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La formazione della prova nel contesto dell'Ordine europeo di indagine, con uno sguardo alle prospettive di attuazione in Spagna

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

La formazione della prova nel contesto dell'Ordine europeo di indagine

con uno sguardo alle prospettive di attuazione in Spagna

Il Candidato Il Relatore Gloria Fortuna Chiar.mo Prof. Luca Bresciani

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INDICE

Introduzione...3

Capitolo I

La cooperazione giudiziaria in materia penale nell'Unione Europea

1. La creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia...6 2. Il principio del mutuo riconoscimento e la libera circolazione

delle prove...13 2.1 Gli strumenti giuridici anteriori alla direttiva

2014/41/UE...16

Capitolo II

La Direttiva 2014/41/UE: Ordine Europeo di Indagine penale

1. Contesto e obiettivi...18 2. I principi di equivalenza e proporzionalità...criticità...20 3. I presupposti per il compimento degli atti istruttori: il

sovrapporsi della lex fori e della lex loci...26 4. Le modalità di acquisizione...31 4.1 La posizione svantaggiata della difesa nelle fasi di formazione della prova...37 5. La tendenziale utilizzabilità dell'OEI per qualsiasi tipologia di prova...46 5.1 Disposizioni specifiche per determinati atti di indagine a fini probatori...50 6. Le prospettive di raccolta della prova europea nel recente regolamento istitutivo della Procura europea...55

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Capitolo III

L'attuazione della direttiva 2014/41/UE in Italia

1. Il punto di arrivo: il decreto legislativo 21 giugno 2017, n.108...61

1.1 Il procedimento ai fini di acquisizione probatoria...64 1.2 La disciplina specifica per determinati atti di indagine...78 2. Le intercettazioni...85 3. Le investigazioni difensive in vista della formazione della prova...92 4. Il regime di utilizzabilità della “prova europea”. Un sistema non del tutto tranquillizzante sul piano delle garanzie...96

Capitolo IV

L'esperienza spagnola: il progetto di attuazione della direttiva 2014/41/UE

1. I motivi del ritardo e la disciplina applicabile in presenza del vuoto normativo...99

2. El proyecto de Ley 1 deciembre 2017...105

2.1 Le intercettazioni...107 2.2 L'utilizzabilità delle prove raccolte...110

Conclusioni...113

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Introduzione

Il presente elaborato si propone di analizzare in maniera critica la formazione di prove al di là dei confini nazionali, mediante l'utilizzo di un nuovo strumento giuridico, il cosiddetto “Ordine europeo di indagine penale” (OEI), entrato in vigore il 22 maggio 2017. Si tratta di uno strumento dalle molteplici potenzialità, finalizzato alla sostituzione tanto del tradizionale strumento della rogatoria, quanto di una serie di Convenzioni preesistenti che regolavano le attività di cooperazione internazionale in materia di acquisizione probatoria. La normativa precedente aveva dato vita ad un quadro giuridico frammentario e disorganico. Tali strumenti infatti si caratterizzavano per la previsione di disposizioni che, in primo luogo tendevano ad occuparsi di singoli profili in ordine alla possibilità di reperire materiale probatorio che si trovasse o che dovesse essere acquisito in territorio straniero, causando una certa complessità delle relative procedure, e secondariamente, presentavano un raggio d'azione piuttosto limitato, talora a causa della prescrizione di rigidi presupposti, talaltra in conseguenza della loro circoscritta applicabilità a determinate tipologie di prove. L'Ordine europeo di indagine si propone l'obiettivo di superare tutto questo, presentandosi come un unico strumento in grado di semplificare le procedure di assistenza giudiziaria relative alla richiesta degli Stati circa il compimento di atti di indagine all'estero, sia a fini investigativi sia a fini probatori.

Data la recente entrata in vigore della Direttiva 2014/41/UE che introduce l'OEI, e sostanzialmente solo a livello dottrinario, si è potuto ragionare sulle prospettive di utilizzazione e di funzionamento dello strumento, in quanto la giurisprudenza, a parte pochissimi casi, non si è trovata ancora nelle condizioni di verificare la sua effettiva portata. La Direttiva è ispirata al principio, che ormai va consolidandosi, del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie. Il legislatore europeo, da un lato, estende l'ambito di applicazione del nuovo

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strumento, ma dall'altro non si preoccupa del problema principale in materia di cooperazione tra gli Stati, vale a dire le differenze sostanziali intercorrenti tra i vari ordinamenti, e lascia molto spazio agli Stati membri in ordine al regime dell'utilizzabilità degli atti di indagine compiuti in un ordinamento diverso da quello in cui questi dovranno poi essere utilizzati. L'assenza di norme armonizzatrici ha dato luogo ad una serie di incertezze e di perplessità, che hanno contribuito, e tuttora contribuiscono a rendere gli Stati membri ancora più restii all'abbandono delle proprie tradizioni e all'accettazione incondizionata dei provvedimenti stranieri. Il deficit, di cui parla la dottrina, riguarda in particolare la portata garantista dell'OEI, in quanto riconoscendo automaticamente il provvedimento straniero, si rischierebbe un'elusione delle garanzie che sono invece previste nell'ordinamento interno. È proprio per questo motivo che il nuovo strumento non abbandona completamente la flessibilità che caratterizzava il sistema precedente di assistenza giudiziaria.

Il presente lavoro è incentrato essenzialmente sull'analisi del decreto legislativo 21 giugno 2017, n. 108, che attua la direttiva in questione, introducendo una disciplina specifica per l'ordinamento italiano. Il decreto tenta di trasporre in maniera più fedele possibile il testo del legislatore europeo alla luce dei principi regolatori in materia probatoria vigenti nel nostro ordinamento, e della tutela dei diritti dei soggetti coinvolti.

La Direttiva non da indicazioni agli Stati membri in merito alla “sorte” degli elementi probatori europei, creando delle difficoltà considerevoli in ordine all'utilizzabilità della prova. Questa problematica emerge non solo in Italia, ma in tutti gli Stati tenuti ad attuare la direttiva, a causa dell'assenza appunto di norme a questo proposito all'interno della direttiva stessa.

Oltre la disciplina italiana, è stata presa in considerazione, nel capitolo finale, l'esperienza spagnola dove non è stata ancora approvata una legge di attuazione della direttiva europea. El proyecto de ley esistente

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al momento, che è volto a modificare la ley 23/2014 de 20 de

noviembre, contenente le norme di attuazione del diritto dell'Unione

europea in materia di adeguamento agli strumenti di riconoscimento reciproco, si presenta anch'esso come un atto piuttosto conforme e fedele alle disposizioni della direttiva.

I vari gruppi parlamentari spagnoli hanno apportato delle modifiche al progetto di attuazione presentato dal governo in modo particolare nei confronti di quelle disposizioni relative all'utilizzabilità della prova raccolta all'estero, e di quelle concernenti i diritti della difesa. La dottrina spagnola ha ravvisato lo stesso pericolo, che ha preoccupato la dottrina italiana, relativo al rischio di elusione delle garanzie nazionali, e sta optando per una soluzione diversa da quella adottata dal nostro legislatore, correndo però il rischio di innescare meccanismi di rigetto da parte della giurisprudenza sovranazionale, la quale ha in passato disapplicato le norme nazionali, sulla base della necessità di tutelare il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'UE.

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CAPITOLO I

La cooperazione in materia penale nell'Unione Europea

1. La creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia Il Trattato sull'Unione europea (TUE) firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 si proponeva di creare, all'interno della neonata Unione, uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui la cooperazione in materia penale1 avrebbe rappresentato uno dei settori dai quali tale spazio sarebbe stato costituito.

Al fine della realizzazione di uno spazio europeo comune, si richiedeva una cooperazione efficace sia tra le forze di polizia sia a livello giudiziario, capace di garantire ai cittadini la sicurezza auspicata, contemperandola allo stesso tempo con la libertà di circolazione delle persone.

Secondo il Trattato sull'Unione europea, la struttura dell'Unione si articolava sull'esistenza dei cosiddetti tre pilastri. Per ciò che interessa in questa sede occorre prestare attenzione al terzo pilastro, originariamente rubricato come “Cooperazione in materia di giustizia e affari interni”, e denominato in epoca successiva “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”, in seguito alle modifiche operate dal Trattato di Amsterdam (1997).

L'esigenza dell'introduzione di modifiche della normativa in vigore era emersa da tempo, ma venne poi concretizzata dalle disposizioni di quest'ultimo Trattato.

C'è chi sostiene, in senso critico, che la mancata definizione di chiari obiettivi, il carattere vischioso e contorto delle norme e l'inadeguatezza degli strumenti d'azione costituivano limiti e carenze che pregiudicavano la concreta efficacia dello spazio di libertà, sicurezza e

1 P.TONINI, in Manuale di procedura penale, Milano, 2014, p.1065, definisce il fenomeno nel seguente modo:“L'espressione “cooperazione internazionale in materia penale” si riferisce all'attività di collaborazione internazionale nella lotta contro il crimine”

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giustizia all'interno dell'Unione europea 2.

In pratica gli ostacoli che si erano posti, emersi dalla prassi applicativa, erano dovuti all'esistenza di un modello poco chiaro e per nulla semplice, che comunque rimase tale anche dopo i cambiamenti apportati; in particolare rimanevano difficoltà di coordinamento e di delimitazione tra le diverse aree di cooperazione.

In seguito alle modifiche in questione gran parte delle materie appartenenti al terzo pilastro furono distribuite tra gli altri due, giungendo ad una situazione in cui all'interno del terzo pilastro rimanevano: la cooperazione di polizia; la cooperazione giudiziaria in materia penale; il ravvicinamento delle normative in materia penale; l'adozione di misure per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni con riferimento alla criminalità organizzata, al terrorismo e al traffico illecito di stupefacenti ( ma il novero dei settori di intervento era ampliabile). La cooperazione fra le forze di polizia, la cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, e soprattutto il ravvicinamento delle normative degli Stati membri in materia penale costituiscono gli strumenti più importanti per la creazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che il TUE si prefigge appunto di realizzare 3. Iniziando dalla cooperazione di polizia, si deve prima di tutto rilevare che essa si esplica attraverso il compimento di attività che hanno principalmente la finalità di prevenire e individuare i reati con le relative indagini. Le autorità attraverso cui avviene tale cooperazione non sono soltanto le forze di polizia ma anche le autorità doganali e amministrative. Uno strumento di cui tali soggetti si avvalgono è rappresentato dalla raccolta e dallo scambio di informazioni, essenziali ad una maggiore efficienza del sistema. A tal proposito sono stati istituiti organi specifici preposti appositamente a questo compito. Si

2 Così U. GUERINI, Il Terzo Pilastro dell'Unione europea, in AA. VV. , in il diritto penale dell'Unione europea: la normativa, la dottrina, la giurisprudenza europea in materia penale e la cooperazione giudiziaria, a cura di U. GUERINI, Torino, 2008, p.78

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tratta in particolare di Europol (Ufficio europeo di polizia) istituito nel 1999, e di Interpol (Organizzazione internazionale della polizia criminale).

Per quanto riguarda la sua struttura, Europol è posto sotto l'autorità di un direttore, che assume il ruolo di rappresentante legale dell'Ufficio, ed è nominato dal Consiglio dell'Unione europea; vi è poi un Consiglio di amministrazione composto da un rappresentante di alto livello di ogni Paese dell'Unione europea e della Commissione europea, esso sorveglia l'attuazione dei compiti attribuiti all'organo e ha funzioni di indirizzo. In ogni Stato è presente un’unità nazionale Europol, che è l'organo di collegamento tra l'Ufficio europeo di polizia e le altre agenzie nazionali. Attraverso tale organo gli Stati membri dell’Unione europea ricevono assistenza per indagini, attività operative e progetti per affrontare minacce criminali.

Europol è contemplato all'interno dell'art. 88 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), il quale dispone che esso

“...ha il compito di sostenere e potenziare l'azione delle autorità di polizia...e la reciproca collaborazione nella prevenzione e lotta contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri...” Si noti

anche il cambiamento di rilevanza del ruolo di Europol, come sostiene qualcuno in dottrina infatti, si parte da un originario ruolo di

“Cervellone informativo”, che diventa molto più importante “una volta apparsa l'inadeguatezza di tale ruolo in rapporto alle esigenze dell'Unione e anche a seguito del buon successo delle prime sperimentazioni operative, oltre che degli sviluppi della cooperazione in materia di giustizia” 4.

Per quanto riguarda Interpol, in maniera simile ad Europol, si può dire che la sua attività mira a favorire la cooperazione internazionale tra i Paesi che vi hanno aderito ed a supportarli in caso di richieste di assistenza internazionali, procedimenti estradizionali e richieste di

4 C.CANZI- U.GUERINI, La cooperazione in materia di giustizia e di affari interni, in AA.VV., in Il diritto penale dell'Unione europea: la normativa, la dottrina, la giurisprudenza europea in materia penale e la cooperazione giudiziaria, cit., p.212

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informazioni.

L'istituzione di appositi organi di ausilio in materia di cooperazione si è avuta anche con riferimento alla cooperazione giudiziaria. Il riferimento è in particolare ad Eurojust, che rappresenta il corrispondente giudiziario di Europol.

Per quanto riguarda la sua struttura, Eurojust è composto da un giudice o magistrato del p.m, oppure un funzionario di polizia con pari prerogative per ogni Stato membro, i quali formano il collegio dell'organizzazione, che elegge un presidente fra i suoi membri.

Nel momento dell'attuazione della decisione istitutiva di Eurojust, i diversi Stati membri hanno proceduto in maniera poco uniforme tra di loro, infatti i pubblici ministeri sono stati designati quali membri nazionali nella maggior parte dei Paesi. Si è osservato quindi che essi sono soggetti appartenenti all'ordine giudiziario inteso in senso lato ma, sono stati designati attraverso un distacco effettivo, e non sono

pertanto più abilitati ad esercitare i poteri giudiziari loro attribuiti dall'ordinamento interno ( per l'Italia vi è quindi una collocazione “fuori ruolo”) 5. Tali modalità attuative sembrano contrastare con gli artt. 2 e 9 della decisione istitutiva, che prevedono espressamente l'attribuzione ai membri nazionali di competenze e poteri di natura giudiziaria.

Spostando invece lo sguardo dalla composizione alla sua funzione, si può rilevare che Eurojust si occupa di sostenere il coordinamento e la collaborazione giudiziaria tra le amministrazioni nazionali nelle attività di contrasto del terrorismo e delle gravi forme di criminalità organizzata che interessano i Paesi dell'Unione europea, oppure uno Stato membro ed uno Stato terzo, qualora questo abbia stipulato un

5 In tal senso C. M. PAOLUCCI, in Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, Milano, 2011, p.461, sostiene che l'autorità giudiziaria italiana, anche condividendo le argomentazioni di Eurojust, non avrebbe alcuno strumento per trasporre una decisione dell'ente che indica uno Stato piuttosto che un altro affinchè proceda per fattispecie penali che coinvolgano più giurisdizioni nazionali, in quanto nel nostro ordinamento vige il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, e pertanto non avremmo la possibilità di chiudere un procedimento, mancando allo stato una regolamentazione della litispendenza internazionale.

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accordo di cooperazione. In ordine alle sue competenze, si consideri che tra le più importanti vi è la possibilità che Eurojust avvii un'indagine o azioni penali per fatti precisi, oppure che istituisca una squadra investigativa comune in conformità alle disposizioni della Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000.

Tuttavia col passare del tempo furono altri gli strumenti adottati da parte del Consiglio dell'Unione europea che ampliarono le competenze dell'organo, soprattutto con riferimento ai pareri richiesti, alle informazioni trasmesse e alle comunicazioni da parte delle autorità competenti degli Stati membri; per fare un esempio, queste ultime possono rivolgersi ad Eurojust quando riscontrano problemi nell'esecuzione di una rogatoria in materia bancaria, al fine di sollecitare il coordinamento attraverso cui giungere alla soluzione del problema.

Il coordinamento tra Eurojust ed Europol appare fondamentale alla migliore attuazione dei compiti attribuiti loro, in quanto l'area di operatività di entrambi gli organi è sostanzialmente omogenea.

Essi vennero istituiti in occasione del Consiglio europeo di Tampere con l'obiettivo di potenziare la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, e oggi hanno entrambi sede all'Aia.

Si trattò più specificamente di un Consiglio europeo straordinario tenutosi il 15 e 16 ottobre 1999 durante il quale si discusse delle questioni di giustizia e affari interni. Secondo il programma predisposto in quella occasione la libera circolazione delle persone doveva comunque svolgersi in condizioni di sicurezza e di giustizia e ai cittadini sarebbe dovuta essere garantita la possibilità di rivolgersi alle autorità giudiziarie di altri Stati, al fine di ottenere tutela giurisdizionale attraverso decisioni giudiziarie e sentenze emesse dalle magistrature degli Stati membri, e riconosciute da tutti gli altri Paesi 6. Emerse l'attenzione che in futuro continuò ad essere dedicata alle cause giudiziarie transfrontaliere e comunque in generale a questi temi;

6 Cfr. Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Tampere 15 e 16 ottobre 1999, punto 2 e punti 5, 33 -37

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attenzione che condusse alla creazione di norme minime comuni per la redazione dei formulari e dei documenti multilingui da utilizzare nelle cause giudiziarie transnazionali all'interno dell'Unione.

L'intero programma predisposto dal Consiglio europeo di Tampere individuò per la prima volta alcune linee di politica criminale dell'Unione europea, muovendosi secondo tre linee di intervento: promozionale, preventivo e repressivo.

Il tentativo era quello di dare vita ad una politica criminale integrata dell'Unione, da un lato si pensava ad un'Europa che tutela i diritti dell'uomo all'interno dello stato democratico ma che, per sconfiggere le cause che generano le patologie sociali e la criminalità, cerca di difendersi creando una strategia attiva in cui un ruolo molto importante è esercitato dalla prevenzione, e quindi dal potenziamento delle istituzioni di controllo e di intelligence. L'aspetto più propriamente repressivo invece mira all'armonizzazione delle legislazioni penali e processuali degli Stati membri.

A questo proposito si può rilevare che l’attribuzione all’Unione europea di una competenza penale indiretta incentrata sull'emanazione di direttive d’armonizzazione ha costituito un momento della costruzione europea tanto cruciale quanto problematico, specialmente per quanto riguarda l’armonizzazione accessoria, di cui all'articolo 83.2 TFUE. Accessoria in quanto viene attribuita ad essa funzione di completamento riguardo alle rispettive misure extrapenali di armonizzazione, permettendo che nei rispettivi settori normativi il processo di ravvicinamento investa anche il versante sanzionatorio. Questa norma consente di estendere l’ambito del penalmente rilevante al di là di quanto già previsto come tale nei singoli Stati membri. In questa prospettiva, la previsione del cosiddetto “freno d'emergenza”, di cui all'articolo 83.3 TFUE, che rappresenta il rimedio esperibile da parte di ogni membro del Consiglio a tutela del proprio ordinamento giuridico nazionale, ha forse contribuito a rendere più esiguo il gruppo dei Paesi membri che hanno deciso, con apposite clausole di opt out, di

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non partecipare allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 7.

La linea seguita dal programma di Tampere venne ripresa successivamente dal programma dell'Aia del 10 maggio 2005, che conteneva dieci punti. Tra questi figurava la lotta antiterrorismo e la lotta contro la criminalità organizzata, da affrontare sfruttando gli strumenti esistenti che avrebbero dovuto potenziare la cooperazione tra gli Stati 8. Sulla stessa linea d'onda di tali programmi si mosse anche quello di Stoccolma nell'anno 2010, che fu poi seguito dalle conclusioni adottate dal Consiglio europeo a Ypres del 26-27 giugno del 2014. Questi ultimi orientamenti più recenti sono subentrati al programma di Stoccolma e sono destinati a guidare l'azione dell'Unione europea nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia durante il quinquennio 2015-2020.

Secondo autorevole opinione, sebbene il Consiglio si ponga come obiettivo fondamentale per l'azione dell'Unione quello di garantire un autentico spazio di sicurezza ai cittadini europei attraverso la cooperazione di polizia e la prevenzione e la lotta contro le varie forme di criminalità, tale“prospettiva di per sé risulta così generica da essere

insufficiente a consentire di prevedere l'eventualità e il contenuto di ulteriori sviluppi normativi in materia” 9.

In ogni caso è stato osservato che proprio in tali orientamenti si ritrova l'implementazione di un maggiore ruolo di supporto dell'Unione europea alle autorità nazionali per il tramite del coordinamento Europol, e per Eurojust, prevedendo inoltre il miglioramento dello scambio transfrontaliero di informazioni, compreso sui casellari giudiziari.

Tuttavia già in passato e più specificamente dagli anni del programma

7 Per queste considerazioni si veda A. BERNARDI, La competenza penale accessoria dell'Unione europea, in www.penalecontemporaneo.it, rivista 1/2012, p. 38

8 Cfr. Programma dell'Aia: rafforzamento della libertà, della sicurezza, e della giustizia nell'Unione europea, punto 2.2, in Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, 03.03.2005

9 Così si esprime E. COTTU, Il consiglio europeo adotta i nuovi orientamenti strategici per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il quinquennio 2015-2020, in www.penalecontemporaneo.it, 22 luglio 2014

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di Tampere, in materia di giustizia penale emergeva la necessità dell'affermazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale, il quale avrebbe dovuto sostituire la cooperazione giudiziaria tradizionale ma che divenne in sostanza poco operativo a causa dell'emersione di alcune difficoltà non semplici da superare.

2. Il principio del mutuo riconoscimento e la libera circolazione delle prove

Il principio del mutuo riconoscimento all'interno del nostro ordinamento è regolato dal secondo comma dell'articolo 696bis del codice di procedura penale e dalle leggi attuative del diritto dell'Unione europea 10.

Innanzitutto il principio in questione costituisce il fondamento della cooperazione giudiziaria sia civile sia penale.

Riconoscere una decisione emessa da un giudice penale di uno Stato membro significa attribuirle gli stessi effetti giuridici che verrebbero prodotti se fosse stata una decisione interna. Si tratta in sostanza di un'attività automatica basata su un atteggiamento di fiducia reciproca, ma soprattutto di un affidamento fatto sulla decisione emessa dall'autorità straniera. Viene meno così la necessità di fare ricorso a incerte procedure di riconoscimento della decisione, rese invece necessarie in un contesto in cui la diversità regna sovrana. Ma appunto, per poter ben funzionare il principio del mutuo riconoscimento necessita di una previa opera di ravvicinamento delle legislazioni nazionali, in grado di attenuare le divergenze sussistenti tra queste ultime, fino a raggiungere quell'equivalenza sostanziale, su cui è incardinato il mutuo riconoscimento stesso. Le divergenze esistenti a

10 L' art. 696 bis cpp introdotto dal d.lgs 3 ottobre 2017 n 149 recita: “Le decisioni e i provvedimenti giudiziari emessi dalle competenti autorità degli altri Stati membri possono essere riconosciuti ed eseguiti nel territorio dello Stato; l’autorità giudiziaria può richiedere alle competenti autorità degli altri Stati membri l’esecuzione dei propri provvedimenti e decisioni”

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livello nazionale rappresentano il fattore maggiormente influente sul funzionamento del principio in esame 11.

La creazione di quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia auspicato, mediante un meccanismo automatico di questo tipo, rischierebbe infatti di appiattire le garanzie e le tutele che lo Stato pone all'interno del proprio ordinamento.

La concreta operatività di tale principio ha comunque trovato ostacoli all'interno dell'Unione a causa dell'assenza di un processo di armonizzazione dei sistemi penali e processuali degli Stati membri. Per fare un esempio, basti pensare al fatto che il nostro ordinamento, al fine dell'esecuzione di una decisione giudiziaria, richiesta da un'autorità straniera, come è successo in relazione al mandato di arresto europeo, ha dovuto richiedere l'intervento nomofilattico della Corte di Cassazione, la quale ha dovuto comporre interpretazioni e conseguenti applicazioni contenute all'interno della decisione quadro relativa ad esso 12.

Da tutta questa situazione discendono delle osservazioni interessanti formulate da gran parte della dottrina, che evidenzia il fatto che

“raramente gli Stati membri, già restii ad abdicare a porzioni della propria sovranità nazionale, siano disposti ad accettare l'ingresso nel proprio ordinamento di atti formati all'estero senza il rispetto di quei requisiti minimi in grado di offrire livelli di garanzia, sul piano della tutela sostanziale dei diritti, omogenei a quelli di ciascuno Stato membro” 13.

Pertanto l'atteggiamento di fiducia che sta alla base dell'operatività del principio del riconoscimento reciproco può effettivamente esistere se lo Stato membro diverso da quello di cui il soggetto abbia la

11 L.MARAFIOTI, Orizzonti investigativi europei, assistenza giudiziaria e mutuo riconoscimento, in AA.VV. , in L'ordine europeo di indagine: criticità e prospettive, a cura di T. BENE, L, LUPARIA, L. MARAFIOTI, Torino, 2016, p.13

12 Cfr. A. VENEGONI, La giurisprudenza sul mandato di arresto europeo, in Rassegna della giurisprudenza di legittimità, Roma, 2017, volume I, p. 587 e ss 13 Ancora L.MARAFIOTI, Orizzonti investigativi europei, assistenza giudiziaria

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cittadinanza ponga particolare attenzione alla tutela dei diritti processuali della persona coinvolta in procedimenti penali entro il suo territorio. A questo proposito qualcun' altro ha rilevato che l'attività normativa dell'Unione europea ha tenuto presente, abbastanza costantemente, i diritti processuali dei soggetti coinvolti in un procedimento penale e, pertanto si è comunque mossa in tal senso attraverso l'adozione di direttive al riguardo, tra cui si ricorda quelle che tutelano il diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Indagati e imputati sono così titolari del diritto di usufruire gratuitamente di interpretazione e traduzione in tutte le fasi del procedimento 14.

In base all’art. 82 § 2 TFUE, l’Unione è legittimata a servirsi delle direttive, con tutti gli effetti che ne derivano, posta la (quasi) completa operatività dell’acquis comunitaire, per tutelare più efficacemente i diritti dell’imputato e delle vittime, al fine di realizzare un pieno sistema di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Il quadro normativo che se ne ricava appare più sensibile (o meno insensibile) alle istanze della difesa dell’imputato. Dal punto di vista quantitativo, si contano quattro direttive adottate in materia di salvaguardie difensive, e due nel settore del mutuo riconoscimento 15.

Ai sensi degli artt. 82 e 83 TFUE gli organi competenti in materia sono il Parlamento e il Consiglio ai quali è attribuito il compito anche di adottare misure di vario tipo, più precisamente volte a “definire norme

e procedure per assicurare il riconoscimento in tutta l'Unione di qualsiasi tipo di sentenza e di decisione giudiziaria; prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione tra gli Stati membri; sostenere la formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari; facilitare la cooperazione tra le autorità giudiziarie o autorità omologhe degli 14 N. PARISI, Riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali, confiance mutuelle e armonizzazione delle garanzie procedurali negli stati membri, in www.europeanrights.eu, 15/09/2011, p.504 e ss

15 Così si esprime M.CAIANIELLO, Dal terzo pilastro ai nuovi strumenti: diritti fondamentali, “road map”, e l'impatto delle nuove direttive, in www.penalecontemporaneo.it, rivista 4/ 2015, p. 76

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Stati membri in relazione all'azione penale e all'esecuzione delle decisioni” 16.

Si trae quindi la conclusione secondo la quale la necessaria fiducia che dovrebbe ispirare l'atteggiamento degli Stati non può allora che essere costruita attraverso un previo ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri affinchè i relativi sistemi di giustizia possano disporre di un patrimonio comune di valori giuridici e di diritti fondamentali omogenei. Soltanto allora sarà possibile parlare di libera circolazione della prova.

2.1 Gli strumenti giuridici anteriori alla Direttiva 2014/41/UE

La Direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio rappresenta un nuovo e attuale strumento giuridico che è apparso fin da subito come la potenziale soluzione in materia di cooperazione penale ai problemi emersi in passato nel settore relativo all'acquisizione probatoria nei procedimenti aventi carattere transnazionale.

Essa mira a sostituire una serie di atti preesistenti che regolamentavano proprio la materia dell'assistenza giudiziaria e della cooperazione in materia penale.

“La direttiva 2014/41 costituisce un unico strumento di acquisizione di

qualsiasi tipo di prova, tale da sostituirsi alle tradizionali rogatorie, ma anche ai diversi strumenti adottati nel contesto del Consiglio d'Europa e dell'Unione europea sul tema della raccolta e dello scambio di informazioni e prove penali”17.

Ma era già dall'anno 2009 che era emersa la necessità di creare un unico strumento europeo di raccolta transnazionale delle prove. La Commissione europea aveva pertanto lanciato un processo di consultazione con la pubblicazione di un Libro Verde sulla ricerca delle prove in materia penale e sulla loro ammissibilità. L'obiettivo era

16 Cfr. artt. 82 e 83 TFUE

17 R.PICCIRILLO, I profili funzionali e strutturali dell'Ordine europeo di indagine penale, in AA. VV. , l'ordine europeo di indagine: criticità e prospettive, cit., p.57

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presentare, nel 2011, una proposta di direttiva sul tema. Successivamente, il Programma di Stoccolma, già menzionato, affermava la necessità di proseguire ulteriormente l'istituzione di un sistema generale di acquisizione delle prove nelle cause aventi dimensione transfrontaliera, basato sul principio di riconoscimento reciproco. Così fu nell'aprile 2010 che, un gruppo ristretto di Stati membri (Belgio,Bulgaria, Estonia, Spagna, Austria, Slovenia e Svezia) presentò al Consiglio la proposta di direttiva sull'Ordine Europeo di Indagine, approvata nell'aprile 2014 all'esito di un lungo e complesso negoziato.

La direttiva sostituisce una serie di atti tra cui la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale adottata dal Consiglio d’Europa il 20 aprile 1959, con i relativi protocolli addizionali e con gli accordi bilaterali stipulati a norma dell’art. 26 della Convenzione; la Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, ratificata dall’Italia con legge 30 settembre 1993, n. 388; la Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 sull’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea (M.A.P.), recentemente attuata in Italia con il D. lgs. 5 aprile 2017, n. 52; la Decisione quadro 2003/577/GAI relativa all’esecuzione dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio, attuata nel nostro ordinamento con D. lgs. 15 febbraio 2016, n. 35, entrato in vigore il 26 marzo 2016; la Decisione quadro 2008/978/GAI in tema di mandato europeo di ricerca delle prove (M.E.R.), mai trasposta nel nostro ordinamento e comunque abrogata, prima della scadenza del termine di trasposizione della Direttiva OEI, dal Regolamento 95/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 Gennaio 2016 18.

Si può notare dalla rassegna appena esposta la molteplicità di fonti che costituivano il quadro giuridico di riferimento in materia di acquisizione probatoria nelle fattispecie criminali che si pongono al di là dei confini nazionali, ed oggi in numero sempre crescente.

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CAPITOLO II

La Direttiva 2014/41/UE: Ordine europeo di indagine penale

1. Contesto e obiettivi

La Direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 si inserisce in un contesto in cui il quadro giuridico in materia di indagine penale in relazione a quelle fattispecie criminose, la cui peculiarità consiste nella loro dimensione transfrontaliera, appare frammentario e disorganico, come precedentemente descritto.

Le numerose fonti nei confronti delle quali tale direttiva intende sostituirsi si occupavano infatti di profili separati l'una dalle altre, a causa dell'inesistenza tra gli Stati membri di norme comuni, che potessero in qualche modo costituire il sostrato normativo dei diversi atti che disciplinavano la materia.

Come nota qualcuno in dottrina19, alcuni strumenti giuridici sono più datati nel tempo, si pensi alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale adottata dal Consiglio d'Europa il 20 aprile del 1959, mentre altri, come la decisione quadro 2008/978/ GAI, sono invece più recenti. In ogni caso ciò su cui viene posta l'attenzione è il fatto che ciascuno di questi strumenti presentava un raggio d'azione limitato, o comunque circoscritto, e pertanto utilizzabile efficacemente soltanto in determinate situazioni.

Questo nuovo strumento giuridico invece, si propone di superare le soluzioni finora proposte che non hanno dato i risultati sperati, mediante un atteggiamento notevolmente diverso, di cui le innovazioni introdotte dalla direttiva, (si pensi all'ampliamento delle possibilità di utilizzo), ne sono chiaramente espressione.

Al contrario, la decisione quadro richiamata atteneva esclusivamente alle prove precostituite, di conseguenza gli interrogatori, le ispezioni personali, l'assunzione di dichiarazioni da soggetti indiziati, testimoni,

19 R.PICCIRILLO, I profili funzionali e strutturali dell'Ordine europeo di indagine penale, cit. , p.58

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periti non erano inclusi nel suo ambito operativo.

Anche la decisione quadro 2003/577/GAI che precede quella succitata, contiene delle previsioni, che danno origine a procedure più complesse ai fini dell'ottenimento della prova, e di conseguenza risultati meno rapidi ed efficienti. Non è prevista infatti una procedura unica ma una procedura divisa in più fasi, con la conseguenza dell'esistenza di un modello piuttosto complicato.

Secondo autorevole opinione, la decisione quadro del 2003 sul congelamento dei beni si prestava senza dubbio a un intervento veloce limitatamente alla apprensione della res oggetto di un ipotetico provvedimento di sequestro; ma d'altra parte, non risultava poi invocabile per quel che concerne la successiva consegna, obbligando le istituzioni giudiziarie interessate a ricorrere o ai vecchi meccanismi delle rogatorie, o, successivamente all’entrata in vigore del mandato di ricerca delle prove, a questo nuovo strumento di cooperazione giudiziaria, per quei Paesi che lo avessero recepito 20.

Da tale esigenza di semplificazione si spiega bene la finalità del nuovo strumento analizzato, qualcuno afferma infatti che “l'obiettivo

perseguito con l'Ordine Europeo di Indagine è quello di sostituire, nei rapporti tra gli Stati membri, gli attuali strumenti di cooperazione in materia di ricerca e di acquisizione della prova, con un nuovo e più agile modello a carattere “orizzontale”, applicabile a qualsiasi atto di indagine penale, fatta eccezione soltanto per il materiale raccolto dalle squadre investigative comuni”21.

L'Ordine europeo di Indagine penale è destinato dunque ad operare all'interno del mondo delle prove, nessuna esclusa; presentando un raggio d'azione che abbraccia tendenzialmente tutte le tipologie, sia quelle precostituite sia quelle costituendae.

20 M. CAIANIELLO, La nuova direttiva UE sull'ordine europeo di indagine penale tra mutuo riconoscimento e ammissione reciproca delle prove, in processo penale e giustizia, n 3/ 2015, p.2

21 Così si esprime L. CAMALDO, in La direttiva sull'ordine europeo di indagine penale (OEI): un congegno di acquisizione della prova dotato di molteplici potenzialità, ma di non facile attuazione, in www.penalecontemporaneo.it, 27 maggio 2014

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2. I principi di equivalenza e proporzionalità...criticità

Il principio di equivalenza è contenuto all'interno degli artt. 52.3 e 4, e 53 della Carta di Nizza.

Da tale principio discende che il livello di tutela garantita ai diritti fondamentali dal diritto dell'Unione europea non dovrebbe essere inferiore a quello che essi ricevono dal sistema della CEDU, dagli ordinamenti nazionali e dall'ordinamento internazionale, vale a dire gli altri ordinamenti con cui l'Unione si trova ad interagire.

Come nota la dottrina l'effettività di questo principio sembra rappresentare un’aspirazione ideale piuttosto che una soluzione sempre concretamente praticabile, poiché il bilanciamento tra gli obiettivi dell'Unione e i diritti fondamentali, contenuto nei trattati UE, non è sempre possibile, in quanto sono ipotizzabili situazioni in cui l’equivalenza potrebbe essere realizzata solo al costo della vanificazione degli obiettivi dell’Unione 22.

In questo contesto si inserisce il principio di proporzionalità, che si pone come correttivo al principio di equivalenza; secondo l'art. 52.1 della Carta di Nizza: “Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e

delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”.

Sono necessarie dunque, come emerge dalla lettera dell'articolo, tre tipi di verifiche, che una volta riscontrate, potranno dare luogo alla limitazione del diritto fondamentale: più specificamente tale limitazione, prevista da una norma UE, deve perseguire “finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione” o deve essere prevista in

22 Per queste considerazioni v. M. DANIELE, La metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva sull'ordine europeo di indagine penale, in www.penalecontemporaneo.it, rivista 4 / 2015, p. 92

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funzione dell' “esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”; oppure devono esistere fattori di compensazione capaci di “rispettare il contenuto essenziale” del diritto fondamentale; ed infine la limitazione deve essere strettamente “necessaria”, non esistendo alternative meno invasive per il diritto fondamentale, ugualmente capaci di assicurare l’obiettivo perseguito 23.

Tuttavia la giurisprudenza europea nel contesto specifico della cooperazione giudiziaria sembra essere più incline e più sensibile al raggiungimento degli obiettivi dell'Unione, facendo leva sulla tutela del primato, dell'unità e dell'effettività del diritto UE.

In alcuni casi la Corte di Giustizia ha comunque tenuto un atteggiamento consapevole e rispettoso nei confronti dei principi di equivalenza e di proporzionalità, nella sentenza Digital Rights Ireland

Ltd,24 per esempio, ha dichiarato l'invalidità della Direttiva sulla conservazione dei dati inerenti al traffico telefonico a scopi di indagine, accertamento e perseguimento dei reati, che prevedeva la possibilità di conservare una massa illimitata di dati attinenti alla vita privata delle persone per un tempo irragionevole, violando in questo modo il criterio di stretta necessità, essendo assenti norme che obblighino ad accertare la reale indispensabilità della conservazione per la lotta alla criminalità. Vennero ravvisate dalla Corte, nel caso di specie, violazioni dei diritti al rispetto della vita privata, della protezione dei dati di carattere personale e di libertà di espressione, e venne pertanto dichiarata l'invalidità della direttiva in questione, una volta rilevata la sproporzione tra il sacrificio imposto alla riservatezza dei singoli e l’obiettivo della misura. Furono così definiti standard di tutela analoghi a quelli apprestati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella decisione Marper c. Regno Unito 25.

Infatti secondo qualcuno “è la consolidata opera interpretativa della

Corte di Strasburgo a rappresentare tuttora il più importante punto di 23 Ancora M. DANIELE, La metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva

sull'ordine europeo di indagine penale, cit., p. 92

24 Cfr. CGUE, Grande Sezione, 08 aprile 2014, caso Digital Rights Ireland Ltd 25 Cfr. C. eur. dir. uomo, 04 dicembre 2008, caso Marper c. Regno Unito

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riferimento riguardo alle applicazioni del principio di proporzionalità nella materia degli strumenti di controllo che comportano un’ingerenza delle autorità nella vita privata dei singoli”26.

In altri casi invece 27, la Corte di giustizia ha emesso decisioni restringendo la tutela dei diritti, a favore della considerazione di elementi di altro tipo, ritenendo sufficienti le previsioni delle disposizioni della Carta di Nizza, le quali, come tuttavia è stato autorevolmente sostenuto risultano comunque essere una garanzia incompleta 28.

In relazione all'Ordine europeo di indagine penale, il principio di proporzionalità è richiamato in diversi articoli 29, ma per il momento, data la recente entrata in vigore della Direttiva, possono essere fatte soltanto delle previsioni sull'uso futuro dei canoni di equivalenza e di proporzionalità.

All'interno del nostro ordinamento i due principali campi di intervento, sui quali parte della dottrina si è espressa sono costituiti dalla tutela del diritto al confronto e dalla tutela del diritto alla riservatezza.

Per quanto riguarda il diritto al confronto occorre distinguere la versione forte dell'articolo 11.4 della Costituzione dalla versione debole declinata dagli articoli 111.3 della Costituzione e 6.3 della Cedu. La prima versione prevede il principio del contraddittorio nella formazione della prova ed esige l'esame incrociato che, secondo il criterio della lex loci, andrebbe applicato anche nel caso in cui la richiesta di esaminare un dichiarante provenisse da un'autorità giudiziaria straniera. D'altra parte invece, secondo la versione debole basta che all'accusato sia fornita l'occasione adeguata e sufficiente di contestare una testimonianza a carico e di esaminarne l'autore al momento della deposizione, o anche in seguito, in assenza della quale

26 Così si esprime F. NICOLICCHIA, Il principio di proporzionalità nell'era del controllo tecnologico e le sueimplicazioni processuali rispetto ai nuovi mezzi di ricerca della prova , in www.penalecontemporaneo.it, 08.01.2018, p. 4

27 Cfr. CGUE, 29 gennaio 2013, caso Radu

28 Per queste considerazioni si veda M. DANIELE, La metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva sull'ordine europeo di indagine penale, cit., p. 94 29 Si vedano gli art. 6 § 1 lett. a, e 10 § 3

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la dichiarazione subirebbe un'attenuazione del suo peso conoscitivo tale per cui essa non potrebbe fondare “unicamente o in misura

determinante” una sentenza di condanna 30.

Come questa stessa dottrina sottolinea, il diritto al confronto appare suscettibile di concretizzarsi nei due modi diversi appena descritti. Questo è dovuto alla sua duplice funzione, garantistica ed epistemica31. Per quanto concerne invece la tutela del diritto alla riservatezza, si deve osservare che determinate operazioni istruttorie quali perquisizioni, sequestri in luoghi privati, e intercettazioni di comunicazioni, si pongono in tensione con la tutela di tale diritto 32. La Direttiva 2014/41/UE Ordine europeo di indagine penale presenta delle lacune relative alla tutela del diritto alla riservatezza. Si deve pertanto tenere conto del fatto che è necessaria la presenza di una previsione legislativa dotata di sufficiente precisione, affinchè possa essere operata una sua restrizione, ed in ogni caso essa deve avvenire nel rispetto delle condizioni imposte dal principio di proporzionalità. Devono essere quindi fissate delle garanzie ineliminabili, al fine di colmare le lacune presenti nella direttiva. Tra queste garanzie la riserva di giurisdizione riveste un ruolo molto importante, in quanto all'interno della stessa direttiva non vi è una demarcazione proprio netta, nel senso che: “L’art. 2 c prevede che ad emettere un ordine europeo di

indagine potrebbe essere non solo un giudice, ma anche un “magistrato inquirente o un pubblico ministero competente nel caso interessato”. L’art. 2 d, dal canto suo, identifica l’autorità di esecuzione con l’autorità competente in base “alle procedure 30 Cfr. C. eur. dir. uomo, 15 dicembre 2011, caso Al Khawaja e Tahery c. Regno

Unito

31 M.DANIELE specifica che: “il diritto al confronto non solo consente alla difesa di contestare le prove dichiarative portate dall'accusa, aumentando le changes dell'accusato di ottenere una decisione favorevole; ma permette anche di raccogliere dichiarazioni più attendibili dal punto di vista cognitivo, in quanto dialetticamente testate”, in la metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva sull'ordine europeo di indagine penale, in www.penalecontemporaneo.it, 4 / 2015; e nello stesso senso R.PICCIRILLO, i profili funzionali e strutturali dell'Ordine europeo di indagine penale, cit. , p.74

32 Per la trattazione dell'attuazione della Direttiva 2014/41/UE all'interno del nostro ordinamento v. infra Cap. III

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applicabili in un caso interno analogo”: anche, pertanto, un pubblico ministero o addirittura un membro della polizia, laddove ciò fosse previsto dal diritto nazionale” 33.

Inoltre, devono essere comunque rispettati quei requisiti e quei presupposti che la legge prescrive per il compimento di determinate operazioni istruttorie, si pensi alle perquisizioni e al fatto che nel nostro ordinamento giuridico per esempio esse si fondino sul ragionevole sospetto della presenza in un dato luogo di cose pertinenti al reato, o ancora alle intercettazioni, che presuppongono l'esistenza di indizi di reato e la necessità, contrariamente a ciò che la direttiva afferma all'interno dell'art. 30.4. Secondo tale previsione infatti, “l'autorità di emissione indica nell' OEI i motivi per cui considera l'atto di indagine richiesto utile al procedimento penale interessato”. Più che di necessità sembra quindi trattarsi di rilevanza 34.

In ogni caso il vaglio di proporzionalità deve essere operato sia nella fase di emissione, sia in quella di attuazione: a tal proposito, ove lo Stato di esecuzione nutra dei dubbi circa il rispetto del principio in esame, deve consultarsi con le autorità emittenti 35.

In sostanza, in materia di proporzionalità ci troviamo di fronte ad una deroga al mutuo riconoscimento, dal momento che entrambe le autorità giudiziarie devono separatamente effettuare lo stesso controllo, provvedendo a consultarsi in caso di contrasto 36.

Per quanto concerne i profili critici si deve partire dalla considerazione secondo la quale il principio di proporzionalità si pone sia a monte, come criterio guida per l’attività legislativa, nel momento in cui essa si accinge ad operare limitazioni dei diritti fondamentali dei singoli sia, in un momentosuccessivo, qualeparametro di verifica della legittimità

33 M.DANIELE, La metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva sull'ordine europeo di indagine penale, cit., p. 97

34 Ancora M. DANIELE, La metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva sull'ordine europeo di indagine penale, cit., p. 97

35 Si veda l'art. 6 § 2 Direttiva 2014/41/UE

36 M. CAIANIELLO, La nuova direttiva UE sull'ordine europeo di indagine penale tra mutuo riconoscimento e ammissione reciproca delle prove, in Processo penale e giustizia, n3/ 2015, p. 6

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delle scelte così effettuate, rifuggendo da una sua pericolosa applicazione su base concreta al fine di giustificare contingenti e mutevoli soluzioni interpretative del dato legale. Questo duplice ruolo evidenzia la dimensione astratta del principio di proporzionalità. C'è chi attribuisce al principio in esame il ruolo di criterio di verifica in negativo delle scelte legislative che comportano limitazioni ai diritti fondamentali dei singoli, dando vita ad alcune perplessità, poiché in questo modo viene ignorata l'essenza relativistica tipica del principio stesso, dato che il giudizio di bilanciamento tra valori, che costituisce il vero oggetto del principio di proporzionalità, è discrezionale.

Tra le perplessità e le criticità rilevate si può osservare che indubbiamente la valorizzazione del canone è comunque necessaria, ed è indicata dalla portata garantista dimostrata dal principio stesso, con specifico riguardo all’ambito dei controlli occulti finalizzati alla raccolta di elementi di prova nella sede del procedimento penale.

“Tuttavia occorrerà evitare che il valore in questione finisca col rappresentare un pretesto per legittimare una concezione attenuata della legalità processuale, demandando così all’autorità procedente il compito di effettuare penetranti bilanciamenti discrezionali involgenti valori di centrale rilevanza” 37.

Nel nostro ordinamento, sempre sulla stessa linea delle criticità rilevate, è stato notato che il giudizio di proporzionalità non viene in alcuni casi impiegato al fine di valutare l’adeguatezza e la necessità delle limitazioni imposte al diritto alla riservatezza, ovvero la correttezza del bilanciamento di valori operato a monte dal legislatore nel momento in cui introduce dette restrizioni. “Esso viene invece

ricondotto alla più banale e pericolosa funzione di strumento ermeneutico utilizzabile dal giudice al fine di giustificare, con ampio margine di discrezionalità, le intrusioni volta per volta realizzate” 38. 37 Esprime tali preoccupazioni F.NICOLICCHIA, Il principio di proporzionalità

nell'era del controllo tecnologico e le sue implicazioni processuali rispetto ai nuovi mezzi di ricerca della prova, cit., p. 16

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C'è infatti chi sostiene che coloro che temono l'impiego del principio di proporzionalità dovrebbero fare i conti con il prospettarsi di un altro pericolo ancora maggiore; l’alternativa alla proporzionalità non è la legalità nazionale, non invocabile in un contesto in cui, fino a quando non si introdurranno regole probatorie di natura federale sufficientemente precise, continueranno a regnare le formule ambigue tipiche della cooperazione orizzontale. L’alternativa è il puro e semplice arbitrio giurisprudenziale, ossia, in un’eterogenesi dei fini, proprio l’azzeramento della legalità 39.

In una situazione giuridica in cui i nuovi strumenti di controllo esistenti, (si pensi al pedinamento satellitare) nei confronti dei quali le prerogative tradizionali si dimostrano inadatte ad offrire protezione e tutela dei nuovi diritti nascenti (ad esempio il diritto alla riservatezza informatica), il principio di proporzionalità si pone come un punto di partenza, altrimenti il suo scrutinio finirebbe per essere inutile e quindi per rappresentare un'arma spuntata, considerando il fatto che i nuovi mezzi di ricerca della prova tecnologicamente assistiti non sono ancora completamente individuati e quindi danno luogo a difficoltà concernenti il parametro da bilanciare e le esigenze di accertamento poste a giustificazione del ricorso a questi ultimi 40.

3. I presupposti per il compimento degli atti istruttori: il sovrapporsi della lex fori e della lex loci

Uno Stato che intenda ricercare, acquisire e utilizzare in un proprio procedimento penale una qualsiasi prova deve muoversi entro certi confini di azione e di possibilità determinati.

tecnologico e le sue implicazioni processuali rispetto ai nuovi mezzi di ricerca della prova , cit., p. 11

39 Per queste considerazioni si veda M. DANIELE, L'ordine europeo di indagine penale entra a regime. Prime riflessioni sul d. lgs. n.108 del 2017, in www.penalecontemporaneo.it, fascicolo 7-8/2017, p. 215

40 Ancora F.NICOLICCHIA, Il principio di proporzionalità nell'era del controllo tecnologico e le sue implicazioni processuali rispetto ai nuovi mezzi di ricerca della prova, cit., p.17

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Prima del raggiungimento dell'obiettivo finale si attraversano più passaggi, regolati in vario modo da uno Stato a un altro. Queste regole rappresentano il frutto di scelte legislative che costituiscono il risultato di operazioni di bilanciamento tra i valori in gioco all'interno di ogni ordinamento giuridico.

Si pensi alla necessità di tutelare i diritti fondamentali conseguendo al contempo il miglior accertamento dei fatti possibile, e al perseguimento di una sempre più desiderata efficienza processuale 41. Essendo diverse le regole probatorie previste nei vari ordinamenti statali, le norme in materia di cooperazione giudiziaria penale dovranno tenere conto delle differenze intercorrenti stabilendo se prevale la lex loci, vale a dire le regole dello Stato in cui le prove sono raccolte, oppure la lex fori, ovvero quelle dello Stato che ha richiesto assistenza giudiziaria, nel quale le prove dovrebbero essere poi utilizzate.

Analizzando la Direttiva 2014/41/UE si rileva che la scelta al proposito non è netta, ne deriva un modello ibrido sotto questo profilo, che sancisce la prevalenza dell'una o dell'altra lex a seconda dei casi. Tuttavia non può non essere osservato che la direttiva contiene diverse previsioni che contemplano la possibilità di consultazione tra le autorità, attribuendo un ruolo significativo al dialogo e alla comunicazione tra le stesse.

La disciplina dei termini è espressione di questa considerazione, infatti in ogni caso è stabilito, all'interno dell'articolo 12 della direttiva, che i termini per il compimento dell'atto di indagine sono abbastanza brevi. La decisione sul riconoscimento o sull'esecuzione è adottata il più rapidamente possibile e non oltre trenta giorni dalla ricezione dell'OEI; ma nel caso in cui l'autorità di emissione abbia indicato termini più brevi spiegando le ragioni dell'urgenza oppure abbia indicato una data specifica per il compimento dell'atto di indagine, l'autorità di esecuzione deve tenere in considerazione tale esigenza e, se questo non

41 Cfr. M. DANIELE, La metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva sull'ordine europeo di indagine penale, cit., p. 87

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risulta possibile deve informare l'autorità competente dello Stato di emissione con qualsiasi mezzo disponibile, indicando il termine ritenuto necessario, che non può comunque essere prorogato per più di trenta giorni dal momento della ricezione.

Il capo II che comprende gli articoli 6, 7 e 8 indica le specifiche procedure e garanzie relative alle condizioni di emissione, e alla trasmissione dell'OEI, prevedendo testualmente la possibilità di consultazione tra l'autorità di emissione e quella di esecuzione 42. In caso di difficoltà relativa alla trasmissione o all'autenticità di un documento necessario all'esecuzione dell'OEI la risoluzione avviene mediante contatti diretti tra le autorità di emissione e quella di esecuzione o con l'intervento delle autorità centrali degli Stati membri. Per quanto attiene invece alle procedure e alle garanzie previste per lo Stato di esecuzione il capo III della direttiva intitolato “procedure e garanzie per lo Stato di esecuzione” contiene 13 articoli che si occupano, tra le altre cose, in modo particolare dei vari profili del riconoscimento e dell'esecuzione di un OEI.

Occorre considerare che nemmeno uno dei trentanove articoli che compongono la Direttiva prevede vere e proprie fattispecie probatorie. Si rinvengono, piuttosto, norme processuali in bianco, che rinviano a seconda dei casi alla lex fori (il diritto dello Stato di emissione dell’OEI, dove si svolge il procedimento in cui la prova dovrà essere utilizzata) o alla lex loci (il diritto dello Stato di esecuzione), o forme solo embrionali di armonizzazione. Gli aspetti più qualificanti delle operazioni istruttorie sono imperniati su parametri del tutto indeterminati, come i “principi fondamentali” degli ordinamenti nazionali e i “diritti fondamentali”, tali da richiedere un’opera di eterointegrazione da parte della giurisprudenza 43.

42 L'art. 6, comma 3 recita: “Se ha motivo di ritenere che le condizioni di cui al paragrafo 1 non siano state rispettate, l'autorità di esecuzione può consultare l'autorità di emissione in merito all'importanza di eseguire l'OEI. Dopo tale consultazione, l'autorità di emissione può decidere di ritirare l'OEI.”

43 Cfr. M. DANIELE, L'impatto dell'ordine europeo di indagine penale sulle regole probatorie nazionali, in www.penalecontemporaneo.it, fascicolo 3/2016, p. 64

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Come è stato autorevolmente sostenuto, attribuire prevalenza alla lex

loci significa tutelare al massimo grado la sovranità nazionale,

assicurando che le prove siano acquisite in base alle regole che attuano i bilanciamenti tra i valori considerati preferibili dal legislatore dello Stato in cui esse sono reperibili. Ciò comporta che le regole probatorie nazionali vengano applicate integralmente, come se l’acquisizione della prova riguardasse un processo interno. L'effetto di questa scelta sarà allora la conservazione delle regole probatorie dello Stato in cui si trova la prova, mentre per lo Stato di emissione le fattispecie probatorie nazionali cederanno il posto alle fattispecie straniere, in un

processo di adattamento indispensabile per assicurare il rispetto della sovranità altrui al contempo garantendo che l’attività istruttoria compiuta all’estero sia validamente spendibile anche all'interno del proprio territorio 44.

D'altra parte invece occorre considerare che ci sono disposizioni all'interno della direttiva che sanciscono la prevalenza della lex fori, andando a riprendere le soluzioni introdotte con le ultime convenzioni in materia di assistenza giudiziaria, in particolare con la Convezione di Bruxelles del 2000.

Infatti l'art. 9 § 2 della direttiva prevede che l’autorità di esecuzione si attenga alle formalità e alle procedure espressamente indicate dall’autorità di emissione, salvo che queste non siano contrastanti con i principi fondamentali del suo ordinamento.

É possibile distinguere una prima interpretazione per cui in sé considerato, l’art. 9 § 2 parrebbe conferire all’autorità di emissione la massima libertà, anche consentirle, per velocizzare la cooperazione, di non dare nessuna indicazione, lasciando piena operatività alla lex loci. Questa interpretazione concederebbe un eccessivo margine di discrezionalità.

Secondo un’altra lettura invece l’art. 9 § 2 permette di richiedere esclusivamente le modalità istruttorie necessarie ai fini della

44 Per queste considerazioni si veda M. DANIELE, La metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva sull'ordine europeo di indagine penale, cit., p. 88

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spendibilità processuale nello Stato di emissione delle prove raccolte all’estero. Così inteso, però, esso pone una prescrizione priva di autosufficienza. Le sue implicazioni dipendono infatti dal tenore delle regole nazionali di utilizzabilità delle prove 45.

Altro esempio di prevalenza della lex fori lo si ritrova sempre all'interno dell'art. 9 ma ai § 4 e 5 che legittimano lo Stato richiedente a proporre che un suo rappresentante partecipi alle attività probatorie da compiere, e impongono allo Stato richiesto di accogliere la domanda nei limiti in cui ancora ciò non risulti incompatibile con i propri principi fondamentali. È stato osservato che non si tratta di una partecipazione passiva ma che al contrario si tratta di una partecipazione che può avere un carattere piuttosto attivo; ciò si desume dal paragrafo 5 dello stesso articolo, il quale pone dei limiti stringenti alle sole attività “di contrasto” (cioè di carattere repressivo) realizzabili dai rappresentanti dello Stato emittente; questo significa che altri tipi di operazioni sono liberamente effettuabili in territorio straniero, sempre con il limite del rispetto dei principi fondamentali e del diritto dello Stato di esecuzione 46.

L'accettazione della richiesta di partecipazione di un'autorità dello Stato di emissione incontra due soli limiti, quello già ricordato attinente al rispetto dei principi fondamentali dello Stato di esecuzione e quello per cui tale partecipazione non deve ledere gli interessi essenziali riguardanti la sicurezza nazionale 47.

45 Così M. DANIELE, L'impatto dell'ordine europeo di indagine penale sulle regole probatorie nazionali, cit., p.70 e ss

46 M. CAIANIELLO, La nuova direttiva UE sull'ordine europeo di indagine penale tra mutuo riconoscimento e ammissione reciproca delle prove, cit., p. 4

47 Anche in questo articolo è prevista la possibilità di consultazione tra l'autorità di emissione e quella di esecuzione, ai sensi del comma 6 infatti esse “..possono consultarsi con qualsiasi mezzo appropriato al fine di agevolare l'efficace applicazione del presente articolo”.

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4. Le modalità di acquisizione

I soggetti protagonisti della Direttiva 2014/41/UE sono fondamentalmente lo Stato di emissione e lo Stato di esecuzione. Il primo è rappresentato dallo Stato membro all'interno del quale viene emesso l'ordine europeo di indagine. L'OEI consiste in una decisione giudiziaria contenente la richiesta di compimento di uno o più atti di indagine specifici in un altro Stato membro ai fini di acquisizione probatoria. É possibile servirsi di questo strumento anche nel caso in cui le prove siano già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione 48.

La Direttiva distingue dunque da un lato le autorità competenti all'emissione del provvedimento e dall'altro quelle competenti al suo riconoscimento e alla conseguente esecuzione.

Ai sensi dell'articolo 2 si intende per “autorità di emissione”: un

giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero competente nel caso interessato; o qualsiasi altra autorità competente, definita dallo Stato di emissione che, nel caso di specie, agisca in qualità di autorità inquirente nel procedimento penale e sia competente a disporre l'acquisizione di prove in conformità del diritto nazionale. Inoltre, prima di essere trasmesso all'autorità di esecuzione, l'OEI è convalidato, previo esame della sua conformità alle condizioni di emissione di un OEI ai sensi della presente direttiva, in particolare le condizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 1, da un giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero nello Stato di emissione. Laddove l'OEI sia stato convalidato da un'autorità giudiziaria, quest'ultima può anche essere considerata l'autorità di emissione ai fini della trasmissione dell'OEI.

La Direttiva lascia impregiudicate le regole di attribuzione della competenza in materia penale dei singoli Stati membri. Infatti tra le

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autorità legittimate a emettere un OEI può esservi qualunque soggetto purchè agisca nel procedimento penale in qualità di autorità inquirente e sia competente a disporre l'acquisizione di prove in conformità al diritto nazionale. É prevista in ogni caso la convalida, dopo le verifiche indicate, ad opera dei soggetti indicati in lett i) dell'art.2 prima della trasmissione dell'OEI.

L'OEI può essere emesso non solo in relazione a un procedimento penale, ma anche nel quadro di un procedimento avviato dalle autorità amministrative, quando la decisione può dar luogo a un procedimento davanti a un organo giurisdizionale competente in materia penale. Tuttavia spetta sempre alle singole legislazioni nazionali contemplare il caso o meno di un OEI emesso da un'autorità amministrativa; l'Italia e la Spagna ad esempio non prevedono questo caso 49.

L'autorità di esecuzione d'altra parte, è l'autorità competente a riconoscere un OEI e ad assicurarne l'esecuzione conformemente alla Direttiva e alle procedure applicabili in un caso interno analogo. Tali procedure potrebbero comportare l'autorizzazione di un organo giurisdizionale nello Stato di esecuzione, se lo prevede il diritto nazionale.

La Direttiva dispone che entro il 22 maggio 2017 ogni Stato membro debba notificare alla Commissione le autorità che sono competenti conformemente al proprio diritto nazionale sia nel caso in cui lo Stato assuma la posizione di Stato di emissione, sia quando lo stesso rivesta invece il ruolo di Stato di esecuzione 50.

L'atteggiamento degli Stati in materia di cooperazione giudiziaria si è rivelato, come già constatato, poco incline alla rinuncia di porzioni della propria sovranità nazionale, ed ha mostrato la massima cautela nell'accoglimento incondizionato del principio di mutuo riconoscimento.

49 Sebbene in Spagna la Direttiva 2014/41/UE non sia stata ancora attuata, è possibile confrontare i due ordinamenti sotto diversi profili, tenendo in considerazione l'esistenza di un progetto di legge presentato dal governo spagnolo in attesa della completa trasposizione della direttiva; per un approfondimento più dettagliato del tema v. infra Cap. IV

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