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Livelli circolanti di adipochine, FGF-21, Grelina, GIP, C-peptide e Insulina in donne in pre, peri e postmenopausa con e senza la Sindrome Metabolica

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Scuola di Specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia Direttore Scuola di Specializzazione: Prof. T. Simoncini

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

“LIVELLI CIRCOLANTI DI ADIPOCHINE, FGF-21, GRELINA, GIP, C-PEPTIDE E

INSULINA IN DONNE IN PRE, PERI E POSTMENOPAUSA CON E SENZA LA

SINDROME METABOLICA”

Relatore: Prof. Tommaso Simoncini Candidato: Dr.ssa Kinga Polak Anno Accademico 2015-2016

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INDICE

RIASSUNTO ... 4 I- INTRODUZIONE ... 11 1 LA MENOPAUSA ... 12 1.1 DEFINIZIONE ... 12 1.2 LA MENOPAUSA E IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE ... 14 1.3 MANAGEMENT DELLA SINTOMATOLOGIA MENOPAUSALE ... 19 1.4 LA TERAPIA ORMONALE SOSTITUIVA ... 20 2 LA SINDROME METABOLICA ... 22 2.1 DEFINIZIONE ... 22 2.2 FISIOPATOLOGIA ... 25 2.3 SINDROME METABOLICA E MENOPAUSA ... 32

3 BIOMARKERS DELLA SINDROME METABOLICA ... 33

3.1 ADIPOCHINE E METABOLISMO ... 35

3.2 CITOCHINE PROINFIAMMATORIE ... 41

II- PRESUPPOSTI TEORICI ... 46

III- SCOPO DELLA TESI ... 48

IV- MATERIALI E METODI ... 50

1 PARTECIPANTI E DISEGNO DI STUDIO ... 51

2 DIAGNOSI DI SINDROME METABOLICA ... 52

3 ANALISI DEL SIERO E MISURAZIONE DEGLI ANALITI ... 53

4 CARATTERISTICHE DEL SAGGIO: BIO-PLEX SYSTEM ... 53

5 ANALISI STATISTICA ... 55 V- RISULTATI ... 56 VI- DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 70 VII- BIBLIOGRAFIA ... 79 RINGRAZIAMENTI ... 94

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“ Che cosa faresti se non avessi paura? ” (Cit.)

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RIASSUNTO

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L’aumento della prevalenza della menopausa è strettamente associato all’invecchiamento della popolazione femminile. In Italia più del 30% della popolazione femminile (oltre 10 milioni donne) è in menopausa. Poiché le donne tendono a vivere più a lungo degli uomini, la popolazione anziana è prevalentemente femminile e l’aspettativa di vita, in costante aumento, raggiungerà gli 82 anni entro il 2025 nei paesi più sviluppati.

L’età media dell’insorgenza della menopausa è di 51,3 anni, perciò le donne si trovano a trascorrere un terzo della loro vita in postmenopausa. La transizione menopausale è caratterizzata da una progressiva riduzione dei livelli estrogenici e dall’esaurimento della riserva ovarica, fenomeni che sono alla base della modificazione del peso corporeo e della ridistribuzione dei tessuti adiposi, nonché delle alterazioni del profilo lipidico e della sensibilità all’insulina che concorrono ad aumentare il rischio di incidenza di obesità, diabete mellito di tipo 2 (T2DM), Sindrome Metabolica (MetS) e patologie cardiovascolari (CVD) in postmenopausa1 .

La MetS non è una patologia per se, ma un insieme di molteplici fattori, tra cui insulino resistenza (IR), obesità addominale, dislipidemia e ipertensione e si associa ad alterazioni della funzione endoteliale, del sistema della coagulazione e dello stato infiammatorio che concorrono allo sviluppo di un quadro patologico. La prevalenza della MetS nelle donne in postmenopausa oscilla tra il 31 – 55% ed è un fattore predittivo per l’insorgenza di patologie come T2DM, coronaropatie e carcinoma mammario, ragion per cui la MetS merita di essere studiata con particolare attenzione in questa fascia d’età2.

È quindi fondamentale identificare i meccanismi molecolari che sono alla base della fisiopatologia delle alterazioni cardiometaboliche, analizzando le condizioni fisiologiche

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(come la menopausa) e patologiche (come la MetS) che peggiorano la qualità di vita e la mortalità degli individui e contribuendo alla creazione di programmi di prevenzione e di cura sempre più specifici.

I risultati descritti in questa tesi sono stati ottenuti grazie all’utilizzo di tecniche di biologia molecolare estremamente all’avanguardia che potrebbero diventare parte integrante delle ricerche e degli studi finalizzati al miglioramento delle strategie diagnostico-terapeutiche future.

In questa tesi abbiamo analizzato markers metabolici in donne in pre, peri e postmenopausa, affette o meno dalla MetS e dall’obesità. In collaborazione con l’Istituto Di Biomedicina Della Facoltà Di Medicina Dell’Universitad Catolica De

Santiago De Guayaquil in Ecuador, sono state arruolate 202 donne in fisiologica pre,

peri e postmenopausa (età 40 – 69 anni). Tra queste sono state selezionate 80 pazienti sul cui siero abbiamo valutato la concentrazione di Adipochine (adiponectina, leptina, resistina, adipsina, visfatina, vaspina, omentin-1), Fattore di Crescita dei Fibroblasti 21 e 23 (FGF-21, FGF-23), Grelina, C-peptide, Peptide inibitorio Gastrico (GIP), Insulina, Galectin-3 (Gal-3), Inibitore-1 dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1), Pentraxin-3 (PTX-3) e Paraoxonasi-1 (PON1). I confronti sono stati eseguiti rispetto alla presenza o meno della MetS e rispetto alla presenza o meno di obesità durante la transizione menopausale. Il 30% (n=24/80) dei campioni di siero analizzati appartenevano a soggetti con MetS, il 70% (n=56/80) a individui sani (di cui n=27 con 0 criteri per MetS, n=14 con 1 criterio e n=15 con 2 criteri). Il 35% delle pazienti (n=28/80) era in premenopausa, il 30% (n=24/80) in perimenopausa, il 35% (n=28/80) in postmenopausa. Il 25% delle pazienti (n=20/80) presentava obesità viscerale, indipendentemente dall’età e dalla presenza o meno della sindrome.

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Nelle pazienti sane senza MetS e nelle pazienti non obese (BMI<30 kg/m2), abbiamo osservato che i livelli di adiponectina, in accordo con studi precedenti, aumentano significativamente con l’aumentare dell’età. I livelli di vaspina, invece, tendono a ridursi progredendo verso la menopausa, diversamente da quanto riportato in letteratura. La secrezione di queste adipochine con l’avanzare dell’età e, quindi, con l’avvento della menopausa, è influenzata dalle variazioni ormonali e dalla ridistribuzione del tessuto adiposo con meccanismi non ancora del tutto noti.

Le pazienti con MetS, indipendentemente dallo stato menopausale, hanno mostrato una tendenza a valori elevati delle molecole analizzate, ma in maniera statisticamente significativa solo i livelli di C-peptide, GIP e insulina sono risultati superiori nelle donne con MetS come causa o conseguenza delle alterazioni metaboliche presenti nelle pazienti con la Sindrome. I livelli di FGF-21 in premenopausa, di resistina e adipsina in perimenopausa e i livelli di resistina, leptina, visfatina, adipsina e vaspina in postmenopausa erano significativamente superiori nelle pazienti con MetS rispetto alle coetanee sane. I livelli adiponectina, invece, si riducevano nelle donne in premenopausa con MetS rispetto alle coetanee sane; comportamento analogo per i livelli di grelina, ma in postmenopausa. Quindi durante la transizione menopausale assistiamo ad un trend in crescita dei livelli dei vari analiti studiati (ad eccezione dell’adiponectina e della grelina), causato verosimilmente dagli effetti e dalle complicanze della MetS che in postmenopausa sono più evidenti perché vengono meno gli effetti protettivi cardiovascolari e metabolici esercitati dagli estrogeni.

In accordo con i dati presenti in letteratura, quando i valori degli analiti sono stati confrontati rispetto alla presenza o meno di obesità (BMI>30 kg/m2),

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indipendentemente dall’età, è stato osservato che le donne obese presentavano livelli significativamente aumentati di C-peptide, GIP, insulina, glucagone, Glucagon-like Peptide 1 (GLP-1), leptina, resistina, adipsina e FGF-21. Anche in questo caso i livelli di grelina e adiponectina erano significativamente ridotti. Probabilmente nei soggetti obesi assistiamo ad un’alterazione delle concentrazioni dei vari analiti come riflesso del danno metabolico oppure come meccanismo adattativo di compenso, indipendentemente dalla loro fascia di età.

Confrontando le donne in pre-perimenopausa e postmenopausa con MetS, sono emerse differenze statisticamente significative solo nei livelli di omentin-1 e vaspina. Risultati analoghi sono emersi confrontando le pazienti obese, prima senza MetS e successivamente con MetS, in pre-perimenopausa con quelle in postmenopausa, dove quest’ultime mostravano livelli significativamente superiori di omentin-1 e vaspina rispetto alle donne obese con MetS in pre-perimenopausa. Studi scientifici precedenti hanno evidenziato un aumento dei livelli sierici di vaspina con l’aumentare dell’età e con la presenza di alterazioni metaboliche, quali l’obesità, l’IR e la MetS. Nel nostro lavoro, invece, nelle donne sane e non obese i livelli di vaspina si riducono significativamente con l’avanzare dell’età e, quindi, con la menopausa. Evidentemente gli ormoni sessuali e la distribuzione del tessuto adiposo svolgono un ruolo complesso nella regolazione della secrezione di questa adipochina che resta ancora da chiarire. Inoltre, abbiamo riscontrato livelli di omentin-1 significativamente aumentati nelle donne in postmenopausa che presentavano MetS, obesità ed entrambe le condizioni rispetto a quelle in pre-perimenopausa con le stesse caratteristiche. Contrariamente ai nostri risultati, studi precedenti hanno invece evidenziato che i livelli di omentin-1 si riducono negli stati infiammatori e dismetabolici. Sia vaspina che omentin-1 sono note

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per svolgere un ruolo insulino-sensibilizzante con meccanismi non ancora del tutto chiariti e potrebbero essere implicate nello sviluppo dell’obesità e della MetS soprattutto in postmenopausa, ponendo di nuovo l’attenzione sul ruolo protettivo degli estrogeni che riducono il danno metabolico provocato dall’obesità e dalla Sindrome in pre e perimenopausa. Abbiamo confrontato, inoltre, le concentrazioni dei vari analiti nelle donne con MetS rispetto alle pazienti senza la Sindrome ma con due, uno o nessun criterio per essa. In linea con i risultati sovradescritti, I livelli di C-peptide, GIP, insulina, leptina, adipsina, FGF-21 e FGF-23 erano significativamente aumentati nelle pazienti con MetS, mentre l’adiponectina e la grelina erano significativamente ridotte in queste pazienti. Rispetto alle pazienti senza nessun criterio e a quelle con un criterio per MetS, le pazienti con la Sindrome presentavano livelli significativamente superiori anche di resistina e visfatina. Rispetto alle pazienti con due criteri per MetS, invece, le donne con la Sindrome esprimevano livelli significativamente inferiori di vaspina. La resistina è un ormone antagonista dell’insulina mentre la visfatina migliora la sensibilità all’insulina. In accordo con gli studi presenti in letteratura, i nostri risultati mostrano un aumento dei livelli di queste due adipochine negli stati dismetabolici, come l’obesità e la MetS. I livelli di vaspina invece sembrano ridursi significativamente nel passaggio verso la MetS, come abbiamo osservato quando abbiamo confrontato le pazienti sane con quelle con MetS e le pazienti non obese con quelle invece con obesità viscerale. Nonostante le importanti limitazioni dovute prevalentemente al numero esiguo di campioni analizzati, i dati emersi da questa tesi sono in parte in accordo con gli studi presenti in letteratura. Oltre a confermare la presenza di livelli elevati di insulina e C-peptide nelle pazienti obese e nelle pazienti con MetS come conseguenza dell’insulino

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resistenza e dell’intolleranza glucidica, abbiamo riscontrato che i livelli di adipochine, ed in particolare di resistina, leptina, visfatina ed adipsina, correlano positivamente con l’età, l’obesità e la MetS, mentre l’adiponectina e la grelina vi correlano negativamente. I livelli di vaspina e omentin-1 aumentano in postmenopausa negli stati dismetabolici come possibile meccanismo adattativo all’IR e al deficit estrogenico. Questi dati suggeriscono un possibile ruolo delle adipochine nella patogenesi della MetS e nell’evoluzione delle complicanze cardiovascolari e metaboliche, la cui incidenza aumenta con il progredire dell’età per la mancanza degli effetti cardioprotettivi esercitati dagli estrogeni durante l’età fertile.

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I- INTRODUZIONE

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LA MENOPAUSA

Il climaterio rappresenta una fase di transizione della vita femminile, durante la quale si assiste all’esaurimento del patrimonio follicolare ovarico e all’insensibilità dei follicoli residui alla stimolazione da parte delle gonadotropine, con conseguente riduzione dell’attività endocrina ovarica ed esaurimento progressivo della capacità riproduttiva. Il quadro clinico appare estremamente variabile e complesso in quanto la transizione menopausale presenta ripercussioni a carico di numerose funzioni, tra cui quelle di tipo metabolico, sessuale e psicologico.

1.1 DEFINIZIONE

L’organizzazione mondiale della sanità (WHO) ha definito la menopausa come una fase che segue un periodo di amenorrea di almeno 12 mesi dall’ultimo ciclo mestruale

(Final Mestrual Period, FMP), che risulta essere preceduto da un periodo definito

transizione menopausale (Menopause Transition, MT) o perimenopausa caratterizzato da instabilità ormonale e irregolarità mestruali fino a un anno dal FMP. Nei paesi occidentali, l’età media della menopausa spontanea è intorno ai 51.3 anni, con una ridistribuzione Gaussiana tra i 40 e i 60 anni3.

Nel 2001 la definizione della WHO è stata revisionata dal Stages Of Reproductive Aging

Workshop (STRAW) e nuovamente 10 anni dopo dal STRAW + 10, che divideva la vita

della donna in 3 fasi: la fase riproduttiva, la MT e la postmenopausa, a seconda delle caratteristiche del ciclo mestruale, dei biomarkers endocrini (l’ormone follicolo stimolante FSH, l’ormone Anti-Mulleriano AMH e l’Inibina B) e della conta dei follicoli antrali (AFC) e delle caratteristiche descrittive (ad es., sintomi vasomotori). L’AMH è un ormone prodotto dalle cellule della granulosa dei follicoli ovarici durante l’età

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riproduttiva ed è considerato tra i markers più precoci di esaurimento della riserva ovarica. La riduzione dei valori dell’AMH è seguita dall’innalzamento dell’FSH e dalla riduzione dell’inibina B, una glicoproteina eterodimerica prodotta dalle cellule della granulosa dei follicoli antrali e preantrali.

La stadiazione STRAW è considerata il gold standard per definire l’età riproduttiva di una donna. Lo STRAW + 10, rifacendosi ai criteri STRAW, ha migliorato la definizione dei parametri da valutare del ciclo mestruale, ha aggiunto la durata delle varie fasi e i vari stadi (Figura1). Questo sistema classificativo divide la vita riproduttiva e post-riproduttiva in 7 stadi dove la transizione menopausale ne occupa due. L’evento principale è rappresentato dall’FMP (stadio 0) che è preceduto da 5 stadi e seguito da 2. La fase riproduttiva tardiva viene divisa in due stadi (-3b e -3a) in base alla presenza o meno di cicli mestruali regolari. I primi segni di menopausa imminente si iniziano ad avere nello stadio -3a, caratterizzata da livelli variabili di FSH e da bassi livelli di AMH, inibina B e AFC. La MT è divisa anch’essa in due stadi, precoce (-2) e tardiva (-1); lo stadio precoce è caratterizzato da cicli mestruali di lunghezza variabile, con fase follicolare più breve e spesso anovulatori, mentre lo stadio tardivo è caratterizzato da oligomenorrea e cicli anovulatori sempre più frequenti, con livelli di FSH superiori a 25 IU/L e bassi livelli di AMH e inibina B. Con il termine perimenopausa si intende invece il periodo che comprende l’inizio della MT e termina dopo 12 mesi di assenza di cicli mestruali dopo il FMP, ovvero con la menopausa. La postmenopausa è divisa in due stadi, precoce (+1a, +1b, +1c, della durata di 5-8 anni) e tardiva (+2, termina con la morte della donna), ed è caratterizzata da alti livelli di FSH e da livelli indosabili di AMH e inibina B4.

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14 Figura 1: Il sistema classificativo STRAW+104.

1.2 LA MENOPAUSA E IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Nonostante la MT sia un evento fisiologico, è in grado di modificare profondamente la qualità della vita della donna. Questa fase è caratterizzata da sintomi inaspettati e fastidiosi e il corpo si modifica sotto l’influenza delle variazioni ormonali e fisiche. Clinicamente ritroviamo la comparsa di sintomi vasomotori (i più frequenti, interessando circa il 75% delle donne), alterazioni del sonno, cambiamenti dell’umore, disturbi urogenitali e disfunzione sessuale.

L’incidenza delle malattie cardiovascolari (MCV) aumenta progressivamente con l’età in entrambi i sessi, ma le donne presentano un incremento d’incidenza relativamente rapido in corrispondenza della menopausa, circa 10 anni dopo gli uomini e spesso con una sintomatologia più sfumata per cui l’accesso in ospedale risulta ritardato. La prevalenza nelle donne sottoposte ad ovariectomia bilaterale prima della menopausa è

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15 simile a quella dei coetanei maschi ma superiore a quella delle coetanee ancora in età fertile. La differenza nei due sessi si attenua dopo la menopausa suggerendo un ruolo importante degli ormoni sessuali e dell’età. Le MCV rappresentano la prima causa di morte negli USA con una mortalità del 53% nella popolazione femminile contro il 18% di mortalità per neoplasia. La menopausa oggi rappresenta un fattore indipendente di rischio cardiovascolare al pari del diabete mellito, della sedentarietà e della dislipidemia5.

La MT è associata ad un significativo aumento del tessuto adiposo viscerale (VAT) e sottocutaneo (SAT) e ad una concomitante riduzione del tessuto adiposo in regione glutea e della massa corporea magra (LBM), ovvero della massa muscolare, responsabili in parte della ridotta attività fisica6. Lo studio longitudinale della Women’s Health Across the Nation (SWAN) su 543 donne in premenopausa o in perimenopausa precoce ha mostrato un aumento della massa grassa di circa 3.4 kg, un aumento del girovita di circa 5.7 cm e una riduzione della massa muscolare scheletrica di circa 0.23 kg nell’arco di 6 anni di follow-up. Questi cambiamenti erano significativamente associati alla concentrazione dell’FSH, concludendo quindi che l’esaurimento della funzionalità ovarica contribuisse alle modificazioni della composizione corporea durante la MT7. L’aumento di peso e lo sviluppo di adiposità addominale sono considerati la principale causa di aumentato rischio di MetS nelle donne in MT.

Gli estrogeni ovarici promuovono l’accumulo di grasso periferico principalmente a livello dei glutei e delle cosce, mentre gli androgeni, e in particolare il testosterone, promuovono l’accumulo di grasso viscerale a livello addominale, indipendentemente dall’età, dalla razza, dall’IR o altri fattori di rischio cardiovascolare. L’ipoestrogenismo, associato a un relativo iperandrogenismo dovuto alla riduzione dei livelli di SHBG,

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rappresenta la principale causa di aumento di peso e di ridistribuzione del tessuto adiposo nelle donne in postmenopausa. L’aumento del tessuto adiposo gioca un ruolo cruciale nell’aumentata sintesi di estrogeni per conversione degli androgeni da parte dell’enzima aromatasi, per cui le donne obese in postmenopausa hanno una concentrazione di estrogeni maggiore rispetto alle donne magre, ma che non è associata ad uno status protettivo nei confronti dell’IR o di eventi cardiovascolari8

(figura 2).

Figura 2: Composizione corporea dopo la menopausa

L’obesità, ed in particolare il VAT, è il principale predittore di IR in entrambi i sessi. Il rapporto tra VAT e IR è spesso legato ad alterazioni degli ormoni sessuali. Il testosterone e la SHBG sono forti biomarkers di IR nelle donne in postmenopausa. Non è ancora chiaro se sia l’iperandrogenismo a determinare l’iperinsulinemia o viceversa. Molti studi indicano che l’iperinsulinemia determini l’iperandrogenismo mediante diversi meccanismi. Nelle donne con Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è stato visto che l’iperinsulinemia stimola l’attività del citocromo P450c17α a livello ovarico, con conseguente aumento della biosintesi di androgeni ovarici; la terapia con metformina riduce i livelli di insulinemia e quindi l’attività del citocromo P450c17α,

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abbassando così l’iperandrogenemia9. Inoltre, gli alti livello di gonadotropine presenti

in menopausa possono stimolare la produzione ovarica di androgeni10. Altri

meccanismi, come descritto sopra, sono la riduzione della sintesi della SHBG da parte dell’insulina, con conseguente iperandrogenismo relativo, e l’accumulo di grasso viscerale. D’altro canto, è stato osservato come la somministrazione di androgeni alterasse la sensibilità all’insulina e il metabolismo del glucosio a livello periferico e che il trattamento antiandrogenico migliorava la sensibilità all’insulina nelle donne con iperandrogenemia11,12.

L’obesità addominale e l’IR aumentano il rischio di dislipidemia mediante diversi meccanismi, che sono legati all’invecchiamento e allo stato menopausale. Gli ormoni sessuali endogeni sono associati al profilo lipidico nelle donne in peri e postmenopausa. In linea generale, gli estrogeni sono associati ad un profili lipidico favorevole mentre gli androgeni determinano un profilo lipidico aterogenico13. L’effetto degli ormoni sul metabolismo lipoproteico è molto complesso e spesso variabile. Durante la MT assistiamo a un aumento dei livelli plasmatici di trigliceridi (TG) e delle lipoproteine a densità molto bassa (very low-density lipoproteins, VLDL). La principale fonte di TG nelle VLDL sono i meccanismi metabolici che risultano aumentati nell’IR e nell’obesità addominale, come ad esempio il flusso di acidi grassi (fatty acids, FA) dal tessuto adiposo, la lipogenesi de novo a partire dal glucosio e l’assorbimento delle restanti lipoproteine. Questi processi inducono processi metabolici che esitano nella sovrapproduzione di grandi molecole di VLDL ricche di TG e nella sintesi di piccole lipoproteine a bassa densità (low density lipoproteins, LDL) e ad alta densità (high density lipoproteins, HDL) a causa della maggiore attività di alcuni enzimi, tra cui la lipoprotein lipasi (LPL), che sintetizza anche acidi grassi liberi (free

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fatty acids, FFAs), e la lipasi epatica (hepatic lipase, HL)14. I livelli di HDL aumentano

gradualmente nel passaggio tra la premenopausa e la perimenopausa tardiva, ma in postmenopausa tendono a ridursi tornando a livelli premenopausali. I livelli di TG, LDL e di colesterolo totale (TC) tendono ad aumentare durante la MT, raggiungendo il picco in postmenopausa, aumentando così il rischio di eventi cardiovascolari. Le donne in pre e perimenopausa con valori di estrogeni nei quartili più alti tendono ad avere livelli più bassi di TG, TC e LDL, mentre le donne con livelli di FSH nei quartili più alti tendono ad avere concentrazioni plasmatiche maggiori di TG, TC e LDL15.

L’ipertensione è il principale fattore di rischio cardiovascolare nelle donne. Circa il 25% delle donne in tutto il mondo sono ipertese, soprattutto durante la MT. La riduzione dei livelli estrogenici, l’invecchiamento, l’aumento di peso e fattori proinfiammatori sono i principali responsabili dell’aumento della pressione arteriosa dopo la menopausa. Gli estrogeni favoriscono la vasodilatazione aumentando la sintesi di prostaciclina e ossido nitrico mentre riducono la produzione di endotelina16. La deficienza estrogenica porta a uno sbilanciamento tra i fattori che determinano vasodilatazione e vasocostrizione, con conseguente aumento della resistenza vascolare. In MT si assiste anche all’attivazione del sistema renina-angiotensina (RAS) e quindi all’aumento delle concentrazioni di angiotensinogeno di tipo II che aumenta la pressione arteriosa17. Non è ancora del tutto chiaro il meccanismo con cui gli androgeni contribuiscano allo sviluppo di ipertensione in postmenopausa, ma sembra che il principale responsabile sia l’obesità. Gli androgeni possono contribuire all’aumento della pressione arteriosa via RAS e tramite la produzione di fattori vasocostrittori e alla riduzione della sintesi di ossido nitrico18. Alte concentrazioni di

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livelli di SHBG, determinati dall’obesità, dall’IR e da fattori proinfiammatori, sembrano essere associati ad un aumento di incidenza di ipertensione in postmenopausa19.

1.3 MANAGEMENT DELLA SINTOMATOLOGIA MENOPAUSALE

I sintomi menopausali a breve termine più comuni sono le vampate di calore e le sudorazioni notturne, ma molte donne lamentano anche disturbi del sonno, depressione e alterazione del tono dell’umore, dolore muscolo-scheletrico e sintomi urogenitali, tra cui secchezza vaginale, dispareunia, riduzione della libido. La durata e la gravità dei sintomi è variabile in quanto possono insorgere diversi anni prima dell’ultima mestruazione e possono persistere anche per diversi anni in postmenopausa.

Circa il 75% delle donne in menopausa lamenta sintomi vasomotori (VMS), la cui durata media è di 7 anni e spesso anche di più. Le vampate di calore vengono descritte come una sensazione di caldo improvvisa che interessa inizialmente il torace e il volto per poi interessare il resto del corpo, durando alcuni minuti e associandosi spesso a profusa sudorazione, palpitazioni o ansia, limitando lo svolgimento delle attività quotidiane soprattutto se le vampate si verificano più volte al giorno. Di notte i VMS possono causare insonnia e quindi affaticamento. Il meccanismo dei VMS sembra coinvolgere il sistema nervoso centrale, probabilmente per una disfunzione del centro di termoregolazione ipotalamico associata ad una instabilità dei vasi sanguigni cutanei20. Il trattamento include la terapia ormonale sostitutiva (HRT) con derivati estrogenici e progestinici oppure, qualora fosse controindicata o rifiutata dalla paziente, gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI) e gli inibitori del reuptake della serotonina-noradrenalina come la paroxetina e la venlafaxina.

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La depressione e gli sbalzi d’umore sono molto comuni in tutti gli stati di alterazione ormonale, come ad esempio nella fase premestruale del ciclo, nel puerperio e nella MT. Le donne in perimenopausa spesso lamentano ansia e tono dell’umore basso. Molte donne traggono beneficio dalla HRT, soprattutto quelle i cui sbalzi d’umore sono determinati dall’astenia data dai VMS.

Le donne in menopausa spesso presentano problemi nei rapporti sessuali per ragioni sia di natura fisica che psicologica. L’atrofia urogenitale e la secchezza vaginale colpiscono circa il 50% delle donne in menopausa e possono determinare dolore ai rapporti, bruciore vaginale, perdite ematiche post-coitali, con conseguente calo della libido, causata anche dal calo dei livelli di estrogeni e testosterone, e aumento della vulnerabilità a infiammazione, traumatismi e infezioni. Possono insorgere anche altri sintomi urinari, come l’urgenza a urinare e infezioni delle vie urinarie. I sintomi diventano evidenti dopo circa 4-5 anni dalla NT e sono causati dalla riduzione a lungo termine dei livelli estrogenici che si traduce nell’assottigliamento e nella perdita di elasticità della cute a livello vulvo-vaginale e nella riduzione della lubrificazione vaginale. Vi è una vasta gamma di trattamenti disponibili, tra cui terapie locali a base di estrogeni e terapie non ormonali come i lubrificanti. Il trattamento dovrebbe iniziare il prima possibile21.

1.4 LA TERAPIA ORMONALE SOSTITUIVA

Con il termine HRT si intendono tutti i preparati estrogenici per via orale, transdermica e vaginale, i progestinici, il tibolone, il bazedoxifene e le terapie ormonali combinate sequenziali o continue. Devono essere trattate solo le donne sintomatiche dato che presentano un rischio cardio-metabolico maggiore. I benefici superano i rischi quando

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la terapia viene iniziata prima dei 60 anni di età o entro i primi 10 anni dalla menopausa. La HRT è importante anche per la prevenzione della perdita di massa ossea in postmenopausa e nella menopausa precoce. Il trattamento riduce significativamente il rischio di fratture osteoporotiche tra cui quelle vertebrali e femorali. Nella donna con più di 60 anni non è raccomandato l’inizio della HRT per la prevenzione delle fratture osteoporotiche, ad ogni modo richiede un calcolo individuale del rapporto rischio/beneficio e deve essere usata la minima dose efficace. Se iniziata precocemente e in pazienti selezionale, la HRT sembra avere un effetto protettivo sul sistema cardiovascolare, riducendo il rischio di patologie coronariche, infarto miocardico e diabete mellito e migliorando il profilo lipidico, la pressione arteriosa e la ridistribuzione del grasso corporeo. La terapia con soli estrogeni pare essere più favorevole di quella combinata ai progestinici. Un aumento del rischio cardiovascolare si può avere invece nelle donne sopra 65 anni di età o con patologie cardiovascolari per cui in queste pazienti la scelta di iniziare il trattamento deve essere presa con cautela.

La HRT iniziata precocemente riduce il rischio di morbo di Alzheimer in età più avanzata, se iniziata sopra i 65 anni di età invece non ha effetti cognitivi e può aumentare il rischio di demenza.

Il rischio di tromboembolismo venoso (VTE) dipende dall’età, dal BMI e dalla via di somministrazione: è minimo se la HRT è iniziata prima dei 60 anni e se somministrata per via transdermica (ad esempio 0.05 mg 2 volte la settimana) piuttosto che per via orale.

Il rapporto tra HRT e carcinoma mammario è ancora controverso, ma il rischio è sicuramente basso. Il rischio è minimo con la somministrazione di soli estrogeni

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22 combinati (CE) nelle donne isterectomizzate, mentre tende ad aumentare con l’uso di combinati estro-progestinici (ed in particolare, con il medrossiprogesterone acetato). L’uso di prodotti androgenici registrati per l’uomo è off-label nella donna e dovrebbero essere utilizzati solo in donne selezionate con disturbi della sfera sessuale.

L’utilizzo della HRT deve andare ad integrare un cambiamento di stile di vita, quindi una dieta più bilanciata, esercizio fisico, cessazione del fumo e consumo moderato di alcolici22.

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LA SINDROME METABOLICA

La sindrome metabolica (MetS) è un insieme di fattori di rischio di origine metabolica che contribuiscono allo sviluppo di patologie cardiovascolari (CVD), aterosclerosi e diabete mellito di tipo 2 (T2DM). Il problema della MetS è relativamente recente e in continuo aumento, facendosi strada in un mondo in continuo sviluppo caratterizzato da assunzione di più calorie ed energia del necessario, obesità crescente e stile di vita sempre più sedentario. La MeS aumenta di 5 volte il rischio di sviluppo di T2DM, di 2 volte il rischio di CVD nei prossimi 5-10 anni, da 2 a 4 volte il rischio di ictus, da 3 a 4 volte il rischio di infarto miocardico, e di 2 volte il rischio di morte per qualsiasi causa rispetto agli individui senza la sindrome23.

2.1 DEFINIZIONE

La MetS è il risultato di un’interconnessione tra fattori di natura metabolica, fisiologica, biochimica e clinica che determinano dislipidemia aterosclerotica, ipertensione, intolleranza glucidica, uno stato flogistico e protrombotico.

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Il termine Sindrome Metabolica è stato coniato nel 1998 dalla WHO, che ha sottolineato il ruolo centrale della disglicemia, definibile come una delle seguenti 4 condizioni: • Alterata glicemia a digiuno (IFG, glicemia a digiuno tra 100 – 125 mg/dL) • Ridotta tolleranza glucidica (IGT, glicemia tra 140 – 199 mg/dL 2 ore dopo un OGTT) • Diabete mellito tipo 2 • Insulino-resistenza (dopo clamp euglicemico iperinsulinemico) Per fare diagnosi di MetS, oltre alla disglicemia dovevano essere presenti almeno altre due alterazioni (dislipidemia, ipertensione arteriosa, obesità centrale o microalbuminuria)24.

L’hanno seguente, il gruppo EGIR (the European Group for the study of Insulin

Resistance) suggerì di non includere il T2DM nella diagnosi, in quanto già malattia a se

stante, di escludere la microalbuminuria dai criteri diagnostici perché difficilmente standardizzabile e di valutare l’IR con metodi più semplici quali l’insulinemia a digiuno. Anche nella definizione EGIR il ruolo centrale nello sviluppo della MetS viene dato all’IR, che deve essere associata ad almeno altri due criteri aggiuntivi (dislipidemia, ipertensione arteriosa e obesità centrale, quest’ultima definita non più dal rapporto vita/fianchi o dal BMI ma dalla circonferenza vita)25.

Nel 2001 il gruppo NCEP-ATPIII (the National Cholesterol Education Programm – Third

Adult Tratment Panel) ha ulteriormente semplificato i criteri diagnostici per una più

facile valutazione nella pratica clinica26. Per la diagnosi MetS sono necessari almeno 3

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• Obesità centrale (circonferenza vita >102 cm nei maschi, >88 cm nelle femmine)

• Pressione arteriosa > 130/85 mmHg • Trigliceridi >150 mg/dL

• Ridotti livelli HDL (< 40 mg/dL nei maschi e <50 mg/dL nelle femmine) • Glicemia a digiuno > 110 mg/dL

Nel 2003, i criteri diagnostici sono stati rivisti e aggiornati dall’AACE (American

Association of Clinical Endocrinology), ponendo l’attenzione sul ruolo centrale dell’IR

nello sviluppo della sindrome27.

Nel 2005, l’IDF (International Diabetes Federation) pone l’obesità al centro della MetS e definisce che per far diagnosi della sindrome sono necessari almeno altre due alterazioni (glicemia a digiuno >100 mg/dL, riduzione dei livelli di HDL, elevati livelli di TG e/o ipertensione arteriosa)28.

Nel 2009 i criteri della IDF sono stati aggiornati e armonizzati con le raccomandazioni di AHA/NHLBI (American Heart Association/National Heart, Lung, and Blood Institute). Il cambiamento principale è stata l’introduzione della selezione di 3 su 4 criteri, escludendo la necessità dell’obesità centrale nella diagnosi di MetS29 (figura 3).

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25 Figura 3: criteri diagnostici per la diagnosi clinica di MetS24-29.

2.2 FISIOPATOLOGIA

La MetS è uno stato d’infiammazione cronica a basso grado determinata da una complessa interazione tra fattori genetici ed ambientali, ma ancora oggi molti aspetti restano da chiarire. Ad ogni modo, gli aspetti centrali della sindrome metabolica sono l’obesità viscerale, l’IR, la dislipidemia aterogena e la disfunzione endoteliale; in particolare i primi due fattori sembrano avere un ruolo chiave nella fisiopatologia della MetS e ad essi si aggiungono la dislipidemia aterogena (bassi livelli di HDL o elevati livelli di TG) e la disfunzione endoteliale (responsabile del successivo sviluppo di ipertensione arteriosa) come conseguenza dell’IR e della liberazione di FFAs e adipochine da parte del tessuto adiposo viscerale (figura 4).

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26

Negli ultimi anni sono emerse sempre più evidenze che indicano che l’iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) possa giocare un ruolo importante nella fisiopatologia dell’obesità centrale e dell’IR. Circa l’80% dei pazienti con sindrome di Cushing sviluppa intolleranza glucidica e IR. L’ipercortisolismo, oltre che nei pazienti con sindrome di Cushing, si può ritrovare anche in situazioni di stress cronico e va a provocare direttamente l’IR nei tessuti bersaglio periferici a seconda dei livelli di glucocorticoidi. Queste alterazioni ormonali portano ad iperinsulinemia cosi come l’obesità addominale determina dislipidemia, ipertensione e T2DM. Le concentrazioni sieriche di cortisolo sono fortemente associate con la circonferenza addominale, il rapporto vita/fianchi, i TG, il colesterolo totale e i livelli di leptina nelle donne con MetS, mentre questa associazione non è stata riscontrata negli uomini con MetS, ipotizzando quindi che la leptina abbia più influenza sull’asse HPA femminile che maschile30.

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27 Figura 4: rapporto tra i componenti della MetS e le complicanze cardiovascolari 2.2.1 OBESITA’ VISCERALE L’obesità viscerale è considerata il primo passo verso lo sviluppo di future alterazioni associate alla sindrome, compresa l’IR. VAT è una fonte di svariati fattori proaterogene, come le adipocitochine (ad es. leptina, resistina), citochine infiammatorie (ad es. tumor

necrosis factor alfa, TNFα, interleukin-6, IL-6), fattori protrombotici (ad es. plasminogen activator inhibitor-1, PAI-1) e fattori vasocostrittori (ad es. angiotensina

II). Il tessuto adiposo produce anche diverse sostanze protettive ad azione anti-infiammatoria o insulino-sensibilizzante, quali ad esempio l’adiponectina, l’apelina e diverse citochine (IL-10, IL-4, IL-13, IL-1 receptor antagonist IL-1Ra)31. Anche l’incremento dei livelli di FFAs, determinato dalla lipolisi del tessuto adiposo in eccesso, è considerato una causa importante di IR e aterosclerosi.

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28

2.2.2 INSULINO-RESISTENZA

L’infiammazione cronica associata all’obesità viscerale induce una condizione di IR. In risposta all’iperglicemia, le cellule β pancreatiche producono l’insulina, che determina l’uptake di glucosio attraverso il trasportatore di membrana GLUT4 nel muscolo scheletrico e nel tessuto adiposo, stimola la glicogenosintesi a partire dal glucosio e inibisce la glicogenolisi nel muscolo e nel fegato e diminuisce la gluconeogenesi epatica. Si riduce così la glicemia e aumenta la conversione del glucosio in molecole di accumulo (glicogeno o grassi). In presenza di IR organi bersaglio non rispondono in modo appropriato alla stimolazione insulinica, determinando iperglicemia. L’IR è il principale fattore predittivo di sviluppo di T2DM e l’iperinsulinemia è il principale marker di IR.

Il recettore dell’insulina è formato da quattro catene polipeptidiche, due α e due β, che formano tra loro ponti disolfuro (SH). La catena α è extracellulare, mentre la catena β è intracellulare e possiede attività tirosinchinasica. Il legame dell’insulina con il recettore stimola l’attività chinasica della catena β, dando luogo all’autofosforilazione della catena. Una catena β fosforila l’altra su un residuo di tirosina, determinando una cascata di reazioni intracellulari. Si può determinare la stimolazione dell’associazione intermolecolare di molecole di segnale, come Shc (SH2-

containing sequence, trascritto del gene Shc) e Grb (growth factor receptor binding protein) che sono membri della famiglia delle proteine substrato per l’insulina IRS-1,

IRS-2, IRS-3, IRS-4 (insulin receptor substrate, IRS). Di conseguenza si avrà sia la stimolazione dei membri della famiglia delle proteine di regolazione del segnale, come GAB-1,Cbl, e CAP, sia l’attivazione della mitogenesi e stimolazione dell’internalizzazione del recettore32.

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Le IRS fungono da proteine di ancoraggio attivate dall’insulina e presentano molti domini funzionali capaci di attivare altre proteine. La mancanza di IRS-1 nei topi causa ritardo nella crescita e resistenza all’insulina di grado medio, mentre quella di IRS-2 determina insufficienza delle cellule β e resistenza secondaria all’insulina.

Le IRS attivano la fosfatidilinositolo-3-chinasi (PI3K), necessaria per l’attivazione del trasportatore del glucosio GLUT4, presente nei tessuti sensibili all’insulina. L’inibizione della PI3-chinasi impedisce l’assorbimento del glucosio, la sintesi di glicogeno, il deposito dei trigliceridi, la sintesi proteica e la modulazione dell’espressione genica. La PI3K attraverso la fosfadiilinositolo-3,4,5-trifosfato attiva altre chinasi, tra le quali Akt, la chinasi indotta da glicocorticoidi e la proteinchinasi C. L’Akt (anche definita proteinchinasi B) presenta tre isoforme, che sono attivate dalla fosforilazione di residui di serina-treonina. Esse sono capaci di fosforilare e attivare proteine che regolano la sintesi di lipidi, del glicogeno, delle proteine, e l’apoptosi. La mancanza di Akt nei topi causa IR e diabete. Nelle cellule endoteliali, Akt fosforila e attiva endothelial nitric oxide syntase (eNOS).

La traslocazione del trasportatore del glucosio GLUT4, a livello delle membrane delle cellule sensibili, è uno degli effetti dell’insulina. Il meccanismo resta ancora non completamente chiarito. Nei soggetti resistenti all’insulina, comunque, non varia il numero dei trasportatori anche se l’insulina non è capace di influenzare la traslocazione del recettore. In definitiva l’insulina, legandosi al proprio recettore, attiva due pathways molecolari intracellulari distinti. Il primo coinvolge le IRS-1 e IRS-2, determinando l’attivazione della PI3-chinasi (IRS/PI3K patway) fondamentale per l’espressione degli effetti metabolici e mitogeni dell’insulina; il secondo prevede la fosforilazione di Shc e l’attivazione di Ras, Raf, MEK, e MAP chinasi (mitogen-activated

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protein, MAPK) Erk 1 e 2. Al contrario della precedente, questa via è coinvolta unicamente negli effetti mitogeni dell’insulina e non media nessun effetto metabolico della stessa33.

Figura 5: L’attivazione del recettore insulinico determina un’aumento della trascrizione di SREBP e la forforilazione dei membri della famiglia di IRS, SHC, Cbl. In seguito alla forforilazione dei residui tirosinici queste proteine interagiscono con molecole trasduttrici del segnale attraverso il loro dominio SH2. Ne deriva l’attivazione di diversi vie del segnale come il signaling di PI3K, l’attivazione di MAPK e l’attivazione del complesso Cbl/CAP. questi pathways agiscono in modo coordinato al fine di regolare il metabolismo glucidico, lipidico e proteico. 2.2.3 DISLIPIDEMIA ATEROGENA Si parla di dislipidemia aterogena quando siamo di fronte ad elevati livelli di LDL, di TG (>150 mg/dL) e bassi livelli di HDL (<40 mg/dL nei maschi e <50mg/dL nelle femmine). L’IR determina un aumento della lipolisi negli adipociti con conseguente aumento dei FFAs, che nel fegato vengono utilizzati per la produzione di TG e di apoB, la principale

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lipoproteina delle VLDL, le cui concentrazioni quindi aumentano.

Nella MetS, il principale aterogeno sembra essere associato alle alterazioni qualitative e quantitative delle LDL e ai bassi livelli di HDL, che rappresentano un importante fattore di rischio cardiovascolare34.

2.2.4 LA DISFUNZIONE ENDOTELIALE

In presenza di obesità, il tessuto adiposo secerne in maniera anomala molecole che influenzano il tono vascolare, l’omeostasi endoteliale e la contrattilità cardiaca, determinando così la disfunzione endoteliale, che aggrava l’IR e l’infiammazione cronica del tessuto adiposo e aumenta il rischio di sviluppo di ipertensione arteriosa e aterosclerosi35.

Nella MetS, oltre all’ipertrofia degli adipociti nel tessuto adiposo, si verifica una condizione di infiammazione cronica che porta alla secrezione, da parte dei macrofagi, di numerosi fattori vasocostrittori (come superossidi e fattori componenti del sistema renina-angiotensina-aldosterone) e di citochine pro-infiammatorie (come TNF-α e IL-6), con conseguente attivazione endoteliale, flogosi vascolare e formazione neointimale. Il quadro risulta aggravato dall’azione indiretta di alcune adipochine che attivano il sistema simpatico a livello cerebrale e alterano la sensibilità insulina a livello vascolare. In presenza di IR assistiamo ad un’alterazione del signaling della PI3K, che regola la secrezione di ossido nitrico (NO), con conservazione della funzionalità della via delle MAPK, che regola invece la secrezione di endotelina-1 (ET-1), che determinano una ridotta produzione NO e un aumento della proliferazione cellulare e dell’espressione di molecole di adesione36 (figura 6).

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Figura 6: Alterazioni specifiche delle vie di trasduzione del segnale dell’insulina connesse con la disfunzione endoteliale. La via di PI3K insulino-dipendendente regola la produzione di NO e, quindi, la vasodilatazione. Invece la via di MAPK controlla la secrezione ET-1 e l’espressione di molecole di adesione nell’endotelio vascolare. La glucotossicità, la lipotossicità e varie citochine modulano l’azione di molecole che inibiscono il segnale di PI3K/Akt.

2.3 SINDROME METABOLICA E MENOPAUSA

Gli studi epidemiologici indicano un’alta prevalenza di MetS sia negli Stati Uniti che in Europa. Circa il 20-25% della popolazione adulta soddisfa i criteri diagnostici della MetS. In linea generale, la prevalenza è più alta nei maschi adulti che nelle donne in premenopausa1, ma dopo la menopausa la prevalenza di MetS aumenta e diventa più

alta nelle donne che negli uomini di pari età2. Secondo il Korean National Health and

Nutrition Examination Survey (KNHANES), la prevalenza di MetS è significativamente

maggiore nelle donne piuttosto che negli uomini sopra i 50 anni di età37. Lo studio del

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MetS aumenti progressivamente da 6 anni prima a 6 anni dopo l’ultimo ciclo mestrulae, indipendentemente dall’invecchiamento e da fattori rischio cardiovascolare noti38. Lo studio polacco WOBASZ (the Polish National Multicentre Health Survey) ha dimostrato che la prevalenza di MetS era 3.3 volte più alta tra le donne in postmenopausa che nelle donne in premenopausa39.

Inoltre è stato osservato che dall’inizio della menopausa aumenta anche la prevalenza dei singoli componenti della MetS. Le donne in menopausa da meno di 5 anni hanno un aumentato rischio di obesità addominale e iperglicemia, le donne in menopausa da 5-9 anni hanno un aumentato rischio di ipertensione arteriosa mentre le donne in menopausa da 10-14 anni hanno un aumentato rischio di ipertrigliceridemia40.

3

BIOMARKERS DELLA SINDROME METABOLICA

La diagnosi di MetS è basata sulla presenza di parametri clinici e di laboratorio, tra cui obesità addominale, ipertensione arteriosa, iperglicemia e dislipidemia. Ciò nonostante questi elementi sono solo sintomi e non la causa della sindrome. La valutazione dell’aumentato rischio di MetS nella popolazione generale e la diagnosi precoce nei gruppi ad alto rischio sono difficili e richiedono la ricerca di nuovi elementi e di biomarker specifici di patologie metaboliche correlate all’obesità. Studi recenti hanno concentrato l’attenzione sul ruolo del tessuto adiposo, di fattori proinfiammatori e dello stress ossidativo nella patogenesi dell’IR e delle complicanze cardiovascolari come potenziali fattori di rischio della MetS.

Il tessuto adiposo è composto da masse cellulari diffuse con localizzazione sottocutanea e viscerale, fornite di capsula connettivale, vascolarizzazione e innervazione proprie. Oltre agli adipociti, il tessuto adiposo è composto anche da una

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matrice connettivale, da tessuto nervoso, cellule stromali, cellule vascolari e del sistema infiammatorio, costituendo così un vero e proprio organo integrato. Le principali funzioni del tessuto adiposo includono l’accumulo di TG in presenza di calorie in eccesso e il rilascio degli stessi in condizioni di digiuno, la termoregolazione e la protezione meccanica degli organi interni41. Il tessuto adiposo è stato riconosciuto

anche come organo endocrino: adipociti, cellule del sistema immunitario, cellule endoteliali e fibroblasti rilasciano metaboliti, lipidi e peptidi bioattivi, chiamati “adipochine”, con azione locale (autocrina/paracrina) sul tessuto adiposo stesso, ma anche sistemica su diversi organi e tessuti bersaglio, tra cui ipotalamo, pancreas, fegato, muscolo scheletrico, rene, endotelio e sistema immunitario42 (figura 7).

Figura 7: fattori rilasciati o secreti dal tessuto adiposo.

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Queste molecole hanno diverse funzioni, tra cui il controllo dell’omeostasi energetica, nella regolazione del metabolismo lipidico e glucidico, nel controllo dello stress ossidativo, nel mantenimento dell’integrità della struttura e funzione della parete vascolare e posseggono importanti effetti pro- e anti-infiammatori43,44. Con l’aumento del peso corporeo, il tessuto adiposo modifica le sue dimensioni, la sua distribuzione, la composizione cellulare e le sue funzioni. Gli adipociti vanno incontro ad ipertrofia e questo determina una riduzione della sensibilità all’insulina, un’alterata secrezione di adipochine e un maggior rilascio di fattori proinfiammatori41,45. L’alterata secrezione di adipochine non riflette soltanto una disfunzione del tessuto adiposo, ma contribuisce anche allo sviluppo di patologie cardiovascolari, metaboliche e infiammatorie46.

3.1 ADIPOCHINE E METABOLISMO

Il tessuto adiposo è in grado di sintetizzare numerose sostanze biologicamente attive, tra cui un tipo di citochine chiamate adipochine, che hanno numerose funzioni: alcune agiscono come fattori proinfiammatori che alterano il metabolismo glucidico e lipidico portando a IR e aterogenesi, altre invece hanno proprietà anti-infiammatorie e insulino- sensibilizzanti. Negli ultimi anni, la ricerca scientifica è stata concentrata sulla ricerca di nuove sostanze secrete dagli adipociti e che potrebbero diventare potenziali biomarkers precoci di disordini cardiometabolici. Nelle donne in menopausa, l’alterata attività ormonale e la distribuzione del grasso corporeo determinano un’alterata secrezione delle adipochine, aumentando il rischio di MetS.

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L’Adiponectina è una proteina prodotta principalmente dagli adipociti ma anche dalle cellule muscolari, endoteliali e cardiache47. Ha proprietà infiammatorie,

anti-aterogeniche e insulino- sensibilizzanti. Le sue concentrazioni plasmatiche aumentano con la perdita di peso e con l’uso di farmaci insulino-sensibilizzanti, quindi è inversamente correlata all’IR, all’obesità e al rischio di T2DM, MetS e patologie cardiovascolari. L’adiponectina sopprime l’adesione dei monociti sull’endotelio vascolare, promuove l’angiogenesi e stimola la vasodilatazione mediante la sintesi di ossido nitrico (NO). Nelle donne sane, i livelli di adiponectina aumentano con l’età, ma sono inferiori nelle donne obese e in quelle con MetS di pari età48,49.

L’Adipsina è una proteasi prodotta da adipociti, monociti e macrofagi che presenta le stesse attività del fattore D del complemento, attivando la via alternativa del complemento50. Le concentrazioni di adipsina sono aumentate negli individui obesi e nelle donne in menopausa con MetS49,51.

La Leptina è una proteina sintetizzata principalmente dal tessuto adiposo bianco che ha un ruolo cruciale nell’omeostasi energetica e nella regolazione del senso di fame-sazietà attraverso un’azione a livello ipotalamico che inibisce la secrezione del neuropeptide Y, che invece stimola l’appetito52. La leptina partecipa alla regolazione del metabolismo glucidico influenzando la secrezione insulinica e la sua sensibilità a livello periferico. Inoltre presenta attività anti-infiammatoria interferendo con la produzione di citochine, l’attivazione dei monociti-macrofagi e la proliferazione di diversi progenitori delle cellule del sistema immunitario ed emopoietico53. Le

concentrazioni ematiche di leptina sono direttamente proporzionali all’entità della massa adiposa, con valori elevati nei soggetti obesi nonostante le proprietà

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37

anoressizzanti di questa citochina, ipotizzando una condizione di leptino-resistenza nell’obesità54,55. Elevati livelli di leptina nella popolazione generale si associano a

sviluppo di IR e infiammazione vascolare, che porterebbero ad un aumento rischio di sviluppo di aterosclerosi, ipertensione e MetS56. I livelli di leptina risultano aumentati

nelle donne in postmenopausa rispetto alle donne in età fertile e sembrano essere superiori nelle donne in postmenopausa con MetS rispetto alle donne in premenopausa con MetS49,57,58.

La Resistina è un peptide espresso dagli adipociti, dai monociti e dai macrofagi. Alti livelli di resistina appaiono associati all’obesità, alla dislipidemia e all’IR e correlano con markers di flogosi, MetS e patologia cardiovascolare59. Alti livelli di resistina sono stati

riscontrati nelle donne in postmenopausa con MetS49,60.

La Visfatina è una proteina prodotta principalmente dal tessuto adiposo. Le sue concentrazioni sono correlate con il grasso viscerale e aumentano nell’obesità. La visfatina è stata descritta inizialmente come adipochina con proprietà anti-diabetiche grazie all’attivazione di IRS-1 e alla fosforilazione di IRS-2 e all’aumento dell’espressione genica dell’adiponectina; ma diversi studi evidenziano le sue proprietà pro-infiammatorie attivando i leucociti e la secrezione di IL-6 e TNF-α61. Gli effetti cardiovascolari della visfatina appaiono controversi, ma probabilmente contribuisce più al loro sviluppo che alla loro prevenzione. Nelle donne in menopausa con e senza MetS sembrano non esserci differenze statisticamente significative nei livelli di visfatina49.

La Vaspina è un’adipochina membro della famiglia degli inibitori delle serin-proteasi e viene espressa dagli adipociti maturi. Svolge un’azione insulino-sensibilizzante e le sue

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concentrazioni sono basse nei soggetti sani e magri, sono maggiori nel sesso femminile rispetto a quello maschile (gli androgeni tendono a ridurne i livelli, contrariamente agli estrogeni) mentre tendono and aumentare con l’età, con l’obesità, con l’alterata sensibilità insulinica e con l’alterato metabolismo glucidico62. Non è ancora chiaro se gli

alti livelli di vaspina siano la causa di patoologie cardiometaboliche o se in realtà esercitino un effetto protettivo in queste condizioni. In una recente meta-analisi è stato dimostrato come i livelli di vaspina siano elevati nei soggetti obesi e con T2DM, enfatizzando il ruolo di questa adipochina nella progressione di patologie cardiometaboliche63. La somministrazione di vaspina ricombinante a ratti obesi

migliorava la sensibilità insulinica e la tolleranza glucidica62,64; inoltre, la

somministrazione sia periferica che intracerebroventricolare in diversi tipi di ratti abbassava i livelli glicemici e riduceva l’introito di cibo. Questi effetti probabilmente sono mediati dall’inibizione della kallikreina 7, enzima responsabile in vitro della degradazione dell’insulina nelle catene A e B65.

L’Omentina-1 è un’adipochina che viene espressa prevalentemente dalle cellule vascolari dello stroma del tessuto adiposo viscerale e che stimola l’uptake glucidico indotto dall’insulina agendo sul segnale intracellulare mediato da Akt, regolando il metabolismo glucidico66. La disregolazione della sua secrezione pare giocare un ruolo

importante nello sviluppo di IR, disfunzione endoteliale e patologie cardiovascolari. L’omentina-1 svolge un importante ruolo anti-infiammatorio negli stati pro-infiammatori, riducendo l’attivazione della proteina C reattiva (PCR) e del fattore di necrosi tumorale α (TNF-α) a livello endoteliale67. Le concentrazioni di omentina-1 sono ridotte nei pazienti con obesità, diabete e sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), con aumento del rischio cardiovascolare e contribuendo alla patogenesi della

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39

MetS68,69.

La Grelina è un ormone peptidico di origine intestinale che svolge numerose funzioni di natura ormonale, metabolica e cardiovascolare. In particolare, stimola l’intake di cibo, l’adipogenesi e regola il metabolismo insulinico e glucidico: la grelina acetilata riduce la sensibilità insulinica, contrariamente alla grelina non acetilata. Ad ogni modo, la grelina sembra avere effetti diabetogenici. I pazienti obesi, ed in particolare quelli con obesità viscerale, presentano livelli più bassi di grelina, così come i pazienti diabetici. La grelina sembra coinvolta anche nella patogenesi della MetS: basse concentrazioni di grelina sono associate, oltre all’obesità, all’ipertensione, all’IR, all’aumento della circonferenza addominale e allo sviluppo di aterosclerosi carotidea70.

Il Polipeptide Inibitorio Gastrico (GIP) è un ormone insulinotropico, secreto dalle cellule enteroendocrine K del duodeno in risposta all’assorbimento di cibo e nutrienti, modulando la secrezione insulinica in risposta ai livelli glicemici71,72. Inoltre, il GIP ha un

ruolo anabolizzante in quanto stimola stimola la sintesi di grasso negli adipociti e l’utilizzo di glucosio nel muscolo73,74. GIP aumenta il trasporto glucidico in questi tessuti e stimola l’attività della lipoprotein lipasi e la conversione di FFAs in TG in presenza di insulina nelle cellule adipose73,75. Nel T2DM vengono meno gli effetti insulinotropici del GIP, la cui secrezione non è ridotta, anzi, i suoi livelli postprandiali risultano aumentati, promuovendo l’adipogenesi76–78. Nelle donne obese non diabetiche in postmenopausa assistiamo ad un decremento dell’espressione genica del recettore del GIP (GIPR) nel tessuto adiposo sottocutaneo dovuto probabilmente all’ipersinulinemia basale79.

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40 La famiglia dei Fattori di Crescita dei Fibroblasti (FGF) è composta da 22 membri con un’ampia gamma di funzioni biologiche, tra cui la crescita cellulare, l’angiogenesi e la guarigione delle ferite80,81 . Recentemente è stato osservato che i fattori FGF-21 e FGF-23 hanno proprietà endocrine e sono coinvolti nella regolazione metabolica82,83.

FGF-21 è prodotto principalmente dal fegato, al tessuto adiposo e muscolare e presenta proprietà antidiabetiche, stimolando l’uptake glucidico attraverso l’aumentata espressione di GLUT1 indipendentemente dall’insulina. Topi transgenici con iperespressione di FGF-21 risultavano essere resistenti all’obesità e alle alterazioni metaboliche indotte dalla dieta, con riduzione dei livelli plasmatici di glucosio e TG83.

Effetti simili sono stati ottenuti anche su scimmie rhesus diabetiche trattate per 6 settimane con FGF-21 ricombinante84. In uno studio su umani, pazienti diabetici e obesi trattati per 28 giorni con FGF-21 ricombinante mostravano miglioramento del peso corporeo dell’insulina basale e della dislipidemia, portando a un miglioramento del profilo aterogenico85.

FGF-23 è secreto principalmente dall’osso e agisce a livello renale inibendo la fosforilazione, il riassorbimento e la sintesi di vitamina D86-88. Studi su topi hanno mostrato che una carenza di FGF-23 determina ipoglicemia e aumento della sensibilità insulinica89. Inoltre è stata riscontrata un’associazione tra i livelli di FGF-23, la dislipidemia e la massa grassa con alti livelli di questo fattore nei soggetti con MetS90.

La Paraoxonasi-1 (PON1) è una glicoproteina calcio-dipendente, che circola nelle HDL, in grado di prevenire la perossidazione delle LDL e di contrastare così il processo ateromasico. Deve il suo nome alla capacità di neutralizzare e idrolizzare il paraoxon (principale costituente del pesticida paration) e altri composti organofosforici. Agisce anche da lattonasi idrolizzando i lattoni, previene l’ossidazione delle lipoproteine,

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41 protegge le membrane cellulari dallo stress ossidativo, inibisce la sintesi di colesterolo e regola il metabolismo lipidico nel tessuto adiposo. L’attività di questo enzima, quindi, riduce il rischio cardiovascolare, l’ipercolesterolemia e il diabete91–96. Numerosi studi hanno dimostrato bassi livelli di PON1 e una ridotta attività perossidasica nei pazienti con MetS, contribuendo così allo stress ossidativo e all’alterazione del metabolismo lipoproteico che si osservano in questa sindrome97–101.

3.2 CITOCHINE PROINFIAMMATORIE

I precisi eventi fisiopatologici alla base della componente infiammatoria presente nell’obesità rimangono ancora non del tutto chiariti. Le richieste metaboliche degli adipociti ipertrofici superano l’apporto locale di ossigeno portando ad ipossia cellulare con attivazione di meccanismi cellulari di stress, con conseguente infiammazione

cellulare rilascio di citochine e di segnali proinfiammatori102. Le chemochine secrete

localmente richiamerebbero macrofagi nel tessuto adiposo dove essi formerebbero dei complessi intorno ai grossi adipociti morti o morenti e rilascerebbero quindi citochine in grado di estendere e amplificare il processo infiammatorio anche agli adipociti vicini, esacerbando la flogosi del tessuto stesso103,104.

La flogosi altera l’attività insulinica attraverso le vie di trasduzione del segnale del complesso chinasi/fattore nucleare kB (IKK-β/NF-kB) e la protein chinasi 1 c-Jun N-terminale (JNK1), che portano a fosforilazione del recettore insulinico (IRS-1) con inibizione della trasduzione del segnale. La disfunzione del recettore insulinico e l’incapacità di metabolizzare il glucosio nonostante normali livelli insulinici conducono verso una progressiva iperglicemia105.

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L’infiammazione gioca un ruolo importante in tutti gli stadi dell’aterogenesi. Il processo inizia da un danno endoteliale dovuto a molteplici cause (ipertensione, fumo, dislipidemia, infezioni batteriche e/o virali) che determina una risposta infiammatoria. Leucociti, macrofagi e citochine proinfiammatorie sono coinvolti nella formazione di strie lipidiche, nella proliferazione dei miociti, nel rimodellamento della parete vascolare e quindi nella formazione della placca aterosclerotica106.

L’interleuchina 6 (IL-6) è rilasciata sia dal tessuto adiposo viscerale sia dai muscoli

scheletrici. Stimolando la sintesi di prostaglandine E2 (PGE2), rappresenta un

importante mediatore della febbre. Agisce a livello cerebrale, in particolare nell’ipotalamo, controllando l’appetito riducendo l’intake calorico e aumentando la spesa energetica107. IL-6 ha anche un ruolo anti-infiammatorio durante la contrazione

muscolare inibendo citochine infiammatorie come il TNF-α e l’IL-1 e attivando citochine anti-infiammatorie come l’IL-10 e l’antagonista del recettore dell’IL-1108. IL-6 è iperespressa nel tessuto adiposo in condizioni di obesità e IR e tende a ridursi con la perdita di peso109,110. Inoltre le concentrazioni plasmatiche di IL-6 predicono lo sviluppo di T2DM e di patologie cardiovascolari111. IL-6 è il principale determinante della risposta infiammatoria di fase acuta stimolando la produzione epatica di proteina C reattiva (PCR), una pentraxina che si lega alla membrana plasmatica di cellule danneggiate causandone la morte attraverso l’attivazione della cascata del complemento112. La PCR è uno dei principali marker di rischio metabolico essendo

collegata ad eventi cardiovascolari, all’aterosclerosi e alla progressione del T2DM113

. IL-6 è un importante fattore di rischio cardiovascolare nelle donne in menopausa e numerosi studi mostrano un aumento dei suoi livelli circolanti in pazienti con MetS114 – 116. Esiste una stretta correlazione tra l’obesità centrale e i livelli sierici di IL-6 dovuti

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probabilmente ad un’aumentata produzione di questa citochina da parte degli adipociti e dei macrofagi nel tessuto adiposo, con effetti negativi sull’espressione genica, i TG, l’attività della lipoprotein lipasi e la sensibilità insulinica, contribuendo così allo sviluppo di MetS117.

Il fattore di necrosi tumorale α (TNF-α) è una citochina proinfiammatoria prodotta da monociti e dai macrofagi anche a livello del grasso viscerale e ha un ruolo chiave nella flogosi e nelle patologie autoimmuni118. Diversi studi mostrano come il TNF-α

determina IR inibendo sia il recettore insulinico sia il suo substrato IRS-1119. Con azione

paracrina, il TNF-α determina un aumento dei livelli circolanti di FFA tramite lipolisi e lipogenesi epatica, inducendo dislipidemia e aterosclerosi120. Alcuni studi mostrano

che i livelli di TNF-α sono positivamente associati con l’obesità e si riducono con la perdita di peso28,121, mentre altri studi non mostrano differenze di concentrazione della citochina tra gruppo di donne obese, magre, con e senza MetS in postmenopausa114–116. Queste discrepanze possono essere in parte spiegate dalla diversità dei criteri diagnostici di MetS usati nei vari studi. Ad ogni modo, sia IL-6 che TNF-α correlano positivamente con alcuni criteri della MetS, in particolare i livelli di IL-6 correlano positivamente con la circonferenza addominale mentre i livelli di TNF-α sono associati positivamente con i livelli di pressione arteriosa.

La Galectina-3 (Gal-3) è una lectina che si lega alla β-galattosidasi. Si localizza sia a livello intra che extra-cellulare ed esplica numerose funzioni tra cui l’interazione cellulare, l’infiammazione, la differenziazione cellulare e l’apoptosi, giocando quindi un ruolo importante nell’adipogenesi e nell’aterosclerosi122. Gal-3 possiede sia attività

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localizzazione cellulare e delle condizioni fisiopatologiche. Gal-3 sembra avere un ruolo protettivo nell’iperglicemia: nei pazienti con T2DM troviamo elevati livelli di questa lectina che correlano positivamente con il BMI e negativamente con l’emoglobina glicata (HbA1c), nei ratti obesi e diabetici invece sembra proteggere le cellule β pancreatiche dagli effetti citotossici cell’IL-1β123,124. In uno studio su 2946 pazienti,

invece, Gal-3 era associata con l’obesità addominale, la dislipidemia e l’ipertensione, ma non era predittivo di diabete e MetS dopo aggiustamento per fattori di rischio cardiometabolici125. In un recente studio in vivo, la somministrazione di Gal-3

determinava IR e intolleranza glucidica, mentre la sua inibizione (farmacologica o genetica) migliorava la sensibilità insulinica nei soggetti obesi; in vitro, Gal-3 aumentava la chemiotassi dei macrofagi, riduceva l’uptake del glucosio nei miociti e negli adipociti e alterava la soppressione dell’output del glucosio mediato dall’insulina a livello epatocitario; inoltre, è stato riscontrato che Gal-3 lega direttamente il recettore insulinico inibendone la cascata del segnale intracellulare126.

La Pentraxina-3 (PTX3) è una proteina di fase acuta prodotta da vari tipi di cellule (adipociti, monociti, neutrofili, macrofagi, cellule muscolari lisce, fibroblasti, cellule endoteliali) in risposta a stimoli proinfiammatori127. PTX3 presenta attività anti-infiammatoria, riducendo la produzione di citochine pro-infiammatorie, in particolare l’IL-β e il TNF-α128,129. Nonostante l’alta espressione di PTX3 mRNA nel tessuto adiposo,

i livelli dii questa proteina sono ridotti nell’obesità129–131. Nei pazienti con MetS, i livelli

di PTX3 appaiono alti e tendono ad aumentare con l’incremento della severità della sindrome132. Il ruolo della PTX-3 nella patogenesi dell’obesità, della MetS, del T2DM e dell’aterosclerosi restano ancora da chiarire.

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