• Non ci sono risultati.

"Correlazione fra parametri antropometrici, profilo epatico e stile di vita in una serie consecutiva di pazienti affetti da epatopatia"

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi ""Correlazione fra parametri antropometrici, profilo epatico e stile di vita in una serie consecutiva di pazienti affetti da epatopatia""

Copied!
82
0
0

Testo completo

(1)

1

Sommario:

Sommario: ... 3

1 Il fegato come centrale energetica-metabolica del nostro organismo ... 6

1.1.1 Funzioni ...10

2 Epatopatie, cenni generali ...11

2.1 NAFLD (Non Alcolic Fatty Liver Disease; Steatosi Epatica): definizione ... 11

2.2 Epidemiologia... 12 2.3 Diagnosi ... 14 2.3.1 Esami Emato-Chimici ...15 2.3.2 Ecografia addominale ...16 2.3.3 Tomografia computerizzata ...16 2.3.4 Biopsia epatica ...16

2.3.5 Risonanza magnetica a spettroscopia ...18

2.3.6 FIBROSCAN ® CAP ...18

2.3.7 FLI: Fatty Liver Index ...22

2.4 Caratteristiche anatomo-istologiche NAFLD ... 23

2.5 Storia Naturale della NAFLD ... 24

2.5.1 Storia naturale della NAFLD: rischio cardio-vascolare ...25

2.6 Patogenesi della NAFLD ... 26

2.6.1 L’insulino resistenza come fattore scatenante del primo “hit” ...28

2.6.2 Il secondo “hit”: infiammazione e ruolo del tessuto adiposo ...30

2.6.3 Obesità: definizione e classificazione...31

2.7 NAFLD e Sindrome Metabolica ... 35

2.8 NAFLD e Microbiota ... 39

2.8.1 Ruolo del microbiota intestinale nella NAFLD ...39

2.8.2 Effetti della modulazione del microbiota intestinale sulla NAFLD ...42

2.9 NAFLD e Genetica ... 43

3 “Correlazione tra parametri antropometrici, profilo epatico e stile di vita in una serie consecutiva di pazienti affetti da epatopatia” ...44

3.1 Obiettivi dello studio ... 44

(2)

2

3.2.1 Analisi Statistica ...46

3.3 Risultati ... 47

3.3.1 Descrittive delle variabili: caratteristiche antropometriche, eziologia dell’epatopatia, presenza di altre patologie associate ed esami ematochimici ...47

3.3.2 Abitudini Alimentari ...51

3.3.3 Entità del consumo dei cibi ...53

3.3.4 Sintomatologia gastro-intestinale ...54

3.3.5 Bevande Alcoliche ...55

3.3.6 Attività fisica e stile di vita ...59

3.3.7 Steatosi ...60

3.3.8 Fibroscan ...64

3.4 Discussione ... 71

Bibliografia: ...75

(3)

3

Sommario:

Introduzione. La Steatosi epatica è una patologia del fegato, caratterizzata da un accumulo di lipidi sotto forma di trigliceridi all’interno, in oltre il 5% delle cellule epatiche. La Steatosi è associata principalmente alla tossicità epatica da alcol e alla sindrome metabolica (sovrappeso/obesità in combinazione con insulino resistenza e/o dislipidemia e/o ipertensione arteriosa), ma può conseguire anche a danno iatrogeno, malnutrizione e difetti genetici. L’accumulo di grasso non è causa diretta di malattia evolutiva di fegato, ma lo diventa quando si associa a infiammazione (steato-epatite); è comunque un cofattore di peggioramento delle malattie di fegato da altra causa (Es, epatiti croniche virali). La Steatosi è influenzata dallo stile di vita, alimentazione e attività fisica. La Steatosi epatica, infine, sopratutto quando associata ad un quadro dismetabolico, è indice di un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, metaboliche, neurodegenerative e neoplastiche.

Scopo dello studio. Sono state analizzate le interazioni tra presenza ed entità della Steatosi, stadio della malattia epatica, caratteristiche antropometriche e stile di vita (alimentare ed attività fisica) in pazienti con epatopatie da diverse cause.

Pazienti e Metodi. Si è trattato di uno studio di coorte osservazionale cross-sezionale su 131 pazienti (77 maschi e 54 femmine, età media 57 anni, compresa tra 16 e 79 anni) con diversi profili emato-chimici e clinico-patologici di malattia di fegato (epatiti croniche virali di tipo B e di tipo C). I pazienti sono stati consecutivamente visitati presso l’Unità Operativa di Epatologia, Centro di Riferimento della Regione Toscana per le Epatopatie Croniche e il Tumore del Fegato per definizione diagnostica, stadiazione della loro epatopatia o per controlli periodici. Dopo il consenso informato i pazienti sono stati intervistati per valutare le loro abitudini alimentari e stile di vita e sono stati registrati i parametri antropometrici (peso, altezza, circonferenza vita e circonferenza fianchi). Durante il colloquio è stato somministrato un questionario per valutare le abitudini e preferenze alimentari ed entità e tipo di attività fisica. Le diverse combinazioni di parametri e variabili (n = 61, registrati in apposito data base, Excel) sono stati confrontati con la presenza e il grado della Steatosi valutati utilizzando rispettivamente il Fatty Liver Index (FLI) e il Controlled Attenuation Parameter

(4)

4 (CAP) e lo stadio della malattia epatica valutato mediante elastometria epatica (Fibroscan). L’analisi statistica è stata condotta utilizzando il pacchetto software SPSS (versione 20.0, SPSS Inc., Chicago, IL, USA).

Risultati. Per quanto riguarda la Steatosi epatica, valutata con l’indice steatometrico CAP > 248 dB/m, sono risultate significativamente associate (analisi multivariata) le seguenti variabili: FLI > 60 (p < 0.000), la Circonferenza Vita (mediana 109 cm, range 84-149 cm; p < ,039), BMI (mediana 30, range 23- 39,6; p < ,062), trigliceridi (mediana 122 mg/dl, range34-442 mg/dl; p < ,020) e indice elastometrico ( Fibroscan; mediana 9,100 KPa, range 3,09-75,0 KPa ; p = ,036). Per quanto riguarda lo stadio di malattia di fegato, valutato con Fibroscan per cut-off crescenti 8, 10 e 12 kPa, l’unica variabile significativa per tutte le soglie di Fibroscan utilizzate è risultata essere l’età (significativa con p < 0,000); mentre la dislipidemia (trigliceridi e/o colesterolo totale superiori alla norma; p < ,018) è risultata significativamente associata solo per valori di Fibroscan =/> 8 KPa. Per quanto riguarda le variabili dello stile di vita e i disturbi digestivi non sono risultati associati significativamente alla Steatosi (valutata con FLI > di 60) le preferenze dei cibi (per pane e prodotti da forno, pasta, riso, pizza, carne, pesce, insaccati, formaggi, sale, dolci ), la quantità d’acqua, assunzione e frequenza di bevande alcoliche (vino e birra) e meteorismo, reflusso, senso di sazietà post prandiale, sonnolenza post-prandiale. La Steatosi è risultata invece associata significativamente (test di Pearson) all’assunzione frequente di pane e prodotti da forno (p = 0.017), quantità di olio (p = 0.014), frequenza di assunzione di alcolici (trend con p = 0,069) e attività fisica (p = 0.002). Per lo stadio di malattia (Fibroscan > 8 KPa) sono risultate significativamente correlate la frequenza settimanale di assunzione di pasta (p < 0,02) e di frutta (trend borderline (p = 0,078) e tra i sintomi gastro-intestinali solo la stipsi cronica (p = 0,016). Inoltre la percentuale dei pazienti con Steatosi epatica e stadio di malattia epatica avanzata raddoppia nei sotto-gruppi di pazienti che assumono bevande alcoliche indipendentemente dalla loro quantità e tipologia.

Conclusioni. Lo studio, anche se su una casistica limitata conferma che la Steatosi epatica (come causa o cofattore di malattia di fegato) e lo stadio evolutivo di malattia dei pazienti con epatite cronica da diversa eziologia si associa ad alcune importanti

(5)

5 caratteristiche dello stile di vita. In particolare per quanto riguarda le abitudini alimentari risulta significativo l’impatto dell’assunzione di bevande alcoliche e la preferenza per un abbondante assunzione di carboidrati complessi quali pasta, pane e prodotti da forno come la pizza. Si conferma inoltre il ruolo fondamentale di un’adeguata attività fisica. E’ interessante notare che l’unico sintomo digestivo significativamente associato a una malattia di fegato più evolutiva sia la stipsi, dato che richiama il riconosciuto importante ruolo del microbiota intestinale come co-fattore patogenetico di Steatosi epatica. Questi risultati necessitano però di essere verificati su altri pazienti e una coorte più numerosa che permetterà inoltre di validare il questionario sullo stile di vita e ottimizzare l’intervista riducendone i tempi con l’eliminazione delle domande sulle variabili non significativamente associate né alla Steatosi nè allo stadio evolutivo di malattia di fegato.

(6)

6

1 Il fegato come centrale energetica-metabolica del nostro

organismo

Il fegato è la più grande ghiandola, a secrezione sia endocrina che esocrina (da 1,8 a 2,1 kg nella femmina e da 1,9 a 2,3 kg nel maschio) e corrispondenti al 2,5% del peso corporeo di un uomo adulto di media corporatura; nell'infante il peso del fegato, per il suo maggior sviluppo in rapporto al resto dell'organismo può arrivare a costituire il 5% del totale. Il fegato tende a raggiungere le sue maggiori dimensioni verso i 18 anni di età.

Il fegato è rivestito dal peritoneo viscerale, costituito dal mesotelio, un unico strato di cellule superficiali e da tessuto extraperitoneale sottostante; è inoltre completamente avvolto dal tessuto connettivo lasso componente la capsula del Glisson, che ricopre anche il fascio neurovascolare a livello dell'ilo. Da essa si dipartono setti e trabecole connettivali che penetrano nel parenchima epatico, dividendolo negli spazi portali.

All'interno di ciascuno spazio portale (spazio di Kiernan) è presente una ramificazione della vena porta, una dell'arteria epatica, un condotto biliare (la triade portale) e spesso anche piccoli vasi linfatici e ramificazioni nervose. Il parenchima epatico è invece costituito da lamine dalla struttura tridimensionale complessa e composte da un singolo strato di cellule, ovvero gli epatociti, le cellule principali del fegato e quelle che svolgono la quasi totalità delle sue funzioni metaboliche. Ciascuna lamina di epatociti è separata dall'altra da un sinusoide venoso, derivante dalla ramificazione della vena porta che decorre nello spazio portale. Esso si porta dallo spazio portale sino alla vena centrolobulare.

Gli epatociti non aderiscono ai sinusoidi venosi, ma ne sono separati da un piccolo spazio intercellulare dilatabile in condizioni patologiche (0,2-0,5 µm), detto spazio di Disse. Nello spazio di Disse sono contenute prevalentemente fibre di collagene di tipo I, III e IV e vi si aggettano i microvilli dell'epatocita, nonché le terminazioni nervose. Vi è notevole possibilità di scambio tra gli epatociti e i sinusoidi venosi, sia grazie alla maggiore superficie di assorbimento garantita ai primi dai microvilli, che alle fenestrazioni presenti nei sinusoidi venosi.

(7)

7 Tra un'epatocita e l'altro sono presenti i canalicoli biliari, così che ciascun epatocita ne è pressoché circondato. I canalicoli biliari drenano in dotti di calibro maggiore, i canali di Hering (chiamati anche colangioli), questi a loro volta ai condotti biliari della triade portale, quindi questi drenano nei condotti biliari epatici e quindi nel coledoco. Le ramificazioni dell'arteria epatica si dividono ulteriormente in capillari che poi convogliano il sangue nei sinusoidi venosi, oppure le stesse ramificazioni arteriose convergono nei sinusoidi, così che gli epatociti gestiscono un sangue misto di arterie e vene.

Le vene centrolobulari si uniscono in vene di calibro maggiore, le interlobulari (poste tra i lobuli epatici), le quali a loro volta drenano nelle vene epatiche e queste nella vena cava inferiore. Una delle unità funzionali del fegato, la più grande in scala, è il lobulo epatico.

Si tratta di una struttura dalla forma pseudo-esagonale il cui scheletro è rappresentato da lamine di epatociti separate dai sinusoidi venosi derivanti dalla ramificazione venosa portale. Le lamine non si limitano ad espandersi a raggiera da una vena centrolobulare tributaria delle vene epatiche, ma si dispongono tridimensionalmente in strutture ramificate e difficilmente schematizzabili. Ciascun lobulo è delimitato da sottili setti connettivali, e ad ogni suo "angolo" si apre una triade portale. L’unità funzionale più piccola del lobulo epatico è l'acino epatico. Un acino epatico è una sezione di forma ovalare di parenchima, il cui asse maggiore congiunge due vene centrolobulari e il minore approssimativamente un lato dell'esagono costituito dal lobulo epatico. Ciascun acino è divisibile da un punto di vista funzionale in tre zone:

o Zona 1 (periportale): è quella più vicina alla ramificazione della vena porta e dei rami terminali dei vasi afferenti, il suo asse maggiore congiunge le due ramificazioni portali, il minore si approfonda di poco nel parenchima del lobulo. Gli epatociti di questa zona sono ben nutriti dal sangue e sono resistenti al danno da ipoperfusione; non vengono danneggiati da agenti chimici perché mancano di enzimi che convertono tali sostanze in metaboliti tossici; zona addetta alla gluconeogenesi

(8)

8 o Zona 2 (intermedia): è un'area triangolare che comprende esclusivamente il parenchima del lobulo nella sua porzione media; in questa zona sono presenti un minor numero di enzimi ossidativi e un maggior numero di esterasi, le quali generano sostanze intermedie del metabolismo. Le cellule qui presenti sono sensibili al danno da tossici come il paracetamolo

o Zona 3 (centrolobulare) è prossima alla vena centrolobulare e ne comprende il margine. L'acino assume così una forma ovalare o romboidale; qui gli epatociti sono alimentati da sangue povero di ossigeno per cui sono sensibili al danno da ipossia o da ridotta perfusione. Zona addetta alla glicolisi e al metabolismo dei farmaci

Nel fegato sono presenti quattro tipi di cellule, ognuna delle quali svolge un’azione ben definita:

o Gli epatociti sono le cellule più numerose del fegato, ne costituiscono l'80% del volume e circa il 60% per numero. La loro forma è poliedrica, con un numero di superfici variabile da sei a dodici, il loro diametro varia da 20 a 30 µm. Sono spesso polinucleate e tetraploidi, con un numero di nuclei che può arrivare anche a quattro, un grosso nucleolo, reticoli endoplasmatici liscio e rugoso ben sviluppati, numerose cisterne del Golgi, ribosomi, lisosomi, mitocondri, perossisomi, tanto che risultano

Figura 1 Struttura del lobulo e dell'acino epatico (Patricio G. et al; “Recent advances in 2D and 3D in vitro systems using primary hepatocytes, alternative hepatocyte sources and non-parenchymal liver cells and their use in investigating mechanisms of hepatotoxicity, cell signaling and ADME”; . Arch Toxicol. 2013; 87(8): 1315–1530).

(9)

9 una delle tipologie cellulari in cui gli organelli sono più sviluppati e rappresentati, a causa delle elevate necessità metaboliche e della grande varietà di compiti cui devono assolvere. Due epatociti adiacenti formano con le loro membrane plasmatiche i canalicoli biliari e sono uniti da giunzioni serrate per impedire la penetrazione della bile negli interstizi, nel resto della cellula sono più diffusi i desmosomi e le giunzioni gap. A livello dei canalicoli biliari si accumulano numerose vescicole di esocitosi, contenenti per l'appunto bile da secernere nei canalicoli.

o Le cellule stellate o di Ito, di origine mesenchimale e molto meno numerose degli epatociti, sono poste tra le lamine, alla base degli epatociti, ed hanno una forma stellata o irregolare. Il loro citoplasma è ricco di vescicole lipidiche contenenti vitamina A, ed il loro compito è quello di secernere le principali sostanze costituenti della matrice, tra cui collagene di tipo III e la reticolina. Sono fondamentali nella rigenerazione del fegato a seguito di lesioni o interventi chirurgici poiché secernono fattori di crescita responsabili della buona capacità di rigenerazione del fegato. In caso di lesione possono sostituire gli epatociti danneggiati e mediante la secrezione di collagene ed altre proteine strutturali, formare del tessuto cicatriziale a partire dalla zona 3 di ciascun acino, che darà origine al processo fibrotico. Altre sostanze da loro secrete concorrono all'omeostasi dell'organo.

o Le cellule endoteliali sinusoidali costituiscono l'endotelio dei sinusoidi venosi fenestrati del fegato. Hanno forma appiattita, con un nucleo ovalare in posizione centrale, scarso citoplasma contenente numerose vescicole transcitotiche, sono unite attraverso giunzioni aderenti. Le fenestrature presenti tra le cellule sono molto ampie e riunite in complessi con un diametro medio di 100 µm, così che il sangue può facilmente riversarsi negli spazi di Disse e venire a contatto con i microvilli degli epatociti.

o Le cellule di Kupffer, i macrofagi del fegato, sono dei derivati dei monociti e si collocano nel lume dei sinusoidi venosi. La loro forma è variabile ed irregolare, presenta numerose estroflessioni tipiche delle cellule della linea dei macrofagi che si estendono nel lume del sinusoide. La loro funzione è quella di rimuovere per

(10)

10 fagocitosi eventuali detriti presenti nel sangue in afflusso agli epatociti, ma possono anche stimolare il sistema immunitario mediante la secrezione di numerosi fattori e di citochine. Rimuovono gli eritrociti invecchiati o danneggiati agendo in modo complementare alla milza (che possono sostituire in caso di splenectomia).

1.1 Funzioni

Il fegato svolge molteplici funzioni tra cui le principali sono espletate negli epatociti, in particolare quelle metaboliche come ad esempio:

o Metabolismo glucidico: il fegato è il luogo di deposito del glicogeno, sorgente principale del glucosio ematico e sede dei processi di gluconeogenesi e glicolisi; o Metabolismo lipidico: biosintesi di trigliceridi, acidi grassi, lipoproteine (essenziali

per il trasporto dei lipidi) e sintesi/ degradazione/ esterificazione ed eliminazione del colesterolo;

o Metabolismo proteico: sintesi di albumina, fattori della coagulazione, proteine leganti Ferro e Rame e le proteine di fase acuta (es. glicoproteina acida, alfa-1 amtitripsina);

o Metabolismo vitaminico (Es fosforilazione di tiamina, piridossina e riboflavina e vitamina B12).

(11)

11

2 Epatopatie, cenni generali

Le cause più comuni di malattia cronica del fegato sono: epatopatie croniche virali, epatopatie tossiche (alcol) ed epatopatie metaboliche, elencate nella tabella n.1 in ordine crescente.

Tabella 1 Prevalenza Epatopatie in Italia (libro bianco AiSF e studio Dyonisos; Bellentani et al.)

Epatopatia Prevalenza

Epatopatia Virale da HBV 1-2%

Epatite Virale da HCV 3,2%

Epatite tossica da alcol 21%

Epatopatia Metabolica 49-50%

Come possiamo osservare dalla tabella n. 1 l’epatopatia di origine metabolica, ovvero la Steatosi epatica non alcolica, risulta essere la patologia più frequente in Italia, nonché quella maggiormente infulenzata dallo stile di vita.

2.1 NAFLD (Non Alcolic Fatty Liver Disease; Steatosi Epatica): definizione

Con l’acronimo NAFLD (Non-Alcoholic-Fatty-Liver-Disease) si intende una un ampio spettro di patologie epatiche, dalla semplice Steatosi, alla steatoepatite con necroinfiammazione e fibrosi più o meno avanzata, fino alla cirrosi e al carcinoma epatocellulare. La NAFLD assomiglia dal punto di vista anatomopatologico alla malattia epatica alcol indotta, ma si sviluppa in soggetti in cui il consumo alcolico è nullo o francamente modesto (< 20 g/die per la donna e < 30 g/die per l’uomo) [1].

(12)

12 Una recente messa a punto dell’American Association for the Study of Liver Disease definisce la NAFLD solo su base istopatologica, come un accumulo di lipidi, sottoforma di trigliceridi, a livello interepatocitario, superiore al 5-10% del peso del fegato stesso, ovvero come percentuale di epatociti che contengono gocce lipidiche al microscopio ottico maggiore del 5% [2].

La classificazione della NAFLD comprende una forma primaria (idiopatica) che rappresenta attualmente la forma più frequente ed è caratterizzata da un background di sovrapeso/obesità ed insulino resistenza in soggetti con anamnesi negativa per consumo di alcol e cause di epatopatia secondaria; e una forma secondaria appunto, dovuta a cause virali, farmacologiche, tossiche, nutrizionali, sistemiche e genetiche [3, 4, 5]. Le implicazioni cliniche della NAFLD derivano soprattutto dal suo potenziale di progressione verso l’ultimo stadio della malattia epatica (end stage liver disease), mentre la sola Steatosi non complicata ha una prognosi relativamente benigna nella maggior parte dei pazienti [6, 7, 8].

2.2 Epidemiologia

La mancanza di test diagnostici specifici e sensibili, e l’invasività della biopsia epatica, limitano le conoscenze sulla reale prevalenza della NAFLD. Stime di popolazione basate su criteri indiretti (elevazione transaminasi, fegato “brillante” all’ecografia..) indicano che la prevalenza della NAFLD si aggira tra il 10-24% della popolazione generale nei diversi paesi. La NAFLD può colpire ogni gruppo d’età, dai bambini agli anziani, anche se più frequentemente si riscontra nei giovani adulti, con un picco di incidenza tra i 40 ed i 60 anni. In alcune casistiche sembra essere più frequente nei maschi, in altri studi nelle femmine; uno studio cinese ha rilevato che nelle fasce d’età < 50 anni la prevalenza di NAFLD nelle donne è circa la metà che negli uomini, per probabile effetto protettivo degli estrogeni, dopo la menopausa aumenta la prevalenza superando anche quella dei maschi [9]. A livello globale le prevalenze maggiori sono state registrate in Medio Oriente (32%), Sud America (31%) e Asia (27%) mentre la minore è stata segnalata in Africa (14%). L’Europa e l’America settentrionale si attestano su valori intermedi del 20-30% [10].

(13)

13 Queste percentuali salgono significativamente nei gruppi a rischio: un’ampia casistica Europea ha rilevato la presenza di NAFLD e NASH rispettivamente nel 94% e nel 25% dei pazienti obesi (BMI > 30 kg/m²) mentre il 40-70% dei pazienti con diabete mellito tipo 2 e il 50% dei dislipidemici risultano affetti da NAFLD [11-12].

I dati epidemiologici più drammatici riguardano la popolazione pediatrica, in cui obesità e sindrome metabolica sono in progressivo globale incremento, particolarmente marcato in Italia ove le stime stanno raggiungendo i numeri statunitensi [13-14].

Un’analisi del National Health and Examination Survey condotta su adolescenti americani tra i 12 e i 19 anni, nel periodo 2007-2010, ha rilevato una prevalenza di NAFLD pari al 6,9%, valore tre volte maggiore rispetto a quello riferito al precedente periodo 1988-1994 [15]. Nello studio CATCH (Child and Adolescent Trial of

Cardiovascular Health) in soggetti delle scuole superiori, la prevalenza di NAFLD,

identificata mediante ALT > 40 U/L, ammonta al 36% nei soggetti ispanici, 22% nei caucasici e 14% negli afro americani [13]. L’associazione tra diabete ed obesità pone un rischio ulteriore: tra i pazienti con obesità severa e diabete, il 100% ha almeno una lieve steatosi, il 50% ha steatoepatite ed il 19% ha cirrosi.

Tuttavia, alcuni pazienti con NAFLD sono normopeso e non diabetici ed hanno un normale profilo lipidico e normali valori sierici di test di funzionalità epatica [15]. L’obesità centrale, documentata da un aumento della Circonferenza Vita ( > 94 cm negli uomini e > 80 cm nelle donne; secondo l’International Diabetes Federation 2006 e

Canadian Clinical Practice Guidelines, Lau et al. 2007), sembra essere un fattore di

rischio per la NAFLD, anche in soggetti con normale BMI [7]. Fibrosi:

Il processo infiammatorio cronico conseguente ad un danno epatocellulare o colangiocellulare determina un’attivazione e trasformazione delle cellule stellate in miofibroblasti, cellule del tessu to connettivo secernenti collagene che soprassiedono al processo riparativo del danno ti ssutale costituendo l’impalcatura per la rigenerazione epatica. Tale meccanismo riparativo mantenuto nel tempo può dar vita a tralci fibrotici cicatriziali che alterano la normale struttura del parenchima epatico.

(14)

14 Cirrosi Epatica

La cirrosi rappresenta la conseguenza irreversibile di un processo di fibrosi riparativa e di rigenerazione epatocellulare, conseguenti all’azione protratta di insulti di varia natura (infiammatori, tossici, dismetabolici, congestizi). La normale struttura lobulare epatica risulta completamente sovvertita da tralci fibrosi, che circondano zone di attiva rigenerazione epatocellulare dando vita a ponti fibrotici tra spazi portali e tra spazi portali e vene centrolobulari che determinao shunt vascolari anomali tra il flusso centripeto epatico del sangue portale e quello centrifugo delle vene centrali. Ciò causa un salto funzionale dell’acino. I noduli rigenerativi possono essere di piccole dimensioni (< 3 mm, cirrosi micronodulare) o di grandi dimensioni (> 3 mm, cirrosi macronodulare).

Le manifestazioni cliniche della malattia e la sua evoluzione naturale sono una diretta conseguenza del quadro anatomo-patologico. Infatti, la fibrosi diffusa e lo scompigliamento cito-architettonico alterano il letto vascolare, con conseguente ipertensione portale e formazione di shunt intraepatici.

Principali complicanze di cirrosi epatica sono:

o Ipertensione portale e disfunzione epatocellulare (che possono provocare emorragia da varici, ascite, encefalopatia epatica, sindrome epato-renale ed epato-polmonare) o Carcinoma Epato-Cellulare (HCC) [98]

2.3 Diagnosi

La diagnosi di NAFLD viene posta generalmente in pazienti asintomatici quando, in seguito al riscontro casuale di un’alterazione degli enzimi epatici, vengono eseguiti rilievi ecografici che risultano suggestivi di Steatosi, in assenza di altre ragioni di malattia epatica. La diagnosi finale di NAFLD richiede però la combinazione di test invasivi e non invasivi.

(15)

15 Negli ultimi anni la diagnosi di NAFLD è transitata da una “in negativo”, che presuppone in primis l’esclusione di altre epatopatie e di cause secondarie di steatosi epatica, ad una “in positivo”, effettuata mediante l’identificazione di fattori di rischio metabolici.

L’epatomegalia è presente nel 50% dei soggetti, ma sale al 95% se la valutazione delle dimensioni epatiche viene eseguita mediante ecografia. L’anamnesi rappresenta una tappa cruciale nella valutazione clinica del paziente e deve essere orientata alla presenza di familiarità e comorbilità, stigmate di sindrome metabolica, determinazione dell’assetto glucidico/lipidico e parametri di sintesi epatica.

2.3.1 Esami Emato-Chimici

Gli indici di funzionalità epatica (bilirubina tot, albumina, tempo di protrombina, creatinina) e la conta piastrinica, predittiva di ipertensione portale se ridotta, risultano alterati nelle sole forme di epatopatia avanzata.

Nei quadri meno severi si osserva un incostante e moderato incremento dei livelli di ALT e GGT, con un rapporto AST/ALT tipicamente < 1 (diversamente dal danno alcolico). Citolisi ed incremento della GGT sono tuttavia presenti in una minoranza degli individui con NAFLD, circa il 20%, e non correlano con la severità del danno epatico che, al contrario, può essere significativo anche nei casi di normalità biochimica [16-17].

L’iperferritinemia è frequente, seppure spesso non associata ad incremento della saturazione della transferrina, ad indicare uno stato infiammatorio cronico subclinico indotto da insulino resistenza, piuttosto che un reale accumulo di ferro, raro nella NAFLD (4-6%)[18-19]. Una positività a basso titolo di autoanticorpi (ANA e SMA), spesso osservata, non è solitamente accompagnata a fenomeni di autoimmunità, ma correla piuttosto con epatopatie avanzate. Il profilo lipidico si caratterizza tipicamente per elevati livelli sierici di trigliceridi e colesterolo LDL, e bassi valori di colesterolo HDL.

(16)

16 Occorre infine indagare il metabolismo glucidico con dosaggio basale di glucosio e, in soggetti non diabetici, valutare la sensibilità insulinica medinte l’indice HOMA-R (Homeostatic Model of Insulin Resistance, derivato da glicemia ed insulinemia a digiuno) [20-21].

Rare cause secondarie di NAFLD di eziologia genetica sono il deficit parziale di apolipoproteina B e il deficit di LAL (Lipasi Acida Lisosomiale).

2.3.2 Ecografia addominale

La principale caratteristica ecografica della NAFLD è rappresentata da un’aumentata riflettenza del parenchima epatico (“fegato brillante”); in secondo luogo si ha una mancata visualizzazione dei dettagli dell’architettura intraepatica, dei rami della vena porta e, nei casi più marcati, del diaframma. Importante è sottolineare che l’ecografia non distingue la fibrosi dalla Steatosi. L’ecografia ha una sensibilità del 89% e una specificità del 93% nella diagnosi di Steatosi.

2.3.3 Tomografia computerizzata

Metodica più sensibile e specifica che può risultare utile nel monitorare il contenuto in grasso [22]. Il suo limite maggiore risiede nel possibile effetto maschera prodotto dalla presenza di un sovraccarico di ferro, che ne riduce la sensibilità [23].

2.3.4 Biopsia epatica

La biopsia epatica ha come indicazioni principali la diagnosi eziologica della malattia epatica, la valutazione quali-quantitativa del danno epatico e la valutazione dello stadio evolutivo di malattia dando informazioni sull’esito del trattamento (tramite sistemi di valutazione standardizzati).

(17)

17

La biopsia epatica rimane oggi un’indagine utile nella diagnosi di tutte le epatopatie di origine autoimmune, biliare, da accumulo, tossica e della steatosi epatica alcolica e non alcolica [101]. La diagnosi quali-quantitativa del danno epatico è uno dei motivi principali per l’esecuzione di una biopsia epatica. L’indicazione più diffusa, è la valutazione del danno epatico infiammatorio cronico (epatite cronica) permettendo la definizione del grado necro-infiammatorio e dello stadio della fibrosi intraepatica. La biopsia epatica è stata a lungo l'unico riferimento per valutare le lesioni necro-infiammatorie e la fibrosi nell'epatite C [102]. È molto utile per valutare l'esistenza di co-morbidità: malattia epatica alcolica, NAFLD e sovraccarico di ferro, che sono particolarmente comuni nei pazienti con epatite cronica C [102]. Mentre l’ecografia addominale è soddisfacente per valutare l'esistenza di Steatosi, la biopsia epatica è necessaria al fine di individuare fattori di confondimento come la steatoepatite, il sovraccarico di ferro o l’epatopatia alcolica associata ad epatite C.

In pazienti con Steatosi epatica come parte della sindrome metabolica, la biopsia epatica è utile per differenziare le lesioni grasse dalla steatoepatite (NASH) e l’evoluzione potenziale la quale è molto più grave (rischio di cirrosi e carcinoma epatocellulare) [102]. La biopsia epatica, infatti, consente una diagnosi accurata delle lesioni e una valutazione del grado di fibrosi [101].

La biopsia epatica rimane il referente “gold standard” per la definizione e caratterizzazione delle nuove metodiche di imaging, per lo studio delle correlazioni tra gli esiti istopatologici di cura delle epatiti croniche virali e l’incidenza del carcinoma epatocellulare e per la diagnosi e quantificazione della steatosi epatica; per quanto riguarda quest’ultima però, il numero dei lipidi contenuti all’interno degli epatociti non corrisponde esattamente alla quantificazione ottenuta tramite la risonanza magnetica a spettroscopia “fat-fraction”[30-46]. Inoltre, la biopsia epatica è una metodica invasiva e non pratica per monitorare i pazienti ed il rischio di fegato grasso.

(18)

18

2.3.5 Risonanza magnetica a spettroscopia

Gli ultrasuoni sono oggi la tecnica più comunemente utilizzata per la diagnosi di NAFLD basata su caratteristiche quantitative, in quanto ha un range di sensibilità del 60-95% ed una specificità dell’84-100%; in pazienti obesi la sensibilità e la specificità si riducono rispettivamente a 49% e 75% [103]. Per quanto riguarda i criteri semi-quantitativi (steatosi lieve, moderata, severa), essi sono sottoposti ad interpretazione soggettiva con scarsa riproducibilità e bassa sensibilità per la steatosi lieve [104]. La risonanza magnetica a spettroscopia protonica è in grado di misurare il grasso epatico scomponendo il segnale che passa attraverso il fegato nella componente lipidica e in quella acquosa; la misura non è influenzata dalla fibrosi o dall’obesità ed ha dimostrato di essere molto affidabile, nonostante l’elevato costo sia una limitazione. Comunque sia la risonanza magnetica è oggi considerata il “gold standard” di tecnica non invasiva per la quantificazione del grasso epatico.

2.3.6 FIBROSCAN ® CAP

Negli ultimi anni si sono cercate soluzioni che fossero una buona alternativa a metodiche invasive o troppo costose: il Fibroscan (elastometria epatica) rappresenta questa alternativa.

Il Fibroscan è un’apparecchiatura diagnostica ad ultrasuoni che consente di valutare senza alcun rischio il grado di elasticità del fegato tramite una sonda ad ultrasuoni

montata su un sistema vibrante; la sonda viene applicata sulla cute del costato a destra:

Figura 2 Fibroscan

(Nezam H. et al. "Fibroscan (Transient Elastography for the measurement of Liver Fibrosis); Gastroenterol Hepatol (N Y); 2012 Sep. 8 (9): 605-607)

(19)

19 l’impulso a bassa frequenza (50 Hz) che genera, determina la propagazione di un’onda elastica attraverso il fegato, la cui velocità, misurata per mezzo degli ultrasuoni, è direttamente proporzionale alla sua rigidità, la quale a sua volta è direttamente proporzionale al grado di cicatrizzazione e quindi di fibrosi. Recenti esperienze cliniche mostrano che la liver stifness riflette, oltre alla fibrosi, altri fattori come l’infiammazione intraepatica, la congestione vascolare del fegato e la colestasi, i quali influenzano significativamente la rigidità epatica e proprio per questo il Fibroscan risulta essere un apparecchio adeguato nel monitorare tutti questi fattori nella pratica clinica [105].

L’elastanza è un numero immediatamente fornito dalla macchina ed è espressa in kPa e corrisponde alla mediana di 10 misurazioni validate; l’esame è considerato affidabile se sono eseguite 10 misurazioni valide, il tasso di successo è al di sopra del 60% ed il rapporto tra il range interquartile e la mediana di 10 misurazioni (IQR/M) è 0.3. Il Fibroscan possiede una buona accuratezza nella diagnosi di fibrosi avanzata e cirrosi, e nell’esclusione della fibrosi significativa; il valore medio delle misurazioni in individui sani è compreso tra 3-7 Kpa, considerando che le donne spesso hanno valori leggermente inferiori rispetto agli individui di sesso maschile. Nella NAFLD i migliori cut-off sono risultati essere 7.0 kPa, 8.7 kPa e 10.3 kPa ad indicare rispettivamente fibrosi significativa, avanzata e cirrosi. Il valore medio della liver stifness nel paziente esente da malattia epatica è di circa 5.3 kPa senza che vi siano differenza di età; le stime di elasticità variano però da 3 a 75 kPa che corrispondono ad una velocità di propagazione che varia da 1 a 5 m/s.

Infatti la misura della velocità di propagazione dell’onda elastica attraverso il fegato permette di stimarne la sua elasticità grazie all’equazione: E = 3pV2, dove E rappresenta l’elasticità, p la densità che è costante per un determinato tessuto (per il fegato è uguale a 1), V la velocità di propagazione dell’onda. La velocità di propagazione è tanto maggiore quanto maggiore è la durezza del fegato; così per un fegato esente da fibrosi (F0) la velocità è di 1m/s e l’elasticità è di 3 kPa, mentre per un fegato aggravato da fibrosi severa (F4) la velocità potrà essere di 3 m/s e l’elasticità di 27 kPa; il risultato è immediatamente disponibile.

(20)

20 Una nuova applicazione del FibroScan® è rappresentata da un software che utilizza un algoritmo per valutare un parametro ecografico associato alla Steatosi, l’indice di attenuazione del segnale ecografico che attraversa il fegato ed è appunto attenuato proporzionalmente al contenuto di grasso del fegato. Ciò permette una valutazione quantitativa del grado di Steatosi con il calcolo di un nuovo parametro: il CAP (Controlled Attenuation Parameter). Il risultato consente di valutare in modo semplice e non invasivo la presenza di Steatosi e di classificarla in assente, lieve, moderata o avanzata. La Steatosi può essere associata contemporaneamente alla fibrosi, il cui grado (lieve, moderato, avanzato) e quindi il risultato diagnostico dell’utilizzo del Fibroscan e CAP aiuta la definizione dello stadio della malattia e del grado di Steatosi e costituisce anche un valido strumento di monitoraggio per valutare la progressione o regressione sia della Steatosi che dell’eventuale fibrosi e la risposta alla terapia.

Le limitazioni del FibroScan sono legate al non utilizzo in pazienti obesi, in cui le sonde M normalmente utilizzate sembrano condurre ad un basso tasso di successo delle misurazioni, probabilmente a causa dell’eccesso di grasso sottocutaneo che ostacola la propagazione delle onde ultrasonore al parenchima epatico. Lo sviluppo di sonde XL (frequenza inferiore e trasduttore più sensibile) e S (pediatriche, a frequenza più elevata) sta in parte risolvendo questo problema.

Tabella 2 Classificazione Steatosi secondo valori di CAP

Grado Steatosi Valore CAP

S0 (assenza di steatosi) < 248 dB/m

S1 (steatosi lieve) 248-267 dB/m

S2 (steatosi moderata) 268-279 dB/m

(21)

21 Figura 3 Significato clinico dei Cut-offs nelle epatopatie croniche (Castèra L. et al “Non-invasive evaluation of liver fibrosis using transient elastography”; 2008; 48: 835-847)

La figura di cui sopra, mostra i diversi cut-offs della fibrosi epatica nelle epatopatie in base alla “liver stifness” cioè, alla rigidità epatica, espressa in Kpa, la quale teoricamente può essere convertita in un punteggio basato sulla scala METAVIR, una scala di stadiazione della fibrosi epatica che serve ad interpretare i risultati della biopsia. Essa identifica 4 stadi:

 F0 in cui non vi è danno fibrocicatriziale

 F1 in cui il danno è limitato, non significativo; fibrosi lieve  F2 in cui il danno fibrocicatriziale è moderato

 F3 in cui il danno sclerocicatriziale, la fibrosi, è severo

 F4 in cui il paziente è da considerare pre o francamente cirrotico

Esistono vari biomarkers non invasivi di fibrosi epatica: NAFLD fibrosis score [26]; FIB-4 [27]; fibro test, fibrometer e l’ELF score (Enhanced Liver Fibrosis) [28-29]. I primi due score possono essere calcolati con la conta piastrinica, albumina e aminotransferasi. Il FibroTest, il Fibrometer e l’ELF sono test commerciali. Sebbene i metodi non invasivi richiedano ulteriori validazioni, vari test potrebbero essere utili per la selezione di quei pazienti con NAFLD che richiedono una biopsia epatica. Tuttavia, per la diagnosi di NASH, paramentri biochimici o tecniche di imaging non possono distinguere questa dalla semplice Steatosi e la biopsia epatica rimane lo standard di riferimento.

(22)

22

2.3.7 FLI: Fatty Liver Index

Un semplice ed accurato predittore di Steatosi epatica nella popolazione generale è rappresentato dal FLI (Fatty Liver Disease); modello di previsione della presenza di lipidi a livello epatocitario che prevede l’inclusione in una formula standard e prestabilita, di alcuni parametri clinici e di laboratorio quali: trigliceridi, BMI, GGT e circonferenza vita.

Valori significativi sono rappresentati da:

Tabella 3 Cut-offs dei vari parametri per la determinazione del Fatty Liver Index

Parametro Cut-Off

Trigliceridi ≥ 200 mg/L

BMI ≥ 27 kg/m²

GGT ≥ 45 U/l

Circonferenza vita ≥ 98 cm

Il calcolo da effettuare è il seguente:

e 0.953*log(trigliceridi + 0.139*BMI + 0.718*log(gGT) + 0.053*circonferenza addominale – 15.745)/ (1 + e 0.953*log (trigliceridi) + 0.139*BMI + 0.718* log (gGt) + 0.053*circonferenza addominale – 15.745)*100

Un valore di FLI > 60 indica una probabilità dell’85% di presenza di Steatosi, mentre un valore < 30 indica una probabilità dell’86% di non avere Steatosi [99].

Altri tests validati e non invasivi per la diagnosi e stadiazione di NAFLD sono rappresentati dall’Hepatic Steatosis Index (HSI), NASH score (per determinare la presenza di NASH), BARD (per determinare la severità della fibrosi) e il NAFLD fibrosis score (NFS score; per determinare la severità della fibrosi).

(23)

23

2.4 Caratteristiche anatomo-istologiche NAFLD

Il quadro istologico della NAFLD è indistinguibile da quello indotto dall’abuso alcolico. Nel 1999 Brunt ha proposto dei criteri semiquantitativi di stadiazione della NASH. Essi si basano sulla valutazione di 3 parametri: Steatosi, infiammazione e fibrosi, ognuno dei quali è valutato su una scala di 3 o 4 punti.

Nel 2005 la stessa Brunt ha proposto un nuovo sistema di score che comprende 14 variabili istologiche, 4 delle quali sono semiquantitative mentre le altre 10 vengono descritte come variabili dicotomiche (presenti/assenti). Uno score ≥ 5 individua la NASH, mentre uno score ≤ 3 la esclude; uno score tra 3 e 5 è considerato borderline. La principale caratteristica della NAFLD è l’accumulo di lipidi a livello epatico: i lipidi accumulati sono presenti sottoforma di trigliceridi all’interno degli epatociti. Solitamente l’accumulo è di tipo macrovescicolare, cioè gocce lipidiche nel citoplasma delle cellule, anche se è possibile osservare un accumulo di tipo microvescicolare, ossia presenza di gocce lipidiche di dimensioni più ridotte che spingono il nucleo verso la periferia del citoplasma degli epatociti. La presenza di lesioni epatocellulari e fibrosi indicano una già presente progressione verso la NASH: quest’ultima risulta caratterizzata dal fenomeno del balloning, cioè la presenza di epatociti rigonfi con un citoplasma che appare chiaro, un nucleo ipercromatico, infiammazione lobulare dovuta ad un’infiltrazione di cellule infiammatorie quali linfociti, eosinofili e neutrofili, e fibrosi dovuta alla deposizione di collagene. Il collagene viene prodotto da parte delle cellule stellate (cellule di Ito), che si trovano nello spazio di Disse (tra sinusoidi ed epatociti), nel momento in cui queste vengono attivate.

Nel fegato normale, non patologico, le cellule stellate sono quiescienti e sono sede di immagazzinamento di vitamina A; a seguito di stimoli infiammatori di lunga durata, quando il fegato è danneggiato, le cellule di Kuppfer e le piastrine sono spinte a produrre particolari citochine infiammatorie le quali vanno a determinare la trasformazione delle cellule di Ito in miofibroblasti, e quindi la loro attivazione. I miofibroblasti sono cellule contrattili che producono e secernono collagene, fibronectina e proteoglicani, i quali si depositano inizialmente a livello dello spazio di Disse, rendendosi responsabili della capillarizzazione dei sinusoidi epatici; questa alterazione strutturale compromette l’endotelio e successivamente il collagene si deposita a ponte

(24)

24 tra gli spazi porto-portali formando i noduli di rigenerazione; in seguito a queste modificazioni dell’architettura epatica anche la vascolarizzazione epatica si modifica; infine la deposizione di collagene intorno ai sinusoidi epatici con conseguente capillarizzazione compromette lo scambio di sostanze a questo livello e ciò comporta una riduzione nella secrezione di proteine, in particolare di albumina, lipoproteine e fattori della coagulazione che sono i principali responsabili delle manifestazioni cliniche dell’epatopatia ormai progredita in cirrosi.

2.5 Storia Naturale della NAFLD

La storia naturale della NAFLD non è ancora ben definita, ma sembra essere correlata con il grado di danno istologico; il suo corso è caratterizzato da quattro entità clinico-patologiche: steatosi, NASH, fibrosi avanzata/cirrosi ed HCC. Non vi sono dati certi sulla progressione della malattia e su quali siano i fattori predditivi dell’evoluzione del danno epatico da semplice Steatosi a steatoepatite e fibrosi. Il 15-30% della popolazione nell’arco della vita sviluppa NAFLD, di questi, il rischio di sviluppare cirrosi nell’arco di 15-20 anni è dell’1-2% nei pazienti che presentano un quadro istologico di sola Steatosi, mentre nei pazienti che hanno una diagnosi istologica di NASH il rischio può arrivare al 15-25% dopo 8 anni. Secondo molti autori in questi pazienti, una volta raggiunto lo stadio di cirrosi, aumenta anche il rischio di epatocarcinoma (7%).

Per quanto riguarda invece la NASH, questa porta allo sviluppo di fibrosi nel 30-50% dei casi, di cirrosi nel 15-25% e circa il 3% a insufficienza epatica terminale [31-32]. La prognosi a 10 anni della NAFLD associata alla cirrosi risulta molto severa, con la necessità di trapianto nel 50% dei casi, morte associata a cause epatiche nel 20% e sviluppo di HCC nel 7%.

Figura 4 STORIA NATURALE DELLA NAFLD (Gyorgy Baffy; "MicroRNAs in Non Alcoholic Fatty Liver Disease"; J Clin Med. 2015 Dec; 4 (12): 1977-1988.)

(25)

25 E’ stata dimostrata una correlazione tra la progressione della NAFLD e vari fattori di rischio, quali età avanzata, BMI, insulino resistenza, diabete mellito, Sindrome Metabolica e quadro istologico di NASH alla diagnosi [32-33].

Studi recenti hanno mostrato che la presenza di diabete mellito di tipo 2, obesità ed età avanzata sono associati a NASH con fibrosi avanzata.

Uno studio condotto da Wong et all. ad Hong Kong tramite l’utilizzo dell’elastografia controllata, ha identificato un aumento della liver stifness del 17,7% nei diabetici e nelle biopsie epatiche, NASH identificata nel 50% e uno stage 3-4 di fibrosi nel 57% [34]. Uno studio simile condotto sulla popolazione Europea ha mostrato un aumento della

liver stifness del 17,2% in diabetici e soggetti con NAFLD [35].

La presenza quindi di multipli disturbi metabolici è associata ad una malattia epatica potenzialmente progressiva e severa. Nonostante strettamente correlata all’obesità e all’insulino resistenza, la NAFLD può svilupparsi anche in soggetti normopeso e con livelli normali di glicemia e lipidemia. Ciò sottolinea che alla base dello sviluppo e della progressione della NAFLD vi siano molteplici fattori genetici ed ambientali [30, 32, 36]. Tra i fattori di rischio di maggiore rilievo vanno sicuramente considerati l’alimentazione e l’attività fisica.

In particolare, un eccessivo introito di cibo e la sedentarietà contribuiscono all’aumento di peso, il quale è dimostrato essere un fattore che contribuisce alla progressione della NAFLD verso la fibrosi.

2.5.1 Storia naturale della NAFLD: rischio cardio-vascolare

La malattia cardio-vascolare è la principale causa di mortalità in pazienti con NAFLD. Una recente review e una grande meta-analisi hanno dimostrato che i pazienti con NAFLD hanno avuto un più elevato rischio di eventi cardio-vascolari fatali e non fatali di quelli senza NAFLD. Pazienti con NAFLD più "gravi" avevano anche maggiori probabilità di sviluppare eventi cardio-vascolari fatali e non fatali.

(26)

26 Sebbene i risultati di questa meta-analisi aggiornata forniscano una prova robusta dell'associazione tra NAFLD (e la gravità di NAFLD) e il rischio di eventi cardio-vascolari importanti, è fondamentale sottolineare che la causalità deve ancora essere dimostrata negli studi di intervento di alta qualità.

Dato che complicazioni cardio vascolari spesso dettano l'esito di NAFLD, uno screening del sistema cardio-vascolare è obbligatorio in tutti i pazienti con NAFLD, almeno mediante una valutazione accurata dei fattori di rischio. NAFLD è anche associata al rimodellamento subclinico del miocardio e alle disfuzioni di quest’ultimo, nonché ad un’aumentata incidenza e prevalenza di fibrillazione atriale permanente. Inoltre, NAFLD è fortemente ed indipendentemente associata con il prolungamento dell'intervallo QT e con una maggiore prevalenza delle aritmie ventricolari monitorate per 24 ore con Holter.

Infine, le prove preliminari suggeriscono anche che la NAFLD è associata ad un tasso di ri-ospedalizzazione maggiore di 1 anno in pazienti ricoverati in ospedale per insufficienza cardiaca acuta.

2.6 Patogenesi della NAFLD

La disponibilità di cibo pressochè illimitata del mondo occidentale e la sempre più frequente condizione di bilancio energetico positivo, fa si che l’organismo necessiti di sistemi di deposito del surplus energetico. Il principale di questi sistemi è costituito dal sistema adiposo in cui l’energia viene immagazzinata sottoforma di trigliceridi.

In alcune condizioni però, quando l’apporto calorico diviene superiore al dispendio energetico, l’energia extra viene accumulata sottoforma di acidi grassi non esterificati dal tessuto adiposo viscerale, in depositi di grasso ectopici, come il muscolo scheletrico, il fegato ed il pancreas. NAFLD si svilupperà quindi nel momento in cui il tasso dei trigliceridi epatici arriverà al fegato tramite il circolo sanguigno oppure quando la sintesi dei trigliceridi all’interno del fegato supererà il tasso di ossidazione epatica del trigliceride e la secrezione di VLDL nel flusso sanguigno [37].

(27)

27 Approssimativamente, il 60% dei lipidi epatici deriva da un aumento della lipolisi periferica di trigliceridi (a causa dell’insulino resistenza a livello del tessuto adiposo e della mancata soppressione della lipolisi periferica di trigliceridi), mentre i grassi derivanti dalla dieta e gli zuccheri contribuiscono approssimativamente al 35-40% [38]. Il fegato da solo può inoltre contribuire alla steatogenesi sintetizzando trigliceridi a partire dai carboidrati derivanti dalla dieta tramite la de novo lipogenesi; il contributo di quest’ultima al contenuto di lipidi nel fegato è inferiore al 5% nei soggetti sani e può aumentare approssiamativamente al 25% nei soggetti con NAFLD [38].

L’accumulo ectopico di lipidi comporta quindi importanti ripercussioni negative metaboliche e funzionali ed è strettamente associato allo sviluppo di insulino resistenza muscolare ed epatica.

L’osservazione della storia naturale della NAFLD e delle sue caratteristiche istologiche e biochimiche, ha portato a formulare un modello a “due colpi” (“two hit”) del danno epatico proposto da Day e James nel 1998.

Il primo evento porta all’accumulo iniziale di trigliceridi all’interno dell’epatocita ed è caratterizzato, a livello cellulare, da complesse alterazioni del metabolismo lipidico epatocitario che interessano sia l’ossidazione mitocondriale degli acidi grassi liberi che il metabolismo delle lipoproteine. Un evento chiave che porterebbe a queste alterazioni, oltre all’insulino resistenza, sarebbe l’aumentato flusso di acidi grassi liberi che giunge al fegato attraverso il circolo portale.

Il secondo evento è caratterizzato dalla formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e prodotti della perossidazione lipidica (secondari ad alterazioni mitocondriali) che causano necrosi epatocitaria, attivazione delle cellule stellate epatiche, produzione di citochine e richiamo di cellule infiammatorie, che sono il prequisito per lo sviluppo di fibrosi. I due “hit” non sono necessariamente disgiunti, e possono riconoscere un unico momento patogenetico.

La resistenza insulinica può essere una condizione genetica, indipendente dall’indice di massa corporea, una condizione ormonale (come per es un difetto nella produzione dell’insulina), ma più spesso si tratta di una condizione acquisita legata all’aumento del grasso viscerale, alla genetica, allo stile di vita sedentario e all’eccessivo apporto calorico.

(28)

28

È verosimile che le due componenti (congenita e acquisita) abbiano nei vari casi un peso diverso; lo stile di vita condurrebbe così alla manifestazione fenotipica di genotipi a rischio.

2.6.1 L’insulino resistenza come fattore scatenante del primo “hit”

La resistenza insulinica può essere definita come la ridotta capacità dell’insulina di sopprimere la sintesi epatica di glucosio ed è caratterizzata da iperinsulinemia, aumento della produzione di glucosio epatico e sua diminuita disponibilità.

La patogenesi della resistenza insulinica è molto complessa e probabilmente coinvolge sia polimorfismi genetici, che influenzano sintesi e azione dell’insulina, sia fattori ambientali che promuovono l’obesità e la sedentarietà. L’insulino resistenza provoca una disregolazione del metabolismo lipidico con un’attivazione marcata dell’attività lipolitica e conseguente liberazione degli acidi grassi liberi in circolo, i quali, attraverso la vena porta vanno al fegato, a livello del quale vengono captati dagli epatociti ed incorporati come trigliceridi; si ha inoltre la stimolazione al processo della gluconeogenesi da parte del fegato con un aumento dei livelli di glucosio ematico, il quale a sua volta, induce il pancreas a secernere ulteriore insulina con conseguente incremento e peggioramento dell’insulino resistenza.

Figura 5 Teoria dei due "hits" nella patogenesi di NAFLD e NASH (Kento I. et al. “Rodent Models of Nonalcoholic Fatty Liver Disease/Nonalcoholic Steatohepatitis”; Int J Mol Sci. 2013 Nov; 14(11): 21833–21857)

(29)

29 L’iperinsulinemia cronica facilita la lipogenesi de novo attraverso l’aumentata sintesi di fattori di trascrizione e provoca una mancata sintesi e/o dismissione da parte del fegato delle VLDL. Tutto ciò si traduce in un accumulo di trigliceridi a livello epatico e conseguente Steatosi.

Normalmente le VLDL vengono sintetizzate dal fegato con la partecipazione della proteina microsomiale di trasferimento dei trigliceridi (MTP) che incorpora i trigliceridi nell’Apo-lipoproteinaB; una riduzione dell’attività di MTP e della sintesi e secrezione delle ApoB può alterare l’esportazione dei lipidi e favorire il loro accumulo negli epatociti. Negli adipociti inoltre, la resistenza insulinica aumenta l’attività della lipasi ormono sensibile con un conseguente aumento della lipolisi dei trigliceridi ed aumentato flusso di acidi grassi liberi verso il fegato.

Gli acidi grassi liberi in condizioni fisiologiche, possono essere ossidati nei mitocondri per produrre ATP, ovvero essere esterificati per produrre trigliceridi che vengono stoccati nelle cellule epatiche o incorporati nelle VLDL per la secrezione.

L’iperinsulinemia a livello epatico attiva invece SREBP1c (Sterol Regulatory Element Binding Protein; fattore di trascrizione che attiva i geni lipogenetici), mentre l’iperglicemia stimola ChREBP (Carbohydrate Response Element Binding Protein; fattore di trascrizione che attiva la via L-PK) e ancora tutti i geni lipogenetici. L’azione sinergica di SREBP-1 e di ChREBP attiva in modo coordinato gli enzimi necessari per la conversione dell’eccesso di glucosio in acidi grassi. Una conseguenza dell’incremento della sintesi di acidi grassi è l’aumentata produzione di malonil-CoA, che inibisce la CPT-1 (Carnitina Palmitoil Transferasi-1), la proteina responsabile del trasporto di acidi grassi nei mitocondri. Pertanto a seguito dell’insulino resistenza gli acidi grassi liberi che arrivano al fegato dalla periferia, così come quelli derivanti dalla sintesi de novo, saranno preferibilmente esterificati in trigliceridi, i quali torneranno in circolo come VLDL.

La lipoproteinlipasi endoteliale trasforma le VLDL circolanti in lipoproteine remnants ad elevata quantità di colesterolo e quindi in LDL fenotipicamente alterate, le cosiddette LDL piccole e dense, notoriamente aterogene. L’alterazione delle VLDL e delle LDL causa un anomalo scambio di trigliceridi e colesterolo esterificato con le HDL, che risultano più soggette alla clearance epatica.

(30)

30 Questo fenomeno spiega la riduzione delle HDL circolanti, che, insieme all’ipertrigliceridemia e alla presenza di LDL piccole e dense, costituisce la triade lipidica caratteristica degli stati di insulino resistenza.

Un altro fattore molto importante che concorre al “primo colpo” è il tessuto adiposo viscerale bianco. Il tessuto adiposo bianco viscerale ha un ruolo diretto nella patogenesi di insulino resistenza, diabete, dislipidemia e steatosi epatica. Alcuni autori parlano addirittura di portal/visceral theory [39]: secondo questa teoria, il grasso viscerale ha un’elevata attività lipolitica (il 50% in più rispetto a quella del grasso sottocutaneo) ed è quindi soprattutto questo che contribuisce all’afflusso di acidi grassi liberi, attraverso la vena porta, al fegato; in particolare, in pazienti affetti da NAFLD, in condizioni di digiuno, circa il 60% dei TG contenuti nel fegato derivano dall’afflusso di FFA a partire dal tessuto adiposo, il 26% da lipogenesi de novo e il 15% da un afflusso di chilomicroni con la dieta da parte dell’intestino (anche se tale quota aumenta soprattutto nella fase post prandiale). Nel 2004 Stranges et al. hanno infine dimostrato che lo spessore del grasso addominale è correlato con i livelli di ALT e GGT, più del BMI.

2.6.2 Il secondo “hit”: infiammazione e ruolo del tessuto adiposo

Il “secondo colpo” è rappresentato da una cascata di eventi pro-infiammatori e fibrinogenetici che determinano l’evolversi della NAFLD in NASH. Primo fra tutti è lo stress ossidativo. L’eccessivo accumulo di trigliceridi negli epatociti e l’iperinsulinemia stessa bloccano la ß-ossidazione mitocondriale. In risposta a ciò e all’elevato afflusso di acidi grassi liberi, vengono attivati due sistemi extra-mitocondriali di ossidazione: la β-ossidazione perossisomiale (in genere deputata all’β-ossidazione di acidi grassi a catena molto lunga) e la ω-ossidazione microsomiale. Da entrambe si ha la formazione di perossido di idrogeno (H2O2) ed altre specie reattive dell’ossigeno (ROS) che causano perossidazione lipidica ed un’aumentata sintesi di citochine pro-infiammatorie determinando steatoepatite e fibrosi.

In particolare, l’iperproduzione di specie reattive può indurre danno a livello mitocondriale (ad esempio danno a carico del mitDNA, alle proteine e alle sue membrane costitutive) con alterazione della produzione cellulare di ATP e rilascio

(31)

31 ulteriore di metaboliti reattivi dell’ossigeno; la perossidazione lipidica delle membrane cellulari provoca necrosi cellulare, formazione della sostanza ialina di Mallory ed attivazione delle cellule epatiche stellate che sintetizzano collagene; le citochine pro-infiammatorie provocano apoptosi, chemiotassi leucocitaria, fenomeni di flogosi locale e quindi un ulteriore danno alla catena respiratoria mitocondriale. Un altro fattore scatenante del secondo “hit” è l’obesità, oggi considerata uno stato infiammatorio cronico.

2.6.3 Obesità: definizione e classificazione

In accordo con la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’obesità è una condizione caratterizzata da un eccesso di peso corporeo dovuto all’accumulo di tessuto adiposo; è una malattia cronica ad eziologia multifattoriale la cui prevalenza è in costante aumento e la cui presenza predispone all’insorgenza di diabte tipo 2, ipertensione arteriosa, malattie cardio-vascolari, alcuni tipi di cancro, malattie epato-biliari, osteo-articolari, respiratorie, dell’apparato riproduttivo e sindromi psichiatriche [40]. La distribuzione del tessuto adiposo in differenti depositi anatomici ha sostanziali implicazioni sulla morbilità.

In particolare il grasso viscerale addominale ha importanza metabolica maggiore del grasso sottocutaneo [41]. L’accumulo di grasso viscerale addominale può essere facilmente stimato misurando la circonferenza addominale, che lo riflette in modo sufficientemente accurato.

(32)

32 Tabella 4 Cut-Offs Circonferenza vita (WC) e rapporto vita-fianchi (WHR)

Circonferenza vita (cm) Rapporto vita-fianchi M F M F

NCEP (National Cholesterol Education Program; 2001) 102 88 - - NHLBI (Obesity Education Initiative Panel, 1998) 102 88 - - WHO/IASO/IOTF (classification for Asians, 2000) 90 80 - - IDF (for define metabolic sindrome; Intarnational Diabetes Federation, 2006)

Europids 94 80 - -

Asians (South Asians, Chinese) 90 80 - -

Japanese 90 80 - -

Ethnic South and Central Americans 94 80 - -

Sub-Saharan Africans 94 80 - -

Eastern Mediterranean and Middle East - -

Canadian Clinical Practice Guidelines (Lau et al. 2007)

Europids 94 80 - -

Asians (South Asians, Chinese) 90 80 - -

Japanese 85 90 - -

Ethnic South and Central Americans 90 80 - -

Sub-Saharan Africans 94 80 - -

Eastern Mediterranean and Middle East 94 80 - -

US Department of Agriculture and UD Department of Health and Human Service; 1990

(33)

33 Non esistendo metodi pratici e affidabili per misurare la massa grassa nella pratica clinica, la prevalenza dell’obesità nella popolazione è misurata attraverso l’Indice di Massa Corporea (IMC) o Body Mass Index (BMI), dato dal rapporto tra il peso del soggetto (espresso in kg) e il quadrato della sua altezza al quadrato (espressa in metri).

Tabella 5 Valori di BMI secondo l'OMS

Valore BMI Classificazione

< 16 Kg/m² Grave magrezza < 18,5 Kg/m² Sottopeso 18,5-24,9 Kg/m² Normopeso 25-29,9 Kg/m² Sovrappeso 30-34,9 Kg/m² Obesità 1° grado 35-39,9 Kg/m² Obesità 2° grado > 40 Kg/m² Obesità 3° grado

Il valore del BMI è comunque un valore indicativo poiché soggetti con uguale BMI possono avere composizione corporea diversa e l’impatto sul peso può essere dato da un eccesso di massa grassa o viceversa dalla presenza di massa muscolare. A seconda della distribuzione del grasso eccedente si possono distinguere:

o Obesità “androide”: a prevalente localizzazione addominale (viscerale) o Obesità “ginoide”: a prevalente localizzazione a livello di cosce e bacino o Obesità “mista”

Il tessuto adiposo è composto da due citotipi fondamentali: il tessuto adiposo bianco (considerato un deposito di molecole ad alta energia) e il tessuto adiposo bruno (deputato alla termogenesi); il bilancio energetico positivo determina un incremento del peso corporeo, inizialmente per iperplasia degli adipociti maturi presenti nel tessuto adiposo; una volta che queste cellule raggiungono un volume critico, con meccanismi ancora non noti, viene stimolata la differenziazione dei precursori ad adipociti maturi.

(34)

34 Il volume sembra avere un ruolo chiave nella funzione cellulare; così gli adipociti ipertrofici, che si rilevano più frquentemente nell’adipe viscerale, hanno una diversa espressione genica, sono meno sensibili agli effetti metabolici dell’insulina e hanno una maggiore attività lipolitica rispetto alle cellule più piccole [42].

L’eccessiva presenza di grasso viscerale si associa ad una diminuzione della concentrazione plasmatica di citochine insulino sensibilizzanti e anti infiammatorie e ad un’aumentata espressione di molecole che, al contrario, promuovono l’infiammazione: lo stato infiammatorio cronico è rilevato dall’aumento nel sangue circolante di svariati marker (PCR, IL6, MCP1, PAI-I, TNFα).

Inoltre, l’attivazione degli adipociti si associa all’aumento delle cellule infiammatorie, in particolare dei macrofagi residenti, che si differenziano in senso pro-infiammatorio. Il tessuto adiposo nell’obeso è caratterizzato da un processo infiammatorio: con il progressivo sviluppo dell’obesità vengono reclutati i monociti, i quali vengono attivati a macrofagi con un profilo infiammatorio. Il reclutamento è innescato da basse concentrazioni di TNFα, prodotte dagli adipociti, che stimolano i preadipociti a produrre

Monocyte Chemoattractant Protein (MCP1), prodotte anche dalle cellule endoteliali.

Successivamente i macrofagi infiammatori M1 a loro volta produrranno MCP1, auto-mantenendo il reclutamento dei monociti in un circolo vizioso.

Inizia quindi un processo angiogenetico che risulta inefficiente con conseguente ipossia ed eventi necrotici. Il processo infiammatorio, localizzato nel tessuto adiposo viscerale ma con ripercussioni sistemiche, è ritenuto un evento centrale nello sviluppo e progressione delle principali complicanze cliniche dell’obesità, tra cui appunto la NAFLD.

I meccanismi che nell’obesità innescano il processo infiammatorio, l’alterazione funzionale degli adipociti e la reazione infiammatoria-autoimmune, sono essenzialmente tre:

1. Reazione di all unfolding (malpiegamento) proteico che si sviluppa nel reticolo endoplasmatico a seguito dell’intensa sintesi proteica richiesta nell’adipocita ipertrofico

(35)

35 2. Condizione ipossica specifica del tessuto adiposo ipertrofico probabilmente legata ad un’insufficiente circolazione sanguigna; in questa condizione si attiva negli adipociti e nei macrofagi il fattore HIF-1° che da il via alla trascrizione di molti fattori finalizzati a ristabilire un adeguato apporto di ossigeno e nutrienti. Si ritiene comunque che la reazione all’evento ipossico non sia sufficiente a ristabilire la normale funzione del tessuto adiposo, per cui molte cellule vanno incontro a morte programmata o necrosi, che a loro volta stimolano l’infiammazione e innescano fenomeni autoimmuni

3. Reazione immunitaria di tipo adattativo: presenza di linfociti nel tessuto adiposo ipertrofico

Nei soggetti obesi si riscontra quindi un’alterazione della secrezione delle adipochine, in particolar modo una riduzione dei livelli di adiponectina e un aumento dei livelli di TNFα (Tumor Necrosis Factor), Leptina, Resistina, Visfatina, RBP (Retinol Binding

Protein), angiotensinogeno/ angiotensina II, 11βidrossisteroido deidrogenasi, mediatori

della flogosi e fattori della fase acuta.

2.7 NAFLD e Sindrome Metabolica

La Sindrome Metabolica (SM) è una condizione caratterizzata dalla contemporanea presenza nello stesso individuo di diversi disordini metabolici, ciascuno dei quali è di per sé un noto fattore di rischio cardio-vascolare (risultando dunque una condizione clinica ad alto rischio cardio-vascolare).

Le componenti prevalenti della SM sono: obesità viscerale, insulino resistenza, intolleranza glucidica (dagli stati di pre-diabete quali ridotta tolleranza glucidica (IGT) e alterata glicemia a digiuno (IFG) al diabete di tipo II vero e proprio), dislipidemia (intesa come presenza di ipercolesterolemia o ipertrigliceridemia, oppure entrambe) ed ipertensione.

(36)

36 Ci sono diversi criteri per la definizione di SM. Attualmente quelli più utilizzati sono quelli dell’Adult Treatment Panel III (ATP III) (Expert Panel on Detection, Evaluation,

and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults, 2001) e dell’International Diabetes Federation (2005).

Secondo l’ATP III, la SM viene diagnosticata quando un soggetto presenta 3 o più dei seguenti fattori di rischio: obesità addominale (Circonferenza Vita ≥ 102 cm per gli uomini; ≥ 88 cm per le donne), trigliceridemia ≥ 150 mg/dl, colesterolo HDL < 40 mg/dl per gli uomini e < 50 mg/dl per le donne), alterata glicemia a digiuno (≥ 110 mg/dl) e pressione arteriosa ≥ 130/85 mmHg.

Con le linee guida dell’IDF, invece, si pone l’accento sull’obesità centrale, definita come una Circonferenza Vita superiore o uguale a 94 cm negli uomini e ad 80 cm nelle donne, per la razza caucasica, con valori diversi in base al gruppo etnico e al sesso. Con questa definizione l’obesità centrale diviene un criterio imprescindibile per fare diagnosi, insieme alla presenza di almeno due dei seguenti fattori di rischio cardio-vascolari: trigliceridemia ≥ 150 mg/dl, colesterolo HDL < 40 mg/dl negli uomini e < 50 mg/dl nelle donne, pressione arteriosa ≥ 130/85 mmHg e glicemia a digiuno ≥ 100 mg/dl.

Figura 6 Criteri per diagnosi di Sindrome Metabolica secondo OMS, NCEP-ATP III ed IDF (Fiocca L. et al. “La

Riferimenti

Documenti correlati

Computed tomographic colonography (CTC) is increasingly used as a relatively non-invasive method of colonic investigation both for colorectal cancer (CRC) screening [1–3] and

Based on the above studies, we found that according to its antagonist role, ketanserin has a dramatic effect on significantly reducing muscle activity of both pumps P4 and P5, thus

Here we conduct a mini screen exploring systematically the contribution of individual BCL2 family proteins at single cell resolution to death on extended mitotic arrest, and

In riferimento all’associazione tra NAFLD e aumentata preva- lenza di malattia cardiovascolare clinicamente manifesta, il nostro gruppo ha dimostrato, in circa 3000 diabetici di tipo

To estimate the systematic uncertainty for this requirement, the efficiency of this criterion is determined for data and MC events for each transition by fitting the photon

Polarization singularities manifesting at the center of such beams are unstable and transform into multiple C-points with equal topological charge ± 1/2, the low- est

Our data show that primary fibroblasts har- vested from sensitized mice displayed an increased proliferation rate ( Fig. 5 A) as well as increased expression of ␣-SMA ( Fig. 5 B and