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Tecniche diagnostiche non distruttive per analisi quantitative e qualitative di alcuni denarii di Roma repubblicana

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Academic year: 2021

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Voglio ringraziare il Professore Claudio Arias, per avermi ispirata lungo il percorso universitario, per avermi indirizzata verso l’Archeometria, per avermi forgiata (per usare un termine tecnico) e seguita con dedizione. Un sentito ringraziamento va al Dottor Vincenzo Palleschi per i consigli accurati e per avermi dato la splendida opportunità di lavorare con lui presso i laboratori del CNR di Pisa insieme ai Dottori Lorenzo Pardini, Giulia Lorenzetti, Stefano Legnaioli ed Emanuela Grifoni. Grazie al Dottor Fiorenzo Catalli, per la sua grande disponibilità e per il suo aiuto ai fini della realizzazione di un lavoro scientifico approfondito, ma che si è avvalso soprattutto di un ottimo e piacevole lavoro di squadra, a dimostrazione che la ricerca, seppur attraverso metodi e principi rigorosi, può e deve essere, in ogni tempo, aperta e libera.

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Indice

Introduzione 5

1. La numismatica e il collezionismo 8

2. La moneta in età repubblicana 15

2.1 I giacimenti minerari 25 2.2 Le zecche 29 2.3 Produzione e coniazione 34 2.3.1 I denarii serrati 43 3. L’Archeometria 47 3.1 Indagini archeometriche 53 3.2 L’Argento 55

3.3 Patine e fenomeni di corrosione dei metalli 61

4. Studi diagnostici 67

4.1 La fluorescenza X 69

4.1.1 Analisi quantitativa XRF 72

4.2 LIBS 75

4.2.1 Analisi quantitativa LIBS 77

4.3 Risultati e discussione 79

Conclusioni 83

Appendice: La lotta propagandistica tra il Divi Filius e

Marco Antonio al tramonto della Repubblica 86

Catalogo Collezione A 92

Catalogo Collezione B 109

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Il tessuto della storia è condannato a disfarsi, ma l’archeologia ne conserva sempre qualche maglia. Affinché la memoria continui a vivere, sono necessari uomini che

osservino, interpretino, costruiscano il racconto basandosi su oggetti materiali. Alain Shnapp, La Conquista del Passato, 1991.

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Introduzione

Attraverso la tecnica diagnostica non distruttiva della fluorescenza X (XRF) è stato possibile lo studio qualitativo e quantitativo del contenuto metallico di 79 denarii d’argento repubblicani, tutti appartenenti ad una collezione privata (collezione A). I risultati ottenuti dal campione analizzato sono stati supportati da altre analisi, condotte precedentemente su 71 denarii d’argento repubblicani appartenenti ad un’altra collezione privata (collezione B), attraverso l’ XRF e la tecnica diagnostica micro distruttiva LIBS (Laser-Induced Breakdown Spectroscopy). Le analisi scientifiche della collezione A sono state effettuate presso i laboratori dell’Istituto di Chimica dei Composti Organometallici del CNR di Pisa, sotto la direzione del Dott. Vincenzo Palleschi, con la supervisione del Prof. Claudio Arias, già docente di archeometria presso l’Università di Pisa e del Direttore del Monetiere di Firenze, Dott. Fiorenzo Catalli, esperto numismatico; le analisi della collezione B, invece, che è stata anche oggetto di un articolo scientifico1 e della tesi di specializzazione di Elisabetta Nebbia, sono state effettuate presso i laboratori del CNR di Montelibretti, sotto la direzione del Dott. Vincenzo Palleschi e del Dott. Marco Ferretti. Ai fini di una ricostruzione storica completa nei diversi apparati, quello scientifico e quello storico-artistico, quindi, ci si è avvalsi di diverse figure professionali, in grado di coordinare i diversi settori e di apportare competenze specifiche nello sviluppo di un progetto di ricerca che ha trovato la sua ragion d’essere nel principio di interdisciplinarità e nell’utilizzo del metodo archeometrico fondato sul dialogo costante tra diversi ambiti disciplinari, quello della fisica, della chimica, dell’archeologia e della numismatica.

1 V. Palleschi, A. El Hassan, M. Ferretti, S.Legnaioli, G. Lorenzetti, E. Nebbia, L. Pardini, F. Catalli and M.A.

Harith, In situ XRF and LIBS analysis of roman silver denarii, Atomic Spectroscopy, Spectrochim. Acta, Part B. In stampa.

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Le monete prese in esame coprono un arco cronologico che si estende dal 149 a.C., data della moneta più antica appartenente alla collezione, fino al 31 a.C., anno della disfatta del generale Marco Antonio ad Azio, contro colui che al declinare di Roma repubblicana, segnò l’inizio di quella che fu definita un’“Era dorata”: Augusto. Le tecniche adoperate per lo studio qualitativo e quantitativo del contenuto metallico dei denarii, l’XRF per la superficie e la LIBS per il volume, hanno permesso non soltanto il riconoscimento e la quantificazione in percentuali degli elementi caratterizzanti le monete, ma ne hanno anche salvaguardato l’integrità e lo stato di conservazione, dimostrando così delle ottime potenzialità di analisi e di utilizzo su oggetti tanto particolari quanto preziosi come i reperti archeologici. Al di là degli aspetti meramente legati alla descrizione elementale delle monete è stato possibile il riconoscimento, all’interno della collezione A, di ben due denarii suberati, quindi anticamente falsificati e messi in circolazione, e di due falsi contemporanei, testimonianze, queste ultime, del tentativo senza tempo da parte dei falsari di lucrare sugli oscillanti andamenti economici e sull’intramontabile mercato collezionistico. Le tecniche diagnostiche, quindi, non solo hanno permesso la certificazione dell’autenticità e della falsificazione delle monete, fornendo un valido aiuto per lo studioso e per l’acquirente, ma ai fini della ricostruzione storica ha soprattutto permesso l’associazione della percentuale di metallo prezioso del contenuto ad eventi storici rilevanti che determinarono l’innalzamento o l’abbassamento del valore intrinseco della moneta, a testimonianza delle notevoli oscillazioni economiche che interessarono il periodo storico che va dal 149 a.C. al 31 a.C.. L’unico limite presentato dalla tecnica analitica della fluorescenza X è quello di non poter analizzare il reperto in profondità, di fermarsi alla superficie dell’oggetto a causa della bassa forza di

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penetrazione dei raggi X e quindi, nel caso delle monete, di non riuscire a penetrare le patine di ossidazione dalle quali, molto spesso, sono ricoperte. Per lo studio dell’intero volume delle monete ricoperte dallo spesso strato di patina della collezione B è stata utilizzata la tecnica diagnostica micro distruttiva LIBS, capace di penetrare gli strati di patina e quindi di arrivare in profondità. Ovviamente l’utilizzo dell’una e dell’altra tecnica è determinato dallo stato di conservazione degli oggetti in esame: un oggetto che presenta una superficie troppo corrosa o una patina troppo spessa non potrà essere sottoposto all’analisi LIBS, poiché richiederà numerose emissioni laser provocando fori e danneggiamenti (anche se piccolissimi) sul reperto. Dalla comparazione dei dati ottenuti dall’utilizzo delle due tecniche, XRF e LIBS, sulle monete in buono stato di conservazione appartenenti alla collezione B, si è evinto che i risultati dell’una e dell’altra tecnica coincidono, determinando in questo modo la scelta dell’XRF, completamente non distruttiva, come unica tecnica diagnostica per lo studio qualitativo e quantitativo dei denarii repubblicani della collezione A. Cinque denarii appartenenti alla collezione privata, infatti, non sono stati presi in considerazione per lo studio quantitativo e qualitativo del loro contenuto a causa della spessa patina di bromuro d’argento che li ricopriva, ma anche il solo riconoscimento attraverso l’XRF della sostanza costituente la patina è stato fondamentale per la comprensione e il riconoscimento dell’ambiente all’interno del quale queste monete si sono conservate fino al loro rinvenimento: il bromuro d’argento, infatti, è il prodotto di corrosione più comunemente riscontrato in acqua marina con elevata quantità di ossigeno su materiali in argento e in leghe d’argento.

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1. La numismatica e il collezionismo

In un libro provocatorio, il filosofo e storico Pomain (1986) ha affermato che l’archeologia non è altro che una branca pretenziosa del collezionismo e che questo è antico quanto l’idea di umanità. Da quando esistono gli uomini, intesi nella loro specificità culturale e biologica, appare ormai chiaro che essi hanno, in un modo o nell’altro, raccolto, conservato e tesaurizzato quegli oggetti che si rivelavano utili solo in quanto recavano i segni di un passato più o meno lontano. Ciò che lega l’archeologia al collezionismo non è però l’antichità reale o presunta dell’oggetto, poiché si possono collezionare anche oggetti contemporanei, e nemmeno l’atto del raccogliere, dal momento che esistono rami dell’archeologia esclusivamente descrittivi. Ciò che avvicina l’archeologia al collezionismo risiede piuttosto nella qualità che l’oggetto assume quando, per una collezione o per uno studio, viene isolato, conservato, esposto, accostato o allontanato da altri in virtù delle caratteristiche peculiari evidenziate dall’analisi. Quando l’oggetto è considerato un segno, un “semioforo”, allora può entrare in una collezione e quindi essere sottoposto a diverse analisi, una delle quali è rappresentata dallo studio archeologico. L’archeologo è un collezionista particolare, più metodico degli altri, che deve rendere conto del proprio operato alle istituzioni, allo Stato e al pubblico2.

Il latino nummus, in parallelo al greco nómos (usanza, consuetudine, legge, moneta), nómisma (uso, moneta), nómimos (conforme alla legge, usuale), nûmmos (moneta), è il termine preciso per definire la moneta di qualunque genere e ne sottolinea l’aspetto convenzionale e legale. Tutti questi termini, infatti, appartengono ad una

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famiglia di parole che discende dalla radice indoeuropea *nem-, che significa “prendere, mettere in ordine, contare, ripartire”3. La moneta, nummus, non è il denaro, pecunia, ma solo un tipo di questo che può assumere altre forme, potendo indicare il secondo termine, più generico, tutte le varietà di ricchezza, anche immobile. La moneta, invece, è uno strumento sofisticato che svolge specifiche funzioni: facilita lo scambio, accumula ricchezza e misura il valore4. In moltissime collezioni, appartenenti a musei o a raccolte private, accanto alle monete vere e proprie sono conservate molte altre varietà di oggetti simili per forma ma non per funzioni come medaglie, onorificenze, tessere, gettoni che sono prive di qualunque valenza di tipo economico. Si tratta di materiali con i quali, tuttavia, il numismatico deve confrontarsi poiché la numismatica è da un lato, la scienza delle monete sotto tutti i loro aspetti, e attraverso la quale si tenta la ricostruzione della storia della moneta, ma dall’altro è anche la scienza di tutta una serie di oggetti formalmente somiglianti alla moneta che svolgevano però, funzioni diverse. La numismatica antica si suddivide generalmente in due grandi aree distinte, quella della numismatica greca, che comprende tutte le monetazioni del mondo mediterraneo, comprese quella ispanica, celtica, punica, etrusca, ecc., e quella della numismatica romana, che include tutte le emissioni ufficiali di Roma e delle zecche direttamente controllate all’interno dei suoi possedimenti. Le produzioni autonome delle città greche e del mondo ellenistico che si trovarono sotto il dominio romano sono state tradizionalmente comprese nella numismatica greca, definita “coloniale” o “greco-imperiale”, solo di recente queste ultime vengono classificate all’interno della “monetazione provinciale romana”. Ovviamente, tali monetazioni svolgevano funzioni

3

J. Pokorny, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, Francke, Bern, 1959, pp. 763-764.

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locali secondarie rispetto alla moneta romana ufficiale, l’unica quest’ultima, a possedere corso legale in tutto l’impero. La numismatica romana, infine, si divide in “repubblicana”, dalle origini fino all’assunzione del titolo di Augusto da parte di Ottaviano nel gennaio del 27 a.C., e “imperiale”, da Augusto a Zenone, e cioè fino agli anni 476-491 d.C..

Il collezionismo inteso come raccolta selezionata di oggetti della stessa specie ma di epoche precedenti è un fenomeno molto antico. Il re del Ponto, Mitridate VI Eupatore, era un appassionato di numismatica5; lo stesso Plinio ironizzava sui collezionisti del suo tempo che erano disposti a pagare le monete fuori corso più della moneta buona in corso (si veda cit. p. 18), ed ecco cosa racconta Svetonio parlando di Augusto:

Celebrava con molta larghezza i giorni festivi e solenni, ma qualche volta soltanto con cordiali

trattenimenti. Durante i Saturnali, o anche in altre occasioni, secondo il suo piacere, distribuiva dei regali:

talvolta delle vesti, dell’oro e dell’argento, e talvolta monete di ogni conio, anche antiche, dell’epoca dei re,

e forestiere, e qualche volta soltanto stoffe rozze, spugne, pinze, palette o altre cose del genere, con sopra

scritte oscure e a doppio senso. Durante i banchetti aveva anche l’abitudine di sorteggiare degli oggetti di

valore molto diverso, e di mettere all’asta quadri voltati contro la parete, in modo da deludere o appagare,

con l’incertezza della sorte, le speranze dei compratori, e in questo caso era uso che l’assegnazione si

facesse per ciascun letto della mensa, in modo che fossero in comune sia la perdita che il guadagno6. A partire dal terzo secolo d.C., le monete antiche furono utilizzate anche come amuleti, ornamenti e come oggetti di oreficeria, assimilate alle pietre preziose. L’interesse per le monete quale documento storico da cui trarre utili informazioni è testimoniato ancora in età medievale: sul frontespizio miniato della Geografia di Tolomeo, volume appartenuto alla biblioteca privata di Mattia Corvino ed oggi conservato a Parigi, sono incastonati sei cammei alternati a monete d’oro antiche. E’ ben noto l’interesse

5

Guardia di Finanza, Il Vero e il Falso, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Reggio Calabria, 2012, p. 12.

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collezionistico numismatico del Petrarca: la sua collezione di monete con ritratti degli imperatori era un utile strumento di confronto con le descrizioni ricavabili dalle fonti antiche. Qualche decennio prima, Giovanni de Matociis di Verona aveva utilizzato disegni di monete per illustrare il manoscritto della sua Historia imperialis. In seguito, l’aspetto collezionistico si accentuerà con il rinascere degli studi umanistici e la ricerca di monete antiche diverrà fonte di materiale iconografico utile alla riscoperta del mondo antico, sia come galleria di ritratti di personaggi illustri, sia come modello di ispirazione artistica. La più antica testimonianza di un acquisto a Venezia, del 1335, di una collezione artistico-archeologica, è fornita da un documento di un certo Oliviero Forzetta (1299-1373), notaio a Treviso. La collezione comprendeva anche cinquanta medajae. Il termine “medaglia” per indicare genericamente la moneta è di origine medievale e permane nell’uso sino a tempi recenti, tanto che tuttora le raccolte numismatiche vengono dette “medaglieri”. L’uso probabilmente deriva da una piccola moneta di basso valore del sistema carolingio, la maille (maglia, mezzo denaro od obolo), che viene indicata in documenti in latino come medala, medalla, medalia o medallia. Dopo il cessare del suo uso, il termine sarebbe passato ad indicare monete fuori corso di tutte le specie, anche d’oro, e infine, permanendo comunque un significato di moneta di poco valore, sarebbe stato utilizzato per oggetti monetali senza significato economico, ad uso prettamente commemorativo, quali appunto definiamo oggi le medaglie7. Nel Quattrocento abbiamo notizia dei primi inventari di monete e medaglie come parte dei beni del patrimonio di famiglia e di passaggi di proprietà per vendita di collezioni numismatiche, ma l’analisi attenta delle illustrazioni che accompagnano questi testi ci documentano che il collezionismo

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C. Du Cange, L. Favre, voci Medalia e Medalla, in Glossarium mediae et infimae latinitatis, vol. V, Niort, 1885, pp. 318-319.

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rinascimentale di sovrani, pontefici e principi è spesso ingenuo e sprovveduto e dunque preda dei falsari che in quell’epoca cominciavano a nascere e presto a diffondersi. L’inventario dei beni di Lorenzo il Magnifico, redatto al momento della sua morte, nel 1492, include un totale di ben 2300 esemplari tra monete e medaglie, parte delle quali erano già presenti nella collezione di oggetti d’arte del padre Piero de’ Medici il Gottoso (1416-1419). Anche nella collezione d’arte di Paolo II Barbo, acquistata nel 1471 da Lorenzo, sono comprese monete e medaglie. A proposito della passione di Lorenzo per le monete il suo biografo, Valori, scriveva: “Coloro che volevano affezionarlo, avevano cura di portargli o di mandargli delle medaglie (monete e medaglie) preziose”. Il rinnovato interesse per l’antico, stimolato in tutti i settori del sapere con il Rinascimento, determinò i veri e propri inizi di una scienza numismatica. L’impulso fondamentale veniva dal grande sforzo collezionistico, attivo in Europa tra privati colti, ma soprattutto nell’ambito delle corti dei regnanti, che facevano a gara per arricchire sempre più le loro raccolte, tra questi un ruolo di primo piano svolsero certo gli Asburgo a Vienna. All’interno di queste raccolte, la presenza di falsi fu molto abbondante, ma aprì la strada al problema fondamentale dei primordi della numismatica, quello della classificazione e dell’ordinamento del materiale. Uno dei più noti imitatori di monete antiche fu Giovanni Cavino nato nel 1500 a Padova, con un padre orafo e lui stesso esperto in creazioni di oggetti in argento. Il Cavino riproduceva esattamente monete romane prendendo spunto da autentici esemplari ma anche integrando con notizie di diversa origine fino a creare esemplari di totale fantasia. La riproduzione di monete antiche ebbe sempre maggior seguito con protagonisti illustri che si adoperavano per fornire ai collezionisti quei pezzi rari per completare la collezione. Le basi scientifiche della numismatica trovarono,

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tuttavia, una base solida soltanto per opera del gesuita austriaco Joseph Hilarius Eckhel, prima conservatore del medagliere dei Gesuiti a Roma, poi, dal 1774, direttore del gabinetto numismatico imperiale presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna e docente universitario. Le ricchissime collezioni a sua disposizione gli permisero di portare a termine un enorme lavoro di sistemazione delle monete antiche, che costituirà la base di tutte le classificazioni successive della moneta greca e romana, pubblicato negli otto volumi della Doctrina Numorum Veterum. i primi quattro furono dedicati alle monete greche, il quinto alla moneta romana repubblicana, i rimanenti alle serie romane imperiali. L’ordine dato alla materia è quello che tuttora si utilizza, in linea di massima, nell’ordinamento dei medaglieri e nella compilazione dei relativi cataloghi: le monete greche sono organizzate per regioni, seguendo in senso orario le coste del Mediterraneo, dalla Spagna al Nord Africa, e, all’interno di ciascuna regione, in ordine alfabetico per città emittente, comprendendo anche le monetazioni non strettamente greche e le serie romano-provinciali; le monete romane repubblicane sono classificate per famiglia del magistrato monetario, in ordine alfabetico, quelle imperiali seguendo l’ordine cronologico dei regnanti e dei loro familiari, e, per ciascun imperatore, in ordine alfabetico delle legende dei rovesci. L’impostazione, seppure priva di basi storiografiche adeguate, dal momento che non rispetta la storia della moneta in generale e la sequenza cronologica precisa delle singole emissioni, era tuttavia sufficiente a permettere di sistemare la gran parte delle migliaia di tipi monetali battuti nell’antichità e riconoscere l’enorme quantità di falsi che gli incisori rinascimentali avevano creato per soddisfare la forte richiesta dei sempre più numerosi collezionisti, dai principi delle case regnanti alle principali famiglie nobili e agli eruditi loro protetti, e che abbondavano nei repertori precedenti. Da quel

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momento in poi la numismatica usciva definitivamente dal campo dell’antiquaria erudita e del collezionismo meccanicamente classificatorio per entrare in quello di scienza autonoma, all’interno della vasta famiglia delle scienze dell’antichità, branca in continua evoluzione metodologica e ormai in perenne bilico tra gli studi d’impronta umanistica e l’applicazione delle metodologie delle scienze sperimentali, in una dialettica continua tra questi due poli che porterà, qualora non si perda l’equilibrio in nessuno dei due sensi, a raggiungere sempre nuovi traguardi di conoscenza8.

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2. La moneta in età repubblicana

Il secondo crimine fu di colui che per primo coniò il denario in oro. Anche questo crimine rimane occulto perché è incerto il suo autore. Il Popolo Romano non si servì neppure dell’argento contrassegnato [come moneta] prima della sconfitta del re Pirro […]. Il re Servio fu il primo a far contrassegnare il bronzo grezzo (aes rude). Il bronzo era impresso con la figura di animali domestici (pecudes) e da qui derivò il nome di pecunia […]. L’argento fu contrassegnato [come moneta] nell’anno 485 dell’ Urbe sotto il consolato di Quinto Ogulnio e di Caio Fabio, cinque anni prima della prima guerra punica. E si stabilì che il denario valesse dieci libbre di bronzo, il quinario cinque, il sesterzio un dupondio e un semisse […]9.

A sua volta Livio riferisce:

Ai Picentini sconfitti si accorda la pace. Colonie sono fondate ad Ariminvm nel Piceno e a Beneventvm nel Sannio, allora per la prima volta il Popolo Romano inizia a servirsi di argento10.

Siamo nel 268 a.C., soltanto un anno successivo alle informazioni riportate da Plinio, e non è difficile pensare che fosse già stata avviata una trasformazione nel 269 a.C. (anno consolare di Ogulnio e Fabio) in materia monetaria, a cinque anni di distanza dalla prima guerra punica. Questi due passi sono alla base della discussione ancora irrisolta tra gli studiosi, riguardo all’introduzione del denario all’interno dell’economia romana. In base ai passi sopra riportati si è creduto per un periodo che per argentum signatum si intendesse la moneta dell’anno 269-268 (anno Vrbis CCCCLXXXV) e che questa moneta potesse in qualche modo corrispondere al denario. Mattingly ritenne che il denario fu introdotto nel 187 a.C., poi, dopo uno studio ulteriore, nel 169 a.C.. In seguito Thomsen

9 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXIII, Trad. di Boscherini S., Rizzo A., Roncoroni A., Giardini, Pisa, 1987. 10

L. A. Floro, Epitome de la historia de Tito Livio, Trad. di Isabel Moreno Ferrero, Editorial Biblioteca Nueva, 2000, pp. 300- 376.

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realizzò una sistemazione delle monete romane dalle più antiche fino all’introduzione del denario. In base a questi studi vennero delineandosi diverse teorie: la “teoria tradizionalista” che sostiene ancora la datazione 269-268 a.C., “la teoria ribassista” che abbassa la datazione al 187 a.C. e la “teoria media”, quella fondata da Thomsen attraverso un’attenta e scrupolosa catalogazione e che porta la datazione dell’introduzione del denario vicina alla fine del III secolo a.C.. Quest’ultima teoria trovò subito riscontro nei ritrovamenti archeologici di Morgantina, città sicula presso l’attuale Aidone, dove gli scavi statunitensi dell’Università di Princeton, cominciati nel 1955, riportarono in luce il centro che i Romani avevano controllato con una guarnigione durante il conflitto con Annibale, questa guarnigione era stata consegnata ai Cartaginesi di Imilcone dalla popolazione locale nel 214 a.C., ma subito la città venne ripresa. Ribellatasi di nuovo nel 211 a.C., fu rioccupata dal pretore M. Cornelio. Gli archeologi constatarono che questo secondo episodio aveva lasciato consistenti tracce di distruzioni di edifici e di incendi, associate a materiali che concordavano nella datazione dell’episodio alla fine del terzo secolo a.C.. In alcuni casi, le fasi di distruzione violenta e di abbandono restituirono anche monete non consunte, tutte associabili alla prima fase della monetazione del denario, in particolare, un piccolo ripostiglio proveniente dal santuario meridionale di Demetra e Kore, composto da un denario, quattro vittoriani, tre quinari e un sesterzio, e un ripostiglio dall’interno della cisterna della casa detta del Silver Hoard composto da un aureo da venti assi, otto quinari e ventisette sesterzi, con oreficerie e gemme. Inoltre i quinari mostrano legami di conio, facendo intuire una data di emissione non molto distante da quella del loro interramento11. L’importanza di questi rinvenimenti

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venne immediatamente presentata agli studiosi con una relazione di Theodor Buttrey al Congresso internazionale di Numismatica di Roma, nel 1961, e infine confermata dall’edizione completa dei rinvenimenti numismatici del sito, nonché dallo straordinario ripostiglio rinvenuto nel 1987 presso il Bouleuterion di Agrigento, il quale con cinquantadue esemplari legati da collegamenti di conio, mostra l’importanza della Sicilia nel complesso quadro delle prime emissioni del sistema denariale nei difficili anni dello scontro finale con la potenza rivale12. Sulla base di questi dati è andato gradualmente delineandosi il lavoro di ricostruzione sistematico di Crawford che associa l’introduzione del denario alla data del 211 a.C., quest’ultima accettata dagli studiosi con largo consenso. Al di là di tutte le controversie riguardo alla nascita effettiva del sistema denariale è fuori discussione che il denarius fu il risultato del calcolo delle contingenti necessità monetarie di Roma, l’esito vincente ed efficace di una riforma che collocò il denario in una posizione preminente rispetto al didramma13 e al quadrigatus14. Fu la moneta d’argento in cui Roma si identificò per secoli e fu riconosciuta in tutte le aree di interesse della città, nonostante i continui aggiustamenti e i cambiamenti economici. Bisognerà attendere l’arrivo di ulteriori informazioni dalle fonti, di nuovi dati provenienti dai rinvenimenti archeologici e dai ripostigli per una ricostruzione più dettagliata dell’ingresso del denario all’interno del circuito economico romano. Risulta abbastanza semplice, nel frattempo, pensare ad una soluzione di continuità, ad un’evoluzione graduale del sistema monetario romano, che affondò le sue radici nella monetazione

12 M. Caccamo Catalbiano, Il tesoretto di oro “marziale” da Agrigento e il problema delle origini del sistema

denariale, in Actes du XIe Congrès International de Numismatique, Bruxelles, 1991, Séminaire de

Numismatique Marcel Hoc, Louvain-la-Neuve, 1993, pp.109-116.

13

Prima moneta d’argento dei Romani che si colloca cronologicamente attorno al 320 a.C.

14Al didramma successe il quadrigato, in effetti è un didramma esso stesso, ma con le caratteristiche

rappresentazioni al rovescio della quadriga guidata da Giove, mentre al dritto è una testa virile giovanile gianiforme.

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“romano-campana”15 e che trovò vigore, legittimità ed affermazione nel sistema denariale durante il periodo del conflitto punico, in virtù delle mutate esigenze economiche e delle nuove condizioni politiche e sociali che Roma si trovò ad affrontare. Nulla impedisce di credere che il denario circolasse parallelamente al sistema monetario romano precedente prima e dopo la sua effettiva entrata in vigore come moneta ufficiale: “Le monete di argento e di bronzo furono emesse fianco a fianco allo scoppio della seconda guerra punica (218 a.C.) quando a causa dell’enorme sforzo finanziario sostenuto dalle casse dello Stato, si decise la riduzione del contenuto metallico della moneta e quindi fu creato il nuovo sistema monetario del 211 a.C.”16. Il denario fu lo strumento attraverso il quale, con l’introduzione di una moneta di peso inferiore a quello del didramma e vicino a quello della dramma, Roma potè entrare nei commerci di vario tipo poiché il denario era molto meno costoso del didramma e della dramma stessa. Inoltre esso potè essere rapportato alla moneta di bronzo romana con maggior coerenza che non il didramma, mentre il cambio con la valuta straniera, fondata appunto sul didramma e sulla dramma, poté avvenire con i consueti criteri di rapporto tra monete straniere. Dovendo anche affrontare numerose guerre, tra cui quella punica, Roma aveva bisogno di una moneta più “comoda” e “utile” rispetto alle precedenti troppo pesanti e poco funzionali alle necessità del periodo. Ovviamente ciò corrispose ad un abbassamento del valore intrinseco della moneta, ma quest’ultima ne guadagnò, allo stesso tempo, in adeguatezza ai costi e agli scambi interni ed esterni17. Il sistema del denario durante la seconda guerra punica (218-201 a.C.) consisteva essenzialmente di un’unità di bronzo, l’asse, con una serie di nominali più piccoli in bronzo, e di un’unità d’argento, il denario,

15 R. Cantilena, Monete della Campania antica, Banco di Napoli, Napoli, 1988, p.175. 16

F. Catalli, Monete Etrusche, Libreria dello Stato, Roma, 1990, pp. 141-144.

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con peso standard di 4,5 g18 circa e con due serie di nominali più piccoli in argento. L’asse era un decimo di denario; il più piccolo pezzo di bronzo prodotto in quantità significative, il sestante, era un sesto di asse e perciò un sessantesimo di denario (Tabella 1). Nel corso del II secolo a.C. il valore della moneta di bronzo diminuì in relazione a quella d’argento, col risultato che l’asse fu riquotato a un sedicesimo di denario. Ad un certo punto si cessò di battere il sestante e il quadrante, un quarto di asse, diventò il più piccolo pezzo di bronzo che venisse prodotto. Ma a causa del calo di valore della moneta di bronzo, il rapporto tra il denario e il più piccolo pezzo di bronzo rimase quasi lo stesso, 1 : 64 invece di 1 : 60.

Tabella 1. Il sistema del denario

Metallo Nominale Segno di valore Tipi

Oro 3,35 g ↓X (60) Marte/Aquila su fulmine

” - XXXX (40) ”

” - XX (20) ”

Argento Denario 4,5 g X (10 assi) Roma/Dioscuri a cavallo

” Quinario V (5) "

” Sesterzio IIS(2₊semisse) ”

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” Vittoriato -

Giove/Vittoria incorona trofeo

Bronzo Asse I Giano/Prua

” Semisse(⅟2) S Giove ” Triente (⅓) •••• Minerva ” Quadrante(⅟4) ••• Ercole ” ” ” Sestante (⅙) Oncia (⅟12) Semuncia(⅟24) •• • ∑ Mercurio Roma /

In una delle più brillanti e divertenti orazioni ciceroniane, questo passaggio è evidente. Cicerone nel difendere Celio dalle svariate accuse di scarsa integrità morale, di complicità con Catilina, si scaglia contro colei che dietro le quinte sarebbe stata la vera regista dell’attacco contro Celio: Clodia, l’amante abbandonata dallo stesso Celio, sorella del tribuno che aveva costretto Cicerone all’esilio, e molto probabilmente la stessa donna che Catullo cantò sotto il nome di Lesbia. In un passo dell’orazione Cicerone parla di una quadrantaria permutazione, e cioè dello scambio fra il prezzo del bagno per gli uomini (un quadrante), e lo stesso prezzo per il quale Clodia avrebbe venduto le proprie grazie al padrone dello stabilimento. Come già riferito, il quadrante era la più piccola moneta in coniazione presso i Romani in quel periodo. C’è pure un’allusione all’espressione

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quadrantaria Clytemnestra (“Clitennestra da un soldo”), con cui sappiamo che Celio stesso nell’autodifesa aveva definito Clodia, riprendendo le dicerie sull’uccisione del marito (Clitennestra aveva ucciso lo sposo Agamennone) e contemporaneamente insinuando che la donna usava concedersi a poco prezzo:

Ma tutto questo, o giudici, è così facile a confutare! Anzitutto, perché proprio un bagno egli

avrebbe scelto? Io non vedo dove, in esso, ci sia un nascondiglio per uomini togati: perché, o stavano

nell’atrio, e non sarebbero stati nascosti; o si volevano raccogliere nell’interno, e non era agevole il farlo,

calzati e vestiti: se pure c’erano lasciati entrare, ciò di cui dubito; a meno che quella donna potente non si

fosse fatta amica del padrone del locale alla consueta tariffa di un quadrante19.

Il semisse sostituì il quadrante in questa posizione nel secondo secolo d.C.. Questo tipo di sistema, con i suoi numerosi nominali, permise il funzionamento di grosse operazioni commerciali come la compravendita di case ed edifici, ma anche di piccole operazioni giornaliere. La moneta coniata finì con l’essere essenziale per la vita delle città a ogni livello sociale. L’aristocrazia del periodo ciceroniano, per esempio, utilizzava la moneta per far fronte sia alle spese politiche che a quelle quotidiane, mentre i ceti sociali più bassi, in constante preoccupazione per le fluttuazioni del tasso di cambio tra la monetazione d’argento e la monetazione di bronzo, utilizzavano quest’ultima soprattutto per le operazioni commerciali quotidiane, inoltre, esistevano banchieri che applicavano commissioni per cambiare bronzo e argento e l’importo applicato dell’operazione variava di luogo in luogo e di tempo in tempo. Nelle province settentrionali, l’utilizzo della moneta era molto diverso, lì la moneta coniata fu poco usata come mezzo di scambio, ma servì principalmente come riserva di ricchezze e come mezzo obbligato per pagare le tasse. In queste aree monete di “imitazione” erano molto diffuse. Nel commercio antico si

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manifestavano spesso preferenze verso le valute che assumevano valore di moneta internazionale soprattutto per i privilegi ad esse collegate, con i conseguenti ritorni economici nei confronti delle città o degli Stati emittenti. Per sfruttare la notorietà della “moneta internazionale”, altri Stati e città decidevano di coniare una moneta che ne imitasse il taglio, le percentuali di fino e le tipologie. Dall’imitazione alla contraffazione il passo era breve e in alcuni casi per garantirsi maggiori introiti, la città o lo Stato che già ricorreva all’imitazione giungeva ad alterare la purezza o la lega del metallo al pari dei falsari. E’ importante, quindi, distinguere la semplice imitazione, operazione di fatto ritenuta “legale” almeno fino al ‘600, dall’alterazione della lega e del peso che, danneggiando la credibilità della buona moneta, costringeva le autorità ad emettere provvedimenti di ritiro dalla circolazione di tutte le monete imitate per eliminare quelle cattive. I falsi avevano lo scopo primario di truffare la circolazione, ovvero, di trarre profitto dalla messa in circolazione di moneta non autentica realizzata a basso costo da parte di falsari privati. La convenienza, infatti, a produrre una moneta falsa imitante una autentica in circolazione doveva essere legata strettamente al costo contenuto di tutta l’operazione. Per questo motivo le monete maggiormente falsificate erano in oro e argento mentre la falsificazione di monete di bronzo non doveva dare sufficienti guadagni. Per garantirsi maggiori utili, i falsari dovevano intervenire su tipologie ampiamente circolanti ed accettate dai mercati, modificando il contenuto di fino per quanto riguarda la moneta in oro e in argento, ma anche producendo dapprima i tondelli in metallo vile da ricoprire successivamente con dorature o argentature. I procedimenti di doratura e argentatura sono ampiamente conosciuti e i risultati si diversificano quanto ad omogeneità e compattezza della copertura anche in relazione alla quantità e alla qualità

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del metallo nobile usato e all’abilità dell’esecutore20. Le funzioni di cambiare denaro e controllare la genuinità delle monete erano svolte dai nummularii. L’emergere dei nummularii come controllori delle monete avvenne in risposta al numero crescente di monete placcate messe in circolazione dai falsari dal secondo secolo a.C. in poi, e lo Stato stesso non mancò di macchiarsi di falsificazione in alcuni periodi di grave crisi economica. I denarii suberati21, pelliculati o foderati erano costituiti da un’anima in metallo vile, solitamente di rame, ricoperta da uno strato molto sottile d’argento. Il tondello di rame, ottenuto per fusione, veniva inizialmente pulito e rivestito a freddo e a pressione dalla lamina d’argento e quest’ultima veniva successivamente sottoposta ad alte temperature fino a farla aderire completamente al nucleo di metallo vile22:

[…]Nacque pertanto l’arte di sottoporre le monete a controllo metallico, con una legge così accetta

alla plebe, che per tutti i quartieri di Roma furono dedicate a Mario Gratidiano statue intere. E’ questa

l’unica arte in cui si studia il vizio di fabbricazione, in cui si tiene come modello un denario falso, e per cui, a

comprare una moneta falsa, occorrono parecchie buone […]23.

Le maggiori informazioni riguardo all’attività dei nummularii proviene dalle etichette (tesserae) ritrovate a Roma e in altre città italiane, attaccate alle borse di denaro di cui, i nummularii stessi, avevano controllato il contenuto. Anche se la monetazione antica non si liberò mai dalla dipendenza del suo contenuto metallico, si tollerarono variazioni di peso abbastanza ampie prima di ritenerne intaccato il valore nominale, le monete consumate di solito venivano tesaurizzate allo stesso modo di quelle nuove e il sistema monetario romano si dimostrò anche capace di assorbire monete estranee e di trattarle come le monete del sistema alle quali assomigliavano di più. Durante la

20

Guardia di Finanza, Il Vero e il Falso, cit., 2012, pp. 6-9.

21 Dal latino subaeratus, col rame sotto. 22

F. Catalli, La Moneta di Roma, Prefettura di Novara, Novara, 2010, p. 28.

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repubblica, il volume della moneta coniata fluttuò a seconda del salire o dello scendere del numero di legioni in servizio e del crescere o del calare di altre spese dello stato. La monetazione, quindi, fu inventata a Roma, molto probabilmente, per effettuare pagamenti statali in maniera agevole e una volta emessa, la moneta veniva richiesta indietro dallo stato in pagamento delle tasse.24 Dalla fine del secondo secolo a.C.,25 la moneta assunse anche un valore ulteriore che fu quello propagandistico e di esaltazione del potere personale da parte di chi emetteva moneta. Ai simboli e ai valori della tradizione, andarono sostituendosi gradualmente quelli nuovi dell’autocelebrazione e del prestigio personale, della legittimazione del potere dell’individuo e della gens di appartenenza, attraverso la rivendicazione di origini divine e di antenati illustri. La moneta partecipò enormemente alla diffusione di una nuova mentalità pregna di simboli e significanti provenienti dall’Oriente che servì al potere per la sua ostentazione (vedi appendice). Con la fine della repubblica cominciò la produzione regolare di un pezzo in oro, l’aureo, del valore di venticinque denarii. Le frazioni d’argento del denario, che avevano riempito il vuoto tra il denario e l’asse, furono in larga misura sostituite sotto Augusto dai multipli di orichalcum26 dell’asse, i dupondi e i sesterzi che sono tra gli elementi più comuni della monetazione imperiale romana27.

24

C. Howgego, La Storia Antica attraverso le Monete, Quasar, Roma, 2002, pp. 96-104.

25 P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Bollati Boringhieri, Torino, 2006, p. 15. 26

Ottone: lega metallica di rame e zinco.

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2.1 I giacimenti minerari

[…] Le tegole le trovò Kinyras, figlio di Agriopas, e le miniere di rame: l’una e l’altra cosa a Cipro, e parimente le tenaglie, il martello, la leva, l’incudine; i pozzi li inventò Danao, venuto dall’Egitto in Grecia, nel luogo detto Argos Dipsion, o Argo Assetato; […] Aristotele dice che fu Lydos Scita a indicare il modo di batter moneta e far leghe metalliche, Teofrasto invece indica Delas di Frigia; la lavorazione del bronzo altri l’attribuisce ai Chálibi, altri ai Ciclopi; per il ferro Esiodo cita i Dattili Idei di Creta; l’argento lo trovò Erichthonios Ateniese, o, secondo altri, Aiakos; […] la lavorazione del ferro la inventarono i ciclopi […]28.

Come mostra anche questo passo di Plinio, nell’antichità l’attività metallurgica aveva una connotazione fortemente magico-religiosa, molto probabilmente legata ai segreti che questa arte “misteriosa”, svelava soltanto a pochi eletti. Telchini, Cabiri, Cureti e Dattili costituiscono gruppi di divinità della mitologia greca legate non solo alla lavorazione dei metalli, ma anche alla magia e ai riti iniziatici. Il senso magico, divino e di turbamento provato dalle antiche civiltà di fronte ai prodotti della lavorazione del metallo è ben espresso dalla rappresentazione dell’aspetto non gradevole di alcuni personaggi mitologici legati alle attività metallurgiche: i Ciclopi sono monoftalmi, Efesto/Vulcano è zoppo, mentre nelle saghe nordiche i fabbri per eccellenza sono i nani. Tralasciando l’elemento culturale, elementi guida nelle ricerche dei giacimenti minerari per l’estrazione dei metalli dovettero essere gli affioramenti superficiali, la topografia, lo stato della vegetazione, l’idrografia, e l’esperienza di come questi fattori potevano manifestarsi luogo per luogo, riuscendo a fornire, in questo modo, indizi dei materiali sepolti. Si suppone che, una volta esaurito il materiale superficiale, si passasse a piccole coltivazioni a cielo aperto e poi da queste, di fronte a giacimenti filoniani, a gallerie capaci di seguirne

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le vene29. Problemi fondamentali di qualsiasi sfruttamento in profondità furono la ventilazione e il drenaggio. Per quanto riguarda la ventilazione venivano scavati pozzi paralleli con fuochi e camini per favorire il tiraggio dell’aria, per quanto riguarda il drenaggio delle acque sotterranee, invece, furono applicate diverse tecniche capaci di sfruttare le giuste pendenze per la realizzazione di gallerie, e che avevano la capacità di trasportare energia con accorgimenti meccanici. L’illuminazione si otteneva attraverso l’utilizzo di torce e lucerne, e gli utensili, finora recuperati in quantità limitate, erano quasi sempre mazze, spesso litiche, e picconi. Un’operazione che si svolgeva a lato delle antiche miniere e che si può localizzare attraverso tracce materiali è quella di selezione del materiale di scarto della roccia incassante non mineralizzata, tale selezione avveniva manualmente facendo riferimento al peso specifico. Per la selezione del materiale macinato, già dall’età classica erano usati decantatori ad acqua corrente di cui sono noti due tipi: elicoidale e piano. Tali strutture e tecniche, il cui esempio più semplice è la batea usata per raccogliere pagliuzze d’oro nelle acque correnti, potevano essere in legno30. Il complesso minerario greco di età classica maggiormente conosciuto è costituito dal Laurion, nell’Attica Meridionale, dove si coltivavano giacimenti a solfuri misti contenuti entro strati alternati di calcare e scisto. I primi lavori risalgono all’età del bronzo e il sito fu intensamente sfruttato dagli Ateniesi fino al primo secolo d.C.. Tracce dell’attività di estrazione degli Etruschi sono ancora visibili nei monti di Campiglia Marittima, ma furono i Romani ad apportare le innovazioni maggiori. I loro più rilevanti apporti sono costituiti dalla razionalizzazione e dalla meccanizzazione delle coltivazioni, ottenute adattando alle esigenze dell’arte mineraria macchine ellenistiche concepite inizialmente per altri usi, va

29

U. Menicali, I materiali dell’edilizia storica, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1992, pp. 218-220.

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inoltre rilevata l’evoluzione dello strumentario con l’impiego ormai esclusivo del ferro: venivano impiegati martelli, picconi e picche; nel caso di rocce molto dure, si utilizzavano magli con teste che potevano arrivare a un peso anche di 49 Kg; la raccolta del minerale si avvaleva di rastrelli e vanghe. La maggiore innovazione prodotta dai Romani resta comunque l’introduzione delle macchine ellenistiche nello sfruttamento minerario; esse erano principalmente finalizzate a risolvere il problema dell’evacuazione delle acque sotterranee, rendendo possibile seguire le vene anche in profondità. Ruote per il sollevamento dell’acqua e viti di Archimede erano già utilizzate nell’Egitto tolemaico per l’irrigazione; in età imperiale esse vennero impiegate con successo nel drenaggio delle miniere. La ruota idraulica, o rota, era costruita in legno, disposta a coppie e portava dei recipienti che, una volta azionata per mezzo di ingranaggi e fatta girare, scaricavano a rotazione continua l’acqua nel bacino di pompaggio della coppia posta nei livelli più elevati. La vite di Archimede o coclea, era costituita da un tubo cilindrico al cui interno ruotava una superficie elicoidale, probabilmente azionata coi piedi; essa era disposta in serie con altre, affinché ciascuna di esse scaricasse l’acqua nel bacino di pompaggio di quella superiore. I Romani operarono in maniera innovativa anche nello sfruttamento delle coltivazioni a cielo aperto: sfruttarono la forza dell’energia idraulica per operare massicci scavi in grandi depositi d’oro di terrazzi alluvionali. Imponenti lavori servivano a convogliare l’acqua verso l’area del giacimento, provocandone il disgregamento, attraverso un sistema di acquedotti, bacini, canali, gallerie e pozzi d’abbattimento. Infine, serbatoi e canali lavavano i detriti per concentrare l’oro. I Romani sfruttarono intensamente le miniere della Sierra Morena, della Murcia, le miniere iberiche di Aljustrel, di Cabezo Rajado, El Centenillo, Jaén, Posadas, Cordova, Mazarrón, di Sotiel Coronada

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(Huelva) e di La Leitosa, nel León. Altri giacimenti furono sfruttati in Gallia (Maine-et-Loire e Limosino), nell’area alpina e in Transilvania31. La produzione di moneta, quindi, era strettamente legata alla disponibilità di metallo prezioso e alla possibilità di sfruttate talvolta enormi quantità di materiale minerario, ragion per cui le civiltà del passato si sono spesso trovate a doversi fronteggiare per l’accaparramento delle materie prime e per il dominio delle rotte commerciali. Inoltre da non sottovalutare a riguardo, erano le enormi quantità di monete ottenute dalla rifusione e quindi dal riutilizzo di moltissimi oggetti in metallo prezioso, un fenomeno quest’ultimo, molto frequente durante i gravi periodi di crisi economica. I bottini di guerra dovettero sempre giocare un ruolo importante nell’importazione di materia prima, così come nell’acquisizione di oggetti d’arte e beni di lusso, inoltre anche monete vecchie o straniere potevano essere riconiate. E’ dunque un problema storico notevole individuare in quale modo le città che non avevano accesso diretto alle miniere ottenessero il metallo per la monetazione, attraverso una combinazione variabile di guerra, commercio, imposizione di tributi o altro ancora32.

31

C. Giardino, I metalli nel mondo antico, Laterza, Bari, 2010, pp. 47-52.

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2.2 Le zecche

Moneta o officina monetae erano i termini con i quali si designava l’officina monetaria; il termine “zecca”, sikka che vuol dire strumento per coniare è di derivazione arabo-medievale e si è diffuso, probabilmente, attraverso le officine arabo-normanne della Sicilia33. La ricerca numismatica degli ultimi decenni ha migliorato la comprensione della complessità delle attività legate alle zecche: nella maggior parte dei casi le monete vennero battute in determinate città dove esistevano zecche ufficiali, in altri vi furono collaborazioni tra città diverse per la produzione monetale e in altri ancora le zecche si mossero al seguito degli eserciti, le cosiddette zecche itineranti. Diversi studi hanno dimostrato l’uso di uno stesso conio per produrre monete per due o più città, e questo dato fa sorgere la possibilità che la zecca di una città battesse moneta anche per altre città, ma comunque il fenomeno non era generalizzato. L’utilizzo degli stessi conii tra città diverse poteva avvenire solo quando le loro monete avevano lo stesso tipo su almeno un lato; se le monete di due città non hanno lo stesso tipo monetale non c’è possibilità di condivisione di conii tra di loro anche se le monete venivano prodotte nella stessa officina. In questo caso l’identità della zecca potrebbe essere riconoscibile solo attraverso somiglianze nell’incisione dei conii, nelle tecniche di lavorazione e nella metallurgia, somiglianze però difficilmente identificabili e interpretabili. Per questi motivi l’esistenza di zecche centralizzate non può essere sempre individuata. Un altro problema è che anche la condivisione di conii tra città non significa necessariamente che le rispettive monete venissero prodotte nella stessa zecca. L’utilizzo comune di conii da parte di zecche diverse

33

L. Travaini, Propaganda politica nelle monete normanne e sveve del Regno di Sicilia, Rivista Italiana di Numismatica, XCV, 1993, pp.585-95.

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poteva anche nascere dal trasferimento di conii da una zecca all’altra, per esempio con l’apertura di una nuova zecca. Il trasferimento dei conii poteva verificarsi anche per altre ragioni, come nel caso di zecche decentrate per monetazioni regie o federali.34 Quando però la condivisione di conii risulta sistematica e non occasionale può essere meglio interpretata come segno di una coniazione centralizzata. E’ chiaro, per esempio, che nel tardo quinto secolo e nella prima parte del quarto secolo a.C. Neapolis ha battuto monete in argento per altri popoli e città della Campania35. Nel tardo quarto secolo a.C. la zecca di Neapolis fu responsabile della primissima monetazione fiduciaria in bronzo a nome dei Romani, ma con un’iscrizione rivelatrice in lingua greca. In certi periodi Roma produsse moneta in argento, così come in metallo vile, di stile regionale per la circolazione in Cappadocia, in Siria, in Egitto e altrove in Oriente, produceva moneta per tutte le province d’Occidente, ma l’unica differenza è che la monetazione in Occidente era standardizzata, mentre le monete per l’Oriente erano prodotte secondo gli stili e i pesi regionali. Le zecche, quindi, potevano essere permanenti o temporanee o anche itineranti, i conii potevano essere trasferiti da una zecca all’altra e una zecca in città poteva produrre monete per un’altra città o regione36. Lo studio dei conii utilizzati per la produzione di importanti serie monetali può dare informazioni non solo sull’organizzazione della zecca, ma anche sulla durata e la consistenza della produzione. Se è vero che monete battute con lo stesso conio erano prodotte normalmente nella stessa zecca, esse erano anche probabilmente contemporanee le une con le altre, tenendo conto che i conii si logoravano o si rompevano con l’uso e dall’uso dipendeva

34

M. Thompson, The Agrinion Hoard, American Numismatic Society , NNM 159, New York, 1968, pp.100-102

35 N.K. Rutter, Campanian Coinages, 475-380 BC, Edinburgh University Press, Edinburgh, 1979, pp. 75, 82-83,

102.

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quindi la loro durata. Nel periodo ellenistico su alcune monetazioni in argento si indicava il mese di coniazione e questo elemento permette uno studio della durata d’uso dei singoli conii: in alcune zecche molto produttive e di attività regolare i conii duravano in media da tre a cinque mesi e alcune volte anche meno, mentre in altre zecche con emissioni più ridotte i conii potevano rimanere in uso fino a cinque anni. Secondo alcuni studiosi nella tarda Repubblica l’intensità di produzione dei denarii nella zecca di Roma era tale da richiedere la sostituzione dei conii anche dopo un solo giorno. Per lo storico, la conseguenza di gran lunga più importante dello studio dei conii è il fatto che esso permette di valutare la quantità delle emissioni monetali, ricordando comunque che non solo la produzione effettiva dei singoli conii poteva variare enormemente, ma potevano esserci significative variazioni anche nella produzione media delle emissioni, e all’interno di una singola emissione con il tempo. La produttività di un conio poteva variare innanzitutto in base al metallo usato, alle dimensioni e al tipo di moneta, alla qualità del conio stesso, all’abilità dei lavoratori della zecca, e dipendeva poi anche dal momento in cui veniva sostituito, se cioè venisse utilizzato fino alla completa consunzione o sostituito prima. Gli studi sulle quantità di produzione sono di fondamentale importanza se applicati in modo appropriato e con cautela: per esempio hanno potuto dimostrare che prima della Seconda Guerra Punica la produzione monetale romana aveva dimensioni inferiori non solo rispetto a quella di Cartagine, ma perfino a quella di alcune città italiane37, ed hanno mostrato il basso valore totale della monetazione provinciale romana in bronzo prodotta nella zecca di Corinto tra il 44 a.C. e il 69 d.C., in entrambi i casi inoltre, i dati ottenuti ci permettono di escludere almeno alcune delle ipotesi sulla funzione di quelle monetazioni. Lo studio dei conii è spesso sufficiente per distinguere periodi di alta e bassa produzione

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ed è quindi utile purché non vengano forzati i dati: si può allora vedere come la produzione di certe monetazioni aumentò in modo sostanziale in tempi di guerra o in occasione di una riforma monetaria. A Roma, durante il periodo repubblicano, la zecca era ubicata sul Campidoglio, ma probabilmente dopo l’incendio dell’80 d.C. fu trasferita nell’area della Domus Aurea di Nerone che sotto i Flavii tornò ad essere di proprietà pubblica. Alcuni resti dell’edificio sono identificabili sotto la chiesa di S. Clemente, a circa quattrocento metri ad est del Colosseo. Si trattava di una lunga costruzione rettangolare, ampia circa trenta metri, ma di lunghezza sconosciuta, articolata su due piani principali, di cui quello inferiore era diviso in due piani, almeno nella prima fase di costruzione. L’esterno della costruzione era costituito da un muro poderoso, probabilmente con una sola porta e nessun’altra apertura. Il piano inferiore era composto da un grande numero di stanze disposte attorno al cortile con un peristilio. Il complesso potrebbe aver continuato la sua funzione come zecca fino al tardo quarto secolo d.C.38. Senza dubbio, l’identificazione sicura dell’edificio destinato a produrre moneta è legata al ritrovamento contestuale di più elementi connessi all’attività propria della struttura, documenti certi sono costituiti dai tondelli, accompagnati da scarti di lavorazione, lingotti, tracce dei forni, sistemi di approvvigionamento idraulico. Gli addetti ai lavori all’interno della zecca rivestivano diversi ruoli: l’optio, che in genere indica un basso grado militare, in questo caso doveva riferirsi ad un sovrintendente, con ruolo di controllo, svolgeva quindi funzione di exactor. I signatores erano gli incisori dei coni, così anche gli scalptores, vi erano poi i suppostores gli addetti alle tenaglie che reggevano i tondelli durante la coniazione, e i malliatores quelli che con il colpo di martello ottenevano l’impronta dei conii nel metallo, gli officinatores dovevano poi essere operai privi di specializzazione o

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assegnati ad operazioni secondarie, mentre gli appaltatori della fonderia monetaria erano i gestori dell’officina dedicata alla preparazione dei tondelli, operazione che poteva svolgersi in luoghi differenti da quelli della coniazione, alla quale erano addetti i flaturarii. Inoltre, in età imperiale vi era la carica di procurator monetae, l’amministratore della zecca. Altri addetti alla zecca, con mansioni di controllo della moneta finita o della lega metallica, erano i nummularii, noti da una dedica ad Eracle da loro commissionata, insieme agli officinatores delle officinae argentariae, ritrovata a Roma nei pressi della fontana di Trevi. Questa stessa iscrizione ci testimonia dell’uso del termine familia monetaria per indicare l’insieme degli addetti alla zecca39.

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2.3 Produzione e coniazione

L’argento, grazie al suo alto valore intrinseco, fu il metallo più utilizzato nell’antichità per la produzione di monete e per le piccole transazioni commerciali. L’invenzione della moneta comportò la messa a punto di tecniche e metodi di lavorazione: della fusione, della battitura o coniazione che andarono perfezionandosi nel tempo. Per quanto riguarda la battitura, si tratta di una tecnica di tipo artigianale piuttosto elaborata che richiedeva manodopera variamente specializzata non solo dal punto di vista metallurgico e quindi delle leghe, ma anche nelle competenze più strettamente legate alla moneta, ovvero nell’approntamento degli elementi base, i tondelli, e nell’esecuzione di tutte le operazioni connesse alla battitura, dall’incisione dei conii sino alla coniazione vera e propria e alle rifiniture finali (si veda cap. precedente). Il tondello è il pezzo di metallo destinato ad essere coniato. Il nome, ovviamente, prende origine dalla forma pressoché circolare che questi assunsero durante i primi procedimenti metallurgici, ovvero delle gocce d’argento e di elettro che conosciamo soprattutto per i rinvenimenti di Efeso, il sito archeologico più antico a riportare testimonianze monetali. Dal momento che una delle caratteristiche conformanti la moneta è la sua standardizzazione, garantita dall’impronta del sigillo dell’autorità emittente, ne discende che il tondello debba essere prodotto in dimensioni standardizzate e quindi in un peso uniforme e in un numero che rispetti la quantità preventivata sulla base del metallo disponibile. Le modalità per ottenere questo risultato sono due: “al marco” o “al pezzo”. Con l’espressione “al marco” si intende che le monete sono state prodotte stabilendo a priori quale dovesse essere il numero di esemplari prodotti per un’unità di peso di metallo (o lega) grezzo. Questo significa che nella preparazione del tondello, non era

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tanto importante la precisione del peso di ciascun pezzo, quanto piuttosto che il numero totale corrispondesse esattamente alla quantità di metallo di partenza divisa per il peso teorico prefissato. Questo consentiva un ampio margine di tolleranza da esemplare a esemplare ed era perciò utilizzato nel caso di produzione di monete a basso valore intrinseco, con alto grado di fiduciari età rispetto al valore nominale, e dunque per monete in metallo o lega di basso valore: rame, bronzo, misture. Coniare al pezzo, invece, significa che ciascuna moneta deve corrispondere esattamente al peso teorico predefinito e, dunque, che il margine di tolleranza per l’eventuale scarto di peso tra un esemplare e l’altro debba essere estremamente basso. Tale sistema veniva dunque impiegato essenzialmente nella preparazione di tondelli per moneta ad alto valore intrinseco e basso valore fiduciario, quale quella in metalli pregiati: oro e argento, e comportava costi di produzione maggiori. Se messe in circolazione, tali monete potevano, infatti, essere sottoposte dal mercato a una verifica precisa, con il ritiro dei prezzi troppo pesanti: tesaurizzazione, e il rifiuto di quelli troppo leggeri40. La fabbricazione poteva svolgersi in vari modi. Il più diffuso nell’antichità fu quello di fondere il metallo entro stampi. La matrice poteva essere aperta, e da essa derivava una sezione del tondello con pareti svasate, da cui la definizione di tondello tronco-conico, oppure chiusa, con due valve che venivano accostate e messe a registro tramite perni, prima della colatura. I tondelli così ottenuti potevano essere globulari e cioè sferici o lenticolari, con i bordi arrotondati. Le matrici dovevano essere realizzate con materiale refrattario: pietra o terracotta, per poter essere riutilizzate più di una volta. Normalmente ciascuna matrice recava più impronte uguali, in serie, collegate tra loro da brevi canaletti, che consentivano al metallo fuso di colare dall’una verso l’altra. Con il raffreddamento, il metallo che riempiva tali canaletti

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dava origine a “codoli” di fusione, che venivano, dopo l’apertura delle valve, recisi con tenaglie o scalpelli e le cui tracce potevano essere lasciate parzialmente sui tondelli oppure completamente rimosse con l’impiego di una lima. Anche la non perfetta registrazione delle due valve della matrice lasciava un evidente segno di giunzione sul bordo del tondello, che se non asportato, poteva risultare ancora visibile sulla moneta finita. In alternativa, il tondello poteva essere segato da una barra metallica del diametro voluto, regolarizzandone il contorno a martello allo scopo di avvicinarlo alla forma circolare, tecnica utilizzata per i grandi bronzi imperiali del secondo e terzo secolo d.C.; oppure ancora era possibile ritagliarlo con lo scalpello o le cesoie da una lamina dello spessore voluto, tecnica quest’ultima, che ebbe larghissimo uso nel Medioevo41. Tondelli ritagliati sembrano presenti nella monetazione romana solamente in alcune serie auree ed argentee di quarto, quinto secolo d.C.42. Tra le poche cose di cui non parla Plinio vi è il procedimento di battitura ed è possibile ricostruirlo grazie al fatto che questo è rimasto inalterato per tutto il medioevo e la prima età moderna. Per quanto riguarda gli attrezzi, i più caratteristici ritornano su alcune raffigurazioni di epoca romana. In particolare, un denario in argento del magistrato T. Carisius, battuto a Roma nel 46 a.C. presenta al rovescio l’attrezzatura essenziale: un’incudine cilindrica, con ai lati le tenaglie, necessarie a porre i tondelli riscaldati sull’incudine, e il martello, destinato a dare il colpo sul conio superiore, per imprimere i tipi sulle due facce del tondello. Ovviamente la scelta è stata, in questi casi, di produrre gli oggetti più evocativi, all’interno del processo produttivo, tralasciando dunque i forni, i crogioli e tutto quanto serviva alla fusione del metallo grezzo. Gli elementi più delicati all’interno del sistema di fabbricazione della moneta

41 A. Finetti, Numismatica e tecnologia. Produzione e valutazione della moneta nelle società del passato,

Carocci, Roma, 1987, pp. 23-28, 34-36.

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erano certamente i conii, gli stampi metallici che dovevano recare, incisi in negativo, quanto si voleva comparisse sulla moneta finita in rilievo, in positivo: raffigurazioni, scritte, simboli. Il lavoro di incisione del conio richiedeva notevole perizia e l’uso di strumenti appuntiti, per esempio trapani e bulini, adatti ad incidere il metallo. Alcune parti potevano essere ottenute con l’impressione di un punzone positivo sulla superficie del conio, specialmente per segni ripetitivi, come le lettere delle iscrizioni o i simboli accessori, ma sul loro uso nell’antichità non c’è sicurezza, mentre nel Medioevo e in età moderna ebbero largo utilizzo43. Al di là delle serie greche arcaiche dove sul rovescio della moneta era semplicemente impresso un punzone, o più di uno, quadrato o rettangolare, privo per lo più di immagini, con la funzione di trasmettere il colpo di martello, tenendo contemporaneamente fermo il tondello perché non scivolasse via, in generale la moneta è frutto dell’azione di due conii sui due lati del disco metallico, i quali determinano, in conseguenza della sollecitazione meccanica della battitura, gli elementi a rilievo che vanno a costituire le due facce della moneta, il diritto o recto, e il rovescio o verso. La parola italiana “conio” deriva dal latino cuneus (cuneo), utilizzato nel Medioevo, per indicare lo stampo per impronte monetali. Si tratta di elementi cilindrici o conici in metallo, con un’estremità accuratamente lisciata per ricevere l’incisione dei tipi. Il conio di diritto è quello che viene incassato nell’incudine e per questo motivo è anche detto “conio di incudine”. Il conio di rovescio è invece un elemento libero, che doveva essere posizionato ciascuna volta sul tondello prima della battitura. E’ anche detto “conio di martello”, poiché è questo elemento a ricevere direttamente il colpo che imprimerà le immagini nel metallo. Per ottenere un migliore risultato, il tondello era preventivamente

43

A. Finetti, Numismatica e tecnologia. Produzione e valutazione della moneta nelle società del passato, cit., pp. 66-74.

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riscaldato, allo scopo di rendere il metallo più malleabile, e per questo motivo veniva posizionato su conio di incudine tenendolo con le tenaglie: a causa della sollecitazione della battitura, che proveniva verticalmente dall’alto, il metallo si dilatava sotto il colpo e i bordi del tondello tendevano a sollevarsi. Perciò in molte monete antiche è possibile individuare facilmente quale sia il lato di rovescio, poiché presenta una superficie concava, e quello di diritto, convesso. La distinzione tra i due lati della moneta è, dunque, un fatto rigorosamente tecnico, e non ha nulla a che vedere con l’importanza maggiore della figurazione su uno dei due (il diritto), come si è spesso sostenuto. Il conio doveva essere realizzato con un metallo più duro di quello del tondello, si può ragionevolmente supporre che i conii destinati alla battitura di oro e argento fossero in bronzo, mentre per le serie in rame o in lega di rame si usassero conii in ferro. Nella grande maggioranza dei casi i conii dovettero essere distrutti al termine dell’emissione per la quale erano stati preparati, allo scopo di evitarne usi impropri e fraudolenti, ciò fa sì che dall’antichità sino a noi ne siano giunti pochissimi esemplari, per i quali si ritiene, per lo più, che facessero parte dell’attrezzatura di falsari. Il fatto che uno dei due conii fosse libero e venisse posizionato manualmente ogni volta, per battere una nuova moneta, influenza un aspetto tecnico-produttivo riscontrabile in ciascun esemplare, ovvero l’orientamento dell’asse dei conii. Se, infatti, non si adottano espedienti per trovare l’allineamento dell’immagine del diritto con quella del rovescio, la posizione di una sarà svincolata da quella dell’altra, con un asse che può ruotare di 360˚ rispetto all’altro. Per avere l’allineamento voluto il sistema più semplice è quello di utilizzare dei segni di riferimento sull’incudine e sul conio di martello, in modo da posizionare ogni volta quest’ultimo con l’orientamento scelto. Una possibile soluzione poteva essere quella di inserire i due conii all’estremità di due

Figura

Tabella 1. Il sistema del denario  Metallo  Nominale  Segno di valore  Tipi
Figura 1. Denario Serrato
Figura 2. Cella cubica a facce centrate.
Tabella 2. Metalli in ordine decrescente di nobiltà
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