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Analisi continua e discreta di dati rilassometrici di spin nucleare in fase solida

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Academic year: 2021

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Indice

1 Introduzione 9

1.1 Rilassamento esponenziale . . . 9

1.2 Problemi ben posti e mal posti . . . 12

1.3 Limitazioni dell’analisi esponenziale . . . 13

1.4 Minimi quadrati lineari e non lineari . . . 15

1.5 Smoothing . . . 16

1.6 Regolarizzazione di Tikhonov . . . 18

1.7 Altre grandezze utilizzate . . . 20

1.7.1 Momenti della distribuzione . . . 20

1.8 Inversioni in 2D . . . 22

2 Cenni di Risonanza Magnetica Nucleare 25 2.1 Principi base . . . 25

2.1.1 Modello vettoriale . . . 26

2.1.2 Approccio quanto-meccanico . . . 29

2.2 Solid State NMR . . . 30

2.2.1 Interazioni nucleari interne . . . 31

2.2.2 Differenze tra solidi e liquidi . . . 33

2.2.3 Esperimenti in SSNMR . . . 33

2.3 Il rilassamento in NMR . . . 34

2.3.1 Rilassamento spin-reticolo - T1 . . . 34

2.3.2 Rilassamento spin-spin - T2 . . . 35

2.3.3 Rilassamento spin-reticolo nel sistema di riferimento rotante - T1ρ . . . 36

(2)

2.4 Cross Polarization . . . 37

2.5 Sequenze per la misura di tempi di rilassamento . . . 38

2.5.1 Tempo di Spin Lock Variabile per misure di T1ρ 1H . . . 38

2.5.2 Tempo di Spin Lock Variabile per misure di T1ρ su nuclei rari 38 2.5.3 Solid Echo . . . 39

2.6 Spin Diffusion . . . 40

2.7 Studio delle proprietà dinamiche . . . 41

2.8 Population Weighted Rate Average - PWRA . . . 42

3 Descrizione software 47 3.1 CONTIN . . . 47

3.1.1 Specifiche Programma . . . 47

3.1.2 Parametri di input . . . 49

3.1.3 Parametri di output e selezione del parametro α . . . 50

3.2 Descrizione DISCRETE . . . 52 3.2.1 Parametri di input . . . 53 3.2.2 Parametri di output . . . 53 3.3 Descrizione FIDAN . . . 53 3.3.1 Analisi di FID . . . 54 3.3.2 Programma . . . 57

4 Simulazione dati di decadimento 59 4.1 Natura dei dati simulati . . . 59

4.2 Misure CONTIN - griglia e spaziatura punti . . . 61

4.3 Simulazione dati di decadimento T1ρ . . . 72

4.3.1 Caratteristiche dei dati da simulare . . . 73

4.4 Analisi T1ρ . . . 74

4.4.1 CONTIN - Analisi delle larghezze di riga . . . 74

4.4.2 Simulazioni di decadimenti biesponenziali . . . 80

4.4.3 Simulazioni PWRA . . . 90

4.5 Simulazione dati di decadimento T2. . . 97

(3)

INDICE 3

5 Applicazioni a dati sperimentali 107

5.1 PLA . . . 107

6 Conclusioni 115

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(5)

Introduzione

La Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) è senz’altro una delle tecniche più im-portanti per lo studio della dinamica molecolare sia in fasi isotrope che anisotrope (cristalli liquidi e soft matter in genere, solidi). Infatti, essa combina la possibilità di studiare moti su un intervallo di frequenze caratteristiche molto ampio (dagli Hz ai GHz), con un livello di informazioni estremamente dettagliato sui moti stessi. Non solo l’NMR può distinguere ed identificare i vari processi dinamici che hanno luogo a livello molecolare (riorientazioni dell’intera molecola), sub-molecolare (moti interconformazionali di frammenti molecolari) o supra-molecolare (moti di addotti, complessi o moti collettivi), ma per ciascuno di essi è in grado di determinarne la geometria (distinguendo ad esempio rotazioni continue da flip tra conformazioni) ed i parametri caratteristici (tempi di correlazione, energie di attivazione, etc.). Nell’ambito dello studio della dinamica mediante NMR una grande importanza viene ricoperta dall’analisi dei vari tipi di tempi di rilassamento: spin-reticolo (T1),

spin-spin (T2) e spin-reticolo nel sistema di riferimento rotante (T1ρ ). Limitando

la discussione a sistemi solidi, che saranno l’oggetto principale di questa tesi, lo studio dei tempi di rilassamento permette, mediante l’utilizzo di opportuni modelli teorici o semi-empirici, di studiare in dettaglio il comportamento dinamico di un grande range di diversi materiali, che vanno dalle piccole molecole organiche utiliz-zate come farmaci, passando per polimeri e biopolimeri, fino ad arrivare a materiali compositi. La misura di tempi di rilassamento avviene spesso attraverso la registra-zione di spettri (o Free Induction Decays, FID) in funregistra-zione di un tempo variabile, opportunamente inserito nella sequenza di impulsi. Il trend dell’intensità del se-gnale (o del FID) in funzione del tempo variabile è tipicamente esponenziale, e da esso si possono ricavare i tempi di rilassamento. A questa procedura fa eccezione la

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misura di T2 a stato solido, spesso effettuata per analisi diretta del FID, acquisito

mediante sequenza solid echo in condizioni di risonanza. In ogni caso, l’analisi di dati rilassometrici è generalmente condotta utilizzando procedure di fitting come i minimi quadrati non lineari, che fanno uso di un modello matematico discreto. Un approccio diverso, meno diffuso, al problema dell’estrazione dei dati dalle misure di rilassamento si ha utilizzando una procedura di inversione continua, che è stata applicata in passato all’analisi di dati rilassometrici NMR, soprattutto T1e T2in

campioni allo stato liquido o su fasi adsorbite in sistemi porosi e, più raramente, su materiali solidi. Lo scopo della presente tesi è quello di studiare l’applicabilità di un metodo continuo per l’analisi di dati rilassometrici a stato solido e, in particolare, di dati relativi al rilassamento spin-reticolo nel sistema di riferimento rotante (T1ρ )

per nuclei abbondanti come 1H . In questo caso infatti, i dati rilassometrici sono

affetti da un fenomeno peculiare dell’NMR a stato solido (SSNMR) che prende il nome di spin diffusion, e che tende a cancellare le differenze tra i singoli tempi di rilassamento spin-reticolo per i diversi nuclei presenti in un campione, mediandoli ad un unico valore. Laddove questo effetto di media sia incompleto (che è quello che normalmente succede per i T1ρ protonici), il trend rilassometrico è dato da un

decadimento esponenziale complesso (multi-esponenziale secondo il modello discre-to, o una distribuzione di T1ρ, secondo il modello continuo), il cui dettaglio non

presenta informazioni dinamiche. L’informazione dinamica è però trattenuta nella media pesata delle velocità di rilassamento (Population Weighted Rate Average, PWRA), che non è affetta dalla spin diffusion.

Per questo motivo, l’obiettivo principale che ci siamo posti riguardava la verifi-ca del miglior metodo di analisi dei dati rilassometrici al fine dell’ottenimento della PWRA, in quanto, al meglio della nostra conoscenza, in letteratura non sono anco-ra stati riportati studi che utilizzano analisi continue per questo scopo. Si è quindi voluto ottimizzare un metodo di inversione continuo per trattare questa categoria di dati rilassometrici ed i risultati sono stati messi in confronto con quelli ottenuti col metodo discreto, metodo più comunemente usato per trattare questo tipo di de-cadimenti. Tale ottimizzazione è stata effettuata ricorrendo a numerosi set di dati simulati (con e senza aggiunta di rumore), aventi tra loro caratteristiche diverse e atte a riprodurre le varie situazioni sperimentali comuni. I vari metodi impiegati,

(7)

INDICE 7 continui e discreti, sono poi stati applicati a dati sperimentali, che riguardavano in particolare misure di T1ρ protonico per lo studio dei moti molecolari coinvolti nel

processo di transizione vetrosa del poli-acido lattico (PLA). E’ stata anche effettua-ta un’analisi preliminare ateffettua-ta a determinare il possibile utilizzo del metodo continuo per la determinazione dei dati rilassometrici spin-spin da analisi di FID ottenuto mediante tecnica di solid echo applicata in risonanza come metodo alternativo alla più comune analisi discreta mediante procedure di fitting non lineare.

La tesi è organizzata in cinque capitoli. Il primo contiene un’introduzione al ri-lassamento esponenziale ed ai metodi continui che possono essere applicati alla sua analisi. Il secondo capitolo fornisce alcuni concetti di base dell’NMR, con cenni alle peculiarità dell’NMR a stato solido e, in particolare, le nozioni ed i concetti necessari alla comprensione dei dati rilassometrici oggetto di studio nella presente tesi. Il terzo capitolo è dedicato alla descrizione dei vari pacchetti software utilizzati (e in parte sviluppati) nel corso della tesi per le analisi di tipo continuo e discreto. Nel quarto e nel quinto capitolo sono riportati i risultati ottenuti applicando i me-todi discreti e continui all’analisi di dati rilassometrici, rispettivamente, simulati e sperimentali.

(8)
(9)

Capitolo 1

Introduzione all’analisi

esponenziale

In questo capitolo verranno descritti i principali concetti riguardanti l’analisi espo-nenziale, indispensabili per la comprensione delle meccaniche che stanno alla base dei metodi usati durante questo lavoro di tesi. Lo scopo è quello di introdurre il lettore alla natura e alle problematiche dell’analisi esponenziale descrivendo i prin-cipali concetti necessari alla comprensione. L’analisi esponenziale rientra in una più grande categoria di problemi conosciuti come problemi inversi, cioè quel tipo di problemi che nascono dalla necessità di ottenere, a partire da dati sperimentali (nel nostro caso dati indiretti di rilassamento NMR) informazioni su un sistema. In questa tesi il problema di interesse è quello di ottenere i migliori valori dei parametri del modello, cioè il numero, i pesi relativi e le costanti di tempo degli esponenziali che descrivono il problema fisico di interesse.

1.1

Rilassamento esponenziale

Una grande quantità di fenomeni fisici, come ad esempio decadimenti radioattivi, di fluorescenza o lo stesso rilassamento NMR al quale siamo interessati sono descritti da equazioni differenziali del prim’ordine rispetto alla variabile temporale. L’uso degli approcci continui mediante inversione di dati esponenziali sono comuni in molti campi scientifici, tra cui si citano: studio di rilassamenti radioattivi o di

(10)

fluorescenza, determinazione di proprietà reologiche di polimeri1, studio di fenomeni

elettrochimici. Sia f(t) una data funzione del tempo, abbiamo a che fare con un decadimento esponenziale se la funzione presenta un comportamento del tipo

df (t)

dt = −λf (t) . (1.1)

La soluzione di questa equazione differenziale è rappresentata infatti da un decadi-mento monoesponenziale descritto da una funzione del tipo

f (t) = Ae−λt+ B (1.2)

dove A rappresenta l’ampiezza del decadimento, λ è la costante di decadimento che corrisponde all’inverso della costante di tempo caratteristica, infine B è una costan-te, chiamata costante di offset o più semplicemente offset, che descrive la presenza di una linea di base. Tuttavia sperimentalmente non capita spesso di osservare decadimenti monoesponenziali, infatti in un generico sistema possono essere pre-senti più componenti esponenziali, ognuna descritta da un set di parametri diversi. La combinazione delle singole risposte monoesponenziali genererà un andamento multiesponenziale f(t) (di n componenti)

f (t) =

n

X

i=1

Aie−λit+ B . (1.3)

Lo scopo dell’analisi esponenziale è quello di trovare, a partire dai dati di f(t), le ampiezze, le costanti di tempo e il numero n di esponenziali che descrivono adeguatamente il sistema. Il problema del rilassamento esponenziale è da lungo tempo oggetto di numerosi studi da parte della comunità scientifica. Già nel 1795 R. Prony2 derivò un metodo algebrico per separare i diversi contributi di pochi

esponenziali aventi ampiezze simili ma diverse costanti di decadimento. Questo metodo non riusciva a riconoscere la presenza di diversi esponenziali con costanti di decadimento simili. Questa rappresenta una limitazione per questo tipo di analisi ed è presente anche in altri metodi sviluppati più recentemente3, 4, 5, 6.

Il caso più generale di funzione di decadimento f(t) studiabile mediante analisi esponenziale è quello in cui la funzione non è data da una combinazione lineare ma da una distribuzione continua di esponenziali

f (t) = Z ∞

0

(11)

1.1. RILASSAMENTO ESPONENZIALE 11

Figura 1.1: Esempi di distribuzioni di costanti di decadimento, (a) caso monoesponenziale, (b) caso triesponenziale, (c) distribuzione continua.

La funzione e−λtè il kernel dell’integrale, che può essere anche scritto come K(λ, t),

invece g(λ) è una funzione di distribuzione delle costanti di decadimento e viene anche chiamata funzione spettrale. Questa infatti contiene tutte le informazioni riguardanti i tempi di rilassamento caratteristici del sistema in analisi. Il sistema multiesponenziale rappresentato nell’Equazione (1.3) può anche essere descritto uti-lizzando una forma continua piuttosto che quella discreta. In quest’ultimo caso la funzione spettrale assumerebbe la forma

g(λ) =

n

X

i=1

Aiδ[λ − λi] . (1.5)

La Figura 1.1 rappresenta alcune possibili forme della funzione spettrale g(λ). L’equazione (1.4) è nota come equazione integrale di Laplace. In linea di princi-pio le distribuzioni g(λ) possono essere estratte dalla funzione f(t) attraverso una trasformazione integrale chiamata trasformata inversa di Laplace7 (in letteratura

spesso rappresentata dal simbolo L−1)

g(λ) =L−1[f (t)] = 1 2πi

Z c+i∞

c−i∞

eλtf (t) dt . (1.6)

Nella precedente equazione, nota anche come integrale di Bromwich, c è una co-stante reale. Se di f(t) è nota la forma analitica allora la trasformata può essere facilmente svolta. Nella maggior parte dei casi però f(t) è nota da misure speri-mentali quindi la sua forma analitica non è conosciuta. Infatti in questo caso la componente immaginaria di f(t) non è accessibile e quindi non si può effettuare

(12)

l’integrazione sul piano complesso necessaria per risolvere la precedente equazione. Inoltre le misure sperimentali sono affette dalla presenza del rumore,k, che si va a

sommare a f(t) in maniera totalmente casuale. Anche la presenza del rumore ha un forte impatto sulla possibilità di accedere alle informazioni contenute in g(λ), il suo effetto verrà descritto nella sezione 1.3. Chiameremo transiente o transiente sperimentaleuna funzione fexp(t)nella forma

fexp(t) = f (t) + k (1.7)

in cui k rappresenta il rumore. L’unico modo per poter determinare g(λ) rimane

quello di risolvere l’equazione (1.4) dove f(t) = fexp(t). Questa equazione fa parte

di una più grande categoria di equazioni chiamate equazioni integrali di Fredholm del primo tipo. In letteratura è presente molta confusione sulla terminologia dei metodi numerici riguardanti la risoluzione di questo tipo di problemi; infatti la procedura per la risoluzione di un integrale di Fredholm del primo tipo viene spesso erronea-mente chiamata “trasformata inversa di Laplace”. L’inversione di una trasformata di Laplace a valori reali è un particolare tipo di integrale di Fredholm che però non si applica direttamente ai dati sperimentali poiché porterebbe a distribuzioni spettrali g(λ) con valori immaginari o negativi, soluzioni che sarebbero fisicamente inaccettabili. Il kernel di queste due trasformate integrali differisce per la natura di λ, nell’equazione (1.4) λ ∈ R mentre nell’equazione (1.6) λ ∈ C. Gli integrali di Fredholm sono inoltre noti per essere degli esempi di problemi mal posti8, 9.

1.2

Problemi ben posti e mal posti

La definizione di problema ben posto (well-posed problem) si deve ad J. Hada-mard10. Un problema è ben posto se possiede le seguenti proprietà:

• Esiste una soluzione • Tale soluzione è unica

• La soluzione varia in maniera continua al variare delle condizioni iniziali La terza condizione è necessaria affinché il problema sia risolvibile per piccole va-riazioni stocastiche dei dati iniziali. Problemi ben posti sono noti dalla letteratura:

(13)

1.3. LIMITAZIONI DELL’ANALISI ESPONENZIALE 13 si cita come esempio la risoluzione dell’equazione del calore partendo da specifi-che condizioni iniziali. Problemi specifi-che non hanno le proprietà sopracitate sono detti problemi mal posti (ill-posed), nel senso che una soluzione al problema può non esistere, può non essere unica e/o può non dipendere in maniera continua dai dati in ingresso. Ad esempio un problema mal posto è la determinazione della distri-buzione di temperatura usando l’equazione di diffusione del calore a partire dai valori della distribuzione. Le soluzioni ottenibili sono altamente sensibili a piccole variazioni nei dati iniziali. La natura mal posta dei problemi può essere dovuta a incertezze di misure sperimentali, come precedentemente accennato, oppure a limi-tazioni nella capacità di discretizzazione di modelli continui. Queste ultime sono cause classificabili come instabilità numeriche; anche problemi ben posti possono essere sensibili a tale tipo di instabilità, ma si parlerà in questo caso di problemi mal condizionati (ill-conditioned).

Un esempio significativo di problema mal condizionato è il calcolo delle radici di un polinomio a partire dalla sequenza dei suoi coefficienti attraverso il metodo di Newton-Raphson11. f (x) = 20 Y i=1 (x − i) . (1.8)

Come noto le radici di questo polinomio sono i numeri naturali da 1 a 20, tuttavia se si effettua il calcolo attraverso il metodo di Newton-Raphson si possono otte-nere soluzioni complesse a causa della natura del problema in analisi. Mentre un problema ben posto può essere risolto attraverso un algoritmo numerico robusto, i problemi mal posti o mal condizionati necessitano di un trattamento numerico atto a stabilizzare la soluzione.

1.3

Limitazioni dell’analisi esponenziale

Consideriamo l’equazione (1.4) ed effettuiamo la trasformata di Fourier di ambo i membri12. Il risultato di tale operazione è

e

f (ω) =eg(ω) ∗ eK(λ, ω) (1.9)

dove il simbolo ∗ rappresenta l’operazione di convoluzione, le funzioni ef (ω) eeg(ω) sono rispettivamente le trasformate di Fourier del transiente e della funzione spet-trale e la funzioneK(λ, ω)e è la trasformata di Fourier del kernel di Laplace (come

(14)

visto precedentemente λ ∈ R) per la quale vale la relazione e

K(λ, ω) ∝ 1

ω2+ λ2. (1.10)

La funzione K(λ, ω)e tende ad annullarsi per ω molto elevate, quindi frequenze oltre un valore di soglia, che chiameremo ω0, vengono eliminate da ef (ω) a causa

dell’annullamento dell’operatore integrale. Ad esempio se eh(ω) è una funzione che ha valori diversi da zero solo per ω > ω0allora si avrà

e

K(λ, ω) ∗ eh(ω) = 0 . (1.11)

La funzione eh(ω) può quindi essere combinata alla g(ω)e senza modificare ef (ω), come mostrato nell’Equazione 1.12

e

f (ω) = [eg(ω) + eh(ω) ] ∗ eK(λ, ω)

= eg(ω) ∗ eK(λ, ω) + eh(ω) ∗ eK(λ, ω) = eg(ω) ∗ eK(λ, ω) .

(1.12)

Quindi le frequenze oltre il valore di soglia ω0 si comportano come componenti

quasi dappertutto nulle rispetto all’operatore di Laplace e non posseggono alcun contenuto informativo. In altre parole ogni combinazione lineare traeg(ω)e qualsiasi eh(ω) rappresenta una soluzione per l’equazione (1.9). In maniera analoga anche la combinazione delle loro trasformate inverse sarà soluzione dell’equazione (1.4). Quindi varrà l’equazione

f (t) = Z ∞

0

e−λtg(λ) + h(λ)dλ . (1.13)

Chiameremo Ω l’insieme di tutte le infinite funzioni che risolvono l’equazione (1.13). L’operatore kernel di Laplace come si è visto funge da modulatore per la funzione g(λ), quindi la sua ricomposizione a partire dai valori sperimentali di fexp(t)porterà

a deviazioni ed errori. Questa considerazione è vera a prescindere dalla natura ben o mal posta del problema, in quanto dipende solo dalla natura della trasformata e del suo kernel. La particolarità delle funzioni che appartengono ad Ω è che esse possono differire tantissimo tra loro, pur essendo tutte in grado di risolvere l’equazione (1.13). Si dice che gli errori sulle soluzioni g(λ) non sono correlati tra loro. Lo scopo finale di molti metodi per la risoluzione dell’equazione integrale di Laplace (1.4) è quello di riuscire ad ottenere la famiglia Ω di funzioni g(λ) compatibili con i

(15)

1.4. MINIMI QUADRATI LINEARI E NON LINEARI 15 dati sperimentali in entrata fexp(t)e scegliere quella più plausibile in base al livello

di rumore kdel transiente. La scelta della funzione g(λ) viene effettuata utilizzando

vari principi, alcuni di essi imposti a posteriori attraverso le analisi delle possibili soluzioni ottenute, altri a priori imponendo alcune condizioni ai dati in ingresso; tale processo viene comunemente chiamato regolarizzazione.

1.4

Minimi quadrati lineari e non lineari

Prima di descrivere il processo di regolarizzazione è necessario ricordare brevemente il funzionamento del metodo dei minimi quadrati, nello specifico la sua applicazio-ne ai casi non liapplicazio-neari. I minimi quadrati non liapplicazio-neari sono un’estensioapplicazio-ne dei minimi quadrati ordinari: si tratta di una procedura di fitting in cui si cerca una funzione f (t) dato un set di punti {(t1, f1), (t2, f2), · · · , (tn, fn)}. Si chiama fitting non

li-neare un fitting in cui la funzione non è lineare rispetto ai parametri. Ad esempio la funzione

f (t) = a0+ a1ln(t) +

a2e−(t−1)

2

t3 (1.14)

è non lineare rispetto a t ma lo è rispetto ai parametri ai. Le funzioni

esponen-ziali sono esempi di funzioni che richiedono una procedura di fitting non lineare. L’utilizzo di un modello non lineare può essere evitato se si riesce a linearizzare i dati in entrata. Nel caso in cui questo non fosse possibile si procede con un proces-so di minimizzazione. Si trova la miglior funzione di fit avente la forma f0(tj, ~ai)

minimizzando il funzionale χ2 χ2= N X j=1 h fexp(tj) − f0(tj, ~ai) i2 . (1.15)

Nell’analisi esponenziale il modello per f0(tj, ~ai)è

f0(tj, ~ai) = n

X

i=1

Aie−λit+ B . (1.16)

L’algoritmo richiede quindi la previa conoscenza del numero di esponenziali n che caratterizzano i transienti sperimentali. La ricerca dei parametri ottimizzati {ai}

è una procedura iterativa che può essere effettuata con uno dei tanti metodi di ottimizzazione (search line, Newton-Raphson, gradienti coniugati, etc)11.

(16)

una funzione quadratica dei parametri, per quelli non lineari spesso non è possibile ottenere una forma analitica per ∇f0. Questo comporta che l’equazione ∇f0= 0

può essere risolta per più di un singolo set di valori. In altre parole f0presenta una

serie di minimi locali. Per poter ottenere un risultato accettabile è necessario che i parametri iniziali del fitting siano vicini ad un minimo altrimenti il metodo può non arrivare a convergenza. È importante sottolineare che non c’è alcuna sicurezza che la soluzione trovata attraverso una minimizzazione ai minimi quadrati non lineari corrisponda alla miglior soluzione possibile. Infatti questa soluzione è dipendente dal rumore, l’algoritmo dei minimi quadrati seleziona una delle possibili soluzioni dal set di soluzioni Ω compatibili con in dati in entrata. Poiché gli elementi di questo set possono differire tra loro in maniera arbitraria non c’è alcuna garanzia che essa rappresenti una funzione che descrive accuratamente il sistema. Un altro punto da sottolineare è che il metodo dei minimi quadrati richiede un modello di funzione per il fitting, tuttavia diversi modelli possono portare a fitting molto simili con uno stesso livello di confidenza. Prendiamo ad esempio la Figura 1.213, in cui è

rappresentato un set di 24 punti (rappresentati dai pallini neri) riprodotti con due diversi modelli di fitting. La linea continua rappresenta un fitting triesponenziale mentre la linea tratteggiata (non visibile perchè sotto la linea continua) rappresenta un fitting biesponenziale. Per poter paragonare meglio i due fitting si riporta il gra-fico dei residui in Figura 1.3. Come si può vedere i due diversi modelli si adattano molto bene ai dati e ciò mostra come un buon risultato possa essere indipendente dal modello di fitting scelto. Tale effetto è dovuto alla natura non lineare del fit-ting esponenziale. Gli esponenziali non sono ortonormali tra loro, quindi diverse combinazioni di essi possono essere modificate per adattarsi a qualsiasi set di dati in entrata. Questo porta alla conclusione che una soluzione univoca non può essere determinata e ad uno stesso livello di confidenza possono esistere modelli diversi tra loro che si adattano bene ai dati in entrata.

1.5

Smoothing

In statistica lo smoothing consiste nell’applicazione di una funzione di filtro il cui scopo è evidenziare le componenti significative di un set di dati attenuando l’effetto del rumore. Questo processo viene spesso usato come pretrattamento dei dati. Un

(17)

1.5. SMOOTHING 17

Figura 1.2: Rappresentazione di due diversi fitting non lineari su uno stesso set di dati, linea continua (triesponenziale) e tratteggiata (biesponenziale) (non visibile) non sono distinguibili tra loro13.

Figura 1.3: Grafico dei residui per i due fitting rappresentati in Figura 1.213, i due

(18)

esempio semplice di processo di smoothing è la moving average, in cui ogni punto di una serie di dati viene mediato con tutti i precedenti. L’effetto totale di questo processo è appunto quello di ”smussare” i dati, attenuando eventuali deviazioni da un andamento regolare. Lo smoothing ha alcune proprietà che lo differenziano dal fitting

• Lo smoothing non richiede una funzione come modello, contrariamente al fitting,

• L’obiettivo dello smoothing è quello di fornire un’idea delle variazioni lente dei valori, trascurando la correlazione tra dati vicini.

• I metodi di smoothing hanno spesso un parametro per controllare l’entità dell’ammorbidimento dei dati analizzati.

In analisi esponenziale si può ricorrere ad un processo di smoothing per migliora-re il rapporto segnale-rumomigliora-re dei dati in ingmigliora-resso, facendo attenzione però a non modificare la natura esponenziale dei transienti.

1.6

Regolarizzazione di Tikhonov

La regolarizzazione di Tikhonov è un metodo per la risoluzione di equazioni inte-grali di Fredholm del primo tipo in cui una soluzione approssimata viene trovata minimizzando il seguente funzionale

Mαg(λ) = Z b a K(λ, t)g(λ) dλ − fexp(t) − α ∆g(λ) (1.17)

dove k . k è la norma, ∆ è una funzione di regolarizzazione ed α è il parametro che regola la sua intensità. Le funzioni di smoothing che possono essere usate sono varie14; tra le più comuni usate per questo algoritmo troviamo

∆g(λ) = Z b a  dkg(λ) dλk  dλ , (1.18a) ∆g(λ) = K(t, λ) g(λ) 2 , (1.18b)

dove k è un numero intero e a e b sono gli estremi della funzione g(λ). In base alla scelta di k nella funzione di regolarizzazione cambia l’effetto del funzionale Mα.

(19)

1.6. REGOLARIZZAZIONE DI TIKHONOV 19 parametro α. Bassi valori di α rendono l’entità della correzione molto piccola e la minimizzazione avviene utilizzando un funzionale simile a quello dei minimi qua-drati non lineari, in quanto per α piccoli Mα[g(λ)] ≈ χ2. In questo caso i risultati

dell’inversione sono molto sensibili alle componenti del rumore presenti nel tran-siente. Al contrario valori troppo elevati di α possono ammorbidire eccessivamente i dati in entrata e così possono essere perse molte delle informazioni contenute in fexp(t). Durante la regolarizzazione il valore di α viene ottimizzato per ottenere

il miglior compromesso tra lo smoothing e il contenuto informativo originalmente presente all’interno dei dati. L’ottimizzazione può avvenire in diversi modi, tutta-via come norma generale si impone che un buon compromesso si ha quando i due contributi descritti precedentemente sono della stessa entità, quindi

α Ωg(λ) ≈ Z b a K(t, λ)g(λ) dλ − fexp(t) . (1.19)

Uno dei principali fattori limitanti che può ostacolare il buon esito della procedura è la natura dei dati da invertire. Numerosi studi su dati sintetizzati e non hanno mostrato che si raggiungono soluzioni migliori e più stabili se i dati in ingresso sono campionati fino a quando essi risultano inferiori al rapporto segnale rumo-re. Purtroppo questo non è spesso possibile nel caso di una vasta gamma di dati sperimentali, a causa delle condizioni strumentali che non permettono un campio-namento abbastanza ampio. Un altro fattore da tenere in forte considerazione è la spaziatura dei dati nel dominio del tempo, secondo studi effettuati da Ostrowsky15

affinché in un processo di inversione sia possibile recuperare tutte le informazioni da un transiente la spaziatura dei dati deve essere almeno di 1/2 ωm, dove ωm è la

frequenza più elevata presente nello spettro. Questo è chiamato teorema del cam-pionamento, in analogia al teorema del campionamento noto dalla teoria dei segnali di Nyquist-Shannon16. Questi fattori pongono grosse limitazioni alla capacità dei

metodi di produrre soluzioni stabili e soprattutto accettabili. È possibile ovviare parzialmente a questo problema sommando vari transienti per aumentarne il SNR, tuttavia non sempre è possibile aumentare il tempo di acquisizione e si avrà quindi a che fare con decadimenti incompleti. La regolarizzazione di Tikhonov è quindi in grado di selezionare una sola soluzione g(λ) tra quelle presenti nell’insieme Ω, dipen-dentemente dai parametri operativi dell’algoritmo in uso. Attraverso il processo di smoothing si è in grado di scegliere una soluzione g(λ) tra quelle compatibili a quel livello di rumore k; questa soluzione può non avere tutti i dettagli della soluzione

(20)

esatta, ma contiene tutte le informazioni necessarie. La scelta di α effettuata sulla base di descrittori statistici (che variano da algoritmo ad algoritmo) unite con il processo di regolarizzazione fanno si che la probabilità la soluzione ottenuta sia un artefatto sia molto bassa3. Un esempio dell’effetto della regolarizzazione è riportato

in Figura 1.4, in cui sono rappresentate due distribuzioni, ottenute per inversione di un decadimento biesponenziale noised. La distribuzione colorata di rosso è sta-ta ottenusta-ta imponendo un basso valore del parametro α mentre in quella blu il suo valore è stato ottimizzato Si può vedere come la prima distribuzione presenti 3 picchi, descritti da una esigua quantità di punti. Il numero di picchi per que-sta distribuzione è errato, in quanto non avendo ottimizzato α l’effetto del rumore nell’inversione è molto accentuato. Attraverso l’ottimizzazione di α si ottiene una distribuzione più regolare che descrive meglio i parametri del modello caratteristici del decadimento analizzato.

1.7

Altre grandezze utilizzate

Aggiungiamo qui altre informazioni utili a comprendere il funzionamento di software e metodi successivi.

1.7.1

Momenti della distribuzione

Si definisce momento di ordine k di una variabile aleatoria il valore di aspettazione della sua k-esima potenza, secondo l’equazione

Mk =

Z λmax

λmin

λkg(λ) dλ (1.20)

dove λmine λmaxrappresentano anche qui gli estremi della distribuzione. I momenti

della distribuzione assumono un significato fisico se si impone la non negatività della soluzione g(λ). In Figura 1.5 è rappresentato un esempio di distribuzione ottenuta attraverso la procedura di inversione. Si possono osservare due picchi, uno corrispondente ad un decadimento avente costante di decadimento pari a 1 e l’altro avente λ = 10. Se si sostituiscono gli estremi di un picco (ad esempio a e b) con i valori di λmine λmax si possono ottenere i momenti della distribuzione per

quel singolo picco

Mk,i=

Z bi

ai

(21)

1.7. ALTRE GRANDEZZE UTILIZZATE 21

Figura 1.4: Esempio di distribuzione g(λ) ottenuta per inversione di un decadimento biesponenziale in un caso lasciando α non ottimizzato (linea rossa), nell’altro caso ottimizzandolo (linea blu).

(22)

0 2 4 6 8 10 0 1 2 3 4 Λ gH ΛL

Figura 1.5: Esempio di distribuzione g(λ).

dove ai, birappresentano i valori estremi di λ dell’i-esimo picco della distribuzione.

Il momento di ordine zero per ogni singolo picco (M0,i) rappresenta il peso assoluto

di quella componente del sistema e il rapporti M1,i/M0,i corrisponde alle costanti

di decadimento medie λi.

1.8

Inversioni in 2D

La trattazione effettuata finora riguarda metodi per l’inversione di dati di rilassa-mento in una sola dimensione. Esistono tuttavia metodologie che permettono di ottenere dati a partire da esperimenti multidimensionali. In questi casi l’equazione integrale di Laplace per i dati sperimentali ha la forma

f (t, ˜t) = Z ∞ 0 Z ∞ 0 e−λ1te−λ2˜tg(λ 1, λ2) dλ1dλ2. (1.22)

(23)

1.8. INVERSIONI IN 2D 23 Nell’equazione λ1 e λ2 sono gli inversi di due tempi di rilassamento caratteristici

per il sistema (ad esempio nel caso di rilassamenti in risonanza magnetica nucleare si può avere a che fare con T1, T2 o T1ρ); mentre t e ˜t rappresentano due parametri

temporali da cui i due rilassamenti λ1 e λ2 dipendono.

In questo lavoro di tesi non si sono analizzati sistemi attraverso questo tipo di esperimenti in 2D, tuttavia è importante citare questi metodi perché è possibile ottenere risultati più accurati su dati rilassometrici in una sola dimensione tramite l’inserimento di dimensioni aggiuntive. Ad esempio Celik and Co17 hanno

svilup-pato un metodo per ottenere dati su una distribuzione di tempi di rilassamento in una sola dimensione (g(λ) nell’Equazione 1.4) attraverso una proiezione da una distribuzione g(λ1, λ2)ottenuta per inversione di dati acquisiti in due dimensioni,

(24)
(25)

Capitolo 2

Cenni di Risonanza Magnetica

Nucleare

La risonanza magnetica nucleare (NMR) è una tecnica spettroscopica che permette lo studio della materia attraverso l’interazione di questa con un campo magnetico. Le particelle elementari che compongono la materia posseggono, oltre ad una massa e ad una carica, una proprietà intrinseca chiamata spin a cui non possiamo associare alcuna controparte classica. Gli spin generano un momento magnetico in grado di interagire con un campo magnetico esterno; grazie a questa interazione siamo in grado di studiare le proprietà del campione. In questo elaborato non ci soffermeremo su un’approfondita trattazione quantomeccanica di tutte le interazioni che stanno alla base delle misure NMR, in quanto non necessaria per una buona comprensione dei problemi trattati. Si darà una panoramica generale sulle basi della rilassometria NMR.

2.1

Principi base

L’NMR è basato sull’induzione e sull’osservazione di transizioni di spin in presenza di un campo magnetico. Ogni nucleo possiede un momento di spin nucleare totale ~

Ii dovuto alla combinazione degli spin delle particelle elementari che lo

compon-gono. Si descriveranno ora i due principali modelli che possono essere utilizzati 25

(26)

per interpretare il fenomeno NMR, uno attraverso un approccio classico e l’altro attraverso un approccio quantomeccanico.

2.1.1

Modello vettoriale

Descriveremo ora il fenomeno NMR utilizzando un approccio classico. Il momento di spin nucleare genera un momento magnetico ~µi secondo la formula

~

µi = γ ~Ii. (2.1)

Nella precedente equazione γ è il rapporto giromagnetico, una costante di propor-zionalità tra momento magnetico e momento di spin caratteristica per ogni nucleo. Quanto detto vale per un singolo nucleo, sommando su tutti i nuclei presenti nel si-stema otteniamo le corrispondenti grandezze macroscopiche, il vettore ~M chiamato magnetizzazione e il vettore ~I momento angolare di spin totale

~ M =X i ~ µi , (2.2) ~ I =X i ~ Ii. (2.3)

Le due quantità macroscopiche sono legate dalla seguente equazione ~

M = γ ~I . (2.4)

Il vettore magnetizzazione è l’osservabile principale nelle misure NMR. Dalla fisica classica è noto che un momento angolare ~I, a cui è associato un momento magne-tico ~M interagisce con un campo magnetico esterno ~B0 ed è soggetto ad un moto

descritto dalla seguente equazione d ~M

dt = −γ ~M × ~B0. (2.5)

L’equazione descrive un moto di precessione della magnetizzazione lungo l’asse di ~B0

ad una velocità angolare ~ω0= −γ ~B0. Quest’ultima è chiamata frequenza di Larmor.

L’ordine di grandezza di questa frequenza per i nuclei comunemente studiati e per i campi magnetici comunemente impiegati è di circa 100-400 MHz. Nella Figura 2.1 è mostrata la rappresentazione classica del cono di precessione della magnetizzazione, utilizzando la convenzione che il campo magnetico sia orientato lungo l’asse z di laboratorio.

(27)

2.1. PRINCIPI BASE 27

Figura 2.1: Rappresentazione del cono di precessione della magnetizzazione lungo l’asse del campo magnetico.

Effetto dell’impulso di radiofrequenza

Per perturbare la magnetizzazione che all’equilibrio si trova orientata lungo l’asse z ed ottenere quindi un segnale NMR, che risulterà proporzionale alla magnetiz-zazione trasversale (componente della magnetizmagnetiz-zazione che giace sul piano xy) si ricorre ad un impulso di radiofrequenza (RF). Un’onda radio viene generata dallo strumento attraverso delle bobine in modo che la sua direzione di propagazione sia perpendicolare all’asse z. A questa radiazione elettromagnetica è associato un campo magnetico oscillante che è il responsabile dell’interazione con la magnetiz-zazione. L’effetto di questo impulso è quello di ruotare la magnetizzazione di un angolo θ verso il piano xy

θ = B1τ . (2.6)

Il valore di B1 rappresenta l’ampiezza dell’impulso e τ ne rappresenta la durata.

Un impulso a 90◦, come rappresentato in Figura 2.2 porta la magnetizzazione sul

piano xy mentre un impulso a 180◦ inverte la magnetizzazione lungo l’asse z. La

magnetizzazione, una volta portata sul piano xy, è misurabile attraverso l’ apparato strumentale dello spettrometro NMR; delle bobine posizionate attorno al campione convertono la magnetizzazione oscillante in un segnale elettrico in seguito analizzato dal computer. Questo segnale è di natura sinusoidale in quanto la magnetizzazione a seguito dell’impulso viene a trovarsi sul piano xy dove precede attorno all’asse z. Inoltre risulta smorzato perché hanno luogo i fenomeni di rilassamento. Questi fenomeni tendono a far tornare le componenti della magnetizzazione ai loro valori di

(28)

Figura 2.2: Effetto sulla magnetizzazione dell’impulso a 90◦.

Figura 2.3: Semplice esperimento NMR, un impulso a 90◦ seguito dall’acquisizione

del FID.

equilibrio. Il segnale acquisito prende il nome di FID (Free Induction Decay). Il più semplice esperimento NMR consiste nell’applicazione di un impulso a 90◦ seguito

dall’acquisizione del FID, come rappresentato schematicamente in Figura 2.3. Un esempio di FID sperimentale è rappresentato in Figura 2.4. Esperimenti più raffinati vengono realizzati utilizzando sequenze di impulsi più complicate. In realtà il FID è dato da una somma di segnali rappresentati in Figura 2.3 con frequenze di battimento leggermente diverse derivanti da diversi intorni chimici sentiti dai vari nuclei del campione18. Sul FID poi viene effettuata la trasformata di Fourier per

(29)

2.1. PRINCIPI BASE 29

Figura 2.4: Esempio di FID, tipico di esperimenti in soluzione.

2.1.2

Approccio quanto-meccanico

Dal punto di vista quantomeccanico il fenomeno NMR può essere descritto mediante l’introduzione delle funzioni di spin. Nell’approssimazione dell’Hamiltoniano di spin19si effettua una fattorizzazione del contributo elettronico della funzione d’onda

dal contributo di spin e si considera solo quest’ultimo per descrivere il fenomeno NMR. In questa approssimazione la funzione d’onda è autofunzione degli operatori di momento angolare ˆI2 e ˆI

z

ˆ

I2|ψ(~I , mI)i = ~2I(I + 1) |ψ(~I , mI)i , (2.7a)

ˆ

Iz|ψ(~I , mI)i = ~mI|ψ(~I , mI)i . (2.7b)

Le funzioni d’onda descritte sono anche autofunzioni dell’Hamiltoniano di spin del sistema

ˆ

Hspin|ψ(~I , mI)i = Espin|ψ(~I , mI)i . (2.8)

In presenza di un campo magnetico l’Hamiltoniano di spin descrive l’interazione tra il momento magnetico generato dagli spin e il campo magnetico esterno. Questo Hamiltoniano viene anche chiamato Hamiltoniano Zeeman in quanto descrive lo splitting dei livelli di spin degeneri, ma aventi diverso numero quantico di spin mI,

(30)

a seguito dell’applicazione di un campo magnetico. Le energie risultano essere uguali a

EmI= −γ~B0mI. (2.9)

Ad un nucleo avente spin nucleare I sono associati 2I+1 stati di spin. L’applicazione di un campo magnetico esterno, come detto, rimuove la degenerazione del sistema e i vari livelli varieranno la loro energia in base al loro valore di mI. Per chiarire meglio

si consideri il caso in cui I = 1/2. Gli stati possibili sono due, uno avente mI pari a

+1/2 e l’altro uguale a -1/2. Ci si riferisce a questi stati come α e β la cui proiezione del momento di spin lungo l’asse del campo magnetico ~B0 risulta rispettivamente

parallela in un caso e antiparallela nell’altro. La differenza di energia tra questi due stati è molto piccola come è possibile determinare utilizzando l’Equazione (2.9) ed è dell’ordine di 10−5 kJ mol−1 per l’atomo di idrogeno nei campi magnetici

comunemente utilizzati. Ne consegue che anche la differenza di popolazione tra i due stati è molto piccola, secondo la distribuzione di Boltzmann. In condizioni di equilibrio lo stato α è leggermente più popolato dello stato β in quanto risulta essere lo stato ad energia minore. La magnetizzazione è generata dal solo eccesso di stati αrispetto a quelli β, l’applicazione dell’impulso r.f. induce una transizione tra gli stati di spin con conseguente rimozione dell’eccesso di popolazione degli stati α e con assorbimento di energia da parte del sistema di spin. A seguito dell’assorbimento avverranno i fenomeni di rilassamento a cui siamo interessati, che verranno descritti in maniera più approfondita nelle seguenti sezioni.

2.2

Solid State NMR

L’NMR a stato solido (SSNMR) è una delle più potenti tecniche spettroscopiche che permette lo studio dei solidi al fine della determinazione della loro struttura molecolare e delle loro proprietà dinamiche20. La sua versatilità sta nel fatto che

è possibile analizzare una vasta gamma di materiali diversi, grazie al fatto che la maggior parte dei nuclei possiede almeno un isotopo attivo all’NMR (cioè avente spin nucleare non nullo). Diverse informazioni sono ottenibili misurando le proprie-tà dei diversi nuclei presenti nel campione.

(31)

2.2. SOLID STATE NMR 31

2.2.1

Interazioni nucleari interne

Si definiscono interazioni interne quelle interazioni originate da campi magnetici o elettrici locali all’interno del campione. Queste interazioni sono responsabili della forma del segnale NMR e delle sue proprietà. Le principali interazioni interne sono l’interazione di schermo chimico, l’accoppiamento dipolare, l’accoppiamento scalare e l’interazione quadrupolare. Saranno ora brevemente descritte queste interazioni. Interazione di schermo chimico

Lo schermo chimico è dovuto all’interazione tra lo spin nucleare e il campo magneti-co locale generato dagli elettroni che cirmagneti-condano il nucleo. In campioni liquidi, dove i moti sono veloci e isotropi, l’effetto dello schermo chimico separa nello spettro i segnali di diversi nuclei in base al loro intorno chimico. Allo stato solido i moti sono invece minori quindi non riescono a mediare a zero le componenti anisotrope e si osserva una forte dipendenza del segnale del nucleo dall’orientazione molecolare. Ne consegue che ogni molecola in ogni orientazione assume un particolare valore di frequenza, e sommando su tutte queste frequenze si ottiene una forma di riga molto larga caratteristica di questa interazione.

Accoppiamento dipolare

Si tratta di un’interazione diretta di tipo dipolo-dipolo che avviene tra due spin nucleari. Come tutte le interazioni dipolari dipende dalla terza potenza dell’inverso della distanza; è di gran lunga l’interazione a cui è associato il maggior contributo energetico tra quelle tipiche del SSNMR. Questa interazione può avvenire tra due nuclei uguali (interazione dipolare omonucleare) oppure tra due nuclei diversi (in-terazione dipolare eteronucleare). Questa in(in-terazione gioca un ruolo fondamentale nella dinamica NMR, infatti è la diretta responsabile delle grandi larghezze di riga tipiche dello stato solido, inoltre causa fenomeni come la spin diffusion. Il tensore di interazione dipolare è un tensore a traccia nulla, questo fa si che allo stato liquido (o in generale in casi di moti molto veloci e isotropi) non contribuisca agli spettri. La forma di riga generata nel dominio delle frequenze per una coppia di nuclei di-polarmente accoppiati tra loro è la cosidetta forma di riga di Pake, raffigurata in Figura 2.5.

(32)

Figura 2.5: Forma di riga di Pake.

Accoppiamento scalare

L’interazione scalare è un’interazione tra spin diversi che avviene attraverso gli elettroni di legame. È molto simile all’interazione dipolare ma è molto meno intensa di quest’ultima e non è a traccia nulla. In esperimenti in soluzione, essendo mediata a zero l’interazione dipolare, rimane soltanto l’accoppiamento scalare disponibile per ottenere informazioni sulla struttura, mentre allo stato solido il suo contributo è molto piccolo e spesso trascurabile.

Interazione quadrupolare

Questa è un’interazione di tipo elettrico tra un nucleo quadrupolare (cioè avente I > 1/2) e i gradienti di campo elettrico che lo circondano. Quest’interazione può diventare molto intensa all’aumentare del momento di quadrupolo nucleare. Una forma caratteristica di uno spettro dovuto all’interazione quadrupolare, per il caso I = 1è simile a quella di Pake precedentemente mostrata.

(33)

2.2. SOLID STATE NMR 33

2.2.2

Differenze tra solidi e liquidi

Vi è una sostanziale differenza tra il comportamento dei solidi e dei liquidi e que-sto si rispecchia anche nelle caratteristiche del segnale NMR. La differenza è da ricercarsi direttamente nei moti molecolari a disposizione nei due diversi stati della materia. Questi sono infatti in grado di mediare le interazioni interne in maniera più o meno efficace. In generale nel caso dei liquidi si ha a che fare con moti molto veloci e isotropi, mentre nel caso dei solidi la mobilità è ridotta e molti dei moti sono generalmente più lenti e fortemente anisotropi. L’effetto complessivo è che nei liquidi i moti sono in grado di mediare efficacemente le interazioni anisotrope a zero, permettendo di osservare solamente i valori isotropi delle interazioni. Nel caso dei solidi invece le componenti anisotrope delle interazioni non vengono mediate a zero, questo implica segnali molto più larghi dei corrispettivi allo stato liquido, che tutta-via contengono un grande contenuto informativo. I moti molecolari hanno un forte impatto sui meccanismi di rilassamento e quindi è possibile ottenere informazioni circa la dinamica molecolare attraverso l’analisi dei dati rilassometrici.

2.2.3

Esperimenti in SSNMR

La scarsa risoluzione spettrale è una limitazione nell’analisi di dati SSNMR, esi-stono diversi approcci per trattare questo problema. Un primo approccio è quello di cercare di ottenere degli spettri in alta risoluzione simili a quelli in soluzione eliminando artificialmente le componenti anisotrope. Esperimenti che si muovono in questa direzione entrano nella categoria degli esperimenti in alta risoluzione. L’approccio opposto è invece quello di rinunciare completamente alla risoluzione spettrale e lavorare direttamente nel dominio del tempo. In quest’ultimo caso le analisi verranno effettuate direttamente sul transiente sperimentale senza effettuare alcuna trasformazione nel dominio della frequenza (come ad esempio la trasformata di Fourier). Questi sono chiamati esperimenti NMR in bassa risoluzione. Una ter-za categoria consiste negli esperimenti di recoupling che sfruttano invece tecniche multidimensionali.

(34)

2.3

Il rilassamento in NMR

È stato già citato precedentemente il rilassamento. I fenomeni di rilassamento sono i responsabili del ritorno della magnetizzazione ai suoi valori di equilibrio dopo una perturbazione di r.f.. Esistono diversi tipi di rilassamento quando si ha a che fare con esperimenti NMR. Questi sono

1. Rilassamento spin-reticolo 2. Rilassamento spin-spin

3. Rilassamento spin-reticolo nel sistema di riferimento rotante

Tutti questi rilassamenti sono di tipo esponenziale e differiscono tra loro per la velocità con cui avvengono e per la natura fisica della loro origine. La causa dei fenomeni di rilassamento è da ricercarsi nei moti delle molecole che generano campi magnetici locali oscillanti. Questi inducono rilassamenti nella magnetizzazione che si trova in una situazione fuori equilibrio. Verranno ora descritti i vari tipi diversi di rilassamento avvalendosi del modello vettoriale.

2.3.1

Rilassamento spin-reticolo - T

1

Il meccanismo di rilassamento spin-reticolo (spin-lattice) permette alla magnetiz-zazione di recuperare il suo valore di equilibrio lungo l’asse z del campo magnetico dopo che un impulso r.f. ha precedentemente perturbato l’equilibrio. L’impulso genera una transizione tra stati di spin e quindi si ha assorbimento di energia. Una volta terminato l’effetto dell’impulso gli spin rilasciano l’energia in eccesso che hanno acquisito e quindi la dissipano nell’ambiente circostante (da qui il termi-ne reticolo dall’inglese lattice). Il fenomeno di rilassamento spin-reticolo avvietermi-ne quindi con cessione di energia e coinvolge la magnetizzazione longitudinale, cioè la componente della magnetizzazione che è parallela all’asse z. Questo processo è di tipo esponenziale, infatti la magnetizzazione longitudinale segue l’equazione

Mz(t) = M0(1 − e−t/T1) + Mz(0)e−t/T1 (2.10)

dove M0è la magnetizzazione longitudinale al valore di equilibrio e Mz(0)è il valore

della magnetizzazione dopo l’impulso. La costante di tempo di questo esponenzia-le è T1 e viene chiamata tempo di rilassamento spin-reticolo. L’andamento della

(35)

2.3. IL RILASSAMENTO IN NMR 35

Figura 2.6: Andamento nel tempo della magnetizzazione longitudinale in un esperimento per la determinazione di T1.

magnetizzazione nel tempo per un esperimento per la determinazione del T1è

rap-presentato in Figura 2.6. Gli ordini di grandezza per i tempi di rilassamento20sono

riportati in Tabella 2.1.

2.3.2

Rilassamento spin-spin - T

2

Il rilassamento spin-spin coinvolge le coerenze cioè le componenti della magnetiz-zazione che giacciono sul piano xy. Queste in condizioni di equilibrio sono nulle, in quanto sono orientate in maniera equiprobabile lungo il piano perpendicolare al-l’asse magnetico principale. L’effetto dell’impulso r.f. consiste nella trasformazione della magnetizzazione longitudinale in magnetizzazione trasversale e quindi nella generazione di coerenza. La componente trasversale della magnetizzazione precede sul piano xy alla frequenza di Larmor lungo l’asse z sotto l’effetto del campo magne-tico esterno. A causa delle fluttuazioni del campo dovute ai moti molecolari i vari spin presenti nel sistema scambiano tra loro la propria energia, con la conseguen-te perdita di magnetizzazione trasversale. La scomposizione della magnetizzazione trasversale nel tempo segue un’equazione del tipo

(36)

Figura 2.7: Andamento nel tempo della magnetizzazione trasversale in un esperimento per la determinazione di T2.

La costante di tempo di questo rilassamento è chiamata tempo di rilassamento spin-spin ed è rappresentata da T2. L’andamento della magnetizzazione nel tempo per

un esperimento per la determinazione del T1è rappresentato in Figura 2.7. Questo

processo non coinvolge trasferimento di energia dal sistema di spin all’ambiente circostante.

2.3.3

Rilassamento spin-reticolo nel sistema di riferimento

rotante - T

Il fenomeno di rilassamento spin-reticolo nel sistema di riferimento rotante ha alcune proprietà in comune con i due tipi di rilassamento appena descritti. Questo processo descrive il ritorno della magnetizzazione al valore nullo di equilibrio quando essa è sotto l’effetto di un campo di spin-lock lungo il piano xy. In pratica per osservare il fenomeno di rilassamento spin-reticolo nel sistema di riferimento rotante si deve portare la magnetizzazione lungo il piano xy con un impulso a 90◦, successivamente

si irradia con una frequenza di spin-lock (ω1) la magnetizzazione per mantenerla

sul piano. Questa situazione è instabile per la magnetizzazione trasversale, poiché risente non solo del campo di spin-lock, che tenderebbe a mantenerla sul piano, ma anche del campo magnetico principale e delle fluttuazioni dei campi locali.

(37)

2.4. CROSS POLARIZATION 37

DD

90° !H CP CP !"C

Figura 2.8: Sequenza di Cross Polarization, DD sta per Dipolar Decoupling. Come detto questo fenomeno ha proprietà in comune con i due rilassamenti già citati, infatti coinvolge la magnetizzazione trasversale come il T2 ma comporta

trasferimento di energia tra il sistema di spin e l’ambiente circostante come il T1.

L’equazione che lo caratterizza è

Mxy= Mxy(0) e−t/T1ρ (2.12)

molto simile a quella vista per il T2, anche se la scala di tempi è notevolmente

diversa. Come nei casi precedenti T1ρè la costante di tempo di questo decadimento.

2.4

Cross Polarization

Questa tecnica permette di aumentare la sensibilità dei nuclei rari sfruttando l’inte-razione dipolare eteronucleare con un nucleo abbondante come1H. Ciò è possibile

irradiando i due nuclei simultaneamente con opportune ampiezze degli impulsi in modo che siano soddisfatte le condizioni di Hartmann-Hahn21

γabbB1abb= γraroBraro1 (2.13)

dove Babb

1 rappresenta il campo di spin-lock e B raro

1 il campo applicato sul canale

del nucleo raro da misurare (ad esempio 13C). La sequenza di impulsi utilizzata

è riportata in Figura 2.8. La magnetizzazione dei nuclei abbondanti viene inizial-mente portata sul piano xy, poi le viene applicato un impulso di spin-lock mentre

(38)

il canale del nucleo raro viene irradiato con una radiofrequenza in maniera tale che i due impulsi r.f. soddisfino le condizioni di Hartmann-Hahn. Questi due impulsi perdurano per un contact time durante il quale la magnetizzazione dei nuclei ab-bondanti viene in parte trasferita ai nuclei rari. Infine la magnetizzazione che si è generata per effetto di cross polarization viene misurata mentre si disaccoppiano i nuclei abbondanti per eliminare l’interazione dipolare eteronucleare. L’andamento della magnetizzazione prodotta in funzione del contact time prende il nome di di-namica di Cross Polarization ed è connessa ai tempi di rilassamento spin-reticolo nel sistema di riferimento rotante per i nuclei abbondanti.

2.5

Sequenze per la misura di tempi di rilassamento

La misura dei tempi di rilassamento spin-reticolo per i nuclei1H può essere condotta

in due diversi modi, tramite esperimenti diretti ed indiretti. Negli esperimenti diretti viene misurato direttamente il segnale protonico, negli esperimenti indiretti invece i parametri di rilassamento protonici vengono misurati attraverso la CP per passaggio di magnetizzazione ai nuclei rari (generalmente 13C ) dipolarmente

accoppiati con il protone. Qui di seguito verranno brevemente descritte le sequenze usate per l’acquisizione dei profili rilassometrici dei vari campioni studiati.

2.5.1

Tempo di Spin Lock Variabile per misure di T

1ρ 1

H

I tempi di rilassamento spin-reticolo nel sistema di riferimento rotante per il protone possono essere misurati applicando alla magnetizzazione trasversale un impulso di spin-lock di durata variabile. L’intensità della magnetizzazione in funzione del tempo di spin-lock è una funzione esponenziale la cui costante di tempo è il T1ρ.

La sequenza è rappresentata in Figura 2.9.

2.5.2

Tempo di Spin Lock Variabile per misure di T

su

nuclei rari

La sequenza per l’acquisizione del T1ρ per i nuclei rari differisce da quella per i

nuclei abbondanti. Questa sequenza risulta essere una modifica della procedura di Cross Polarization (vedi Sezione 2.4)22. Si è introdotto nella sequenza un campo

(39)

2.5. SEQUENZE PER LA MISURA DI TEMPI DI RILASSAMENTO 39

90°x

!

spin lock

Figura 2.9: Sequenza di spin-lock variabile per la misura diretta di 1H .

HPD

90° !H !"C SL

!

Figura 2.10: Sequenza di spin-lock variabile per la misura del tempo di rilassamento T1ρ di nuclei rari, HPD sta per High Power Decoupling.

la magnetizzazione trasversale che viene quindi misurata a vari valori di tempi di contatto in modo da ottenere il profilo rilassometrico da analizzare.

2.5.3

Solid Echo

In campioni solidi caratterizzati da una elevata rigidità strutturale il tempo di rilas-samento spin-spin (T2) dei nuclei abbondanti risulta essere molto breve, portando

ad un decadimento molto rapido del FID. A causa della struttura dello spettrome-tro la stessa bobina che funge da trasmettitore viene usata anche come ricevitore, questo impone che tra l’impulso e l’acquisizione venga lasciato passare un dead time in modo che questa smaltisca l’energia in eccesso dovuta all’impulso. In campioni

(40)

90°x 90°y

!

!

Figura 2.11: Sequenza Solid Echo.

solidi come detto il T2 può essere dello stesso ordine di grandezza del dead time,

impedendo la determinazione del tempo di rilassamento. A questo scopo sono state introdotte tecniche di echo. La più semplice sequenza di echo utilizzata in SSNMR è la Solid Echo, rappresentata in Figura 2.11. L’impulso a 90◦è seguito dopo un

tempo τ da un altro impulso a 90◦, avente una fase maggiore di π/2 rispetto al

precedente. L’effetto di questo secondo impulso è quello di rifocalizzare la magne-tizzazione trasversale, che raggiunge l’intensità iniziale dopo un tempo τ dopo il secondo impulso a 90◦. La rifocalizzazione del FID dopo un tempo 2τ

dall’im-pulso iniziale permette di acquisire l’intero FID senza perdere le componenti più brevi del dead time. Questa sequenza di echo serve in particolare per rifocalizzare l’interazione dipolare omonucleare.

2.6

Spin Diffusion

In campioni solidi l’interazione dipolare è di grande importanza per le caratteri-stiche del sistema. Uno dei suoi effetti è quello di generare il fenomeno di spin diffusion. Questo fenomeno è in grado di provocare una migrazione di magnetizza-zione tra diverse zone del campione senza variamagnetizza-zione dell’energia totale del sistema. Ciò è possibile attraverso un meccanismo di flip-flop per cui spin distanti tra lo-ro ma dipolarmente accoppiati possono scambiarsi gli stati di spin. I gradienti di magnetizzazione si formano ad esempio a causa della presenza di diversi tempi di rilassamento T1nel campione. In queste condizioni si ha che l’eccesso di energia

del sistema non è stata ancora ceduta all’ambiente circostante e quindi i gradienti di magnetizzazione sono ancora presenti nel campione. Uno dei principali effetti

(41)

2.7. STUDIO DELLE PROPRIETÀ DINAMICHE 41

relaxation sink

spazio tempo

Figura 2.12: Raffigurazione della spin diffusion.

della diffusione di magnetizzazione è quello di influenzare i tempi di rilassamento spin-reticolo. In assenza di questo fenomeno infatti ogni diverso nucleo avrebbe i propri valori di T1e T1ρ, dettati dalla diversa mobilità del nucleo in esame, che

influenza il suo accoppiamento con l’ambiente. La spin diffusion tende a mediare ad un unico valore i valori di tempi di rilassamento spin-reticolo se la si lascia agire per un tempo abbastanza elevato. Questo effetto risulta maggiore nel caso dei nu-clei abbondanti in quanto fortemente accoppiati dipolarmente, mentre per quanto riguarda i nuclei rari l’effetto della spin diffusion è trascurabile e i valori di T1e

T1ρ ottenuti risultano essere caratteristici dei diversi siti presenti nel campione.

2.7

Studio delle proprietà dinamiche

Lo studio delle proprietà dinamiche allo stato solido è di grande interesse. I tempi di rilassamento dei vari nuclei permettono di studiare dai moti nei regimi intermedi (10 kHz - 1 MHz) a quelli veloci (> 1MHz), inoltre permettono di determina-re informazioni sulla struttura supramolecoladetermina-re, sulla struttura di fase e su quella polifasica. Informazioni diverse possono essere estratte dai vari tipi di tempi di rilassamento per ogni diverso nucleo, infatti ognuno possiede un diverso range

(42)

di-namico e può essere influenzato o meno dalla spin diffusion (vedi Sezione 2.6). La Tabella 2.1 rappresenta le principali caratteristiche dei vari tempi di rilassamento studiati. Alcuni di questi possono essere determinati mediante tecniche in alta riso-luzione. I T2 hanno un andamento monotono con la temperatura, nei solidi rigidi

i T2dei protoni possono avere valori di circa 10-100 µs. Ciò permette di estrarre

informazioni sui moti nel regime dei kHz. L’approccio classico per l’analisi dei tempi di rilassamento T2 allo stato solido al fine di ottenere informazioni dinamiche

è quello di acquisire un FID on resonance, eventualmente usando la solid echo per includere le componenti che decadono velocemente e di effettuare un’analisi di FID in bassa risoluzione.

L’analisi dei tempi di rilassamento spin-reticolo da informazioni diverse a seconda se si stiano studiando nuclei rari o nuclei abbondanti. Per i nuclei rari, non essendo affetti dalla spin diffusion in quanto l’interazione dipolare omonucleare è trascu-rabile, possono essere misurati valori di tempi di rilassamento diversi per i diversi nuclei non equivalenti presenti nel campione. Quindi contengono informazioni sul-la dinamica locale del sistema. I nuclei abbondanti subiscono gli effetti delsul-la spin diffusion quindi vengono parzialmente o totalmente mediati ad un singolo valore: le informazioni che si possono estrarre da queste misure sono di tipo globale. I moti analizzabili attraverso misure di T1 sono moti veloci, dell’ordine dei MHz, mentre

per il T1ρ sono dunque dell’ordine dei kHz. Soprattutto nel caso protonico i dati

di rilassamenti spin-reticolo hanno carattere globale in quanto come detto possono essere mediati totalmente o parzialmente. Una media parziale dei tempi di rilassa-mento non ha un significato dinamico, e si deve ricorrere all’uso di una grandezza che sia indipendente dagli effetti della spin diffusion; la Population Weighted Rate Average (PWRA).

2.8

Population Weighted Rate Average - PWRA

La Population Weighted Rate Average è il valore medio pesato sulle popolazione delle velocità di rilassamento23, 24. Questa grandezza è definita come segue

PWRA = P iwiλij P iwi j = 1, 1ρ . (2.14)

Nella precedente equazione λi

j è uguale a 1/T i

j, l’inverso della costante di

(43)

2.8. POPULATION WEIGHTED RATE AVERAGE - PWRA 43 Tempi di rilassamen to Fasi rigide Fasi mobili Range dinamico Influenza Spin Diffusion Misure in alta risoluzione T1 (R) 10 -100 s 100 ms -1 s MHz (ω0 ) NO SI T1 ρ (R) 0.1 -100 ms 0.1 -100 ms kHz (ω1 ) NO SI T1 (H,A) MHz (ω0 ) SI Solo via CP T1 ρ (H,A) 0.1-10 ms 0.1-10 ms kHz (ω1 ) SI Solo via CP T2 (H,A) ≈ 10 µ s ≈ 1 ms > kHz NO Solo via CP

Tabella 2.1: Ordini di grandezza per i diversi tipi di fase e range dinamico dei vari tempi di rilassamento studiabili, A = Nuclei abbondanti, R = Nuclei rari.

(44)

di rilassamento spin-reticolo medio per l’intero sistema. Questa grandezza è di grande importanza quando si studiano processi dinamici allo stato solido in quanto si può mettere in relazione con le le proprietà dinamiche del campione. Infatti le singole componenti che si possono ottenere da un’analisi esponenziale di dati di T1ρ non posseggono un puro significato dinamico, in quanto affette da spin

diffu-sion e quindi non sono caratteristiche dei processi del moto presenti nel sistema. Al contrario la loro media pesata risulta essere indipendente dai fenomeni di spin diffusion e quindi è possibile estrarre informazioni sui moti presenti del sistema in esame. La connessione tra la PWRA e le proprietà del moto si ha attraverso delle grandezze chiamate densità spettrali J(ω). Le densità spettrali sono quantità che rappresentano la potenza disponibile per i moti ad una determinata frequenza. La relazioni che connettono la PWRA dei due tempi di rilassamento spin-reticolo con le densità spettrali sono

PWRAT1 = C X i ai[Ji(ω0) + 4Ji(2ω0)] , (2.15) PWRAT1ρ = C X i ai  3 10Ji(2ω1) + 1 2Ji(ω0) + 1 5Ji(2ω0)  , (2.16)

dove ai è il peso associato all’i-esimo moto, ω0è la frequenza di Larmor mentre ω1

è la frequenza di spin-lock. La somma corre su tutti i moti presenti del sistema. In questo modo è dunque possibile, utilizzando dei modelli per le densità spettrali, riuscire a riprodurre i dati a partire dai dati di tempi di rilassamento, così da ottenere informazioni dinamiche sul campione. I modelli utilizzati per esprimere le densità spettrali sono vari, il più semplice è il modello Bloembergen-Purcell-Pound (BPP) per il quale l’espressione di J(ω) è data da

J (τ, ω) = 2τ

1 + ω2τ2. (2.17)

Modelli più complessi possono tenere conto anche di distribuzioni di tempi di cor-relazione o della corcor-relazione tra i moti, alcuni esempi di questi modelli sono il modello Cole-Cole, Cole-Davidson o il modello di Havriliak-Negami. Poiché il tem-po di correlazione dipende dalle temperatura si tem-possono usare altri modelli per riprodurre l’andamento di τc e ottenere altri parametri. Il modello più semplice è

una dipendenza tipo Arrhenius

(45)

2.8. POPULATION WEIGHTED RATE AVERAGE - PWRA 45 dove Earappresenta l’energia di attivazione del moto e t∞è il tempo di correlazione

del moto a temperatura infinita. Un altro modello molto utilizzato, soprattutto per determinare le proprietà di polimeri è il modello Vogel-Tamman-Fulcher (VTF).

τc= τ∞e

B

T −T0, (2.19) dove B è l’energia di attivazione del moto (espressa in gradi Kelvin), T0è la

tem-peratura di Vogel, connessa alla temperatura di transizione vetrosa del polimero. Utilizzando i modelli per le densità spettrali e per il tempo di correlazione è quindi possibile ottenere dalle misure rilassometriche informazioni sui parametri del moto e sulle proprietà dinamiche del campione.

(46)
(47)

Capitolo 3

Descrizione software

In questa sezione verranno discussi i software utilizzati durante questo lavoro di tesi.

I programmi scelti sono • CONTIN

• DISCRETE • FIDAN

3.1

CONTIN

Il software CONTIN, sviluppato da Stephen W. Provencher3, 4, 25è un programma

scritto in Fortran IV per l’inversione di equazioni algebriche lineari e di equazioni integrali di Fredholm di primo tipo.

Il programma utilizza come algoritmo per l’inversione la regolarizzazione di Tikho-nov.

3.1.1

Specifiche Programma

CONTIN è in grado di risolvere equazioni nella forma yk ≈ Z b a K(λ, t)g(λ) dλ + NL X i=1 βiLi(tk) , k = 1, . . . , Ny. (3.1) 47

(48)

Il secondo addendo nell’equazione permette di correggere i dati per una serie di motivi, come la presenza contemporanea di una porzione di spettro continua e di una discreta3. Ponendo N

L= 1e Li= 1 per ogni k è possibile imporre un fattore

di offset B (β), presente anche nelle Equazioni 1.2 e 1.3 e ricondursi ai casi descritti nella Sezione 1.1. L’equazione integrale viene discretizzata usando la regola di Simpson e si ottiene la seguente equazione

yk≈ Nλ X j=1 cjK(λj, t)g(λj) + NL X i=1 βiLi(tk) , k = 1, . . . , Ny. (3.2)

dove i cjsono i coefficienti della quadratura ottenuti dall’integrazione numerica, Nλ

rappresenta il numero di punti in cui la griglia di g(λ) viene suddivisa. CONTIN risolve l’equazione trovando i valori di cj e g(λj) compatibili con gli yk inseriti.

CONTIN implementa tre diversi principi atti a migliorare i risultati dell’inversione 1. Conoscenza assoluta a priori,

2. Conoscenza statistica a priori, 3. Parsimonia.

La conoscenza a priori di alcune proprietà della soluzione permette di imporre vin-coli che portano a notevoli miglioramenti nei risultati. L’imposizione della non negatività della soluzione (g(λ) ≥ 0) elimina dal set delle possibili soluzioni Ω tut-te quelle che hanno un andamento oscillantut-te, quindi privo di significato fisico. Un esempio in tal senso è dato da tutte quelle soluzioni nella forma g(λ)+h(λ) nel caso in cui h(λ), analogamente a quello che si è visto nell’equazione (1.12) sia uguale a sin(ωλ) con ω ≥ ω0.3 La conoscenza statistica a priori (2) permette di imporre

come vincoli alla soluzione le informazioni statistiche in possesso, come ad esempio la matrice di covarianza e il valore medio della distribuzione. Con questi vincoli è possibile indirizzare il programma verso una soluzione in accordo con i dati in possesso.

Il principio di parsimonia (3) è molto utile per ottenere la miglior soluzione com-patibile con il livello di rumore del problema. Questo principio si può ricondurre al più famoso Rasoio di Ockham26, 27, il quale afferma che a parità di fattori è da

preferire la soluzione più semplice. La definizione di più semplice non è univoca e può variare da problema a problema, in generale viene preferita la soluzione avente

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