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Il dolore postoperatorio cronico nel paziente sottoposto ad intervento di ernioplastica inguinale.

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Academic year: 2021

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Introduzione

L’ernia inguinale è un patologia molto frequente nella popolazione e rappresenta il 90% delle ernie addominali (1).

In Italia si calcola che colpisca 15 abitanti su 1000 (2) e nell’86% dei casi il sesso maschile (1), mentre in Francia la prevalenza calcolata è di 36 casi per 1000 maschi (3). Gli interventi eseguiti negli Stati Uniti sono invece 2800 per milione di abitante (4).

Ciò spiega il notevole interesse che tale patologia ha sempre suscitato nel medico.

Abbandonate ormai le terapie conservative, l’ernia inguinale è ad indicazione chirurgica.

A partire dalla tecnica di Edoardo Bassini, che per primo descrisse in modo chiaro l’intervento di riparazione del difetto erniario, negli anni si sono sviluppate numerose tecniche chirurgiche. Una delle tecniche maggiormente eseguite è quella di Lichtenstein, definita tension-free, con posizionamento di un mesh.

Le complicanze postoperatorie, dopo intervento di ernioplastica, possono essere distinte in precoci e tardive. Le prime sono rappresentate da: ecchimosi, sieromi, ematomi, ridotta sensibilità a livello inguinale, ritenzione urinaria e stipsi. Le complicanze tardive sono, invece, l’atrofia testicolare, le disfunzioni sessuali, il dolore postoperatorio cronico e, naturalmente, lo sviluppo di recidive.

La riduzione dell’incidenza delle recidive ha spostato l’interesse del chirurgo sull’incidenza delle complicanze come parametro per la valutazione dell’efficacia dell’intervento di ernioplastica. In particolare, notevole interesse è rivolto allo sviluppo del dolore postoperatorio

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cronico, in quanto può essere invalidante per il paziente anche nelle attività quotidiane.

Nel nostro studio si sono analizzati gli interventi eseguiti al Presidio del Day Surgery dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana nel periodo compreso tra l’ottobre del 2001 e l’ottobre del 2004.

I pazienti sono stati intervistati telefonicamente utilizzando un questionario, parzialmente a scelta multipla, dal quale abbiamo ottenuto una valutazione dell’incidenza delle complicanze postoperatorie sia precoci che tardive. Tra queste ultime, il dolore postoperatorio cronico è stato da noi definito come un dolore lamentato dal paziente “sempre” con un follow-up minimo di 2 anni.

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Capitolo 1

Generalità

1.1 Cenni di anatomia

Con il termine ernia si definisce la fuoriuscita di un viscere, o parte di esso, dalla cavità in cui è normalmente contenuto attraverso un orifizio o un canale naturale. Le ernie più frequenti sono quelle addominali che si sviluppano nella regione inguinale, a questo livello infatti il canale inguinale può rappresentare una zona di ridotta resistenza. Questo ha un decorso diretto in senso postero-anteriore, in basso e medialmente, ed è delimitato:

− superiormente dai muscoli obliquo interno e trasverso, − posteriormente dalla fascia trasversalis,

− anteriormente dall’aponeurosi del muscolo obliquo esterno, − inferiormente dal legamento inguinale.

Nell’uomo dà passaggio al funicolo spermatico e nella donna al legamento rotondo.

Il cordone spermatico è costituito da:

− arteria spermatica esterna o cremasterica, ramo dell’arteria epigastrica inferiore,

− arteria spermatica interna o testicolare, ramo dell’aorta, − arteria deferenziale, ramo dell’arteria vescicale inferiore, − dotto deferente,

− vena cremasterica, − vena spermatica, − vena referenziale, − nervo ilio-ingiunale,

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− branca genitale del nervo genito-femorale.

Nella donna il legamento rotondo rappresenta l’omologo del gubernaculum testis e non del funicolo spermatico. Il gubernaculum dà origine sia al legamento rotondo che a quello ovarico. Entrambi si portano lateralmente all’utero subìto al di sotto delle tube di Falloppio.

A differenza del cordone spermatico però, se necessario, il legamento rotondo può essere sezionato senza avere conseguenze.

Gli elementi costitutivi di un’ernia sono rappresentati dalla porta erniaria, ovvero dall’orifizio dal quale fuoriesce il viscere, dal sacco erniario, costituito dal peritoneo e dal contenuto erniato; nel caso delle ernie inguinali si tratta per lo più di anse del tenue.

Si distinguono tre tipi di ernie inguinali:

− l’ernia obliqua esterna che protrude dalla fossetta laterale, corrispondente all’anello inguinale interno lateralmente ai vasi epigastrici inferiori;

− l’ernia diretta che protrude dalla fossetta inguinale media delimitata lateralmente dai vasi epigastrici inferiori e medialmente dal residuo dell’arteria ombelicale;

− l’ernia obliqua interna che protrude dalla fossetta inguinale interna delimitata dal residuo dall’arteria ombelicale e quello dell’uraco. Quest’ultimo tipo è però raro perché la fossetta è rinforzata dal tendine congiunto.

Si definisce inoltre ernia a pantalone quando sono presenti 2 sacchi erniari uno lateralmente e uno medialmente ai vasi epigastrici inferiori.

I fattori che favoriscono lo sviluppo di un’ernia inguinale sono rappresentati: da tutte le condizioni in cui si ha un aumento della pressione endoaddominale come sforzi, gravidanza, insufficienza

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parete addominale e, negli uomini, la pervietà del dotto peritoneo-vaginale.

La presenza di quest’ultimo fattore ci permette di distinguere le ernie inguinali congenite da quelle acquisite.

Le fibre nervose che percorrono la regione inguinale prendono origine dal plesso lombare, costituito dai rami anteriori del 1°, 2°, 3° e parte del 4° nervo lombare e vanno a formare il nervo ilio-inguinale, il nervo ilio-ipogastrico e il nervo genito-femorale.

Figura 1 Nervi della regione inguinale: 1) nervo ipogastrico; 2) nervo ilio-inguinale; 3) branca genitale del nervo genito-femorale.

(Fonte: R. Bendavid et al., Abdominal wall hernias, Sprinter-Verlag 2001).

Il nervo ilio-ipogastrico ha sia fibre motorie che sensitive e nasce dalla radice anteriore del 1° nervo lombare. Si dirige obliquamente in basso e in fuori al davanti del muscolo quadrato dei lombi, poi anteriormente e

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quindi si impegna tra i muscoli trasverso ed obliquo interno. Poco sopra il legamento inguinale si divide in una branca genitale e una cutanea anteriore. La prima attraversa il canale inguinale e innerva la cute dei genitali esterni. La seconda, invece, procede verso il muscolo retto dell’addome, passando tra i muscoli obliqui e si ramifica nella cute della regione ipogastrica. Durante il suo percorso dà anche rami motori che innervano i muscoli obliqui, il muscolo retto e il muscolo trasverso dell’addome e il muscolo piramidale.

Anche il nervo ilio-inguinale è un nervo misto e prende origine dalla 1° radice anteriore. Decorre al di sotto del nervo ilio-ipogastrico e, giunto in prossimità della spina iliaca antero-superiore, si divide in due rami. Quello genitale si porta nel canale inguinale accollandosi al funicolo spermatico nell’uomo e al legamento rotondo nella donna. Uscito dall’anello inguinale esterno dà rami cutanei per la faccia mediale della coscia e rami scrotali (o labiali) che si distribuiscono alle parti anteriori dello scroto (o del grande labbro). Il ramo più sottile di divisione del nervo ilio-inguinale continua la direzione del tronco principale facendosi strada tra i muscoli della parete addominale e termina come nervo cutaneo della regione ipogastrica. Il nervo ilio-inguinale emette rami collaterali: muscolari per la parete addominale e un ramo cutaneo laterale che si distribuisce alla cute della natica.

Il nervo genito-femorale, infine, è costituito dal ramo anteriore del 1° e 2° nervo lombare ed è un nervo misto. Dall’origine esso scende in basso e in avanti, attraversando obliquamente il muscolo grande psoas, di cui raggiunge la superficie anteriore all’altezza della IV vertebra lombare. Continua verso il basso e dà due rami: genitale e femorale a livello del legamento inguinale. Il ramo genitale penetra nel canale inguinale attraverso l’orifizio interno, lo percorre e, giunto a livello dell’anello

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labbro. Lungo il suo percorso dà rami motori per il muscolo cremastere. Il ramo femorale, invece, affianca l’arteria iliaca esterna e, con essa, passa per la lacuna dei vasi. Giunta nella regione inguino-femorale si fa sottocutaneo passando per uno dei fori della fascia cribrosa e si risolve in rami per la cute della regione antero superiore della coscia.

1.2 Cenni storici

L’ernia inguinale è una patologia molto frequente nella popolazione ed ha una maggiore incidenza negli uomini. L’intervento terapeutico è sempre stato quindi di interesse primario per il medico. Il primo a codificare in modo chiaro la terapia chirurgica è stato nel 1884 Edoardo Bassini. Negli anni successivi si svilupparono numerose tecniche alternative che, pur mantenendo i principi di base, cercavano di risolvere il problema fondamentale dell’alto tasso di recidive, circa il 35%.

La tecnica, secondo Bassini, prevede l’apertura del canale inguinale mediante l’incisione dell’aponeurosi del muscolo obliquo esterno, l’isolamento del funicolo spermatico con sezione longitudinale del muscolo cremastere. Viene poi aperta la fascia trasversalis dall’anello inguinale interno al tubercolo pubico, facendo particolare attenzione a non ledere i vasi epigastrici inferiori.

Il sacco erniario viene aperto, ispezionato, in modo da individuare il viscere erniato. Questo viene liberato dalle aderenze e ridotto. Il sacco erniario viene suturato a livello del colletto e resecato in modo da rientrare nello spazio preperitoneale.

La chiusura della soluzione di continuo attraverso cui fuoriesce l’ernia è ottenuta con la giustapposizione di strutture normalmente separate. Infatti, secondo la tecnica di Bassini, si sutura con punti staccati il muscolo obliquo interno e la fascia trasversalis con il legamento inguinale,

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sviluppando in questo modo un’elevata tensione delle strutture muscolo-tendinee (5).

Anche nelle tecniche che successivamente si svilupparono, l’efficacia del trattamento viene affidata alla tenuta delle sutura. La tecnica di Shouldice, ad esempio, prevede una prima duplice sutura della fascia trasversalis, dal tubercolo pubico all’anello inguinale interno, ed una seconda duplice sutura del margine inferiore del muscolo obliquo interno e trasverso con il legamento inguinale (6).

L’alto tasso di recidive, il prolungato dolore postoperatorio ed il lungo ricovero hanno condotto allo sviluppo di tecniche tension-free con posizionamento di mesh.

Lichtenstein, negli anni ’80, descrisse per primo la tecnica in cui veniva utilizzato un mesh, posto al di dietro del funicolo spermatico e fissato in alto all’aponeurosi del muscolo obliquo interno con punti staccati ed, in basso, al legamento inguinale con sutura continua (7).

Anche in questo caso furono proposte numerose varianti ed alcune di esse prevedono il posizionamento del mesh dietro la fascia trasversalis nello spazio preperitoneale sia in open che per via laparoscopica. Con queste tecniche, però, è necessaria una dissezione importante dello spazio preperitoneale.

Le tecniche chirurgiche sviluppate sono quindi raggruppabili in: − tecniche con giustapposizione dei tessuti (Bassini, Shouldice, …), − tecniche tension-free con mesh davanti alla fascia trasversalis;

− tecniche tension-free con mesh dietro alla fascia trasversalis sia open che in laparoscopia.

Di queste, quelle attualmente eseguite sono: la tecnica open con mesh al davanti della fascia trasversalis e la tecnica laparoscopica con mesh nello

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spazio preperitoneale. In entrambi i casi si ottiene una percentuale di recidive attorno all’1%.

Proprio questa bassa incidenza, ha fatto assumere importanza alle complicanze postoperatorie, come parametro per la valutazione della riuscita dell’intervento chirurgico.

Tra le complicanze a lungo termine il dolore postoperatorio cronico ha una rilevanza clinica importante. Infatti, il suo sviluppo, dopo intervento di ernioplastica, può essere un grave handicap per il paziente, creando notevoli problemi sia nella vita quotidiana che in quella lavorativa.

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Capitolo 2

Percorso del Day Surgery

2.1 Tecnica anestesiologica

I pazienti risultati idonei alla visita chirurgica per intervento di ernioplastica inguinale sono successivamente valutati dal medico anestesista che esprime il giudizio di idoneità al percorso in Day Surgery.

I criteri di amissione adottati sono di due tipi: clinici e sociali. I pazienti ammessi rispondono ai seguenti criteri clinici:

− Classe ASA I, II, ma anche III, purché clinicamente stabili, indipendentemente dall’età, che non è considerato criterio di controindicazione assoluta. Generalmente sono escluse le età estreme: meno di 6 mesi e oltre i 90 anni, perché il ripristino della fine motilità e delle funzioni cognitive è più lento nei pazienti anziani dopo anestesia generale o locale con sedazione, mentre i neonati pretermine (meno di 38 settimane) e i bambini di età inferiore a 6 mesi presentano un aumentato rischio di complicazioni respiratorie postoperatorie.

− Classe Goldman I, II e anche III purché clinicamente stabili ed emodinamicamente compensati.

− Obesi con BMI <30

− BPCO lievi-medi, con SaO2 in aria non inferiore a 92% e pazienti non affetti da turbe respiratorie, quali apnee notturne di durata superiore ai 30″ e con valori di SaO2 <90%.

− Diabete mellito compensato, insulino dipendente e non. − Pazienti con I.R.A. compensata.

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Secondo i criteri sociali, invece, per essere ammesso al Presidio del Day Surgery dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana il paziente deve:

− comprendere, accettare ed osservare il regime di ricovero proposto e le prescrizioni mediche;

− disporre di una persona adulta e responsabile, tutore, che lo assista per un adeguato periodo dopo la dimissione;

− pernottare la notte successiva alla dimissione in un luogo che non disti più di un’ora dall’ospedale;

− essere in grado di comunicare telefonicamente con gli operatori dedicati, in qualsiasi momento.

L’idoneità del paziente all’intervento è formulata dopo un’attenta anamnesi, l’esame obiettivo ed eventuali esami diagnostici specifici richiesti dopo la valutazione fisica sulla base di una griglia prestabilita, differente in base al tipo di anestesia prescelto.

Inizialmente si indagano le malattie dell’infanzia, la presenza di precedenti anestesie con eventuali effetti avversi, patologie cardiovascolari, respiratorie, epatiche, ipertensione e diabete.

Particolare importanza ha il reperto di allergia a farmaci, alimenti, allergeni ambientali, nonché al lattice. In quest’ultimo caso sarà utilizzato un particolare protocollo aziendale. Occorre inoltre distinguere se l’allergia è documentata o meno e se si riferisce ai farmaci che verranno utilizzati, in modo tale da sostituirli o richiedere una consulenza all’allergologo.

Durante l’esame obiettivo, l’anestesista, provvederà anche a rilevare gli indici per l’eventuale intubazione orotracheale o il posizionamento di una MLA.

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Se il paziente sarà sottoposto ad anestesia locale, le procedure anestesiologiche prevedono quanto segue: l’anestesista prende in carico il paziente in corsia 30 minuti prima dell’intervento chirurgico, provvede alla revisione della cartella anestesiologica e alla somministrazione della preanestesia, costituita, salvo controindicazioni o indicazioni specifiche, da Diazepam gtt. 0,1 mg/kg, con riduzione della dose del 10% per decade dai 20 aa in poi.

In caso di lieve diatesi allergica si sostituisce il Diazepam con la Promazina 50 mg i.m..

Scopo della preanestesia è, tra l’altro, quello di ridurre l’ansia che, associata al dolore, può stimolare riflessi vasomotori con nausea, bradicardia, caduta della pressione arteriosa fino alla sincope (4).

Al termine il paziente è accompagnato nella sala di preparazione, situata in una zona sufficientemente tranquilla, contigua alla sala operatoria. Si effettua l’incannulamento di una vena periferica con agocannula di ∅ non inferiore a 18G, attraverso la quale, in sala operatoria, si somministrano i farmaci per la sedazione, cioè Remifentanil a 0,06-0,1 microg/kg/h e Midazolan 0,025 mg in base al peso e allo stato ansioso del paziente. Inoltre si somministra la profilassi antibiotica, generalmente costituita dall’associazione di amoxicillina e acido clavulonico.

È consigliabile, inoltre, che il chirurgo o l’anestesista parli con il paziente, descrivendo le procedure che verranno eseguite in modo da distrarlo, riducendo lo stress e la paura del dolore (1).

Il paziente sarà monitorizzato per tutta la durata dell’intervento con: − ECG a tre derivazioni,

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Sarà compito del chirurgo iniettare l’anestetico locale che blocca transitoriamente la sensibilità dolorifica. Allo scopo è generalmente utilizzata una miscela costituita da:

− 10 ml di naropina 7,5%, − 10 ml lidocaina 2%,

− 10 ml di soluzione fisiologica.

La somministrazione avviene “per strati” con il passaggio dai piani più superficiali a quelli più profondi, considerando anche la sensibilità dolorifica del paziente.

La prevenzione del dolore postoperatorio inizia già in camera, con la somministrazione di FANS ogni 6-8 ore e continua a casa con l’applicazione del protocollo “dall’ospedale a casa senza dolore”. Questo è stato istituito con Delibera Regionale 135/2002 allo scopo di migliorare l’integrazione ospedale/territorio e facilitare l’accesso alla terapia. Obiettivo principale quello di fornire farmaci analgesici a pazienti in dimissione dopo intervento di Day Surgery, con prescrizione del medico specialista di reparto ed erogazione diretta da parte della struttura ospedaliera, al fine di fornire un miglior servizio al paziente, evitando di: − ottenere la prescrizione dal Medico di Medicina Generale;

− procurarsi il farmaco necessario presso una Farmacia convenzionata. Sono prescritti Nimesulide 80 mg 3 volte al giorno, sostituito da Acetamol 1000 mg in caso di allergia, oppure Oki 80 mg 2 volte al giorno.

Non è sempre possibile sottoporre il paziente, candidato ad ernioplastica, ad anestesia locale. Esistono infatti dei criteri di esclusione quali (1):

− ernie di grosse dimensioni non riducibili, − pazienti con problemi psichiatrici,

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− pazienti non collaboranti, − pazienti obesi.

In questi casi è preferibile l’anestesia generale con una sostanziale differenza di protocollo.

Già alla premedicazione al Diazepam è aggiunta, quando non controindicata, l’Atropina.

Nel soggetto atopico viene applicato il protocollo antiallergico che prevede la somministrazione di:

− delta cortene forte 50 mg13, 7 e 1 ora prima dell’intervento, − atropina 0,5 mg,

− promazina 50 mg, − 2 puffs ventolin.

Nella successiva fase di induzione vengono somministrati: − Propofol 2% 2 mg/kg;

− Remifentanil a 0,8 micro/kg/h.

In questa fase è somministrata l’associazione di dolasetron metilato 12,5 mg, nel primo liquido infuso e desametasone 8 mg in bolo a scopo antiemetico, seguita dalla profilassi antibiotica.

L’anestesista può così procedere, preferibilmente, al posizionamento della maschera laringea o, se necessario, all’intubazione.

Per il mantenimento sono somministrati con aggiustamenti in base alle variazioni emodinamiche:

− Propofol 2% 2-4 mg/kg/h, − Remifentanil 0,25 micro/kg, − miscela di aria e O2 al 50%.

Per quanto riguarda il controllo del dolore postoperatorio, in caso di anestesia generale, è somministrata Morfina 0,05 mg/kg e Ketorolac 30

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mg/kg 30 minuti prima della fine dell’intervento. Successivamente sarà applicato il consueto protocollo “dall’ospedale a casa senza dolore”.

In rari casi il paziente viene sottoposto ad anestesia locoregionale in cui l’anestetico locale viene iniettato nello spazio subaracnoiedo, mescolandosi al liquor cerebrospinale e può essere associata o meno alla sedazione.

L’anestetico utilizzato è la Marcaina 10-12 mg all’1%. Anche in questa procedura viene seguito lo stesso iter riportato per l’anestesia locale con somministrazione della preanestesia 30 minuti prima dell’intervento seguita dalla profilassi antibiotica e, eventualmente, dalla sedazione.

Il paziente può assumere, in base all’esperienza del medico anestesista, due diverse posizioni:

− il paziente seduto direttamente sul letto operatorio, le ginocchia fuori dal bordo, piegate a 90º, i piedi su uno sgabello, cuscino arrotolato trattenuto dalle braccia conserte in grembo, spalle rilassate e testa verso il basso;

− il paziente in posizione sul fianco destro o sinistro, sul letto operatorio assume atteggiamento fetale, con gambe e cosce flesse verso il petto, testa flessa verso il giugolo, spalle e tronco perpendicolari al piano di appoggio.

In queste posizioni viene favorita l’apertura degli interspazi vertebrali. L’infermiere si posiziona davanti al paziente, mentre il medico anestesista, posto dietro, procede ad effettuare la pratica anestesiologica.

La via più comune è quella mediana nello spazio fra l’emergenza tra due apofisi spinose: l’ago apposito dovrà superare cute, sottocute, piano muscolare, legamento sopra e interspinosi, legamento giallo, spazio perdurale e dura madre, a cui è legata l’aracnoide. Il superamento del legamento giallo è apprezzabile da una riduzione di resistenza. L’arrivo

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nello spazio subaracnoideo è segnalato dalla fuoriuscita di liquor dall’ago. L’ago è inserito a livello L3-L4 al di sotto del midollo spinale. È il primo interspazio al di sotto della linea immaginaria che collega le creste iliache postero-superiori.

Il medico anestesista provvederà a disinfettare e medicare il punto di introduzione dell’ago.

Anche in questa procedura il paziente viene monitorizzato attraverso: − ECG a tre derivazioni,

− saturimetro, − PA ogni 5 minuti.

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2.2 Tecnica chirurgica

La tecnica chirurgica utilizzata al Presidio del Day Surgery dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana rientra nelle tecniche open con posizionamento di mesh e può, pertanto, essere definita come una Lichtenstein modificata. L’iniziale fase di apertura del canale inguinale è comune a tutte le tecniche open.

Con il paziente sottoposto preferenzialmente ad anestesia monitorizzata, si procede all’incisione della cute dopo iniezione di anestetico locale, seguendo la linea parallela a quella che unisce la spina iliaca superiore al tubercolo pubico, ma posta circa 2 cm inferiormente.

Successivamente viene dissecato il tessuto sottocutaneo mettendo in evidenza l’aponeurosi del muscolo obliquo esterno. È possibile che sia necessario, durante tale manovra, isolare, sezionare e legare i vasi epigastrici superficiali.

L’aponeurosi dell’obliquo esterno viene incisa, seguendo la direzione delle fibre, dall’alto in basso con apertura dell’anello inguinale esterno, mettendo in evidenza il funicolo spermatico rivestito dal muscolo cremastere.

Compaiono così:

− mediamente i muscoli trasverso e obliquo interno che si uniscono nel legamento congiunto;

− posteriormente la fascia trasversalis; − lateralmente il legamento inguinale; − in alto l’anello inguinale interno.

Il lembo superiore viene staccato dai sottostanti muscoli obliquo interno e traverso per qualche centimetro, mentre quello inferiore viene separato dal funicolo spermatico.

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Questa manovra non comporta importanti sanguinamenti, in quanto segue un piano di clivaggio naturale e ha 2 effetti importanti:

− determina lo spazio necessario per il posizionamento del mesh, − permette di individuare il nervo ilio-ipogastrico (8).

Questo, infatti, è normalmente adeso alla porzione inferiore dell’aponeurosi del muscolo obliquo esterno e, la sua protezione, è essenziale per la prevenzione del dolore cronico.

Per questa ragione anche il nervo ilio-inguinale deve essere individuato al di sopra del funicolo spermatico, mentre la branca del nervo genito femorale decorre nel muscolo cremastere (7).

Si procede alla sezione del muscolo cremastere, seguendone la direzione delle fibre in modo da separarlo dal funicolo spermatico.

Successivamente viene aperta la fascia spermatica di dipendenza della trasversalis, per individuare il sacco erniario. Non sempre questo è agevole, in quanto possono essersi formate delle aderenze e può, quindi, essere d’aiuto far tossire o far compiere la manovra di Valsalva al paziente.

In caso di ernia indiretta, il sacco erniario viene liberato dagli elementi del funicolo fino all’anello inguinale interno. Si può, così, ridurre l’ernia in cavità addominale. Tale manovra può essere contrastata dal paziente che può contrarre l’addome a causa della tensione nervosa oppure per la paura di provare dolore.

Il lipoma preerniario, quando presente, viene isolato e ridotto in cavità addominale, se di piccole dimensioni, altrimenti viene resecato in quanto potrebbe favorire la fuoriuscita dell’ernia.

Il sacco erniario non viene né aperto né resecato, senza che ciò aumenti il rischio di recidive (9). Inoltre è stato dimostrato che la legatura del sacco peritoneale può essere la causa del dolore postoperatorio (10).

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Si procede, quindi, alla duplicazione della fascia trasversalis, suturando il muscolo obliquo interno con il legamento inguinale attraverso una sutura continua non riassorbile con prolene 3-0, facendo attenzione a non porre le strutture in tensione.

Nel caso di un difetto della parete posteriore e, quindi, di un ernia diretta, prima di far ciò viene attentamente esplorata la regione per escludere una contemporanea componente indiretta.

In alcuni casi, infatti, si può presentare un’ernia a pantalone ovvero un’ernia con un sacco erniario indiretto e uno diretto.

Con la duplicazione si è ottenuto un piano regolare su cui posizionare il mesh di prolene.

L’utilizzo di materiale protesico non riassorbibile, proposto inizialmente da Usher, favorisce e stimola la reazione fibroblastica del soggetto. In questo modo la protesi stessa verrà inglobata nel tessuto cicatriziale occludendo il difetto della parete, rinforzandola (7).

Il mesh utilizzato nel Presidio del Day Surgery dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana è una rete di polipropilene più frequentemente presagomata con un’apertura per far alloggiare il funicolo spermatico. Sarà il medico chirurgo a scegliere tra le due diverse misure disponibili in base alla distanza tra il tubercolo pubico e l’anello inguinale interno.

In alcuni casi, per i pazienti particolarmente giovani, viene posizionata una rete parzialmente riassorbibile.

Il mesh viene collocato al davanti della fascia trasversalis e fissato, con un punto non riassorbibile di prolene 3-0, al periostio del tubercolo pubico mentre, con un altro punto, si uniscono le code dietro il funicolo stesso all’altezza dell’anello inguinale interno.

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riassorbibile e con 3 punti staccati al muscolo obliquo interno e alla fascia del muscolo retto (7, 5).

Per ricreare la naturale anatomia del canale inguinale si sutura l’aponeurosi del muscolo obliquo esterno con filo non riassorbibile di prolene 3-0, mantenendo il funicolo al di sotto di essa. Infine si procede alla sutura con punti staccati riassorbibili del tessuto sottocutaneo e alla sutura intradermica, sempre riassorbibile.

Per tutta la durata dell’intervento, l’equipe chirurgica pone particolare attenzione ad identificare e proteggere i nervi ilio-inguinale ed ilioipogastrico e la branca del nervo genitofemorale in modo da ridurre il rischio di insorgenza del dolore postoperatorio cronico, che protrebbe invalidare il paziente nella vita quotidiana.

2.3 Il post-operatorio

Il paziente viene dimesso dal Presidio del Day Surgery dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana con tutte le indicazioni necessarie per una serena convalescenza sulla base di alcuni criteri clinici definiti “criteri di dimissione”, quali: recupero dell’orientamento spazio-temporale; recupero della stabilità cardiocircolatoria; recupero dei riflessi di protezione delle vie aeree; capacità deambulatoria (o di eseguire movimenti sovrapponibili a quelli effettuati nel preoperatorio e consentiti dal tipo di intervento); minima sensazione di nausea e vomito; dolore lieve/moderato; funzione respiratoria normale; normale colorito della cute; minzione spontanea; capacità di assumere liquidi; controllo e medicazione della ferita; assenza di sanguinamento; istruzioni post-operatorie; lettera di dimissione per il curante; prenotazione dei controlli postoperatori; presenza di accompagnatore; presenza di assistenza responsabile a domicilio.

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Oltre alla consegna dei farmaci, previsti dal protocollo “dall’ospedale a casa senza dolore”, al paziente viene consigliato di medicare la ferita a giorni alterni con acqua ossigenata fino alla successiva visita di controllo, solitamente effettuata circa 10 giorni dopo la dimissione, in modo tale da controllare il processo di guarigione della ferita e la presenza di complicanze precoci come ematomi, sierosi, infezioni, ecc.. e, naturalmente, l’eventuale presenza e persistenza del dolore. Se questo è presente, ne verrà valutata l’intensità, la qualità, la frequenza e se impedisce o meno le attività quotidiane.

Il medico chirurgo cercherà di individuare anche la natura del dolore ovvero di capire se questo deriva da un coinvolgimento dei nervi della zona inguinale. In questo caso il paziente viene indirizzato all’unità ospedaliera per una valutazione e, se necessario, per la terapia antalgica.

Al momento della dimissione il paziente viene comunque invitato a rivolgersi alla struttura per qualsiasi problema.

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Capitolo 3

Complicanze postoperatorie

3.1 Il dolore cronico

Il dolore postoperatorio, normalmente, recede dopo poche settimane dall’intervento. In alcuni casi, però, può perdurare anche per mesi o addirittura anni, diventando fortemente invalidante per il paziente (1).

Esistono molti studi in letteratura; alcuni autori ne indicano l’incidenza, dopo intervento di ernioplastica, tra il 2% e il 7% (11), mentre altri riportano tra 0% e 37% (12) e altri ancora tra 1-2% (13).

Il dolore cronico inguinale viene generalmente distinto in tre tipi: somatico, viscerale e neuropatico (14). Il primo è localizzato a livello del tubercolo pubico dove il periostio può risultare danneggiato dalla sutura che fissa il materiale protesico. Il dolore viscerale si presenta come un dolore al momento dell’eiaculazione o come dolore cronico al testicolo e potrebbe essere causato da un coinvolgimento del dotto spermatico. Il dolore neuropatico è invece causato dal danneggiamento dei nervi.

Chevrel e Gatt ne descrissero, 4 tipi (15):

1. Il dolore da neuroma: è il più comune ed è causato dalla proliferazione delle fibre, al di fuori del neurolemma, dopo completa o parziale sezione del nervo.

2. Il dolore da deafferenzazione: nasce dopo completa o parziale sezione delle fibre nervose o dopo un loro coinvolgimento in una legatura con croniche parossistiche riaesacerbazioni. Inizialmente abbiamo un’area di anestesia seguita da una adiacente area di iperestesia, sostituite poi da iperestesia e disestesia al contatto presenti in tutto il dermatomero.

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3. Il dolore proiettato: in questo caso il nervo è intatto ma coinvolto in una legatura e il dolore è scatenato anche da un leggero stimolo tattile.

4. Il dolore riferito: la lesione è a distanza, come un granuloma infiammatorio attorno a una sutura o al sacco erniario.

Il dolore postoperatorio cronico inguinale può essere, quindi, la conseguenza di un’alterazione diretta dei nervi della regione inguinale: ilio-inguinale, ilioipogastrico e della branca femorale del nervo genitofemorale in quanto possono essere legati, coagulati, posti in tensione e parzialmente sezionati con la possibile formazione di un neuroma. Questo può formarsi anche per il danno provocato dal continuo contatto del nervo con il mesh. È possibile, inoltre, che un nervo rimanga nelle maglie della rete protesica o che questa stimoli, come corpo estraneo, un’intensa risposta infiammatoria con la formazione di tessuti fibrosi che possono intrappolare o comprimere il nervo (16).

Soprattutto il nervo ilio-inguinale può ostacolare il posizionamento del mesh e risultare quindi danneggiato in tale manovra.

Negli anni ‘90 è stato riscontrato un aumento nella frequenza del dolore cronico e, alcuni autori, lo hanno imputato proprio ad un maggior utilizzo di mesh nell’intervento di ernioplastica (17).

Clinicamente si distinguono la nevralgia dei nervi inguinale e ilio-ipogastrico e la nevralgia del genito-femorale descritte, per la prima volta, da Magee (18) e da Lyon (19).

La nevralgia ilio-inguinale è caratterizzata da:

− dolore definito come una coltellata pungente che, dalla regione inguinale, si irradia alla coscia e al tubercolo pubico;

(25)

− il trigger point è situato medialmente e inferiormente alla spina iliaca antero-superiore.

Nel caso del nervo ilioipogastrico, invece, il dolore è localizzato al di sopra del pube mentre il trigger point si trova al di sopra del punto medio del legante inguinale.

Infine, nella sindrome genitofemorale, il dolore si sviluppa molto più medialmente e il trigger point è in corrispondenza dell’anello inguinale esterno.

La differenziazione delle diverse sindromi è particolarmente difficile in quanto

− il nervo ilio-inguinale e quello genitofemorale inviano rami sensitivi alla radice della coscia e alla superficie laterale dello scroto o alle grandi labbra (20),

− le fibre dell’ilio-inguinale hanno un percorso fortemente variabile e possono anche costituire una branca degli altri due nervi.

La diagnosi di dolore postoperatorio cronico di origine neuropatica viene fatta attraverso la storia clinica del paziente e un suo attento esame. Per la diagnosi differenziale può essere utile il blocco dei nervi attraverso iniezione di anestetico locale. Questo test è limitato, però, dalla difficoltà nel reperire la branca genitale del nervo genitofemorale.

In alcuni pazienti può essere usato il blocco paravertebrale delle radici nervose che danno origine al plesso lombare, dal quale si formano i tre nervi.

(26)

3.2 Trattamento del dolore cronico

Sono molte le terapie, sia chirurgiche che mediche, proposte per il trattamento del dolore cronico dopo l’intervento di ernioplastica, ma nessuna garantisce una percentuale di riuscita soddisfacente (21).

Per un corretto approccio terapeutico è importante comunque distinguere se il dolore è dovuto al danno tessutale o se deriva da un trauma ai nervi.

Secondo P.J. O’Dwyer e M.G. Serpell le terapie mediche possono essere raggruppate in 4 classi: fisiche, farmacologiche, con blocco dei nervi e psicologiche (22).

Tra le prime possiamo ritrovare, ad esempio, l’agopuntura e la stimolazione nervosa transcutanea. Sono terapie semplici, non costose, con pochi rischi e per questo accettate dai pazienti. L’agopuntura agisce stimolando la secrezione endogena degli oppioidi. La stimolazione transcutanea potrebbe avere lo stesso meccanismo, oppure, potrebbe inibire i neuroni nocicettivi attraverso la stimolazione dei meccanocettori.

Un altro trattamento fisico è quello che utilizza, soprattutto in caso di dolore severo, la radiofrequenza. Attraverso elettrodi sulla cute viene applicata una corrente elettrica continua ad alta frequenza (500kHz), ad alta temperatura (80-82°C) con un’azione neurodistruttiva, che va a interrompere la trasmissione del dolore. A seguito del trattamento per 4-6 mesi il paziente può avere un’area di ipostesia, con un successivo ritorno alla normale sensibilità e riduzione del dolore (23). È possibile, però, che si formi un neuroma e quindi il dolore si ripresenti, magari peggiorato (24). Proprio per ovviare a questo si è sviluppato anche un trattamento con radiofrequenza ad impulsi. La corrente applicata non è appunto continua, ma sono inviati impulsi ad alta intensità che non

(27)

formazione successiva del neuroma. Il meccanismo con cui la radiofrequenza ad impulsi agisce sulla trasmissione del dolore è ancora sconosciuto (25, 26).

Il blocco dei nervi periferici si ottiene con l’iniezione locale di anestetico a cui possono essere associati steroidi e clonidina. I primi hanno un’azione antinfiammatoria mentre la seconda agisce come inibitore nella trasmissione simpatica del dolore. Se ne viene accertata la presenza, i farmaci possono essere iniettati direttamente nel neuroma.

Nel caso in cui il blocco dei nervi ilio-inguinale, ilioipogastrico e della branca genitale del genitofemorale non dia sollievo al paziente, il blocco della trasmissione nervosa può essere praticato a livello più centrale, cioè sulle radici spinali paravertebrali.

Tra le terapie farmacologiche, la prescrizione di farmaci come paracetamolo, antinfiammatori non steroidi come il ketorolac e oppiacei, possono risultare efficaci nell’alleviare il dolore dei pazienti.

P.J. O’Dwyer e M.G. Serpell ritengono utile anche l’uso di amitriptilina, un antidepressivo triciclico che va ad aumentare i livelli centrali di serotonina e noradrenalina, cioè agisce sugli inibitori endogeni del dolore (22).

Altri farmaci prescritti sono gli stabilizzatori di membrana che agiscono riducendo la trasmissione nervosa e sono rappresentati dagli anticonvulsionanti come la carbamazepina, la feitoina e il gabapetin.

Nel momento in cui le altre terapie risultino poco efficaci può essere associata la terapia psicologica.

Il trattamento chirurgico è necessario nel 40% dei pazienti con dolore cronico, molti di questi già trattati con terapie conservative (27, 28).

Prima di qualsiasi intervento è necessario identificare il nervo che è stato traumatizzato attraverso il blocco successivo dei nervi (17, 29).

(28)

Secondo alcuni autori, nel caso si sia formato un neuroma o il nervo sia compresso, l’accesso chirurgico attraverso la vecchia cicatrice è sconsigliabile in quanto i tessuti cicatriziali possono rendere difficile identificare, isolare e mobilizzare il nervo. In molti casi si procede a sezionare e elettrocoagulare ad alta energia il nervo per impedire la recidiva del neuroma (11, 30).

Se invece il nervo risulta essere intrappolato nel mesh l’intervento, prevede la rimozione della rete protesica, completa o parziale, che può essere o meno associata alla sezione del nervo.

Figura 2 Frammento del nervo ilio-inguinale incarcerato nel mesh.

(Fonte: R. Bendavid et al., Abdominal wall hernias, Sprinter-Verlag 2001).

Dopo la completa rimozione della rete verrà eseguita l’ernioplastica secondo Bassini (29).

Per la gestione del dolore postoperatorio cronico Lichtenstein et al. proposero un protocollo che prevede come punti essenziali (30):

- Il blocco del nervo ilio-inguinale attraverso l’iniezione di 10 ml di bupivacaina medialmente alla spina iliaca antero-superiore.

(29)

c’è indicazione alla resezione del nervo, con accesso mediale alla spina iliaca lateralmente alla plastica che non viene toccata, a meno che il nervo non sia intrappolato in esso.

- Se il blocco non è efficace va eseguito il blocco delle fibre nervose del nervo genitofemorale, a livello della 1 e 2 radice lombare.

Nel caso in cui il dolore si ripresenti entro le 24 ore può essere indicata la sezione del nervo stesso.

- Se anche questo secondo blocco è inefficace si somministrano antinfiammatori non steroidei.

- Quando tutte le terapie mediche non ottengono nessun miglioramento, si utilizzerà la psicoterapia.

3.3 Complicanze precoci

Le complicanze che, nel postoperatorio precoce, si possono verificare sono rappresentate da:

− sierosa,

− ematoma ed ecchimosi, − infezioni,

− ritenzione urinaria.

L’ematoma e l’ecchimosi sono la conseguenza di una lesione dei vasi sanguigni durante l’intervento. Per ematoma s’indica una raccolta di sangue che si manifesta con gonfiore di colore bluastro ed è dovuto alla lesione di vasi nel tessuto; per ecchimosi si intende, invece, la presenza di sangue nell’interstizio del tessuto in seguito alla lesione dei vasi del sottocutaneo al momento dell’iniezione di anestetico locale prima dell’incisione cutanea e che possono riprendere a sanguinare.

I vasi responsabili delle formazione dell’ematoma, oltre a quelli del sottocutaneo, sono i vasi referenziali e i plessi venosi che possono essere

(30)

traumatizzati durante la dissezione del sacco erniario dal funicolo spermatico, ma anche il muscolo cremastere può sanguinare a causa di una legatura non efficace (31).

Per quanto riguarda il sieroma (32), si definisce come una raccolta di liquido che si forma quando l’essudato si raccoglie tra i piani tissutali, in uno spazio virtuale o in una cavità, a seguito di un intervento chirurgico, proprio come nel caso dell’ernioplastica. L’essudato è costituito da acqua, soluti, proteine plasmatiche inclusa la fibrina e i neutrofili. Si sviluppa a causa della risposta infiammatoria a seguito dei traumi ai tessuti sia di natura fisica che chimica. Con una diffusione delle tecniche che prevedono il posizionamento di una rete protesica è stata osservata anche un maggior frequenza. La stessa superficie del mesh, essendo un corpo estraneo, stimolerebbe la reazione infiammatoria con un’alterazione dell’equilibrio pressorio del microcircolo e la formazione dell’essudato.

Clinicamente si presenta come un’area di cute distesa, non calda e, normalmente, non associata a ecchimosi, soffice alla palpazione.

Il sieroma si risolve spontaneamente in circa 4-6 settimane ma può richiedere ripetute aspirazioni.

Tra le complicanze post-operatorie precoci, le infezione sono sicuramente quelle più significative da un punto di vista clinico. Esse possono interessare la ferita o coinvolgere in profondità la protesi, risultando così di difficile trattamento. Infatti, nel primo caso potrà essere sufficiente una terapia antibiotica, mentre nel secondo si può rendere necessaria anche la rimozione del mesh.

Clinicamente sono evidenti le manifestazioni tipiche dei processi infettivi: febbre, dolore locale, gonfiore, cute arrossata e calda, fino ad arrivare alla secrezione di materiale purulento.

(31)

− la contaminazione di batteri del campo operatorio, − i batteri devo possedere una certa virulenza,

− la presenza di fattori favorenti,

− l’integrità dei meccanismi della risposta infiamatoria e immunitaria. L’intervento di ernia inguinale viene classificato come un intervento di chirurgia pulita, quindi la contaminazione della ferita è poco frequente. I germi sono normalmente senza particolare virulenza e sono infatti rappresentati dai componenti della flora batterica della cute come gli Staphylococcus aureus, Escherichia Coli, Streptococco beta emolitico, Pseudomonas (34).

Per lo sviluppo di infezione è necessaria la presenza di fattori adiuvanti. Tra questi, la presenza dell’ematoma, rendendo disponibile l’emoglobina come fonte di ferro, potrebbe favorire l’azione di batteri che, altrimenti, per il loro basso numero, non sarebbero capaci di provocare l’infezione.

Un altro fattore adiuvante è rappresentato dai tessuti necrotici che possono risultare dall’uso dell’elettrocoagulzione durante l’intervento, così come l’uso di fili da sutura intrecciati forniscono ai microrganismi interstizi dove proliferare.

Un possibile ruolo adiuvante potrebbe essere svolto dalla rete protesica anche se, secondo alcuni autori, il posizionamento di mesh non comporterebbe una maggiore incidenza delle infezioni (34).

Secondo altri, invece, esisterebbe un maggior rischio, ma non tale da pregiudicarne l’utilizzo (35).

La contaminazione del mesh provocherebbe una risposta infiammatoria inefficiente con una clearence batterica ridotta e una conseguente invasione dei tessuti molli adiacenti. Si può formare anche

(32)

un ascesso che, se non drenato dal chirurgo, può drenare spontaneamente attraverso una fistola.

La necessità e l’efficacia di una profilassi antibiotica per l’intervento di ernia inguinale in elezione, rientrando nella classificazione di chirurgia pulita, non è stata ancora chiarita, soprattutto nel caso di interventi senza mesh (36).

Molti sono gli studi in letteratura con risultati contrapposti.

Secondo Pessaux et al. la profilassi antibiotica è efficace solo nei pazienti definiti ad alto rischio (identificati prendendo come fattori di rischio: età, obesità e presenza del catetere vescicole), mentre nei pazienti a basso rischio non c’è una significativa differenza tra la somministrazione di antibiotici o di placebo.

Secondo Lewis et al., invece, a trarre beneficio dalla profilassi antibiotica sono proprio i pazienti definiti a basso rischio (37).

Yerdel et al. (38), studiando pazienti sottoposti ad ernioplastica con posizionamento di mesh, hanno messo in evidenza l’efficacia della somministrazione di antibiotici durante l’intervento, in accordo con le linee guida americane e francesi in materia di profilassi nella chirurgia con impianto di mesh (39, 40, 41).

Anche in questo caso, però, esistono autori che hanno ottenuto risultati contrari (42, 34) mentre Aufenacker et al. escludono l’utilità degli antibiotici nei pazienti con basso rischio di infezione (43).

I chirurghi del Lichtenstein Hernia Istitute proposero la somministrazione di antibiotici direttamente nella ferita, senza ottenere risutati soddisfacenti (44).

Di diverso impatto clinico sono la ritenzione urinaria e la stipsi che, invece, possono presentarsi quando il paziente sia stato sottoposto ad anestesia generale.

(33)

3.4 Complicanze tardive

Le complicazioni che si rendono visibili dopo un certo periodo di tempo sono rappresentate, essenzialmente, dall’atrofia testicolare, dalle disfunzioni sessuali e, naturalmente, dalla comparsa di una recidiva. Quest’ultima evenienza è la più temibile perché sancisce il fallimento dell’intervento chirurgico di riparazione eseguito.

Naturalmente ogni tecnica chirurgica, con le proprie varianti, presenta un diverso tasso di insorgenza di complicanze. Inoltre è di notevole importanza l’esperienza del chirurgo. Oggi, comunque, è accettata un’incidenza di recidive pari all’1% degli interventi svolti con le diverse tecniche.

Per quanto riguarda l’atrofia testicolorare, se unilaterale, non provoca una riduzione di testosterone tale da avere, come conseguenze, riduzione della libido e disfunzioni di erezione (45). Perché ciò accada devono essere interessati entrambi i testicoli. L’associazione tra atrofia testicolare unilaterale e disfunzioni sessuali è, quindi, causata da fattori psicologici o organici, ma non dalla ipoandrogemia. È comunque una complicanza rara, preceduta da una orchite ischemica la quale si manifesta clinicamente con febbre, dolore e gonfiore testicolare e modica leucocitosi. Nel 60% dei casi si risolve spontaneamente, mentre negli altri si evolve in atrofia testicolare (1) la quale si rende evidente alcuni mesi dopo l’intervento.

Il meccanismo patogenetico non è ancora conosciuto. È stato ipotizzato che un’eccessiva dissezione del funicolo spermatico, specialmente se eseguita distalmente al tubercolo pubico, possa provocare la rottura dei vasi anastomotici tra le arterie testicolari, scrotali e pudende, provocando edema, orchite ischemica e infine atrofia testicolare. L’ incidenza dell’orchite ischemica è stata calcolata pari a 1

(34)

in caso di recidive (46, 47). Per l’atrofia testicolare, invece, l’incidenza riportata da Fong e Wantz (48) è dello 0,03-0,5% per l’ernie primarie e di 0,8-5% in caso di recidive (49). Questa sostanziale differenza è giustificata dalle possibili alterazioni anastomotiche derivanti dal primo intervento.

Le disfunzioni sessuali possono essere causate, invece, da più fattori, tra cui sembra giocare un ruolo decisivo la componente psicologica.

A causa della vicinanza della regione inguinale con i genitali esterni, il paziente può sviluppare timori e ansie durante il rapporto sessuale, anche incosciamente, provocando una percezione del dolore aumentata e una riduzione di quella sensitiva (48).

L’alterata secrezione del testosterone, registrata anche nei giorni successivi all’intervento, non sarebbe responsabile delle disfunzioni sessuali. Queste, peraltro, sono rare dopo un intervento di ernia inguinale; inoltre non sono conosciuti meccanismi attraverso i quali il chirurgo possa provocare il loro sviluppo come descritto da Bain (50), se si esclude il raro caso di un paziente che sviluppi atrofia testicolare in presenza di un testicolo controlaterale con ridotta funzionalità.

Bendavid descrisse per primo la “dysejaculation”, definita come la sensazione di dolore o di bruciore al momento dell’eiaculazione, registrando un’incidenza dello 0,04% (51). Anche in questo caso il meccanismo patogenetico non è conosciuto anche se, lo stesso autore, ipotizza che i vasi deferenti possano essere lesi da trazioni o dall’utilizzo dei ferri chirurgici durante l’intervento.

A seguito di questo si potrebbero sviluppare aderenze con il pavimento del canale inguinale o strozzature e cicatrizzazioni dei vasi stessi, riducendone la flessibilità.

(35)

Capitolo 4

Studio

4.1 Materiale e metodi

Il nostro studio ha preso in esame gli interventi di ernioplastica eseguiti presso il Presidio del Day Surgery dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana nel periodo compreso tra l’ottobre del 2001 e l’ottobre del 2004 con un follow-up minimo di 2 anni (min. 2 e max 5). Dal database dell’unità ospedaliera sono state ricavate, oltre alle generalità del singolo paziente, le informazioni iniziali riguardanti gli interventi ovvero: il lato, il tipo di ernia e la tecnica anestesiologica.

Allo scopo di rendere il campione omogeneo, partendo dal numero iniziale di 753 interventi, sono stati esclusi 43 casi di ernie inguinali recidive, congenite e bilaterali. Altro criterio di inclusione nello studio è stato l’età del paziente maggiore di 18 anni con successiva eliminazione di ulteriori 7 casi, mentre non si è fissato nessun limite di età superiore.

Si è ottenuto, così, un campione iniziale composto da pazienti maggiorenni con ernia inguinale primaria, omolaterale, sottoposti ad intervento seguendo diverse tecniche anestesiologiche, ma la stessa tecnica chirurgica.

Dei restanti 703, 6 pazienti sono risultati incapaci di sostenere l’intervista a causa di patologie neurologiche, 36 sono deceduti, 51 hanno negato la loro disponibilità allo studio e 80 sono risultati non rintracciabili.

Il campione è risultato composto, quindi, da 530 pazienti con una netta prevalenza del sesso maschile (479 uomini e 51 donne) nel rapporto di 9:1.

(36)

Interventi totali 753

Interventi su minore 7

Pazienti esclusi 43

Pazienti deceduti 36

Pazienti incapaci 6

Pazienti non disponibili 51

Pazienti non contattati 80

Pazienti intervistati 530

L’età media è di 61,71 anni con un range 21-88 anni. Gli interventi sono stati eseguiti in 279 casi a destra (53%) e nei restanti 251 casi a sinistra (47%). Le ernie sono risultate 373 (70%) inguinali indirette, 90 (17%) dirette e 67 (13%) a pantalone.

L’analisi è stata condotta intervistando telefonicamente i pazienti, dopo il loro consenso alla partecipazione allo studio, utilizzando un questionario (parzialmente a scelta multipla) ricavato da questionari riportati in letteratura. Nell’intervista si è fatto riferimento, non soltanto al dolore postoperatorio cronico, ma anche alle presenza sia di complicanze precoci sia a quelle tardive. Le domande riguardanti il dolore postoperatorio cronico sono state ricavate da uno studio danese sul suo sviluppo a 1 anno dall’intervento (12). Le stesse sono state utilizzate per caratterizzare il dolore postoperatorio acuto. Per le complicanze precoci si è fatto riferimento, invece, allo studio sulla diversa percezione delle complicanze tra i pazienti e i medici, mentre per quanto riguarda le complicanze tardive è stato chiesto al paziente solo se fossero presenti e le eventuali indagini svolte (52).

(37)

Gli interventi sono stati eseguiti per il 77% in anestesia locale con sedazione, per il 15% in anestesia locale senza sedazione, per il 6% in anestesia generale; di questi il 4%, con intubazione orale e il 2% con intubazione con MLA. Soltanto il 2% degli interventi è stato effettuato in anestesia locoregionale, di cui l’1% con sedazione e l’1% senza.

SESSO

90% 10% M F

LATO ERNIA

47%

53%

DX SX

(38)

90 373 67 0 50 100 150 200 250 300 350 400

DIRETTA INDIRETTA PANTALONE

Tipo ernia

Tipo anestesia

2% 1% 1%

4% 15%

77%

Anestesia locale Anestesia locale con sedazione

Anestesia generale con intubazione orale Anestesia generale con intubazione MLA Anestesia locoregionale Anestesia locoregionale con sedazione

4.2 Risultati dello studio

Durante l’intervista si è indagato inizialmente le caratteristiche del dolore post-operatorio acuto che è risultato presente in 143 pazienti (27% del campione) con una durata media di 10 giorni. Di questi, 62 (43%) hanno fatto ricorso ad antidolorifici nei giorni successivi all’intervento.

Il dolore è stato descritto dai pazienti come acuto nel 47% dei casi, tensivo nel 15%, trafittivo nel 17%, pungente nel 10%, urente nell’8%,

(39)

47% 15% 17% 10% 8% 1% 1% 1% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% acut o tens ivo trafit tivo pung ente uren te cost rittiv o lanc inan te puls ante

dolore acuto: qualità

Il dolore postoperatorio acuto, solo in 42 casi impediva al paziente di svolgere attività della vita quotidiana:

− alzarsi da una sedia in 12 casi,

− stare seduto per più di 30 minuti in 5 casi, − fare shopping in 9 casi,

− attività lavorative in 1 caso, − guidare l’auto in 2 casi,

− stare in piedi per più di 30 minuti in 10 casi, − attività sportive in 1 caso,

− salire le scale in 2 casi,

(40)

ATTIVITA' 5 9 1 2 10 1 2 0 12 0 5 10 15 20 25 30 35 40 Alzarsi da una sedia Rimanere seduti per piùdi 30 min Fare shopping Atività lavorativa Guidare l'auto Stare in piedi per più di 30 min Attività sportive Salire le scale Viaggiare in treno o in auto

Le complicanze precoci, di cui si è ricercata la frequenza, sono state: la formazione di ematomi, ecchimosi e sieromi, l’infezione e la cicatrizzazione della ferita, lo sviluppo di complicanze relative all’anestesia, di una trombosi, di ritenzione urinaria e di stipsi dopo la dimissione e la ridotta sensibilità a livello inguinale.

Si sono verificati: 42 casi di ematomi (con un’incidenza pari all’8%), 10 ecchimosi (con un’incidenza pari all’1,8%), 8 ipoestesie inguinali (con un’incidenza pari all’1,5%), 6 sieromi (con un’incidenza pari all’1,1%), 1 ferita non perfettamente cicatrizzata (con un’incidenza pari allo 0,2%), 2 infezioni (con un’incidenza pari allo 0,4%), 1 caso di complicanze legate all’anestesia (con un’incidenza pari allo 0,2%). Nessun caso è stato invece riscontrato per quanto riguarda stipsi e ritenzione urinaria al momento della dimissione, né casi di trombosi. Complessivamente si sono verificati, quindi, 70 casi di complicanze nel postoperatorio precoce (13%).

(41)

complicanze 0 6 8 0 2 1 42 0 1 10

ematoma trombosi ecchimosi anestesia sieroma stipsi sensibilità ritenzione urinaria infezioni ferita

Per quanto riguarda gli ematomi nel 73% dei casi si sono riassorbiti spontaneamente mentre per il 17% dei casi è stata necessaria l’aspirazione e per il 10% è stata prescritta una terapia medica.

evoluzione ematoma

73%

17%

10%

risolto spontaneamente siringato terapia medica

Questa in 2 casi è rappresentata da antibiotici, in 1 caso da antibiotici associati ad antidolorifici e nel restante caso è costituita da un vaso-protettore in crema per facilitare il riassorbimento.

(42)

In 1 caso, l’ematoma (che era importante ed è stato aspirato una volta) ha ritardato la cicatrizzazione della ferita che si è completata in tre settimane. In tutti gli altri casi la guarigione è risultata ottimale con desutura a 10 giorni dall’intervento.

I 10 casi di ecchimosi hanno avuto una risoluzione spontanea, mentre, per quanto riguarda i 6 casi di sieroma, 5 sono stati aspirati almeno una volta e 1 non è stato trattato.

In un caso il paziente ha riferito un’insensibilità all’arto inferiore subito dopo l’intervento, risolto spontaneamente in poche ore e, probabilmente, riconducibile al coinvolgimento di un nervo durante l’anestesia (infatti il paziente era stato sottoposto ad anestesia locale con sedazione).

L’infezione della ferita si è verificata 2 volte, senza però coinvolgere la protesi di polipropilene. In 1 caso la paziente aveva sviluppato un ematoma importante, che però non è stato aspirato. Alla visita di controllo si è ritenuto necessario prescrivere una terapia medica con antibiotici.

I pazienti che hanno riferito una ridotta sensibilità al tatto nella regione della ferita sono 8 di cui 3 si sono risolti con il passare del tempo mentre i restanti 5 mantengono un ipoestesia inguinale.

Le complicanze tardive indagate sono state: la presenza di recidive, disfunzioni sessuali, atrofia testicolare e, naturalmente, la presenza di dolore postoperatorio cronico.

I pazienti che, all’intervista, hanno dichiarato un sospetto di recidiva sono stati 5 e sono stati invitati ad una visita di controllo per accertarne l’esistenza. Di questi 2 non hanno dato la loro disponibilità mentre nei rimanenti casi non si è diagnosticata alcuna recidiva.

(43)

VISITA DI CONTROLLO

Paziente 1 Diagnosi non recidiva

Paziente 2 Diagnosi di ernia crurale

Paziente 3 Diagnosi non recidiva

Paziente 4 Non disponibile

Paziente 5 Non disponibile

I pazienti che hanno affermato di aver osservato una riduzione delle dimensioni del testicolo sono stati 9 (1,6%) ma nessuno di questi ha avuto una diagnosi di orchite ischemica precedente.

Per quanto riguarda, invece, le disfunzioni sessuali, sono riferite dai pazienti in 11 casi (2%), ma solo in 3 (0,6%) hanno ritenuto necessaria una visita specialistica. Di questi ultimi 2 casi lamentano problemi nel mantenimento dell’erezione e il restante dolore all’eiaculazione. I pazienti riferiscono che l’ecografia svolta, in quest’ultimo caso ha evidenziato il coinvolgimento del deferente, mentre negli altri 2 non ha messo in evidenza nessun reperto. Solo uno degli 11 pazienti ha affermato di aver osservato contemporaneamente un’atrofia testicolare.

I pazienti che hanno dichiarato di provare dolore a distanza di minimo 2 anni dall’intervento sono 130: di questi 89 (68,5%) affermano di provarlo “raramente”, 34 (26,5%) “qualche volta” e 7 (5%) “sempre”. Per quanto riguarda la sua intensità, invece, il dolore è “lieve” in 93 (71,5%) casi, “moderato” in 35 (27%) e solo in 2 casi “severo” (1,5%).

Dei 130 pazienti con dolore, 25 (pari al 19%) hanno riferito un impedimento o una maggior associazione con attività di vita quotidiana quali:

(44)

− attività lavorative (5 pazienti),

− rimanere seduti per più di 30 minuti (3 pazienti), − fare shopping (5 pazienti),

− guidare l’auto (4 pazienti), − attività sportive (2 pazienti), − alzarsi da una sedia (1 paziente), − salire le scale (1 paziente).

Si è ritenuto opportuno relazionare la frequenza con cui il paziente avverte dolore con la sua intensità:

− gli 89 pazienti che hanno riferito di provare dolore “raramente” lo definiscono “lieve” in 72 casi e “moderato” in 17;

− i 34 pazienti che hanno riferito di provare dolore “alcune volte” lo descrivono in 19 casi “lieve”, in 14 “moderato” e in un caso “severo”, − i 7 pazienti che hanno riferito di provare dolore “sempre” lo definiscono “lieve” in 2 casi, “moderato” in 4 e soltanto uno “severo”. frequenza intensità 72 19 2 17 14 4 0 1 1 0 10 20 30 40 50 60 70 80

raramente alcune volte sempre

lieve moderato severo

(45)

È stata indagata anche la qualità del dolore descritto nel 10% come acuto, nel 8% come urente, nel 42% come trafittivo, nel 18% come pungente, nel 1% come pulsante, nel 2% come lancinante, nel 19% come tensivo. In nessun caso è stato descritto come costrittivo.

I pazienti che a causa del dolore sono stati indirizzati alla clinica antalgica sono stati però 3 pari al 0,56% sul campione totale di 530 interventi.

Di questi, il Paziente A ha descritto il dolore come lancinante e severo, che gli impedisce di fare shopping, cioè di camminare portando pesi. Non ha sviluppato né complicanze precoci né tardive.

La terapia prescritta è stata di Gabapentin con dosaggi minimi.

Paziente A Tempo Numeric Rating Scale Terapia T0 7 Gabapentin 900 mq/die T1 5 Gabapentin 900 mq/die T2 5 Gabapentin 900 mq/die

Il paziente B, invece, ha descritto il dolore come trafittivo e moderato senza particolari attività correlate né complicanze. Il dolore postoperatorio acuto è stato però presente per circa 20 giorni ed è stata necessaria la somministrazione di antidolorifici.

(46)

Paziente B Tempo Numeric Rating Scale Terapia T0 8 Gabapentin 300 mq/die T1 4 Gabapentin 900 mq/die

Il paziente J, al momento dell’intervista, lamentava dolore raramente, grazie all’efficacia della terapia antalgica che, in questo caso, associava al Gabapentin il Tramadolo. Paziente J Tempo Numeric Rating Scale Terapia T0 7 Gabapentin 900 mq/die Tramadolo 200mq/die T1 3 Gabapentin 900 mq/die Tramadolo 200mq/die

Ad altri 3 pazienti, che si sono rivolti al medico chirurgo, è stata prescritta invece una terapia con antidolorifici orali non ritenendo necessaria una terapia antalgica in quanto il dolore è stato ritenuto di natura infiammatoria.

(47)

4.3 Discussione

La tecnica chirurgica seguita al Presidio del Day Surgery dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana è una variante della tecnica proposta da Lichtenstein. In base ai dati del nostro studio è possibile affermare l’efficacia di tale intervento considerando, non solo il tasso di complicanze precoci e tardive, ma anche del dolore postoperatorio cronico, ormai parametro fondamentale dopo la drastica riduzione delle recidive (53).

I risultati riportati in questo studio risentono della valutazione soggettiva dei pazienti in quanto ottenuti attraverso la loro intervista. Non sempre è stato possibile, infatti, verificare le affermazioni da essi fatte.

Nel nostro studio non si sono riscontrate recidive, anche se non è stato possibile escluderne la presenza in 2 casi. L’incidenza può, quindi, oscillare tra lo 0% e lo 0,37% rimanendo, comunque, in accordo con i dati riportati in letteratura. Secondo alcuni autori l’incidenza è minore del 5% (53) mentre secondo altri è dell’1% (54, 55, 56).

Data l’importanza del dolore postoperatorio cronico, che può invalidare il paziente nelle normali attività quotidiane, gli studi riguardanti la sua insorgenza in letteratura sono molti e i tassi di incidenza riportati per l’ernioplastica secondo Lichtenstein sono diversi con un range da 6% al 29% (57, 58, 59, 60).

La definizione di dolore postoperatorio cronico, come riportato in molti studi (17, 61), non è univoca. La differenziazione tra dolore postoperatorio cronico e quello acuto, dovuto al processo di guarigione, può non essere agevole nel caso in cui, quest’ultimo, si prolunghi nel tempo (61, 62).

(48)

pazienti che corrispondono a questa definizione sono risultati 7 dei quali 2 definiscono il dolore “lieve”, 4 “moderato” e soltanto 1 “severo”. A questi va aggiunto il Paziente J a cui era stata fatta diagnosi di dolore cronico successivamente risolto grazie ad una terapia antalgica. L’incidenza nel nostro campione è, quindi, dell’1,5%.

I 7 pazienti descrivono il dolore come acuto in 3 casi, come trafittivo in 2, come lancinante in 1 caso e come tensivo in 1 caso.

In 5 casi il dolore impediva di svolgere attività quotidiane e solo 1 paziente ha sviluppato una complicanza precoce, più specificatamente un ematoma, che è stato aspirato.

Tutti sono stati sottoposti ad intervento in anestesia locale con sedazione. Paziente Intensità dolore cronico Qualità dolore cronico Dolore acuto? Attività impedite? Complicanze?

Paziente A Severo Lancinante No Si No

Paziente B Moderato Trafittivo Si No No

Paziente C Moderato Acuto Si No Si

Paziente D Moderato Acuto No Si No

Paziente E Lieve Trafittivo No Si No

Paziente F Moderato Acuto Si Si No

Paziente G Lieve Tensivo No Si No

I casi in cui il paziente è stato indirizzato dal medico chirurgo alla clinica antalgica sono 3 (0,57%): i Pazienti A e B continuano a lamentare dolore “sempre”, nonostante la terapia antalgica, che hanno abbandonato; il Paziente J, dopo terapia antalgica, prova dolore “raramente”, in forma lieve e del tutto trascurabile.

(49)

Uno dei fattori di rischio per lo sviluppo del dolore postoperatorio cronico è la lesione dei nervi ilioipogastrico, ilioinguinale e la branca del nervo genito-femorale durante l’intervento.

I dati in letteratura riguardanti il loro trattamento sono contrastanti. Tutti gli interventi da noi analizzati sono stati eseguiti seguendo una variante della tecnica di Lichtenstein, che prevede una particolare attenzione nel trattamento di tali nervi.

La bassa incidenza del dolore postoperatorio cronico nel nostro campione è in linea, quindi, con parte della letteratura (62) che indica un trattamento conservativo dei nervi, in modo da ridurne il rischio di sviluppo.

Alfieri et al. hanno dimostrato che il rischio di sviluppare dolore cronico è direttamente proprorzionale al numero di nervi non riconosciuti e preservati, in quanto i nervi non identificati possono essere stirati, legati, sezionati e quindi essere responsabili del dolore.

Altri autori hanno opinione opposta sostenendo, invece, che la sezione in elezione dei nervi ridurrebbe il rischio di insorgenza (48, 63).

Dittrick et al. hanno dimostrato una riduzione del dolore postoperatorio in un gruppo di pazienti con sezione del nervo ilio-inguinale rispetto al gruppo con conservazione di questo (64).

Anche gli studi sul posizionamento del mesh, come possibile causa di dolore cronico, sono contrastanti. Alcuni autori indicano proprio la diffusione delle tecniche che utilizzano la rete protesica come causa dell’aumentata incidenza del dolore cronico (65, 66).

Secondo alcuni studi i nervi della regione inguinale non dovrebbero entrare in contatto con il mesh in modo da evitare un loro coinvolgimento nella risposta fibrotica (16).

Figura

Figura 1  Nervi  della  regione  inguinale:  1)  nervo  ilio-ipogastrico;  2)  nervo  ilio- ilio-inguinale; 3) branca genitale del nervo genito-femorale
Figura 2  Frammento del nervo ilio-inguinale incarcerato nel mesh.
Foto 1  Incisione della cute e del tessuto sottocutaneo
Foto 3  Isolamento del funicolo spermatico dall’anello inguinale esterno.
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