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2. Le fonti dirette: Copialettere, fotografie, cataloghi

2.1. La raccolta dei Copialettere del laboratorio Barsanti

I Copialettere conservati nell'archivio della ditta "Barsanti Marble Bronze Mosaic" dalla famiglia Barsanti, costituiscono la base di questo lavoro di ricerca, una documentazione preziosa che ci fornisce una grande quantità di informazioni sullo sviluppo della lavorazione artistica del marmo a Pietrasanta tra il 1884 e il 1952. Si tratta di una cospicua raccolta di missive commerciali, distribuite in 155 volumi numerati secondo un ordine cronologico, ognuno composto da 500 "mezzi fogli" anch'essi numerati, ciascuno dei quali a volte contiene anche più di una missiva1. Le numerose missive conservate permettono di far dialogare la microstoria personale di un imprenditore coraggioso, come Martino Barsanti, con la macrostoria socio-economica del comprensorio versiliese. I Copialettere si delineano quindi come una fonte d'eccezione in grado di illuminare la storia dello sviluppo dell'artigianato marmifero pietrasantino, finora pressochè sconosciuta e poco indagata nel suo periodo iniziale. La raccolta epistolare ci fornisce infatti informazioni sulla fitta rete di rapporti umani e commerciali che legò imprenditori pietrasantini e stranieri tra Otto e Novecento, relazioni d'affari che fecero decollare il settore lapideo locale. Pur essendo composta esclusivamente dalle lettere inviate dal laboratorio e non da quelle ricevute, è possibile ugualmente collegare mittenti e destinatari, seguire la storia delle commesse, i prezzi praticati, i manufatti richiesti, i gusti vigenti, le personalità coinvolte di artisti, artigiani e titolari di laboratori. Analizzando con attenzione le informazioni contenute nel carteggio, è possibile ricostruire, come con i tasselli di un puzzle, la storia della lavorazione del marmo a Pietrasanta. Tutto ciò proprio a partire dal periodo in cui essa prende avvio e si afferma sia come principale fonte economica della zona sia come tratto distintivo e caratterizzante, da allora l'identità socio-culturale di Pietrasanta. Proprio la grande quantità di missive, che riguardano circa settant'anni di attività del laboratorio Barsanti, e il volume di informazioni in esse contenute

1 Per Copialettere si intende un libro di commercio, oggi non più in uso, in cui venivano riprodotte in copia tutte le lettere, le minute dei telegrammi, ecc, che l'impresa spediva a terzi. Vedi "Copialettere" in Lessico Universale Italiano 1970, vol. V p. 428.

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ha indotto a delimitare il campo di ricerca. Si è scelto un periodo ben definito, cioè quello che va dalla fondazione dell'attività da parte di Martino Barsanti al passaggio dell'impresa al figlio Amerigo, cioè dal 1884 al 1922-23.2. Si è preferito così soffermarsi sul periodo "eroico", "pionieristico" dei primi grandi laboratori e del loro affermarsi in campo internazionale, gettando le fondamenta della fama artistico-artigianale di cui la città tuttora gode.

In questo senso la raccolta dei Copialettere del laboratorio Barsanti, mai analizzata in modo dettagliato e completo fino ad ora3, rappresenta una fonte diretta di grande importanza, inusualmente conservata e in maniera organica. Oggigiorno, infatti, non è facile imbattersi in una fonte diretta, scritta, di una attività commerciale così lontana nel tempo. Se infatti esistono anche altri esempi di documentazione del lavoro svolto dalle imprese lapidee pietrasantine, si tratta, però, per lo più di foto, cataloghi, disegni, gessi, materiale tramandato di generazione in generazione perché più utile come modello o come fonte di ispirazione per nuovi lavori.

L'esistenza della raccolta dei Copialettere è dovuta quindi ad una prassi delle aziende dell'epoca consistente nel conservare copia delle lettere manoscritte. Fino al 1909 circa, tali missive venivano duplicate grazie ad una pressa all'interno dell'ufficio; da questa data in avanti le missive si presentano battute a macchina. In ogni modo veniva conservata sempre una minutadi quanto inviato perché utile per successivi riscontri nella dinamica degli affari intrapresi dalla ditta4.

Ogni volume della raccolta presenta una rubrica contenente i nomi dei destinatari delle missive e il rimando alle relative pagine in cui sono citati. Inoltre

2 Martino Barsanti cederà la sua ditta nel 1919 ai Tonetti, mantenendo per sè il commercio dei marmi grezzi. I Copialettere forniscono notizie e informazioni anche su questo periodo. Dal 1922 al 1927 l'attività commerciale di Martino risulta parallela a quella della nuova ditta aperta dal figlio Amerigo. I volumi di Copialettere relativi a questa azienda portano una nuova numerazione. Esistono quindi, nell'archivio del laboratorio Barsanti, volumi di Copialettere che riguardano separatamente le due attività per un lasso di tempo di 5 anni circa.

3 Fino ad oggi l'unica citazione desunta dai Copialettere è di Costantino Paolicchi che ne ha intuito l'importanza documentaria consigliandone l'approfondimento alla relatrice del presente lavoro. Vedi Paolicchi 2005, p. 97.

4 I Copialettere "erano costituiti da fogli di carta velina che venivano di volta in volta inumiditi e a contatto dei quali veniva posta la corrispondenza, di solito scritta con inchiostro copiativo, così che, sottoposto il registro a pressione, i caratteri si imprimevano a rovescio sul verso del foglio e potevano essere letti normalmente sul dritto". Vedi voce "Copialettere", in Lessico Universale Italiano 1970, vol. V, p. 428.

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sono spesso presenti sulle stesse lettere annotazioni con matita blu indicanti numeri che rimandano alle pagine dove è presente lo stesso destinatario.

Dal contenuto delle lettere si capisce che molto spesso alcune di queste erano accompagnate da schizzi o disegni. Di questi progetti, illustranti il lavoro commissionato, l'ufficio ne teneva un "lucido", ossia una copia ottenuta attraverso una carta velina di cui purtroppo non è pervenuto alcun esemplare.

Molte missive sono poi scritte in diverse lingue (tedesco, francese, inglese, spagnolo), testimonianza di un modo di fare impresa moderno e di ampio respiro5. In questo ambito, dall'esame dei Copialettere, risultano predominanti le relazioni con il mercato nord, centro e sud americano, tanto è vero che ben diciannove volumi della raccolta sono specificamente dedicati ai rapporti commerciali con questa vasta area geografica6.

Proprio per la quantità di missive inviate in queste zone, si è scelto di esaminare le dinamiche commerciali che legavano ai mercati americani il laboratorio Barsanti così come le altre ditte pietrasantine del settore lapideo. Un approfondimento di questo particolare mercato, sicuramente il più consistente in termini di commesse, permette di delineare un panorama più ampio rispetto a quello concentrato esclusivamente sull'esame dell'azienda Barsanti.

Le lettere di Martino infatti forniscono sia in maniera diretta che indiretta importanti notizie riguardanti titolari e aziende della zona coinvolte nel medesimo giro d'affari internazionale. In numerose missive Barsanti parla anche dei commerci intrapresi dai colleghi spesso in diretta concorrenza con lui per ottenere la medesima commessa, in altre, invece, si rivolge direttamente a questi ultimi. In questi casi si tratta generalmente di lettere brevi, scritte per mettere nero su bianco certi accordi, intercorsi a voce e favoriti dal lavorare nella stessa città. Tali lettere delineano quindi un quadro artigianale particolarmente dinamico dove, oltre alla concorrenza diretta, si assisteva anche a rapporti di collaborazione e/o al passaggio di commissioni tra gli stessi.

5 Le lettere, non sempre leggibili per gli effetti del tempo che ne ha sbiadito alcune pagine, riportano più calligrafie, oltre a quella di Martino, infatti, ne compaiono altre, quelle dei segretari dello studio, dipendenti addetti a tenere il disbrigo della corrispondenza. L'azienda Barsanti si serviva anche, vista la sua rete commerciale internazionale, di alcuni traduttori, uomini ai quali il laboratorio si rivolgeva per la traduzione di lettere in lingua.

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I Copialettere permettono inoltre di far luce sia su alcune realtà imprenditoriali che, provenienti dall'estero, si insediarono a Pietrasanta, finora testimoniate solamente da alcune foto d'epoca, sia su nomi e cognomi di artigiani locali pressoché dimenticati.

La raccolta offre una molteplicità di direzioni di ricerca, presentandosi come una vera e propria miniera di notizie riguardanti anche dettagli squisitamente tecnici. In essa sono infatti contenute informazioni concernenti le tipologie di lavorazioni, i marmi utilizzati, l'organizzazione aziendale, la logistica, la tempistica, gli usi e costumi locali7.

7 Ad esempio, esulando dall'aspetto del marmo in senso stretto, dalle lettere si sa che Martino fu uno dei primi ad edificare a Marina di Pietrasanta. Nella zona di Focette aveva infatti fatto costruire un villino che affittava anche, in estate, a personalità della nobiltà fiorentina.

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2.2. Foto, album fotografici e cataloghi nel laboratorio Barsanti

Oltre ai volumi di Copialettere, all'interno dell'attuale ufficio commerciale “Barsanti Marble Bronz Mosaic”, è conservata una cospicua collezione di materiale fotografico, reperibile sotto varie forme1. Si tratta infatti di lastre fotografiche, negativi, album e cataloghi: un'ulteriore preziosa fonte di informazione che, insieme ai Copialettere, ha per noi oggi un enorme potenziale comunicativo e documentario.

Le immagini infatti permettono una ricognizione sui soggetti e le tipologie di lavori richiesti ed eseguiti dai laboratori. Le foto pervenute raffigurano, oltre ad opere in marmo, bozzetti e modelli, sia in gesso che in creta, creazioni originali del laboratorio o copie da classici. Le foto ritraggono anche il disegno di progetti, gran parte dei quali di tipo architettonico, in particolare altari, e cappelle funerarie. Sfogliando gli album, capita anche di imbattersi in fotografie che ritraggono, la messa in opera di lavori compositi o architettonici, all'interno dello studio.

Il laboratorio ambiva inoltre a collezionare anche le fotografie del lavoro messo in opera nella sua collocazione definitiva per poi poterle esibire o utilizzare su cataloghi pubblicitari.

La quantità di foto pervenute, singole lastre o stampe raccolte in album o pubblicate su cataloghi, testimonia anche quanto la fotografia risultasse mezzo imprescindibile nell'ambito delle dinamiche e dell'organizzazione dei laboratori, vero e proprio materiale di lavoro al pari della creta, del marmo e delle altre attrezzature. Essa, infatti, costituiva in molti casi, il punto di partenza nell'esecuzione dell'opera, né si può dimenticare come le stesse lettere della raccolta forniscano spesso la testimonianza di un cospicuo traffico di materiale fotografico.

All'interno dell'attuale ufficio commerciale “Barsanti marble bronz mosaic” sono fra l'altro ancora conservate numerose lastre fotografiche, cioè matrici da cui venivano fatte stampare tutte le foto necessarie. Le lastre sono inserite all'interno di raccoglitori numerati sul dorso contenenti un numero

1 La raccolta è sostanziosa visto che nel tempo alle immagini di proprietà esclusiva del laboratorio Barsanti si sono aggiunte quelle provenienti dalle ditte Ellrich e Battelli.

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variabile di immagini, raccolte per ordine di arrivo all'interno del laboratorio2. Le fotografie duplicate potevano poi essere spedite3.

Grandi quantità di queste venivano infatti inviate un po' ovunque: a clienti, committenti e soprattutto ai rappresentanti del laboratorio Barsanti, così come venivano fatte pratiche per procurarsene altre con soggetti nuovi.

Spesso gli scattivenivano mandati al committente con preghiera di ritorno, in caso di non prosecuzione del lavoro. Ciò avveniva soprattutto nel caso di foto ritraenti modelli di proprietà esclusiva del laboratorio affinchè terzi non se ne impossessassero per propri utilizzi4. A testimonianza di questa attenzione al materiale iconografico, si riporta quanto scrive Martino in risposta al ragionier Roberto Bianchi: "Per dirvi subito la verità, a malavoglia mando fotografie a persone che ben non conosco anche quando mi vengano pagate poiché ho potuto constatare che molti ne fanno un mercato [...] e il materiale artistico si vuol sapere in mano a chi si mette"5.

Altre lettere danno ad intendere che chi richiedeva la fotografia avrebbe potuto sottoporre il relativo soggetto ad altro laboratorio o scultore per ottenerne un ulteriore preventivo.

D'altro canto la ricerca continua di materiale iconografico era una caratteristica del modo di procedere dei laboratori artistici, sempre a caccia di nuovi modelli per poter rispondere ad ogni richiesta.

Tutto questo repertorio fotografico di proprietà dei laboratori veniva riunito in grandi album per facilitarne la conservazione e la consultazione. Questi raccoglitori, su cui venivano via via apposte le fotografie singolarmente numerate, servivano da veri e propri cataloghi sui quali far scegliere i committenti. Alle immagini veniva attribuito un numero per poterle identificare nei successivi utilizzi.

2 Nel laboratorio Barsanti si avvalevano anche di una rubrica organizzata per soggetto da dove poter risalire con facilità al numero della lastra o del negativo desiderato.

3 Visto il loro costo, spesso il prezzo delle stampe delle fotografie, quando richieste in numero consistente, veniva riportato nei preventivi generali, insieme ad altri dettagli di spesa, come la modellatura del soggetto, il costo del marmo, l'incassatura.

4 In generale, oltre alle foto, tutto il materiale artistico, come disegni e progetti di proprietà del laboratorio, veniva custodito gelosamente quale vera e propria ricchezza e tratto distintivo delle capacità creative e produttive del laboratorio.

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Una raccolta di foto con la dicitura "Martino Barsanti" non esiste più, ma è anche vero che i soggetti appartenuti a Martino si ritrovano utilizzati con altra numerazione nella raccolta di proprietà del figlio Amerigo. Ciò si desume dal fatto che su alcune fotografie è possibile notare il logo "MB" e una precedente numerazione, mentre in altre sono ben visibili cancellazioni e successive correzioni. Questo reimpiego delle medesime foto da una raccolta all'altra testimonia il permanere di un gusto legato ad una committenza che richiedeva, pur col passare del tempo, gli stessi generi e soggetti.

Il medium fotografico era anche la fonte imprescindibile per la realizzazione di cataloghi promozionali.

A differenza dell'album, che conteneva foto incollate su ogni foglio e che serviva per uso interno dell'azienda, il catalogo veniva stampato per pubblicizzare all'esterno l'attività del laboratorio.

Nei locali dell' ufficio commerciale "Barsanti Marble Bronz Mosaic" sono conservati tre cataloghi, uno della ditta "Martino Barsanti" e due della ditta "Amerigo di Martino Barsanti". Oltre a questi, è stato possibile visionarne altri tre oggi di proprietà di un collezionista locale, di cui uno appartenuto a Martino e gli altri due al figlio Amerigo6.

L'archivio Barsanti conserva inoltre cinque pubblicazioni dei "Fratelli Ellrich" e tre della "Daprato Statuary Company", testimonianza degli stretti legami personali e commerciali intercorsi nel tempo fra le ditte in questione.

In realtà, rispetto ai cataloghi attualmente giunti fino a noi, nel corso dell'attività del laboratorio ne sono stati sicuramente impiegati e realizzati molti di più, vista anche la frequenza con cui, nei Copialettere, si trovano trattative e richieste di preventivi per la stampa di tale materiale7.

Probabilmente l'uso di pubblicare cataloghi, oltre a depliants, cartoline e biglietti da visita, apparteneva ai laboratori più grandi e sviluppati, visto che il settore pubblicitario comportava un non indifferente impegno economico da parte del titolare dell'attività.

6 Archivio privato Enrico Botti.

7 A questo proposito vedi lettera del 21 giugno 1906 alla Casa editrice Alfieri e Lacroix di Milano, Copialettere N°49. Dalla corrispondenza emerge inoltre come per l' elaborazione e la stampa di cataloghi e altro materiale da diffusione ci si rivolgesse fuori a tipografie specializzate.

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Questi particolari tipi di pubblicazione rientravano specificamente nell'ambito promozionale delle aziende, ambito sempre più strategico in un mondo dove la rete commerciale si stava ampliando a dismisura. I titolari più avveduti, come Martino Barsanti, ne compresero l'importanza.

Ai cataloghi dunque si affidava la diffusione del nome del proprio laboratorio all'estero e per questo erano stampati in più lingue8. Oltre all'italiano, risultano prevalenti l'inglese e lo spagnolo, testimonianza della preminenza delle forti esportazioni verso il mercato nord e sud americano. Sono conservati comunque anche cataloghi in tedesco e in francese.

Tali pubblicazioni erano fornite ai vari agenti sparsi per l'Italia e per il mondo. Proprio sulla base di questi cataloghi i clienti potevano avere un'idea di cosa era in grado di realizzare l'azienda ed eventualmente scegliere direttamente un soggetto, suggerirne modifiche e ordinarlo per corrispondenza.

E' pur vero che i primi cataloghi della ditta Barsanti sono meno elaborati dei successivi e riportano infatti esclusivamente delle immagini numerate. Il testo di presentazione era affidato ad una pagina che veniva stampata per l'occasione nella lingua del paese a cui i cataloghi stessi erano destinati9.

Negli anni successivi queste pubblicazioni promozionali diventarono più curate e dettagliate nel senso che alle immagini delle opere eseguibili si aggiunsero slogan pubblicitari, citazioni elogiative delle opere eseguite tratte da articoli di giornale, referenze varie10, immagini raffiguranti la/le sedi della ditta, i suoi interni, nonché le foto che ritraevano il proprietario e la villa stessa del titolare, testimonianza di uno status sociale solidamente acquisito e garanzia dell'affidabilità dell'impresa.

I cataloghi contengono anche immagini illustranti le fasi di lavorazione e testi recanti disposizioni accurate relative alla messa in opera dei lavori

8 Il più antico catalogo di Martino Barsanti a noi pervenuto, quello del 1910, contiene un frontespizio “volante” in lingua tedesca. E' molto probabile che il frontespizio non sia stato rilegato insieme al resto delle immagini per evitare di vincolare la destinazione di tale catalogo ad un unico mercato. I cataloghi degli anni a seguire, quelli di Amerigo Barsanti, contengono, a corredo del repertorio fotografico, anche testi e didascalie stampati in più lingue.

9 E'questo il caso del catalogo del 1910 della ditta “Martino Barsanti”.

10 A questo riguardo risulta significativo il commento lusinghiero riportato nel catalogo del 1930 del figlio Amerigo, che la confraternita Don Bosco aveva rivolto alla ditta per l'esecuzione di alcune sculture da loro commissionate.

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commissionati11. Volendo poi dare lustro allo studio ed esibire professionalità e perfetta organizzazione del laboratorio, su queste pubblicazioni venivano riportati scorci ritraenti gli interni della ditta con i vari reparti dedicati alle specifiche lavorazioni ed elenchi delle numerose opere eseguite all'estero. Il tutto per rafforzare quell'immagine di modernità abbinata a tradizione artigianale che caratterizzava il marchio Pietrasanta.

I cataloghi venivano sempre tenuti aggiornati e c'era da parte dei Barsanti l'ambizione di averli “ben fatti, artistici, eleganti ed anche di privativa"12

, cioè riportanti modelli eseguibili di loro esclusiva proprietà. In realtà queste pubblicazioni proponevano una minima parte dei soggetti realizzabili, quelli tra i più richiesti e di cui si disponeva del modello all'interno dello studio. Venivano scelti alcuni soggetti in grado di offrire una panoramica dei generi riproducibili dal laboratorio.

Si nota comunque che da un catalogo all'altro alcuni modelli si ripetono sia perchè probabilmente erano quelli che avevano riscosso più successo sia perchè, specialmente per ciò che riguardava soggetti di scultura sacra e funeraria, le richieste si ripresentavano con tradizionale uniformità.

Si esortavano comunque i clienti a richiedere liberamente altri soggetti, progetti e preventivi, assicurando che si poteva soddisfare qualsiasi necessità.

E' infine interessante notare come nei cataloghi, ma anche nelle cartoline e nelle carte intestate risalenti al periodo compreso tra la fine dell'Ottocento e i primi anni Venti del Novecento, fosse diffusa la pratica di associare, nell'intestazione del laboratorio, il nome di Pietrasanta a quello di Carrara.

In quei tempi, infatti, Pietrasanta non era ancora conosciuta all'estero per la lavorazione del marmo, al contrario di Carrara, da sempre tradizionalmente legata al nobile materiale. Di conseguenza era conveniente per i laboratori versiliesi associare in maniera utilitaristica il nome della propria città a quello della concorrente apuana.

11 Vedi catalogo di Amerigo non datato, ma risalente agli anni Quaranta del Novecento, come si può desumere da alcune affermazioni presenti nel testo del catalogo stesso: “Da oltre 65 anni siamo specializzati e distinti in tutto il mondo, nell'esecuzione di lavori in marmo per Chiese, come altari, pulpiti, balaustre, fonti battesimali, statue, ecc".

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Significativa a questo proposito la lettera del 30 settembre 1899 indirizzata al Direttore delle Reali Poste di Carrara dove Barsanti scrive: "Poichè molti dei miei corrispondenti dall'America spessissimo indirizzano la loro corrispondenza costì anzichè qui a Pietrasanta, pregola a voler per gentilezza ritornarmela qui ogni qual volta accada"13. Vien da pensare così che quest'utilizzo improprio del nome di Carrara creasse qualche incomprensione all'estero, portando i committenti a pensare che Pietrasanta fosse magari una frazione del Comune di Carrara.

Pratica peraltro effettuata da tutti i laboratori versiliesi14 che si protrasse per tutto il primo ventennio del Novecento, cioè fino a quando Pietrasanta non acquisì una sua identità nel panorama internazionale della lavorazione del marmo. Testimonianza di questo status ormai conquistato è la pagina di presentazione di un catalogo della ditta “Amerigo di Martino Barsanti” dove si legge che la ditta “Barsanti Marble Company formerly Amerigo di Martino Barsanti established on 1882, has its Studios located in Pietrasanta. This is a small town close to Carrara. While Carrara is famous in the world for its white marble quarries, Pietrasanta is famous in the world as an artistic center where such a marble is worked and where the finest operas are created"15. Pur citando ancora Carrara, emerge con forza la contrapposizione tra quest'ultima, relegata semplicemente a luogo di provenienza dei marmi, e Pietrasanta, centro ormai autonomo e predominante nel panorama internazionale della lavorazione artistica del marmo. Del resto una consapevolezza della qualità delle opere che uscivano dai laboratori di Pietrasanta è testimoniata già sul finire del XIX secolo dalle parole stesse di Martino. Questi, scrivendo ad un committente in Prussia, lo rassicura della perfetta riuscita dell'ordine ricevuto, sentendosi in diritto di sostenere che "il lavoro dovrà esser condotto in tutto e per tutto con quella finezza

13 Copialettere N°35.

14 Vedi Botti 1998.

15 Dal Copialettere emerge che Martino fondò la sua ditta nel 1884. La più antica lettera contenuta nei Copialettere risale al 10 agosto 1884, nella raccolta esistono inoltre missive che confermano questa datazione. Il fatto che Amerigo riporti il 1882 come data di fondazione potrebbe indicare il momento in cui Martino comincia a lavorare nel settore del marmo come dipendente di Tomagnini.

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che l'arte richiede, da non confondersi con quei lavori che si eseguiscono commercialmente in Carrara ”16

.

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3. Martino Barsanti e il suo laboratorio

Martino Barsanti nacque l'11 novembre del 1860 da una facoltosa e numerosa famiglia pietrasantina.

Aveva dieci anni quando, a causa di dissesti finanziari, la situazione economica familiare si fece precaria ed egli venne imbarcato come mozzo.

Dopo circa due anni, sbarcato a Genova, incontrò il fratellastro Amedeo che lo volle riportare a Pietrasanta per farlo studiare presso la Scuola di Belle Arti1

. Amedeo, così come l'altro fratello di nome Solferino, erano titolari di laboratori per la lavorazione del marmo a Pietrasanta2

.

Martino, sotto la guida dei professori Tommaso Saraceni, Fausto Zaccagna, Giovanni Topi3

, frequentò i corsi di Scultura, Architettura e Ornato, aggiudicandosi, nell'anno 1878, il premio di 1° grado sia nella sezione Architettura che nella sezione Scultura4.

Contemporaneamente Barsanti faceva pratica, come scultore e ornatista, presso il laboratorio Tomagnini di Pietrasanta5, dove rimase fino al 1884, anno in cui decise di mettersi in proprio.

Aprì il suo primo piccolo laboratorio nella zona di Porta a Lucca (non se ne conosce l'esatta ubicazione), assumendo alcuni operai e continuando a lavorare per i Tomagnini che gli passavano commesse per il suo laboratorio.

In questi primi anni di attività Barsanti si prodigò a far decollare la sua impresa. A testimonianza di questa situazione, esistono numerose lettere di questo periodo in cui Barsanti pubblicizzava l'attività della ditta. Le lettere venivano inviate a impresari, commercianti in marmo, architetti e scultori. In una di esse

1 Martino fu l'unico di tutta la dinastia, soci compresi, ad avere predisposizioni artistiche e di scultore. I figli e i nipoti sono stati dirigenti e amministratori dell'azienda.

2 Il più antico dei tre era il laboratorio di Amedeo fondato nel 1862. Il più importante fu invece quello di Martino, mentre caratterizzato da una conduzione più artigianale quello di Solferino. Vedi Documentart Museo dei Bozzetti.

3 Tommaso Saraceni, scultore romano, fu insegnante di scultura dall'A.a 1874-75, quando subentrò al Cavaliere Professore Vincenzo Santini, fondatore della scuola. Fausto Zaccagna fu insegnante di architettura nella Scuola dagli anni settanta dell'800. Giovanni Topi fu insegnante di ornato nella Scuola sin dai primi tempi di istituzione della stessa insieme al Cavalier Vincenzo Santini. Vedi Flora – Paoli 1976.

4 A fine anno venivano fatti dei concorsi per gli allievi della Scuola e venivano giudicati da una commissione esterna. Per i premi di 1° grado venivano conferite medaglie d'argento. Ibidem. 5 Su Tomagnini vedi Cap.1.

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Barsanti stesso dava avviso dell'apertura del suo laboratorio e si proponeva di "offrire comparativamente agli altri della Regione vantaggi nei prezzi delle commissioni e nella finitezza e rigorosità d'esecuzione di qualsiasi lavoro marmoreo"6.

Molte di queste lettere sono scritte anche da Tito Luisi, suo futuro cognato che, lasciato il laboratorio Albiani7 per cui aveva lavorato per anni come agente, ora in società con Barsanti, usava i suoi vecchi contatti per incrementare questa nuova attività8

.

Inizialmente la ditta si occupava prevalentemente di lavori non propriamente artistici, dedicandosi ad allestire rivestimenti, mensole, camini e a realizzare le cosiddette "marmette" 9

. In questi primi anni di attività la committenza era pressochè esclusivamente italiana e consisteva nel commercio di marmi greggi e segati 10

.

Iniziarono poi anche i primi rapporti con l'estero (Marsiglia, Costantinopoli, Francia, Algeri).

Martino Barsanti aveva propri rappresentanti che lavoravano per lui dietro provvigione (in genere del 10%), erano agenti sparsi in varie città d'Italia, come un certo Agostino Coppabianca, marmista a Roma, un certo Tomaso Landini a Pistoia, Giacomo Lavarello a Genova e Francesco Lugetti a Pisa, quest'ultimo gestore di un deposito di marmi dello stesso Barsanti.

Nello stesso periodo iniziarono comunque anche le prime committenze più propriamente "artistiche" per la cui esecuzione Barsanti si avvalse spesso della professionalità degli insegnanti della Scuola di Belle Arti11 (Bozzano12, Saraceni13, Zaccagna14, Zilocchi15).

6 Lettera del 16 agosto 1884, Copialettere N°1.

7 Il laboratorio Albiani era all'interno della stessa Scuola di Belle Arti. Il laboratorio chiuse nel 1888. Lettera del 18 gennaio 1888 a Tommaso Tomei Albiani, Copialettere N°9.

8 La società di Barsanti con Luisi continuerà fino al 1890 circa. Lettera del 21 febbraio 1890, Copialettere N°13.

9 Vedi Cap.1.

10 Il laboratorio Barsanti, fra l'altro, eseguì tutta la numerazione civica per il Comune di Pietrasanta e i lavori di rivestimento per la Real Villa delle Pianore a Capezzano Pianore. Lettera del 9 luglio 1885, Copialettere N°2.

11 Fin dal 1893 il Barsanti sarà partecipe della vita della Scuola, ricoprendo la carica di deputato, consigliere, membro del Consiglio di Amministrazione e delle Commissioni per gli esami. Nel 1918 fece parte del Consiglio di Amministrazione della Scuola come rappresentante della Camera di Commercio di Lucca. Martino Barsanti, come altri titolari di laboratori di Pietrasanta, promosse anche un premio di £ 150 per gli alunni più meritevoli. Vedi Flora –

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Martino attivò rapporti di collaborazione anche con i laboratori cittadini, non solo con Tomagnini, presso cui aveva in precedenza fatto apprendistato, ma pure con Arrighini e Palla. Arrighini passava a Barsanti lavori di architettura come, ad esempio, l'esecuzione di altari; lo stesso succedeva con Palla al quale Barsanti, a sua volta, commissionava alcuni dei lavori di scultura che gli potevano capitare 16.

Il lavoro procedeva con buoni risultati e Martino, di carattere avventuroso e ambizioso, conosciuta la situazione del settore, tra i primi pionieri dell'export pietrasantino, decise di aprire uno sbocco nel nuovo mondo alla sua attività. "In quel tempo – annotava un anonimo cronista – nessuno o pochissimi avevano aperto uno sbocco in America alle industrie paesane. Egli lo tentò con successo."17

In un primo momento si avvalse della collaborazione di suo cognato, Quinto Sesti, fratello della moglie, a Città del Guatemala18

; successivamente, nella stessa località, Martino aprì una succursale del laboratorio di Pietrasanta, rilevando la ditta "Durini & Felice" ivi esistente19

.

Paoli 1976.

12 Bozzano Antonio (Genova 1858-Viareggio 1939). Si formò presso l'Accademia Linguistica di Belle Arti di Genova, dal 1873 sotto la guida di Cevasco. Nel 1892 ottenne riconoscimenti per i lavori allestiti per le celebrazioni colombiane (alcuni gruppi monumentali per l'esposizione italo-americana di Genova) ed eseguì significative opere funerarie per il Cimitero genovese di Staglieno. Nel 1893 ottenne la cattedra di Scultura alla Scuola di Belle Arti di Pietrasanta, dove insegnò fino al 1929, diventando un importante punto di riferimento e contribuendo in maniera decisiva alla definizione dello stile Liberty nell'area versiliese. Bozzano è riconosciuto come l'interprete dell'iconografia di Giosue Carducci in Versilia, di cui eseguì 5 ritratti. Per Pietrasanta realizzò anche, nel 1909, il monumento a Giordano Bruno per la piazza omonima e, nel 1917, la lapide a Cesare Battisti in Piazza Duomo. Vedi Celli - Fogher 2011, p. 224. 13 Tommaso Saraceni entrò a far parte del corpo insegnante della scuola nell' A.a 1874-75, in

sostituzione di Vincenzo Santini che si ritirò. Vedi Flora - Paoli 1977, p. 51. Su Tommaso Saraceni vedi anche Panzetta 2003, vol. 2, p. 841.

14 Fausto Zaccagna risulta tra gli insegnanti, come titolare della cattedra di scultura dal 1875 circa. Vedi Flora - Paoli 1976, p. 53.

15 Zilocchi Giacomo (Piacenza 1862 - Firenze 1943). Dopo gli studi all'Istituto "Gazzola" di Piacenza, sotto la guida di Pollinari, Zilocchi si trasferì a Genova nel 1878 dove frequentò l'Accademia Linguistica con Giovanni Scanzi. Nel 1891 vinse il Pensionato Durazzo che gli permise di soggiornare a Roma dove si perfezionò con lo scultore Giulio Monteverde. Tornato a Genova, si impegnò in una vasta attività funeraria per il Cimitero di Staglieno. Nel 1900 presentò il gruppo In Arcadia all'Esposizione Universale di Parigi, ripresentandolo successivamente a New York. Nel 1903 vinse il concorso per la cattedra di Elementi di Disegno della Scuola di Belle Arti di Pietrasanta. Si trasferì così a Pietrasanta dove attrezzò un vasto laboratorio in Via Garibaldi. Vedi Celli - Fogher 2011, p. 304.

16 E' probabile che ciò avvenisse in quanto Palla era possessore dei modelli che occorrevano per un determinato tipo di lavoro.

17 Vedi Arte, Industria e Commercio 1907, p. 12.

18 La corrispondenza indirizzata a Quinto Sesti in Guatemala inizia nel dicembre del 1892. 19 Su "Durini & Felice" vedi Cap. 4. 1.

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Qui il Sesti era aiutato da Giuseppe Giunta, suo amico e ornatista di Pietrasanta, al quale si aggiunse, nel 1894, Ettore Galeotti, scalpellino, mandato da Barsanti per la messa in opera dei lavori 20.

Iniziarono le prime spedizioni, oltre che di marmi, anche di prodotti nazionali come vino, olio, formaggi e liquori. Martino, uomo assai intraprendente, aveva quindi intravisto la possibilità di aprire anche altre vie commerciali, "iniziando per primo l'esportazione di tali generi nel centro America" 21

. Barsanti arrivò persino a farsi pagare da un cliente moroso in caffè.

I lavori, che venivano spediti da Pietrasanta, per ferrovia, fino al porto di Genova e da lì imbarcati sui vapori , risultano di vario tipo fra cui opere di una certa grandezza come monumenti celebrativi e cimiteriali, statue, marmi segati e altari.

Non mancarono però le difficoltà: alcuni clienti erano morosi o pagavano in ritardo, la merce arrivava spesso danneggiata. A sua discolpa Barsanti scriveva a Sesti che lui eseguiva le incassature a regola d'arte ed era colpa degli addetti ai trasbordi che maneggiavano le casse contenenti i marmi come se fossero "balle di cotone" 22.

Inoltre in alcune lettere Barsanti si lamentava con Sesti del poco lavoro che gli mandava, anche perchè, fin dall'inizio, in Guatemala, non mancò la concorrenza. Ad esempio, a Quetzaltenango, un certo Bernasconi23 si accaparrava lavori che mandava a far eseguire a Palla Ferdinando, così come c'era Durini24, che era venuto a Pietrasanta per commissionare dei lavori, ma che non si era rivolto a Barsanti che pure aveva una sua filiale in Guatemala, come si ricava da una lettera dello stesso Barsanti al Sesti del 2 marzo189425.

Nello stesso anno Sesti venne a mancare, vittima della febbre gialla26. Barsanti, vedendo i suoi affari in pericolo, fu costretto ad intraprendere il suo

20 Barsanti passa alla famiglia del Galeotti £ 60 mensili da trattenere sulla paga di Ettore in Guatemala.

21 Vedi Arte, Industria e Commercio 1907, p. 12.

22 Lettera del 23 maggio 1894 a Quinto Sesti, Copialettere N°23. 23 Su Bernasconi vedi Cap. 4.1.

24 Su Durini Francesco vedi Cap. 4.1. 25 Copialettere N°23.

26 Sesti muore in San Salvador dove si era recato per collocare un monumento per la cognata dell'ex Presidente Ezeta.

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primo viaggio nel nuovo mondo per riparare alla situazione, era il 1 gennaio 189527.

In una lettera scritta prima di partire a Giunta, Barsanti parla così: "avrei pensato per mezzo avviso in giornalino o altro ramo di pubblicazione di dichiarare la continuazione della ditta (...) tipo: si porta a conoscenza che nonostante l'avvenuta morte del titolare della Ditta Quinto Sesti, negoziante e costruttore in questa città, la Ditta medesima seguiterà le operazioni assumendone la direzione il cognato dell'estinto Sig Martino Barsanti, Architetto Scultore, membro dell' Accademia di Belle Arti di Pietrasanta, Carrara. Il vasto e primario stabilimento che il medesimo possiede in Pietrasanta-Carrara, con cooperazione dei primari artisti di quella regione, nonchè cave e segherie di cui dispone, assicurano lavori di ogni genere, inappuntabili ed a prezzi fin'ora non mai praticati."28

In centro America, precisamente in San Salvador, Barsanti riparò alla situazione, cambiando nome e ragione sociale alla ditta di Sesti che diventò "Martin Barsanti & Co" e la affidò al socio, Giuseppe Giunta, mentre fece gestire la succursale di Città del Guatemala a Pedro Valz e Giacomo Zardetto, già agenti del Sesti. Impiantò anche una filiale a Granada in Nicaragua, gestita dall'agente Don Nicolas Ubago.

Nello stesso periodo Martino ampliò i suoi contatti fino al Venezuela, all'Honduras, alla Colombia, a Cuba e alla California, strinse legami con varie autorità religiose, architetti, costruttori e agenti e, nel viaggio di ritorno, passò per New York, anche qui stipulando contratti. Martino Barsanti fece ritorno a Pietrasanta carico di lavoro29.

Nel 1897 Barsanti festeggiava l'inaugurazione del suo nuovo laboratorio alla Madonnina, nell'attuale via V. Santini30, dando vita a quello che allora fu

27 La notizia risulta da telegramma contenuto nel Copialettere N°23. 28 Lettera del 28 ottobre 1894, Copialettere N°23.

29 Il 24 aprile 1895 la moglie di Barsanti così scrive al marito: "Qui in paese nel vedere che ti si spedisce a tutta forza, qualcuno gonfia, specie i marmisti, per cui sono quasi certa che per

esempio Palla, Grotti etc, chi sa cosa scrivono costì, anzi mi si dice che avendo saputo (non so da chi) che tu stai per attirarti la clientela di una società della quale fa parte il console, pare che siano ricorsi a Lucca per protestare, facendo lagnanze per questo fatto, qualificandosi loro come veri scultori mentre tu hai sempre lavorato di architettura". Copialettere N°23.

30 Nella lettera che Martino invia a Giunta in San Salvador, l'11 agosto 1897, parla del gran pranzo di inaugurazione che ha organizzato nel suo nuovo laboratorio. Al pranzo, preparato per centotrenta coperti, erano presenti i Professori dell'Accademia, l'Ufficiale di Posta, il

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probabilmente il laboratorio più grande e importante di tutta l'intera zona marmifera31.

Al pontile di Forte dei Marmi, Martino possedeva inoltre due vascelli con i quali trasportava il marmo in tutto il Mediterraneo.

Il 1897 fu anche l'anno di un terribile lutto per la famiglia di Barsanti: muore la figlia piccola Guatemala32.

Con l'inizio del nuovo secolo Barsanti intraprese anche la conquista del mercato nord-americano. Nel settembre del 1900 partì per il suo secondo viaggio in America, questa volta la meta fu New York, dove si recò, anche in questa occasione, per riparare a certe situazioni che si erano create. Infatti, dopo la scomparsa del Sig Colombani, titolare di una ditta che da tempo commissionava lavori a Martino, gli affari si erano fermati e Barsanti risultava creditore di una certa somma oltre tutto con lavori pronti per essere spediti allo stesso Colombani.

A New York Martino prese in mano la situazione e rilevò, in società con Egisto Battelli, pietrasantino che lavorava per Colombani, la ditta che assunse il nome di "The Ecclesiastical Art Works"33

, con la quale i due si ripromettevano di portare avanti il giro di affari appartenuto alla precedente ditta, realtà già avviata e conosciuta nell'ambiente ecclesiastico.

Nel giro di poco tempo la situazione sembrava sistemata e Barsanti fece ritorno al suo laboratorio a Pietrasanta, lasciando l'impresa newyorkese in mano a Battelli e ad un agente, un certo McBride34, e all'avvocato Astarita, incaricato di rappresentare la ditta.

Ma la nuova impresa non ottenne i risultati sperati e dopo due anni, nel maggio 1902, Barsanti si vide costretto a ripartire di nuovo.

Martino non voleva abbandonare la piazza che a suo parere avrebbe potuto dare discreti frutti, quindi rilevò, lui solo, la ditta newyorkese dandole un nuovo nome, "Ecclesiastical Arts"35

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31 Sull'organizzazione del laboratorio vedi Cap 6.4.

32 Lettera del 13 gennaio 1897, Copialettere N°27, in cui il segretario del laboratorio, Stefano Santini, partecipa la triste notizia a Giuseppe Giunta in San Salvador.

33 La "The Ecclesiastical Art Works" aveva sede al n°600 Lascington Avenue, poi al 19 Park Place.

34 Su McBride vedi Cap. 4.4. e Cap.5.

35 L'"Ecclesiastical Arts" ebbe sede in 35west.14th street New York, come risulta dalle missive presenti nei Copialettere.

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