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L'archivio di Mario Benvenuti. Un protagonista della cultura cinematografica pisana. Mario Benvenuti’s archive. A protagonist of the cultural cinematography of Pisa.

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

TESI DI LAUREA SPECIALISTICA IN CINEMA,

TEATRO E PRODUZIONE MULTIMEDIALE

L’archivio di Mario Benvenuti.

Un protagonista della cultura cinematografica pisana.

RELATORE

C A N D I D A T O

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Indice

1. Introduzione p. 1

2. Il concetto di archivio: differenze tra gli archivi cartacei e gli archivi

audiovisivi digitali p. 3

2.1 Gli archivi cartacei p. 4

2.2 Storia della formazione degli archivi p. 7

2.3 Gli archivi digitali p. 10

2.4 Gli archivi audiovisivi digitali p. 14

2.5 Sintesi degli standard catalografici digitali p. 19

3. Il progetto di digitalizzazione e conservazione dell’archivio di

Mario Benvenuti p. 24

4. Il patrimonio audiovisivo digitalizzato dell’archivio di Mario Benvenuti p. 27 4.1 I Cineguf: i documentari di Benvenuti negli anni Quaranta del

Novecento p. 29

a) Il Cineguf Pisano p. 33

b) Benvenuti pioniere: formazione, cifra stilistica e autoriale p. 36

c) I supporti utilizzati p. 40

d) Schede dei filmati p. 66

4.2 Mario Benvenuti: gli amici, la famiglia p. 72

e) Schede dei filmati p.109

4.3 Il periodo con i giovani del Cinema Zero p. 119

f) Schede dei filmati p. 148

4.4 Benvenuti e l’insegnamento: utilizzare il cinema come strumento

didattico p. 154

g) Schede dei filmati p. 201

4.5 Benvenuti, la Rassegna del Cinema, l’Associazione del Cinema

dei Ragazzi p. 204

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5. Progetto del sito web dell’archivio di Mario Benvenuti p. 211

5.1 Costi di gestione p. 211

5.2 Un ipotetico sito p. 212

6. Appendice p. 217

6.1 Intervista a Mario Benvenuti realizzata nell’agosto del 2008 p. 217

6.2 Indice dei DVD p. 224

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1. Introduzione

Nelle culture che privilegiano l’oralità si dice che quando muore un

vecchio brucia una biblioteca; ebbene, la distruzione del patrimonio audiovisivo

equivale a chiudere occhi che hanno visto il passato.

Queste parole del regista Ansano Giannarelli riassumono ciò a cui andiamo incontro quando non viene tutelato il patrimonio audiovisivo. Proprio da tale considerazione prese avvio, nel 2008, il progetto dell’Associazione del Cinema dei Ragazzi di Pisa di digitalizzare, conservare e archiviare il patrimonio audiovisivo di Mario Benvenuti, intellettuale importante e attivo per la città di Pisa e per l’Associazione stessa di cui è stato il fondatore.

L’idea del progetto nata da Luigi Puccini, presidente dell’Associazione si è concretizzata attraverso un progetto finanziato dalla Cassa di Risparmio di Pisa.

La finalità dell’archivio audiovisivo Mario Benvenuti era appunto legata alla volontà di conservare un materiale relativo alla storia cinematografica pisana che altrimenti sarebbe andato perduto, facendo conoscere e rendendo accessibile il patrimonio audiovisivo del regista, il suo stile, il rapporto con la città di Pisa di cui ha interpretato la storia politica, sociale e umana.

Partendo dal concetto di archivio e dalle differenze tra gli archivi cartacei e quelli audiovisivi digitali, il presente lavoro mostrerà il percorso che ha portato alla digitalizzazione e conservazione dell’archivio di Mario Benvenuti.

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La filmografia del regista sarà presentata attraverso le fasi più significative del percorso di Benvenuti, dalla formazione iniziale legata ai Cineguf al periodo del Cinema Zero, all’utilizzo del cinema nell’esperienza didattica.

Sarà quindi presentato il progetto per la costruzione di un eventuale sito internet che racchiuda tutta la produzione del regista.

In appendice l’ultima intervista rilasciata da Benvenuti e realizzata dalla sottoscritta nell’agosto del 2008, per concludere con l’indice dei DVD digitalizzati.

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2. Il concetto di archivio: archivi cartacei e archivi audiovisivi digitali

L’argomento archivi è molto vasto. Ha attraversato i secoli, infatti quando parliamo di archivi entriamo in un mondo dove ci possiamo anche perdere. Il significato della parola archivio, così come presentato dal vocabolario della lingua italiana è il seguente:

archivio: [ar-chì-vio] n.m. [pl.-vi]

a) raccolta di documenti pubblici o privati; il luogo in cui si conserva questa raccolta e i relativi uffici: archivio notarile, archivio ecclesiastico,privato;

fare ricerche di archivio; depositare in archivio; lavorare all’archivio comunale

b) (inform.) equivalente meno comune di file

c) entra nel titolo di periodici scientifici o comunque dedicati ad argomenti specialistici:

Archivio glottologico italiano. Dal lat. tardo archivu(m), dal gr. Archeion

‘palazzo del governo’ poi ‘archivio’1.

Come si vede, il termine può assumere significati diversi: un insieme di carte; l’edificio, in cui queste sono conservate; l’istituto o l’ufficio che si occupa della conservazione.

La parola deriva dal sostantivo greco Archeion, che indicava la residenza dei magistrati e il complesso dei documenti da essi prodotti e conservati in tale sede. Dal latino Archivium, questa parola e il suo significato sono entrati nella lingua italiana e in molte altre lingue europee.

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Nel corso dei secoli il contenuto della parola si è evoluto: nel passato un archivio era concepito e inteso come tesoro di un principe; con il trascorrere degli anni si arriva a considerare l’archivio come prodotto dell’attività di un ente o persona che raccoglie e conserva i documenti per scopi pratici e certificazioni di diritti, ma anche per la ricerca storica.

Esistono vari tipi di archivi: comunali, ministeriali, statali, industriali, bancari, gli archivi di antiche famiglie nobiliari o di una famiglia qualsiasi, universitari, scolastici, storici, oltre agli archivi privati.

Oggi non è da considerare un archivio solo quello cartaceo, infatti sono ritenuti archivi anche quelli costituiti da altri tipi di supporto come i fotografici, sonori, audiovisivi e digitali.

Non basta essere in presenza di un certo numero di documenti per definire una struttura come archivio, in quanto ciò che caratterizza un archivio è il concetto di insieme, un insieme connotato da relazioni e nessi che ne caratterizzano l’intera organicità2.

2.1 Gli archivi cartacei

Gli archivi cartacei sono caratterizzati da “materialità”, essendo un qualcosa che possiamo toccare con mano. Quando entriamo in un archivio storico per consultare un testo antico, dei registri, delle mappe catastali, davanti a quelle pagine entriamo in una dimensione sensoriale. Prima di tutto veniamo stimolati dal senso del tatto sfogliando le pagine che raccontano il tempo passato, logorate e

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vista, perché possiamo vedere la conservazione del testo e, in alcuni casi, anche il suo deterioramento. Utilizziamo il senso dell’olfatto perché sfogliando quelle pagine possiamo sentire l’odore dell’inchiostro e della polvere accumulata nel tempo. Infine, leggendo quelle pagine, entriamo in contatto con una lingua antica che ci rivela modi di pensare e di raccontare diversi dai nostri.

Gli archivi di Stato fanno parte del patrimonio storico e artistico della nostra cultura e per questo sono ritenuti dei “beni culturali” che svolgono la funzione di fonti storiche utili per la conoscenza del territorio.

Pur nascendo per finalità giuridiche e amministrative legate alle attività pratiche dell’ente o delle persone fisiche che lo hanno creato, la loro funzione volta alla documentazione fa acquistare una rilevanza a fini storici che con il passare del tempo aumenta a scapito dell’importanza giuridica. In altre parole, più ci si allontana dall’epoca della sua formazione, più la funzione giuridica si va attenuando per conquistare una dimensione storica3.

L’archivio è un complesso organico di documenti dove esiste un soggetto produttore, una finalità pratica che svolge quest’ultimo e infine dei legami fra i documenti. Parlando di documenti è necessario precisare che cosa intendiamo.

Maria Barbara Bertini nel suo libro Che cos’è un archivio spiega approfonditamente questo argomento. Un documento conservato in un archivio può essere in:

originale: esemplare compiuto del documento, cioè perfetto nelle sue peculiarità

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minuta: esemplare di un documento originale spedito, che resta nell’archivio del

mittente;

copia: intesa come riproduzione di un documento originale eseguita a mano, a

macchina o mediante qualsiasi altro apparecchio abilitato alla riproduzione4. Prima che entri nell’archivio storico la documentazione deve essere selezionata, cioè bisogna procedere all’individuazione di quella destinata alla conservazione permanente e all’eliminazione della restante. Infatti non essendo possibile conservare tutto, va mantenuta solo la documentazione utile. Un archivista deve quindi prendere in esame le diverse fasi di vita di un archivio. La dottrina archivistica in proposito distingue fra:

archivi correnti, i cui atti si riferiscono ad affari in corso di trattazione e che

pertanto risultano consultati di frequente;

archivi di deposito, i cui atti riguardano pratiche esaurite che, pur non essendo

consultate spesso, possono essere comunque richieste per operare raffronti o ricerche;

archivi storici, in cui si raccolgono tutti gli atti che pur non avendo più alcun

valore amministrativo o burocratico, conservano un interesse documentario e vengono consultati soprattutto per motivi di studio.

Ciascuna di queste tre fasi ha una caratteristica specifica.

Nella prima fase si ha la formazione dell’archivio, nella seconda la documentazione si sedimenta e si procede alla selezione del materiale, infine nella terza fase prevale la conservazione permanente5.

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2.2 Storia della formazione degli archivi

Fisicamente gli archivi si collocano in spazi ben definiti e nel corso dei secoli è cambiata la loro conservazione. Per esempio in Grecia i documenti erano collocati nell’Archeion, dove potevano essere consultati. A Roma i responsabili delle cariche amministrative depositavano i documenti nel tabularium. Dopo il XII secolo si iniziarono a creare amministrazioni fisicamente stabili e a prevedere locali dedicati alla conservazione dei documenti.

Le famiglie nobiliari custodivano la documentazione riguardante le loro proprietà in appositi armadi. Altrettanto accadeva nei grandi monasteri e nelle sedi arcivescovili. Con la Rivoluzione francese venne stabilito il principio fondamentale della pubblicità degli archivi con una legge votata dall’Assemblea Nazionale il 25 giugno del 1794. Da questo momento gli archivi iniziarono a essere considerati non più patrimonio del privato ma bene del cittadino. In questo periodo i documenti furono centralizzati con la creazione degli archivi nazionali e, in seguito, degli archivi dipartimentali francesi.

Durante il XX secolo, con il proliferare della documentazione si presentò il problema delle sedi per gli archivi e le biblioteche e questo portò ogni nazione a dotarsi di strutture conservative.

Con il passare del tempo, si è fatta strada l’attenzione alla qualità della conservazione, divenuta essenziale, e i fattori ambientali hanno avuto un’importanza sempre più legata alla diversità dei supporti conservativi. Compito dell’archivista e del bibliotecario è quello di avere la responsabilità di conservare il patrimonio documentario.

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Negli anni la memoria accumulata si deteriora, indipendentemente dal supporto sul quale è stata registrata. I locali di deposito, gli agenti ambientali, le scaffalature utilizzate, il materiale usato sono elementi che influiscono sul maggior o minor grado di deterioramento. Quindi, viene attribuito alla prevenzione un ruolo determinante per la sopravvivenza della memoria storica.

In tal senso una delle prime cose da fare è rallentare la degradazione dei documenti controllando l’ambiente dove essi sono collocati.

I fattori ambientali che devono essere presi in considerazione sono:

1. L’umidità relativa 2. La temperatura 3. La luce 4. L’inquinamento atmosferico 5. Il biodeterioramento 6. Il fattore umano.

1. I materiali d’archivio sono molto sensibili all’umidità, e per questo è fondamentale mantenere un tasso di umidità relativa il più stabile possibile con oscillazioni graduali controllate. A seconda delle necessità si possono usare umidificatori e deumidificatori.

2. Più è alta la temperatura e più è rapido il deterioramento dei documenti perché il calore accelera le reazioni chimiche all’origine del processo. Meno è elevata la temperatura meglio si conservano i documenti. Quindi è importante controllare le fonti di calore come riscaldamento, raggi solari e lampade a incandescenza.

3. La luce è una forma di energia che può innescare o accelerare le reazioni chimiche di degradazione della carte e delle materie organiche. La luce provoca l’ingiallimento della carta e l’aumento della sua fragilità nonché

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dalla luce conservando i documenti in appositi contenitori e utilizzando dei temporizzatori delle luci nei locali di deposito.

4. L’area che respiriamo è composta principalmente di ossigeno, azoto, argon e altri gas. Alcuni di questi gas, uniti alla polvere presente nell’atmosfera posso causare gravi danni al materiale documentario. Inoltre, la polvere è abrasiva e può attirare gli insetti, quindi sarebbe opportuno filtrare l’aria prima di immetterla nei locali di deposito.

5. Il biodeterioramento è l’insieme delle modificazioni chimiche o fisiche di un materiale provocate dall’attività di organismi viventi che possono essere animali, piante, batteri o funghi. La prevenzione in questo campo è fondamentale. Per esempio gli insetti sono attratti da cibo, sporcizia, umidità relativa elevata. Occorre mantenere una pulizia adeguata e un’adeguata circolazione dell’aria.

6. Il fattore umano è un altro elemento che deve essere tenuto sotto controllo. Spesso i documenti sono danneggiati a causa di inadeguate manipolazioni. Quindi è necessario prevedere un’adeguata formazione per il personale interno e regole precise per il pubblico. La prima misura di conservazione preventiva consiste nel mantenere in buono stato l’edificio e i locali che ospitano gli archivi e le biblioteche.

Nel corso dei secoli gli archivi hanno subito dispersioni e smembramenti che hanno riguardato le varie vicende storiche. Per questo è nata l’esigenza di stabilire un modello che preveda che allo stesso fondo archivistico possano fare

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avere la possibilità di condividere informazioni e descrizioni, soprattutto grazie all’elemento informatico. L’intestazione di autorità deve essere effettuata sulla base di fonti certe ufficiali e deve servire come chiave di accesso.

La struttura di un record d’autorità prevede quattro aree:

1. area dell’identificazione: comprende le informazioni che identificano l’entità descritta e che definiscono chiavi d’accesso normalizzate al record;

2. area della descrizione: comprende informazioni riguardanti la natura, il contesto le attività dell’entità descritta. In questa area è possibile trovare le notizie più rilevanti sull’ente produttore come la data di esistenza, la storia o la bibliografia del soggetto, le aree geografiche nelle quali ha operato il contesto politico, sociale e culturale.

3. area delle relazioni: comprende le relazioni con altri enti, persone e/o famiglie; 4. area del controllo: il record d’autorità è identificato univocamente e sono

fornite informazioni su come, quando e da quale agenzia esso è stato elaborato e aggiornato.

2.3 Gli archivi digitali

Negli anni Novanta del Novecento si è sviluppata la tecnica della digitalizzazione dei documenti. L’introduzione dell’informatica permette di rendere la documentazione disponibile digitalmente tramite internet e offre la possibilità di fare ricerche avanzate, di recuperare e utilizzare dati. Un problema che si pone a questo riguardo è l’arco di vita tecnologico di un supporto ottico o

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progresso delle tecnologie informatiche vedranno alla fine il sopravvento delle tecnologie digitali. I supporti utilizzati sono dischi ottici e cd-rom, ma la loro speranza di vita è limitata nel tempo. Occorre prevedere costi supplementari per trasferire periodicamente i dati sui nuovi supporti. La scelta del formato sul quale conservare i dati è importante ed è consigliabile rifarsi agli standard internazionali perché, essendo i più diffusi, danno maggiori garanzie.

Si sono così sviluppate nuove tipologie di supporto da ricondurre a diverse evoluzioni tecnologiche come la fotografia, il cinema ecc. L’interesse per questo genere di fonti è abbastanza recente anche se esistono già da qualche tempo archivi simili creati da privati collezionisti.

In questi anni la rapida evoluzione della tecnologia, il superamento delle macchine necessarie per leggere i diversi supporti e le difficoltà di mettere a punto standard condivisi hanno portato ritardi nelle strutture pubbliche a conformarsi con le nuove tecnologie.

Come detto in precedenza, mentre gli archivi cartacei ci trasmettono emozioni e danno la sensazione di una sorta di “materialità”, gli archivi digitali comunicano al contrario una sorta di “immaterialità” in quanto non offrono la possibilità di toccare quello che vediamo. Quando accendiamo il computer lo schermo cambia davanti ai nostri occhi aprendo una dimensione diversa che può portare dove vogliamo. Gli archivi fanno emergere con estrema rapidità documenti, segni, filmati, fotografie, pezzi del passato e del presente, ma dietro a tale rapidità c’è la paura che tutto questo possa scomparire con estrema facilità6.

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Quando si parlava degli archivi cartacei abbiamo sostenuto che per conservare al meglio i documenti bisogna rallentare la loro degradazione controllando l’ambiente dove essi sono collocati. Per questo è importante considerare diversi fattori ambientali. Questa attenzione alla conservazione degli archivi cartacei è necessaria anche per gli archivi digitali perché nella documentazione digitale c’è il rischio che la documentazione possa essere intaccata da pericolosi agenti insiti nei computer, come per esempio i virus e gli hacker, in grado di distruggere almeno in parte la documentazione7.

In ambiente digitale il tipo di supporto e le forme su cui vengono redatti i documenti informatici portano dei cambiamenti nella natura degli stessi documenti; essi non sono più come quelli cartacei, cioè un intreccio fisico indiscendibile dal contenuto, forma e supporto. In ambiente digitale il documento e il supporto sono indipendenti così come anche il contenuto e la forma possono essere separabili. I documenti digitali si differenziano dalla staticità dei documenti cartacei, in quanto sono caratterizzati da una instabilità e da una continua dinamicità dovuta al superamento dei relativi sistemi operativi e dei programmi specifici.

Tutto questo crea delle difficoltà per la loro gestione, per l’utilizzo presente e per quello futuro, soprattutto per i problemi riguardanti l’autenticità e l’affidabilità e quindi la messa a punto delle procedure che ne assicurino l’integrità.

La vita dei documenti digitali, come abbiamo già detto è tutt’altro che statica, anzi è soggetta a un continuo dinamismo. Conservare i documenti digitali costa

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Quando si parla della documentazione digitale si usa il verbo “conservare” come quando facciamo riferimento alla documentazione cartacea. Dobbiamo però tenere presente che in ambiente digitale c’è la mancanza di fisicità degli archivi e questo comporta che non si conservino oggetti e cose ma, come notato in precedenza, si effettui la riproduzione. In generale, conservare vuole dire trasformare, e la trasformazione deve includere un’attenta ma anche una mirata selezione tra ciò che va conservato e ciò che va distrutto, poiché in ambito digitale si ha a che fare con materiali caratterizzati da una crescente espansione.

A causa dei repentini cambiamenti di hardware e software bisogna spostare i dati da un supporto a un altro e adottare nuovi formati di memorizzazione cercando contemporaneamente di proteggere i dati. Per essere ancora più precisi dobbiamo parlare di metadati che riguardano la loro provenienza, le loro trasformazioni tecniche, i loro contesti, ecc.

I metadati sono dati che descrivono le caratteristiche e le proprietà di un documento e consentono ai singoli documenti di mantenere a medio e lungo termine la loro integrità affinché non subiscano improvvise modifiche e la loro autenticità sia garantita.

In ambiente elettronico, però, i documenti subiscono dei cambiamenti e quindi è impossibile che non incorrano in modificazioni. Questo aspetto è quello che caratterizza e distingue i documenti informatici da quelli cartacei: di questi ultimi possediamo gli originali, mentre dei primi abbiamo le copie, autentiche oppure autenticate. Proprio alla conservazione dei documenti digitali e ai problemi connessi, si è guardato e si guarda tutt’oggi con interesse; a tal proposito ci si

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vadano utilizzati per tutelare e salvaguardare quella parte di memoria digitale che si vuole trasmettere alle generazioni future.

2.4 Gli archivi audiovisivi digitali

Oggi grazie alle nuove tecniche informatiche è importante conservare e tutelare il patrimonio storico archivistico. Oltre a questo patrimonio è altrettanto importante tutelare e conservare anche il patrimonio archivistico audiovisivo.

Un archivio audiovisivo è un luogo dove si conservano materiali filmici, sonori o muti, di immagini in movimento o fisse, su supporti differenti.

La raccolta e la conservazione del materiale audiovisivo deve riguardare tutti i film, non solo quelli ritenuti opere d’arte, ma anche quelli reputati documenti storici. Un punto molto importante è che l’opera cinematografica va conservata perché è una fonte di storia contemporanea. A questo proposito la Fiaf, cioè la Federazione internazionale degli archivi filmici, all’art.1 del suo statuto dà la definizione di film partendo dal presupposto che un film è un bene culturale: «una qualsiasi registrazione di immagini in movimento (animate), con o senza accompagnamento sonoro, qualunque ne sia il supporto: pellicola cinematografica, videocassetta, videodisco o ogni altro processo conosciuto o da inventare»9.

Rispetto a un archivio cartaceo, in un archivio audiovisivo sono conservati documenti non cartacei su supporti differenti, come per esempio pizze di pellicole, videonastri, dischi ottici e digitali, macchinari per la lettura, per la

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visione e per la lavorazione dei documenti. Tali supporti, rispetto alla carta che caratterizza un archivio cartaceo, sono molto ingombranti e cioè crea un problema non indifferente per quanto riguarda gli spazi per la conservazione. Inoltre questo lavoro ha un costo soprattutto per quanto riguarda la conversione dei supporti e il loro mantenimento.

In questi anni le tecniche di digitalizzazione dedicate alle immagini si sono molto sviluppate e sono in grado di operare su diversi tipi di materiale anche se i costi per la realizzazione sono ancora alti e necessitano di lunghi tempi di lavoro. Il risultato migliore è stato raggiunto grazie al DVD che sfruttando formati di compressione MPEG-2 può raggiungere alte risoluzioni e rendere un prodotto pulito simile all’originale analogico. Oggi il digitale è un qualcosa di soddisfacente in ambito conservativo perché riesce a preservare la memoria dell’oggetto e questo può permettere la trasmissione nel tempo del patrimonio del sapere. Altro elemento importante è il fatto che il digitale è rappresentato da valori numerici e la caratteristica di questi è che sono replicabili all’infinito e non soggetti a variazioni nel tempo. Inoltre, grazie agli archivi digitali possiamo conservare, catalogare e recuperare informazioni di ogni genere, in qualsiasi momento noi vogliamo e in qualsiasi luogo ci troviamo10.

In Italia le immagini fisse e in movimento prodotte da più di venticinque anni sono considerate beni culturali da salvaguardare a partire dalla fine del 1999, grazie al Decreto legislativo del 29 ottobre del 1999. Il testo parla di opere cinematografiche, audiovisive, sequenze di immagini in movimento, o comunque

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registrate, comprendendo le documentazioni sonore e verbali comunque registrate11.

In generale, quando si parla di archivi audiovisivi si pensa subito a grandi o famose strutture come le cineteche, l’Istituto Luce, Rai Teche, gli archivi delle emittenti televisive, il Museo Nazionale del cinema di Torino, ecc. Pensiamo a quei luoghi, cioè, dove si concentra gran parte del patrimonio italiano delle immagini in movimento.

Nel nostro Paese esiste però una realtà più articolata. Infatti, alla fine degli anni Sessanta, abbiamo assistito al nascere e al proliferare di strutture di produzione, raccolta, trattamento, conservazione. Tutto questo ha coinciso proprio con la rivoluzione tecnologica, che ha portato nuove modalità di produzione e di diffusione degli audiovisivi. Con l’introduzione sul mercato di supporti alternativi alla pellicola, più economici, e con i nuovi strumenti di registrazione e visione sempre più leggeri e meno costosi abbiamo assistito negli anni a una vera e propria evoluzione e rivoluzione dei supporti. Ci sono stati dei mutamenti tecnologici che inizialmente non furono percepiti come importanti. Nel corso degli anni, però, accanto alle tradizionali modalità di riproduzione, per esempio quella cinematografica e televisiva concentrate in modo particolare a Roma e Milano, si diffuse una tecnologia videomagnetica leggera come telecamere e videoregistratori portatili. Questi nuovi strumenti, all’inizio semiprofessionali e di

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tipo dilettantistico amatoriale, in poco tempo portarono a un rapido cambiamento e al proliferare di Tv private locali e microstrutture audiovisive produttive12.

Così, alla divulgazione dei film tramite la sala cinematografica si è aggiunta la diffusione televisiva dei prodotti audiovisivi e, successivamente, attraverso i videolettori per uso domestico si è affermato il VHS. Il VHS è stato uno standard che è andato in disuso e ha lasciato il posto al DVD. Negli anni Ottanta questo processo si è sviluppato poi in parallelo alla diffusione dei personal computer e questo ha prodotto una interrelazione tra audiovisivi e informatica.

Oggi anche i lettori DVD per uso domestico sono in disuso perché negli ultimi anni la tecnologia ha immesso sul mercato i Tablet e gli iPad, stumenti tecnologici di nuova generazione che permettono tra l’altro di ascoltare musica, fare foto e video e vedere film da qualsiasi parte e luogo del mondo.

Come detto accanto agli archivi di grandi enti come la Rai e le società di produzione audiovisive quali l’Istituto Luce, si sono creati e formati archivi di strutture impegnate civilmente, culturalmente e politicamente. L’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza di Torino (1966), la Cineteca Sarda (1966), la Cineteca del Friuli ex Cinepopolare (1977), la Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (1979), riconosciuta come fondazione nel 1985. Va inoltre ricordato che a Bologna esiste dai primi anni Duemila anche Home Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia un archivio audiovisivo, dedicato alle memorie filmiche private. Dal 2010 Home Movies insieme al Relab-Laboratorio di produzione audiovisiva (Università di Modena e Reggio Emilia) ha promosso Expanded Archive, un progetto

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sperimentale che consiste nella creazione di artefatti mediali che permettano allo spettatore/utente di esplorare il linguaggio e la tecnica del cinema amatoriale in ambiti quali le aule universitarie, gli spazi museali, la rete13.

Oltre a questa realtà in Italia ci sono gli archivi di registi, filmmaker, autori cinematografici e televisivi ecc. senza dimenticare gli archivi di privati costituiti da filmati amatoriali14.

Rispetto agli archivi audiovisivi, è da sottolineare che quelli digitali sono particolarmente importanti nell’attività didattica, della ricerca e della produzione sperimentale, per quanto siano quasi ignorati dalle istituzioni nazionali e locali e poco valorizzati anche in sede di dibattito scientifico relativamente alla questione della conservazione.

Conoscere le finalità degli Enti di raccolta, la conservazione e produzione dei documenti filmici e sonori è importante ai fini della creazione di modelli condivisi di gestione, ma la cosa più importante è mettere in atto una politica nazionale indirizzata all’accesso, al recupero e alla tutela del patrimonio audiovisivo presente in Italia.

Tra il 1960 e il 1970, in concomitanza alla rivoluzione tecnologica è iniziata anche una politica dell’accesso ai nuovi documenti audiovisivi. Sempre in questi anni, a seguito della trasformazione, sono nate anche le videoteche e vari centri di documentazione audiovisiva. Questi centri sono annessi a strutture pubbliche e private per esempio all’interno di musei e dei dipartimenti universitari.

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In concomitanza con la nascita di tali istituti furono emanati i primi provvedimenti per l’istituzione di mediateche regionali, che negli ultimi anni si sono sviluppate sul territorio nazionale; alcuni esempi sono la Mediateca della Toscana, della Lombardia, delle Marche, lo scopo delle Mediateche è quello di creare strutture regionali di conservazione, accesso e distribuzione degli audiovisivi, dei documenti cinematografici e televisivi. Sono luoghi che oltre a garantire la conservazione delle copie di film danno la possibilità di circolazione o di reperimento per scopi culturali ed educativi.

2.5 Sintesi degli standard catalografici digitali

Per quanto riguarda la gestione e gli standard catalografici degli archivi audiovisivi, negli anni ci sono stati dei problemi riguardanti lo sviluppo di una adeguata politica volta a salvaguardare e valorizzare la memoria audiovisiva. Un primo problema è stata la mancanza di un intervento legislativo che disciplinasse il settore audiovisivo, la necessità di dialoghi e scambi frequenti tra le diverse realtà di raccolta e conservazione, tra queste realtà e le istituzioni di governo e tra gli istituti di ricerca. Gli archivi audiovisivi hanno fatto scelte e realizzato progetti senza condividere metodologie, e inoltre c’è stata la mancanza di un lessico e di una terminologia comune nell’ambito della salvaguardia e della tutela degli audiovisivi. Dobbiamo infatti capire che cosa si intende per catalogazione dei documenti audiovisivi. La catalogazione dei documenti audiovisivi è una delle attività principali nel trattamento delle immagini in movimento, che comprende

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l’identificazione, la descrizione, l’archiviazione, la conservazione, il restauro, la valorizzazione e la gestione di questi materiali15.

I documenti audiovisivi hanno bisogno di un buon sistema di catalogazione che sia sì in grado di descriverli, ma che sia anche in grado di documentare, correlare, rendere esplicite tutte le operazioni relative al loro trattamento e al loro possibile uso e riuso.

In passato, nelle cineteche, la catalogazione degli audiovisivi veniva effettuata su schedine cartacee. Questa procedura però era limitata alla registrazione di dati quali il titolo, la data, i dati tecnici quali il supporto, il formato, la lunghezza della pellicola, ecc. In Italia, e più in generale in Europa, da quando gli audiovisivi sono entrati nelle biblioteche, negli Archivi di Stato e nelle mediateche, l’argomento sulla loro catalogazione ha fatto sì che ci si ponesse il problema riguardo al trattamento delle immagini in movimento, e questo ha attirato l’attenzione di discipline come la biblioteconomia e l’archivistica che si sono interrogate sui problemi riguardanti la descrizione di questa tipologia particolare di documenti16.

Oggi sono quattro gli standard internazionali di derivazione biblioteconomica utilizzati per la catalogazione dei documenti audiovisivi:

1. ISBD-Nbm (International Standard for Bibliographical Description- non book Non Book Materials).

È uno standard che serve a specificare i requisiti per la descrizione e per l’identificazione di documenti non librari; viene standardizzato l’ordine in cui

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gli elementi di descrizione devono essere presentati e la punteggiatura con cui devono essere contrassegnati. Questo tipo di standard però non soddisfa del tutto le esigenze di descrizione dei materiali audiovisivi in quanto troppo generico: non riconoscono all’immagine in movimento la specificità del linguaggio e quindi del loro trattamento;

2. AACR2 (Anglo American Cataloguing Rules, 2a.ed.1980).

Lo standard prevede un set di regole specifiche per i “Motion Pictures and

Videorecordings”;

3. FIAF (Federazione Internazionale degli Archivi Filmici).

La Federazione si occupò di adattare le regole ISBN (nbm) alla specificità del linguaggio filmico e alle esigenze delle strutture che conservano e trattano immagini in movimento. È l’unico standard internazionale concepito in maniera specifica per i documenti film/audiovisivi;

4. IASA (International Association of Sound and Audiovisual Archives,1999). Lo standard IASA si occupa dei documenti sonori e di quelli audiovisivi, qualora questi possano essere considerati un’estensione di un documento sonoro (es: video musicali, performances musicali, trasmissioni simultanee di trasmissioni radio e tv). Si basa su standard ISBN(nbm) e FIAF.

La commissione che elaborò le regole Fiaf si costituì nel 1968 e il manuale Film Cataloguing fu pubblicato a New York nel 1979; il lavoro della Commissione sulle regole Fiaf è durato fino al 1991, e trova nelle ISBD(NBM) il contesto nel quale sviluppare i princìpi per la catalogazione dei moving images

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sottolineato che quasi nessun archivio di film applica più le regole Fiaf in maniera rigida così che esse sono considerate come un semplice punto di riferimento teorico, per cui ogni archivio ha adattato queste regole alle proprie esigenze17.

In Italia le regole Fiaf sono state tenute presenti ma non sono state adottate in modo specifico e ogni archivio audiovisivo ha preferito dotarsi di un proprio sistema descrittivo di catalogazione, come è spiegato nella guida agli archivi audiovisivi in Italia, pubblicata dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico nel 200418.

Ogni struttura utilizza un proprio specifico trattato catalografico e un proprio sistema informatico tenendo in parte presenti le regole Fiaf o delle Isbd-nbm, in particolare per quanto riguarda l’area dei titoli, l’area delle descrizione dei supporti, ecc.

La tendenza attuale è quello di adottare la tecnologia e lo standard XML (eZtensible Markup Language) anche per le basi dati dei patrimoni audiovisivi. Questo standard ha la disponibilità dei dati verso altri sistemi essendo un formato aperto che non richiede alcun intervento di manipolazione dei dati.

Per la conversione in XML delle basi dati già esistenti si va diffondendo l’utilizzo dello standard EAD (Econding Archival Description), il quale non è uno standard per la descrizione del contenuto, poiché definisce una lista di elementi e attributi per descrivere la struttura del documento, utilizza la tecnologia standard SGML/XML per la conservazione e documentazione fisica dei dati.

(26)

L’Aamod sta aggiornando la versione elettronica della guida agli archivi audiovisivi nel formato XML/EAD, a mano a mano integrato, che rende accessibile il patrimonio audiovisivo italiano composto da documenti audiovisivi finiti e non finiti, materiali filmici, extrafilmici, ecc.

Non esiste ancora niente di definitivo, possiamo dire che ci si muove su un terreno in via di assestamento e inevitabilmente si ha a che fare con gli inevitabili inconvenienti di confusione e di discordanza, però la tendenza è di lavorare alla comunicazione e permettere agli utenti di accedere agli archivi e ai loro contenuti in modo più semplice e rapido19.

(27)

3. Il progetto di digitalizzazione e conservazione dell’archivio di

Mario Benvenuti

Il lavoro nell’archivio di Benvenuti è iniziato i primi di settembre del 2008 e si è concluso nel 2010. Il ruolo che ho svolto all’interno del progetto è stato quello di conoscere il corpo filmico presente nell’archivio, coordinarne la digitalizzazione e catalogarlo.

Si è trattato di un’esperienza molto importante perché mi ha dato la possibilità di conoscere Mario Benvenuti come documentarista. Dello stesso mi ero infatti già interessata durante la stesura della mia prova finale di triennio Il paesaggio e

la civiltà contadina nei film girati in Toscana da Paolo Benvenuti dove avevo

indagato su Mario Benvenuti fotografo e maestro del figlio Paolo.

Durante quest’ultimo percorso i rapporti si sono fatti più stretti sia nella relazione interpersonale che nella conoscenza della poetica e delle opere del regista.

Il lavoro si è inizialmente svolto nel garage di casa Benvenuti dove ho dovuto catalogare in ordine numerico crescente tutte le pizze e i VHS presenti. Ogni pomeriggio Mario scendeva a vedere come procedevano i lavori e ogni volta mi chiedeva a che punto fossi. Puntualmente rispondevo che mi mancava ancora un po’ perché il materiale da catalogare era davvero molto. Con il sorriso soddisfatto di chi è cosciente dell’attività svolta, un giorno Mario rispose: «Allora vuole dire che ho lavorato tanto».

(28)

Non ho potuto visionare subito il contenuto delle pizze a causa della rottura della moviola meccanica ma un giorno, mentre ero immersa nell’odore delle pellicole, per me avvenne una sorta di miracolo.

Era un tardo pomeriggio, quasi alla fine del lavoro programmato, e mentre come ogni giorno riconsegnavo le chiavi del garage feci presente che non ero del tutto soddisfatta perché avevo una grande curiosità di visionare il materiale ma non potevo perché la moviola era guasta. Sorridendo Mario scese con me in garage, prese a caso una pizza, la inserì nella piccola moviola manuale e mi fece vedere Gita a Fauglia, un documentario del 1941.

Fu una grandissima emozione, non solo perché vidi come funzionava la moviola a cui Benvenuti aveva lavorato per una vita intera, ma perché Mario iniziò a entrare nel vivo della spiegazione del suo lavoro. Illustrando la realizzazione del documentario iniziò a guidarmi nella sua cinematografia.

Successivamente, ho visionato il materiale digitalizzato e riversato su DVD. Quando Mario non mi era accanto per spiegarmi come aveva girato i filmati, leggevo con gelosia i foglietti che trovavo all’interno delle pizze dove erano riportati i titoli dei vari pezzi e qualche breve annotazione. Questi mi hanno permesso di capire di quale filmato si stava trattando e di fare una più esatta ricostruzione storica. L’autore non buttava via niente ma riutilizzava le pellicole, scriveva e conservava tutto.

Il patrimonio audiovisivo di Mario Benvenuti può essere suddiviso in:

1. I documentari realizzati negli anni Quaranta quando Benvenuti era uno studente universitario e faceva parte dei Cineguf;

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3. I lavori realizzati con i giovani del Cinema Zero;

4. Benvenuti e l’insegnamento: utilizzare il cinema come strumento didattico.

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4. Il patrimonio audiovisivo digitalizzato dell’archivio di Mario

Benvenuti

L’archivio audiovisivo di Mario Benvenuti è composto da 285 filmati girati in parte in bianco e nero senza sonoro, altri girati a colore con sonoro in 16 mm, altri in VHS. Contando anche le copie, si arriva a un totale di 47 ore di girato. Nell’archivio ci sono vari lavori in VTR che non sono stati digitalizzati a causa della mancanza di un lettore in grado di leggere tale formato.

Per un problema di budget le pellicole non sono state restaurate e quindi attraverso la digitalizzazione sono stati trasferiti anche alcuni difetti dovuti allo stato della pellicola originale. Purtroppo questo fa sì che in alcuni DVD si possono trovare per esempio filmati con immagini sfuocate o molto scure, graffi, ecc.

Il patrimonio archivistico è molto vasto e comprende: i documentari realizzati in un periodo che va dal 1941 al 1943 quando, sotto il fascismo, Benvenuti era un giovane studente universitario e faceva parte della sezione del Cineguf pisano; i filmati famigliari della famiglia Benvenuti; i lavori realizzati da Mario e dai suoi amici; i lavori realizzati con i giovani del Cinema Zero; i video prodotti nella scuola dove ha insegnato.

Ciò attesta come il cinema abbia caratterizzato tutta la vita di Mario Benvenuti, dagli anni universitari nei Guf, fino a pochi anni fa, e come attraverso il cinema egli esprima il suo essere intellettuale e interprete della città di Pisa.

(31)

e Vittorio Taviani ai tempi in cui i fratelli abitavano a Pisa, ma non è da meno il sodalizio con i colleghi di lavoro incontrati quando era professore e, successivamente, preside alla Scuola media. Va poi ricordato l’amore per il cinema trasmesso al figlio Paolo, oggi affermato regista.

Proprio negli anni Settanta, quando era insegnante alla Scuola media “Pacinotti” di Pontedera, riuscì a coinvolgere diversi docenti, tra cui la professoressa di Italiano Carla Batini, insieme ai quali creò un bel gruppo di lavoro che attraverso un laboratorio cinematografico interdisciplinare introdusse i giovani studenti nel mondo degli audiovisivi approcciandoli al linguaggio cinematografico e dei media.

Benvenuti è operatore, fotografo, montatore, documentarista con una grande esperienza artigianale e tecnica; è una persona precisa, che conserva ogni fotogramma senza sprecare la pellicola, riutilizzando quella avanzata.

Negli anni ha saputo conservare con cura il suo patrimonio audiovisivo facendo le copie delle pellicole in modo che il materiale non si deteriorasse.

Mi piace accogliere la definizione Uomo di cinema a 360°, che ama guardare

la realtà attraverso l’occhio della macchina da presa, data dallo stesso in

un’intervista di qualche anno fa.

Dai suoi documentari, dai lavori e dalle collaborazioni con altri registi, tutto questo emerge con chiarezza: un uomo che è riuscito a osservare e a cogliere attraverso l’occhio della macchina da presa la realtà che gli stava intorno, i cambiamenti politici, ambientali, socio-culturali della società e della storia del

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Nel corso degli anni ha contribuito alla diffusione, a Pisa, di associazioni cinematografiche come per esempio il primo cineclub nato tra il 1947 e il 1948, e l’Associazione del Cinema dei Ragazzi, nata nel 1972, con lo scopo di diffondere il cinema nella scuola dell’obbligo attraverso l’organizzazione di corsi di formazione per insegnanti e attraverso rassegne alle quali partecipano non solo le scuole italiane ma anche quelle straniere. Un momento d’incontro tra studenti, insegnanti, registi, dove il filo conduttore è il cinema, inteso come strumento educativo.

Infine, ma non per questo meno importante, Benvenuti ha assistito anche all’evoluzione tecnologica dei supporti: dalle macchine da presa usate ai tempi del Cineguf negli anni Quaranta, alla tecnologia usata negli anni Sessanta e Settanta, fino ad arrivare agli anni Duemila. Tutto questo è documentato attraverso i lavori presenti nell’archivio.

4.1 I Cineguf: i documentari di Benvenuti negli anni Quaranta del

Novecento

Sotto il regime fascista, le università italiane erano dotate di sezioni cinematografiche interne ai preesistenti GUF, i Gruppi Universitari Fascisti, cioè le strutture nate nel 1926 in concomitanza con l’Istituto Luce (Unione Cinematografica Educativa), statalizzato nello stesso anno. Fin dal 1920 i GUF si occupavano della formazione ideologica dei giovani universitari20.

(33)

La cinematografia sotto l’operato di Mussolini si trasformò dal 1926 in poi in un’istituzione vera e propria e in un organo di propaganda e di manipolazione dell’informazione. Il cinema era utilizzato dal regime fascista come strumento di diffusione dell’immagine di una bella Italia agli occhi degli Stati stranieri; era utilizzato come mezzo educativo al punto da inserire gli audiovisivi nei programmi ministeriali della scuola dell’obbligo, mentre le università beneficiarono di strutture dipendenti come i Cineguf, che sorsero in Italia nel 1933 su iniziativa di Galeazzo Ciano, mentre nel 1934 venne istituita la Direzione Generale della Cinematografia sotto la direzione di Luigi Freddi.

Freddi ritenne necessario intervenire in questo settore con la formazione di personale al quale affidare incarichi concernenti la propaganda, lo sviluppo di una coscienza cinematografica e del cinedilettantismo. In questo modo i giovani venivano a contatto con i problemi tecnici ed estetici della cinematografia. Fu in questo contesto che nacquero i Cineguf, i nuovi uffici tecnici dei GUF. Inizialmente, non erano molti ma poi si arrivò ad avere un Cineguf in quasi tutti i capoluoghi di provincia. Al loro interno il lavoro consisteva in un’opera di addestramento teorico e pratico; venivano inoltre organizzati corsi per operatori, attori, registi, allo scopo di realizzare film su soggetti di carattere spettacolare, tecnico e scientifico nel formato 16 mm21.

Le Università più importanti erano interessate a perseguire successi sul piano atletico mentre negli atenei dei capoluoghi di provincia si svilupparono soprattutto i Cineguf, perché il cinema era visto come impegno culturale e ideologico, come

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propagandistico. Per questo fu istituito un complesso di dispositivi e canali diffusori: il regime voleva espandere la propria voce non soltanto attraverso la radio ma soprattutto attraverso il cinema, in ogni settore del quale esercitava la supervisione.

Il cinema era visto anche come il luogo privilegiato di gratificazioni intellettuali, infatti tutti si potevano occupare di cinema. In generale i giovani che giungevano al cinema non provenivano soltanto da Facoltà umanistiche, anzi i più provenivano da quelle scientifiche.

Come già accennato, i Cineguf nacquero con lo scopo di coordinare la diffusione della cultura cinematografica attraverso il rafforzamento e il controllo dell’attività cinedilettantistica. Il regime voleva dare ai giovani studenti universitari che lavoravano all’interno delle associazioni l’illusione di poter svolgere liberamente un apprendistato, sia nei contenuti, sia nelle modalità operative. Questo era solo una pura illusione, perché in realtà alla fine avrebbero dovuto uniformarsi ai criteri fascisti. Le attività che erano svolte nell’ambito dei Cineguf ricoprivano un ruolo importante, in particolare quello che animava le associazioni era il fatto che il cinema era visto come un profondo impegno culturale e ideologico22.

Nel 1934 Gioacchino Forzano acquistò dall’Ente Autonomo Tirrenia centomila metri quadri e incaricò l’architetto Antonio Valente23 di progettare la prima città del cinema italiano realizzando gli stabilimenti della Pisorno, grazie ai quali Tirrenia sarebbe diventata la “Hollywood Italiana”. Un anno dopo, nel novembre

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del 1935, a Roma fu inaugurato dal ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri il Centro Sperimentale di Cinematografia, e nel 1937 ci fu la realizzazione di Cinecittà sempre ad opera dell’architetto Valente24.

Il Centro sperimentale di Cinematografia, diretto da Luigi Chiarini, era una scuola nata come luogo di formazione professionale, teorico e pratico. Per il regime fascista si trattava di un organismo importante, di controllo e di produzione culturale.

Nel 1940 Mussolini inaugurò la sede definitiva. Inizialmente la scuola era autonoma, per quanto finanziata dal Ministero della Cultura popolare, mentre a partire dal 1941 divenne un organismo pubblico dipendente da tale Ministero25.

I centri di propaganda e di formazione erano da un lato l’Istituto Luce con i suoi cinegiornali e i suoi documentari, usati come strumento di propaganda ideologica, dall’altro il Centro Sperimentale di Cinematografia che fin dalla sua fondazione era collegato all’azione dei Cineguf. I giovani gufini venivano mandati a seguire i corsi al Centro Sperimentale, dove entravano in contatto sul piano critico con il cinema americano e sul piano pratico con quello sovietico. In un primo tempo le strutture formali del montaggio sovietico dovevano essere ricreate, anche se in maniera schematica ed elementare, per fornire un messaggio celebrativo della «rivoluzione» fascista26.

Se inizialmente il Centro Sperimentale era nato come centro di formazione e propaganda fascista, con il tempo in questo luogo confluirono intellettuali

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antifascisti. In particolare un nome da ricordare è Umberto Barbaro, il quale proiettava i film degli autori sovietici e in tal modo comunicava ai suoi allievi le idee, le esigenze e le ipotesi di una poetica cinematografica diversa da quella proposta dal regime. Possiamo dire che l’antifascismo nasce proprio in quel Centro voluto dal regime, con evidenti ripercussioni anche nei Cineguf. Il Centro sperimentale si rivelò in quegli anni una scuola di antifascismo ma al tempo stesso anche una scuola di formazione morale e intellettuale per un’intera generazione, e un punto di riferimento per tutti quei giovani che vedevano nel cinema un nuovo modo di espressione e uno strumento in grado di offrire risposte a interrogativi che non erano possibili in altri ambiti artistici e intellettuali27.

a)

Il Cineguf Pisano

All’interno dell’Università di Pisa esistevano i GUF suddivisi in varie associazioni culturali come il CUS, Centro Universitario Sportivo, e il Cineguf. Molti studenti universitari si iscrivevano a queste associazioni riconosciute dallo Stato, non tanto per particolari interessi ma perché si trattava di un modo per sfuggire ai controlli delle autorità.

La sezione del Cineguf pisano fu fondata a Pisa nel 1934 e svolse attività fino al 1943; era costituita dal fiduciario e da un gruppo di vice fiduciari, dai collaboratori, dagli attori. Fin dalla fondazione fu dotata di attrezzature tecniche.

Dal 1934 al 1937 il fiduciario del Cineguf pisano fu Francesco Tropeano, a quel tempo studente di Filosofia, la cui gestione fu caratterizzata da un’attenzione tutta teorica al cinema, infatti sotto di lui non furono promosse esperienze di

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pratica cinematografica. Importanti però erano le mattinate cinematografiche organizzate la domenica mattina al cinema “Vittoria”28.

Dopo Tropeano, tra il 1937 e il 1940, ci fu Giuseppe Masini, allora studente di Giurisprudenza, durante la quale furono portate avanti le mattinate cinematografiche, a cui si affiancarono attività parallele di rilevata importanza come corsi tecnico artistici per operatori, sceneggiatori, fotografi e, soprattutto, per registi. Furono realizzati diversi film dallo stesso Masini come per esempio

L’uomo fossile del Monte Circeo (1939), presente nell’archivio Benvenuti.

Alla gestione Masini subentrò nel 1940 quella di Paolo Angeli, che però fu chiamato al fronte e di fatto non ricoprì mai la carica che gli era stata assegnata. L’incarico fu assunto da Mario Benvenuti, che la ricoprì fino al 1943, anno di scioglimento della sezione in seguito all’incursione aerea alleata il 24 settembre dello stesso anno29.

Per i giovani che si iscrivevano all’Università era obbligatorio scegliere un’attività collaterale; la gran parte degli studenti si iscriveva ad attività ginniche sportive mentre una piccola parte sceglieva di iscriversi ai Cineguf. Come detto in precedenza, anche gli studenti iscritti alla sezione pisana non svolgevano solo studi a indirizzo umanistico ma i più frequentavano Facoltà scientifiche.

Nel novembre del 1940, con un anno di anticipo il giovane Mario Benvenuti e l’amico Giovanni Salardi si iscrissero all’Università di Pisa, il primo optò per la facoltà di Chimica, il secondo per Ingegneria.

(38)

sportivo universitario, mentre Benvenuti chiese un’alternativa allo sport. Gli fu proposto il cinema.

Dopo aver ricevuto le chiavi della sede del Cineguf, Benvenuti decise di fare un sopralluogo nella sede che si trovava in via S. Maria, al terzo piano del Collegio Ricci.

Come raccontatomi dallo stesso, Benvenuti trovò una grande confusione: ciò che lo colpì fu una montagna di pellicole buttate in un angolo. Qualche giorno dopo, tornato alla sede, iniziò ad srotolare la pellicola, a capire qual era il diritto, qual era il rovescio30. Quello fu il suo primo contatto con il cinema.

Il compito successivo di Benvenuti era imparare come andava caricata la macchina da presa e per questo si recò al negozio del fotografo Giovanni Allegrini in Borgo Stretto, dove ancora oggi è presente l’attività. Benvenuti conosceva bene quel fotografo che lo chiamava a fare le foto in occasione di qualche matrimonio. Fin da ragazzo, infatti, Benvenuti si dilettava di fotografia, un modo per guadagnare qualche soldo e allo stesso tempo perfezionarsi. Il fotografo spiegò a Mario come andava caricata la macchina da presa, ma lo invitò a imparare anche l’uso delle luci. Dopo queste spiegazioni Benvenuti, insieme alla sua fidanzata e a un’amica tornò alla sede del Cineguf, accese delle lampade e chiese alle due giovani di fargli da attrici fingendo di fare le pulizie nella stanza, per studiare le luci ed esercitarsi nell’uso31.

Benvenuti fu anche costretto a imparare velocemente la ripresa, perché gli era stato detto che presto ci sarebbe stato da filmare qualcosa di importante per cui non poteva farsi trovare impreparato. Nel 1941 era infatti in vigore una legge per

(39)

cui il responsabile dei Cineguf doveva documentare le iniziative e le manifestazioni che si tenevano a Pisa 32.

b)

Benvenuti pioniere: formazione, cifra stilistica e autoriale

Ben presto Benvenuti si innamorò del cinema. Questa forte passione nacque proprio all’interno del Cineguf, perché sotto il fascismo gli studenti del Cineguf avevano diverse possibilità rispetto al pubblico normale; per esempio era permesso loro di vedere anche il cinema sovietico proibito in Italia.

Il cinema sovietico era di alto livello espressivo, usato dai docenti del Centro Sperimentale per insegnare il montaggio, proiettando per esempio i film di Dziga Vertov.

All’interno dei Cineguf i giovani studenti venivano formati e mandati a Roma all’Istituto Luce e al Centro Sperimentale che si trovava di fronte. Questo per imparare il mestiere del cineoperatore in modo tale che non ci fosse più bisogno di mandare l’operatore da Roma se fosse successo qualcosa di importante a Pisa.

Questo è avvenuto anche per Benvenuti che nel 1942 soggiornò per un periodo di circa tre mesi a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove praticò un corso per operatore di attualità.

Per esempio, se alla sede del cinegiornale di Roma si veniva a sapere che a Pisa sarebbe stata organizzata una manifestazione importante, veniva conferito l’incarico al capo dell’ufficio stampa del Partito fascista a Pisa che contattava il responsabile del Cineguf pisano, il quale prendeva la macchina da presa e andava

(40)

a fare il servizio sulla manifestazione; se il pezzo piaceva e funzionava, poteva essere proiettato anche nei cinegiornali nazionali33.

Una delle caratteristiche stilistiche di Benvenuti è stato il montaggio in macchina.

Quest’ultimo è molto legato alla frequenza della scuola per operatori organizzata dall’Istituto Luce presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. È lì che Benvenuti ha imparato a montare in macchina, a capire l’evento e a comprendere come raccontarne la sintesi.

A Roma, Benvenuti non veniva solo a contatto con la parte tecnica ma anche con la parte teorica e con docenti che gli insegnavano come realizzare delle buone riprese. Racconta Paolo Benvenuti:

Mio padre ricordava sempre che aveva avuto non pochi ammonimenti: se si doveva riprendere un personaggio politico importante e questo non era molto alto, andava ripreso dal basso e soprattutto non andava ripreso vicino a qualcuno molto alto. Queste regole erano fondamentali per non ridicolizzare i personaggi politici ripresi34.

Il periodo trascorso a Roma fu fondamentale per Mario perché, oltre ad ampliare le sue conoscenze cinematografiche attraverso la visione delle opere della cinematografia sovietica, potè soprattutto assistere alle conferenze di insegnanti come Chiarini, Barbaro e altri; queste conferenze furono importanti per la formazione della sua coscienza critica.

(41)

I documentari ufficiali dovevano rispettare volontà esterne: spesso i soggetti da trattare erano imposti e dovevano aderire alla filosofia fascista.

Il mondo poetico di Mario Benvenuti trova ben presto un suo modo di esprimersi, nonostante le regole insegnate e apprese al Centro Sperimentale e le pressioni ideologiche.

Dai suoi filmati traspare infatti un occhio graffiante, perché Benvenuti ha sempre avuto un profondo senso dell’ironia che emerge chiaramente fin dai suoi primi lavori. Per esempio troviamo filmati in cui un federale a cavallo è ripreso dal basso. Egli sembra un novello Giulio Cesare, una figura assolutamente imponente. Nella scena successiva si vede il federale sceso da cavallo, ad altezza naturale e se ne scopre la bassezza. Tutti i filmati del periodo fascista sono totalmente antieroici e antiretorici, nonostante che Mario Benvenuti fosse nato nel 1922, stesso anno della Marcia su Roma, praticamente insieme al fascismo e nonostante anche per lui, come per tutti i ragazzi di quella generazione, il fascismo fosse l’unica realtà.

Va comunque sottolineato ancora una volta come i giovani del Cineguf, proprio per la possibilità che avevano di accostarsi a una cinematografia diversa da quella ufficiale fascista, avevano una visione che si allontanava dai canoni del fascismo, tanto è vero che anche dai Cineguf è uscito l’antifascismo nel cinema.

La formazione culturale è sicuramente un elemento della cifra stilistica di Benvenuti, unita al carattere personale. Dai racconti del figlio Paolo si delinea il ritratto di un uomo con un grande senso dell’ironia, che ha sempre avuto uno

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Forse è per questo che lo stesso Benvenuti non si è mai considerato un regista. Guardando e studiando i suoi lavori si ha l’impressione di un cinema apprezzabile, caratterizzato da chiarezza narrativa, costruito su un uso dell’immagine in funzione comunicativa. “Questo posso ammetterlo – sosteneva – ma non chiamatemi regista”35.

L’importanza dei film realizzati nel Cineguf pisano è data soprattutto dal modo in cui le immagini descrivono la quotidianità di quel periodo, scandita dal ritmo dei riti di regime o dalle più anonime esistenze.

Nei lavori di Benvenuti c’è la tendenza a impostare il racconto cinematografico secondo un’attitudine comunicativa. Anche se, come abbiamo già detto in precedenza, Benvenuti doveva rispettare volontà esterne, il suo mondo poetico trova un suo personale modo di esprimersi.

La finalità di quei filmati era trasmettere a una piccola Italia fascista le cronache del regime. Sia per esigenze espressive del regista, il quale aveva una formazione scientifica, sia perché le pellicole non erano sonorizzate, le immagini dei filmati volevano essere espressione di contenuti. Benvenuti cercò di impegnarsi in una ricerca espressiva autonoma e lavorò nella sezione universitaria al meglio delle sue possibilità.

Nei suoi documentari non ci sono solo filmati ufficiali di regime, ma anche riprese di persone che passeggiano sui lungarni o ragazze filmate sul lungomare di Marina di Pisa, insomma immagini che raccontano la quotidianità del tempo.

In tutti i lavori realizzati Benvenuti, è sempre stato guidato da un forte e straordinario istinto cinematografico; in modo naturale riusciva immediatamente a

(43)

capire dove andava posizionata la macchina da presa per cogliere le immagini più importanti, espressive e straordinarie di un evento o di una manifestazione. Il tutto accompagnato da quel suo sguardo ironico, leggero, che fa parte del carattere e che ha condizionato la sua cifra stilistica.

c)

I supporti utilizzati

In quegli anni il Cineguf di Pisa era l’unico spazio per chi voleva fare cinema e non aveva le possibilità economiche. L’associazione era sovvenzionata per il 60% dal fondo Guf e per il 40% dal Ministero della Cultura Popolare, nella forma di buoni per l’acquisto della pellicola Ferrania36. Visti gli scarsi proventi, l’associazione si era fornita di materiale cinematografico, anche se tecnologicamente non molto evoluto.

Le attrezzature che Benvenuti aveva a disposizione quando realizzò i suoi documentari erano due: una macchine da presa Agfa Movex 30 con obiettivo intercambiabile e una Cine Kodak K16 di modeste prestazioni, con obiettivo 1.9-25 mm, reflex esterno, che richiedeva la correzione continua del parallasse e un paio di proiettori Movector Super 16 mm Afga sprovvisti di impianti sonori. Poiché per Mario era quasi impossibile sonorizzare le pellicole, la sua produzione documentarista mirava soprattutto a fare sì che le immagini comunicassero il massimo delle informazioni.

Altri fattori condizionanti le due macchine da presa erano le limitate possibilità espressive, la scarsa fotosensibilità della pellicola in relazione al tipo di obiettivo,

(44)

al massimo la quantità di quest’ultima e, per ultimo ma non per questo meno importante, il fatto che la macchina da presa andasse caricata a mano ogni venticinque secondi di ripresa, poiché garantiva soltanto venticinque secondi di girato.

Durante le riprese, oltre a scegliere le opportune soglie di luminosità e filmare preferibilmente alla presenza di un’intensa luce solare, Benvenuti doveva soprattutto avere ben chiaro che cosa filmare e soprattutto che posto dare al filmato, perché il montaggio era realizzato direttamente in macchina, e i negativi erano consegnati tagliando semplicemente le code della pellicola.

Veniva utilizzata la Ferrania, pellicola invertibile che non prevedeva il passaggio negativo-positivo e per questo meno costosa delle negative. Questo tipo di pellicola non consentiva un buon margine di correzione in fase di stampa e quindi era necessaria una certa abilità durante la ripresa37.

(45)

Agfa Movex 30

Cine Kodak K16 degli anni Trenta usata ai tempi del Cineguf

Com’è possibile vedere dalla foto, la macchina utilizzata da Benvenuti era piccola e maneggevole e, grazie alle piccole dimensioni, poteva essere nascosta facilmente.

Se paragonata agli strumenti di oggi, è facile intuire che le condizioni di lavoro non erano facili, ma nonostante queste difficoltà e le esigue possibilità espressive della macchina da presa, Benvenuti è riuscito a creare una sua cifra stilistica, un linguaggio specifico che emerge chiaramente dai suoi documentari.

Benvenuti era solito camuffare la macchina da presa, come ben si capisce dall’episodio seguente.

(46)

quest’ordine; prese un vocabolario, lo scavò e ci infilò dentro la macchina da presa, se lo mise sotto il braccio e fece le riprese del funerale. Il fatto è sintomatico della personalità e del temperamento di Mario Benvenuti, che nonostante il divieto volle comunque riprendere l’avvenimento, perché da buon documentarista sapeva che la ripresa era particolarmente importante.

Oggi, purtroppo, questo documento, come altri realizzati in quegli anni, non fa parte dell’archivio Benvenuti, perché quando incominciarono i bombardamenti su Pisa, Mario vuotò tutto quello che c’era dentro la sede del Cineguf e lo portò a casa sua a Porta a Lucca perché quella zona era considerata più sicura rispetto al centro storico.

Essendo una persona molto precisa Benvenuti lasciò sul tavolo della sede del Cineguf una lettera all’Intendenza di finanza con un elenco delle cose che aveva preso: la macchina da presa Cine Kodak 16 con borsa di pelle, la macchina da presa Agfa Movex 30 (rotta), la moviolina avvolgifilm di montaggio, la discoteca del sonoro coi dischi di sincronizzazione, un cavalletto, cinque lampade, diciotto pellicole, ecc. con firma “ex fiduciario del Cineguf Mario Benvenuti”38.

Al momento della nascita della Repubblica Sociale Italiana tutti i fascisti partirono da Pisa per andare a Salò. In seguito alla lettera all’Intendenza di finanza di Pisa Benvenuti fu raggiunto da un funzionario della RSI che ritirò le attrezzature e molti dei film da lui conservati. A seguito di questo fatto gran parte del patrimonio del Cineguf andò disperso tra cui anche il film del funerale del figlio di Mussolini.

(47)

Nell’archivio, tra i documentari realizzati dal 1941 al 1943, si trovano comunque filmati molto importanti che documentano Pisa sotto il regime fascista sia da un punto di vista storico, socio-politico e anche architettonico.

Tra i filmati realizzati in questo periodo molto interessanti sono:

Trasporto del Federale Ceccanti (I funerali del Federale Ceccanti) (1941), Gita a Fauglia (1941), Canottieri (1941), e Traversamento invernale di Pisa a nuoto

(1942).

Trasporto del Federale Ceccanti (I funerali del Federale Ceccanti)

Fu il primo lavoro di una certa importanza che le autorità fasciste commissionarono a Mario Benvenuti. Si trattava di consegnare alla memoria cittadina il ricordo di una personalità di una certa rilevanza politica.

Nel documentario sono rari i primi piani perché, per i mezzi tecnici del tempo, mancava un teleobiettivo per cui era difficile inquadrare da vicino il volto di una persona senza che questa se ne accorgesse; rari sono i campi lunghi e assenti i lunghissimi. Per quanto riguarda i vari raccordi fra le inquadrature o le sequenze, si tratta il più delle volte di stacchi netti.

In questo documentario le possibilità di una modesta cinepresa portatile sono intelligentemente sfruttate in relazione al tipo di avvenimento filmato. L’ufficialità della manifestazione è ben restituita dal linguaggio usato da Benvenuti. Nel documentario si trovano una frequenza di campi medi e alcune panoramiche.

(48)

La corona mortuaria

Campo medio del corteo funebre

Secondo la logica del montaggio le inquadrature si muovono in direzione narrativa; appare costante l’intenzione di raccontare il reale.

In questo filmato non trapela l’ironia di Mario Benvenuti, infatti l’atmosfera generata dall’inizio alla fine è solenne e ufficiale. Le dimensioni forti dell’evento luttuoso sono esagerate anche topograficamente dal lungo e complicato percorso che attraversa le vie del centro storico di Pisa.

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