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Studio di strutture monocristalline di Niobato di Litio cresciute con il metodo del micro-Pulling Down

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(2)

Facolt`a di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Corso di Laurea Specialistica in Scienze Fisiche

Anno Accademico 2006/2007

TESI SPECIALISTICA

Studio di strutture

monocristalline di LiNbO

3

cresciute con il metodo del

µ-PD

Candidato: Relatore:

(3)
(4)

Introduzione 6 1 Il niobato di litio 9 1.1 Stechiometria e struttura . . . 9 1.2 Propriet´a dielettriche . . . 13 1.3 Propriet´a elettro-ottiche . . . 14 1.4 Applicazioni . . . 16

2 Crescita delle fibre 21 2.1 Descrizione della modalit´a di crescita. Il µ-PD . . . . 21

2.2 L’ apparato di crescita . . . 23

2.3 Misurazione dei gradienti di temperatura all’ interno della fornace . . . 28

2.4 Descrizione della crescita di una fibra . . . 35

2.5 Alcune immagini delle fibre cresciute . . . 42

3 Orientazione delle fibre 45 3.1 La tecnica di Laue . . . 45

3.2 Verifica del carattere monocristallino dei cristalli cresciuti . . . 47

3.3 Individuazione degli assi cristallografici . . . 51

3.4 Orientazione delle fibre di Niobato di Litio . . . 52

4 Aspetti teorici preliminari 53 4.1 Le terre rare . . . 53

(5)

5 Misure di spettroscopia 62

5.1 Apparati sperimentali . . . 62

5.1.1 Misure di assorbimento . . . 62

5.1.2 Misure dei tempi di vita media . . . 63

5.1.3 Misure di fluorescenza . . . 65

5.2 Misure di assorbimento . . . 67

5.3 Misure di vita media dei livelli energetici . . . 75

5.4 Misure di fluorescenza . . . 80

5.5 Calcolo della sezione d’ urto di emissione . . . 86

5.6 Confronto fra le sezioni d’ urto di emissione e di as-sorbimento . . . 88

Conclusioni 90

(6)

Le caratteristiche fisiche del niobato di litio (LN) sono state stu-diate con grande interesse nel corso degli ultimi venti anni, al fine di comprendere a fondo i meccanismi che lo rendono cos´ı utile per una grande variet´a di applicazioni, nel campo della ricerca scientifica di base e dell’ ingegneria.

A causa delle sue notevoli propriet´a fisico-chimiche, elettro-ottiche e per la sua nonlinearit´a ottica, infatti, il LN offre un vasto spettro di possibili utilizzi, ma anche di problemi legati ad una sua completa e precisa caratterizzazione.[1]

Lo scopo di questa tesi ´e quello di illustrare come il LN possa essere cresciuto in forma di fibre monocristalline e di caratterizzarle dal punto di vista ottico e spettroscopico.

I primi cristalli di niobato di litio sono stati cresciuti nel 1965 da S A Fedulov in USSR [2] e da A A Ballman in USA [3], e da allora la necessit´a di produrre sempre maggiori quantit´a di questo materiale ´e andata via via crescendo. Ad oggi, nella gran maggioranza dei casi questo materiale viene cresciuto mediante il metodo Czochral-ski, con il quale si realizzano boules di qualche cm di diametro con buona qualit´a ottica attraverso il lento tiraggio dal basso verso l’ alto di un melt fuso in un crogiuolo (solitamente di platino).

L’ opportunit´a di crescere monocristalli in forma di fibre (con lunghez-za di qualche centimetro e diametri dell’ ordine del millimetro) ´e invece resa possibile dallo sviluppo di un altro metodo di cresci-ta, quello del µ-PD (micro-pulling-down), che ´e quello che ´e stato utilizzato nel corso di questa tesi e verr´a illustrato nel secondo

(7)

tolo. I pricipali vantaggi dell’ utilizzo di questa tecnica sono quelli di rendere possibile una pi´u veloce produzione di cristalli di buona qualit´a (in poche ore si ottengono campioni di qualche centimetro di lunghezza, mentre con il metodo Czochralski la crescita avviene con velocit´a dell’ ordine di pochi mm/h) e di avere subito a disposizione strutture che per la loro forma sono immediatamente integrabili in devices elettro-ottici e nonlineari, come duplicatori di frequen-za, micro-srgenti laser o sistemi di memoria ottici. A causa di un alto rapporto superficie-volume, inoltre, ci si attende una migliore efficienza di questi campioni rispetto alle boules cresciute con la tec-nica Czochralski.

´

E evidente che per una qualsiasi applicazione i campioni devono rigorosamente avere una struttura monocristallina, e durante ques-ta tesi abbiamo ripetuques-tamente effettuato analisi a raggi X con una camera di Laue, i cui esiti sono riportati nel terzo capitolo di questo lavoro.

Un altro importante aspetto del LN ´e che esso pu´o essere drogato sostituzionalmente con ioni trivalenti di terre rare; durante questo la-voro sono stati inseriti ioni Er3+ all’ interno della matrice,

mescolan-do diverse quantit´a di ossimescolan-do di erbio nel melt, ottenenmescolan-do cos´ı monocristal-li di buona quamonocristal-lit´a a differenti drogaggi. Per le importanti caratter-istiche delle terre rare all’ interno delle matrici ospiti, ´e interessante fornire una caratterizzazione precisa di questi sistemi per quanto riguarda la loro risposta alla radiazione luminosa in diverse regioni. Nei capitoli 3 e 4 sono riportati, dopo una breve introduzione teor-ica sulle configurazioni elettroniche delle terre rare che stanno alla base delle loro peculiari caratteristiche, i principali risultati delle misure spettroscopiche effettuate. In particolare abbiamo misurato il coefficiente di assorbimento e la sezione d’ urto di assorbimen-to del materiale in un vasassorbimen-to range di lunghezze d’ onda (300-1700 nm), i tempi di vita media di alcuni livelli energetici, e gli spettri di fluorescenza relativi a diverse transizioni, tra cui quella tra i livelli

4I

(8)

in cui sono disponibili guide d’ onda a basse perdite. Relativamente a quest’ ultima transizione, abbiamo ricavato anche la sezione d’ urto di emissione in tre diverse polarizzazioni.

Questa tesi si inserisce in un progetto pi´u ampio, che prevede la collaborazione delle universit´a di Padova e Roma: noi abbiamo re-alizzato e caratterizzato per gli aspetti sopra illustrati cristalli di LN in forma di fibre, l’ universit´a di Padova ha sviluppato e stu-diato campioni cresciuti con la tecnica Czochralski, oltre ad effet-tuare mediante una procedura di poling l’ orientazione dei domini ferromagnetici presenti nel LN, mentre a Roma viene effettuata la scrittura di guide d’ onda per solitoni bright nel core dei cristalli.

(9)

Il niobato di litio

1.1

Stechiometria e struttura

Il niobato di litio (LiNbO3) ´e uno dei composti ottenibili dalla

reazione Li2O - Nb2O5, e viene sintetizzato mediante la reazione :

Li2CO3 + Nb2O5 → 2 LiNbO3 + CO2

Come si pu´o vedere dal diagramma di fase in figura 1.1, nel nio-bato di litio la concentrazione di Li2O varia tra il 44.5 e il 50.5

mol%. Per frazioni molari di LiO2 pari a 48.5 mol % e di 51.55 mol

% di Nb2O5, la transizione tra fase liquida e solida avviene

diretta-mente senza passare attraverso fasi intermedie. I cristalli ottenuti con queste concentrazioni vengono detti congruenti e sono i pi´u uni-formi e otticamente migliori; questi sono i cristalli cresciuti durante questa tesi. La temperatura di Curie dipede fortemente dalla com-posizione molare, e vale circa 1142 0C per i cristalli congruenti. La

struttura del niobato di litio consiste in piani di atomi di ossigeno organizzati in un reticolo esagonale ad impacchettamento stretto (hexagonal colse - packed).

I siti interstiziali degli ottaedri di ossigeno sono per un terzo riempiti con atomi di litio, per un terzo con atomi di niobio e per un terzo sono vuoti, secondo la sequenza Li, Nb, vacanza, Li, Nb, . . . (fig.

(10)

Figura 1.1: Diagramma di fase del composto LiNbO3

1.2).

Tale sequenza individua l’asse principale del cristallo c.

Nella fase paraelettrica gli atomi di niobio si collocano equidistanti da due piani di ossigeno, mentre gli atomi di litio si trovano allineati a tali piani (nel senso che hanno uguale probabilit´a di trovarsi al di sopra o al di sotto degli strati di ossigeno). Nella fase ferroelettrica, invece, si ha uno spostamento degli atomi di litio e di niobio dalle posizioni reticolari di simmetria (fig. 1.2).

Ogni cella elementare viene cos´ı ad avere un momento di dipolo lun-go l’asse c. Nella fase ferroelettrica il cristallo presenta simmetria di rotazione discreta di ordine tre rispetto all’asse c, appartiene perci´o al sistema cristallografico trigonale. Presenta inoltre simmetria di riflessione speculare rispetto a tre piani formanti tra loro angoli di 600.

Il niobato di litio appartiene quindi al gruppo puntuale 3m e al grup-po spaziale R3c.

(11)

Nella fase paraelettrica si aggiungono simmetrie di riflessione rispet-to a piani orrispet-togonali a c. Il gruppo di simmetria puntuale diventa 3m, e quello spaziale R3c.

Un’ immagine della cella elemantare ´e visibile in fig 1.3.

Nella tabella 1.1 sono indicate alcune delle propriet´a principali del composto LiNbO3, cos´ı come ritrovate in letteratura.

Figura 1.2: Struttura del composto LiNbO3. Fase paraelettrica (sinistra) e

(12)

Figura 1.3: Struttura del composto LiNbO3. Cella elementare esagonale e

or-torombica. Gli atomi appartenenti alla cella ortorombica sono evidenziati in nero.

(13)

Formula chimica LiNbO3

Classe cristallina Trigonale, 3m Costanti reticolari a = 5.148 ˚A

(cella esagonale) c = 13.863 ˚A

Peso molecolare 147.9 u.m.a.

Densit´a a 293 K 4.644 g/cm3 Range di trasmissione 350 − 5500 nm Temperatura di fusione 1530 K Temperatura di Curie 1425 K Conducibilit´a termica a 300K 5.6 W/(mK) Bandgap 4.0 eV Indici di rifrazione (0.63 µm) no 2.29 ne 2.22 Coefficienti elettro-ottici (0.63µm) r22 3.4 x 10−12 m/V r13 8.6 x 10−12 m/V r33 30.8 x 10−12 m/V r51 28 x 10−12 m/V

1.2

Propriet´

a dielettriche

La relazione tra induzione dielettrica e il campo elettrico appli-cato, in un materiale anisotropo, ´e in componenti tensoriali:

Di =

X

ij

ǫijEj i, j = x, y, z (1.1)

dove la componente ij-esima della permettivit´a vale

ǫij = ǫ0(ǫr)ij (1.2)

con ǫ0 permettivit´a del vuoto e ǫr permettivit´a relativa del mezzo.

Nel niobato di litio l’ asse cristallografico c coincide con l’ asse ottico z e i due assi cristallografici a sono sul piano x − y. Per le simmetrie del cristallo rispetto all’asse c, il tensore di secondo grado ´e rappre-sentabile mediante la matrice diagonale:

(14)

ǫ =    ǫ11 0 0 0 ǫ22 0 0 0 ǫ33   

A seconda della polarizzazione della radiazione incidente, si hanno perci´o due indici di rifrazione, uno ordinario ed uno straordinario.

no = q ǫ11 ǫ0 ne= q ǫ33 ǫ0

La differenza tra l’indice di rifrazione straordinario e ordinario definisce la birifrangenza del mezzo.

Per il niobato di litio puro ad esempio abbiamo i valori no=2.2875

e ne=2.2019, per λ = 632.8 nm, a temperatura ambiente.

1.3

Propriet´

a elettro-ottiche

Alcuni materiali, tra cui il niobato di litio, cambiano le loro pro-priet´a ottiche quando sono sottoposti ad un campo elettrico. Questo avviene a causa delle forze che distorcono la posizione, l’ orien-tazione, o la forma delle molecole che costituiscono il materiale. L’ effetto elettro-ottico ´e il cambiamento dell’ indice di rifrazione conseguente all’ applicazione di un campo elettrico costante o a bassa frequenza. Un campo elettrico applicato ad un materiale anisotropo elettro-ottico modifica gli indici di rifrazione e quindi la propagazione di luce polarizzata.

La dipendenza dell’ indice di rifrazione dal campo elettrico applicato pu´o essere lineare (effetto Pockels) o quadratica (effetto Kerr). Il cambio di indice di rifrazione tipicamente ´e molto piccolo, co-munque il suo effetto su un’ onda ottica che si propaga per lunghezze molto maggiori di una lunghezza d’ onda pu´o essere significativo. Se l’ indice di rifrazione cambia di 10−5, ad esempio, un’ onda che si

(15)

Quando un campo elettrico ~E ´e applicato ad un cristallo, le com-ponenti del tensore di impermeabilit´a elettrica ηij = ǫǫij0 vengono

modificate, essendo funzioni di ~E.

Ogni elemento di ηij ´e funzione delle tre variabili Ex, Ey, Ez e pu´o

essere espanso in serie attorno a ~E = 0:

ηij( ~E) = ηij + X k rijkEk+ X kl sijklEkEl i, j, k, l = 1, 2, 3 (1.3)

dove ηij = ηij(~0), rijk = ∂η∂Eij

k, sijkl =

1 2

∂2

ηij

∂Ek∂El e le derivate sono

cal-colate a campo elettrico nullo.

I 27 coefficienti {rijk} sono i coefficienti di di Pockels e gli 81

coeffi-cienti {sijkl} sono i coefficienti di Kerr. Poich´e ηij ´e simmetrico, r e

ssono invarianti per scambio degli indici i e j. Inoltre, i coefficienti sijkl sono invarianti per scambio degli indici k e l, data l’ invarianza

per lo scambio dell’ ordine derivate.

Convenzionalmente si indica con I la coppia di indici i, j e con K la coppia k, l, secondo la tabella 1.3, che pu´o essere letta anche sos-tituendo i, j con k, l.

i=1 i=2 i=3

j=1 1 6 5

j=2 6 2 4

j=3 5 4 3

La simmetria del cristallo aggiunge nuove restrizioni agli elemen-ti rIk e sIK. Ad esempio, per il niobato di litio, come per gli altri

cristalli appartenente alla classe di simmetria 3m, il tensore dei co-efficienti di Pockels si riduce alla seguente matrice:

(16)

rIk =            0 −r22 r13 0 r22 r13 0 0 r33 0 r51 0 r51 0 0 −r22 0 0            (1.4) Per il LN, r22=3.4 x 10−12 m/V , r13=8.6 x 10−12 m/V , r33=30.8 x 10−12 m/V e r 51=28 x 10−12 m/V per λ = 0.63 µm.

Utilizzando questi coefficienti si trova che, se ad esempio un cristallo di LN viene sottoposto ad un campo elettrico lungo l’ asse z, l’ indice di rifrazione varia nel seguente modo:

no(E) = no− 1 2n 3 or13E (1.5) ne(E) = ne− 1 2n 3 er33E (1.6)

Quindi un cristallo uniassiale come il LN rimane uniassiale con il medesimo asse principale se lungo questo ´e applicato un campo elettrico, ma i suoi indici di rifrazione no e ne vengono entrambi

modificati.

1.4

Applicazioni

I materiali il cui indice di rifrazione pu´o essere modificato me-diante l’ applicazione di un campo elettrico sono utili per produrre devices controllabili elettricamente, ad esempio:

• Una lente costruita con un materiale il cui indice di rifrazione pu´o essere modificato ´e una lente a distanza focale variabile. • Un prisma la cui capacit´a di bending ´e controllabile pu´o essere

utilizzato come scannner ottico.

• La luce trasmessa attraverso un cristallo trasparente con indice di rifrazione controllabile subisce un phase shift controllabile.

(17)

Questo pu´o essere utile per costruire un modulatore di fase controllabile elettricamente.

• Un cristallo anisotropo il cui indice di rifrazione pu´o essere modificato pu´o essere utilizzato come ritardatore controllabile e quindi per modificare le propriet´a di polarizzazione della luce. • Un ritardatore controllabile posto tra due polarizzatori incro-ciati pu´o essere utilizzato come modulatore ottico di intenst´a. Infatti la luce trasmessa dal sistema cristallo + polarizzatori ´e funzione del ritardo di fase subito durante l’ attraversamento del materiale da parte della luce.

Di seguito sono riportati due esempi di utilizzo del LN all’ interno di modulatori ottici di fase e intensit´a. [4] [5]

Modulatori di fase Quando un fascio di luce attraversa una Pockels

cell, costituita da un cristallo con le propriet´a elettro-ottiche del LN, di lunghezza L alla quale ´e applicato un campo elettrico E, subisce uno shift nella fase pari a:

φ ≈ φ0− π

rn3EL

λ0

(1.7) dove φ0 = 2πnL/λ0 ´e lo shift dovuto all’ attraversamento del

materiale in assenza di campo elettrico. In questa equazione e nelle seguenti di questa sezione con r ´e indicato l’ appropriato coefficiente del tensore rIk.

Se il campo elettrico ´e ottenuto applicando un voltaggio V a due facce della cella poste ad una distanza d fra di loro si ha:

φ ≈ φ0− π V Vπ (1.8) dove Vπ = d L λ0 rn3 (1.9)

(18)

Vπ viene chiamato half-wave voltage ed ´e il voltaggio da applicare

agli elettrodi per ottenere uno shift di fase pari a π. Valori tipici di questo parametro sono di qualche Kilovolts per modulatori longitu-dinali (campo elettrico parallelo alla direzione di propagazione) e di centinaia di Volts per modulatori trasversali (campo elettrico per-pendicolare alla direzione di propagazione). Le varie configurazioni sono mostrate in fig 1.4.

Figura 1.4: (a) modulatore longitudinale. (b) modulatore trasverso. (c) modulatore trasverso travelling-wave

Questi valori puossono essere ridotti scrivendo delle guide d’ onda su substrati di LN ad esempio tramite in-diffusion di materiali come il titanio per aumentare l’ indice di rifrazione: in questo caso, per un modulatore trasversale, si ha d ≪ L e Vπ pu´o essere portato a

valori di qualche Volt.

Questi modulatori sono limitati nella frequenza di utilizzo dal tempo T di attraversamento dell’ onda nel mezzo; difatti l’ onda per essere modulata non deve vedere un cambiamento di indice di rifrazione durante il suo passaggio. Per ovviare a questo inconveniente pu´o essere utilizzato uno schema di tipo travelling wave, in cui si cerca di ottenere un matching tra l’ onda elettrica fornita al device e quella luminosa da modulare. Si arriva cos´ı a modulatori che possono lavorare fino a frequenze superiori a 100 GHz.

(19)

Modulatori di intensit´a Uno shift nella fase da solo non influenza l’

intensit´a di un fascio di luce; comunque, un modulatore di fase pos-to in un ramo di un interferometro di tipo Mach-Zender pu´o avere questo utilizzo (fig. 1.5).

Figura 1.5: Modulatore di fase inserito in un ramo di un interferometro di tipo Mach-Zender. La trasmittanza del sistema varia periodicamente con il voltaggio applicato. Spostandosi di poco attorno al punto B si pu´o ottenere un modulatore di intensit´a lineare.

Se il beamsplitter divide il fascio incidente in due parti uguali, l’ intensit´a trasmessa Io ´e legata a quella incidente Ii dalla relazione:

Io = 1 2Ii+ 1 2Iicos φ = Iicos 2 φ 2 (1.10)

dove φ = φ1− φ2 ´e la differenza fra gli shift di fase incontrati di

fasci nei due rami dell’ interferometro. La trasmittanza del sistema ´e data da:

T = Io Ii

= cos2 φ

2 (1.11)

A causa del modulatore di fase presente nel ramo 1 dell’ interfer-ometro si ha una trasmittanza data da:

T = cos2 φ0 2 − π 2 V Vπ  (1.12)

(20)

dove φ0 = φ1,0− φ2 dipende dalla differenza di cammino ottico.

(φ1,0 ´e il cambiamento di fase che avverrebbe nel ramo 1 in assenza

di campo elettrico applicato). In fig. 1.5 ´e plottato il valore di T in funzione del voltaggio applicato. Si nota come in un intorno del punto B indicato in figura il device risponda linearmente, mentre cambiando il voltaggio tra A e C si ottiene uno switch ottico. Un modulatore di intensit´a di tipo Mach-Zender come questo pu´o essere anche costruito nella forma di device ottico integrato ( fig. 1.6) scrivendo due guide d’ onda su un substrato di LN. Questo tipo di modulatori vengono effettivamente realizzati e operano fino a frequenze di circa 25 GHz.

Figura 1.6: Modulatore di fase integrato. Un interferometro di tipo Mach-Zender e un modulatore di fase elettro-ottico pu´o essere implementato scrvendo guide d’ onda ottiche su un substrato di LN.

(21)

Crescita delle fibre

In questo capitolo saranno esposte la tecnica utilizzata per la crescita delle fibre di LiNbO3 e le principali problematiche da

af-frontare per ottenere monocristalli di buona qualit´a.

2.1

Descrizione della modalit´

a di crescita. Il

µ-PD

La tecnica utilizzata ´e stata quella del micro pulling down ,in-trodotta nella seconda met´a degli anni ’90, la quale permette di ottenere cristalli in forma di fibre, con diametri dell’ ordine del mil-limetro e lunghezze di qualche centimetro o decina di centmetri. [6] [7] [8] [9]

Questa tecnica consiste nel fare crescere la fibra tirandola verso il basso da un crogiuolo, in cui viene fatto fondere il materiale, posto all’ interno di una fornace. In fondo al crogiuolo viene praticato un micro-foro per la fuoriuscita del melt.

Il tiraggio avviene tramite il contatto con un seed, cio´e un pezzo di cristallo precedentemente orientato lungo l’ asse secondo il quale si desidera effettuare la crescita (fig 2.1).

La traslazione verso il basso del seed fa s´ı che il melt solidifichi quando viene a trovarsi in zone a temperatura pi´u bassa di quella di fusione.

(22)

Figura 2.1: Schema della zona calda del forno

Si tratta quindi di un metodo simile al Czochralski, nel quale i cristalli sono tirati invece verso l’ alto; una differenza importante tra i due metodi ´e che, dal momento che il melt fuoriesce da un micro-foro, col µ-PD si ottengono direttamente strutture cristalline in forma di fibre con buone caratteristiche topologiche, quali ad es-empio un diametro costante lungo tutta l’ estensione. I cristalli cresciuti con il metodo Czochralski, invece, hanno solitamente di-mensioni maggiori e forme pi´u irregolari e devono essere tagliati e lavorati prima di poter essere utilizzati.

Il riscaldamento della fornace µ-PD pu´o avvenire in diversi modi: si pu´o utilizzare un riscaldamento di tipo resistivo oppure uno di tipo induttivo, e questo dipende dalle temperature che si vogliono rag-giungere e dai materiali che si desidera realizzare. Con un

(23)

riscalda-mento di tipo induttivo come quello presente nel nostro laboratorio, ad esempio, si raggiungono temperature di oltre ∼ 2000 oC nella

zona centrale della fornace.

La velocit´a di crescita ´e un importante parametro del metodo µ-PD e del processo di realizzazione di cristalli in genere. Questa ´e influenzata da una serie di fattori che vanno dal tipo di materiale da crescere alle caratteristiche della fornace utilizzata, come dalla temperatura presente all’ interno della stessa. ´E difficile dire a pri-ori quale sia la migliore velocit´a di tiraggio per un determinato tipo di materiale, dal momento che non tutti questi fattori sono sempre sotto controllo, e quindi si pu´o dire solo approssimativamente che i tiraggi nel metodo µ-PD avvengono nell’ ordine di qualche frazione di millimetro al minuto. Nel metodo Czochralski, invece, di solito si procede molto pi´u lentamente, e le velocit´a sono dell’ ordine di qualche millimetro all’ ora. L’ unico modo efficace per scoprire qual ´e la miglior velocit´a di tiraggio ´e in definitiva effettuare diversi ten-tativi partendo da un valore ragionevole ed analizzando di volta in volta i risultati ottenuti.

In definitiva, i vantaggi del metodo µ-PD rispetto al tradizionale metodo Czochralski sono identificabili nella maggiore velocit´a di tiraggio e nella possibilit´a di ottenere fibre che per le loro carat-teristiche topologiche risultano direttamente utilizzabili in sistemi ottici integrati. Per contro, essendo un metodo pi´u giovane deve an-cora essere ottimizzato per quanto riguarda il controllo dei gradienti di temperatura presenti nella fornace e della velocit´a di tiraggio, e pertanto richiede un lavoro costante da parte dello sperimentatore per perfezionare la qualit´a dei cristalli cresciuti.

2.2

L’ apparato di crescita

L’ apparato di crescita a nostra disposizione consiste in una for-nace dal diametro di 40 cm, scaldata all’ interno in modo induttivo dal campo magnetico prodotto da una spirale di rame raffreddata

(24)

ad acqua ed alimentata da un generatore a radiofrequenza, il quale pu´o lavorare a ∼ 70 KHz con una potenza massima di ∼ 20 KW. All’ interno della zona della fornace circondata dalla spirale di rame ´e presente un crogiuolo di Platino, poggiato su di un after-heater, costituito da una cilindro sempre realizzato in platino; questi due elementi essenziali sono scaldati per effetto Joule mediante la cor-rente superficiale indotta dalla spirale. Una fotografia in cui si pu´o osservare la forma conica di un tipico crogiuolo utilizzato in una fornace µ-PD ´e mostrata in fig. 2.2.

Figura 2.2: Foto di un crogiuolo utilizzato per crescere fibre con il metodo µ-PD.

Intorno a questi due elementi sono presenti vari schermi, in ce-ramica ed in quarzo, i quali servono a impedire la dissipazione del calore verso zone periferiche del forno e quindi a mantenere i giusti gradienti di temperatura nella regione in cui avviene la crescita. Un’ immagine dell’ interno del forno ed una in cui sono mostrati i vari schermi, smontati, sono visibili in fig 2.3 e fig 2.4.

La fornace pu´o essere chiusa ermeticamente ed ´e collegata ad una pompa a vuoto; alcuni materiali necessitano infatti di una con-dizione di vuoto per crescere. Non ´e il caso del niobato di litio, il

(25)

Figura 2.3: Foto dell’ interno del forno (induttore e schermi)

Figura 2.4: Schermi presenti all’ interno del forno

quale invece ha bisogno di un eccesso di ossigeno e quindi deve essere cresciuto in aria, come abbiamo fatto noi, o in atmosfera contollata ad esempio con un flusso di ossigeno e argon.

(26)

necessario un continuo controllo del sistema durante la crescita dei cristalli, ´e stata posizionata una telecamera all’ esterno del forno, ad una distanza di circa 30 cm dal centro dello stesso, per visualizzare su un monitor la zona di interfaccia solido-melt. Per fare questo ab-biamo dovuto praticare sugli schermi termici e sull’ afterheater dei fori lungo l’ asse della telecamera; dal momento che il foro sull’ after-heater ha un diametro di circa 2 mm, si ´e reso necessario un sistema ottico non banale capace di ingrandire una regione cos´ı piccola da una distanza cos´ı considerevole. ´E in corso un lavoro per diminuire ulteriormente il diametro del foro sull’ afterheater, cosa che permet-terebbe un miglioramento dell’ efficienza di riscaldamento di quella zona delicata della crescita, ma questo si ´e rivelato praticamente infattibile.

In fig. 2.2 si possono vedere gli elementi sopra descritti, in una fotografia scattata all’ interno del laboratorio.

Figura 2.5: Fotografia dell’ apparato di crescita

Il seed, che ha il compito di tirare la fibra dal fondo del crogiuo-lo, ´e sorretto da una bacchetta di ceramica fissata su un supporto in grado di traslare verticalmente. Il movimento verticale ´e dovuto all’ azione di un motore passo-passo con velocit´a regolabile tramite

(27)

un PC, mentre la possibilit´a di effettuare movimenti sul piano x-y, essenziale per un corretto allineamento con l’ asse del crogiuolo, ´e garantita da un controllo manuale a vite.

L’ intero processo di crescita ´e controllato tramite PC, attraverso un programma dal quale ´e possibile impostare rampe di variazione della potenza dell’ induttore a radiofrequenza. Quella che viene imposta-ta sul computer ´e in realt´a una tensione proporzionale alla potenza effettivamente emessa dal generatore. Il programma, una volta let-to il valore impostalet-to manualmente, si serve di un PID (melet-todo di controllo basato su differenze Percentuali, Integratore e Derivatore), il quale ha come segnale di riferimento una tensione di feedback pro-porzionale alla potenza emessa istantaneamente dal generatore; dati questi due valori, se il PID ´e programmato correttamente, si ricava un valore di tensione da fornire al generatore e questo finch´e non ´e stata raggiuta la potenza desiderata. Ci si attende un comporta-mento oscillatorio da questo sistema, che ad ogni step si autoregola e varia la tensione, ed infatti questo ´e quello che succede: dal mo-mento che oscillazioni eccessive della tensione portano a variazioni percettibili nella temperatura all’ interno della fornace, ´e stato nec-essario ridurle al minimo per mantenere condizioni stabili durante la crescita. Questo ´e stato fatto variando i parametri di controllo del PID; in questo modo le oscillazioni sono state portate a circa il 6 per mille (fig. 2.6).

Nel grafico si pu´o notare inoltre che tali oscillazioni avvengono su tempi dell’ ordine del minuto, e su queste scale di tempo si pu´o ra-gionevolmente supporre che una piccola variazione della potenza di riscaldamento non vada a modificare significativamente la temper-atura presente all’ interno del forno, quindi la condizione di crescita ´e stabile.

(28)

168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 658,0 658,5 659,0 659,5 660,0 660,5 661,0 661,5 662,0 P o u t ( a . u . ) Minutes

Oscillazioni m acchina riscaldatrice

Figura 2.6: Le oscillazioni della potenza del generatore sono state portate ad un livello accettabile per non perturbare la stabilit´a della crescita.

2.3

Misurazione dei gradienti di temperatura

al-l’ interno della fornace

Un aspetto fondamentale da controllare quando si crescono cristal-li con il metodo µ-PD sono i gradienti di temperatura presenti all’ interno della fornace. Diversamente da quanto avviene ad esempio nel metodo Czochralski, infatti, qui si hanno variazioni drastiche di temperatura su scale di pochi centimetri, ed ´e interessante e utile misurare queste variazioni per capire a cosa sono dovute ed eventual-mente modificare la struttura degli schermi termici. Questo lavoro ´e stato fatto utilizzando una termocoppia mediante la quale abbi-amo potuto misurare la temperatura lungo l’ asse in cui avviene la crescita: questa infatti ´e stata fatta muovere lungo il percorso ef-fettuato dal seed a partire dal fondo del crogiuolo, essendo montata sullo stesso supporto.

Queste misure ci hanno dato utili indicazioni sugli effetti degli scher-mi che via via abbiamo aggiunto all’ interno della fornace per

(29)

ot-tenere cristalli di sempre maggiore qualit´a e dimensioni.

Il setup del forno con cui abbiamo cresciuto le fibre di LN, ´e schemati-camente illustrato nella figura 2.7. Si possono notare due schermi

Figura 2.7: Schema della struttura del forno di crescita

cilindrici cavi in ceramica sinterizzata attorno alla zona pi´u calda della fornace, che ´e quella in cui si trova il crogiuolo. Su questi schermi ´e stato praticato un foro per la visualizzazione in tempo reale tramite telecamera delle varie fasi di crescita. Questi schermi sono chiusi all’ estremit´a in alto mediante due dischi dello stesso materiale, sempre per evitare dispersioni di calore, e poggiano su un supporto a forma di disco, anch’ esso in ceramica.

Tutta questa struttura ´e sorretta da due tubi concentrici in quarzo, i quali vanno a poggiarsi sulla base della fornace. Un ulteriore grande tubo di quarzo circonda tutta la struttura.

(30)

Le modifiche apportate nel corso di questo lavoro a questo schema base sono state:

• L’ aggiunta di un tubicino di acciaio inossidabile di lunghezza pari a 16 mm e diametro di 11 mm nella zona immediatamente sottostante all’ afterheater.

• L’ inserimento di un tubo di quarzo di lunghezza pari a 120 mm e diametro di 13 mm che si estende dalla base della fornace fino al fondo del nuovo tubicino di acciaio aggiunto. All’ interno di questo ´e stata posta una spirale in platino realizzata con un filo da 0.6 mm di diametro, costituita da ∼ 30 spire per una lunghezza totale di ∼ 60 mm. Questo ´e stato fatto allo scopo di sfruttare l’ accoppiamento con la grande spirale di rame ed avere cos´ı un’ ulteriore fonte di riscaldamento.

In fig 2.8 e 2.9 si possono vedere in foto i due elementi appena descritti.

La loro collocazione all’ interno del forno ´e mostrata in fig. 2.7.

Figura 2.8: Fotografia del tubicino di acciaio inserito subito sotto l’ afterheater.

Le misurazioni dei gradienti di temperatura lungo l’ asse di cresci-ta sono scresci-tate effettuate in tre diverse configurazioni, al fine di scegliere la migliore fra queste ottimizzando cos´ı il processo di realizzazione dei cristalli. Per comodit´a mi riferir´o a queste con gli indici 1, 2 e 3, secondo quanto indicato in tabella 2.3.

(31)

Figura 2.9: Fotografia del tubo di quarzo con spirale di platino all’ interno.

tubo acciaio tubo quarzo spirale platino

1 √ √ √

2 √ √

3 √ √

Tabella 2.1: Nomenclatura utilizzata relativamente alle diverse configurazioni di schermi termici.

Le misure sono state effettuate impostando da PC un valore di tensione pari a quello utilizzato durante le crescite, ed ´e stato man-tenuto costante durante tutta la misura; la termocoppia ´e stata fatta muovere con continuit´a alla velocit´a di 0.05 mm/h, sei volte inferi-ore a quella utilizzata per il tiraggio dei cristalli, per permettere a questa di termalizzare e restituire corretti valori di temperatura. I risultati delle misure sono riportati nei grafici 2.10, 2.11 e 2.12.

(32)

0 10 20 30 40 50 60 70 200 400 600 800 1000 1200 0 10 20 30 40 50 60 70 -32 -30 -28 -26 -24 -22 -20 -18 -16 -14 -12 -10 -8 -6 -4 -2 0 2 ° C / m m mm °C

Figura 2.10: Mappa della temperatura all’ interno del forno, e gradiente di temperatura. Misura effettuata nella configurazione 1.

0 10 20 30 40 50 60 70 -32 -30 -28 -26 -24 -22 -20 -18 -16 -14 -12 -10 -8 -6 -4 -2 0 2 0 10 20 30 40 50 60 70 0 200 400 600 800 1000 1200 ° C / m m mm °C

Figura 2.11: Mappa della temperatura all’ interno del forno, e gradiente di temperatura. Misura effettuata nella configurazione 2.

(33)

0 10 20 30 40 50 60 70 0 200 400 600 800 1000 1200 0 10 20 30 40 50 60 70 -32 -30 -28 -26 -24 -22 -20 -18 -16 -14 -12 -10 -8 -6 -4 -2 0 2 ° C / m m mm °C

Figura 2.12: Mappa della temperatura all’ interno del forno, e gradiente di temperatura. Misura effettuata nella configurazione 3.

(34)

´

E utile sprattutto visualizzare un confronto tra le configurazioni 1 − 2 e 1 − 3 (fig 2.13 e 2.14). 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 45 50 55 60 65 70 300 350 400 450 500 T ( ° C ) mm Configurazione 2 Configurazione 1 mm T(°C)

Figura 2.13: Mappa della temperatura all’ interno del forno. Misura effettuata nelle configurazioni 1 e 2. 0 10 20 30 40 50 60 70 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 20 25 30 35 40 45 500 600 700 800 900 1000 1100 T ( ° C ) mm Configurazione 3 Configurazione 1 mm T (°C)

Figura 2.14: Mappa della temperatura all’ interno del forno. Misura effettuata nelle configurazioni 1 e 3.

(35)

In fig 2.13 si nota come l’ effetto della spirale di platino sia quello di aumentare leggermente la temperatura attorno ai 40 mm dal fon-do del crogiuolo, zona in cui effettivamente ha inizio la spirale stessa. Il cambiamento per´o non ´e considerevole, dato che si guadagnano appena ∼ 50C; sembra quindi che l’ accoppiamento tra la spirale di

platino e la spirale di rame non sia buono.

Pi´u significativo ´e invece l’ effetto del tubicino di acciaio, come si pu´o notare in fig. 2.14. Le due curve di temperatura si differen-zaiano nella regione tra i 23 e i 40 mm circa, corrispondente alla zona in cui ´e presente questo elemento, di circa 10 gradi. La curva relativa alla configurazione 3 in quella zona si trova a temperatura maggiore di quella relativa alla configurazione 1 e il gradiente ´e pi´u dolce.

Dal momento che entrambe le modifiche hanno apportato piccoli miglioramenti, addolcendo i gradienti all’ interno del forno, abbi-amo adottato per le crescite una configurazione che le implementa entrambe, mantenendo all’ interno della fornace sia il tubicino di ac-ciaio che il tubo di quarzo con la spirale all’ interno. I piccoli cambia-menti prodotti da queste modifiche hanno portato a sensibili miglio-ramenti nella qualit´a delle fibre, come ´e stato possibile riscontrare attraverso l’ analisi delle fibre cresciute nelle diverse configurazioni.

2.4

Descrizione della crescita di una fibra

Crescere un cristallo ´e un lavoro che richiede una certa preparazione preliminare al tiraggio vero e proprio dello stesso, oltre ad una cer-ta sensibilit´a nel controllare e intervenire durante le varie fasi della crescita.

Durante questa tesi sono stati cresciuti pi´u di venti cristalli di LN, con differenti drogaggi e differenti configurazioni degli schermi ter-mici all’ interno della fornace. In questo paragrafo ´e riportata la descrizione di una crescita-tipo, con particolare attenzione rivolta alle sue fasi pi´u delicate. Questa procedura ´e stata ripetuta per

(36)

og-ni processo di crescita.

Come primo step preliminare ´e necessario preparare un buon seed: il nuovo cristallo infatti cresce secondo le caratteristiche del seed e ne mantiene l’ orientazione.

Per la preparazione del seed un pezzo di cristallo derivante da una crescita precedente o ricavato da una boule cresciuta con il metodo Czochralski viene analizzato mediante diffrazione di raggi X per es-sere orientato e tagliato (vedi cap. 3) lungo la direzione di crescita desiderata. Poi si lavora meccanicamente questo pezzo di cristallo in una forma approssimativamente conica, dato che deve andare a immettersi in un foro di dimensioni ridotte (nel nostro caso 0.5 mm). Il seed cos´ı ottenuto viene in seguito fissato su una bacchetta di ce-ramica, cosa che abbiamo effettuato in due modi distinti: mediante una speciale colla, che per essere utilizzata deve prima essere posta per alcune ore in forno a circa 70 gradi, oppure legandolo con fili di platino dello spessore di 0.6 mm alla bacchetta, in cui in prece-denza erano state praticate apposite scanalature tramite una fresa diamantata. A questo punto la bacchetta con il seed all’ estremit´a pu´o essere inserita verticalmente nella fornace µ-PD, fissandola con un supporto in grado di traslare verticalmente.

In questa fase viene anche pesato il materiale da inserire all’ inter-no della fornace: si tratta di LiNbO3 in forma di polvere, con una

purezza del 99.995%, e di ossido di erbio (Er2O3), sempre in forma

di polvere e con lo stesso grado di purezza. Questi materiali sono pe-sati tramite una bilancia di precisione (dalla risoluzione di 0.001 g) e successivamente mescolati fra di loro, inserendo entrambe le polveri dentro un contenitore posto in un agitatore. Questo procedimento ´e stato adottato perch´e ´e praticamente pi´u semplice preparare una grande quantit´a di materiale e prelevare di volta in volta la dose necessaria rispetto a realizzare per ogni crescita il giusto mix di dro-gante e materiale puro.

Prima di poter inserire qualsiasi oggetto nel forno, ´e necessario che questo venga pulito accuratamente, per evitare che eventuali

(37)

im-purezze si depositino all’ interno dei cristalli durante la loro crescita; per questo si procede a pi´u passaggi di lavaggio con isopropanolo, in grado di rimuovere le impurit´a dovute alla presenza di polveri all’ interno del forno o a un contatto fortuito tra le mani di chi utilizza il forno e il forno stesso. ´E opportuno infatti utilizzare sempre guanti di lattice quando si opera all’ interno della fornace.

A questo punto si pu´o procedere al montaggio della struttura vera e propria, cio´e all’ inserimento degli schermi e del crogiuolo. Questo ´e un passaggio estremamente delicato, perch´e il tutto deve essere fatto con estrema precisione: il primo elemento ad essere allineato al centro del forno ´e il seed, e per fare questo ci si pu´o aiutare con l’ immagine visualizzata sul monitor. Poi vengono posti gli scher-mi, partendo dalla base con quelli di quarzo che si inseriscono in apposite scanalature. La zona calda vera e propria, quella in cui ´e presente il crogiuolo e l’ after-heater, ´e la pi´u difficile e delicata per l’ allineamento. Anche qui ci si pu´o aiutare con l’ immagine sul monitor illumunando con una lampada la zona di interesse; tuttavia ci vuole una certa sensibilit´a per raggiungere un buon allineamento. Solitamente ´e solo a questo punto che le polveri del materiale da crescere vengono inserite all’ interno del forno, tramite un piccolo imbuto.

Una volta terminata la fase di allineamento, il seed, che essendo stato posto al centro del forno ´e stato il riferimento intorno al quale ´e stata montata tutta la struttura, viene fatto scendere di alcuni centimetri.

Adesso la fornace pu´o essere chiusa e collegata all’ impianto di raf-freddamento, che avviene tramite il passaggio di acqua in tubi di rame che circondano il corpo del forno, per poi dare il via al riscal-damento induttivo.

Raggiungere la temperatura di fusione del materiale all’ interno del forno necessita di un procedimento non banale, dato che non siamo in grado di effettuare un controllo attivo della temperatura, bens´ı della potenza erogata dal generatore a radiofrequenza.

(38)

Cer-tamente una stima del voltagggio corrispondente alla temperatura di fusione ´e dato dalla mappatura della temperatura del forno effet-tuata tramite la termocoppia come descritto in precedenza, tuttavia questo non basta. Infatti ogni volta ´e necessaria una operazione di variazione fine della temperatura alla ricerca del punto di lavoro ottimale. Questo si effettua facendo salire il seed fino a portarlo a contatto con il crogiuolo e provando ad inserirlo all’ interno dello stesso molto lentamente. Se il materiale dentro ´e fuso si vede chiara-mente che esso scende a bagnare il seed, altrimenti non si riesce ad effettuare l’ inserimento. In questo secondo caso ´e necessario au-mentare lievemente il voltaggio e ripetere l’ operazione. Potrebbe succedere anche il caso opposto, e cio´e che ad un determinato volt-aggio la zona sia troppo calda, e in questo caso la quantit´a di fuso che tende a scendere a contatto con il seed risulta eccessiva, ren-dendo necessario un calo della potenza fornita dal generatore. Dal momento che i tempi di reazione ad un lieve cambiamento di poten-za non sono brevi (anche di diversi minuti), si comprende bene che un errore grande in questa fase di contatto fra fuso e seme pu´o al-lungare notevolmente i tempi di lavoro.

Quando si ´e riusciti ad individuare il voltaggio a cui avviene la fu-sione, si cerca si fare sciogliere una parte del seed all’ interno del crogiuolo, per avere una superficie di contatto tale da permettere una certa stabilit´a di crescita, e si inizia lentamente il pulling. La regolazione della velocit´a di pulling ´e anch’ essa estremamente delicata, e dipende molto dal materiale utilizzato. Attraverso vari tentativi, effettuati andando ad analizzare ogni volta i cristalli ot-tenuti con differenti velocit´a di tiraggio, siamo arrivati ad ottimiz-zare anche questo parametro: la soluzione per noi ideale ´e stata quella di partire con un tiraggio molto lento (0.02 mm/min) per poi aumentarlo fino alla velocit´a di regime, che viene mantenuta costante per tutta la crescita a 0.3 mm/min. Un aspetto essenziale della velocit´a di tiraggio ´e che questo deve essere preciso, regolare e continuo durante tutta la crescita, per evitare il formarsi di stress

(39)

interni ai cristalli che ne peggiorerebbero la qualit´a ottiche e mec-caniche.

Anche se il contatto effettuato in questa fase ´e buono e la velocit´a di tiraggio ´e stata impostata correttamente, ´e necessario un contin-uo controllo della crescita al fine di evitare bruschi cambiamenti nel diametro della fibra conseguenti ad un minor flusso di materiale dal crogiuolo; questo ´e essenzialmente dovuto al fatto che, mentre la bacchetta porta-seme scende, la temperatura all’ interno del forno tende a diminuire dato che il volume da scaldare ´e via via maggiore, e inoltre il materiale dentro il crogiuolo ovviamente diminuisce anch’ esso. Perci´o si rende necessario fornire rampe di salita alla potenza dell’ induttore per compensare le perdite di calore. In fig. 2.15 si pu´o vedere un’ esempio di quanto appena spiegato, dal momento che il grafico si riferisce proprio ad una delle crescite effettuate. Per decidere se ´e necessario aumentare la temperatura nel forno ci si pu´o aiutare attraverso la visualizzazione sul monitor della zona di contatto solido-melt (fig. 2.16). ´E infatti presente una sottile zona sottoraffreddata di interfaccia, detta menisco di interfaccia, che aiu-ta a capire se la cresciaiu-ta saiu-ta procedendo bene o meno: mantenere costante l’ estensione di questa zona ´e un buon metodo per ottenere dei buoni cristalli. Reagire solo di fronte ad una diminuzione del diametro della fibra con un aumento del voltaggio potrebbe essere intempestivo, dal momento che ´e necssario qualche minuto prima che il sistema termalizzi e nel frattempo la fibra potrebbe essersi assottigliata troppo.

Una volta terminato il melt all’ interno del crogiuolo, la fibra si stacca, il pulling rate pu´o essere interrotto e la temperatura all’ interno del forno diminuita. Tuttavia si deve prestare attenzione, perch´e una discesa troppo rapida della temperatura dentro il forno potrebbe provocare stress termici al cristallo e danneggiarlo. Noi per evitare questo abbiamo impostato rampe di discesa da circa 1200 gradi fino a temperatura ambiente in circa 10 ore.

(40)

prelim-0 4 8 12 16 20 24 28 32 36 40 44 656 658 660 662 664 666 668 670 672 674 676 678 680 P o u t ( a . u . ) mm Curva di crescita

Figura 2.15: Questo ´e un esempio di come la potenza della macchina debba essere modificata durante la crescita di una fibra.

Figura 2.16: Immagine presa dal monitor di controllo della crescita. Si nota una zona chiara, il menisco di interfaccia solido-melt. Sopra si vede la parte terminale del crogiuolo e sotto la fibra che sta crescendo.

inare, tiraggio e raffredamento della fornace, effettivamente utiliz-zata in una crescita effettuata durante questa tesi.

(41)

Terminato il ciclo di raffreddamento si pu´o spengere il generatore, 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500 550 600 650 700 P o u t ( a . u . ) Hours

Curva di potenza forno

Figura 2.17: Sulle ascisse ´e riportato il tempo in ore. Sulle ordinate un segnale prelevato dalla macchina riscaldatrice tramite un multimetro, proporzionale alla potenza emessa dalla macchina stessa

aprire il forno e lasciare ulteriormente raffreddare le parti interne. Poi si tolgono gli schermi e il crogiuolo, e si fa salire il supporto porta-seed fino ad una altezza alla quale ´e possibile raggiungerlo e staccare la fibra cresciutavi sopra. Spesso ´e possibile effettuare questa operazione manualmente, date le ridotte dimensioni del di-ametro e quindi della zona di contatto con il seed. In alternativa si pu´o tagliare via la fibra utilizzando una fresa. Se il cristallo ´e cresci-uto senza crack interni questa operazione ´e banale e non si rischia di danneggiarlo, altrimenti pu´o accadere che si spezzi subito in pi´u parti. Questo non ´e per´o un problema, dato che le parti contenen-ti crack interni sarebbero state comunque individuate tramite una analisi al microscopio e scartate in un secondo momento.

(42)

2.5

Alcune immagini delle fibre cresciute

Le fibre cresciute durante questa tesi sono state molte (pi´u di venti); in questa sezione riporto alcune fotografie scattate ai cristal-li cresciuti, in cui si possono osservare le loro caratteristiche di lunghezza e diametro. Sono riportate due immagini per ogni dro-gaggio effettuato, e in alcuni casi ´e riportata solo la porzione di fibra utilizzata per le misure spettroscopiche. In altri casi, invece, si pu´o notare una porzione di cristallo trasparente seguita da una opaca: questo accade quando ad un certo punto della crescita avvengono dei crack interni che rovinano la struttura monocristallina del cam-pione.

Il lavoro ´e stato diviso in una prima parte in cui abbiamo effettuato vari tentativi per ottimizzare il processeo di crescita e una seconda in cui, una volta trovati i giusti parametri di voltaggio e velocit´a, abbiamo verificato la ripetibilit´a dello schema cos´ı messo a punto. Per i nostri scopi servivano pi´u campioni per ogni tipo di drogag-gio, dallo 0 all’ 1%, dal momento che alcuni cristalli dovevano essere utilizzati per effettuarne una caratterizzazione spettroscopica, altri per la messa a punto del processo di poling. I drogaggi realizzati sono stati lo 0.2 %, lo 0.4 %, lo 0.6% e lo 0.8%, e sono stati cresciuti anche campioni di LN puro.

I diametri tipici dei cristalli sono di 1-2 mm e le lunghezze arrivano fino a 3-4 cm; questo era quello che volevamo ottenere, perch´e queste dimensioni permettono di studiare sia le propriet´a spettroscopiche che le caratteristiche di omogeneit´a spaziale dei cristalli, tuttavia ´e in corso un lavoro con il quale ci aspettiamo di riuscire ad aumentare ulteriormente la qualit´a e la lunghezza dei nostri cristalli.

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Figura 2.18: Fibra di LiNbO3:0.2%Er

Figura 2.19: Porzione di fibra di LiNbO3:0.2%Er

Figura 2.20: Fibra di LiNbO3:0.4%Er

Figura 2.21: Fibra di LiNbO3:0.4%Er

(44)

Figura 2.23: Fibra di LiNbO3:0.6%Er

(45)

Orientazione delle fibre

3.1

La tecnica di Laue

La tecnica di Laue ´e una tecnica che permette, mediante la diffrazione di raggi X, di a studiare la struttura cristallina di un campione.

Sfruttando la teoria di Bragg sulla diffrazione di raggi X da parte di un cristallo, infatti, si possono determinare le costanti reticolari e l’ orientazione del cristallo rispetto alla direzione di incidenza del fascio.

Questa tecnica consiste nell’ inviare sul campione una fascio di RX con una determinata dispersione in frequenza e rivelare su uno scher-mo il fascio diffratto. L’ analisi parte dalla nota legge di Bragg per la diffrazione di raggi X da parte dei cristalli:

2dhklsin θ = nλ (3.1)

dove λ ´e la lunghezza d’ onda incidente, dhkl ´e la distanza fra due

piani di riflessione e θ ´e l’angolo formato dalla direzione di incidenza e il piano riflettente. I piani riflettenti sono indicati dagli indici interi h k l (secondo la convenzione pi´u diffusa).

Un modo pi´u sintetico e utile di scrivere questa legge ´e quella di sfruttare la costruzione di Ewald: consideriamo il cristallo investito dal fascio di raggi X di lunghezza d’ onda λ e collocato al centro di

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una sfera di raggio 1/λ. Poniamo in un punto P sulla sfera l’ origine del reticolo reciproco. Consideriamo il vettore reciproco ~r∗

hkl la cui

estremit´a tocca la sfera (sfera di riflessione di Ewald). La relazione che sussiste tra ~r∗

hkl e la distanza dhkl ´e (fig 3.1):

1 dhkl = r∗ hkl (3.2) O 1/ r * fascio incidente fasco diffratto P

Figura 3.1: La sfera di riflessione di Ewald

Pertanto, quando il vettore di reticolo reciproco ~r∗ tocca la sfera

di Ewald, ´e verificata l’ equazione di Bragg per la serie di piani {h k l}.

Nella tecnia di Laue il fascio utilizzato non ´e monocromatico, quindi ci saranno pi´u lunghezze d’ onda che permetteranno a un maggior numero di vettori del reticolo reciproco di toccare le rispettive sfere di riflessione.

Il pattern di diffrazione sar´a quindi costituito da molti picchi dis-posti secondo una certa simmetria sullo schermo di raccolta.

Da questa analisi ´e possibile ricavare informazioni sul reticolo cristalli-no come, ad esempio, la sua simmetria, le dimensioni della cella fon-damentale e l’ orientazione degli assi cristallografici del campione

(47)

rispetto al fascio di raggi X incidente.

3.2

Verifica del carattere monocristallino dei

cristalli cresciuti

Attraverso l’ analisi di Laue dei nostri campioni ´e quindi pos-sibile stabilire se questi sono effettivamente costituiti da un’ unica struttura monocristallina.

Potrebbe succedere infatti che il reticolo sia interrotto e ripren-da in un’ altra zona del cristallo. Dato che a noi interessa avere monocristalli, ´e importante verificare che questo non accada. In fig 3.2 ´e riportata un’ immagine relativa ad una fotografia di una fibra monocristallina. In fig 3.3 invece si vede quello che accade quando il campione in esame non ´e monocristallino.

Figura 3.2: Esempio di pattern di diffrazione a raggi x di una struttura monocristallina. I picchi di intensit´a sono ben distinti fra loro

La differenza tra le due ´e evidente: in una si vedono picchi ben delineati, almeno nella zona centrale. Nell’ altra si notano invece

(48)

pic-Figura 3.3: Esempio di pattern di diffrazione a raggi x di una struttura non monocristallina. Si notano picchi di intensit´a sdoppiati e sovrapposti. Questa immagine non si riferisce ad un cristallo cresciuto durante questa tesi.

chi sdoppiati e parzialmente sovrapposti, ad indicare che due reticoli sfalzati fra loro hanno contribuito alla riflessione del fascio incidente. Per effettuare queste misure ci siamo serviti della camera di Laue visibile in fig 3.4 (ditta Huber, modello 801), e di un generatore di raggi X a targhetta di rame (Philips PW 1830), che emette su uno spettro tra 0.35 e 2.5 ˚A.

Naturalmente una singola fotografia ci assicura il carattere monocristalli-no solo di una porzione del materiale analizzato, e cio´e quella porzione su cui il fascio di raggi X incide (circa un mm2). Pertanto ´e

oppor-tuno effettuare diversi rilevamenti in zone diverse del cristallo per verificare se su tutta la sua lunghezza esso risulta monocristallino. Questo ´e esattamente quello che abbiamo effettuato durante il nos-tro lavoro, e di seguito sono riportate alcune foto scattate in parti diverse dello stesso cristallo (fig 3.5, 3.6, 3.7). Il campione ´e risul-tato monocristallino, e, altro risulrisul-tato importante, ha mantenuto l’ orientazione del seed.

(49)

Figura 3.4: La camera di Laue.

Figura 3.5: Pattern di diffrazione a raggi x della parte iniziale di una fibra di niobato di litio

(50)

Figura 3.6: Pattern di diffrazione a raggi x della parte centrale di una fibra di niobato di litio

Figura 3.7: Pattern di diffrazione a raggi x della parte finale di una fibra di niobato di litio

(51)

3.3

Individuazione degli assi cristallografici

Una volta che ´e stata verificata la natura monocristallina del campione, si pu´o procedere ad individuare gli assi cristallografici che compongono la struttura reticolare.

Nel nostro caso ci aspettiamo di trovare due assi di uguale lunghezza posti a 120 gradi tra loro e un’ asse diverso ortogonale a entrambi (cap. 1).

Per vedere come essi sono disposti rispetto alla direzione di crescita del nostro campione utilizziamo un software denominato ”Orient-Express”.

L’ identificazione degli assi avviene nel seguente modo:

• Si effettua una analisi di Laue di una porzione di cristallo, uti-lizzando una pellicola polaroid come rivelatore per il pattern di diffrazione

• Si digitalizza l’ immagine ottenuta e si invia al progamma ”OrientExpress”;

• Si seleziona, all’ interno del programma, il file contenente i dati relativi alla cella elementare della struttura del cristallo da studiare (noti dalla letteratura);

• Si cerca di far coincidere il pattern di diffrazione ottenuto con la foto a raggi X con quello simulato dal programma, attraverso rotazioni attorno ai tre assi x, y e z ;

• Si prende nota delle rotazioni fatte per far coincidere i due pat-tern ed eventualmente si impongono le stesse rotazoni mediante un supporto provvisto di goniometro per poi tagliare il cristallo con la orientazione desiderata.

(52)

3.4

Orientazione delle fibre di Niobato di Litio

Per gli scopi di questa tesi, le fibre sono state cresciute lungo a, uno dei due assi uguali della struttura, ed in seguito ´e stata tagliata e lucidata una faccia parallelamente all’ asse c.

Questo perch´e ci interessava effettuare misure di assorbimento e di emissione di luce che fossero polarizzate. Questi aspetti saranno messi meglio in evidenza nei seguenti capitoli; adesso invece verr´a schematicamente illustrata la procedura di orientazione e taglio delle fibre cresciute.

Per prima cosa viene simulata la struttura mediante il programma ”OrientExpress” con le modalit´a descritte nella sezione precedente. Poi vengono imposte al cristallo, montato su un apposito goniometro, le rotazioni opportune rilevate durante il processo di simulazione. A questo punto ci troviamo con una fibra orientata, ad esempio, lungo uno degli assi cristallografici.

Mediante una apposita macchina ´e possibile allora tagliare nella di-rezine stabilita la fibra stessa.

Per tagliare la fibra ortogonalmente all’ asse di crescita (a) ´e stata usata una taglierina a filo, mentre per spianare una faccia parallela-mente all’ asse c ´e stata utilizzata una fresa circolare. La precisione stimata nell’ orientazione delle fibre con il nostro apparato risulta essere di qualche grado.

Questo ´e un aspetto piuttosto importante da sottolineare, in quanto l’ interpretazione degli spettri di fluorescenza e di assorbimento po-larizzati risentono in maniera piuttosto importante dell’ orientazione dei cristalli.

Dopo aver tagliato i campioni orientati ´e necessario lucidare le facce che interessano per le misure di spettroscopia, per evitare fenomeni di scattering che potrebbero alterare i risultati sperimentali.

Per fare questo ´e presente in laboratorio un’ apposita macchina lu-cidatrice Remet LS 2; la lucidatura avviene con paste diamantate, partendo da una grana di 3 µm fino ad una grana di 1µm.

(53)

Aspetti teorici preliminari

4.1

Le terre rare

Le terre rare sono elementi con numero atomico Z compreso tra 58 (Cerio) e 71 (Lutezio) che hanno caratteristiche chimiche molto simili tra loro, a causa della loro configurazione elettronica.

L’ interesse per questi elementi ´e principalmente dovuto alla presen-za di strette bande di assorbimento e di emissione, diversamente da quanto avviene per le larghe bande che presentano cristalli drogati con metalli di transizione [12] .

I laser costruiti con terre rare solitamente sono composti da una ma-trice inerte con grande bandgap (>5 eV) drogata sostituzionalmente con uno pi´u tipi di ioni.

Un lantanide trivalente ha la struttura elettronica dello Xenon (1s22s22p63s23p63d104s24p64d105s25p6), pi´u due elettroni nello stato

6s e uno shell 4f parzialmente riempito. ´E possibile avere anche un elettrone nello stato 5d.

Lo stato di ionizzazione 3+ ´e quello pi´u frequente, sebbene sia possi-bile trovare anche ioni bivalenti (soprattutto Eu, Sm, Yb) e quadri-valenti (Ce, Tb).

Gli stati di ionizzazione 3+ si formano quando si perdono i due elet-troni 6s e un altro elettrone proveniente dallo shell 4f. I rimanenti elettroni 4f sono schermati dai campi presenti nelle matrici cristalline

(54)

da parte degli elettroni negli shell 5s e 5p, che sono completi e a sim-metria sferica, e hanno una estensione spaziale maggiore.

Il loro unico effetto al primo ordine in teoria delle perturbazioni pu´o essere considerato lo schermaggio, perci´o i livelli energetici sono calcolati tenendo conto solo degli elettroni 4f.

4.2

I livelli energetici delle terre rare

Per calcolare i livelli energetici delle terre rare, nel caso dello ione libero si deve in linea di principio risolvere l’ equazione di Schr¨odinger relativamente all’ Hamiltoniana:

H = T +Ven+Vee+Vso = − ~2 2m N X i=1 ∇2 i− N X i=1 Ze2 ri + N X i<j e2 rij + N X i=1 ζ(ri)~si~li dove e ed m sono la carica e la massa elettronica, N ´e il numero totale di elettroni nello shell incompleto, ri ´e la coordinata radiale

dell’ i-esimo elettrone, rij ´e la posizione relativa dell’ elettrone i

rispetto all’ elettrone j, ~si e ~li sono lo spin e il momento angolare

orbitale dell’ elettrone i-esimo e ζ(ri) ´e la costante di interazione

spin-orbita. Il primo termine (T ) rappresenta l’ energia cinetica, il secondo (Ven) l’ interazione elettrostatica elettroni-nucleo, il terzo

(Vee) l’ interazione elettrostatica elettrone-elettrone, il quarto (Vso)

l’ interazione spin-orbita. [10] [11]

Il problema pu´o essere semplificato introducendo l’ Hamiltoniana di campo centrale, contenente solamente operatori monoelettronici, nella forma: Hcf = N X i=1 [−~ 2 2m∇ 2 i + U(ri)]

(55)

dove U rappresenta il potenziale centrale, che include Vene la parte

a simmetria sferica di Vee.

Questa approssimazione assume che ogni elettrone si muova indipen-dentemente in un potenziale del tipo Ui

e.

La corrispondente equazione di Schr¨odinger, Hψ = Eψ, ammette soluzioni del tipo:

ψ = N Y i=1 ψi con E = N X i=1 Ei

dove ψi e Eisono autofunzioni e autovalori dell’ operatore

monoelet-tronico.

Essendo tutti i termini di Hcf a simmetria sferica, la degenerazione

dei livelli energetici degli elettroni 4f non ´e rimossa e le soluzioni dell’ equazione sono quelle dell’ atomo di idrogeno.

A causa del principio di esclusione di Pauli, l’ autofunzione totale deve essere antisimmetrizzata, e si ottiene cos´ı una funzione d’ onda a N particelle di tipo-Slater: ψ(x1x2. . . xn) = 1 √ N! N ! X i=1 (−1)piP iψ(x1)ψ(x2) . . . ψ(xN)

con la somma estesa alle N! permutazioni Pi delle coordinate

elet-troniche, e (−1)pi vale ±1 per permutazioni pari o dispari.

Fino a questo punto n, l e ml son buoni numeri quantici.

Naturalmente questo problema ridotto a elettroni indipendenti non pu´o descrivere bene la struttura dei livelli energetici delle terre rare, e si deve introdurre il potenziale di perturbazione V = H − Hcf.

Questo separa i livelli degeneri, e i nuovi livelli possono in linea di principio essere calcolati risolvendo numericamente il problema. Tuttavia, questo metodo richiede un grande numero di calcoli e non aiuta ad etichettare gli stati in maniera soddisfacente.

(56)

schema di Russell-Saunders (o schema L-S): in questo schema Vee

´e diagonale, L = P

ili e S = Pisi sono buoni numeri quantici e

possono essere utilizzati per etichettare i livelli.

In figura 4.1 sono riportati i livelli energetici di tutti gli ioni trivalen-ti di terre rare.

A questo punto resta da considerare lo splitting imposto ai livelli di ione libero cos´ı indicati dall’ interazione con il campo cristallino generato dalla struttura del reticolo del cristallo in cui lo ione ´e in-serito come drogante.

Il campo cristallino per gli ioni di terra rara pu´o essere considera-to una perturbazione (vedi fig 4.2 per la valutazione degli ordini di grandezza dei vari splitting energetici), che va a rimuovere anche la degenerazione sulla componente di J = L + S lungo l’ asse di quan-tizzazione, dando origine a una serie di sottolivelli (stark sublevels). Non discuteremo qui di come si possa dare anche a questi un’ etichet-ta appropriaetichet-ta, ma ´e possibile ottenere una corretetichet-ta indicizzazione anche di questi livelli mediante la teoria dei gruppi.

(57)

Figura 4.1: Schema dei livelli energetici di tutti gli ioni triplamente ionizzati di terre rare

(58)

10 4 cm -1 10 3 cm -1 10 2 cm -1 2S+1 L 2S+1 L J 2S+1 L J,u 4f n Coulom b

Spin-orbita Cam po cristallino

Figura 4.2: Ordini di grandezza caratteristici per lo splitting dei livelli energetici di terre rare all’ interno di matrici cristalline.

(59)

4.3

La sezione d’ urto di emissione stimolata

In questo lavoro ´e stato utilizzato il metodo β − τ integrale per il calcolo della sezione d’ urto di emissione stimolata [13]; questa quan-tit´a ´e definita come il guadagno di intensit´a di un fascio laser per unit´a di inversione di popolazione nel caso in cui non siano presenti effetti di saturazione n´e processi ESA (excited state absorption). Il metodo β − τ si basa sulle seguenti assunzioni: le differenze di energia tra le bande J non devono essere troppo grandi, e la statis-tica di Boltzmann deve essere rispettata dalla popolazione di ogni sottolivello nel caso di pompaggio stazionario.

Dalla definizione di σ segue che la sezione d’ urto di emissione sti-molata ´e proporzionale al coefficiente di Einstein B, il quale pu´o essere determinato studiando i processi di assorbimento e emissione spontanea.

Chiamati σji e σij rispettivamente le sezioni d’ urto di emissione

spontanea e assorbimento per la transizionej → i, abbiamo: σji(ν) = gi gj σij(ν) (4.1) σji(ν) = λ2 8πn2Ajigji(ν) (4.2)

dove gi e gj sono le degenerazioni dei livelli i e j, Aji ´e il rate di

emissione spontanea per unit´a di tempo per la transizione i → j, gji(ν) ´e il fattore di riga normalizzato e n ´e l’ indice di rifrazione

della matrice cristallina.

Nel caso di basso pompaggio, il segnale di fluorescenza ´e dato da: Iji(ν)dν = GAjigji(ν)hνdνNj (4.3)

dove Nj ´e la densit´a di popolazione del livello j e G ´e un fattore

di calibrazione che rappresenta la frazione di fluorescenza rilevata dall’ apparechiatura di misura, corretta per la risposta ottica della stessa.

Dalle precedenti equazioni ´e possibile scrivere: Iji(ν)dν = G

8πn2

c2 hν

3N

(60)

Il metodo β − τ integrale permette di calcolare la sezione d’ urto di emissione da misure di fluorescenza e dalla conoscenza del tempo di vita radiativo dei livelli interessati.

Per una pompa impulsata, l’ andamento temporale del segnale di fluorescenza ´e esponenziale con costante tempo τf, definita come:

1 τf

= WR+ WN R= 1 τR

+ WN R (4.5)

dove τR ´e il tempo di vita radiativo, WR rappresenta il rate di

rilassamento radiativo e WN R quello non radiativo.

Una quantit´a utile ´e l’ efficienza quantica radiativa del livello a, definita cos´ı: ηa= P bWabR P bWabR+ P bWabN R = τa X b WabR (4.6)

che equivale al rapporto tra fotoni emessi e ioni eccitati. Utilizzando questa definizione, si pu´o scrivere:

1 τR =X j fj X i Aji = η τf (4.7)

dove fj rappresenta la frazione della popolazione pompata nel livello

j calcolata tramite la statistica di Boltzmann. Noto τR, Aji pu´o essere scritto come:

Aji = βji fj 1 τR (4.8)

dove βji´e il branching ratio per la transizione j → i, cio´e la frazione

del flusso totale di fotoni emessa dal livello superiore. Questo dato pu´o essere facilmente calcolato dallo spettro di fluorescenza misurato sperimentalmente: βji = R Iji(ν) hν dν P k,l R Ikl(ν) hν dν = PR λIji(λ)dλ k,lR λIkl(λ)dλ (4.9)

Nella approssimazione di pompa stazionaria, il numero totale di ioni eccitati nel multipletto emettente Ntot ´e legato alla popolazione

(61)

gli stati possibili e su tutte le frequenze entrambi i lati dell’ equazione 4.3 e dividendo per hν, ´e possibile utilizzare la 4.9 per ottenere:

Z X i,j Iij(ν) hν dν = GηNtot τf (4.10)

Risolvendo eq. 4.10 per GNtot e sostituendo in eq. (4.4) si ottiene:

σji(ν) = ηc2 τffj( R I(ν) hν dν)8πn2hν3 Iij(ν) (4.11) dove I(ν) =P

ijIij(ν) ´e la fluorescenza totale, e l’ integrale ´e esteso

a tutto lo spettro di fluorescenza.

Considerando la sovrapposizione delle altre transizioni k → l, dob-biamo correggere la sezione d’ urto stimolata come segue:

σ(ν) = σij(ν) + X k,l fk fl σkl(ν) (4.12)

Sostituendo eq. 4.11 in eq. 4.12 e convertendo le frequenze in lunghezze d’ onda si ottiene:

σ(λ) = ηλ

5

τffj(R λI(λ)dλ)8πn2c

I(λ) (4.13)

In eq. 4.13 tutti i termini sono noti o possono essere calcolati, ad eccezione di fj, ed ´e divenuto uso comune definire una sezione d’

urto effettiva eliminando questo fattore. Se inoltre il cristallo non ´e isotropo la formula 4.13 va corretta come segue:

σ(λ) = ηλ

5

τf13Ps(R λIs(λ)dλ)8πn2c

Ip(λ) (4.14)

dove la somma ´e sulle tre diverse polarizzazioni e l’ indice p si riferisce alla orientazione.

(62)

Misure di spettroscopia

5.1

Apparati sperimentali

5.1.1 Misure di assorbimento

Per effettuare le misure degli spettri di assorbimento e deter-minare i coefficienti di assorbimento abbiamo utilizzato uno spet-trofotometro CARY 500 scan della ditta Varian in grado di operare tra 175 e 3300 nm. Un computer collegato alla macchina ha perme-sso l’ acquisizione dei dati.

La risoluzione sulla lunghezza d’ onda pu´o essere impostata tramite un software a seconda delle necessit´a, separatamente per la regione UV-Vis e NIR. La risoluzione in assorbanza, pari a 1/1000, ´e costante su tutto l’ intervallo di lunghezze d’ onda coperto.

Tramite un fotomoltiplicatore R928 ed un reticolo da 1200 linee/mm si ha la rivelazione del segnale nella zona UV-Vis, ottenendo una dis-persione di 0.98 nm/mm; nel NIR invece il rivelatore ´e un PbS ed il reticolo ha 300 linee/mm, per una dispersione pari a 3.92 nm/mm. Durante la misura il cambio di reticolo nella macchina ´e regolabile attorno ad una luchezza d’ onda di ∼ 800 nm.

In figura 5.1 si pu´o vedere lo schema interno del CARY 500, tratto dal manuale dello stesso.

(63)

Figura 5.1: Schema interno dello spettrofotometro CARY 500

5.1.2 Misure dei tempi di vita media

Le misure di vita media sono state eseguite utilizzando lo schema visibile in fig. 5.2. Come sorgente impulsata abbiamo utilizzato un laser Titanio-Zaffiro sintonizzato intorno a 980 nm con frequenza di ripetizione di 10Hz. Questo ´e stato costruito nel nostro laboratorio: il mezzo attivo ´e un cristallo di Zaffiro di lunghezza 25 mm drogato con Titanio allo 0.1% con indice di rifrazione n = 1.76 a λ = 790nm montato ad angolo di Brewster e posto in una cavit´a a due spec-chi su di un supporto di alluminio con circuito di raffreddamento ad acqua. Il laser ´e sintonizzabile tra 770 e 910 nm per mezzo di un prisma posto nella cavit´a ed ´e pompato dalla seconda armonica della riga a 1064 nm di un laser implsato Nd:YAG commerciale. Dal momento che la durata dell’ impulso del laser Titanio-Zaffiro ´e di circa 30 ns, abbiamo potuto utilizzare questa sorgente per mis-urare i tempi di vita media, che nel nostro caso erano duperiori di almeno tre ordini di grandezza. La fluorescenza ´e sata rivelata perpendicolarmente al fascio di pompa, focalizzata su un monocro-matore e modulata da un chopper a 123 Hz per essere amplificata

Figura

Figura 2.2: Foto di un crogiuolo utilizzato per crescere fibre con il metodo µ-PD.
Tabella 2.1: Nomenclatura utilizzata relativamente alle diverse configurazioni di schermi termici.
Figura 2.10: Mappa della temperatura all’ interno del forno, e gradiente di temperatura
Figura 2.12: Mappa della temperatura all’ interno del forno, e gradiente di temperatura
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