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Metodi numerici per il calcolo della durata a fatica di giunti saldati

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(1)

Lapo F. Mori

Metodi Numerici per il

Calcolo della Resistenza

a Fatica di Giunti Saldati

Tesi di Laurea Specialistica

Università di Pisa

(2)
(3)

Università di Pisa

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Meccanica

IndirizzoProgettazione di Macchine

Metodi Numerici per il Calcolo della

Resistenza a Fatica di Giunti Saldati

Tesi di

Lapo F. Mori

Relatori

Prof. Marco Beghini

. . . .

Prof. Leonardo Bertini

. . . .

Candidato

Ing. Lapo F. Mori

. . . .

Sessione Laurea 20 Luglio 2005 Anno Accademico 2004/2005 Codice Archivio Tesi 11/LSM

(4)

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Fourth printing, revised July 2005 Copyright c 2005 by L.F. Mori

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This work is subject to the condition that it shall not, by way of trade or otherwise, be sold or hired out without the prior written permission of the author.

This work is subject to the condition that it shall not be circulated without the author’s prior written consent in any form of binding or cover other than that in witch it is published.

All inquiries should be addressed to: Lapo F. Mori, via San Martino 231, 55049 Viareggio LU, Italy. Printed and bound in Italy.

Author’s email: lapo.mori@studenti.ing.unipi.it

Archivio Tesi Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Meccanica: 11/LSM Uniform Resource Name: etd–05302005–212339

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Sommario

La presente tesi presenta una tecnica per valutare la resistenza a fatica di giunti saldati con cordoni d’angolo, valida per qualunque geometria del giun-to e qualunque condizione di carico, e basata sulla teoria della tensione locale di Neuber-Radaj. A differenza della procedura standard di Radaj, che preve-de la soluzione in serie di sottostrutture preve-del giunto, si mostra che è possibile studiare modello globale e sottomodello in parallelo. Modello e sottomodello sono disaccoppiati grazie ad una procedura fondata sul principio di sovrap-posizione degli effetti, che permette di scomporre una qualunque condizione di carico agente sul giunto, nella combinazione lineare di condizioni di carico elementari. A titolo di esempio, si presenta l’implementazione di tale tecnica sul codice agli elementi finiti ANSYS. Rispetto alla procedura standard di Radaj, tale procedura permette, a parità di onere computazionale, di miglio-rare significativamente la velocità di soluzione, la convergenza del metodo e la risoluzione del coefficiente di intensificazione degli sforzi a fatica Kf lungo il giunto. Questa tecnica, valida per qualunque sottomodello bidimensionale, è potenzialmente generalizzabile anche a sottomodelli tridimensionali.

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Abstract

This thesis presents a technique, based on Neuber-Radaj’s local stress theory and valid for every joint shape and load condition, that permits to evaluate the fatigue strength of fillet welded joints with the finite elements method. According to the standard Radaj’s procedure, the joint substructures have to be solved in series, on the contrary we show that is possible and even suitable to study the global model and the submodel in parallel. Model and submodel are uncoupled by an algorithm based on the principle of linear superposition, which allows to decompose any load condition of the joint in the linear combination of elementary load conditions. An implementation of this technique on ANSYS finite elements code is showed as an example. Referring to the standard Radaj’s procedure, this algorithm permits, with the same computation cost, to appreciably improve solution speed, method convergence and resolution of the fatigue stress intensification coefficient Kf over the joint. This technique, valid for any two-dimensional submodel, is potentially extensible to three-dimensional submodels.

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(11)

Ringraziamenti

Beggar that I am, I am even poor in thanks. Hamlet. Act II. Sc. 2. William Shakespeare (1564–1616)

English actor, playwright, and poet

Ringrazio i miei genitori e Valeria per avermi appoggiato durante gli studi universitari e per i suggerimenti che mi hanno dato nella fase di revisione della tesi.

Ringrazio i proff. Marco Beghini e

Leonardo Bertini per avermi indirizzato nel mondo della meccanica dei solidi, avermi dato la possibilità di partecipare a lavori stimolanti ed essere sempre stati pronti a consigliarmi.

Ringrazio il prof. Antonio Bicchi per esser sempre stato disponibile a consigliarmi nelle scelte professionali.

Ringrazio Arianna Sarti per avermi più volte aiutato a superare le insidie della burocrazia.

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Indice

Simboli e notazioni xxi

1 Introduzione 1

1.1 Stato dell’arte . . . 3

1.1.1 Generalità . . . 3

1.1.2 Metodo della tensione locale . . . 4

1.1.3 Tecniche agli elementi finiti per la valutazione della tensione locale . . . 7

1.1.4 Limiti dell’analisi per sottomodelli . . . 8

1.2 Posizione del problema . . . 12

1.3 Articolazione della tesi . . . 13

2 Scomposizione della condizione di carico 15 2.1 Introduzione . . . 17

2.2 Aspetto strutturale . . . 17

2.2.1 Condizione di carico generica . . . 17

2.2.2 Sistemi di carichi possibili . . . 18

2.3 Aspetti algebrici . . . 20

2.3.1 Notazione vettoriale . . . 20

2.3.2 Definizione del problema in termini vettoriali . . . 22

2.3.3 Analisi dell’insieme di vettori Π . . . 22

2.4 Scelta della base vettoriale . . . 23

2.5 Metodi per la scomposizione della condizione di carico . . . . 24

2.5.1 Metodi di algebra lineare . . . 24

2.5.2 Metodo diretto . . . 26

2.5.3 Procedura per scomporre la condizione di carico . . . . 33

3 Implementazione su codici agli elementi finiti 35 3.1 Algoritmo proposto . . . 37

3.2 Sottomodello . . . 37

3.2.1 Sottomodello equivalente di Radaj . . . 39

3.2.2 Creazione del modello su ANSYS . . . 40

3.2.3 Condizioni di carico elementari . . . 54

3.2.4 Codice completo per la soluzione dei sottomodelli . . . 59

(14)

INDICE

3.2.5 Risultati . . . 59

3.3 Modello globale . . . 63

3.3.1 Definizione del modello . . . 63

3.3.2 Creazione della geometria del modello . . . 64

3.3.3 Introduzione delle condizioni al contorno . . . 66

3.3.4 Soluzione . . . 66

3.3.5 Estrazione dei carichi nodali . . . 69

3.3.6 Codice completo per la soluzione del modello globale . 76 3.4 Combinazione lineare delle soluzioni del sottomodello . . . 76

3.4.1 Scelta dell’algoritmo . . . 76

3.4.2 Implementazione su ANSYS . . . 77

3.5 Postprocessing . . . 78

4 Conclusioni 81 4.1 Risultati . . . 82

4.1.1 Approccio per sottostrutture in parallelo . . . 82

4.1.2 Limitato numero di sottomodelli da risolvere . . . 83

4.1.3 Soluzione esatta . . . 83

4.2 Sviluppi futuri . . . 84

4.2.1 Giunti con lamiere sottili . . . 84

4.2.2 Sottomodelli tridimensionali . . . 88

A Codici ANSYS 91 A.1 Sottomodello . . . 92

A.2 Modello globale . . . 103

A.3 Modelli per lo studio delle lamiere sottili . . . 113

B Calcoli 119

B.1 Distribuzione di pressione per applicare un momento unitario 119

Elenco degli acronimi 121

Indice analitico 123

Bibliografia 125

Colophon 127

(15)

Elenco delle figure

1.1 Flow chart rappresentante la procedura di Radaj per l’im-plementazione del metodo della tensione locale su codici agli Elementi Finiti (EF). . . 10 1.2 Flow chart rappresentante la procedura per l’implementazione

del metodo della tensione locale approssimato su codici agli EF. 11 2.1 Schema della condizione di carico generale su un giunto

sal-dato d’angolo. . . 19 2.2 Schemi semplificati equivalenti alla condizione di carico

gene-rale per il giunto saldato d’angolo. . . 19 2.3 Condizioni di carico base per quanto riguarda le forze Fx. . . 29 2.4 Condizioni di carico base per quanto riguarda le forze Fx. . . 31 2.5 Schema della condizione di carico generale su un giunto

sal-dato d’angolo. . . 31 2.6 Condizioni di carico base per quanto riguarda le forze Ft. . . 34 3.1 Flow chart rappresentante la procedura per l’implementazione

su codici agli elementi finiti del metodo della tensione locale suggerito. . . 38 3.2 Rappresentazione dei parametri geometrici da usare per tarare

il modello su prove sperimentali. . . 40 3.3 Sottomodello ottenuto importando la geometria in formato

IGES. . . 42 3.4 Schema quotato del sottomodello parametrico. . . 45 3.5 Rappresentazione delle zone su cui agiscono i parametri m1,

m2 ed m3 che controllano la mesh. . . 46 3.6 Disegno per la costruzione dei punti necessari per

l’identifica-zione del raggio di raccordo all’apice. . . 48 3.7 Disegno per la costruzione dei punti necessari per

l’identifica-zione del raggio di raccordo della radice. . . 49 3.8 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 con

parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦,

g = 0.5 mm, m1 = 3, m2= 1, m3 = 20. . . 49

(16)

ELENCO DELLE FIGURE

3.9 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 con

parametri: s = 20 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦,

g = 0.5 mm, m1 = 3, m2 = 1, m3= 20. . . 50 3.10 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 con

parametri: s = 10 mm, t = 35 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦,

g = 0.5 mm, m1 = 3, m2 = 1, m3= 20. . . 50 3.11 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 con

parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 2 mm, ϑ = 45◦,

g = 0.5 mm, m1 = 3, m2 = 1, m3= 20. . . 51 3.12 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 con

parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦,

g = 1 mm, m1 = 3, m2= 1, m3 = 20. . . 51 3.13 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 con

parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 60◦,

g = 0.5 mm, m1 = 3, m2 = 1, m3= 20. . . 51 3.14 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 con

parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦,

g = 0.5 mm, m1 = 5, m2 = 1, m3= 20. . . 52 3.15 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 con

parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦,

g = 0.5 mm, m1 = 3, m2 = 2, m3= 20. . . 52 3.16 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 con

parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦,

g = 0.5 mm, m1 = 3, m2 = 1, m3= 2. . . 52 3.17 Confronto fra la mesh ottenuta con il modello parametrico (a)

e con il file IGES (b). . . 53 3.18 Condizioni di carico isostatiche equivalenti per quanto

riguar-da le forze Fx. . . 55 3.19 Condizioni di carico isostatiche equivalenti per quanto

riguar-da i momenti Mx. . . 55 3.20 Condizioni di carico isostatiche equivalenti per quanto

riguar-da le forze Tx. . . 56 3.21 Equivalenza statica tra carichi concentrati (F e M ) e

distri-buzioni di pressione (f ). . . 57 3.22 Tensione equivalente secondo von Mises del problema di fig. 3.8

a pagina 49 con la condizione di carico α1. . . 60 3.23 Tensione equivalente secondo von Mises del problema di fig. 3.8

a pagina 49 con la condizione di carico β1. . . 61 3.24 Tensione equivalente secondo von Mises del problema di fig. 3.8

a pagina 49 con la condizione di carico ε1. . . 61 3.25 Tensione equivalente secondo von Mises del problema di fig. 3.8

a pagina 49 con la condizione di carico ι1. . . 62 3.26 Tensione equivalente secondo von Mises del problema di fig. 3.8

a pagina 49 con la condizione di carico κ1. . . 62

(17)

ELENCO DELLE FIGURE

3.27 Tensione equivalente secondo von Mises del problema di fig. 3.8 a pagina 49 con la condizione di carico ζ1. . . 63 3.28 Sezione trasversale del modello globale ad elementi finiti shell

del giunto saldato. . . 65 3.29 Rappresentazione delle grandezze su cui sono stati effettuati

studi parametrici; si riporta la vista prospettica in direzione longitudinale della struttura di fig. 3.28. . . 65 3.30 Rappresentazione dei parametri del codice ANSYS A.8 a pag. 105

che controllano la geometria del modello globale. . . 67 3.31 Modello prodotto con il codice ANSYS A.8 a pag. 105. . . 68 3.32 Sistema di carichi applicato al modello globale con il codice

ANSYS A.9 a pag. 108. . . 68 3.33 Rappresentazione della tensione equivalente secondo von

Mi-ses sul modello globale risolto con il codice ANSYS A.10 a pag. 109. . . 69 3.34 Rappresentazione schematica del modello a shell della sezione

ortogonale al cordone di saldatura. . . 70 3.35 Fasi del processo di selezione di elementi e nodi per il calcolo

delle caratteristiche di sollecitazione. . . 73 3.36 Differenziazione tra elementi type 1 ed elementi type 2 per

individuare il cordone di saldatura. . . 74 3.37 Elementi componenti il cordone di saldatura. . . 74 3.38 Rappresentazione della distribuzione di σid,maxΦ sul cordone di

saldatura. . . 80 4.1 Esempio di sottomodello con lamiere sottili rispetto

all’inta-glio (s=5 · r); tale modello è ottenuto con il codice ANSYS A.1 a pag. 92 con parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦, g = 0.5 mm, m1 = 3, m2 = 1, m3 = 5. . . 86 4.2 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.12 a pag. 113

con parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦, g = 0.5 mm, m1 = 3, m2= 1, m3 = 5. . . 86 4.3 Disegno per la costruzione dei punti necessari per

l’identifica-zione del raggio di raccordo all’apice. . . 86 4.4 Sottomodello ottenuto con il codice ANSYS A.13 a pag. 116

con parametri: s = 10 mm, t = 25 mm, r = 1 mm, ϑ = 45◦, m1 = 3, m2= 1, m3 = 20. . . 87 4.5 Sottomodelli ottenuti con il codice ANSYS A.3 a pag. 97 al

variare del raggio r; si ha r = 0.4 mm (a), r = 0.6 mm (b), r = 0.8 mm (c) e r = 1 mm (d). . . 89 B.1 Grafico della distribuzione lineare di pressione equivalente al

momento unitario. . . 120

(18)
(19)

Elenco delle tabelle

2.1 Possibili sistemi di forze Fx applicate al giunto. . . 21 2.2 Possibili sistemi di momenti puri Mx applicati al giunto. . . . 21 2.3 Possibili sistemi di forze Tx applicate al giunto. . . 34 3.1 σid,max calcolata con il metodo di von Mises per le varie

con-dizioni di carico. . . 60

(20)
(21)

Codici ANSYS

A.1 File master per il sottomodello. . . 92

A.2 Costruzione della geometria del sottomodello a partire da un file IGES. . . 95

A.3 Costruzione della geometria parametrica del sottomodello. . . 97

A.4 Costruzione della mesh del sottomodello. . . 99

A.5 Introduzione delle condizioni al contorno sul sottomodello e soluzione. . . 100

A.6 Soluzione del sottomodello. . . 102

A.7 File master per il modello globale. . . 103

A.8 Costruzione della geometria del modello globale. . . 105

A.9 Introduzione dei carichi sul modello globale. . . 108

A.10 Soluzione del modello globale. . . 109

A.11 Combinazione lineare delle condizioni di carico elementari. . . 110

A.12 Costruzione della geometria del sottomodello con intaglio spo-stato su una sola lamiera. . . 113

A.13 Costruzione della geometria del sottomodello con gap fittizio in modo da avere le superfici affacciate delle lamiere tangenti all’intaglio. . . 116

(22)
(23)

Simboli e notazioni

“When I use a word,” Humpty Dumpty said, in rather a scornful tone, “it means just what I choose it to mean—neither more nor less.”

Alice’s Adventures in Wonderland and Through the Looking Glass Lewis Carroll (1832–1898)

British writer and mathematician

Teoria della tensione locale

Kf coefficiente di intensificazione degli sforzi (o di intaglio) a fatica; il pedice el significa che ci si riferisce ad una condizione di carico elementare (ovvero appartenente alla base), mentre il pedice eq significa equivalente

Kt coefficiente di intaglio

λ lunghezza di supporto microstrutturale (mm)

ρ0 raggio dell’intaglio reale (mm)

ρf raggio dell’intaglio fittizio (mm)

Sn limite di fatica (MPa)

(24)

SIMBOLI E NOTAZIONI

Algebra lineare

A matrici: lettere latine maiuscole in grassetto

~v vettori: lettere latine minuscole con freccia sopra

Carichi

α condizione di carico: lettera greca minuscola; il pedice 1,

quando presente, indica che i carichi che fanno parte della condizione considerata hanno modulo unitario

~

α vettore associato alla condizione di carico: lettera greca

minuscola con freccia sopra

Φ condizione di carico applicata al giunto: lettera Φ

Fi forze in direzione x: lettera F con pedice i indicante il punto

di applicazione (N)

Ti forze in direzione y: lettera T con pedice i indicante il punto

di applicazione (N)

Mi momenti in direzione z: lettera M con pedice i indicante il

punto di applicazione (N · m)

Modelli agli elementi finiti

A nodi: lettere maiuscole

ei elementi: lettera e minuscola con pedice i indicante il nome dell’elemento

EPLOT comandi ANSYS: testo con carattere typewriter

g gap di separazione tra la lamiera superiore e quella inferiore

del giunto (mm)

(25)

SIMBOLI E NOTAZIONI

r raggio di raccordo all’apice e alla radice del giunto (mm)

s spessore delle lamiere saldate (mm)

t lunghezza del lamiera in direzione normale al cordone (mm)

ϑ angolo di inclinazione della saldatura (◦)

(26)
(27)

Capitolo 1

Introduzione

Before we take to the sea, we walk on

land. . . Before we create, we must understand. Ernest Miller Hemingway (1899–1961)

American writer, journalist, adventurer, and expatriate

In questo capitolo si esamina lo stato dell’arte riguardo alla modellazione della resistenza a fatica di giunti saldati, al fine di evidenziare l’importanza che la conoscenza dello stato di tensione nel giunto ricopre in fase di proget-tazione (par. 1.1.1). Si presentano le basi teoriche per lo studio dello stato di sollecitazione (par. 1.1.2), con riferimento nello specifico agli studi di Neuber (1968), e alle più diffuse implementazioni numeriche (par. 1.1.3) a partire da quelle proposte da Radaj (1996); si discutono infine le limitazioni tali metodi presentano allo stato attuale (par. 1.1.4). In seguito si definiscono il problema da risolvere (par. 1.2) e l’articolazione della presente tesi (par. 1.3).

(28)

1. INTRODUZIONE

Contenuto

1.1 Stato dell’arte . . . 3 1.1.1 Generalità . . . 3 1.1.2 Metodo della tensione locale . . . 4 1.1.3 Tecniche agli elementi finiti per la valutazione

del-la tensione locale . . . 7 1.1.4 Limiti dell’analisi per sottomodelli . . . 8 1.2 Posizione del problema . . . 12 1.3 Articolazione della tesi . . . 13

(29)

1.1. STATO DELL’ARTE

1.1

Stato dell’arte per il calcolo della durata a

fa-tica di giunti saldati

1.1.1 Generalità

La resistenza a fatica di giunti saldati è difficilmente analizzabile in quan-to nella giunzione sono compresenti numerosi fatquan-tori fisici difficilmente ca-ratterizzabili ma direttamente coinvolti nel processo di danneggiamento, tra cui i più rilevanti sono:

a) lo stato di tensione molto complesso;

b) le proprietà meccaniche locali del materiale variabili tra le diverse zone del giunto;

c) i difetti iniziali altamente addensati.

I fattori (b) e (c) risultano fortemente influenzati dalla tecnologia produt-tiva e dunque sono controllabili a posteriori per mezzo della qualificazione e certificazione della saldatura; dal punto di vista del progetto, ovvero delle azioni che possono essere effettuate a priori rispetto alla produzione, è molto importante il fattore (a), ovvero lo stato di tensione. Esso dipende infatti dalla geometria complessiva della giunzione, dalle modalità di sollecitazione e dalla geometria (forma e dimensione) del cordone, elementi su cui può in-tervenire il progettista per massimizzare la durata del componente saldato una volta che sia stata scelta la tecnologia produttiva.

Una progettazione efficiente di un giunto saldato non può quindi prescin-dere dalla conoscenza dello stato di tensione, il quale è però il risultato della complessa interazione tra lo stato di tensione nominale del componente e i seguenti effetti di perturbazione delle tensioni:

• Macrogeometria del giunto. La perturbazione dovuta alla geome-tria complessiva del giunto può essere efficacemente calcolata con mo-delli numerici, ad esempio agli EF, qualificati con apposite procedure1 (Bertini et al., 2004).

1

In particolare, per ottenere buoni risultati dal modello, risulta necessario che esso rappresenti accuratamente la rigidezza locale del giunto sotto i diversi tipi di sollecitazione a cui può essere soggetto.

(30)

1. INTRODUZIONE

• Tensioni residue. Le autotensioni nei giunti, generate dal ciclo ter-mico del processo tecnologico della saldatura, possono in generale rag-giungere anche valori prossimi a quelli di tensione di snervamento del materiale (Barsom and Vecchio, 1997; Bertini and Beghini, 2002), tut-tavia in lamiere saldate di piccolo spessore esse risultano contenute (Bertini et al., 2004). Inoltre il loro valore può essere ridotto con trattamenti termici effettuati prima e dopo la saldatura (post-weld heat treatment ) e dunque i loro effetti possono essere inclusi nelle curve di resistenza meccanica di base del giunto senza quantificarli esplicitamente.

• Geometria locale del giunto (intaglio geometrico). L’effetto di in-taglio geometrico è legato ai raggi di raccordo dell’apice e della radice del giunto; tali raggi:

– sono molto piccoli (in genere r  1 mm);

– hanno una geometria molto variabile localmente.

Il fatto che siano molto piccoli fa sì che questo aspetto abbia un’im-portanza notevole nella resistenza a fatica del giunto rispetto agli altri fattori; la variabilità locale della microgeometria rende invece difficile la modellazione del problema e riduce la precisione dei metodi numerici. • Variazione delle proprietà meccaniche tra le diverse zone del giun-to (intaglio metallurgico). Le concentrazioni di tensione prodotte dal-l’intaglio metallurgico sono generalmente di entità modesta rispetto a quelle dell’intaglio geometrico e dunque si ritiene generalmente suf-ficiente considerarne gli effetti nelle curve di resistenza meccanica di base del giunto senza quantificarli esplicitamente così come è fatto per le autotensioni.

1.1.2 Metodo della tensione locale

Definizioni

Lo studio della resistenza a fatica di componenti intagliati viene solita-mente condotto per mezzo del coefficiente di intensificazione degli sforzi (o

(31)

1.1. STATO DELL’ARTE

di intaglio) a fatica Kf definito come

Kf def

= Sn,provino liscio Sn,provino intagliato

,

dove Sn rappresenta il limite di fatica del componente (Peterson, 1974). Kf risulta dunque un parametro fondamentale per il progetto a fatica di un giunto, ma esso non è tuttavia calcolabile con modelli numerici in quanto in esso giocano altri fattori rispetto alla geometria.

Con modelli numerici è però calcolabile il coefficiente di intaglio Kt che è definito come Kt def = σid,max σnominale (1.1) e dipende unicamente dalla geometria del componente e dalla modalità di sollecitazione (Neuber, 1958). La scelta della componente di tensione di ri-ferimento da utilizzare nella eq. (1.1) dipende in genere dalle caratteristiche dello stato di sollecitazione e dal criterio di resistenza adottato: nel caso di stato di tensione biassiale (il più frequente in prossimità di una saldatu-ra) viene generalmente utilizzata la tensione principale massima oppure la tensione equivalente secondo von Mises.

Risultati sperimentali

Sperimentalmente si osserva che Kt > Kf > 1, ovvero l’intaglio ha un effetto sulla resistenza a fatica meno grave rispetto a quello previsto con considerazioni puramente geometriche; dal punto di vista applicativo, il ri-sultato più importante è che Kt 6= Kf, ovvero che non è possibile valutare la resistenza a fatica di un componente con una diretta modellazione della geometria e una soluzione numerica.

La differenza tra Kt e Kf deriva dal fatto che il campo di tensione sul fondo dell’intaglio presenta dei forti gradienti che possono dar luogo a plasti-cizzazione locale del materiale; questa plastiplasti-cizzazione, pur non producendo un accumulo macroscopico di deformazione plastica, dà luogo ad una redistri-buzione locale delle tensioni ed al conseguente abbassamento della tensione massima (σmax). Tale effetto positivo della plasticizzazione locale non vie-ne considerato vie-nel calcolo di Kt in quanto si basa sull’ipotesi di materiale elastico, omogeneo ed isotropo (Neuber, 1958, 1968).

(32)

1. INTRODUZIONE

Modello di Neuber

Secondo Neuber (1958) la tensione locale massima (σmax) può essere sti-mata mediando la distribuzione teorica (σid,max) su un’opportuna lunghezza λ (detta lunghezza di supporto microstrutturale) dipendente dal materiale; Neuber propone il modello

σmax= 1 λ· Z λ 0 σid,maxdx.

Neuber raggiunge anche il fondamentale risultato secondo cui la σmax può essere alternativamente calcolata come σid,max su un componente con un raggio di fondo intaglio maggiore rispetto a quello reale. In particolare, se chiamiamo ρ0 il valore effettivo del fondo intaglio e ρf quello fittizio, si ha che

Kf(ρ0) = Kt(ρf); ρf può essere semplicemente valutato come

ρf = ρ0+ s · λ, (1.2)

dove s è un parametro adimensionale dipendente dalla multiassialità dello stato di sollecitazione e dal criterio di resistenza adottato. L’eq. (1.2) indica che la resistenza a fatica di componenti intagliati non decresce indefinitamen-te al diminuire del raggio di raccordo (ρ0), ma tende ad un valore costante: nelle condizioni peggiori2 il coefficiente Kf assume il valore

Kf,max= Kt(ρf = s · λ).

L’importanza di questo risultato è legata alla facilità con cui è possibile calcolare Ktcon metodi numerici per geometrie qualunque.

Nei giunti saldati, come detto, i raggi di fondo intaglio sono molto bassi e dunque è cautelativo considerare ρ0= 0. Il fatto che lo stato di deformazione alla radice degli intagli sia sostanzialmente piano e che per gli acciai sia utilizzato il criterio di resistenza di von Mises fanno sì che si possa assumere s = 2.5; dato che per le saldature un valore accettato è λ = 0.4 (Radaj, 1990, 1996; Radaj and Sonsino, 1998), si può concludere che la resistenza a fatica di giunti saldati è valutabile sulla base della massima tensione ideale

2

La condizione peggiore si ha quando il raggio reale tende ad annullarsi, ρ0= 0.

(33)

1.1. STATO DELL’ARTE

id,max) attribuendo ai raggi di raccordo della saldatura il valore fittizio ρf = s · λ = 1 mm.

1.1.3 Tecniche agli elementi finiti per la valutazione della tensione locale

Grazie ai precedenti risultati si è dunque giunti a poter valutare la resi-stenza a fatica di un giunto saldato mediante il calcolo della massima tensione ideale (σid,max), ovvero a spostare il calcolo di Kf sul calcolo di Kt. Ai fini del progetto del giunto risulta conveniente valutare tale tensione con modelli numerici ad EF.

Problemi dei modelli agli elementi finiti

Il calcolo della σid,max in un giunto saldato con gli EF non presenta in linea teorica limitazioni sulla geometria, tuttavia nella pratica è necessario considerare l’onere computazionale del calcolo. Dato che la σid,max si rag-giunge in corrispondenza di zone dove i gradienti del campo di tensione sono estremamente elevati (fondo dell’intaglio), il modello agli EF deve necessaria-mente contenere un elevato livello di dettaglio in questa zona che, come visto nel paragrafo 1.1.2, ha dimensione caratteristica di 1 mm; di contro i compo-nenti saldati hanno generalmente dimensioni globali molto maggiori di 1 mm e dunque, per descrivere il comportamento della struttura nelle condizioni di carico che si verificano in esercizio, è necessario sviluppare modelli suffi-cientemente ampi. Nell’ipotesi di risorse di calcolo grandi a piacere, queste due esigenze non presentano un trade-off in quanto è sufficiente generare un modello delle dimensioni della struttura completa e con mesh sufficientemen-te fitta da descrivere accuratamensufficientemen-te i campi di sufficientemen-tensione in corrispondenza dell’intaglio. Nella pratica, tuttavia, le risorse di calcolo sono limitate (o comunque è limitato il tempo che si vuole destinare al calcolo) e dunque le due esigenze risultano contrastanti.

Analisi per sottomodelli

L’analisi per sottomodelli è una tecnica che consente di risolvere questo trade-off. Questa tecnica consiste nel realizzare un macromodello

(34)

1. INTRODUZIONE

lano (modello globale) rappresentante l’intera struttura ed un sottomodello (modello locale) che rappresenta solo la geometria dell’intaglio.

Il modello globale è privo dei particolari geometrici e questo permet-te un nopermet-tevole risparmio in permet-termini del numero totale di EF impiegati (la mesh risulta piuttosto grossolana) ma d’altro canto non fornisce una buo-na descrizione dello stato di tensione (si rappresentano le tensioni nomibuo-nali ma non quelle locali). L’utilità di tale modello deriva dalla sua capacità di descrivere con accuratezza sufficiente lo stato di spostamento del modello che a differenza di quello di tensione non risente significativamente dei par-ticolari geometrici e di fornire indicazioni circa le zone in cui si verificano le sollecitazioni maggiori.

Il sottomodello, rappresentando solamente la sezione trasversale del cordone in prossimità dell’intaglio,3 ha una mesh molto più fitta del prece-dente e solitamente è realizzato con elementi solidi (2D o 3D a seconda delle sollecitazioni presenti). Ad esso si applica lo stato di spostamento oppure i carichi per unità di lunghezza (caratteristiche di sollecitazione degli elementi shell ) ottenuti con il modello globale.

1.1.4 Limiti dell’analisi per sottomodelli

Metodo di Radaj

La procedura di calcolo del coefficiente di intensificazione degli sforzi a fatica Kf mediante sottomodelli agli EF descritta nel par. 1.1.3 risulta molto efficiente con strutture saldate di forma non complessa e con condizioni di carico uniformi lungo il cordone; infatti nei casi in cui sia le caratteristiche di sollecitazione che attraversano il giunto sia la geometria dello stesso non variano significativamente lungo la saldatura, è possibile utilizzare un numero limitato di sottomodelli; nel caso limite di un giunto con carichi e geometria uniformi ed asse rettilineo, il coefficiente Kf è costante lungo z (coordinata che segue il giunto) e valutabile con un solo sottomodello.

Nella realtà industriale, però, casi di questo tipo sono del tutto eccezionali e generalmente i giunti hanno geometria tridimensionale (ovvero dipendente anche dalla coordinata curvilinea z ortogonale alla sezione del giunto) e sono sollecitati in modo non uniforme lungo tale coordinata. In queste ipotesi,

3

Per avere risultati accurati è necessario che i modelli locali abbiano dimensioni di alcune volte superiori rispetto ai parametri geometrici da cui la perturbazione dipende (ad es. i raggi di raccordo), in accordo con il principio di de Saint-Venant.

(35)

1.1. STATO DELL’ARTE

variando Kf con z, è necessario utilizzare molti sottomodelli della regione dell’intaglio distribuiti lungo tutto il cordone. Non conoscendosi a priori il punto del cordone in cui Kf è massimo, è necessario scandire tutto l’asse z con sottomodelli e il numero di tali sottomodelli avrà evidentemente grande influenza sull’accuratezza dei risultati. In queste condizioni dunque, non solo la modellazione su un codice agli EF risulta più complessa, ma anche la solu-zione numerica diventa molto più onerosa da un punto di vista prettamente computazionale.

Il metodo della tensione locale di Radaj è descritto nel flow chart di fig. 1.1 nella pagina seguente.

Metodo di Radaj approssimato

Per la teoria della tensione locale (vedi il par. 1.1.2), il calcolo del coef-ficiente Kf per un giunto saldato di sezione4 e direzione5 qualunque è otte-nibile semplicemente calcolando il coefficiente Kt per un giunto della stessa geometria ma con raggi di raccordo all’apice e alla radice uniformemente pari a ρf = 1 mm lungo tutto z. Ciò nonostante il metodo di Radaj ha una grossa limitazione: non essendo noto a priori il punto critico lungo il cordone (dato che sia la geometria del cordone che i carichi possono variare lungo z), è necessario applicare molti sottomodelli piani al modello globale del giunto. In sostanza, il fatto che i carichi e la geometria dipendano da z rendono Kf funzione di z e dunque costringono a studiare l’intensificazione delle tensioni lungo tutto il cordone.

Una semplificazione della procedura di Radaj può essere effettuata assu-mendo a priori che i fattori di concentrazione delle tensioni per apice e pedice del cordone siano costanti lungo tutto il giunto e che essi siano indipendenti dal tipo di sollecitazione (membranale o flessionale) che lo attraversano. In particolare, per rendere la stima cautelativa, si suole (Bertini et al., 2004) calcolare il fattore di concentrazione delle tensioni per sollecitazioni membra-nali e per sollecitazioni flessiomembra-nali e poi assumere come Ktglobale il maggiore dei due.

Il metodo della tensione locale approssimato è descritto nel flow chart di fig. 1.2 a pagina 11.

4Si intende la sezione ortogonale alla coordinata z. 5

Si intende lungo la coordinata z.

(36)

1. INTRODUZIONE

Figura 1.1: Flow chart rappresentante la procedura di Ra-daj per l’implementazione del metodo della tensione locale su codici agli EF.

(37)

1.1. STATO DELL’ARTE

Figura 1.2: Flow chart rappresentante la procedura per l’im-plementazione del metodo della tensione locale approssimato su codici agli EF.

(38)

1. INTRODUZIONE

1.2

Posizione del problema

Come discusso nel par. 1.1.4, allo stato attuale, la modellazione nume-rica di cordoni di saldatura per indagarne la resistenza a fatica può essere condotta con due modalità:

a) metodo di Radaj completo, b) metodo di Radaj approssimato.

Entrambe queste metodologie presentano delle pesanti limitazioni. Il metodo di Radaj completo permette il calcolo di Kf “esatto”6 ma di contro richiede l’utilizzo di un numero di sottomodelli pari al numero di nodi del cordone (dunque molto elevato) e che la soluzione del modello globale e quella del sottomodello siano effettuate in serie (vedi la fig. 1.1 a pagina 10). Entrambe le condizioni rendono il calcolo agli EF molto pesante sia dal punto di vista computazionale che da quello della realizzazione del modello e, nella pratica, limitano l’uso di questa procedura a casi in cui geometria e carichi sono molto semplici.

Il metodo di Radaj approssimato risolve entrambi i problemi di quello completo, in quanto l’analisi del modello globale e del sottomodello sono effettuate in parallelo ed il numero dei sottomodelli da risolvere è basso; tuttavia queste semplificazioni vanno a scapito della precisione dei risultati dato che tale procedura fornisce un valore approssimato di Kf per il cordone. L’approssimazione deriva sia dal fatto che il coefficiente di intensificazione è considerato costante lungo tutto il cordone (dunque si lavora con valori medi di Kf), sia dalla sovrastima del suo valore, che è assunto pari al maggiore tra quello membranale e quello flessionale.

Per una buona progettazione è tuttavia auspicabile poter valutare il va-lore del coefficiente di intensificazione lungo tutto il cordone e non una sua media ed inoltre poter distinguere i casi membranali da quelli flessionali per ridurre la sovrastima. Lo scopo della presente tesi è dunque lo sviluppo di un metodo che consenta di utilizzare il metodo di Radaj completo con un costo computazionale comparabile a quello del metodo semplificato.

L’idea di fondo è scomporre la condizione di carico applicata al modello globale nella somma di condizioni di carico elementari. Disponendo di una

6 Per “esatto” si intende “in accordo con la teoria della tensione locale” vista ai

parr. 1.1.2 e 1.1.3.

(39)

1.3. ARTICOLAZIONE DELLA TESI

procedura che indichi un numero fissato, preferibilmente basso, di modelli agli EF tale da riprodurre qualunque condizione di carico, infatti, sarebbe sufficiente risolvere questi problemi ex ante, e poi utilizzare i risultati per calcolare Kt in ogni punto (ovvero nodo) del cordone di saldatura, senza dover risolvere altri problemi strutturali, ma semplicemente combinando tali soluzioni.

In definitiva, per assolvere gli obiettivi prefissati, con la presente tesi si cerca di:

a) individuare una procedura che permetta di risolvere un numero finito di calcoli agli EF del sottomodello in modo da poter ottenere per sovrappo-sizione degli effetti la soluzione del problema per qualunque condizione di carico;

b) individuare una procedura che applichi il risultato (a) alla teoria della tensione locale di Neuber-Radaj;

c) implementare tale procedura sull’ambiente di postprocessing di codici di calcolo commerciali (ad es.: ANSYS7).

1.3

Articolazione della tesi

Il lavoro svolto nell’ambito della presente tesi fondamentalmente si arti-cola in due parti: lo studio di una procedura per scomporre la condizione di carico sul giunto (cap. 2) e lo sviluppo di modelli agli EF che implementano tale procedura (cap. 3).

Nel cap. 2, dapprima si identificano i tipi di carichi agenti sul cordone e le condizioni a cui devono sottostare, poi si identifica il numero minimo di condizioni di carico necessario a rappresentarne qualunque altra median-te una loro combinazione lineare. Una volta identificata la base di condi-zioni di carico, si procede con la stesura di un algoritmo per effettuare la scomposizione.

Nel cap. 3 si affronta il problema dell’applicazione numerica di tale al-goritmo alla teoria della tensione locale di Neuber-Radaj per lo studio della resistenza a fatica di giunti saldati. Lo strumento utilizzato nel corso della tesi per mostrare esempi e risultati è il codice ANSYS, tuttavia le procedure messe a punto sono implementabili su qualunque altro codice agli EF.

7

ANSYS is a trademark of ANSYS, Inc.

(40)

1. INTRODUZIONE

Nel cap. 4 si fornisce una sintetica descrizione dei principali risultati tecnici e scientifici raggiunti grazie al lavoro svolto nella tesi ed infine si pre-sentano alcuni spunti per studi futuri nell’ambito del calcolo della resistenza a fatica di giunti saldati mediante modellazione con EF.

Nell’appendice A si riportano tutti i codici ANSYS sviluppati nel corso del lavoro di tesi e a cui si fa riferimento nel cap. 3, ovvero quando si tratta l’implementazione della procedura su codici agli EF.

Nell’appendice B si riportano alcuni calcoli utilizzati durante la messa a punto dei modelli.

(41)

Capitolo 2

Scomposizione della condizione

di carico su un giunto d’angolo

All truths are easy to understand once they are discovered; the point is to discover them.

Galileo Galilei (1564–1642)

Italian astronomer, philosopher, and physicist

In questo capitolo, dopo aver definito le ipotesi che stanno alla base dei modelli presi in considerazione (par. 2.1), si definisce nei dettagli il primo obiettivo della tesi, ovvero l’identificazione dell’insieme minimo di modelli agli EF rappresentanti un giunto saldato d’angolo che permetta di desumere la soluzione di quel giunto per ogni sistema di carichi esterni (base minima). Il problema viene affrontato parallelamente dal punto di vista strutturale (par. 2.2), al fine di identificare i tipi di carichi agenti sul cordone (par. 2.2.1) e le condizioni che essi devono rispettare (par. 2.2.2), e dal punto di vista dell’algebra lineare (par. 2.3), al fine di di stabilire il numero di condizioni di carico appartenenti alla base minima e le caratteristiche che devono avere per appartenere alla base (par. 2.3.3).

In base alle indicazioni fornite dall’approccio strutturale e da quello al-gebrico, si sceglie una base di condizioni di carico candidata (par. 2.4) e si procede alla scomposizione con tecniche dell’algebra lineare (par. 2.5.1). Questa strada mostra per via matematica che l’introduzione delle condizioni

(42)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

di equilibrio (equazioni cardinali della statica) comporta la riduzione del nu-mero di condizioni di carico appartenenti alla base, e suggerisce l’utilizzo di un metodo diretto per identificare le sei condizioni effettivamente necessarie (par. 2.5.2). Tale metodo permette, non solo di scegliere le condizioni di carico della base, ma anche di definire una strategia per combinarle al fine di riprodurre qualunque condizione di carico (par. 2.5.3).

Contenuto

2.1 Introduzione . . . 17 2.2 Aspetto strutturale . . . 17 2.2.1 Condizione di carico generica . . . 17 2.2.2 Sistemi di carichi possibili . . . 18 2.3 Aspetti algebrici . . . 20 2.3.1 Notazione vettoriale . . . 20 2.3.2 Definizione del problema in termini vettoriali . . . 22 2.3.3 Analisi dell’insieme di vettori Π . . . 22 2.4 Scelta della base vettoriale . . . 23 2.5 Metodi per la scomposizione della condizione di carico . . 24 2.5.1 Metodi di algebra lineare . . . 24 2.5.2 Metodo diretto . . . 26 2.5.3 Procedura per scomporre la condizione di carico . 33

(43)

2.1. INTRODUZIONE

2.1

Introduzione

L’ipotesi di materiale elastico lineare (vedi il par. 1.1.2) è generalmente accettata per analisi agli EF basate sul principio della tensione locale (Ber-tini and Beghini, 2002) e la buona corrispondenza tra modelli numerici e risultati sperimentali effettuati negli ultimi anni (Bertini et al., 2004) danno sufficiente confidenza su questa assunzione. Tale ipotesi permette di utiliz-zare il principio di sovrapposizione degli effetti su cui tutti i risultati seguenti sono fondati.

Il primo problema che si vuole risolvere è stabilire quante e quali sono (nell’ipotesi che tale insieme esista) le condizioni di carico applicate al giun-to saldagiun-to sufficienti a riprodurre qualunque altra condizione di carico nelle ipotesi di materiale elastico lineare. A tale insieme si dà il nome di base completa minima di condizioni di carico dove base significa insieme di elementi che genera per combinazione lineare altri elementi dell’insieme, completa significa che ogni elemento dell’insieme è ottenibile con combinazio-ni lineari della base (ovvero gli elementi della base sono sufficienti ), micombinazio-nima che non è possibile ottenere la stessa immagine con un numero inferiore di elementi della base.

2.2

Aspetto strutturale

2.2.1 Condizione di carico generica

In fig. 2.1 a pagina 19 è riportata la condizione di carico più generale1 applicabile ad un modello di giunto analogo a quello delle figg. 2.1 a pagina 19 e 3.2 a pagina 40 e schematizzabile come in fig. 3.28 a pagina 65.

Si indicano con le lettere maiuscole i punti (o nodi) di applicazione delle forze, con Fx la forza applicata al generico nodo X, con Mx il momento puro introdotto nel generico nodo X, con F+ e M+ i versi positivi di forze e momenti, con le lettere greche le condizioni di carico.

La condizione di equilibrio statico alla traslazione e alla rotazione (prima

1

In realtà la condizione generale contiene anche tre forze Tx in direzione ortogonale

alle Fx (vedi la fig. 2.5 a pagina 31); per semplicità di trattazione, nella prima parte del

presente capitolo non si considerano queste tre forze Tx in quanto esse hanno effetti del

tutto analoghi alle Fx. Nel par. 2.5.2 si estenderanno i risultati ottenuti al caso in cui

siano presenti anche le Tx.

(44)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

e seconda equazione cardinale) si traduce in ( Fa− Fb− Fc = 0

Ma− Mb− Mc− Fc· h = 0.

(2.1)

2.2.2 Sistemi di carichi possibili

Al fine di individuare la base completa di sistemi di carichi, è conveniente separare le forze dai momenti. Riportando tutte le forze sulla stessa retta di azione, il sistema di fig. 2.1 a fronte è equivalente alla somma dei due presenti in fig. 2.2 nella pagina successiva, dove si è definito

˜ Mc

def

= Fc· h + Mc. Il sistema (2.1) è dunque equivalente a

( Fa− Fb− Fc = 0 (2.2a)

Ma− Mb− ˜Mc= 0. (2.2b)

Forze

Le forze che possono essere applicate al giunto sono tre (Fa, Fb, Fc); non potendo essere equilibrati sistemi con una sola forza, dobbiamo considerare quelli che ne hanno due o tre. Quelli che ne hanno solo due sono le com-binazioni semplici di tre elementi presi due alla volta mentre quelli che ne hanno tre sono le combinazioni semplici di tre elementi presi tre alla volta. Il numero totale di condizioni di carico è dunque

3 2  +3 3  = 3! 2!(3 − 2)! + 3! 3!(3 − 3)! = 3 + 1 = 4.

Tutti i possibili sistemi equilibrati2 di forze non nulle applicate al giunto sono riportati nella tab. 2.1. Risulta peraltro evidente che la condizione δ è ottenibile con una combinazione lineare delle altre tre.

2

I sistemi di forze applicate sono equilibrati se è soddisfatta l’eq. (2.2a).

(45)

2.2. ASPETTO STRUTTURALE

Figura 2.1: Schema della condizione di carico generale su un giunto saldato d’angolo.

Figura 2.2: Schemi semplificati equivalenti alla condizione di carico generale per il giunto saldato d’angolo.

(46)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

Momenti puri

Con un procedimento del tutto analogo a quello seguito per le forze nel par. 2.2.2, è possibile concludere che tutti i possibili sistemi equilibra-ti3 di momenti puri non nulli applicati al giunto sono i quattro riporta-ti nella tab. 2.2; risulta evidente che la condizione ϑ è ottenibile con una combinazione lineare delle altre tre.

2.3

Aspetti algebrici

2.3.1 Notazione vettoriale

Per utilizzare una notazione più compatta, è possibile introdurre il vettore dei carichi esterni ~φ ∈ R6, definito come

~ φ =            φ1 φ2 φ3 φ4 φ5 φ6            def =            Fa Fb Fc Ma Mb ˜ Mc            ;

analogamente si definiscono i vettori delle condizioni di carico sopra elencate, anch’essi appartenenti allo spazio delle possibili condizioni di carico

~ α =            α1 α2 0 0 0 0            , ~β =            β1 0 β3 0 0 0            , ~γ =            0 γ2 γ3 0 0 0            , ~ε =            0 0 0 ε4 ε5 0            , ~ζ =            0 0 0 ζ4 0 ζ6            , ~η =            0 0 0 0 η5 η6            .

Definiamo Π l’insieme di questi vettori, ovvero Π = ~π1, ~π2, ~π3, ~π4, ~π5, ~π6

def

= ~α, ~β, ~γ, ~ε, ~ζ, ~η . (2.3)

3

I sistemi di momenti puri sono equilibrati se è soddisfatta l’eq. (2.2b).

(47)

2.3. ASPETTI ALGEBRICI

Tabella 2.1: Possibili sistemi di forze Fxapplicate al giunto.

Nome Forze presenti Indipendenza lineare

α Fa, Fb indipendente

β Fa, Fc indipendente

γ Fb, Fc indipendente

δ Fa, Fb, Fc dipendente

Tabella 2.2: Possibili sistemi di momenti puri Mx applicati

al giunto.

Nome Momenti presenti Indipendenza lineare

ε Ma, Mb indipendente

ζ Ma, ˜Mc indipendente

η Mb, ˜Mc indipendente

ϑ Ma, Mb, ˜Mc dipendente

(48)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

2.3.2 Definizione del problema in termini vettoriali

Lo scopo è determinare l’insieme minimo di vettori di R6 che generi per combinazione lineare tutto lo spazio vettoriale Φ delle condizioni di carico. Un insieme di vettori di questo tipo prende il nome di base.

Definizioni riguardanti le basi

Dato uno spazio vettoriale V , la combinazione lineare di k vettori v1, . . . , vk∈ V con coefficienti α1, . . . , αk∈ R è il vettore

α1v1+ . . . αkvk∈ V.

Lo span dei (o sottospazio generato dai) vettori v1, . . . , vk è l’insieme di tutte le possibili combinazioni lineari di v1, . . . , vk, ovvero

span(v1, . . . , vk) = {α1v1+ . . . αkvk| v1, . . . , vk∈ R}.

Dato uno spazio vettoriale V , un insieme B = {v1, . . . , vn} di vettori di V è una base di V se:

1. V = span(v1, . . . , vn);

2. v1, . . . , vn sono linearmente indipendenti.

Metodo per verificare se un insieme di vettori è una base

In base alle precedenti definizioni si può dimostrare (Abate, 1996) che una base B di uno spazio vettoriale V è l’insieme massimale di vettori di V linear-mente indipendenti. Dato che uno spazio vettoriale di dimensione n ammette al più n vettori linearmente indipendenti, è una base di R6qualunque insieme di sei vettori v1, . . . , v6 ∈ R6 tra loro linearmente indipendenti.

2.3.3 Analisi dell’insieme di vettori Π

Per le proprietà delle basi riportate nel par. 2.3.2, la verifica su Π può essere semplicemente effettuata valutando il suo determinante. Essendo in questa fase i vettori di Π ancora letterali, non è possibile valutarne la lineare indipendenza; si ha infatti

det Π = −(π11· π23· π32+ π12· π21· π33)

(49)

2.4. SCELTA DELLA BASE VETTORIALE

che può essere nullo o meno a seconda dei valori di πij; dunque

Π  

è una base se π11· π23· π326= −π12· π21· π33 non è una base se π11· π23· π32= −π12· π21· π33

. (2.4)

2.4

Scelta della base vettoriale

Da un punto di vista puramente matematico la base per Φ potrebbe essere scelta in modo arbitrario purché sia garantita la lineare indipendenza dei vettori di Π, ovvero sia verificata la condizione (2.4): tale condizione verrà in seguito indicata come vincolo algebrico.

Per il caso in esame, tuttavia, è necessario considerare che i vettori co-stituenti tale base, rappresentando condizioni di carico su un giunto salda-to all’equilibrio, devono anche rispettare la condizione espressa dal sistema (2.2): tale condizione verrà in seguito indicata come vincolo strutturale. Se così non fosse, non sarebbe possibile utilizzare su codici agli EF le condi-zioni di carico individuate dalla base, in quanto i modelli risulterebbero non equilibrati.

Il vincolo strutturale, applicato ad ogni vettore della base Π, comporta i seguenti vincoli sulle componenti

α1 = −α2 β1 = −β3 γ2= −γ3 ε4 = −ε5 ζ4 = −ζ6 η5= −η6 ovvero π11= −π21 π12= −π32 π23= −π33 π44= −π54 π45= −π65 π56= −π66, (2.5)

e dunque Π assume la forma

ˆ Π =                                           π11 −π11 0 0 0 0            | {z } ~ π1 ,            π12 0 −π12 0 0 0            | {z } ~π2 ,            0 π23 −π23 0 0 0            | {z } ~ π3 ,            0 0 0 π44 −π44 0            | {z } ~ π4 ,            0 0 0 π45 0 −π45            | {z } ~ π5 ,            0 0 0 0 π56 −π56            | {z } ~ π6                                . (2.6) 

(50)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

Da un punto di vista formale risulta indifferente scegliere un qualunque insieme di vettori ˆΠ tra gli ∞6 che hanno la forma della (2.6), si deve però ancora verificare se questo insieme di vettori rispetta ancora le due proprietà richieste alle basi nel par. 2.3.2.

2.5

Metodi per la scomposizione della condizione

di carico

2.5.1 Metodi di algebra lineare

Riconduzione del problema ad un sistema lineare

L’obiettivo è determinare i coefficienti moltiplicativi di ogni vettore della base ˆΠ che producano la condizione di carico ~φ; noti, infatti, questi coefficien-ti, è sufficiente moltiplicare ogni stato di tensione per il coefficiente associato alla condizione di carico elementare che lo ha prodotto e poi combinare tut-ti i contributut-ti per ottenere lo stato di tensione prodotto dalle condizioni di carico reali. Dal punto di vista algebrico il problema è il seguente: data la condizione di carico ~φ, qual è la combinazione lineare dei vettori della base

ˆ

Π che la riproduce? Definendo il vettore dei coefficienti incogniti

~ x =            x1 x2 x3 x4 x5 x6            ,

il problema precedente può essere formalmente posto come la ricerca del vettore ~x tale che

6 X

j=1 ˆ

Πij· xj = φi i = 1, . . . , 6

che può essere convenientemente scritto in termini vettoriali come ˆ

Π~x = ~φ, (2.7)

(51)

2.5. METODI PER LA SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

dove, come detto, si è definita

ˆ Πdef=            π11 π12 0 −π11 0 π23 0 −π12 −π23 O O π44 π45 0 −π44 0 π56 0 −π45 −π56            .

L’eq. (2.7) rappresenta un sistema lineare delle sei incognite xi in sei equazioni. Ammesso4 che la matrice ˆΠ sia una base di Φ (ovvero di R6), essa è anche invertibile e dunque l’unica soluzione può essere determinata come

~

x = ˆΠ−1φ.~ (2.8)

Nonostante che il sistema (2.7) sia apparentemente 6×6, in realtà, per la par-ticolare forma a blocchi di ˆΠ è costituito da due sistemi 3 × 3 disaccoppiati; si ha infatti ˆ Π = A O O B ! , con Adef=    π11 π12 0 −π11 0 π23 0 π12 −π23   , B def =    π44 π45 0 −π44 0 π56 0 −π45 −π56   .

Tale risultato può essere spiegato col fatto che il problema della ricerca di ~x può essere scisso in quello della determinazione dei coefficienti per le forze e in quello della determinazione per i momenti puri.

Metodo

Grazie ai passaggi del par. 2.5.1 il problema della determinazione dei coefficienti con cui suddividere la condizione di carico reale sul giunto Φ nelle sei condizioni di base si è ridotto alla soluzione del sistema lineare 6 × 6 (2.8). Tale sistema, che come detto è in realtà composto da due sistemi

4

Fino a questo punto è stato dimostrato che i vettori dell’insieme Π dell’eq. (2.3) pos-sono essere una base ma non è stato ancora verificato se quelli dell’insieme ˆΠ dell’eq. (2.6) lo sono.

(52)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

lineari 3 × 3 disaccoppiati, deve essere risolto in ogni nodo del cordone di saldatura del macromodello.

Problema

Il metodo appena presentato nel par. 2.5.1 presenta un serio problema di fondo. Esso è infatti valido nell’ipotesi che l’insieme di vettori ˆΠ costituisca una base di R6, ovvero che essi siano linearmente indipendenti. Tuttavia è facile dimostrare che det ˆΠ = 0 indipendentemente dai valori assegnati alle sei coppie di elementi non nulli della matrice. Conseguenza immediata è che la matrice ˆΠ non è invertibile e che dunque non è possibile risolvere il problema con questa via.

Conclusioni

Interessante è individuare l’origine della lineare dipendenza dei vettori di ˆΠ. Come già osservato, l’insieme di vettori Π è un buon candidato a divenire base di R6, purché nella scelta dei 12 elementi non nulli si rispetti la condizione (2.4).

Tale condizione viene dunque a mancare nel momento in cui si impongono i vincoli (2.5); in altre parole, il metodo viene a fallire quando si impone che le condizioni di carico di base siano una ad una equilibrate. D’altronde il vincolo di condizioni di carico di base equilibrate è imprescindibile dato che altrimenti risulta impossibile risolvere con metodi numerici agli EF il sottomodello. È dunque necessario trovare un’altra strada per risolvere il problema della scomposizione della condizione di carico generica applicata al giunto Φ.

2.5.2 Metodo diretto

Un risultato del par. 2.5.1 è che il numero di carichi della base si riduce a seguito dell’introduzione del vincolo strutturale che impone di avere sistemi equilibrati.

Altro risultato importante è che, scegliendo opportunamente le condizio-ni di carico della base, è possibile separare le equaziocondizio-ni a gruppi di tre (uno per ogni tipo di carico): ognuno di questi gruppi, per quanto appena detto, è ridotto di un’equazione grazie ai rispettivi vincoli di equilibrio e dunque in definitiva il problema è riconducibile alla soluzione di sistemi lineari 2 × 2.

(53)

2.5. METODI PER LA SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

In sostanza si è mostrato che, imponendo le condizioni di equilibrio statico ai carichi esterni che compongono la base (vincolo strutturale), vengono ag-giunte due equazioni al sistema lineare (le due equazioni cardinali) e dunque il sistema che inizialmente era un 6 × 6 formato da due 3 × 3 disgiunti si riduce ad un 4 × 4 formato da due 2 × 2 disgiunti.5

Data la semplicità di questi sistemi è dunque conveniente procedere alla soluzione direttamente senza ricorrere alle soluzioni tradizionali di soluzione dei sistemi lineari (ovvero all’eq. (2.7)); nel seguito del capitolo si cercano dunque soluzioni esplicite.

Per quanto detto nel par. 2.5.1, il vincolo strutturale (vedi il par. 2.4) introduce due nuove equazioni da affiancare al sistema 6 × 6 (2.8); è dunque possibile procedere verso la soluzione del problema sfruttando i sistemi lineari del tipo della (2.8) cercando però di ridurre il numero di incognite in modo da rendere il sistema determinato nonostante l’introduzione del vincolo (ovvero le equazioni di equilibrio).

Principio

Dai risultati precedenti emerge che le condizioni di carico delle forze e quelle dei momenti sono tra loro scisse e dunque conviene mantenere questa separazione anche nello sviluppo della procedura di soluzione.

Nelle ipotesi di linearità, dato un corpo rigido con n possibili punti di applicazione di carichi esterni ed m tipi di carichi esterni, abbiamo n · m condizioni di carico, ovvero n · m gradi di libertà nella scelta delle condizioni di carico. A tali gradi di libertà vanno sottratti i vincoli: se il vincolo è costituito dalle equazioni cardinali della statica, ne abbiamo uno per ogni tipo di carico (ovvero m). In definitiva le condizioni di carico indipendenti sono n · m − m. Applicando questa formula al caso in esame, abbiamo che le condizioni di carico indipendenti per il giunto sono6

nodi z}|{ 3 · t.d.c. z}|{ 3 | {z } gradi di libertà − 3 |{z} vincoli = 6.

Grazie al fatto che i tre tipi di carico (Fx, Tx e Mx) possono essere studiati

5Introducendo anche i carichi tangenziali T

x(vedi il seguito del par. 2.5.2), le cose non

cambiano perché da un sistema iniziale 9 × 9 formato da tre 3 × 3 disgiunti si passa ad un 6 × 6 formato da tre 2 × 2 disgiunti.

6

La abbreviazione “t.d.c.” sta per “tipi di carico”.

(54)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

separatamente (ovvero le equazioni del sistema sono disaccoppiate come visto nel par. 2.5), per ognuno le condizioni di carico indipendenti sono

nodi z}|{ 3 · t.d.c. z}|{ 1 | {z } gradi di libertà − 1 |{z} vincoli = 2. Forze Fx

Scelta della base. Potendo assegnare arbitrariamente il valore delle com-ponenti πij non nulle dei vettori che compongono le condizioni di carico elementari7 ˆ Πf =                   π11 −π11 0    | {z } α ,    π12 0 −π12    | {z } β ,    0 π23 −π23    | {z } γ                ,

si scelgono forze di valore unitario in modo da semplificare l’attribuzione dei pesi alle singole condizioni di carico, ovvero

ˆ Πf 1=                   1 −1 0    | {z } α1 ,    1 0 −1    | {z } β1 ,    0 1 −1    | {z } γ1                .

Le tre condizioni da studiare sono riassunte nella fig. 2.3 a fronte. Come detto nel par. 2.5.2, una qualunque coppia estratta tra queste tre condi-zioni permette di riprodurle tutte; in vista della costruzione di modelli agli elementi finiti, si sceglie come base ˜Πf 1= {α1, β1}.

Metodo. Avendo individuato il massimo sistema di condizioni di carico Fx linearmente indipendenti, è possibile ottenere qualunque altra condizione semplicemente combinandole linearmente. Dunque la generica condizione di carico di forze Φf = Φf(Fa, Fb, Fc) può essere scomposta in

Φf = Fb· α1+ Fc· β1. (2.9)

7Si noti che l’insieme di questi vettori, per quanto dimostrato nel par. 2.5.1, non è una

base dato che i vettori non sono linearmente indipendenti.

(55)

2.5. METODI PER LA SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

Figura 2.3: Condizioni di carico base per quanto riguarda le forze Fx.

(56)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

Momenti puri Mx

Scelta della base. In modo analogo a quanto fatto nel par. 2.5.2 per le forze, si assegna valore unitario a tutti i momenti puri in modo da semplificare l’attribuzione dei pesi alle singole condizioni di carico, ovvero

ˆ Πm1=                   1 −1 0    | {z } ε1 ,    1 0 −1    | {z } ζ1 ,    0 1 −1    | {z } η1                .

Le tre condizioni da studiare sono riassunte nella fig. 2.4 nella pagina successiva. Come detto nel par. 2.5.2, una qualunque coppia estratta tra queste tre condizioni permette di riprodurle tutte; in vista della modellazione di tali condizioni su modelli agli elementi finiti, si sceglie come base ˜Πm1= {ε1, ζ1}.

Metodo. Avendo individuato il massimo sistema di condizioni di carico Mxlinearmente indipendenti, è possibile ottenere qualunque altra condizione semplicemente combinandole linearmente. Dunque la generica condizione di carico di forze Φm = Φm(Ma, Mb, ˜Mc) può essere scomposta in

Φm = Mb· ε1+ ˜Mc· ζ1. (2.10)

Forze di taglio Tx

Tutte le considerazioni precedenti si basano sull’ipotesi che la condizione di carico generale sia del tipo Φ rappresentato in fig. 2.1 a pagina 19. In realtà, come detto, la condizione più generale possibile per un sottomodello piano comprende anche tre forze Tx ortogonali alle Fx come rappresentato nella fig. 2.5 nella pagina successiva. La presenza di questi tre carichi non modifica i risultati precedenti che possono essere direttamente estesi a questo caso più generale.

Condizione di equilibrio. La condizione di equilibrio statico alla tra-slazione e alla rotazione (prima e seconda equazione cardinale) espressa dal

(57)

2.5. METODI PER LA SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

Figura 2.4: Condizioni di carico base per quanto riguarda le forze Fx.

Figura 2.5: Schema della condizione di carico generale su un giunto saldato d’angolo.

(58)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO sistema (2.1) diventa      Fa− Fb− Fc = 0 (2.11a) Ta− Tb− Tc = 0 (2.11b) Ma− Mb− Mc− Fc· h1− Ta· h2 = 0. (2.11c) Analogamente a quanto fatto nel par. 2.2, è conveniente riportare tutte le forze sulla stessa retta d’azione riscrivendo il sistema (2.11) come

       Fa− Fb− Fc = 0 Ta− Tb− Tc = 0 Ma− Mb− Mc∗ = 0 , dove si definisce Mc∗ def= Mc+ Fc· h1+ Ta· h2. (2.12) Sistemi di carichi possibili. Le forze Tx che possono essere applicate al giunto sono tre (Ta, Tb, Tc); non potendo essere equilibrati sistemi con una sola forza, dobbiamo considerare quelli che ne hanno due o tre. Quelli che ne hanno solo due sono le combinazioni semplici di tre elementi presi due alla volta, ovvero 32, mentre quelli che ne hanno tre sono le combinazioni semplici di tre elementi presi tre alla volta, ovvero 33; analogamente al caso delle forze Fx, il numero totale di condizioni di carico è dunque

3 2  +3 3  = 3! 2!(3 − 2)! + 3! 3!(3 − 3)! = 3 + 1 = 4.

Tutti i possibili sistemi equilibrati8 di forze non nulle applicate al giunto sono riportati nella tab. 2.3; risulta evidente che la condizione µ è ottenibile con una combinazione lineare delle altre tre.

Scelta della base. In modo analogo a quanto fatto nel par. 2.5.2 per le forze, si assegna valore unitario a tutti i momenti puri in modo da semplificare

8

I sistemi di forze applicate sono equilibrati se è soddisfatta l’eq. (2.11b).

(59)

2.5. METODI PER LA SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

l’attribuzione dei pesi alle singole condizioni di carico, ovvero

ˆ Πm1=                   1 −1 0    | {z } ι1 ,    1 0 −1    | {z } κ1 ,    0 1 −1    | {z } λ1                .

Le tre condizioni da studiare sono riassunte nella fig. 2.6 nella pagina seguente. Come detto nel par. 2.5.2, una qualunque coppia estratta tra queste tre condizioni permette di riprodurle tutte; in vista della modellazione di tali condizioni su modelli agli elementi finiti, si sceglie come base ˜Πt1 = {ι1, κ1}.

Metodo. Avendo individuato il massimo sistema di condizioni di carico Ftlinearmente indipendenti, è possibile ottenere qualunque altra condizione semplicemente combinandole linearmente. Dunque la generica condizione di carico di forze Φt= Φt(Ta, Tb, Tc) può essere scomposta in

Φt= Tb· ι1+ Tc· κ1. (2.13)

2.5.3 Procedura per scomporre la condizione di carico

Per il disaccoppiamento delle equazioni che compongono il sistema li-neare delle condizioni di carico visto al par. 2.5.1, è possibile considerare separatamente il contributo dei tre differenti tipi di carichi (Fx, Tx e Mx). Per il principio di sovrapposizione degli effetti, ritenuto valido in tutta la trattazione (par. 2.1), è possibile dunque ottenere la generica condizione di carico Φ come somma delle tre condizioni di carico

Φ(Fa, Fb, Fc, Ma, Mb, ˜Mc, Ta, Tb, Tc)

= Φf(Fa, Fb, Fc) + Φm(Ma, Mb, ˜Mc) + Φt(Ta, Tb, Tc). (2.14) Applicando le eqq. (2.9), (2.10) e (2.13) all’eq. (2.14), abbiamo che la generica condizione di carico Φ può essere dunque ottenuta come

Φ = Fb· α1+ Fc· β1+ Mb· ε1+ ˜Mc· ζ1+ Tb· ι1+ Tc· κ1. (2.15)

(60)

2. SCOMPOSIZIONE DELLA CONDIZIONE DI CARICO

Tabella 2.3: Possibili sistemi di forze Txapplicate al giunto.

Nome Forze presenti Indipendenza lineare

ι Ta, Tb indipendente

κ Ta, Tc indipendente

λ Tb, Tc indipendente

µ Ta, Tb, Tc dipendente

Figura 2.6: Condizioni di carico base per quanto riguarda le forze Ft.

(61)

Capitolo 3

Implementazione su codici agli

elementi finiti

Everything should be made as simple as possible, but not simpler.

Albert Einstein (1879–1955)

German physicist

In questo capitolo si utilizza la strategia di ridurre le condizioni di carico generiche agenti sul giunto ad una combinazione lineare di soluzioni note a priori (risultato del cap. 2), al fine di sviluppare un algoritmo che superi i limiti delle implementazioni numeriche del metodo di Radaj discussi nel cap. 1. Lo strumento utilizzato nel corso della tesi per mostrare esempi e risultati è il codice ANSYS, tuttavia le procedure messe a punto sono implementabili su qualunque altro codice agli EF.

Dopo aver definito l’algoritmo (par. 3.1), si passa ad analizzare nel det-taglio ogni sua fase e a proporre per ognuna una possibile implementazione sul codice agli elementi finiti ANSYS. I punti fondamentali di tale procedura sono l’analisi dei sottomodelli del giunto e l’estrazione del coefficiente Kf,el associato ad ognuno (par. 3.2), la soluzione del modello globale della strut-tura saldata e l’estrazione dei carichi che attraversano il cordone (par. 3.3), la combinazione lineare dei risultati dei sottomodelli (par. 3.4) ed infine la rappresentazione grafica dei risultati (par. 3.5).

Figura

Figura 1.2: Flow chart rappresentante la procedura per l’im- l’im-plementazione del metodo della tensione locale approssimato su codici agli EF.
Figura 2.1: Schema della condizione di carico generale su un giunto saldato d’angolo.
Figura 2.3: Condizioni di carico base per quanto riguarda le forze F x .
Figura 2.5: Schema della condizione di carico generale su un giunto saldato d’angolo.
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