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Il consorzio come struttura a rete: il caso del competence center Bi-Rex

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea in Comunicazione d’impresa e politiche delle

risorse umane

TESI DI LAUREA

Il consorzio come struttura a rete: il caso del

competence center Bi-Rex

CANDIDATO

RELATRICE

Leonardo Lio

Prof.ssa Maria Silvia Fiorelli

(2)

A mia sorella

e alla forza della mia famiglia

(3)

Sommario

Introduzione 5

Capitolo 1: Cenni Teorici di riferimento 8

From “One best way” to “one best fit” 8

La struttura Organizzativa 8

I primi studi sull’organizzazione aziendale e la sua visione isolata

dall’ambiente 11

Introduzione del concetto di sistema nell’ambiente organizzativo 13 La struttura reticolare: la forza della collaborazione 16

La rete 18

Caratteristiche della rete 20

L’impresa Focale 21

Le relazioni tra le Organizzazioni 25

Capitolo 2: L’importanza dello sviluppo economico nel 4.0: I competence

center istituiti dal MISE 28

La nascita della quarta rivoluzione industriale: cos’è l’industria 4.0? 28 L’istituzione degli 8 competence center e la loro mission 31

Bi-Rex: storia e formazione 35

Lo scopo e le specifiche funzioni che rendono i competence center Aziende

focali all’interno della rete 38

Riflessione sull’evoluzione organizzativa nell’industria 4.0 41 Capitolo 3: Le varie forme di aggregazioni di imprese tra il pubblico e il

privato 45

I legami di una rete possono essere di diverso tipo 45

Tipologie di rete 46

Reti che si allargano verso lo Stato: i Consorzi e le PPP 48

I consorzi 48

Il partenariato Pubblico Privato 51

Nello specifico il caso dei Competence Center 53

Quali sono gli obiettivi? 56

Capitolo 4: Vantaggi e svantaggi di una struttura a rete 58

I vantaggi di entrare in una rete 58

(4)

Lo studio di una buona strategia per un vantaggio reciproco 64

Bisogna stare attenti 67

Conclusioni 68

Bibliografia 71

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Introduzione

Il principale obiettivo che si è cercato di evidenziare con il presente lavoro è quello di analizzare il rapporto esistente tra il Consorzio Bi-Rex e l’insieme di soggetti pubblici o privati con i quali si relaziona per l’evoluzione della produzione italiana e lo sviluppo dell’industria 4.0.

Lo studio si concentra, in modo particolare, sull’analisi della posizione centrale che assumono i Competence Center e cerca di evidenziare la fondamentale importanza dell’interscambio informativo tra i soggetti affinché avvenga lo sviluppo degli stessi. Il termine “rete” definisce una forma organizzativa che si adatta particolarmente alla descrizione di alcuni sistemi complessi all’interno dei quali si trovano a comunicare numerosi soggetti, di cui alcuni con un elevato numero di collegamenti, definiti Hub. La rete, detta anche network, viene definita come un sistema complesso perché non è costituito solo da una struttura omogenea e osservabile, ma questa è anche caratterizzata dalla presenza simultanea di molti nodi, a volte fortemente eterogenei tra loro.

I nodi non vengono considerati singolarmente dal sistema poiché l’organizzazione, l’unità globale e le nuove proprietà possedute (considerandolo un reticolo di organizzazioni) sono i fattori che lo differenziano dal semplice aggregato di parti. Inserendo i nodi all’interno di una struttura organizzativa, è possibile evidenziare alcune qualità, che sarebbero assenti quando le parti stesse si trovano in uno stato di

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isolamento, e possono essere acquisite e inserite nell’organizzazione grazie all’organizzazione stessa.

Da qui nasce, quindi, l’esigenza di dividere l’elaborato in quattro parti.

La prima parte andrà ad introdurre brevemente l’approccio teorico che è stato utilizzato per meglio affrontare gli argomenti successivi. Ovvero quella che è l’evoluzione delle teorie organizzative: dallo Scientific management Tayloristico ed in generale dalla visione isolata e senza legami esterni di un'organizzazione, per poi approfondire il concetto di ambiente e l’importanza di tutte quelle sfide che quest’ultimo presenta, fino alla visione reticolare.

Il concetto di rete è l’elemento cardine della tesi che si andrà a presentare per tutto l’elaborato ed, in particolare, la presenza di nodi definiti come HUB e dell'importanza dei legami.

La seconda parte tratterà brevemente il concetto di Industria 4.0 e la storia che vi è dietro.

In particolare, si parlerà della quarta rivoluzione industriale (ancora in corso) e di come l’Europa, ed in particolar modo l’Italia, si siano attivati per rimanere al passo con i tempi, se non addirittura essere i pionieri di un nuovo modo di produrre beni e servizi.

Si approfondirà le specificità del caso preso in evidenza, ovvero del competence center BI-REX e come quest’ultimo sia un grande nodo (azienda focale) all’interno di una rete molto eterogenea.

(7)

Questo nodo informativo permetterà a tutte le organizzazioni all’interno della rete di poter usufruire delle competenze concesse, in modo da essere più competitive e pronte ad affrontare le sfide del cambiamento.

Nel terzo capitolo si spiegheranno come possono essere questi legami che costituiscono la rete e, specificatamente, come possono essere anche quando nella rete è presente lo Stato.

In particolare, saranno presi in esame i Consorzi e i Partenariati Pubblici Privati e vedremo come i Competence Center vengono identificati quasi come dei ponti che permettono il collegamento diretto tra lo Stato e le PMI che costellano l’italia. Infine, nel quarto capitolo, si approfondiranno tutti quelli che sono i vantaggi di far parte di una rete, la potenza e le conformazioni che possono prendere i legami che uniscono i vari nodi.

Verranno analizzati però anche i gli svantaggi che potrebbero emergere da una struttura così articolata e complessa finendo per diventare dei veri e propri “Network

Failure”.

(8)

Capitolo 1: Cenni Teorici di riferimento

From “One best way” to “one best fit”

Dalla prima rivoluzione industriale ad oggi i sistemi e gli studi sulla progettazione ottimale di un’organizzazione sono mutati radicalmente e sono, tutt’ora, in continua evoluzione.

Le imprese si sono dovute adattare nel corso del tempo ai vari cambiamenti, dovendo adeguare efficacemente le proprie strutture per poter rimanere in vita.

In questo capitolo verranno analizzati brevemente i vari approcci che hanno dominato la scena nel tempo per poi trattare, in maniera più approfondita, il concetto di struttura reticolare e l’importanza delle collaborazioni tra le aziende.

1. La struttura Organizzativa

Ai fini della trattazione poniamo attenzione in particolare alla definizione della struttura organizzativa.

La struttura organizzativa identifica i criteri di divisione e di coordinamento del lavoro. Definisce quelle che sono le unità organizzative elementari tra le quali è suddiviso il lavoro, le mansioni e i compiti di ciascuna unità o organi, le attribuzioni di responsabilità e autorità ed in fine la struttura delle relazioni ( che possono essere di

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tipo verticali o gerarchiche, funzionali, orizzontali) che uniscono le attività di ogni organo a quella degli altri secondo un disegno unitario.

In particolar modo definisce anche il sistema di ruoli tra loro interagenti, ossia sistema di aspettative, di forze e di relazioni che le persone hanno per effetto della posizione occupata e dell’interazione con altri soggetti. È una visione psicologica e sociale che riguarda anche il coinvolgimento e le motivazioni delle persone.

Un’organizzazione nasce con lo scopo di raggiungere un determinato obiettivo, che è stabilito dal top management. Tra le principali responsabilità affidate alla direzione, troviamo la definizione di obiettivi, strategie e struttura organizzativa.

È molto importante avere una corretta strutturazione dell’organizzazione in quanto serve per evitare confusione tra i compiti e magari anche un eventuale stress per la poca chiarezza dei compiti.

Le organizzazioni possono decidere se indirizzarsi verso un’organizzazione tradizionale, concepito per raggiungere il maggior grado possibile di efficienza, che enfatizza quindi la comunicazione e il controllo verticale, oppure, verso una moderna learning organization caratterizzata da una comunicazione e un coordinamento di tipo orizzontale.

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È di uso comune pensare che la struttura organizzativa sia rigida o immutabile, invece varia nel tempo a seconda delle necessità dell’organizzazione e in base a quelli che vengono definiti i “fattori contingenti”.1

Uno strumento necessario per poter comprendere la struttura di un’organizzazione è l’organigramma, ovvero una rappresentazione grafica delle gerarchie, legami e funzioni dei vari elementi che compongono l’organizzazione stessa.

Non è possibile poter vedere la struttura interna di un’organizzazione nel modo in cui si possono vedere gli strumenti fisici. Anche se possiamo osservare le azioni fisiche delle persone che popolano un’organizzazione, l’unico modo per poter effettivamente vedere l’organizzazione che sta alla base di tutte queste azioni è, appunto, l’organigramma.2

Grazie ad un’attenta analisi dell’organigramma, si possono comprendere quindi tutti i legami che permettono l’esistenza stessa della struttura e i gradi di interdipendenza tra le varie parti che lo compongono, la reciproca connessione ed è possibile quindi ricostruire tutto l’ordinamento gerarchico ed i suoi collegamenti con gli organi consultivi di staff.3

1 I fattori contingenti riguardano l’organizzazione nella sua totalità e l’ambiente organizzativo che

influenza la sua struttura

2 Daft R., Organizzazione Aziendale, Apogeo, 2004

3 Aziendalisticamente parlando, gli organi di staff sono unità di supporto che permettono di

(11)

2. I primi studi sull’organizzazione aziendale e la sua

visione isolata dall’ambiente

Secondo l’approccio tradizionale4, un’organizzazione può raggiungere l’efficienza e

l’efficacia produttiva e gestionale tramite la definizione degli obiettivi e della strategia da seguire. Designando, in questo modo, una struttura formale dove siano ben chiari i ruoli e le funzioni degli appartenenti all’organizzazione.

Di conseguenza, tutti gli studi sono concentrati esclusivamente sui fattori interni senza prendere in considerazione tutti quei fattori esterni all’organizzazione, definiti generalmente come ambiente.

Nonostante i numerosi contributi che le teorie classiche hanno dato in materia di organizzazione aziendale, tale situazione non è ottimale in quanto non si prendono in considerazione tutti quegli elementi che, esternamente all’azienda, possono effettivamente influire sul raggiungimento degli obbiettivi prefissati.

Basti pensare al ruolo cruciale che svolgono clienti e fornitori, il cui comportamento può influenzare tutta la catena produttiva.

Un altro punto di debolezza dell’approccio tradizionale è, senza dubbio, la convinzione che quest’ultimo sia completamente autosufficiente e che possa prescindere dai suoi rapporti esterni. È importante prendere in considerazione questo aspetto, per esempio, nel caso in cui vi sia un aumento di prezzo della merce

4Benassi M., L’ambiente, in G. Costa, R. Nacamulli (a cura di), Manuale di Organizzazione Aziendale,

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da parte del fornitore che comprometterebbe tutti gli studi interni effettuati fino ad allora.

Dunque, l’approccio tradizionale ritiene che una corretta gestione dell’organizzazione dipenda solo da fattori interni. Considerando quindi l’organizzazione come un sistema chiuso: indipendente da tutti quelli che possono essere i fattori esterni; che necessiti esclusivamente di una buona gestione dei processi interni affinché duri nel tempo.

Date le lacune considerate finora, è evidente l’importanza di dover analizzare il ruolo che riveste l’ambiente per la sopravvivenza dell’organizzazione, poiché vi possono essere variazioni ambientali che differiscono per le diverse organizzazioni.

Tra i fattori ambientali da considerare distinguiamo: ambiente generale e ambiente

specifico.5 Nell’ambiente generale viene identificato tutto ciò che influisce

indirettamente sull’organizzazione come, ad esempio, gli aspetti culturali, sociali, tecnologici, educativi. Questi aspetti non sono modificabili dalla struttura interna dell’organizzazione, ma hanno un impatto su di essa solo nel momento in cui vi entra effettivamente in contatto. Ad esempio, l’introduzione di una nuova tecnologia da parte di un’organizzazione concorrente o di una legge da parte dello Stato di riferimento in cui essa si trova.

(13)

L’ambiente specifico, invece, varia per ogni organizzazione poiché dipende dalle scelte effettuate dalla stessa. Tra i costituenti dell’ambiente specifico rientrano: i clienti, i fornitori scelti, le tecnologie utilizzate.

3. Introduzione del concetto di sistema nell’ambiente

organizzativo

Negli anni Sessanta, periodo di forte diffusione di produzione informatica e meccanica, si è sviluppata una corrente di pensiero che mira a superare tutti i concetti elaborati dalle teorie classiche (one best way) per considerare tutte le possibili variabili e decisioni che un’organizzazione può trovare lungo il suo tragitto (one best

fit). È proprio questa concezione dell’adattamento al cambiamento che ispira i nuovi

studiosi a vedere l’azienda come un sistema.6

Il concetto di sistema è stato introdotto da Ludwig von Bertalanffy con “La teoria

generale dei sistemi”.

Tale teoria, che trova applicazione nelle più disparate materie scientifiche, considera il mondo non come un complesso caotico di elementi, contraddistinto dalla legge della causalità lineare, ma un organismo dotato di principi e leggi coinvolgenti la totalità delle sue componenti costitutive.7

6 Perrone V., Le strutture organizzative d’impresa, criteri e modelli di progettazione, Egea, Milano,

1990

7

(14)

Questa teoria viene utilizzata per indicare che diverse realtà non vivono in un caos lineare, ma che esistono delle proprietà che le collocano in un contesto (sistema) unitario.

Considerando le organizzazioni come un sistema, è possibile distinguere le proprietà a cui fanno riferimento. In particolare, queste sono:

● Ogni realtà organizzativa è in relazione con l’ambiente esterno rendendolo un sistema aperto;

● Ogni sistema è composto da sottosistemi che a loro volta sono scomponibili in altri sistemi che hanno specifiche interazioni tra di loro;

● Ogni sistema aperto acquisisce dell’input che, tramite dei processi, trasforma in output;

● Il sistema è caratterizzato da dinamismo.

Quindi, ogni sistema aperto ha la capacità di generarsi e regolarsi in base ai suoi sottosistemi e all’ambiente, altrimenti non potrebbe sopravvivere.

Esattamente come il corpo umano che si adatta continuamente a tutti quelli che sono i cambiamenti ambientali intorno a lui, anche un’organizzazione, intesa come sistema, deve fare la stessa cosa.

Mentre per i corpi biologici le variabili potrebbero essere le condizioni atmosferiche, per le organizzazioni sono altre le sfide ambientali: per esempio commerciale (dove l’andamento della domanda/offerta può influenzare l’organizzazione), istituzionale (le norme specifiche in cui l’organizzazione si trova), economico (calcolabile tramite specifici

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indicatori) ed infine tecnologico (relative alle conoscenze e alle metodologie utilizzate dall’organizzazione).

Questi fattori ambientali sono soggettivi e mutevoli per le diverse organizzazioni ed influenzano fortemente la progettazione organizzativa.

In particolare, tale concezione deriva dall’analisi di due correnti di pensiero opposte tra loro.

Una di queste è del celebre Scientific Management elaborata da Frederick Taylor, il quale individua l’organizzazione come una macchina che deve raggiungere al massimo la sua efficienza produttiva tramite una grande divisione del lavoro e la specializzazione sempre più spinta dei compiti.

L’altra corrente di pensiero è quella inerente agli studi di Elton Mayo e alla scuola delle relazioni umane. Questi studi rivelano, al contrario della visione meccanica del lavoro Tayloristica, l’importanza del fattore umano all’interno dell’organizzazione. La massima produttività non può essere espletata esclusivamente dalle macchine, ma vanno presi in considerazione tutti gli aspetti sociologici e culturali che vivono all’interno dell’organizzazione stessa e che possono influenzare il corretto andamento della vita organizzativa.

All’interno di un’organizzazione si trovano, dunque, dei sistemi socio – tecnici, dove le variabili tecniche sono interdipendenti dalle variabili sociali ed individuali.

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4. La struttura reticolare: la forza della collaborazione

Per quanto concerne il tema della trattazione è importante analizzare, in maniera più approfondita, il concetto di approccio reticolare, di rete con annesse caratteristiche ed infine come questa particolare struttura organizzativa si alimenta e si sostiene.

Nei capitoli successivi analizzeremo come <<le reti si presentano come un utile modello di riferimento soprattutto per le piccole e medie imprese (PMI). Il tessuto industriale italiano, infatti, è caratterizzato da una miriade di PMI che, attraverso la c.d. “messa in rete”, riescono a superare il vincolo della piccola dimensione divenendo più flessibili, efficienti e creative>>.8

L’approccio reticolare trova diverse similitudini con l’approccio sistemico, anche se differisce per alcuni particolari.9

Entrambi hanno come punto cardine il fatto che l’approccio organizzativo aziendale (con tutte le scelte che ne conseguono) non può prescindere dai numerosi fattori ambientali in cui può incorrere.

Una delle differenze che distingue l’approccio sistematico da quello reticolare si basa sulla diversa visione dell’ambiente. Mentre il primo analizza l’ambiente in termini astratti, il secondo considera l’ambiente come un insieme composto da soggetti o organizzazioni che prendono delle decisioni e attuano dei comportamenti tali da poter influenzare, direttamente o indirettamente, anche l’organizzazione di riferimento.

8 Sanguigni, V., & Bilotta, A. (2011). Le Reti come schema interpretativo per veicolare la

conoscenza e governare la complessità. L'industria, 32(2), 357-374.

9 Benassi M., L’ambiente, in G. Costa, R. Nacamulli (a cura di), Manuale di Organizzazione

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In particolare, l’approccio sistemico analizza il rapporto che vi è tra l’organizzazione e l’ambiente. Invece, l’approccio reticolare mette in evidenza quelli che sono i rapporti di interdipendenza tra le varie organizzazioni che popolano l’ambiente.

Il concetto di rete può contenere al suo interno diversi significati e possibilità di formazione e sviluppo.

È quindi importante approfondire i tre concetti base di rete:10

La rete di unità esterne. È una forma organizzativa che fa perno su un’impresa

guida che costruisce una serie di legami e di relazioni con altre imprese o enti esterni. Tali legami interessano una o più dimensioni dell’attività svolta per realizzare i propri obiettivi strategici. Il contributo di terzi è quindi decisivo per il posizionamento dell’impresa in oggetto.

La rete di unità interne. In aggiunta al disegno di coinvolgimento stabile di unità

esterne — e quindi alla conseguente nuova strutturazione e alla nuova definizione dei confini organizzativi — è possibile riscontrare una parallela tendenza a disegnare l’organizzazione «interna» secondo moduli e procedure parallele a quelle impiegate per la rete delle unità esterne. Non è solo la struttura formale che viene reticolarizzata ma sono le attività delle varie unità, i rapporti fra le diverse unità, le gerarchie, che subiscono una trasformazione sostanziale.

La rete a livello interpersonale. Il concetto di rete trova una applicazione anche a

livello di gruppi di persone e di rapporti interpersonali, calandosi quindi nell’organizzazione e influendo sul suo funzionamento.

10 G. Boari, A. Grandi, G. Lorenzoni, “Le organizzazioni a rete. Tre concetti di base”, Economia e

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In termini di progettazione organizzativa si può dire che quella che più si avvicina all’approccio reticolare è la “rete interorganizzativa”.11

4.1 La rete

Le peculiarità che caratterizzano la rete sono: elevata flessibilità, cooperazione e grande presenza di rapporti formali o informali.

Essa è formata da una serie di unità semiautonome che ricevono degli input per trasformarli in output.

Le attività delle varie unità sono organizzate con una struttura gerarchica pressoché assente, benché si basano sullo stile cooperativo.

Quindi le strategie per il raggiungimento degli obbiettivi possono anche variare tra le diverse unità delle quali sono anche responsabili.12

Il raggiungimento degli obbiettivi da parte dei singoli membri della rete può essere favorito dal flusso di informazioni che viene agevolato da un sistema reticolare e che in una struttura gerarchica verticale delle singole organizzazioni non sarebbe così facilitato. La flessibilità diventa quindi centrale nell’ottica della struttura a rete, dove cambia sia il ruolo del manager sia quello dei suoi relativi strumenti per il coordinamento delle attività. Questo perché deve favorire il coordinamento delle interdipendenze, in relazione al diverso grado di intensità e rilevanza delle interdipendenze.

11 G. Boari, A. Grandi, G. Lorenzoni, “Le organizzazioni a rete. Tre concetti di base”, Economia e

politica industriale, n. 64, 1989.

12 Perrone V. “La rete”, in G. Costa, R. Nacamulli (a cura di) “Manuale di Organizzazione Aziendale”,

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La mancanza di coordinamento, infatti, potrebbe comportare un elevato costo in termini di risorse senza una certezza di raggiungimento degli obbiettivi.

La rete (o forma a N) così descritta sembrerebbe essere un ottimo sistema aperto verso l’esterno. Attraverso un’attenta analisi dei costi/benefici, alcune unità potrebbero trovare più conveniente esternalizzare determinati funzioni/servizi onde evitare risorse accantonate ed immobilizzate.13

Mediante l’esternalizzazione, quindi, l’organizzazione può trovare il vantaggio di non ritrovarsi incastrata in un’eccessiva burocratizzazione e rigidità della struttura, pur avendo la possibilità di poter fronteggiare i dinamismi che l’ambiente esterno presenta. Il network di organizzazioni non deve essere confuso con la logica aziendalistica di “gruppo” che prevede rapporti prettamente di tipo finanziario. Il network è composto da unità giuridicamente autonome, che mantengono le interrelazioni con la capo gruppo e sfruttano le opportunità che da tali interrelazioni derivano.14

Oltre alle unità interne e unità esterne, la forma N si concretizza in particolare per la presenza di unità definite come “unità di confine” che hanno il ruolo di creare una sorta di cuscinetto tra le unità interne e quelle esterne presenti nell’ambiente.

Le unità di confine hanno una duplice funzione: da una parte acquisiscono le informazioni provenienti dall’esterno per poi dirigerle verso l’interno; dall’altra possono rappresentare l’organizzazione stessa nei rapporti con l’ambiente di riferimento.15

13 Lorenzoni G., Accordi, reti e vantaggio competitivo, Etaslibri, Milano, 1992 14 Lorenzoni G., Accordi, reti e vantaggio competitivo, Etaslibri, Milano, 1992

15 Perrone V. “La rete”, in G. Costa, R. Nacamulli (a cura di) “Manuale di Organizzazione Aziendale”,

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4.2 Caratteristiche della rete

Le principali caratteristiche di questa particolare struttura organizzativa possono essere così riassumibili:

● Strutture e processi che consentono di raggiungere la massima flessibilità e rapidità di risposta nel prendere delle decisioni;

● Processi di coordinamento alternativi e complementari alla gerarchia; ● Decentralizzazione dell’autorità;

● Possibilità di trasmissione delle conoscenze e delle informazioni e attività presso unità differenti;

● Utilizzo di specifiche risorse per attività differenti.16

Nello specifico, possiamo esaminare le caratteristiche strutturali di questo tipo di organizzazione.

Per prima cosa, possiamo analizzare la dimensione.

Quando ci troviamo in presenza di almeno due unità che sono collegate tra loro ci troviamo di fronte a quella che viene denominata “rete di dimensioni minore”, definita come diade.

Il sistema diadico rappresenta il modello più semplice dell’assetto di un network. Tale livello è necessario per la costruzione di una rete molto più ampia e complessa, ma

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soprattutto agevola la comprensione delle principali caratteristiche che questa deve assumere.

Quando il numero delle unità e dei collegamenti aumentano, aumenta a sua volta anche la dimensione della stessa struttura assumendo una figura reticolare.17

Il vantaggio di una costellazione di imprese è collegato alla semplicità con cui è possibile costruire un network, dal momento che è la stessa organizzazione focale a definire e a creare le varie relazioni.

4.3 L’impresa Focale

Come esposto precedentemente, la struttura a rete è composta da una serie di unità, generalmente autonome dal punto di vista giuridico, legate tra di loro da un rapporto di interdipendenza.

Vi possono essere dei casi in cui queste reti si sviluppano in maniera autonoma, altri in cui vi è la presenza di una di un’impresa centrale, detta “Impresa focale” che gestisce le relazioni all’interno della stessa rete.

Tutti gli attori che ruotano intorno all’impresa focale definiscono il cosiddetto ambiente

transazionale.18

17 Martinez. M., L’analisi organizzativa: il network, in Mercurio R., Testa F. (a cura di),

“Organizzazione, assetto e relazioni nel sistema di business, Giappichelli, Torino, 2000

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Tali imprese possono contribuire in vario modo all’interno della rete: con rapporti di collaborazione e di scambio, con il diffondere le proprie competenze oppure con attività di coordinamento.19

D’altro canto, l’impresa focale non può imporre le attività che dovranno essere svolte all’interno della rete, ma il suo compito sarà quello di fissare i macro-obiettivi e cercare di influenzare le varie unità per raggiungere le finalità della rete, lasciandole nella più piena autonomia.20

Al giorno d’oggi, le relazioni che si sviluppano tra le varie unità diventano sempre più importanti e portano gli studiosi ad approfondire la rilevanza che ha l’impresa focale.21

Il ruolo di quest’ultima è generalmente centrale e viene definito dai ruoli svolti: da una superiorità in termini di collegamenti con le altre unità, dalla velocità di raggiungimento, dalla comunicazione con le varie unità e dalla sua libertà di azione. L’impresa focale deve essere intesa <<non come un elemento condizionante, ma piuttosto come fonte di opportunità, di stimoli innovativi, di informazioni>>.22

Ed è proprio la centralità dell’impresa focale a conferirle una grande potenzialità nell'instaurazione di collegamenti sia verso l’interno che verso l’esterno.

L’assetto organizzativo a rete si differenzia molto dalle tradizionali strutture organizzative caratterizzate dalle specializzazioni funzionali e dall’utilizzo della gerarchia

19 Ricciardi A., “modello organizzativo per sostenere la competitività delle Pmi italiane” 20 Lorenzoni G., Accordi, reti e vantaggio competitivo, Etaslibri, Milano, 1992

21 Il tema delle relazioni tra le unità di una rete verrà approfondito nel paragrafo successivo. 22 Lorenzoni G., Accordi, reti e vantaggio competitivo, Etaslibri, Milano, 1992

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per l’esercizio del potere. Al contrario, la forma a N si caratterizza per la presenza di moduli (o unità) semiautonomi.

Data la mancanza di gerarchia tra i vari moduli, ognuno di questi può ricercare e adottare la strategia che più ritiene idonea per il raggiungimento degli obbiettivi prefissati aumentando così sia la ricerca delle informazioni sia l’efficienza della rete stessa.23

Perrone definisce l’ambiente transazionale come la <<porzione dello spazio che l’impresa focale gestisce attraverso la relazione di collaborazione e scambio con altre unità organizzative relativamente indipendenti dal punto di vista della proprietà>>.24

Quindi, egli, partendo dallo studio dell’impresa focale, analizza tutti quelli che sono gli effetti delle transazioni sulla rete stessa.

L’ambiente transazionale è costituito dai vari stakeholders, ovvero: clienti, fornitori, concorrenti, istituti di credito o a tutti coloro che possono essere definiti “portatori di interesse”. 25

Attraverso le relazioni tra le varie unità della rete si favorisce il flusso informativo e l’integrazione, che non devono necessariamente passare per l’impresa focale.

Questo dovuto dal fatto che, come detto precedentemente, le unità che compongono la rete sono indipendenti e producono delle risorse (input in output) che sono fondamentali per la sopravvivenza della rete stessa.

23 Perrone V. “La rete”, in G. Costa, R. Nacamulli (a cura di) “Manuale di Organizzazione

Aziendale”,Il Mulino, 1997

24 Perrone V. “La rete”, in G. Costa, R. Nacamulli (a cura di) “Manuale di Organizzazione Aziendale”,

Il Mulino, 1997

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L’integrazione delle varie unità definite da obiettivi comuni non è un concetto che si presenta per la prima volta: anche nell’approccio tradizionale della “divisione del lavoro” vi erano dei rapporti con i fornitori, così come gli accordi con le imprese industriali o commerciali.

Le relazioni odierne vanno ben oltre alla “semplice” ricerca dell’efficienza poiché mirano al potenziale di flessibilità, adattabilità e innovazione che le reti moderne offrono.26

Un buon rapporto di fiducia con il fornitore, per esempio, può essere fondamentale per il corretto sviluppo di un prodotto innovativo. Inoltre, il collegamento e il supporto di ogni singola unità, seppur minimo, può essere determinante per il raggiungimento degli obiettivi.27

Nel caso di uno scenario di piccole – medie imprese assume una particolare rilevanza il rapporto con le imprese fornitrici di servizi.28

Infatti, i fornitori di servizi esterni possono abbassare notevolmente gli oneri ad essa correlati: questi dovuti dall’abbassamento degli investimenti, della struttura dei costi fissi e variabili dell’impresa centrale, dando la possibilità di un miglioramento di margini di profitto e di competitività.

26 Perrone V. “La rete”, in G. Costa, R. Nacamulli (a cura di) “Manuale di Organizzazione Aziendale”,

Il Mulino, 1997

27 Lorenzoni G., Accordi, reti e vantaggio competitivo, Etaslibri, Milano, 1992 28 Lorenzoni G., Accordi, reti e vantaggio competitivo, Etaslibri, Milano, 1992

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La rete non ha dei confini ben definiti e muta continuamente. L’ingresso e l’uscita di nuove unità, infatti, avviene molto frequentemente senza però andare a modificare l’assetto organizzativo di base e senza mettere a repentaglio il funzionamento della rete. Le organizzazioni, infatti, decidono di entrare a far parte della rete per raggiungere sia obbiettivi comuni che obiettivi privati. Pertanto, la singola unità avrà sempre interesse a rimanere all’interno della rete finché avrà la possibilità di ottenere benefici economici e di mercato.29

5

Le relazioni tra le Organizzazioni

È possibile affermare che, nel nuovo panorama economico, le organizzazioni non possano prescindere dalle relazioni esterne. Quindi saranno perennemente in contatto con altre organizzazioni, inserite a loro volta in un ambiente complesso composto da reti relazionali basate su rapporti di competizione e di collaborazione.

Nella letteratura organizzativa ed economica si sono studiate le relazioni fra le organizzazioni secondo vari aspetti30. Ai fini della trattazione, però, introdurremo solo le

relazioni che legano le varie unità all’interno di una rete.

29 Lorenzoni G., Accordi, reti e vantaggio competitivo, Etaslibri, Milano, 1992

30 Le relazioni sono state studiate, in ambito economico ed organizzativo, secondo 2 grandi scuole

di pensiero: il primo tra gli anni 60 e 70 che si basa sull'ipotesi che il tipo di relazioni determina la struttura; il secondo, negli anni 80’ al contrario, si basa sulla grande convinzione che le manifestazioni relazionali sono visti come forme di governo intermedia fra mercati e gerarchia.

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Lo scenario economico e organizzativo attuale è caratterizzato da una domanda sempre più esigente in termini di qualità oltre che di varietà dei prodotti/servizi richiesti.31

Infatti, nello scenario economico di oggi si assiste a grandi aggregazioni di aziende le cui relazioni possono essere di natura competitiva o, più semplicemente, di sopravvivenza.32

Come detto nel paragrafo precedente, la rete è costituita da un insieme di relazioni che ne determinano l’esistenza stessa.

Queste relazioni generalmente non si esauriscono con i legami tra le varie unità e l’impresa focale, ma si estendono anche tra le unità stesse.

In questo caso, più è alto il livello di relazioni che avvengono tra le varie unità che costellano la rete, più è alto il livello di connettività 33 che facilita il raggiungimento degli

obiettivi e degli impegni presi, favorendo la diminuzione dell’incertezza ambientale. Questa connettività viene utilizzata, generalmente, verso l’esterno attraverso le sollecitazioni di enti terzi come, per esempio, lo Stato. Queste sollecitazioni sono rese possibili, generalmente, dall’alto potere contrattuale che riescono a creare.

Tutto questo può avvenire soltanto se vi è uno scambio di risorse che vengono definite, in termini economici, come transazione: “trasferimento di un bene o di un servizio, attraverso un'interfaccia tecnicamente separabile che comporta uno scambio di valori tra le parti”.34

31 Ricciardi A., Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica, Franco Angeli,

Milano, 2003, Pag. 31

32 Daft R., Organizzazione Aziendale, Apogeo, 2004

33 Soda G., “Reti tra imprese. Modelli e prospettive per una teoria del coordinamento”, Carocci,

Roma, 1998

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Le transazioni che possono avvenire all’interno di una rete tra le varie unità possono essere di diverso tipo e di diversa natura:

Risorse umane: che sono insiemi di conoscenze e competenze, generalmente

difficili da trasferire in quanto risorse, ma vengono trasferite più frequentemente le attività e le conoscenze da loro possedute;

Risorse tecniche: caratterizzate da due elementi, il primo è caratterizzato

dall’insieme di tecnologie, strumenti e impianti utilizzati per i processi di trasformazione, il secondo è il know how relativi ad una data attività;

Risorse finanziarie: sono quelle più indipendenti da specifici usi o specifiche

unità, ma soprattutto sono il tipo di risorse più facilmente trasferibili.

Le relazioni che si possono instaurare tra l’impresa focale e l’ambiente transazionale possono essere di due tipi: di tipo diretto, ovvero dove gli investimenti e le conoscenze dell’impresa focale si uniscono agli investimenti e le conoscenze di terzi; o di tipo strategico/organizzativo ed economico, dove l’impresa focale, definendo gli obbiettivi comuni della rete, crea dei canali di gestione congiunta delle competenze e delle conoscenze di tutte le unità della rete.35

35 Perrone V. “La rete”, in G. Costa, R. Nacamulli (a cura di) “Manuale di Organizzazione Aziendale”,

(28)

Capitolo 2: L’importanza dello sviluppo economico

nel 4.0: I competence center istituiti dal MISE

1.

La nascita della quarta rivoluzione industriale: cos’è

l’industria 4.0?

Il termine “industria 4.0” nasce in Germania e compare per la prima volta in un report del 2013 articolato da un lavoro promosso dal Governo tedesco.

Lo scopo di questo progetto era quello di rilanciare il settore manifatturiero, definito “ZukunftsProjekt Industrie 4.0”, il quale indicava una precisa tabella di marcia di investimenti necessari per il miglioramento delle infrastrutture, delle istituzioni, dei centri di ricerca pubblici e delle industrie che avrebbero portato un upgrade della produzione tedesca.36

Il concetto di industria 4.0 indica, infatti, è definito dal il supplemento tecnico del cyber

physical System37 (CPS), così come l’utilizzo dell’internet of things38 (IoT) nei diversi

36 Giacomo Bandini, Federica Caprio, Le imprese italiane e le competenze mancanti. Un'analisi del

Piano Industria 4.0, in "Quaderni di ricerca sull'artigianato, Rivista di Economia, Cultura e Ricerca Sociale" 3/2018, pp. 443-474, doi: 10.12830/92052

37 Un sistema ciber fisico (CPS, dall'inglese cyber-physical system) è un sistema informatico in

grado di interagire in modo continuo con il sistema fisico in cui opera.

38 Internet delle cose (IdC o IoT, acronimo dell'inglese Internet of things), nelle

telecomunicazioni è un neologismo riferito all'estensione di Internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti

(29)

processi industriali in modo da creare nuovi modelli di business e aumentare la produttività e la qualità degli impianti.

Difatti essa, utilizzando la robotica avanzata e determinate tecnologie, va a sostituire quasi completamente il lavoro umano nei processi di produzione. In particolare, con l’utilizzo delle tecnologie additive si riesce ad eliminare direttamente alcuni processi di produzione.

L’intera fabbrica viene divisa in moduli, CPS, che monitorano i vari processi fisici creando una copia virtuale del processo produttivo e prendendo decisioni decentralizzate. I vari moduli hanno la possibilità di comunicare tra loro e con gli operatori, in tempo reale, attraverso l’IoT.

In questo contesto, vi è anche un ampio utilizzo di intelligenza artificiale che permette un continuo apprendimento automatico (machine learning) andando a migliorare, di volta in volta, i vari processi produttivi. Queste tecnologie vengono implementate in sistemi cloud39 e utilizzano i big data40.

Quindi, tutte queste tecnologie abilitanti permettono una connessione senza precedenti tra le varie fasi produttive, di distribuzione e di consumo.

Il primo assetto caratteristico di questa rivoluzione industriale riguarda la tecnologia abilitante. Infatti, l’industria 4.0 non è guidata da un’unica grande scoperta tecnologica, ma da un insieme di scoperte e di avanzamenti tecnologici che si sono sviluppati negli

39 Il cloud computing (in italiano nuvola informatica) indica, in informatica, un paradigma di

erogazione di servizi offerti su richiesta da un fornitore a un cliente finale attraverso la rete internet (come l'archiviazione, l'elaborazione o la trasmissione dati), a partire da un insieme di risorse preesistenti, configurabili e disponibili in remoto sotto forma di architettura distribuita.

40Il Big Data indica genericamente una raccolta di dati informativi così estesa in termini di

volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l'estrazione di valore o conoscenza

(30)

ultimi decenni e che oggi possono trovare una concreta applicazione in tutti i processi produttivi.

Il secondo elemento caratteristico di questa rilevante rivoluzione è che quest’ultima, a differenza di quelle precedenti, non è solo una trasformazione tecnologica di grande portata, ma sta attuando anche una grande rivoluzione nei processi produttivi in quanto sta dando la possibilità di nascita a nuovi modelli di business. L’introduzione di questa tecnologia consente, oltre alla riduzione dei processi produttivi, la modifica in maniera strutturale delle modalità di organizzazione dei processi e di soddisfazione della domanda dei consumatori. In questo modo, si assiste alla cosiddetta “personalizzazione

di massa dei prodotti”41 dando possibilità alle varie aziende di poter creare degli output

che possano combaciare meglio con le esigenze del cliente.

In questo modo viene meno la separazione gerarchica tra chi ordina e chi esegue e ciò comporta importanti modifiche organizzative. Le decisioni diventano più accurate e veloci e vengono prese sulla base di informazioni molto ampie (big data) considerando l’interazione fra uomo-oggetti-macchine. Il tutto è eseguito utilizzando le risorse disponibili e riducendo drasticamente gli sprechi, con effetti anche in termini di efficienza energetica.42

41 Giacomo Bandini, Federica Caprio, Le imprese italiane e le competenze mancanti. Un'analisi del

Piano Industria 4.0, in "Quaderni di ricerca sull'artigianato, Rivista di Economia, Cultura e Ricerca Sociale" 3/2018, pp. 443-474, doi: 10.12830/92052

42 Angela Bottoncini, Attilio Pasetto, Zeno Rotondi, “Sviluppo e prospettive dell’industria 4.0 in

(31)

2.

L’istituzione degli 8 Competence Center e la loro

mission

In Italia nel 2016, sotto la guida del ministro dello sviluppo economico nel 2016, è stato attivato un percorso di industria 4.0 che può essere definito anche Fabbrica 4.0 (o Impresa 4.0) centrato prevalentemente su aiuti agli investimenti tecnologici da cui ci si aspetta effetti positivi sia sulla modernizzazione che sulla competitività internazionale dell’impresa e, inoltre, sull’occupazione. Questo percorso si sviluppa più velocemente sul terreno delle grandi imprese e più lentamente su quello delle piccole o medie imprese.

Per agevolare, dunque, l’implementazione della rivoluzione digitale nelle imprese italiane a partire dalle Pmi, il Governo ha messo sul piatto per il solo 2017 incentivi fiscali orizzontali pari a 13,3 miliardi, quali il super ammortamento, l'iper ammortamento (al 250%) per alcuni macchinari e supporti digitali che rispondono ad alcune tecnologie individuate e la rimodulazione del credito d’imposta, per le aziende che investiranno in tecnologia e digitalizzazione, grazie ai quali numerosi centri di formazione e innovazione

digitale (Digital Innovation Hub) serviranno le imprese del territorio.

Il ministro CALENDA: <<ecco il Piano nazionale Industria 4.0 l’esecutivo si aspetta di generare un incremento di 10 miliardi degli investimenti privati in macchinari e tecnologia portandoli da 80 a 90 miliardi>>. Inoltre, il governo attivò 11,3 miliardi di euro di investimenti privati in ricerca e sviluppo nel periodo 2017-2020 e sempre nello stesso periodo, 2,6 miliardi privati investiti per la sostenere la fase iniziale di nuove imprese (definito early stage). Il ministro ha quindi spiegato che il piano nazionale Industria 4.0

(32)

prevede la realizzazione di alcuni Competence Center sul territorio nazionale. Questi centri, però – ha chiarito il ministro – <<non dovranno avere doppioni sul territorio nazionale perché, a prescindere da dove saranno realizzati, non dovranno essere costituiti con logiche regionali, localistiche o campanilistiche, ma dovranno differenziarsi per specializzazione ed essere utili a tutto il tessuto delle imprese italiane che operano nello specifico settore del quale si occuperà ogni singolo centro>>.

Il piano Calenda ha provocato un impulso positivo all’investimento in tecnologia, indispensabile per i deficit comparativi di produttività in Italia. A differenza del programma Industrie 4.0 sviluppato in Germania, non contiene ancora un processo formalizzato di coordinamento, ricerca, supporto alla progettazione, monitoraggio, diffusione, formazione di innovazioni a 360°. In modo da integrare non solo tecnologia, ma business model, organizzazione, lavoro.43

Durante il primo anno dalla presentazione del Piano nazionale “Industria 4.0” l’attesa rete dei centri di competenza non si è sviluppata come previsto, eccetto per alcune timide candidature prive di riconoscimento formale o anche istituzionale e soprattutto non era ancora chiaro il significato di questa espressione. Le informazioni, anche se poche, contenute nel piano lasciano intendere che, a seguito di bando di gara pubblico, Atenei italiani di eccellenza, grandi player privati, ma anche start-up e centri di ricerca saranno coinvolti nella costruzione di partenariati pubblico-privati, entro il numero massimo di sei / sette (che poi in realtà furono otto)44.

43 Federico Butera, “Lavoro e organizzazione nella quarta rivoluzione industriale: la nuova

progettazione socio-tecnica”, Il Mulino, 2017

44 Elena Prodi, “I centri di competenza per l’Industria 4.0: la “lezione” dei parchi scientifici e

(33)

A queste nuove entità verranno, in seguito, destinati considerevoli finanziamenti pubblici con lo scopo di facilitare l’accesso delle imprese alla sperimentazione delle nuove tecnologie digitali, anche supportandole nell’accelerazione di progetti innovativi e, in particolare, nel mettere a punto prototipi mirati per uno sviluppo pre-competitivo. Si tratta, infatti, di attività che difficilmente le imprese, in particolare per quelle di dimensioni medio-piccole di cui si compone il tessuto produttivo italiano (caratterizzato dal cosiddetto “nanismo imprenditoriale”), sarebbero capaci di realizzare utilizzando solamente i propri mezzi e le proprie risorse.

(34)

Che «nessuna azienda può aspettarsi di innovare in isolamento»45 è un’evidenza ormai

da tempo messa in luce della letteratura socio-economica. Ciò è stato assunto come fondamento dei principali approcci teorici allo studio dell’innovazione e, in particolare, i paradigmi della «Open Innovation» e della «Tripla Elica»46. Entrambi interpretano

l’attività innovativa e la generazione di conoscenze nei termini di processi che possiedono natura sistemica e interattiva, basati principalmente su scambi circolari di informazioni ed esperienze tra soggetti diversi tra loro, quali in particolare le imprese (con i relativi fornitori, clienti, imprese dello stesso gruppo, concorrenti), le università e i centri di ricerca, sia pubblici che privati. Quindi anche l’attore pubblico sembra aver acquisito la consapevolezza dell’importanza relazionale relativa ai processi d’innovazione.

Già da tempo i Governi centrali e le amministrazioni locali cercano di provvedere alla creazione di entità definite intermediarie che possano agire colmando le distanze cognitive e organizzative che ci sono tra mondo accademico e delle imprese. In questo modo si cercano e si sviluppano nuove conoscenze in regime di collaborazione.

Inoltre, appare auspicabile che il ruolo e le funzioni attribuite ai centri di competenza tengano conto dei cambiamenti sul piano socioeconomico che necessariamente avvengono in seguito ad una diffusione capillare delle nuove tecnologie. In merito a ciò,

45 J. STAN METCALFE, “L’innovazione come problema europeo, in Conoscenza tecnologica. Nuovi

paradigmi dell’innovazione e specificità italiana” C. Antonelli (a cura di), Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, 21.

46 lo sviluppo dei rapporti tra università e imprese implichi il coinvolgimento e il supporto da

parte dell’attore pubblico. Nel paradigma «tripla elica» le interconnessioni tra istituzioni pubbliche, private e accademia consentono la creazione di un contesto favorevole alla circolazione e al trasferimento dei flussi di conoscenza, concorrendo alla crescita economica e allo sviluppo dei territori.

(35)

taluni contributi della dottrina hanno evidenziato come l’aumento dell’interconnessione tra persone, aziende, clienti, fornitori e centri produttivi concorrerebbe alla creazione di filiere altamente connesse e sistemi economici reticolari e policentrici. Non solo, ci sarebbe un accrescimento della tendenza delle imprese a prendere parte, o addirittura collocarsi fisicamente, all’interno di contesti produttivi popolati da una moltitudine di attori (università, infrastrutture fisiche e digitali, centri di ricerca, istituzioni e altro ancora) dove siano agevolati sia la circolazione e l’incontro di flussi di conoscenza complementari tra loro, sia l’accesso a mercati del lavoro dove scegliere maestranze altamente qualificate.

2.1 Bi-Rex: storia e formazione

I competence center nazionali sono parte di aggregazioni nazionali che, dopo l’approvazione da parte della Commissione europea, prenderanno parte della rete europea dei Poli di innovazione digitale (Edih)47.

I centri di innovazione digitale europei fanno parte del Digital Europe Programme e all’incentivazione alla digitalizzazione europea sono stati investiti 7,5 miliardi di euro del bilancio 2021-2027.

Da qui si intuisce come i centri di competenza hanno un ruolo fondamentale poiché si dovranno occupare di formazione e orientamento, evoluzione tecnologica in

47 European Digital Innovation Hubs in Digital Europe Programme: sarà il primo programma

europeo dedicato a sostenere la trasformazione digitale dell’economia e della società europee attraverso investimenti nelle infrastrutture digitali strategiche, nel miglioramento delle competenze avanzate e nella modernizzazione dell’interazione tra i governi e i cittadini.

(36)

ambito 4.0, conduzione di bandi e dovranno collaborare anche con il network dei digital innovation hub di Confindustria.

Sono passati quasi tre anni dal bando per la costituzione dei poli di innovazione costituiti da almeno un organismo di ricerca e da una o più imprese, nella forma di partenariato pubblico-privato.

Al termine del bando istituito dal MISE la graduatoria ha identificato otto centri in città quali Torino, Milano, Bologna, Pisa, Padova, Napoli, Roma, Genova. Ad oggi, dopo quasi un anno e mezzo di attività, i centri hanno ricevuto finanziamenti, hanno assunto del personale, costruito sedi e hanno anche avviato, nonostante i rallentamenti causati dalla pandemia determinata dal Sars-CoV-2, la realizzazione di showroom e impianti pilota per le aziende.

Tra questi otto competence center troviamo Bi-Rex.

Bi-Rex è un consorzio che raggruppa in un partenariato pubblico-privato 57 attori tra Università, Centri di Ricerca e Imprese. Nonostante sia fortemente radicato nel territorio emiliano-romagnolo, presenta attività estese anche ad altre regioni, tra cui Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Sicilia e Trentino-Alto Adige ed è aperta a connessioni anche con gli altri sette Competence Center costituiti in Italia, oltre a quelli Europei.

In particolare, le Università coinvolte sono cinque. L’Università di Bologna ha guidato la presentazione della proposta, la negoziazione e la costituzione del centro. A questa seguono l’Università Cattolica del Sacro Cuore e gli Atenei di Ferrara, Modena Reggio-Emilia e Parma. Vi partecipano, inoltre, due Enti di Ricerca nazionali, CNR e INFN, oltre

(37)

all’Istituto Ortopedico Rizzoli, ASTER, Bologna Business School, CINECA e Fondazione Golinelli (che ospiterà il centro nella sua fase di avvio).

Le imprese che vi fanno parte attive in diversi settori sono 45. Tra i settori distinguiamo: meccatronica, servizi, finanza, ICT, biomedicale, agro-alimentare, energia, ambiente ed automotive. Le 45 imprese, che daranno sostegno finanziario diretto e forniranno servizi e tecnologie, sono: Sacmi (che esprime il Presidente del Consorzio, Ing. Domenico Bambi), Bonfiglioli Riduttori, IMA, Philip Morris Manufacturing & Technology Bologna, SAMP, Aetna Group, Consorzio Nazionale Servizi, Modis Consulting, Poggipolini, Rekeep, UPMC Italy, CAMST, Conad, Ducati Motor Holding, Eni, Gruppo Hera, Link Italia, Marposs, Rem Tec, Alascom Services, Circle Touch, CRIF, Eurocoating, Filippetti, Marposs Italia, Nanosurfaces Industries, Service, Altair Engineering, Intesa SanPaolo, Manz Italy, Parametric Technology Italia, Siemens, TIM, Datariver, IBM Italia, DVP Vacuum Technology, Eascon Engineering, Energy Group, Etna Biotech, Fancy Pixel, Juno Design, Kaitek, Nextema, Nier Ingegneria.

Dopo la pubblicazione della graduatoria, in soli cinque mesi si è conclusa la negoziazione con il Ministero dello Sviluppo Economico. Quindi, il consorzio formalmente costituito ha la possibilità di finalizzare con il Ministero il decreto di concessione del finanziamento. L’ammontare di quest’ultimo è pari a 9,2 milioni di euro, ai quali si aggiungono agli oltre 15 milioni di euro di investimento dei partner privati.

(38)

2.2 Lo scopo e le specifiche funzioni che rendono i Competence

Center Aziende focali all’interno della rete

Poiché le imprese sono immerse in un ambiente instabile, definito come Capitalismo

Globale della Conoscenza (definizione di Enzo Rullani), devono continuamente

rigenerare i propri vantaggi competitivi. In questo contesto di incertezze, in cui le imprese devono continuamente evolversi per poter sopravvivere, la crisi diventa una costante. Come conseguenza, le imprese devono imparare a convivere con la complessità e lo fanno costruendo un sistema che permetta di cogliere le opportunità che possono derivare dai vari contesti. Una tra le principali risorse per dominare la complessità è la Conoscenza.48

L’economia della conoscenza, infatti, sta diventando un’economia sempre più globale e per poter sfruttare i benefici che ne derivano, occorre ampliare le reti locali. Un modello di riferimento per le piccole e medie imprese (PMI) sono proprio le reti. Infatti, quello che caratterizza il tessuto industriale italiano è una moltitudine di PMI. Queste, attraverso la cosiddetta «messa in rete», oltrepassano il vincolo della piccola dimensione caratterizzandosi di flessibilità, efficienza e creatività. Quello che si cerca di ottenere è la ricerca e la condivisione della conoscenza. Riprendendo il contesto di incertezza, è necessario sottolineare il ruolo e le funzioni dei competence center che diventano fondamentali per sviluppo e gestione dell’incertezza evolutiva. E’ in questo

48 Vincenzo Sanguigni, Alberto Bilotta, “Le Reti come schema interpretativo per veicolare

(39)

ambito che si dovrà sviluppare l’eccellenza dell’Industria 4.0 italiana. In particolare, è indispensabile che venga erogato un servizio alle imprese che si sviluppa su tre assi: ● orientamento, predisponendo una serie di strumenti mirati a supportare le imprese nel valutare il loro livello di maturità digitale e tecnologica. Questo avviene in particolare per le PMI;

● formazione, in modo che si possano promuovere e diffondere le competenze in ambito di Industria 4.0. Questo sfruttando proprio l’attività di formazione in aula, sulla linea produttiva e sulle applicazioni reali. Per esempio utilizzando le linee produttive dimostrative e lo sviluppo di casi d’uso, con l’obiettivo di supportare la comprensione da parte delle imprese che usufruiscono di benefici concreti (in particolare, in termini di riduzione dei costi operativi e dell’aumento della competitività dell’offerta);

● attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale. Questi vengono proposti dalle imprese, soprattutto quelli di natura collaborativa tra aziende e fornitura di servizi di trasferimento tecnologico nel contesto di Industria 4.0, anche mediante azioni di stimolo alla domanda di innovazione da parte delle imprese (soprattutto delle PMI).

Concretamente lo scopo principale del competence center dovrebbe essere quello di rendere più semplice e favorire la costruzione della logistica: aggregare, selezionare, costruire reti e dirigere i flussi in entrata e in uscita dall’hub nella logica di supply

chain e value chain orizzontali diffuse e senza confini geografici o fisici. In questo

modo, si concorre a incentivare valore in un settore consentendone l’evoluzione verso l’Industria 4.0. Innanzitutto, è fondamentale mappare ciò che è già esistente

(40)

poiché può essere utile per la costruzione dell’hub della singola area / tematica di specializzazione (ad esempio un Human Technopole, un polo tecnologico, un centro di eccellenza, un parco scientifico e tecnologico, un ITS, ecc.). Dopodiché, tra le attività ordinarie è importante considerare quelle che riguardano la messa in contatto (nonché l’agevolazione) dell’incontro tra domanda e offerta di vari fattori quali: competenze, finanziamenti, lavoratori specializzati, filiere, ricercatori, ecc. Ciò avviene sia mediante reti di ricerca e di sviluppo per la messa in pratica di nuove tecnologie sia attraverso reti di aiuto concreto allo sviluppo di nuovi processi e di nuovi prodotti.

Le università hanno un duplice ruolo che consiste non solo nella formazione dei lavoratori in modo che abbiano le competenze richieste dalle imprese e dell’hub, ma anche nel supporto alle imprese nell’innovazione di processi e prodotti. A questo ruolo concorrono anche i centri di ricerca e le start up di ideazione e di sviluppo. D’altra parte, le agenzie per il lavoro hanno un ruolo altrettanto importante, quale quello di favorire l’aggregazione delle risorse umane (o competenze necessarie) sia per quanto riguarda la riqualificazione dei lavoratori sia per quanto compete l’individuazione di lavoratori con le competenze richieste per ogni specifico progetto messo in campo.

La formazione è uno degli obiettivi principali. Essa serve al fine di creare e investire sulla verticalizzazione delle competenze digitali e, in aggiunta, anche sulle competenze trasversali. In questo modo consente ai giovani l’occupabilità e, quindi, anche la possibilità di lavorare in contesti di grande interesse per la presenza di

(41)

processi innovativi. La formazione consente, inoltre, al personale già impiegato di riqualificarsi adattandosi alle nuove tecnologie.49

Sostanzialmente, quindi, un competence center può essere considerato un equivalente progettuale e relazionale di quello che è la tecnologia necessaria per l’evoluzione dell’Industria 4.0. In particolare, un competence center si può definire un facilitatore e non un esecutore o un tavolo decisionale composito.

3.

Riflessione sull’evoluzione organizzativa

nell’industria 4.0

Le diverse rivoluzioni industriali sono state caratterizzate dalla radicale modifica dell’organizzazione del lavoro. La Prima, in particolare, è stata caratterizzata dal prolungamento dei tempi di lavoro nelle manifatture “Manchesteriane”50. La

Seconda, invece, dall intensificazione dei ritmi di lavoro nella fabbrica fordista, dal taylorismo e dalla catena di montaggio. La Terza Rivoluzione dalla diffusione di internet e dal lavoro collaborativo e connesso tipico delle comunità virtuali della Rete

49 Contini B., Digital Innovation Hub, cosa sono e che ruolo hanno in Industria 4.0, 2018

50 Modello Manchesteriano: modello classico sviluppato durante la rivoluzione industriale

inglese,basato su una auto propulsione dal basso si una industrializzazione di una economia. è la società stessa che si attiva in modo naturale per svilupparsi in senso industriale

(42)

o delle comunità aziendali, seguendo il modello toyotista. Per quanto concerne la Quarta, ancora non si sa nulla.

Ci troviamo, quindi, a fronteggiare un processo lungo (calcolato in 10-15 anni) e con una quantità elevata di ostacoli. L’innovazione tecnologica è un’occasione che spesso si caratterizza per il suo fine, quale: liberare il lavoro dalle mansioni più ripetitive e pesanti mettendo al centro compiti più complessi e creativi. Inoltre, è determinante nella spinta a l'intensificazione delle prestazioni. Esistono delle problematiche aggiuntive legate alla raccolta ed all’elaborazione dei dati , poiché questi sono sempre più fondamentali per risolvere problemi e sviluppare le varie attività nei sistemi di produzione connessi.

Alla misurazione della produttività dei macchinari e del lavoro, diventa naturale misurare anche la produttività dei dati raccolti . Perché questo sia possibile, sono necessarie nuove figure professionali: i data scientists. Questi mirano alla centralizzazione delle conoscenze nei loro uffici , abbandonando il visual

management toyotista. In questo modo viene riproposta l’uscita dal lean verso un

neo-taylorismo cibernetico, dominato dagli algoritmi . Si ha una sorta di nuova one

best way, definita così perché coloro che sono capaci di modellarli e controllarli li

mostrano come le soluzioni più efficienti, più oggettive e più rapide. Questi cambiamenti vengono risolti dalle scelte politiche e sociali più che dalle tecnologie. Ci sarà una situazione diversa se i programmi di “Industria 4.0 “ si svilupperanno in un contesto che disconosce ruolo al sindacato o potrebbe riconoscerlo come struttura aziendale ( qui si ritrova la ragione fondamentale della guerra scatenata alla

(43)

contrattazione nazionale). Se, nell’eventualità, ci sarà riconoscimento del suo ruolo dovrà esserlo come interlocutore propositivo sui temi inerenti all’organizzazione del lavoro e dello sviluppo. Ad oggi è diffusa la prima tendenza, ovvero il toyotismo, lean o WCM, che consiste in un sistema di produzione caratterizzato da elevata intensità di coinvolgimento e da bassa conflittualità . E’ fondamentale, infatti, che l’azienda sia una comunità di “collaboratori”, alla base della quale deve svilupparsi un forte senso di appartenenza basata sullo scambio tra senso del dovere e responsabilità con garanzie di impiego e welfare aziendale. Quello appena descritto è il punto di partenza dei documenti di intenzioni e bilanci sociali di varie imprese. Le imprese che sfruttano queste caratteristiche sono, in particolare, quelle che operano nelle reti della globalizzazione. Ciò come espressione di una cultura capace di celare l’esistenza di una relazione di tipo gerarchico tra il datore di lavoro e i lavoratori e, quindi, di negare ruolo a conflitto e contrattazione.51

In aggiunta, ai dipendenti viene insegnato come valutare il miglior posto in cui lavorare. Ciò viene eseguito con strumenti di autovalutazione come, per esempio,

Great Place Work o About Your Office, che permettono ai dipendenti di imparare a

valutare autonomamente il salario, la carriera, l’ambiente, la meritocrazia, la formazione. In questo modo si fortifica l’idea secondo la quale l’unica strada sia la contrattazione individuale e che sia l'azienda “giusta” a prendersi cura del benessere del lavoratore in cambio della sua creatività. Questa è la cultura caratteristica delle

51 Mario Sai, “Industria 4.0: innovazione digitale e organizzazione del lavoro”, In “Quaderni di

(44)

imprese innovative: da Apple a Google e da Facebook a Linkedin. Qui, infatti, lo spirito comunitario è caratterizzato anche dal gioco e dal tempo libero.

D’altra parte, i lavoratori devono interfacciarsi con dei sistemi di valutazione, quali ad esempio: colloqui di feedback e verifiche generali, gestiti direttamente dal management. L’intervento unilaterale aziendale, inoltre, cresce attraverso la formazione, la professionalità, i premi e i benefits aziendali.

(45)

Capitolo 3: Le varie forme di aggregazioni di

imprese tra il pubblico e il privato

1. I legami di una rete possono essere di diverso tipo

Un fenomeno che si diffonde nel mondo industriale è la collaborazione tra imprese e le pubbliche amministrazioni.

Come precedentemente sottolineato, è importante ricordare, nelle prime fasi di formazione di un network, il modo in cui le imprese reagiscono alle sollecitazioni esogene (come le incertezze di mercato) ed endogene (ad esempio le condizioni strutturali di un’impresa) e le ragioni che seguono per la creazione della stessa impresa. Le avversità di mercato ambientali e l’andamento dell’economia sono fondamentali per la realizzazione di solide relazioni tra unità.52

Infatti, lo scopo di questo capitolo è quello di analizzare quali sono i diversi tipi di relazione che si possono sviluppare tra le varie imprese e in che modo è possibile esaminarli come una rete.

52 Barney J.B, Hansen M.H “trustworthiness as a source of competitive advantage”,

(46)

2. Tipologie di rete

Si possono classificare le aggregazioni sulla base della diversa qualità dei vincoli che si possono stabilire. In particolare, distinguiamo:

● i rapporti formali, quali ad esempio le relazioni di natura commerciale e di natura tecnico produttiva delle subforniture (es. Franchising, subfornitura); ● i rapporti contrattuali, che consistono in rapporti di collaborazione che spesso si

concentrano sull'ampliamento delle quote di mercato (es. Consorzi, ATI, Geie, ecc.);

● i rapporti patrimoniali, caratterizzati dalla presenza di partecipazioni delle diverse aziende (joint venture, holding company, ecc.) all’interno del capitale. E’ possibile classificare le diverse tipologie di network sulla base delle varie motivazioni che possono spingere le imprese a decidere di creare delle reti, ma anche sulla base dei vantaggi che vorrebbero ottenere. Una prima classificazione permette di distinguere le reti di imprese formali e le reti di impresa non formali. La distinzione si basa sul grado di formalizzazione del rapporto che si instaura tra le varie imprese facenti parte della rete. Ad esempio, esistono diverse imprese che danno inizio a collaborazioni con altre imprese senza la sottoscrizione di alcun contratto o, addirittura, senza stilare un vero e proprio programma di rete. D’altra parte, esistono molti casi in cui le collaborazioni tra le imprese vengono formalizzate mediante la sottoscrizione di contratti. Questi prevedono la regolazione dei diritti e dei doveri dei vari soggetti che partecipano alla collaborazione e, inoltre, i contratti servono per la stesura degli obiettivi seguendo un programma di rete.

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