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Evoluzione del ruolo delle Agenzie di somministrazione del lavoro : " Il caso Adecco"

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

Strategia, Management e Controllo

indirizzo

Strategia e Governo dell'Azienda

EVOLUZIONE DEL RUOLO DELLE AGENZIE

DI SOMMINISTRAZIONE DEL LAVORO: IL

CASO “ADECCO”

Relatore: Candidato:

Prof. Marco Giannini Tommasina Grupillo

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INDICE

Introduzione 3

Capitolo 1. Evoluzione normativa in tema di lavoro 5

1.1 Definizione di lavoro 5

1.2 Cenni storici sul lavoro 5

1.3 Breve excursus legislativo 7

1.3.1 Dalle origini al Code Napoléon 8

1.3.2 Dalla codificazione del 1865 al Codice Civile del 1942 9 1.3.3 La Costituzione e i diritti del lavoratore come persona 12

1.4 Verso la somministrazione 13

1.4.1 Il collocamento 13

1.4.2 L.196/1997 “Pacchetto Treu” 16

1.4.3 Dal Libro Bianco al D.Lgs. n. 276/2003 20

Capitolo 2. La somministrazione di lavoro 23

2.1 Premessa 23

2.2 Definizione, natura e campo di applicazione 23

2.3 Forma, elementi fondamentali e casi di divieto 25

2.4 La disciplina del rapporto di lavoro 28

2.5 Tipologia del contratto di somministrazione 31

2.5.1 La somministrazione di lavoro a tempo determinato 31 2.5.2 La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato o staff

leasing 36

2.6 Decreto Lavoro n. 34/2014 40

2.7 Somministrazione: buoni motivi 42

Capitolo 3. Agenzie per il lavoro 43

3.1 Premessa 43

3.2 Tipologie di Agenzie per il Lavoro 44

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3.2.2 Le procedure di autorizzazione 49

3.2.3 I requisiti per l'autorizzazione 51

3.2.4 I regimi particolari di autorizzazione 54 3.3 Struttura organizzativa delle Agenzie per il Lavoro 58

3.3.1 Il Direttore di filiale 58

3.3.2 Il Responsabile della Selezione 61

3.3.3 Il Responsabile commerciale 63

3.3.4 Il Responsabile amministrativo 64

3.4 Il lavoro interinale “in tempo di crisi” 65

3.5 Verso la “ripresa” 74

Capitolo 4. Adecco 76

4.1 La Storia 76

4.2 La Mission 78

4.3 I Valori principali e Principi di Leadership 79

4.3.1 I 5 Valori di Adecco 79 4.3.2 I principi di Leadership 81 4.3.3 Il Codice di condotta 81 4.4 Struttura organizzativa 82 4.4.1 Il lavoro di Adecco 83 4.5 La Responsabilità Sociale 85

4.5.1 La politica di Responsabilità Sociale 86

4.6 I servizi 88

4.7 Le Business Lines di Adecco 100

4.8 I numeri di Adecco 107

CONCLUSIONI 114

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INTRODUZIONE

Negli ultimi anni il mondo del lavoro è stato caratterizzato da profondi mutamenti che hanno influenzato i contratti, i rapporti e le forme di lavoro, a causa della globalizzazione dei mercati che, pur offrendo grandi possibilità, ha messo in concorrenza non solo aziende ed organizzazioni, ma anche i lavoratori. In questo contesto sempre più dinamico ed esposto continuamente a modifiche, dovute oggi, soprattutto, alla crisi che negli ultimi anni ha colpito il mondo industrializzato, si inserisce quello che è definito il contratto più flessibile ossia il “contratto di somministrazione”.

Quest'ultimo prende le sue mosse inizialmente dalla L. n.196/1997, la c.d. Legge Treu la quale ha reso possibile il fatto che nel nostro Paese si potesse far ricorso al lavoro temporaneo o interinale, configurandolo come istituto intermedio fra servizio all'impiego, di avviamento e selezione del personale e tipologia flessibile del rapporto di lavoro, alternativa al contratto a termine. Questo provvedimento è ritenuto come la prima ed ineludibile fase di passaggio verso lo svecchiamento del sistema. Successivamente viene introdotto il D.Lgs. 276/2003, conosciuto come Legge Biagi, che porta a compimento il processo cominciato nel 1997. Il legislatore ha provveduto a ridisciplinare interamente la materia della somministrazione di manodopera procedendo ad una sostanziale liberalizzazione di essa. Tale operazione di riforma, in Italia, si è posta come principale obiettivo il ridimensionamento degli aspetti di rigidità attribuiti al mercato del lavoro italiano.

Sulla Legge Biagi, e le sue successive modifiche, è fondato, quindi, il lavoro in somministrazione, il cui contratto è stipulato fra il Somministratore (Agenzie per il Lavoro), il Lavoratore e l'Utilizzatore (Azienda Cliente) sulla base di un “rapporto triangolare”.

In questo modo il lavoratore è assunto dal somministratore, ma viene inviato a svolgere la propria attività (missione) presso l'utilizzatore. Questo tipo di

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rapporto prevede quindi due contratti: un contratto di somministrazione, di natura commerciale, tra l'utilizzatore e il somministratore; un contratto di lavoro tra il somministratore e il lavoratore.

Autorizzate, dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, ad utilizzare tale forma di contratto sono le Agenzie per il Lavoro che, di pari passo con l'evoluzione normativa, sono passate dall'essere Agenzie per il lavoro temporaneo all'essere Agenzie polifunzionali che mettono a disposizione di aziende e lavoratori una serie di servizi ed opportunità in campo occupazionale. In questo lavoro di tesi, vengono analizzate le principali attività svolte dalle Agenzie per il Lavoro; le procedure e i requisiti necessari per ottenere l'autorizzazione per essere iscritte nel relativo Albo informatico; la loro struttura organizzativa; alcuni dati relativi agli ultimi anni.

In fine, particolare attenzione è stata dedicata ad Adecco, Agenzia per il Lavoro leader in Italia e nel mondo nei servizi per la gestione delle risorse umane. Dopo aver ripercorso la storia del Gruppo, ho, successivamente, considerato la mission, i valori, la responsabilità sociale e il codice di condotta dell'Azienda che hanno contribuito a far diventare Adecco leader di mercato. Un'analisi più dettagliata è stata poi rivolta alla struttura organizzativa ed ai servizi che Adecco mette a disposizione delle aziende clienti e dei lavoratori. Molto importante è la creazione, all'interno dell'azienda, di diverse Business Lines nate con l'obiettivo di sviluppare progetti e soluzioni adeguati alle caratteristiche e agli obiettivi di ogni tipologia di impresa e, di rispondere sempre meglio e in modo tempestivo alle esigenze di un mercato del lavoro in constante e incessante evoluzione.

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Capitolo 1. Evoluzione normativa in tema di lavoro

1.1 Definizione di lavoro

Il termine lavoro deriva dal latino labor e significa fatica. Il lavoro è un'attività produttiva che implica il dispendio di energie fisiche e intellettuali per raggiungere uno scopo prefissato, e in generale per procurare beni essenziali per vivere o altri tipi di beni, non solo attraverso un valore monetario acquisito da terzi quale compenso. E' una categoria importante che abbraccia molti ambiti specialistici, dall'antropologia alla teologiapassando per la fisica e la sociologia. Nel mondo moderno l'attività lavorativa viene esplicata con l'esercizio di un mestiere o di una professione ed ha come scopo la soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi.

Lavorare significa occupare il tempo nel fare qualcosa di produttivo, traendone un vantaggio generalmente economico. Infatti con il termine occupato si definisce lo status del lavoratore, e con il suo opposto, disoccupato, si definisce lo status di chi è in cerca di occupazione. Il lavoratore dipendente ha generalmente una controparte, con la quale instaura unrapporto di lavoro.

1.2 Cenni storici sul lavoro

La storia del lavoro non ha un inizio e un'origine ben preciso; il lavoro, come rapporto economico, è parte della stessa storia dell'uomo ed anticipa la stessa nascita delle civiltà umane. Nell'età antica il lavoro è un'attività disciplinata nell'ambito dei rapporti di famiglia, molti lavoratori sono degli schiavi privi di qualsiasi soggettività giuridica. Per molti secoli il lavoro è stato sostanzialmente la schiavitù. Nel medioevo questo status si modifica con la diffusione della servitù. I lavoratori sono servi della gleba, persone legate per tutta la vita alla coltivazione delle terre del signore feudale. Fino al medioevo non esistono forme di disciplina giuridica del lavoro a tutela dei lavoratori. A partire dall'Alto medioevo si iniziano ad avere le prime forme di tutela dei lavoratori, tutto ciò

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avviene a seguito della nascita delle botteghe che conquistano un'importanza strategica nella città. Il lavoratore viene visto soprattutto come un apprendista che “apprende” il mestiere del suo maestro e nel '500-'600 la produzione è quasi totalmente in mano agli artigiani. I vincoli della società feudale si sfaldano in breve tempo, il potere economico passa di mano dai nobili proprietari terrieri all'emergente classe borghese, composta da mercanti-manifatturieri che nel corso del tempo hanno accumulato grandi profitti e ricchezze. In questi anni ha luogo la nascita del capitalismo mercantile. La disponibilità finanziaria del mercante capitalista gli consente di anticipare l'acquisto delle materi prime e dei macchinari, affidando ai lavoratori il compito di trasformarle in prodotti finiti. Il lavoratore non viene visto più come il maestro artigiano delle botteghe, ma come un lavoratore subordinato e dipendente al volere del mercante (una sorta di quasi salariato). Il lavoratore continua a lavorare a casa o in bottega ma in completa dipendenza del mercante capitalista che progressivamente si trasforma nella figura del capitalista. Quest'ultimo nel '700, con l'espansione del commercio estero, delle nuove scoperte tecnologiche (macchina a vapore) e con la rivoluzione industriale, tende ad aumentare la scala di produzione attraverso l'impiego delle macchine. L'affermarsi di questo fenomeno non consente più di seguire la vecchia organizzazione del lavoro a domicilio e il luogo di produzione si sposta nelle fabbriche. Tutto ciò si riflette anche in un fenomeno di migrazione di massa dalle campagne alla città, dove sono ubicate le fabbriche. In questa fase storica nasce la figura moderna del lavoratore dipendente salariato. La concentrazione dei lavoratori nelle fabbriche permette agli stessi di maturare una coscienza di classe; nel XIX secolo le masse dei lavoratori si organizzano per chiedere maggiori tutele e un miglioramento delle proprie condizioni di vita. In questi anni nascono la filosofia marxista1 e le prime organizzazioni dei lavoratori

(sindacati)2. Le rivendicazioni dei lavoratori operai e contadini per un

1 Questa filosofia è alla base della coscienza di classe del movimento dei lavoratori nel XIX secolo. Secondo il filosofo Karl Marx il lavoro è: “ una merce venduta, in cambio di un salario, per la produzione di altre merci”. 2 Organismo che riunisce una determinata categoria di lavoratori con lo scopo di difenderne gli interessi. In realtà il

termine definisce un organismo che rappresenta in generale le categorie produttive, siano esse costituite da lavoratori che da datori di lavoro. Www.professionisti.it.

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miglioramento della condizione sociale-salariale si trasformano in una vera e propria lotta di classe tra lavoratori e capitalisti che spesso sfocia nella violenza. Come risposta alla rivolta sociale venutasi a sollevare con la rivoluzione industriale, lo Stato inizia ad intervenire per mediare tra le classi sociali per disciplinare il rapporto di lavoro al fine di ridurre lo sfruttamento e nel contempo creare le condizioni di stabilità politico-economico della nazione. Quindi, a partire dalla fine del 1800, con l'ingresso dello Stato nei rapporti tra capitalisti e lavoratori nasce il diritto del lavoro3 inteso come: “ Complesso di norme che

disciplinano il rapporto di lavoro e che tutelano, oltre che l'interesse economico, anche la libertà, la dignità e la personalità del lavoratore” .

L'oggetto del diritto del lavoro consiste nella disciplina del rapporto giuridico tra il datore di lavoro e il lavoratore tendendo, attraverso specifiche norme, a tutelare la posizione del lavoratore subordinato in quanto parte debole nel rapporto contrattuale.

1.3 Breve excursus legislativo

Il rapporto di lavoro subordinato trae origine dal contratto di lavoro concluso tra la persona del lavoratore e quella del datore. Considerato nel diritto romano e sino all’avvento del codice civile del 1942 quale rapporto di locazione e, successivamente e fin quasi ai giorni nostri, quale rapporto complesso (ossia somma delle singole posizioni giuridiche dallo stesso nascenti), è solo con l’elaborazione dottrinale degli ultimi decenni che si è giunti ad una definizione che ha cercato di privilegiare una dimensione sostanzialmente unitaria del rapporto, arrivando finalmente al concetto di rapporto di lavoro quale rapporto fondamentale. Di seguito andrò a ripercorrere brevemente tale excursus storico, cercando di spiegare cosa si debba intendere per tale concetto e come ad esso si

3 Il diritto del lavoro può essere suddiviso in:

Diritto del lavoro in senso stretto: disciplina il contratto e rapporto individuale di lavoro conosciuto anche

come diritto privato del lavoro;

Diritto sindacale: disciplina la nascita delle organizzazioni sindacali, il rapporto tra sindacati e le altre

parti sociali, il diritto di sciopero e la contrattazione collettiva;

Diritto pubblico del lavoro: comprende le norme giuridiche che disciplinano il rapporto tra le parti sociali

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sia pervenuti.

1.3.1 Dalle origini al Code Napoléon

Sin all'avvento del Codice Civile del 1942 il contratto in vigore per la regolazione dei rapporti lavorativi, poteva essere collocato nel novero del contratto di locazione. Origine di questa concezione era la locatio servi del diritto romano, che per molti secoli ha rappresentato lo schema negoziale tipico per inquadrare lo svolgimento dell'attività lavorativa da parte di uomini non liberi.4

Al pari di ogni altra forma di locazione5, con la locatio servi si attribuiva

temporaneamente la disponibilità ed il godimento di una cosa ( res ) per un determinato periodo di tempo dal locatore ( locator ) al conduttore ( conductor ) in cambio di una mercede. Unico elemento distintivo della locatio servi era la peculiarità dell'oggetto della locazione: un uomo, che peraltro giuridicamente non era persona, ma cosa; indifferente era poi la funzione che alla disponibilità temporanea veniva assegnata6.

La locatio servi divenne successivamente locatio homnis, che metteva al centro del rapporto giuridico di locazione l'uomo e non più il proprio lavoro. Solo in seguito all'opera di recupero e rivalutazione della dignità umana operata dall'etica cristiana si giunse ad ammettere quale oggetto del contratto di locazione non più l'uomo, ma le energie di lavoro, ossia le operae; si inizia così a parlare gradualmente di locatio operarum, quale esplicita espressione tanto dell'incommerciabilità della persona, quanto delle operae quale nuovo oggetto del contratto di lavoro.7

Tale contratto di locatio operarum si sarebbe, pertanto, sviluppato gradualmente, grazie, ad un primitivo contratto di messa a disposizione della persona: dello

4 Cfr. M. MARTINI, ‹‹ Mercenarius››. Contributo allo studio dei rapporti di lavoro in diritto romano, Milano,

Giuffrè, 1958, p.39, parla, in relazione all’utilizzo degli schemi negoziali consueti anche per le nuove figure contrattuali, di economia giuridica dei Romani.

5 In questo senso cfr. V. ARANGIO – RUIZ, Istituzioni di diritto romano, 14aediz., Napoli, Jovene, 1998, p. 345 ss., che dissente dalla dottrina dominante, secondo la quale il nome locatio conductio sarebbe comune a tre contratti diversi: locatio conductio rei, locatio conductio operarum, locatio conductio operis.

6 Così G. SUPPIEJ, Il rapporto di lavoro – Costituzione e svolgimento, Padova, 1982, p.2; G. SUPPIEJ, M. DE

CRISTOFARO, C. CESTER, Diritto del lavoro – Il rapporto individuale, Padova, Cedam, 1998, p.1 ss.

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schiavo (da parte del padrone) prima, del liberto ed infine dell’uomo libero8.

Successivamente il nome del contratto locatio-conductio inizia ad essere accomunato a tre diverse figure contrattuali; la locatio rei, la locatio operarum e la locatio operis.9 E tale suddivisione viene, poi, fatta propria dal Code

Napoléon, all’art. 1708: “deux sortes de contrats de louage […] celui des choses, et celui d’ouvrage”.

1.3.2 Dalla codificazione del 1865 al Codice Civile del 1942

Il codice civile del 1865, così come quello francese, continuava a concepire il contratto di lavoro quale forma, sui generis, di locatio conductio10. Questo sia per

quanto riguarda il lavoro subordinato (locatio operarum), che per il lavoro autonomo (locatio operis faciendi), non bene definiti, né distinti l'uno dall'altro dall'art. 1627 del codice unitario11, ma entrambi rapportati a quell'unica forma di

contratto di lavoro rappresentata dalla locazione delle opere, in contrapposizione alla locazione delle cose12. Tuttavia, nel Codice Unitario del 1865, l'unica norma

specifica e riferibile al lavoro subordinato era l'art. 1628, il quale affermava che “nessuno può obbligare la propria opera all'altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa”. Pertanto, all'inizio del XX secolo, la nostra dottrina rimaneva ancora saldamente ancorata agli insegnamenti del passato.

Se ancora nel 1865 il contratto di lavoro rappresentava una realtà giuridica completamente affidata alla disciplina generale delle obbligazioni e dei contratti e, quindi, negli spazi lasciati liberi dalla norme di legge, alle regole elaborate dagli ordini professionali (e corporativi), con l’avvento degli ordinamenti giuridici liberali e la soppressione delle organizzazioni professionali il contratto di lavoro-locazione d’opere si rifaceva sostanzialmente alla determinazione 8 Cfr. F.M. DE ROBERTIS, op.cit., p.129, 130

9 Enc. dir. XXIII, Milano, 1973, p.369 ss., che definisce “[…] l’adattamento della figura della locatio-conductio romana alla nuova locatio operarum, intesa in senso nettamente contrapposto alla locatio operis, […] una vera e propria deformazione del pensiero romano”

10 Il codice civile del 1865 definiva, infatti, all’art. 1570 la “locazione delle opere” come “il contratto per cui una delle parti si obbliga a fare per l’altra una cosa mediante la pattuita mercede”

11 Il quale affermava “che vi sono tre principali specie di locazione di opere e di industria: 1° quella per cui le persone obbligano la propria opera all’altrui servizio; 2° quelle de’ vetturini sì per terra come per acqua, che s’incaricano del trasporto delle persone o delle cose; 3° quella degli imprenditori di opere ad appalto o cottimo 12 Così E. GHERA, Diritto del lavoro, Bari, Cacucci, 2000, p.51 ss.

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regolamentare della parte contrattuale più forte ossia l’imprenditore-conduttore. Un profondo cambiamento di tendenza si è verificato negli ultimi ottanta anni di storia legislativa. L’inflazione normativa lavoristica – che ha visto, ormai, il rapporto di lavoro sempre più minuziosamente disciplinato ed il contratto di lavoro divenire uno schema precostituito per entrambe le parti, tale da rendere del tutto privo di valore il suo accostamento ad un tipo negoziale tradizionale – si è sempre più caratterizzata per una precisa volontà garantistica della parte debole del rapporto, il lavoratore, considerato come contraente debole (prima) e come persona (poi)13. Una sorta di tutela del lavoratore assegnata dall’ordinamento alla

disciplina giuridica del rapporto di lavoro14.

Solo verso la fine dell'800 viene data importanza al tempo del lavoratore, che viene visto come ulteriore elemento atto a distinguere il rapporto di lavoro autonomo e subordinato, evidenziando che l'inserimento e la dipendenza costituiscono solo le modalità mediante le quali il datore di lavoro decide di impiegare proprio il tempo del lavoratore.

La nozione di subordinazione nasce nel 1901 anno in cui Barassi nella sua opera15 costruisce una nozione unitaria, derivante dal complesso degli elementi

costituiti dall'inserimento nella fabbrica, dalla disponibilità del tempo e dalla dipendenza del lavoratore. Il concetto di subordinazione è frutto, quindi, di un'evoluzione sociale e giuridica, che, partendo dalla nozione di locatio operis ed operarum funzionale alla ripartizione del rischio, affianca ad essa altri criteri (dipendenza, inserimento in fabbrica e disponibilità del tempo), fino a giungere all'elaborazione di un termine unitario.

La fase che si colloca tra le due guerre culmina nelle disposizioni del Codice Civile del 1942 dedicate al lavoro, che compendiano l'esperienza del periodo corporativo. Al posto del proprietario di forza lavoro che la offre sul mercato, troviamo ora il produttore (imprenditore o prestatore di lavoro, inserito nell'organizzazione produttiva dell'impresa).

13 M. RUSCIANO, Sospensione del rapporto di lavoro (cause di), EGT, XXX, 1993, p. 1. 14 In questo senso cfr. G. SUPPIEJ, M. DE CRISTOFARO, C. CESTER, Diritto etc.cit, p. 5. 15 LUDOVICO BARASSI “il contratto di lavoro nell'ordinamento giuridico italiano”

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Nell'art. 2086 del cod. civ. la subordinazione è la dipendenza gerarchica del prestatore di lavoro dal datore di lavoro, capo dell'organizzazione produttiva in cui il lavoratore è inserito16. Tuttavia l'art. 2094 del cod. civ. collega

l'obbligazione del prestatore di lavoro (a collaborare nell'impresa, alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore) ad un contratto di scambio, stipulato dal lavoratore17; la fonte del rapporto di lavoro è dunque ancora il

contratto, e non l'incorporazione del lavoratore in una istituzione ordinata su base gerarchica.

Pertanto l’art. 2094 «ha tipizzato la subordinazione come criterio di qualificazione del contratto», facendo abbandonare del tutto lo schema locativo: il contratto di lavoro subordinato è ora un diverso e autonomo tipo contrattuale. La protezione del lavoratore contraente debole è affidata alle fonti inderogabili di disciplina del rapporto di lavoro: la legge e il contratto collettivo corporativo, efficace erga omnes, tagliano lo spazio all’autonomia contrattuale delle parti, ridotta alla sola stipulazione di clausole intuitu personae più favorevoli al lavoratore. Malgrado la premessa concezione gerarchico-autoritaria della subordinazione che qualifica il contratto di lavoro, «il codice del ’42 fa emergere, per la prima volta, non un’ideale astratto di persona (…) ma l’uomo “in carne ed ossa” e lo fa fondamentalmente inserendo all’interno del contratto interessi non patrimoniali ed aprendo alla predisposizione di risorse pubbliche per la soddisfazione di bisogni primari del lavoratore (invalidità, vecchiaia, etc.)»18. La

disposizione più significativa in questo senso è contenuta nell’art. 2087 cod. civ. (obbligo di sicurezza)19. Come ricorda L. Mengoni20, è tuttavia vero che, già

all’inizio del XX secolo, la dottrina civilistica, proprio in considerazione del coinvolgimento nel contratto della persona del lavoratore, aveva configurato a carico del datore di lavoro un obbligo contrattuale di protezione ed un correlativo

16 Art. 2086 c.c “L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”. 17 Art.2094 c.c “E' prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa,

prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore”.

18 MAZZOTTA, Ragionare per modelli: conciliare lavoro e non lavoro nella crisi economica, cit., p. 5

19 Art. 2087 c.c. “L'imprenditore è tenuto ad adottare [1228] nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la

particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”

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diritto soggettivo del lavoratore. Ma una cosa è l’opinione della dottrina, altra l’intervento del legislatore e l’art. 2087 espressamente include nell’area degli interessi non patrimoniali protetti dal contratto la conservazione della salute e dell’integrità fisica, dando così palpabile rilevanza all’implicazione del lavoratore in carne ed ossa nel contratto di lavoro.

1.3.3 La Costituzione e i diritti del lavoratore come persona

Ancora una volta, le norme sul rapporto di lavoro subiscono un'ulteriore rivisitazione e sviluppo con la caduta del fascismo e la proclamazione della Repubblica. Nella Costituzione Repubblicana, nata il 1° Gennaio del 1948, il lavoro è uno degli elementi fondamentali della Repubblica Italiana. Infatti, ad esaltazione di ciò, sin dal primo articolo, la Costituzione sancisce: “ L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

La stessa cultura giuridica, che si era affrettata a seppellire il diritto corporativo nel tentativo di cancellarne al più presto anche le tracce, si trovò a fare i conti con il nuovo valore fondante che i costituenti avevano attribuito al lavoro.21

Fino alla metà degli anni sessanta la disciplina del contratto e del rapporto di lavoro è rimasta in gran parte affidata al codice civile, e le categorie civilistiche hanno fornito i binari entro i quali far correre l’interpretazione; l’ottica è ancora quella della protezione del contraente debole. Tuttavia, gli artt. 36 e 37 si discostavano dai consolidati schemi interpretativi tanto che la giurisprudenza, non senza qualche incertezza, era arrivata presto a configurarli come disposizioni immediatamente precettive e come tali applicabili ai rapporti interprivati, allargando così l’orizzonte della implicazione della persona del lavoratore nel rapporto dalla sola protezione del contraente debole alla considerazione del coinvolgimento in esso della sua intera personalità22.

L’art. 37 Cost23. sancisce l’eguaglianza senza distinzione di sesso nelle

21 Sull’art. 1 Cost. (letto in combinazione con l’art. 4 Cost.) cfr. la ricostruzione di PINELLI, “Lavoro” e “progresso” nella Costituzione, in Dir. lav. rel. ind., 2009, 401 ss., a partire dalla rilettura degli atti della Costituente.

22 SMURAGLIA, La persona del prestatore nel rapporto di lavoro, Milano, Giuffrè, 1967, 173 ss.

23 Art. 37 Cost. “ la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e

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condizioni di lavoro, diritto fondamentale della persona che limita la libertà contrattuale del datore di lavoro. L’art. 36 Cost. sancisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionale alla qualità e alla quantità del lavoro prestato, ma in ogni caso sufficiente a garantire condizioni di vita decente. La retribuzione resta pur sempre il corrispettivo della prestazione lavorativa, ma giustamente si sottolinea che «nessun altro contratto di diritto privato ritrova all’interno della carta costituzionale i principi-guida per la determinazione di un suo “elemento essenziale”. La retribuzione vi è rappresentata, ad un tempo, come trattamento corrispettivo di un contratto di diritto privato ed altresì come provvidenza sociale»24. Per dirlo in altri termini: la determinazione del prezzo del lavoro non è

lasciata esclusivamente al mercato, perché la tutela di un diritto del lavoratore (che potremmo dire di “cittadinanza” e meglio, di “cittadinanza sociale”)25

interferisce col valore di scambio.

1.4 Verso la somministrazione

Se c'è un capitolo che si è venuto progressivamente ampliando nel corso degli anni e resta in continuo mutamento è quello in tema d'intervento sul mercato del lavoro. Dietro c'è un lento, ma profondo, mutamento del generale contesto economico-sociale che produce e accresce un grave squilibrio quantitativo e qualitativo fra domanda e offerta di lavoro.

1.4.1 Il collocamento

Il collocamento, inteso come sistema istituzionale-normativo predisposto per lo svolgimento dell'attività di mediazione fra domanda e offerta di lavoro in vista della collocazione o assunzione della mano d'opera, è stato il perno centrale dell'intervento pubblico sul mercato del lavoro fino agli anni '90.

Anteriormente al periodo corporativo era ammesso sia il collocamento pubblico sia quello privato, anche se quest’ultimo era sottoposto ad un regime di

assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione...”

24 MAZZOTTA, Ragionare per modelli, cit., 6.

25 Sulla “cittadinanza sociale” cfr. COSTA, Cittadinanza sociale e diritto del lavoro nell’Italia repubblicana, in Lav. dir., 2009, 35 ss..

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autorizzazioni amministrative. Al collocamento privato si affiancavano non pochi uffici periferici di collocamento istituiti dagli Enti locali, i quali si distinguevano sia dai privati, che esercitavano un’attività di mediazione, sia dagli uffici sindacali, attraverso cui i sindacati esercitavano un’attività finalizzata al rafforzamento del loro potere contrattuale mediante la contrattazione delle assunzioni. Questo ruolo era di importanza fondamentale, soprattutto in un’epoca in cui il collocamento pubblico era ancora in una fase embrionale con il pericolo che i prestatori si rivolgessero a privati speculatori senza coscienza.26 Tuttavia,

anche l’attività di collocamento gestita dai sindacati aveva i suoi punti deboli, infatti, essa era fortemente condizionata dalla maggiore o minore forza contrattuale che il sindacato aveva nei vari settori di produzione o di mestiere e dai vari momenti storici.27 Tale situazione comportava una condizione di

squilibrio sul campo dell’accesso all’occupazione tra categorie forti e categorie deboli, ed era la causa degli enormi limiti della gestione sindacale del collocamento, in quanto le categorie di lavoratori che avevano maggiore bisogno di una vera e propria lotta contro la mediazione privata (ad esempio quella degli operai non qualificati) erano di norma rappresentate da sindacati non aventi grande forza contrattuale.

Durante il periodo corporativo, invece, il collocamento assunse le vesti di funzione pubblica. La caratteristica fondamentale introdotta prima dal r.d.l. 29 marzo 1928 n. 1003, ripreso dal r.d.l. 21dicembre 1938 n. 1934, fu la affermazione del principio del monopolio pubblico del collocamento, accompagnato dal divieto dell’esercizio da parte di privati dell’attività di intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro. Nonostante il passaggio ad un sistema pubblico di collocamento, le funzioni gestionali dello stesso collocamento vennero, comunque, attribuite ai sindacati corporativi. Questi, infatti, durante il fascismo non erano soggetti privati, bensì persone giuridiche di

26 C. Lagala-Veneto, Lineamenti storici del collocamento,in Osservatorio ISFOL,Quad.n.7, gennaio 1976, pagg. 53 ss

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diritto pubblico28.

Dopo la caduta dell'ordinamento corporativo, il primo intervento in materia si ebbe con la Legge 29 aprile 1949 n.264. Il collocamento continuò, per espressa disposizione di legge (art.7), ad essere funzione pubblica, che veniva svolto in regime di monopolio dalla mano statale. Nella disciplina originaria dell'istituto, contenuta appunto nella L.264/1949, lo Stato, attraverso il collocamento, svolgeva la funzione di controllore e mediatore degli interessi contrapposti delle categorie sociali, ponendo altresì obblighi sanzionati penalmente.

Questo sistema è rimasto sostanzialmente inalterato fino all'introduzione del collocamento speciale in agricoltura (L.11-5-1970, n.83) e alla successiva regolamentazione fissata dagli artt. 33 e 34 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/70) in merito alle chiamate numeriche e nominative.

All'epoca, l'assunzione dei lavoratori era subordinata ad un complesso di atti di natura privata e amministrativa che coinvolgevano il lavoratore, il datore e gli uffici pubblici. Per assumere il lavoratore, i datori di lavoro dovevano indirizzare agli uffici pubblici una formale richiesta di manodopera al fine di ottenere il nulla-osta all'assunzione. Inizialmente tale richiesta poteva essere solo numerica29, mentre successivamente alla L.223/91 si affermò il meccanismo della

richiesta nominativa30, ma restava vincolato al nulla-osta degli uffici di

collocamento per la legittimità dell'assunzione.

Un altro aspetto del regime della L. 264/1949 era l'assoluto divieto di iniziativa privata nelle attività di collocamento della manodopera, la mediazione tra domanda e offerta di lavoro poteva essere esercitata solo dallo Stato mediante i propri uffici periferici. A ciò faceva da complemento il divieto di interposizione nei rapporti di lavoro, proclamato dalla L. 1369/1960 e finalizzato a prevenire e reprimere il diffuso fenomeno del caporalato31 e dello pseudo-appalto.32

28 L. M. Dentici, Gli intermediari pubblici e privati nel mercato del lavoro, in DML,2004, pagg. 293 ss; www.giureta.unipa.it, articolo Francesco Paolo Rubbio.

29 Il datore doveva limitarsi ad indicare il numero di lavoratori di cui avesse bisogno per ogni qualifica. 30 Il datore di lavoro poteva indicare nominativamente il lavoratore che intendeva assumere.

31 Lavoratori assunti da un falso datore di lavoro ma che in realtà erano alle dipendenze di un altro soggetto. 32 Un committente finge di appaltare lavori ad un soggetto, che assume le spoglie di un appaltatore, al solo scopo di

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Il sistema di monopolio pubblico rivelò nel corso dei decenni grandi limiti intrinseci, legati alle croniche inefficienze del sistema dei servizi pubblici per l’impiego ed alle eccessive rigidità della disciplina. I principi alla base del sistema vennero progressivamente annacquati attraverso correzioni legislative di segno de regolatorio. Uno dei momenti fondamentali fu rappresentato dall’entrata in vigore della L. 223/1991, con la quale, tra le altre cose, venne liberalizzato il sistema della richiesta nominativa (art. 25, rubricato “riforma delle procedure di avviamento al lavoro”). Con la L.28 novembre 1996, n. 608, anche l’obbligo di richiesta del nulla-osta preventivo all’ufficio di collocamento, condizione preliminare alla stipulazione del contratto di lavoro, venne sostituito dal più blando obbligo di comunicazione, secondo il d.lgs. 297/2002 contestualmente all’assunzione. Quest'ultimo aggiunse un articolo (4-bis) al d.lgs. 181/2000, introducendo nel nostro ordinamento il principio dell’assunzione diretta, vale a dire la possibilità riconosciuta ai lavoratori ed ai datori di lavoro d’incontrarsi e di stipulare il contratto di lavoro direttamente sul mercato, senza la necessaria mediazione del soggetto pubblico. Caduto il rigido sistema di mediazione pubblica, il passo successivo è stato quello della (ri)apertura del mercato ai privati. La L. 469/1997 ha infatti riformato il collocamento in ambo i sensi: da una parte, è stato formalmente soppresso il sistema del collocamento pubblico obbligatorio; dall’altra, sono stati formalmente legittimati a esercitare l’attività di mediazione gli operatori privati. Un'altra fondamentale riforma della L.469/1997 è stata quella di attribuire alle regioni ampie competenze in relazione al collocamento ed ai servizi per l’impiego.

1.4.2 L.196/1997 “Pacchetto Treu”

Tra i molteplici provvedimenti un rilievo particolare assumono due leggi: la n. 60/1996, di conversione del D.L. n. 510/1996, e la n. 196/1997. Esse scalfiscono due principi fondamentali tradizionali dell'ordinamento giuslavoristico: il principio della funzione pubblica del collocamento, ovvero della necessità della mediazione statale nel momento dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro; ed

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il divieto di intermediazione di manodopera di cui alla L. n. 1369/1960. La prima legge generalizza il metodo dell'assunzione diretta e porta a termine il processo di obsolescenza dell'ormai esuberante apparato strutturale del collocamento, poi formalmente sancito dal D.Lgs. n. 469 del 1997, che oltre a prevedere il trasferimento a regioni e province delle funzioni di collocamento e di politica del lavoro, apre finalmente spazi per un ruolo dei soggetti privati nel sistema del collocamento; la seconda (c.d. Pacchetto Treu) ha reso possibile che nel nostro Paese si potesse far ricorso al cd. lavoro temporaneo o interinale33

configurandolo come istituto intermedio fra servizio all'impiego, di avviamento e selezione del personale e tipologia flessibile del rapporto di lavoro, alternativa al contratto a termine. Questo provvedimento legislativo è ritenuto da molti come la prima ed ineludibile fase di passaggio verso lo svecchiamento del sistema.

La legge 24 giugno 1997 n°19634 dedica i primi undici articoli alla disciplina del

lavoro temporaneo trattando in modo analitico divieti, vincoli e formalismi che denotano il timore, comune ai legislatori europei, di abusi o frodi a danno dei diritti dei lavoratori.

Il fenomeno regolato è caratterizzato da un rapporto triangolare tra un lavoratore e due “datori”: l'uno, l'impresa di fornitura (l'agenzia), che assume e fornisce i lavoratori; l'altro, l'impresa utilizzatrice35, che utilizza la prestazione per il

soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo. Al fine di selezionare

33 L’espressione “lavoro interinale” è stata mutuata dal francese “travail interimaire”, ma la dottrina italiana non ha mai apprezzato questa scelta linguistica Addirittura Mazzotta (Mazzotta, Requiem per un decreto in Riv. It. Dir. Lav. 1993, I, p.2109 parla di “orrendo barbarismo”. In seguito il legislatore ha adottato formule alternative tra le quali merita menzione “ lavoro intermittente tramite agenzia”, (Spagnuolo Vigorita, Note sul lavoro intermittente tramite agenzia in Dir. Rel. Ind. 1992, p. 77). Nei diversi disegni di legge seguiti al fallito tentativo di regolamentazione del 1993, compare poi il termine “lavoro temporaneo" che si segnala quale opzione definitiva e che ha altresì ottenuto il favore della prevalente dottrina (Ghera, La flessibilità: variazioni sul tema in Riv. giur. lav. 1996, I, p. 129).

34 Si ricorda, tuttavia , che la somministrazione di manodopera non era totalmente sconosciuta al nostro ordinamento prima dell’entrata in vigore della l.196/97: già da tempo , infatti , era consentita , sia pure limitatamente ad alcuni settori, ad ipotesi particolari e a determinati soggetti. Si vedano in proposito : l’art 13 , l.498/1992 ( come modificato per effetto dell’art 6 bis della l.67/1993) che escludeva la applicabilità del divieto di interposizione nei confronti delle province , dei comuni , delle comunità montane e dei loro consorzi , delle IPAB, degli enti commerciali senza fine di lucro che svolgessero attività socio-assistenziali , delle istituzioni sanitarie operanti nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale; l’art 5 , comma 5° del più volte reiterato d.l. 510/1996 che autorizza la Gepi e l’Insar a svolgere un’attività di collocamento anche temporaneo dei lavoratori dalle stesse dipendenti che non godano più del trattamento economico integrativo.

35 L'art. 11, 2° comma, L. n. 196/1997, include fra questi soggetti anche i non imprenditori (ad es. i professionisti e le associazioni non riconosciute), inoltre ammette la possibilità di lavoro interinale anche per le Pubbliche Amministrazioni.

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operatori economici affidabili e di allontanare il pericolo di caporalato, le agenzie sono soggette ad un regime rigoroso di autorizzazioni amministrative: devono risultare iscritte in un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro, con requisiti tassativi di natura oggettiva (società di capitali o cooperative di produzione e lavoro36, con discreta consistenza economica, con una certa

diffusione territoriale) e soggettiva (requisiti morali di amministratori e dirigenti) (art.2). Le modalità per l'istituzione dell'albo e della domanda di autorizzazione sono rinviate al D.M. n. 381del 1997.

La L. 196/1997 fonda il descritto rapporto trilaterale su due contratti con caratteristiche diverse: il contratto di fornitura e il contratto di lavoro subordinato. Tra le due imprese, fornitrice e utilizzatrice, viene stipulato il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo che è di carattere commerciale ed è, visti gli elementi prescritti dalla legge, sempre a termine (art.1). Con tale contratto l'Agenzia si obbliga, dietro remunerazione, ad inviare temporaneamente propri dipendenti presso l'impresa utilizzatrice, che li impiegherà e dirigerà secondo le proprie esigenze.37

Tra agenzia fornitrice e lavoratore viene stipulato il contratto di lavoro subordinato (a tempo pieno o parziale) “per prestazioni di lavoro temporaneo” che è di natura privatistica (artt. 3,4,6,7,9). Quest'ultimo, a sua volta, può essere stipulato nella duplice tipologia di contratto a tempo determinato, in base alla durata di una specifica missione prorogabile per iscritto nei casi e per la durata previsti dalla contrattazione collettiva di categoria; di contratto a tempo indeterminato, con il diritto del lavoratore, per i periodi di non lavoro ad una “indennità di disponibilità”, fissata dalla contrattazione collettiva delle imprese fornitrici. La seconda tipologia è più onerosa per l'impresa utilizzatrice quindi, ad essa, si fa ricorso alquanto di rado.

36 Ai sensi dell'art. 2, 3° comma, L.196/1997, soltanto i lavoratori dipendenti dalla cooperativa (non i soci) possono essere forniti come prestatori di lavoro temporaneo. Più in generale, la forma della cooperativa presenta alcune difficoltà di attuazione. Per l'art. 11, 3° comma, l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di fornitura può essere rilasciata anche a società controllate dallo Stato, aventi finalità di incentivazione e promozione dell'occupazione. 37 Il disegno di legge delega sul mercato del lavoro, in discussione in Parlamento nel corso del 2002, ipotizza la

possibilità del ricorso al lavoro interinale anche per esigenze a tempo indeterminato delle aziende utilizzatrici (contratto di somministrazione di manodopera), con ciò alterando notevolmente la fisionomia dell'istituto, caratterizzata e garantita, dalla temporaneità della “missione”.

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I lavoratori temporanei, pur essendo formalmente assunti dall'agenzia di lavoro interinale, eseguono la prestazione di lavoro presso l'impresa utilizzatrice, la quale si configura come soggetto estraneo rispetto al rapporto di lavoro subordinato che intercorre esclusivamente con l'impresa fornitrice di manodopera; si genera così una scissione tra titolarità giuridica del rapporto di lavoro ed effettiva utilizzazione della prestazione lavorativa, di modo che si possa parlare di datore di lavoro “formale”, cioè l'agenzia, e di un datore “sostanziale”, vale a dire l'impresa utilizzatrice.

Ciò che appare particolarmente significativo è il fatto che la L. 196/1997 non abbia inteso abrogare il divieto di interposizione posto dalla L. 1369/60. La legge Treu ha soltanto introdotto una deroga a tale divieto, una deroga tutt'altro che incondizionata, bensì rigidamente e dettagliatamente regolamentata. Conforme a questa affermazione si è da sempre dimostrata la giurisprudenza, la quale, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha sempre escluso l'abolizione ad opera della L. 196/1997 del divieto di interposizione fittizia di manodopera posto a suo tempo dalla L. 1369/6038. In particolare, con sent. n° 5232 del 9 aprile 2001, la

Corte di Cassazione (Cass. civ. sez. lav.) ha chiarito che l’espressa previsione, (art.10, l.196/97) secondo cui continua a trovare applicazione la L.1369/60, altro non significa se non che il divieto di interposizione continua a trovare applicazione nei confronti dell’impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da quelli indicati all’art 2, L.196/97, ovvero che violi le disposizioni di cui al precedente art.1, commi secondo, terzo, quarto e quinto (i quali stabiliscono i casi in cui è consentita o vietata la fornitura di lavoro temporaneo e dettano la disciplina rispettivamente applicabile al contratto di fornitura di lavoro temporaneo, che intercorre tra l’impresa fornitrice e l’impresa utilizzatrice, e al contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, che intercorre, invece, tra l’impresa fornitrice e il lavoratore).

38 Cass. 11/12/98 in Dir.prat.lav. 1999, 13, 920; Cass. 23/12/98 in Dir.prat.lav. 199, 5, 324 ;Cass 2/2/2000 in Dir.prat.lav 2000, 13, 1027; Cass. 9/4/2001 sent. n° 5232 in Dir.prat.lav 2001, 20, 1363; Cass. 3/12/2002 in Dir.prat.lav. 2003, 9, 625 ;Cass. 8/7/2003 in Dir.prat.lav 2003, 38, 2634

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1.4.3 Dal Libro Bianco al D.Lgs. n. 276/200339

Nel contesto degli sviluppi economici e normativi sopra evidenziati, si inserisce la pubblicazione, nell’ottobre del 2001, del “Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia”, redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi. E' importante fare un richiamo a questo documento poiché esso sorregge il successivo impianto normativo, costituito dalla legge delega n. 30/2003 e dal conseguente d.lgs. n. 276/2003. Nell’ambito di una più ampia riflessione sull'evoluzione, con crescente velocità, del mercato e dell’organizzazione del lavoro (non seguita da altrettanta evoluzione dei rapporti di lavoro), il Libro Bianco ha auspicato l’urgenza di interventi correttivi “per eliminare gli ostacoli normativi che ancora rendono complicato l’utilizzo delle tipologie contrattuali flessibili”. In questo ambito, si è affermato che “il contratto interinale, la cui disciplina deve essere coordinata con quella del lavoro temporaneo, deve migliorare la sua funzione di strumento che favorisce l’incontro tra domanda e offerta. Più in generale, appare opportuno avviare una riforma complessiva della disciplina in materia di intermediazione di manodopera, anche alla luce dei processi di esternalizzazione del lavoro e nel rispetto delle condizioni di tutela del lavoro”.

Il Libro Bianco è dell’ottobre del 2001; pochi giorni dopo il Governo ha approvato il disegno di legge delega n. 848 per la riforma del mercato del lavoro, dove sono state trasfuse gran parte delle proposte del documento politico, con l’aggiunta di una rilevante modifica dell’art. 18 Stat. lav. (dando luogo ad un acceso conflitto sociale che ha consigliato il Governo a stralciare la novità in un autonomo disegno di legge delega, il n. 848-bis). Il disegno di legge delega n. 848 è stato approvato dal Parlamento ed è divenuto legge 14 febbraio 2003, n. 30, detta, per volontà del Governo stesso, legge Biagi, in onore del docente di diritto del lavoro, coautore del Libro Bianco, assassinato con un’azione terroristica nel marzo del 2002. La legge n. 30/2003 (all’art. 1, comma 2, lett. m) ha fissato il principio direttivo dell'abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n.

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1369, e sua sostituzione con una nuova disciplina basata sui seguenti criteri: 1) autorizzazione della somministrazione di manodopera, solo da parte dei soggetti identificati dalla precedente lettera l;

2) ammissibilità della somministrazione di manodopera, anche a tempo indeterminato, in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative;

3) chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco, nonché di interposizione illecita laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro;

4) garanzia del regime della solidarietà tra fornitore e utilizzatore in caso di somministrazione di lavoro altrui;

5) trattamento assicurato ai lavoratori coinvolti nell’attività di somministrazione di manodopera non inferiore a quello a cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice;

6) conferma del regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, prevedendo altresì specifiche sanzioni penali per le ipotesi di esercizio abusivo di intermediazione privata nonché un regime sanzionatorio più incisivo nel caso di sfruttamento del lavoro minorile;

7) utilizzazione del meccanismo certificatorio di cui al successivo art. 5 ai fini della distinzione concreta tra interposizione illecita e appalto genuino, sulla base di indici e codici di comportamento elaborati in sede amministrativa che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell’assunzione effettiva del rischio di impresa da parte dell’appaltatore.

La stessa legge delega, poi, alla lett. i) dell’art. 1, comma 2, ha fissato il principio della eliminazione del vincolo dell’oggetto sociale esclusivo sia per le imprese di

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fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo (di cui all’art. 2 della legge n. 196/1997), sia per i soggetti che esercitano la mediazione tra domanda e offerta di lavoro, l’attività di ricerca e selezione del personale o di supporto alla ricollocazione professionale (di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 469/1997, e successive modifiche); per poi giungere alla fissazione del principio della identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici (con particolare riferimento agli enti locali) e privati (lett. l). La legge delega è stata attuata con il d.lgs. n. 276/2003. Esso porta a compimento il processo sopra evidenziato, cominciato nel 1997 con l’introduzione nel nostro Paese della figura del lavoro temporaneo. Il legislatore delegato ha provveduto a ridisciplinare interamente la materia della somministrazione di manodopera procedendo ad una sostanziale liberalizzazione di essa e provvedendo contestualmente alla espressa abrogazione della legge n. 1369/1960 e degli artt. da 1 a 11 della legge n. 196/1997 (sul lavoro temporaneo). All’interno del decreto, l’istituto della somministrazione è disciplinato non solo nel capo I del titolo III (artt. da 20 a 28), espressamente dedicato a tale figura, ma anche nel titolo I (con la definizione della somministrazione, fissata nell’art. 2), nel titolo II (con la disciplina delle agenzie di somministrazione, prevista dagli artt. 4 e ss.), nel titolo VIII (con la previsione delle procedure di certificazione ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto, stabilita nell’art. 84) ed infine nel titolo IX (con la previsione dell’abrogazione dell’intera legge n. 1369/1960 e dei primi undici articoli della legge sul lavoro temporaneo).

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Capitolo 2. La somministrazione di lavoro

2.1 Premessa

Il contratto di somministrazione di lavoro è un particolare contratto di lavoro subordinato che coinvolge tre soggetti:

• Il somministratore (un soggetto autorizzato come le agenzie di somministrazione);

• l'utilizzatore; • il lavoratore.

Il lavoratore è assunto dal somministratore, ma viene inviato a svolgere la propria attività presso l'utilizzatore (c.d. Missione). Questo tipo di rapporto prevede quindi due contratti:

• un contratto di somministrazione, di natura commerciale, tra l'utilizzatore e il somministratore;

• un contratto di lavoro tra il somministratore e il lavoratore.

2.2 Definizione, natura e campo di applicazione

Il d.lgs n. 276/2003, che disciplina l'istituto, definisce la somministrazione di lavoro come :“ la fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine, ai sensi dell'art. 20” ( Art. 2, comma 1, lettera a). In questa definizione vengono richiamati sia il c.d. “ staff leasing” (somministrazione a tempo indeterminato), sia il lavoro interinale o temporaneo (somministrazione a termine).

L'art. 20 comma 140, del sopracitato decreto, stabilisce che il contratto di

somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto (l'utilizzatore) che si rivolga ad altro soggetto (il somministratore), a ciò autorizzato ai sensi delle precedenti disposizioni in tema di agenzie per il lavoro. L'art. 22 stabilisce

40 Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5.

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che il contratto di somministrazione è un contratto di natura commerciale, che vincola l'agenzia di somministrazione a mettere a disposizione le prestazioni lavorative a favore dell'impresa utilizzatrice dietro il pagamento di un corrispettivo economico, mentre invece i lavoratori sono vincolati all'agenzia in esecuzione di un normale contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato.

Si tratta, pertanto, di un rapporto trilaterale in base al quale il lavoratore, assunto da un'agenzia di somministrazione autorizzata, è chiamato a svolgere la propria attività presso un terzo soggetto utilizzatore, con il quale l'agenzia ha concluso un contratto commerciale di fornitura di manodopera. Per tutto il tempo della somministrazione, il lavoratore svolge la propria attività “ nell'interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore”.41

Si assiste quindi, ad una dissociazione netta tra titolarità formale del rapporto di lavoro, che resta in capo all'agenzia nella forma del lavoro subordinato, e l'effettivo utilizzatore della prestazione, soggetto terzo rispetto al rapporto formale; l'utilizzatore ha con il lavoratore un rapporto di mero fatto, esercitando come detto, la direzione ed il controllo sul lavoro ed essendo responsabile nei confronti di terzi dei danni arrecati dal prestatore nell'esercizio delle sue mansioni.42 Il potere disciplinare rimane in capo all'agenzia di somministrazione

ed in tal caso il soggetto utilizzatore comunicherà all'agenzia gli elementi che formeranno oggetto della contestazione di cui all'art. 7 dello Statuto del Lavoratori (Art. 23, comma 7). Importante è notare che nessun settore produttivo è escluso dalla somministrazione e, per quanto riguarda il lavoro pubblico, il decreto offre una soluzione apparentemente contraddittoria. Mentre infatti, in linea generale, l’art. 1, comma 2, stabilisce che le norme del decreto non trovano applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale, l’art. 86, comma 9, prevede invece esplicitamente che la disciplina della somministrazione trova applicazione, nelle pubbliche amministrazioni, solo per quanto attiene alla

41 Art. 20, comma 2, prima parte del D.Lgs n. 276/2003

42 Art. 26 del D. Lgs n. 276/2003 “ Nel caso di somministrazione di lavoro l'utilizzatore risponde nei confronti dei

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somministrazione di lavoro a tempo determinato. Solo le agenzie autorizzate possono stipulare un regolare contratto di somministrazione; esse devono iscriversi, previa domanda, ad un apposito Albo tenuto presso il Ministero del lavoro, il quale verificherà la sussistenza dei requisiti giuridici e finanziari previsti dagli artt. 4 e 5 del decreto. Vi sono poi previsioni particolari calibrate sull’ampiezza dei compiti che l’agenzia intenderà perseguire: da una ampiezza massima (tutte le attività di somministrazione) ad una più limitata (le sole attività di somministrazione a tempo indeterminato, di cui alle lettere da a) a h) dell’art. 20, comma 3).

Non c'è nessun vincolo negoziale diretto tra l'impresa utilizzatrice e i lavoratori, perché questi ultimi sono a tutti gli effetti dipendenti dell'agenzia di somministrazione anche se sarà un soggetto terzo, l'impresa utilizzatrice, a beneficiare delle loro prestazioni lavorative. L'eventuale vantaggio che l'impresa utilizzatrice trae dalla somministrazione è racchiuso nel fatto che essa non è formalmente il datore di lavoro dei lavoratori somministrati e quindi non è titolare dei relativi contratti di lavoro. Pertanto, qualora le esigenze aziendali lo richiedessero, l'impresa potrà scegliere tra un ventaglio di soluzioni contrattuali, a costi differenziati, tra cui la somministrazione, quella che soddisfa meglio le sue necessità sia di tipo contingente che ordinario.

2.3 Forma, elementi fondamentali e casi di divieto

Il contratto di somministrazione deve necessariamente essere stipulato per iscritto e deve obbligatoriamente contenere una serie di elementi fondamentali. Il mancato rispetto di tale indicazione comporta la nullità del contratto di somministrazione ed il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore.43 Prima della correzione il sistema appariva caratterizzato da un

doppio profilo sanzionatorio.44

43 Art. 21, comma 4, del decreto; comma così modificato dall'art. 5, comma 1, D. Lgs. 6 ottobre 2004, n. 251 44 Per l' applicazione delle disposizioni dell'art. 21, vedere l'art. 2, comma 143, L. 23 dicembre 2009, n. 191.

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1° profilo sanzionatorio:

a) gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore; b) il numero dei lavoratori da somministrare;

c) i casi e la ragioni di carattere tecnico, produttivo,organizzativo, o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 20;

d) l'indicazione della presenza di eventuali rischi per l'integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate;

e) la data di inizio e la durata prevista del contratto di somministrazione;

L'omissione degli elementi sopracitati comportava la nullità del contratto di somministrazione.

2° profilo sanzionatorio:

f) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento; g) il luogo, l'orario e il trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative;

h) assunzione da parte del somministratore della obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonché del versamento dei contributi previdenziali;

i) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro;

j) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili;

k) assunzione da parte dell'utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore, dell'obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore.

Questi elementi invece, non erano tra quelli la cui mancata indicazione nel corpo del contratto era espressamente sanzionata dal legislatore. Come detto, tale

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doppio profilo sanzionatorio è ora venuto meno a seguito del decreto correttivo n. 251/2004.

Va poi aggiunto, in tema di elementi fondamentali del contratto di somministrazione, che la lettura combinata di essi consente di poter escludere la liceità di stipulare contratti aperti, cioè finalizzati all’invio, presso lo stesso utilizzatore, di più lavoratori che svolgono anche mansioni diverse, in base ad un unico contratto. Il comma 2 dell’art. 21 del decreto stabilisce che nell’indicazione dei suddetti elementi, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi, con conseguente impossibilità per le parti individuali di derogare a quanto stabilito in sede di contrattazione collettiva ed applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di elusione di quest’ultima (art. 18, comma 3). In capo al somministratore sussiste poi un obbligo di informazione nei confronti del lavoratore sia in ordine a tutti gli elementi fondamentali del contratto di somministrazione, sia in ordine alla data di inizio e di durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore; e ciò all’atto della stipulazione del contratto di lavoro oppure all’atto dell’invio presso l’utilizzatore. Per quanto concerne i divieti, il contratto di somministrazione, sia a tempo indeterminato che a termine, è vietato nei seguenti casi45:

• per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

• salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive in cui nei sei mesi precedenti si sia proceduto a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori addetti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione, a meno che:

a) tale contratto sia stipulato per provvedere alla sostituzione dei

lavoratori assenti;

b) abbia ad oggetto prestazioni di lavoro di soggetti iscritti nelle liste di

mobilità, assunti con contratto a termine della durata non superiore a 12 mesi;

c) abbia un durata iniziale non superiore a tre mesi;

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• salva diversa disposizione degli accordi sindacali, il divieto opera altresì presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione;

• da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D. Lgs. n. 626/1994.

2.4 La disciplina del rapporto di lavoro

Quanto al rapporto di lavoro somministrato, può dirsi che l’intento del legislatore è quello di instaurare una simmetricità tra somministrazione a termine e contratto di lavoro a tempo determinato e somministrazione a tempo indeterminato e contratto di lavoro senza termine di durata, anche se in determinate ipotesi è ammissibile che un lavoratore assunto a tempo indeterminato venga utilizzato per una somministrazione a termine, e viceversa. In tutti i casi di somministrazione, “i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a condizione di base di lavoro e di occupazione complessivamente non inferiore a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte” (art. 23 comma 1)46. Si tratta di un principio cardine, già peraltro conosciuto dalla

normativa in materia di lavoro interinale, la cui formulazione ha comunque dato luogo a dubbi interpretativi. Sull’ambito di riferimento all’interno del quale effettuare la comparazione, la dottrina maggioritaria - in assenza di ogni indicazione relativa alla fonte dei trattamenti dei quali debba essere garantita la parità - ritiene che esso vada effettuato in relazione a qualsiasi tipo di fonte contrattuale (nazionale o aziendale) nonché a regolamenti e prassi aziendali. Sul metodo di comparazione, alcuni parlano di conglobamento, altri ritengono che esso debba essere effettuato istituto per istituto. Suscita poi difficoltà interpretative il richiamo alla “parità di mansioni svolte” quale parametro di comparazione, se non altro in ragione delle difficoltà operative che potrebbe

46 Restano in ogni caso salve le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge 24 giugno 1997 n. 196 (D.L.vo n. 24/2012).

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comportare il farlo rispettare. La regola della parità di trattamento non è però assoluta, poiché subisce due eccezioni.

La prima permette alle agenzie private di derogare al regime generale, al fine di garantire l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche attive e di workfare. Condizione per la liceità della deroga al principio di parità di trattamento è che tali agenzie presentino, in favore dei lavoratori svantaggiati, un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, con intenti formativi idonei e che assumano il lavoratore svantaggiato con un contratto di durata non inferiore a sei mesi47.

La seconda deroga al principio di parità è costituita dal richiamo alla contrattazione collettiva applicata dall’utilizzatore, la quale - in tema di determinazione e computo della retribuzione variabile (erogazioni correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all’andamento economico dell’impresa) - stabilirà se di essa potranno beneficiarne anche i lavoratori somministrati (art. 23, comma 4). L’obbligazione del pagamento del trattamento economico in favore del lavoratore è posta in via diretta a carico dell’agenzia (art. 21, comma 1, lett. h) ed in via solidale anche a carico dell’utilizzatore (art. 23, comma 3), salvo il diritto di rivalsa di quest’ultimo verso l’agenzia (art. 21, comma 1, lett. k). In tema di mansioni, se l’utilizzatore adibisce il lavoratore a mansioni diverse (superiori o inferiori) a quelle indicate nel contratto deve di ciò dare immediata comunicazione scritta all’agenzia, consegnandone copia al lavoratore. In caso di mancata informazione, l’utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e per il risarcimento del danno derivante dalla assegnazione a mansioni inferiori (art. 23, comma 6). Tale disposizione ha suscitato differenti interpretazioni dottrinarie, sostenendo alcuni che essa parrebbe rendere legittima l’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori, a condizione che lo spostamento venga comunicato all’agenzia di somministrazione. In realtà, la norma può interpretarsi come disciplinante

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