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Nuovi copolimeri anfifilici fluorurati: sintesi e studio delle proprietà di auto-assemblaggio in soluzione e in superficie

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Academic year: 2021

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U

NIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Chimica Industriale (Classe LM:71)

Curriculum: Materiali

Nuovi copolimeri anfifilici fluorurati: sintesi e

studio delle proprietà di auto-assemblaggio in

soluzione e in superficie

RELATORI:

Prof. Giancarlo Galli

Dott.ssa Elisa Martinelli

CONTRORELATORE: Prof. Giacomo Ruggeri

CANDIDATA: Elena Masotti

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Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi.

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Riassunto

Sono stati preparati nuovi copolimeri anfifilici, statistici di struttura generale

PEGMAx-co-AFy (x = 90, 77, 69 mol%) e a blocchi di struttura generale PEGMAx-b-MAFy (x =

77 mol%), mediante polimerizzazione radicalica a trasferimento d’atomo (ATRP) di un monomero idrofilo poliossietilenico (PEGMA) e un monomero idrofobo fluoroalchilico (AF e MAF). Il bilancio idrofilo/idrofobo dei copolimeri è stato modulato in modo controllato allo scopo di realizzare nanostrutture anfifiliche in grado di organizzarsi spontaneamente in soluzione, specificatamente in soluzione acquosa, e in massa alla superficie di film sottili. In un terpolimero statistico anfiflico PEGMAx-co-AFy-co-JCBFz è stata introdotta covalentemente una sonda fluorescente a base di julolidina (z = 1 mol%), che agisse da rotore molecolare.

Dei copolimeri anfifilici sintetizzati è stato studiato l’auto-assemblaggio in soluzioni acquose diluite a diversa concentrazione, mediante misure di diffusione dinamica della luce (DLS), di emissione di fluorescenza, di diffusione della fluorescenza e di trasferimento di energia per risonanza (FRET). I nanooggetti con diametri idrodinamici Dn = 3-6 nm sono stati identificati come micelle unimere, formate dal ripiegamento della singola catena macromolecolare anfifilica indotto dalle interazioni idrofobe intramolecolari. Più micelle unimere hanno dato luogo ad aggregati intermolecolari (Dn ~ 400 nm) al di sopra di una temperatura critica Ttransizione. Tale transizione di fase è risultata reversibile, senza isteresi, al di sotto di Ttransizione dimostrando la natura termoresponsiva delle soluzioni. Sono state anche preparate e analizzate in spettroscopia di fluorescenza a diverse temperature soluzioni acquose contenenti il copolimero PEGMAx-co-AFy (x = 77 mol%) e bromuro di etidio, una molecola intercalante di acidi nucleici comunemente utilizzata in tecniche di biologia molecolare.

I copolimeri anfifilici sono stati depositati in film sottili mediante spin-coating da soluzione. Di questi è stata analizzata la bagnabilità con acqua e esadecano, misurando i valori degli angoli di contatto (w, h). Mentre i film erano completamente bagnati, e anche erosi, dall’acqua (w < 10°), essi risultavano parzialmente lipofobi, tendendo a diminuire la propria bagnabilità all’aumentare della componente fluorurata (h = 53-67°). Le indagini di spettroscopia fotoelettronica ai raggi X (XPS) hanno evidenziato una significativa segregazione alla superficie delle catene fluoroalchiliche idrofobe AF dei copolimeri. La bagnabilità era però nettamente dettata dalle catene poliossietileniche idrofile PEGMA. Infine i film di PEGMAx-co-AFy-co-JCBFz sono stati testati come indicatori di fluorescenza sensibili ai vapori di composti organici volatili (VOC) e all’umidità, monitorando il decadimento dell’intensità di fluorescenza in funzione del tempo di esposizione.

I copolimeri anfifilici di questo lavoro hanno dimostrato di soddisfare a molti dei prerequisiti di auto-assemblaggio richiesti per differenti potenziali applicazioni e incoraggiano a proseguire il loro studio più approfondito.

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Indice

1 Introduzione ... 1

1.1 Il problema del biofouling ... 1

1.2 Biofouling marino ... 2

1.2.1 Il processo di formazione ... 3

1.2.2 Principali organismi responsabili del fouling marino ... 4

1.2.3 Influenza del substrato sul fouling marino ... 6

1.3 Tecnologie anti-biovegetative ... 8

1.3.1 Composizione di una vernice ad azione antivegetativa ... 8

1.3.2 Rivestimenti antivegetativi contenenti biocidi ... 9

1.3.3 Rivestimenti non tossici a rilascio di fouling ... 13

1.4 Polimeri anfifilici da sintesi controllate ... 22

1.4.1 Polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico (ATRP) ... 22

1.4.2 Polimerizzazione radicalica SET-LRP ... 24

1.5 Copolimeri a blocchi anfifilici ... 25

1.6 Anfifilia e aggregazione spontanea in strutture micellari ... 26

1.6.1 Rotori molecolari ... 29

2 Scopo della tesi ... 33

3 Risultati e discussione ... 36

3.1 Scelta dei monomeri ... 36

3.2 Preparazione dei macroiniziatori ... 39

3.2.1 Sintesi dell’omopolimero PEGMA attraverso una polimerizzazione radicalica controllata SET-LRP ... 39

3.2.2 Sintesi dell’omopolimero PEGMA attraverso una polimerizzazione radicalica controllata ATRP ... 42

3.3 Preparazione dei copolimeri a due blocchi ... 44

3.4 Preparazione dei copolimeri statistici ... 47

3.4.1 Sintesi dei copolimeri PEGMAx-co-AFy ... 47

3.4.2 Sintesi del terpolimero statistico PEGMA74-co-AF25-co-JCBF1 ... 50

3.5 Proprietà termiche dei polimeri ... 52

3.6 Studio delle proprietà di assorbimento/emissione in soluzione del terpolimero PEGMA74-co-AF25-JCBF1 ... 53

3.7 Studio delle proprietà di auto-assemblaggio in soluzione attraverso misure di DLS ... 62

3.8 Analisi di spettroscopia di fluorescenza di soluzioni acquose di PEGMA77-co-AF23 e bromuro di etidio ... 69

3.9 Analisi di spettroscopia di fluorescenza di soluzioni acquose di PEGMA74-co-AF25-co-JCBF1 e bromuro di etidio ... 74

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3.10 Comportamento vapocromico dei film PEGMA74-co-AF25-co-JCBF1 ... 78

3.11 Proprietà di bagnabilità ... 82

3.12 Analisi chimica della superficie ... 84

4 Considerazioni Conclusive ... 89

5 Parte Sperimentale ... 92

5.1 Solventi e reagenti commerciali ... 92

5.1.1 Anisolo ... 92 5.1.2 Acido acetico ... 92 5.1.3 Acqua ... 92 5.1.4 Cloroformio ... 92 5.1.5 Cloroformio-d ... 92 5.1.6 Acetone ... 92 5.1.7 Acetone-d6 ... 92 5.1.8 n-Esadecano ... 92 5.1.9 n-Esano ... 92 5.1.10 Dietil etere ... 92 5.1.11 Diclorometano ... 93 5.1.12 Tetraclorometano ... 93 5.1.13 α,α,α-Trifluorotoluene (TFT) ... 93 5.1.14 Esafluorobenzene ... 93 5.1.15 2,2,2-Trifluoroetanolo ... 93 5.1.16 Tetraidrofurano (THF) ... 93 5.1.17 N,N,N’,N’’,N’’-Pentametildietilenetriammina (PMDETA) ... 93

5.1.18 Bromuro di rame (I) ... 93

5.1.19 α-Bromofenilacetato di etile (EBPA) ... 93

5.1.20 2-Idrossietil 2-bromoisobutirrato (HEBIB) ... 93

5.1.21 Trietilenglicol metiletere 2-Bromoisobutirrato (PEGBIB) ... 93

5.1.22 Etil α-bromoisobutirrato (EBIB) ... 94

5.1.23 Allumina basica ... 94

5.2 Monomeri ... 94

5.2.1 Poli(etilenglicol) metiletere metacrilato (PEGMA) ... 94

5.2.2 1H,1H,2H,2H-Perfluoroottil acrilato (AF) ... 94

5.2.3 1H,1H,2H,2H-Perfluoroottil metacrilato (MAF) ... 94

5.2.4 2-Ciano-2-[4-vinil (1,1’-bifenilen)-4’-il] viniljulolidina (JCBF) ... 94

5.3 Sintesi dell’omopolimero PEGMA attraverso SET-LRP ... 95

5.4 Sintesi copolimeri statistici ... 96

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5.4.2 Sintesi terpolimero statistico PEGMAx-co-AFy-co-JCBFz ... 99

5.5 Sintesi del copolimero a due blocchi PEGMA-b-MAF ... 101

5.5.1 Sintesi del macroiniziatore In-PEGMA attraverso ATRP ... 101

5.5.2 Sintesi copolimero a blocchi PEGMAx-b-MAFy ... 102

5.6 Preparazione dei film sottili ... 104

5.7 Preparazione di soluzione acquose di copolimeri statistici anfifilici e bromuro di etidio. ... 105

5.8 Caratterizzazione dei prodotti ... 105

5.8.1 Spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) ... 105

5.8.2 Cromatografia di permeazione sul gel (GPC) ... 106

5.8.3 Misure di diffusione della luce dinamica (DLS) ... 106

5.8.4 Analisi calorimetrica differenziale a scansione (DSC) ... 106

5.8.5 Misure di angolo di contatto statico ... 107

5.8.6 Spettroscopia UV-Vis ... 107

5.8.7 Spettroscopia di fluorescenza ... 107

5.8.8 Misure di spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS) ... 107

5.8.9 Determinazione della resa quantica ... 108

5.8.10 Determinazione effettiva del contenuto di JCBF all’interno del polimero 108 5.9 Prove di Vapocromismo ... 109

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1 Introduzione

1.1 Il problema del biofouling

Una qualsiasi superficie immersa in acqua marina è sempre soggetta a fenomeni di attacco biovegetativo, noti come Biofouling. Il termine inglese Fouling deriva dal verbo

“to foul” che significa sporcare, insudiciare, incrostare. In gergo tecnico, si utilizza il

termine Biofuoling quando avviene un progressivo accumulo nel tempo di organismi viventi uni e pluricellulari, i quali si sviluppano per mezzo della superficie stessa.[1] Questo fenomeno ha gravi ripercussioni, in particolare per le industrie navali a causa del deterioramento delle superfici delle imbarcazioni (Figura 1.1).

Figura 1.1: Effetto del fenomeno del fouling sulla superficie di alcuni scafi

La colonizzazione indesiderata di organismi sugli scafi porta ad un aumento dell’attrito dell’imbarcazione rispetto ai flussi dell’acqua. Tale notevole aumento della resistenza di attrito, insieme con l’aumento di peso dovuto alla presenza degli organismi adesi al substrato, porta ad una significativa riduzione della velocità e perdita di manovrabilità dell’imbarcazione. Pertanto mantenendo le impostazioni di velocità e di navigazione fissato, occorre un maggiore consumo di carburante con conseguente aumento dei costi e delle emissioni di sostanze nocive nell’ambiente. Un altro effetto negativo da considerare è l’introduzione di specie invasive in ecosistemi non-nativi. Infatti le navi soggette al biofuling sono i vettori più comuni per il trasporto di specie marine in quanto si spostano tra le varie aree portuali del pianeta con danni gravissimi sul piano delle biodiversità.[2]

Il biofouling marino è un problema che, a livello economico e mondiale, ha costi elevati: sono stati stimati dell’ordine dei 6,5 miliardi dollari annui ed includono i costi

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dovuti alla riduzione della velocità delle navi ed ai mancati guadagni dovuti al tempo necessario per il loro ripristino nei bacini di carenaggio.[3] Da notare che il fenomeno del fouling marino è maggiore nelle aree costiere, dove la presenza di batteri degli organismi marini è incrementata ed è maggiormente influenzato dal clima. Infatti nelle zone tropicali il fenomeno si manifesta con cadenza tendenzialmente annuale, mentre per le zone polari è circoscritto a pochi mesi all’anno. Inoltre, la radiazione solare influenza direttamente la velocità di fotosintesi, controllando indirettamente il nutrimento della fauna marina.

Per mitigare i danni dovuti a questi processi vegetativi occorre, quindi, disporre di opportuni rivestimenti per le superfici in modo da prevenire l’attacco e favorire il distacco del biofouling.

1.2 Biofouling marino

Il fouling marino si può suddividere in microfouling e macrofouling (Figura 1.2). Il microfouling, spesso indicato come melma, è formato da colonie cellulari di batteri, diatomee e protozoi; il macrofouling è costituito da molluschi e da organismi con esoscheletro (detto hard-fouling), ma anche da alghe pluricellulari e spugne (detto soft-fouling).

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Il microfouling determina un aumento della resistenza di attrito del 1-2%, mentre il macrofouling può causare un aumento fino al 10-40%.[2]

1.2.1 Il processo di formazione

La formazione del biofouling è un processo dinamico e complesso, influenzato da diversi fattori tra loro collegati, come la composizione caratteristica del rivestimento, la tensione superficiale dello stesso, la natura e intensità del moto ondoso, delle correnti, varietà e natura dei microorganismi presenti nell’ambiente acquoso. Il processo di contaminazione biologica (Figura 1.3), è generalmente raggruppato in cinque fasi, non necessariamente consecutive[2]:

 Formazione di un film “condizionante”;

 Colonizzazione primaria con adesione batterica sul substrato;

 Colonizzazione secondaria con crescita batterica e formazione dell’esopolimero;

 Colonizzazione terziaria da parte di organismi pluricellulari;

 Crescita del macrofouling.

Figura 1.3: Fasi di sviluppo del biofouling marino

Nelle superficie immerse in acqua si forma, immediatamente, un film condizionante che consiste di macromolecole organiche (proteine, polisaccaridi, glicoproteine) fisicamente adsorbite sul substrato. Questo materiale organico si trova disciolto nell’acqua e deriva dalla decomposizione di organismi vegetali ed animali. La formazione di questa pellicola provoca una modifica delle proprietà del substrato, quali la carica superficiale, le caratteristiche chimiche e l’energia superficiale. Il processo di formazione di questa prima pellicola rappresenta un evento condizionante in quanto nessun organismo può depositarsi prima che tale rivestimento sia completato. Questo perché le macromolecole

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organiche che compongono la pellicola che si forma sul substrato instaurano interazioni con i microorganismi presenti nel mezzo acquoso circostante, soprattutto interazioni elettrostatiche repulsive ed interazioni di van der Waals. Quando le ultime prevalgono, si ha l’adesione reversibile dei batteri sul substrato (colonizzazione primaria). Da questa colonizzazione, in un lasso di tempo che va da un minimo di 24 ore a un massimo di alcuni giorni, si ha la formazione del biofilm primario. Questo è costituito da organismi unicellulari come batteri corti di forma bastoncellare, cui si aggiungono organismi fotosintetici, il cui numero diviene progressivamente dominante. Si ha, dunque, la colonizzazione secondaria, ovvero la crescita batterica e la produzione dell’esopolimero (matrice extracellulare di sostanze polimeriche naturali). L’aggregato di cellule cosi adeso, viene definito biolfim microbico/ batterico. Questo processo di crescita continua in maniera esponenziale fino al raggiungimento di una situazione di equilibrio. L’esopolimero (ESP) continua ad essere prodotto e forma uno strato più grande, che agisce sia come barriera contro i biocidi, sia come magazzino per i nutrienti. Contemporaneamente avviene il distacco delle cellule: la matrice, sotto forma di piccole popolazioni, si disperde e permette di iniziare lo stesso processo in nuovi siti. La crescita del biofilm si realizza non solo con aumento di spessore, ma è generalmente caratterizzata dalla formazione di vere e proprie appendici filamentose che agevolano la cattura e l’adesione di spore, microalghe, funghi e protozoi. È a questo stadio che solitamente avviene, dopo la prima settimana dall’immersione, la colonizzazione da parte di organismi pluricellulari (colonizzazione terziaria). Entro due o tre settimane, si ha la crescita del macrofouling, tra cui tipicamente balani, mitili e macroalghe [2]. Quest’ultimo è il fenomeno che crea i maggiori problemi associati al biofouling marino.

1.2.2 Principali organismi responsabili del fouling marino

Sono stati identificate nei mari e negli oceani più di 4000 specie che potenzialmente possono generale fouling. In particolare i principali microorganismi che si depositano sugli scafi delle navi sono batteri, diatomee e spore di alghe, mentre i balani, serpulidi, molluschi, alghe e briozoi sono i più comuni macroorganismi.[1]

I balani sono i più comuni artropodi che si incontrano nelle incrostazioni marine. Vengono definiti come cirripedi sessili in quanto non sono capaci di muoversi ma vivono ancorati ad un substrato (Figura 1.4). Nella loro forma adulta essi sono racchiusi in conchiglie calcaree dure fissate in modo permanente a superfici completamente

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sommerse o periodicamente umidificate. Nella sua forma larvale (nauplio) il balano si alimenta di plancton e raggiunge in circa due settimane lo stato larvale successivo (cypride). Questo tipo di larva non si alimenta, ma si muove liberamente in acqua in cerca di un substrato duro idoneo per terminare la transizione alla vita adulta. Quando avviene l’attacco irreversibile, inizia il processo di metamorfosi fino al raggiungimento della forma adulta.

Figura 1.4: A sinistra un esemplare di naplio; a destra un esemplare di cypride; in basso un esemplare adulto di Balano

L’alga verde Ulva linza, conosciuta anche come lattuga di mare, è la più comune macroalga che contribuisce al “soft” fouling di superfici artificiali in tutto il mondo e per questo è stata ampiamente utilizzata come modello per gli studi di bioadesione. Questa alga è alta fino a 30 cm, traslucida, di un colore verde brillante ed è comune nel Mar Mediterraneo e nei mari freddi o temperati (Figura 1.5).

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Le diatomee sono alghe unicellulari non flagellate a pigmentazione marrone (Figura 1.6). Rappresentano una delle più importanti classi di microalghe in ambiente marino e di acqua dolce. Non presentano flagelli e quindi non possono avvicinarsi attivamente a una superficie, ma sono piuttosto passivamente portate dall’azione delle correnti o per gravità. Come nel caso dei batteri, le diatomee aderiscono al substrato secernendo grandi quantità di sostanze polimeriche extracellulari mucillaginose (prevalentemente polisaccaridi). Queste sostanze permettono alle diatomee di muoversi sul substrato attraverso scivolamento. I biofilm di diatomea sono molto studiati in quanto sono altamente resistenti ai rivestimenti biocidi e particolarmente difficili da rimuovere.

Figura 1.6: Diatomea Amphora

1.2.3 Influenza del substrato sul fouling marino

L’insediamento di organismi può essere influenzato dal substrato su cui aderiscono. L’energia superficiale è uno dei parametri chimico-fisici più importanti che condizionano la colonizzazione.[1] Sebbene sia noto che organismi idrofobi aderiscono

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preferibilmente su materiali idrofobi, mentre quelli idrofili si insediano maggiormente su substrati idrofili, è difficile porre delle regole generali a causa della grande varietà di specie che concorrono al per il fenomeno del fouling e delle diverse fasi di sviluppo fisiologico che sono coinvolte durante l’insediamento. Anche la ruvidezza e la porosità della superficie hanno un ruolo nella colonizzazione; infatti le irregolarità della superficie rappresentano un aumento della superficie colonizzabile. I bioadesivi possono penetrare nelle scanalature ruvide e i batteri trovano nelle fratture una protezione dagli agenti esterni, che rende difficile la rimozione.

Le superfici idrofile sono più resistenti all’adsorbimento non specifico delle proteine rispetto a substrati idrofobi [4]. Questo perché nel loro stato nativo le proteine quando si avvicinano a una superficie idrofoba iniziano una serie di cambiamenti conformazionali formando un primo adsorbimento reversibile, fino ad arrivare, con stadi successivi, ad un adsorbimento irreversibile. L’interazione iniziale tra le proteine e la superficie avviene attraverso piccole porzioni di 1-2 nm2, indipendentemente dalle dimensioni globali della proteina. Un concetto chiave della scienza delle superfici è che uno stato precursore mobile è molto spesso un prerequisito per un processo di chemiadsorbimento. Attraverso studi specifici è stato osservato che lo stato precursore mobile percorre una certa quantità di spazio prima di adsorbirsi irreversibilmente. Quindi, in realtà, l’area sulla superficie interessata dell’ancoraggio deve essere almeno due volte più grande rispetto alla frazione che effettivamente sarà interessata all’adsorbimento irreversibilmente [5]. Questo può essere sfruttato per realizzare substrati anfifilici che resistano all’adsorbimento non specifico delle proteine, dove sono presenti domini idrofobi non sufficientemente grandi per l’ancoraggio (Figura 1.7)

Figura 1.7: Illustrazione schematica della dinamica dell'assorbimento di una proteina sui domini idrofobi (in rosso) dispersi in una matrice indrofila (in blu)

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1.3 Tecnologie anti-biovegetative

Esistono varie strategie per combattere il problema del fouling marino, anche se il metodo più pratico ed immediato rimane quello di impedire l’insediamento degli organismi marini. Questo è molto difficile da poter attuare come soluzione efficace, per cui oggi giorno sono studiati rivestimenti non tossici a rilascio del fouling

(fouling-release).

1.3.1 Composizione di una vernice ad azione antivegetativa

Con il termine antivegetativo si intende quella classe di vernici aventi come obiettivo la prevenzione, riduzione e l’eliminazione della formazione di organismi marini sulle strutture immerse in acqua.

In generale una vernice antivegetativa è composta dalla matrice polimerica, il solvente, il pigmento e dalla parte attiva contro il biofouling (biocida). Possono inoltre essere presenti additivi come fluidificanti, essiccanti e altri.

Il legante è il componente fondamentale dalla cui costituzione chimica dipendono le proprietà rilevanti della vernice. È costituito da una resina polimerica solubile nei comuni solventi organici o in acqua e presenta la capacità, attraverso processi fisico-chimici, di legare tra loro tutti i componenti della miscela al fine di formare un film tenace e aderente con la superficie.

Il solvente è un liquido organico ed ha la funzione di conferire al sistema un’adeguata viscosità e renderne possibile la produzione e l’applicazione al substrato. Un solvente adatto a questo scopo deve essere in grado di solubilizzare perfettamente la vernice. È un componente non permanente, allontanato per evaporazione dal sistema. La tendenza è quella di eliminare l’uso dei solventi organici e sostituirli con il mezzo acquoso per ragioni ambientali.

I pigmenti sono composti solidi, di natura organica o inorganica, impiegati in forma di polvere con un’opportuna granulometria, insolubili nel mezzo verniciante. Essi hanno le proprietà per impartire colore, opacità, resistenza alla luce solare, oltre che agli agenti corrosivi e all’acqua. Da un punto di vista fisico, la particella di pigmento rappresenta una irregolarità se vista a livello reticolare e per questo può causare un indebolimento della resistenza meccanica e delle proprietà chimiche della matrice. È quindi importante

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che per ogni tipologia di pigmento non venga superata la concentrazione critica al di là della quale il film perderebbe completamente la sua integrità.

Il biocida è una sostanza che è in grado di eliminare batteri, alghe e altri organismi responsabili del fouling. Questa sostanza per svolgere la sua azione deve essere rilasciata nel tempo per dar luogo, in maniera prolungata e omogenea, ad un ambiente non adatto alla crescita di organismi marini nei pressi della superficie del rivestimento. I biocidi più comunemente usati sono a base di rame e di stagno. Rivestimenti basati sul rame sono preferibili sotto il profilo dell’impatto ambientale, in quanto il rame pur essendo tossico verso flora e fauna marina lo è solo moderatamente verso i mammiferi. I composti organostannici, invece, hanno una tossicità di gran lunga maggiore e sono oggi vietati per questioni ambientali.

Gli additivi sono composti che vengono aggiunti per impartire particolari caratteristiche al film finale.

1.3.2 Rivestimenti antivegetativi contenenti biocidi

Le tecnologie antifouling chimicamente attive, che si basano su vernici a rilascio di composti attivi (biocidi), possono essere suddivise in tre categorie:

 Vernice antivegetativa a matrice solubile;

 Vernice antivegetativa a matrice insolubile;

 Vernice antivegetativa autopulente.

Fin dagli anni ’30 erano in uso vernici a matrice solubile, dette anche vernici erodibili, composte da leganti basati sulla colofonia (resina vegetale solida gialla) e loro derivati miscelati con biocidi (ossido di rame, zinco, ferro). L’acqua di mare ha un pH di circa 8 e, grazie al carattere debolmente acido di questo tipo di vernice, consente una dissoluzione graduale dello strato superficiale. In questo modo è rispettata l’esigenza di avere uno strato di biocida sempre fresco e attivo conto gli organismi marini (Figura 1.8). Le vernici tradizionali a matrice solubile mantengono la loro azione antifouling per non più di 12-15 mesi.[6]

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A partire dagli anni ’50, grazie all’utilizzo di materiali polimerici sintetici, è stato sviluppato un nuovo tipo di vernice, ovvero quello delle antivegetative a matrice insolubile (definite vernici ad associazione libera). Queste vernici impiegano leganti ad alto peso molecolare che risultato essere insolubili in acqua di mare come polimeri acrilici, vinilici, epossidici o gomme clorurate. Queste vernici sono anche dette hard-antifouling grazie alla loro buona resistenza meccanica e alla capacità di incorporare una grande quantità di agente tossico. La matrice non è più solubile in acqua di mare, a differenza dell’agente tossico che contiene, il quale viene rilasciato gradualmente, attraverso la porosità del film di vernice esposto, per contatto con l’acqua. Quando il biocida esposto sulla superficie del rivestimento è stato rilasciato, il rimanente biocida tende a migrare verso la superficie (Figura 1.9). La velocità di rilascio diminuisce nel tempo, così come la protezione garantita allo scafo, poiché il biocida si trova sempre più in profondità. Un inconveniente, in questo tipo di rivestimento, è rappresentato dal fatto che si crea una superficie rugosa, maggiormente soggetta ad inglobare inquinanti marini, e che causa un aumento di attrito con conseguente aumento di carburante. Per questa ragione l’efficienza di questa classe di vernici antifouling è stimata dai 12 ai 24 mesi, in base anche alla severità delle condizioni di esposizione della superficie.[6]

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Verso la metà degli anni ’70 è stato sviluppato un nuovo tipo di pittura, le vernici antivegetative autopulenti, che garantiscono una protezione allo scafo della nave per una durata di tempo maggiore. In questo tipo di vernice, il rilascio degli agenti che inibiscono l’attacco del fouling è ottenuto con meccanismi non correlati alla solubilità del legante. Queste vernici si basano su copolimeri acrilici (ad es. metacrilati) contenenti gruppi organostannici tributilstagno (TBT) legati alla catena principale da legami esterei, che si idrolizzano in condizioni leggermente basiche come quelle che si trovano generalmente nelle acque marine [7]. Oltre al biocida legato al polimero, la vernice contiene in genere anche un pigmento tossico, come l’ossido di rame. A contatto con l’ambiente acquoso marino, l’acqua diffonde all’interno del rivestimento portando alla dissoluzione delle particelle del biocida. Dato che la matrice del copolimero è idrofoba, l’acqua è ostacolata nel penetrare all’interno del film. Pertanto, il mare riesce a malapena a riempire i pori creati dalle particelle di biocida solubile. [1] Dato che i legami esterei sono idroliticamente instabili in condizioni leggermente basiche, come quelle che si ritrovano nell’ambiente marino, ha luogo una lenta e controllata idrolisi del rivestimento, reazione confinata a pochi micrometri dalla superficie. Dalla suddetta idrolisi superficiale la matrice polimerica esposta a contatto con l’acqua, assume carattere idrofilo non appena è rilasciata una sufficiente quantità di TBT (figura 1.10).

[1, 6]

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Il movimento dell’acqua promuove la pulizia superficiale rigenerando uno strato di vernice sempre fresco, in modo da garantire un rilascio controllato del biocida e mantenere lo scafo sempre liscio fino a completo consumo del rivestimento (Figura 1.11). La protezione garantita è costante nel tempo.

La dissoluzione è regolata a livello molecolare; infatti, il grado di rilascio di biocida è controllato dal grado di polimerizzazione e dal carattere idrofilo del copolimero legante, che dipende dalla porzione di gruppi idrolizzabili sulla catena del copolimero. Tipicamente queste vernici autopulenti sono formulate per ottenere una velocità di erosione compresa fra 5-20 μm l’anno, che permette di estendere i tempi di ripristino fino a 5 anni. [8]

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Dopo l’introduzione delle vernici autopulenti il problema del biofouling su strutture ad uso marino sembrava risolto data l’alta efficienza di tale rivestimento, sennonché i notevoli aspetti negativi in relazione all’ecosistema direttamente connessi con l’uso di questo tipo di vernici ha portato alla loro messa al bando.[9] I TBT vengono degradati fino a composti inorganici dello stagno anche con processi biologici ad opera di funghi e batteri; tuttavia tale processo è molto lento e ciò ha comportato un notevole incremento di TBT nell’ambiente soprattutto acquatico. La vita media dei TBT in acqua di mare va dai sei giorni ad alcuni mesi, mentre la loro stabilità nel sedimento è molto elevata, andando da due a nove anni. Gli aspetti dannosi per l’ambiente furono notati per la prima volta alla fine degli anni ’70 negli allevamenti di ostriche nella costa Atlantica dove fu riscontrata una diminuzione di circa il 70 % della produzione stessa.[10]

A seguito delle indicazioni del’IMO e della convenzione internazionale (AFS) adottata il 5 ottobre 2002 dagli stati membri dell’Unione Europea, l’Unione stessa ha emanato un regolamento che, dal 1° luglio 2003, vieta alle navi degli stati membri di applicare vernici antivegetative che contengano organostannici; il regolamento prevede altresì che, dal gennaio 2008, sia vietato l’ingresso nei porti degli stati membri alle navi che impiegano come antivegetativi composti organostannici.[11]

1.3.3 Rivestimenti non tossici a rilascio di fouling

In seguito alla messa a bando delle vernici antivegetative a base di TBT sono stati sviluppati studi su rivestimenti antivegetativi che non comprendano il rilascio di agenti

(20)

-14-

tossici, ma piuttosto favoriscano il rilascio degli organismi eventualmente adesi alla superficie del substrato (fouling release) (Figura 1.12)

Figura 1.12: Esempio di rilascio di una larva di alga marina da una superficie fouling release

L’idea generale dei rivestimenti a rilascio di fouling è quella di minimizzare le forze molecolari che si instaurano tra i microrganismi e la superficie, in modo da rendere possibile la rimozione del fouling mediante stress idrodinamico dovuto al movimento dell’imbarcazione o per semplice pulizia meccanica (Figura 1.13). [12]

Figura 1.13: Illustrazione del funzionamento delle vernici a rilascio di fouling a partire da una superficie attaccata (FRC) a seconda delle velocità di crociera (10 e 20 nodi) per un minuto di immersione

L’adesione è una proprietà superficiale definita come la forza di legame tra due corpi posti in stretto contatto tra loro. Di conseguenza, se uno dei due materiali è un solido e l’altro un liquido, questa proprietà può essere definita come la bagnabilità del primo da parte del secondo. Questa proprietà può essere variata agendo sia sulla composizione chimica superficiale del rivestimento, sia macroscopicamente modificando la struttura morfologica della superficie stessa.[1]

È stato dimostrato che le qualità desiderabili per una superficie resistente all’adesione sono [13]:

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-15-

 Un numero significativo di gruppi attivi che possono muoversi liberi sulla superficie, conferendole un valore desiderato di energia superficiale;

 Un polimero con catena principale lineare che previene interazioni indesiderate;

 Alta mobilità molecolare di ciascuna catena lineare attiva;

 Bassi moduli elastici;

 “Levigatezza” a livello molecolare che previene l’infiltrazione di adesivi biologici e quindi previene il loro fissaggio;

 Stabilità per lunghi periodi in acqua di mare.

La progettazione di modelli e film per rivestimenti antivegetativi a rilascio di fouling comprendono la preparazione di superficie nanostrutturate secondo le strategie Top-down o Bottom-up. Nel primo metodo vengono impiegati tecnologie sofisticate come la fotolitografia per ridurre a dimensioni nanometriche un materiale macroscopico. [14, 15] Le strategie Bottom-up si basano sulla formazione spontanea di nanostrutture autorganizzate partendo dai componenti di base come atomi e molecole. Negli ultimi anni sono stati investigati approcci diversi per l’antifouling tra cui lo studio di biopolimeri che incorporano molecole e enzimi bioattivi [16], monostrati idrofobi o idrofili autoassemblati [17, 18], network polimerici idrofobi [19, 20], composti di ammonio quaternario antimicrobici [21, 22], polisilossani ibridi [23, 24], idrogeli di polietilenglicol [25, 26], xerogel [27, 28], polimeri zwitterionici [29] e nanocompositi contenente nanocariche di varie dimensioni nanometriche [30].

I rivestimenti a rilascio del fouling già in uso più diffusi sono quelli siliconici. Il loro basso modulo elastico favorisce il distacco dell’hard fouling, mentre il loro carattere apolare riduce l’adsorbimento delle proteine e delle molecole polari. Il silicone più utilizzato è il poli(dimetilsilossano), PDMS, ma sono usati anche siliconi con gruppi alchilici laterali diversi. Gli svantaggi risiedono nella difficoltà di fissaggio agli scafi metallici, il basso tempo di vita e la facilità con cui si possono danneggiare meccanicamente.

L’ingegnerizzazione della superficie e delle relative proprietà di polimeri anfifilici, che presentano sia componenti idrofili che idrofobi ha attirato l’attenzione nell’ultimo decennio ed è attualmente concepita come una promettente strategia per combattere il biofouling. Il potenziale dei polimeri anfifilici risiede nella loro capacità di fornire una superficie “ambigua”, chimicamente eterogenea in cui la coesistenza di domini idrofobi e idrofili può confondere gli organismi durante le loro fasi di insediamento e adesione.

(22)

-16-

Infatti, i diversi organismi mostrano diversi profili di adesione e preferenze contrastanti e quindi una superficie anfifilica potenzialmente ha un più ampio spettro di efficacia contro il biofuling di una superficie puramente idrofila o idrofoba.[31] Ad esempio, una superficie che presenta caratteristiche anfifiliche è in grado di contrastare l’adesione sia di organismi che tendono ad aderire su substrati idrofili come l’Ulva, sia l’adesione degli organismi che preferiscono le superfici a carattere idrofobo come le Diatomee. Generalmente la componente non polare è composta da fluorurati o silossani, mentre quella idrofila è costituita da catene di poletilenglicol (PEG).

1.3.3.1 Proprietà dei polimeri fluorurati

I polimeri fluorurati hanno proprietà distintive rispetto agli altri polimeri derivanti dalla natura del legame C-F, un legame covalente a elevata energia e altamente polarizzato. Ciò rende le molecole molto stabili, in grado di sopportare alti livelli di sollecitazione termica e aggressione chimica. Le principali caratteristiche dei fluoropolimeri possono essere così riassunte:

 Anfifobia;

 Bassa adesione;

 Resistenza all’ossidazione e all’attacco delle sostanze chimiche;

 Trasparenza ai raggi UV;

 Resistenza al calore;

 Resistenza all’usura;

 Resistenza all’invecchiamento.

Nonostante le ottime proprietà chimico-fisiche, l’impiego dei fluorurati è stato limitato da alcuni fattori, in particolare l’elevato costo e la scarsa solubilità nei solventi classici da cui consegue un’elevata difficoltà di lavorazione.

In una matrice la componente fluorurata permette di avere la segregazione e la migrazione in superficie della catena polimerica. La migrazione verso la superficie avviene grazie al guadagno termodinamico dovuto alla diminuzione dell’energia superficiale del materiale. La bassa tensione superficiale e le basse forse intermolecolari delle catene sono dovute alla piccola dimensione degli atomi di fluoro che evitano possibili stress sterici della struttura. Questo fa sì che i fluoropolimeri presentino una bassa tendenza della superficie ad assorbire l’acqua.

(23)

-17-

1.3.3.2 Proprietà dei polimeri ossitilenici

Il polietilenglicol (PEG) è costituito da una catena flessibile formata da gruppi etilenici collegati da legami eterei e generalmente termina con gruppi alchilici o ossidrilici. Il PEG ha un’energia superficiale relativamente alta (43 mJ/m2), ma bassa energia interfacciale con l’acqua (5 mJ/m2).[32] È un materiale notevolmente igroscopico grazie alla possibilità di formare legami a idrogeno e nei rivestimenti viene reso insolubile in acqua legandolo a catene alchiliche, stireniche o fluorurate. Jeon e collaboratori [33] hanno studiato le basi che determinano l’eccezionale resistenza all’adsorbimento delle proteine delle superfici PEGilate, riportando che l’avvicinarsi della proteina alla superficie del substrato determina una compressione delle catene idrate di PEG, che provoca una forza elettrostatica complessiva. In seguito all’immersione in acqua del materiale, l’acqua stessa dovrebbe essere rimossa per permettere l’adsorbimento della proteina; la rimozione però è termodinamicamente sfavorita, poiché provocherebbe una diminuzione entropica della conformazione delle catene del PEG. [34]

1.3.3.3 Polimeri termoresponsivi

Per polimeri termoresponsivi si intende comunemente una classe di composti che esibisce un drastico cambiamento della solubilità, in un determinato solvente, in funzione della temperatura. In particolare, questi polimeri presentano una lacuna di miscibilità nel loro diagramma temperatura-composizione (Figura 1.14).

Figura 1.14: Diagramma di fase temperatura/composizione

A seconda che la lacuna di miscibilità si trovi a basse o ad alte temperature, si hanno rispettivamente una temperatura critica di solubilità superiore (Upper Critical Solution

(24)

-18-

particolare sono di notevole interesse polimeri che in acqua presentano una LCST non molto elevata, il che rende interessante il loro utilizzo e la loro modifica per possibili applicazioni biologiche [35]. A temperature inferiori alla LCST si hanno generalmente legami intermolecolari a idrogeno tra le molecole polimeriche e l’acqua e il polimero risulta quindi idrofilo. Spostandosi a temperature superiori, i legami a idrogeno si rompono, l’acqua viene “espulsa” e si formano nuovi legami a idrogeno, in questo caso però intramolecolari, che portano a una conformazione “globulare” e rendono il polimero idrofobo e quindi favorendone quindi la precipitazione [36, 37].

L’omopolimero poli(etilenglicol)metiletere metacrilato presenta una LCST intorno a 65 °C in acqua. Tale LCST può essere regolata variando il peso molecolare o incorporando altri gruppi idrofili o idrofobi. [38]

1.3.3.4 Proprietà dei rivestimenti a rilascio di fouling

Le proprietà che influenzano maggiormente la capacità di rilasciare il fouling sono l’energia superficiale e il modulo elastico. Una bassa energia superficiale riduce la forza del legame tra organismo e substrato, mentre un basso valore di modulo elastico favorisce la frattura meccanica tra vernice e gli organismi aderiti. La tensione superficiale, γ, è una proprietà dei fluidi che rappresenta la densità superficiale di energia di legame sull’interfaccia tra un corpo continuo e un materiale di un’altra natura

(25)

-19-

ad esempio un solido, un liquido o un gas. La curva di Baier rappresenta una reazione empirica fra la tensione superficiale critica e la bioadesione relativa (Figura 1.16)

Come si vede in figura il minimo della adesione non corrisponde al minimo della tensione superficiale, poiché l’adesione dipende anche dal modulo elastico. L’influenza del modulo elastico appare più chiara, riportando in grafico l’adesione in funzione della radice del prodotto del modulo elastico e della tensione superficiale critica (𝛾𝑐𝐸)0,5 (Figura 1.17). Come si può osservare dal grafico l’adesione è minima per il PDMS grazie al suo basso modulo elastico di Young, circa 0,002 GPa.

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-20-

Figura 1.17: Relazione fra adesione e radice quadrata del prodotto tra tensione superficiale critica e modulo elastico per diversi polimeri: 1) PDMS; 2) 3) 4) Fluorurati; 5) PE; 6) PS; 7) PMMA; 8) PA 6,6

Per determinare la tensione superficiale dei solidi esistono solo metodi indiretti. La misura dell’angolo di contatto della goccia sessile è il metodo più semplice, anche se non esiste un modello univocamente accettato di come calcolare l’energia libera superficiale del solido dai valori misurati di θ.

Considerando il caso di una goccia di liquido in equilibrio su una superficie solida orizzontale liscia, l’angolo di contatto θ è definito come l’angolo formato dall’intersezione dell’interfaccia solido-liquido e quella liquido-vapore (Figura 1.18). [39]

Lo stato di equilibrio di una goccia di liquido su una superficie ideale è descritto dall’equazione di Young:

𝛾𝑠− 𝛾𝑠𝑙= 𝛾𝑙cos 𝜃 Equazione 1.1

Figura 1.18: Rappresentazione schematica di una goccia depositata su un substrato con le rispettive tensioni superficiali

(27)

-21- dove:

 𝛾𝑠 è la tensione interfacciale del solido in equilibrio con il vapore del liquido;

 𝛾𝑠𝑙 è la tensione interfacciale tra il solido ed il liquido;

 𝛾𝑙 è la tensione interfacciale del liquido in equilibrio con il suo vapore;

θ è l’angolo di contatto di equilibrio per una goccia di liquido sulla superficie del

soldo ideale.

Un angolo di contatto minore di 90° indica che il liquido è in grado di bagnare il solido e si spande su un’area grande, al contrario un angolo maggiore di 90° significa che la bagnabilità è sfavorita e il liquido tende ad assumere una forma sferica (Figura 1.19).

Liquidi con polarità simili al solido tenderanno a spandersi maggiormente fino ad angoli di contatto pari a zero; liquidi con polarità opposta a quella del solido tenderanno a formare una goccia con la minor superficie di contatto con il solido. Per angoli di contatto con l’acqua maggiori di 150° si parla di superfici superidrofobe.[39]

Un metodo, attualmente utilizzato di per il calcolo di 𝛾 dai valori di θ, è stato sviluppato da Owen e Wendt [40], i quali assumono che la tensione superficiale sia composta da due componenti: una polare 𝛾𝑙𝑝, dovuta alla presenza di legami a idrogeno e all’interazioni dipolo-dipolo, e una dispersiva 𝛾𝑙𝑑 apolare, dovuta alle forza di London. Tale modello assume, inoltre, che per sistemi solido-liquido valga la seguente relazione: 𝛾𝑠𝑙 = 𝛾𝑠+ 𝛾𝑙− 2(𝛾𝑠𝑑𝛾𝑙𝑑)1⁄2− 2(𝛾𝑠𝑝𝛾𝑙𝑝)1⁄2 Equazione 1.2

Sostituendo l’equazione 1.2 nell’equazione di Young si ottiene: 𝛾𝑙( 1 + cos 𝜃) = 2 [ ( 𝛾𝑠𝑑𝛾 𝑙𝑑) 1 2 ⁄ + ( 𝛾𝑠𝑝𝛾𝑙𝑝)1⁄2] Equazione 1.3

(28)

-22- Questa equazione contiene due incognite, 𝛾𝑠𝑑 e 𝛾

𝑠𝑝, ed è perciò necessario usare due liquidi bagnanti, uno polare e l’altro apolare di componenti note, per poter risolvere il sistema di equazioni.

1.4 Polimeri anfifilici da sintesi controllate

L’impiego di polimeri e copolimeri anfifilici in diverse applicazioni tecnologiche industriali, tra queste di particolare rilevanza quelle del settore dei rivestimenti protettivi a rilascio del fouling marino [41], è di grande attualità grazie agli avanzamenti delle moderne tecniche di sintesi controllate/viventi di copolimeri statistici e a blocchi.

Indipendentemente dalla natura “elettronica” delle catene in crescita, si definisce un processo di polimerizzazione “vivente” [42] quando:

 la cinetica di reazione è del primo ordine rispetto al monomero;

 il grado di polimerizzazione del polimero finale è direttamente proporzionale sia alla concentrazione del monomero sia al rapporto monomero/iniziatore;

 vengono ottenute distribuzioni di peso molecolare con basse polidispersità. Per tutte queste caratteristiche, le polimerizzazioni “viventi” permettono, quindi, di ottenere polimeri monodispersi, di peso molecolare, gruppi funzionali e architettura controllati. Queste tecniche di polimerizzazione sono le più importanti per la preparazione dei copolimeri a blocchi. [42, 43]

1.4.1 Polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico

(ATRP)

Nella polimerizzazione controllata radicalica a trasferimento atomico (ATRP) la catena in crescita è attivata reversibilmente da un catalizzatore metallico. I componenti necessari a un sistema ATRP tipico sono monomero, iniziatore, un complesso metallico e un legante. Come mostrato in Figura 1.20, il controllo sulla struttura polimerica avviene mediante l’equilibrio tra la reazione di attivazione della specie dormiente Pn-X e la reazione di disattivazione della specie attiva propagante Pn●. Le reazioni di attivazione/disattivazione vengono catalizzate da un complesso di un metallo con un opportuno legante (L), in grado di passare in maniera reversibile da uno stato di

(29)

-23-

ossidazione minore a uno maggiore attraverso scambio di un elettrone (Mtn/Mtn+1) con simultanea estrazione di un atomo di alogenuro X dalla specie dormiente. [44]

Ogni monomero possiede una propria costante di equilibrio nel processo di trasferimento atomico per la specie attiva e dormiente. In assenza di reazioni secondarie, oltre quella di termine, la forza della costante di equilibrio (Keq= kact/kdeact) determina la velocità di polimerizzazione.

L’iniziatore è una molecola che contiene un alogenuro mobile (X), attivato da un sostituente come α- carbonile, fenile o vinile. Il compito principale dell’iniziatore è quello di determinare il numero delle catene polimeriche in crescita e conseguentemente il peso molecolare finale del polimero. Nell’ATRP assumono particolare importanza due parametri per la scelta dell’iniziatore: in primo luogo, la fase iniziale del processo deve essere veloce rispetto alla propagazione; in secondo luogo la propagazione di reazioni secondarie deve essere minimizzata. L’attività dell’iniziatore dipende dal grado di sostituzione (primario< secondario< terziario), dal gruppo trasferitore (Cl<Br<I) e dalla stabilizzazione del radicale (-Ph, -COOR << -CN).

Il legante ha lo scopo di favorire la solubilità del catalizzatore metallico nel solvente organico, modificare il potenziale redox in modo da avere un appropriato trasferimento atomico e assicurare che l’equilibrio fra specie dormiente e radicale attivo sia spostato verso la prima specie. Inoltre, la reattività del catalizzatore stesso è altamente influenzata anche dalla proprietà steriche ed elettroniche del legante. [44]

Molti monomeri sono stati polimerizzati con successo, come acrilati e metacrilati, stireni, acrilammidi e acrilonitrile. A seconda del monomero le condizioni di reazione e il sistema di iniziatore, catalizzatore e legante devono essere ottimizzate per ottenere un buon controllo sulla polimerizzazione.[43]

(30)

-24-

1.4.2 Polimerizzazione radicalica SET-LRP

Nel 2006 Percec e collaboratori hanno sviluppato un meccanismo di trasferimento di un singolo elettrone per la polimerizzazione radicalica controllata di acrilati (SET-LRP). [42]

In questo studio iniziale hanno dimostrato che attraverso il meccanismo SET-LRP è possibile ottenere polimeri con un buon controllo del peso molecolare in tempi brevi e a temperatura ambiente. Il catalizzatore maggiormente impiegato nella SET-LRP è Cu(0) sotto forma di polvere, di filo o generato dalla disproporzione di Cu(I)X in una grande varietà di solventi. Il vantaggio di questo meccanismo è proprio quello di poter utilizzare diversi solventi per la polimerizzazione tra cui anche l’acqua (Figura 1.22). I tipi di leganti e di iniziatori che si possono utilizzare nella SET-LRP sono gli stessi utilizzati in ATRP. [45]

Figura 1.21: Schema del meccanismo della polimerizzazione SET-LRP

Figura 1.22: A sinistra rappresentazione schematica di una polimerizzazione SET-LRP in acqua catalizzata da Cu(0) generato “in situ” per disproporzione; a destra osservazione diretta della disproporzione del CuBr

(31)

-25-

1.5 Copolimeri a blocchi anfifilici

I copolimeri sono definiti come polimeri composti da diverse unità monomeriche. [46] La natura dei monomeri, la loro distribuzione nelle macromolecole e la composizione nelle due unità monomeriche sono strettamente connesse alle proprietà fisiche del copolimero che generalmente presenta proprietà intermedie rispetto a quelle dei polimeri derivanti dai monomeri che lo costituiscono.

In base alla distribuzione delle unità dei monomeri lungo la catena polimerica si possono ottenere i seguenti sistemi [47]: copolimeri Statistici (o random), in cui i due monomeri si dispongono casualmente, senza un ordine preciso; copolimeri alternati, in cui i due monomeri si dispongono in maniera regolarmente alternata; copolimeri aggraffati (o ad innesto), in cui la catena principale costituita dallo stesso tipo di unità monomeriche è innestata da catene laterali di diversa lunghezza del secondo monomero; copolimeri a blocchi, in cui una catena più o meno lunga dello stesso monomero è unita ad un’estremità ad un catena dell’altro monomero.

La principale caratteristica dei copolimeri a blocchi risiede nella forte repulsione tra le diverse sequenze dovuta all’incompatibilità tra i blocchi stessi che porta ad una spontanea microseparazione di fase in morfologie auto-assemblate. Le variabili fondamentali che definiscono la morfologia che si forma sono il parametro d’interazione di Flory-Huggins χ, che definisce il grado di incompatibilità dei blocchi, e la frazione in volume dei blocchi φ, che dipende dalla lunghezza relativa dei blocchi. Nella Figura 1.23 sono riportate le microstrutture classiche trovate per copolimeri di -blocco. Per copolimeri di-blocco il componente con massa molare minore si separa formando sfere quando la sua frazione in volume è minore del ~ 20% e cilindri per valori della frazione in volume compresi tra ~ 21 e ~ 33%. Si ottengono invece lamelle alternate per copolimeri a blocchi simmetrici con masse molecolari dei due blocchi paragonabili e frazione in volume di circa 50%. Infine, strutture a network bicontinuo si ottengono in un intervallo ristretto di composizione (frazione in volume pari a ~ 33-37%). In copolimeri tri-blocco la combinazione di differenti sequenze ABC, ACB, BAC, di composizione e massa molare complessiva fornisce un’enorme quantità di parametri che consente la creazione di numerose nuove morfologie.[48]

(32)

-26-

E’ importante sottolineare che al variare della temperatura è possibile osservare sia transizioni da un dato tipo di nanostruttura ad un altro (transizione ordine-ordine), che transizioni da uno stato nanostrutturato ordinato ad uno stato disordinato (transizione ordine-disordine). La temperatura alla quale avviene la transizione da una struttura ordinata ad una struttura disordinata viene denominata come ODT (Order Disorder

Temperature).

1.6 Anfifilia e aggregazione spontanea in strutture

micellari

Quando un copolimero anfifilico viene dissolto in un solvente selettivo che sia termodinamicamente un buon solvente per un componente, e un precipitante per l’altro, le catene possono auto-assemblarsi in maniera reversibile.

L’auto-organizzazione dei copolimeri anfifilici è un metodo semplice per produrre strutture su scala nanometrica. Questo fenomeno può avvenire a causa di interazioni intermolecolari, con formazione di strutture più ordinate a seguito dell’aggregazione in soluzione delle catene, o interazioni intramolecolari che possono far collassare le singole catene da uno stato di gomitolo statistico in entità globulari più ordinate (Figura 1.24). Dal ripiegamento di una singola catena si viene a formare una struttura unimolecolare che può essere stabilizzata da interazioni idrofobe, da legami covalenti intramolecolari formati da gruppi reattivi, dal riconoscimento e dall’auto-assemblaggio di motivi sovramolecolari, distribuiti anche causalmente lungo la macromolecola. [49, 50]

Figura 1.23: Morfologie dei copolimeri a due blocchi lineari, da sinistra a destra impaccamenti cubici compatti di sfere, impaccamenti esagonali compatti di cilindri, giroidi, lamelle (non sono mostrate le fasi inverse)

(33)

-27-

Tali sistemi polimerici risulterebbero assai vantaggiosi in termini di economia atomica e di diminuzione delle dimensioni raggiungibili rispetto alle nanotecnologie convenzionali attuali

Nei copolimeri a blocchi le interazioni intermolecolari portano all’aggregazioni in strutture complesse di più macromolecole definite micelle. [51]

La formazione delle micelle e la loro stabilità dipende da alcuni fattori: la concentrazione micellare critica (CMC) e la temperatura micellare critica (CMT). A concentrazioni superiori alla CMC, i copolimeri si auto-assemblano in micelle orientando il blocco idrofilo (affinità per l’acqua) verso l’esterno, a contatto con il solvente, e il blocco idrofobo verso l’interno; a concentrazioni inferiori alla CMC esse si disgregano (Figura 1.25). Anche la temperatura ha un ruolo importante: a temperature superiori alla CMT le micelle si disgregano in unimeri. I fattori che regolano l’auto-assemblaggio in micelle sono essenzialmente fattori entropici.[51]

In questi anni è sorto un notevole interesse sulla possibilità di produrre nanomateriali attraverso il fenomeno reversibile dell’auto-assemblaggio. Una delle possibili applicazioni sia delle singole catene ripiegate che delle micelle è il trasporto e rilascio di

Figura 1.24: Rappresentazione schematica del fenomeno di ripiegamento della singola catena di un copolimero anfifilico in un solvente selettivo

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-28-

farmaci (“drug carriers”) [52]. Questi nanomateriali funzionalizzati in maniera specifica possono intrappolare fisicamente nel loro blocco interno agenti terapeutici idrofobi, mentre il guscio idrofilo favorisce la solubilità del carrier in ambiente fisiologico e ne aumenta il tempo di permanenza (Figura 1.26).

Aspetti importanti da tenere in considerazione quando si intende produrre micelle sono le loro dimensioni e la loro capacità di svolgere il ruolo di nanocontenitori; entrambi questi fattori dipendono dalle dimensioni e dalla struttura dei copolimeri a blocchi che vengono utilizzati. In base a questo si possono distinguere due tipi di micelle: a stella, nelle quali il guscio esterno (corona) è più esteso del nucleo; a spazzola, nelle quali al contrario il blocco del nucleo è predominante (Figura 1.27). [53]

Utilizzando sonde fluorescenti in grado di interagire selettivamente con una delle componenti, idrofoba o idrofila, dei copolimeri anfifilici, è possibile progettare un metodo veloce, semplice e versatile per il monitoraggio diretto del loro auto-assemblaggio in soluzione e eventualmente in massa.[54]

Figura 1.26: Rappresentazione schematica del trasporto di farmaci attraverso aggregati micellari

(35)

-29-

1.6.1 Rotori molecolari

Alcuni fluorofori sono in grado di modificare le proprie caratteristiche ottiche in seguito a modifiche della mobilità molecolare: i più danno fenomeni di smorzamento della fluorescenza a causa della loro aggregazione (Aggregation Caused Quenching, ACQ); altri sistemi fluoroforici sono invece caratterizzati da un’emissione indotta dopo loro aggregazione (Aggregation Induced Emission, AIE).[55] I coloranti luminescenti che presentano proprietà ACQ sono caratterizzati dalla presenza di anelli aromatici che li rendono poco solubili in acqua, dove invece tendono ad aggregare, e molto solubili in solventi organici. La presenza di questi anelli aromatici favorisce la formazione di aggregati che vengono tenuti insieme da interazioni secondarie. Questi tipi di fluorofori presentano una netta diminuzione dell’intensità di fluorescenza all’aumentare della concentrazione, dal momento che gli anelli aromatici delle catene si trovano sempre a distanze minori e quindi diventa molto più probabile che ci sia un’interazione di tipo π-π. Al contrario delle molecole ACQ, le molecole AIE presentano elevata emissione di fluorescenza durante la loro aggregazione (aggregacromismo). Le molecole capaci di AIE più comuni sono dotate di gruppi con elevata inerzia, come ad esempio sistemi aromatici, legati da legami semplici che permettono di far ruotare le varie porzioni della molecola. Quando i moti intramolecolari vengono ostacolati, la dissipazione dell’energia assorbita dai fotoni incidenti in cammini non radiativi viene fortemente ostacolata e la riemissione in fluorescenza diventa più probabile [56, 57].

Una classe particolare di molecole organiche che danno fenomeni di AIE sono i rotori molecolari fluorescenti; questa classe di composti è caratterizzata dalla presenza di due gruppi: uno elettron attrattore e uno elettron donatore separati da uno spaziatore coniugato, e quindi planare, che consente una migliore circolazione degli elettroni della molecola. In questa configurazione la molecola risponde alla fotoeccitazione con un trasferimento di carica intramolecolare (Intramolecular Charge Transfer, ICT) dal gruppo donatore all’accettore. In particolare, in seguito alla fotoeccitazione la molecola assume una conformazione distorta (Twisted Intramolecular Charge Transfer, TICT) per effetto delle forze elettrostatiche date dalla separazione di carica. [58-60]

L’ipotesi dell’esistenza di un “trasferimento di carica intramolecolare ruotato” fu proposta da Grabowski basandosi sugli studi relativi all’anomala fluorescenza in soluzione del 4,4’-dimetilamminobenzonitrile (DMABN) (Figura 1.28), disciolto in solventi polari.

(36)

-30-

Figura 1.28: Eccitazione e successiva formazione dello stato TICT nella molecola DMABN

Una classe di rotori molto studiata, e tra le più promettenti per l’applicazione nella sensoristica, è quella dei derivati della julolidina, e in particolare il rotore 9-(2,2-dicianovinil)julolidina (DCVJ), che ha riscosso ampio successo in campo biologico e biomedico. [61, 62]

La formazione del TICT avviene per trasferimento fotoindotto di un elettrone dall’azoto della julolidina ad uno dei due gruppi nitrili provocando una rotazione di quest’ultimi rispetto al piano della julolidina. [63]

L’energia dello stato eccitato di singoletto della molecola nella conformazione ruotata risulta essere minore rispetto a quello della molecola planare, mentre quest’ultima presenta uno stato fondamentale energicamente più basso rispetto alla conformazione ruotata.

.

(37)

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Come si osserva dal diagramma di Jablonski (Figura 1.29), DCVJ ha una sola banda di emissione di fluorescenza e può assumere uno stato TICT in cui la transizione da S1 a S0 ha un salto energetico sufficientemente basso da consentire un rilassamento non radiativo. Da studi computazionali è stato dimostrato come il raggiungimento dello stato TICT viene raggiunto tramite una rotazione intramolecolare attorno al doppio legame vinilico.[64] Questo chiaramente sarebbe impedito allo stato fondamentale, ma al contrario risulta molto favorito energicamente allo stato eccitato rispetto al legame singolo C-C. Allo stato eccitato infatti il doppio legame vinilico a causa delle strutture di risonanza dovute al trasferimento di carica intramolecolari assume il carattere di un legame singolo permettendo la rotazione (Figura 1.30). [65]

Figura 1-30: Grafici dell’andamento dell’energia potenziale della DCVJ in funzione dell’angolo di torsione rispetto al doppio legame (grafico sopra, immagine a sinistra) e singolo (grafico sotto, immagine a destra) per lo stato

fondamentale (▲) ed eccitato (●)[64]

La formazione dello stato ruotato TICT è fortemente influenzata da tutta una serie di parametri relativi al mezzo in cui è disciolta/dispersa la molecola rotore. L’ingombro sterico della molecola stessa può ridurre il grado di formazione dello stato TICT, dal momento che può essere ostacolato il movimento di distorsione tra i due gruppi carichi e pertanto il fenomeno risulta meno probabile allo stato solido. Un altro parametro è

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legato alla natura del solvente, in particolare alla sua costante dielettrica, poiché in solventi molto polari si possono avere interazioni tra i dipoli delle molecole di solvente che possono favorire o meno la conformazione distorta e quindi la formazione dello stato TICT. La barriera energetica tra la forma planare e ruotata può essere inoltre impedita anche con l’utilizzo di solventi a viscosità crescente e con la variazione della temperatura. [66].

Come conseguenza della forte influenza del mezzo circostante sull’emissione di fluorescenza, le molecole fluorescenti sono attualmente usate come sonde per analisi in sistemi biochimici e biologici. Le sonde fluorescenti si prestano per essere impiegate in svariati settori di ricerca fornendo informazioni sull’intorno chimico senza alterare l’ambiente circostante. Questi indicatori fluorescenti possono essere divisi in tre classi:

 Sonde intrinseche: sono il tipo di indicatore ideale, si hanno quando la molecola fluorescente è presente nel sistema che si intende rilevare (es. il triptofano nelle proteine);

 Sonde legate covalentemente: si realizzano legando l’indicatore fluorescente ad una molecola che va ad interagire col target dell’analisi;

 Sonde estrinseche: il sito di solubilizzazione di questa classe di sonde dipende dalla natura chimica della molecola che va a stabilire interazioni particolari col sistema da analizzare.

Pertanto la scelta di un indicatore fluorescente deve essere fatta in relazione alle proprietà dell’ambiente che si vuole rilevare, tenendo conto che le uniche interazioni che devono influenzare l’intensità di fluorescenza sono quelle tra la molecola e il sistema da misurare. Le tecniche analitiche basate sulla fluorescenza sono sempre più diffuse per la loro alta sensibilità e selettività e per la possibilità di avere una misura in tempo reale utilizzando rilevatori a fibre ottiche. [54, 66]

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2 Scopo della tesi

Il presente lavoro di tesi si propone di sintetizzare e studiare, in soluzione e in massa, nuovi copolimeri anfifilici in grado di nanostrutturarsi mediante processi di organizzazione spontanea promossa dal ripiegamento della singola catena macromolecolare.

L’auto-assemblaggio delle macromolecole biologiche, quali proteine, enzimi, acidi nucleici, è un meccanismo altamente specializzato per produrre strutture funzionali complesse su scala molecolare e nanometrica. Ad esempio, nel sofisticato processo del ripiegamento proteico, una determinata sequenza amminoacidica lineare induce una precisa struttura tridimensionale, responsabile delle specifiche caratteristiche, e quindi delle funzioni, dell’oggetto unimolecolare. Tra i polimeri di sintesi, è noto il comportamento dei copolimeri a blocchi, in cui l’organizzazione spontanea in morfologie ben definite può essere predetta e finemente modulata in funzione dei parametri molecolari. Ciò è oggi possibile grazie alla relativa facilità di disegnare e realizzare materiali caratterizzati da natura chimica eterogenea, pesi molecolari poco dispersi e lunghezza dei blocchi controllata. [67]

Più recentemente, oltre ai fenomeni di aggregazione intermolecolare, è sorto un notevole interesse riguardo alla possibilità di produrre nanomateriali attraverso il ripiegamento di singole catene polimeriche (single-chain folding, SCF), in virtù dell’introduzione nella struttura chimica di interazioni intramolecolari di varia natura, quali legami a idrogeno, impacchettamento π-π, coordinazione metallo-legante, riconoscimento molecolare e effetti idrofobi. [68] Secondo queste strategie, attraverso l’instaurarsi di interazioni intramolecolari selettive le singole macromolecole collassano da uno stato di gomitolo statistico amorfo in entità globulari più ordinate e compatte, denominate micelle unimere. [69] L’auto-assemblaggio in nanostrutture mediante il ripiegamento della singola catena macromolecolare, stabilizzato da interazioni idrofobe, può avvenire efficacemente anche in copolimeri anfifilici statistici in cui le diverse counità con le contrapposte tendenze idrofobe e idrofile sono distribuite casualmente lungo lo scheletro polimerico principale. [70]

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Il delicato bilancio delle caratteristiche di filia/fobia necessario per la formazione di micelle unimere tramite SCF può essere modulato tramite l’ingegnerizzazione chimica macromolecolare di copolimeri anfifilici grazie alle tecniche di polimerizzazione controllata/vivente. I copolimeri anfifilici, a blocchi e statistici, rappresentano piattaforme sintetiche molto versatili per una grande varietà di applicazioni, soprattutto negli ambienti in cui le superfici, e le interfacce, dei materiali polimerici vadano soggette all’attacco di molecole, proteine, cellule o organismi.[71] La (nano)organizzazione spontanea dei componenti idrofili e idrofobi dei copolimeri in diverse strutture, morfologie e topologie produce come risultato globale un insieme di caratteristiche ‘ambigue’ che interferiscono con i meccanismi di esplorazione e riconoscimento degli agenti (bio)vegetativi, impedendo o limitando fortemente la loro adesione al polimero. [41] L’impiego di polimeri anfifilici viene considerato oggi uno dei mezzi più efficaci e promettenti per applicazioni anti-(bio)vegetative in ambiente marino.

Secondo queste linee di interesse, con implicazioni significative di carattere fondamentale e potenziale applicativo, si prevede che i nuovi copolimeri anfifilici di questo lavoro, a causa dell’incompatibilità chimica tra i componenti idrofili (ossietilenici PEGMA) e i componenti idrofobi (fluoroalchilici AF e MAF), possano andare soggetti a forti effetti di segregazione intramolecolare che diano luogo a micelle unimere mediante ripiegamento della singola catena anfifilica in soluzione diluita.

Figura 2.1: Struttura dei monomeri poli(etilenglicole) metil etere metacrilato (PEGMA), 1H,1H,2H,2H-perfluoroottil acrilato (AF) e 1H,1H,2H,2H-1H,1H,2H,2H-perfluoroottil metacrilato (MAF)

Per questi copolimeri si può inoltre ipotizzare che la formazione di micelle unimere, caratterizzate da una morfologia collassata in compartimenti a diversa filia/fobia, determini la formazione spontanea di strutture ordinate su scala nanoscopica e

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microscopica, degne di indagini più approfondite (diffusione dinamica della luce, assorbimento/emissione di fluorescenza, termoresponsività) in vista dell’obiettivo ultimo di produrre biomateriali funzionali innovativi, non tossici e biocompatibili, in grado di controllare l’adesione/distacco degli orgnanismi e microorganismi in ecobiologia marina e per l’industria navale nella lotta contro gli agenti biovegetativi (biofouling).

Riferimenti

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