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La tortura: un arnese inquisitorio del passato o uno strumento ancora "irrinunciabile" di investigazione?

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INDICE

PREMESSA

CAPITOLO I CENNI STORICI

SULL'EVOLUZIONE DELLA TORTURA GIUDIZIARIA

1.1. Più indietro nel tempo: dalle ordalie alla Roma repubblicana e

imperiale...pag.6

1.2. La tortura nel medioevo...pag.15

1.3. Le prime critiche alla tortura fino alla sua abolizione ad opera

dell'illuminismo giuridico...pag.26

CAPITOLO II

IL RITORNO DELLA VIOLENZA NEL DIRITTO ALL'EPOCA DEL TERRORISMO PLANETARIO

2.1. Un divieto generalizzato, male attuato...pag.36

2.2. Tortura e sicurezza pubblica nell'emergenza terrorismo: la tesi di

Alan Dershowitz...pag.45

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CAPITOLO III

ANCHE L'EUROPA CONDANNA LA TORTURA

3.1. La Convenzione Europea dei diritti dell'uomo: l'art.3...pag.57

3.1.1. I contenuti dell'art.3...pag.61

3.1.2. Gli obblighi positivi a carico degli stati membri: le violazioni

procedurali...pag.71

3.2. L'inutilizzabilità delle prove assunte in violazione dell'art.3

CEDU...pag.74

3.2.1. La sentenza Gafgen c. Germania...pag.78

CAPITOLO IV

L'ORDINAMENTO ITALIANO TUTELA LA LIBERTA' MORALE DELLA PERSONA NEL PROCESSO

4.1. Il profilo processuale: modello inquisitorio versus modello

accusatorio...pag.90

4.1.1. Dal codice Rocco al codice del 1998...pag.96

4.2. Le nuove garanzie poste a tutela dell'indagato/imputato: la libertà

morale e di autodeterminazione... pag.102

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PREMESSA

Il presente lavoro trae spunto dalla situazione d'emergenza (peraltro definita da alcuni “perenne stato d'eccezione”), nella quale sta vivendo il mondo occidentale, a partire dagli attentati dell' 11 settembre del 2001. Di fronte al fenomeno del terrorismo internazionale, gli Stati contemporanei, con i loro ordinamenti giuridici moderni, appaiono totalmente impreparati. La stessa logica del pensiero illuminista e razionalista sembra vacillare, tanto che nel dibattito giuridico cominciano a raffiorare vecchie tematiche, apparentemente sepolte nel passato. Oggetto del presente lavoro è, dunque, l'utilizzo della tortura giudiziaria, da intendersi in via generale alla stregua di qualsiasi strumento coercitivo, fisico o psichico, idoneo ad incidere sulla volontà della persona e finalizzato ad estorcere dichiarazioni.

Lo studio del fenomeno ripercorre le vicende accorse nel periodo buio del medioevo, durante il quale la tortura costituiva un istituto processuale ordinario e indispensabile ai fini del conseguimento della Verità, fino ad arrivare ai giorni nostri, nei quali il diritto positivo, regionale ed universale, esclude il ricorso a tale strumento in modo assoluto, senza alcuna possibilità di deroga. Dall'analisi emergerà un quadro in cui strumenti investigativi così atroci, che si pensavano relegati alla barbarie del passato, sembrano, invece, costituire prassi di sottosistemi di polizia penali, continuamente sminuite dai governi. La stessa giurisprudenza sul punto risulta, talvolta, flessibile attenuandone il divieto, accompagnata, altresì, da una parte della dottrina addirittura permissiva in ordine alla reintroduzione legale di tale mezzo, in ipotesi eccezionali.

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Per di più, se accogliamo la definizione lato sensu intesa di tortura, alla luce della giurisprudenza europea, possiamo forse giungere a ritenere tale anche alcuni strumenti processuali che, benché siano propri degli ordinamenti democratici formalmente orientati al rispetto della dignità umana, quando abusati, finiscono per sortire lo stesso effetto, risultando pertanto idonei ad incidere sulla volontà del soggetto.

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CAPITOLO I

CENNI STORICI SULL'EVOLUZIONE DELLA TORTURA GIUDIZIARIA

SOMMARIO: 1.1 Più indietro nel tempo: dalle ordalie alla Roma

repubblicana e imperiale ; 1.2 La tortura nel medioevo ; 1.3. Le prime critiche alla tortura fino alla sua abolizione ad opera dell'illuminismo giuridico.

1.1. Più indietro nel tempo: dalle ordalie alla Roma repubblicana e imperiale

Nella storia dei sistemi giuridici dei popoli, tortura e diritto formano un binomio che ha convissuto per secoli. Ad oggi potrebbe apparire spontaneamente innaturale la coesistenza dei due concetti, eppure, ad eccezione di qualche incerta voce fuori dal coro1, si è dovuto attendere la riflessione filosofica-politica dell'illuminismo giuridico, affinché si giungesse ad una sua prima, puntuale, abolizione.

<<Se la tortura prese un nuovo aspetto non fu diversità d'uomini a determinarlo. Fu la sua inserzione tre i mezzi per l'attuazione del diritto, fu il suo trasformarsi in istituto processuale. Accolta nel sistema giudiziario, ne accolse i fini e li fece propri. Divenne tortura

1 Si veda Aristotele nella Retorica, Cicerone in Pro Silla 78 e nelle Verrine, altri scrittori romani come Seneca e Valerio Massimo.

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giudiziaria>>2. Fin dall'antichità, due sono le funzioni “tipiche” della tortura: quella di instrumentum “investigativo” con la quale << si cerca di estorcere all'imputato o ad altro soggetto processuale , piegandone con forza o con artificio la contraria volontà, una confessione o altra dichiarazione utile all'accertamento di fatti non altrimenti accertati, al fine ultimo di definire il giudizio fondando la sentenza sulla verità così ottenuta>>3, e di instrumentum “punitivo” finalizzato all'affermazione del dominio politico.

Durante gli accesi dibattiti sulla tortura, che hanno dominato le discussioni filosofiche di tutti i tempi, qualcuno ha cercato di individuare un momento temporale della sua nascita, come per dare un nome e un volto all'inventore4, ma << l'origine di una così feroce invenzione oltrepassa i confini della erudizione e verosimilmente potrà essere tanto antica, quanto è antico il caso che la potenza non sia sempre accompagnata dai lumi e dalla virtù, e quanto è antico l'istinto nell'uomo armato di forza prepotente di stendere le sue azioni a misura piuttosto delle facoltà che della ragione”5.

È stato osservato6 come storicamente la tortura, quale procedimento giudiziario, presupponesse il superamento di uno stadio più arcaico del processo, quello in cui le sentenze e le condanne risultavano fondate sulla base dei “giudizi di Dio”,di oracoli, di sortilegi e di tutte quelle prove irrazionali che vengono generalmente identificate con il nome di

2 Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, vol I, pag. 4, Varese, 1954. 3 Fiorelli, op. cit., pag.4.

4 Fiorelli, op. cit., vol I.

5 Verri, Osservazioni sulla tortura, cap XII.

6 “Presso i popoli primitivi, finché la direzione del processo è in mano agli stregoni, la tortura non è conosciuta : il reato si concepisce come l'effetto di un incantesimo da cui il delinquente è posseduto, e quand'anche costui si cerchi di ottenere una confessione non si ricorre alla violenza fisica o morale, ma ci si serve di operazioni magiche che abbiano, secondo una credenza profondamente radicata, l'effetto d'indurre il colpevole alla confessione o d'attirare su di lui, in caso contrario, gravi sciagure. Solo impropriamente si può parlare di tortura psichica” (Fiorelli, op. cit. , pag. 7)

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ordalie7. L'impiego della violenza usata in tali pratiche, non era finalizzata al piegamento della volontà del colpevole ma, piuttosto, al rinvenimento di qualche segno, dal quale far derivare la prova di colpevolezza o di innocenza ( l'ordalia dell'acqua amara, ad esempio, era usata nei confronti di donne sospettate di adulterio, le quali venivano ritenute colpevoli qualora il ventre si fosse gonfiato una volta bevuta l'acqua 8).

Sebbene l'utilizzo della violenza fosse caratteristica di entrambi i procedimenti, agendo sulla volontà dell'uomo nel caso della tortura e prescindendovi nelle ordalie, la cui sola differenza risiederebbe nel fatto che l'esito del primo caso sembra dipendere dalla volontà del torturato, mentre nel secondo, da un fatto puramente fisico e trascendentale9, è stato osservato come l'uso giudiziario della tortura presupponesse un legame con la verità per una via giudicata razionale e un diritto processuale in cui le sentenze vengono fondate su una verità positivamente accertata. Se nelle ordalie vi è l'esigenza di una verità che si esclude possa rimanere ignota e che si sostituisce con quella delle concezioni religiose e superstiziose, con la tortura , invece, si vuole trovare in tutti i modi ed a tutti i costi una verità assoluta rispetto a quella del processo ordalico10. Ed è interessante notare come la concezione della verità sia collegata anche al tramontare della tortura, che ha coinciso con il ridimensionamento del fine cui il processo tende: dal perseguimento della Verità assoluta al raggiungimento della verità processuale e, quindi, dalla certezza

7 “Qualunque meccanismo decisorio fondato sull'assioma che un dio intervenga, nella sequela causale, deviandola ogniqualvolta un caso giusto lo esiga: poiché l'acqua, elemento puro, rifiuta i colpevoli, chi sia tale, immerso legato, sta a galla; l'innocente cammina incolume a piedi nudi su dei vomeri incandescenti”.

Cordero, Riti e sapienza del diritto , pag. 768.

8 La Torre, Lalatta, Legalizzare la tortura?, Milano, pag. 26 (Numeri 5,4-31). 9 Beccaria, Dei delitti e delle pene, op. cit., cap XII.

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matematica alla probabilità.

Nel ricorso alla tortura è dunque implicito il superamento logico, sebbene non necessariamente cronologico delle ordalie, tuttavia <<gli alti e i bassi della cultura giuridica hanno potuto permettere a più riprese l'avvicendamento dell'uno o dell'altro mezzo di prova presso i medesimi popoli e nei periodi di transizione s'è potuta avere in un medesimo ordinamento giuridico una instabile convivenza delle torture e delle ordalie>> 11 .

Nella storia dei popoli vi si presenta in vario modo. Non si hanno tracce nel codice di Hammurabi, nel codice di Manu e di Yajnavalkya e neppure nelle Sacre Scritture, il che ci fa presupporre, insieme alla mancanza di ulteriori attestazioni, che babilonesi, indiani e ebrei non conoscessero la tortura come mezzo d'inquisizione; al contrario vi era presente l'ordalia.12

L'antica Grecia, culla della cultura scettica e raffinata, perse presto la fede nell'ordalia, della quale si hanno notizie solo in leggende o nella storia più antica. Venivano utilizzati diversi mezzi di prova, a seconda della classe sociale alla quale apparteneva il soggetto << la testimonianza era la prova fondamentale. Ma L'uomo libero la doveva convalidare col proprio giuramento o coll'altrui mallevadoria; lo schiavo non era creduto se non l'avesse confermata tra gli spasimi della tortura>>13. In quanto cose non se ne poteva vagliare la veridicità, se non con la prova di sofferenze materiali. Coerentemente con tale visione, le norme che regolavano la tortura erano previste principalmente in funzione della tutela dei diritti dei proprietari degli schiavi. Pertanto, esclusivamente ai proprietari di questi spettava la facoltà di offrirli ai tormenti o di rifiutarvi (in caso di richiesta della

11 Fiorelli, op. cit., pag. 8. 12 Fiorelli, op.cit.

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parte avversa) come pure di concordare le forme e le domande nell'interrogatorio e la misura dei compensi in caso di danneggiamento; una volta assicurato il proprietario contro qualsiasi lesione, si procedeva sullo schiavo senza alcun riserbo, utilizzando le maniere più crudeli e senza la presenza del giudice, essendo la tortura un atto lasciato alla libera disposizione delle parti14.In relazione agli uomini liberi si hanno, invece, notizie di sottoposizione alla tortura durante le tirannie greche ed ellenistiche, periodi nei quali i cittadini vennero di fatto equiparati agli schiavi nei diritti civili e politici.

Similmente accadde nell'antica Roma, la cui storia della tortura può essere suddivisa in due fasi: il periodo repubblicano e quello imperiale. In realtà i romani non utilizzarono mai il termine tortura nel senso moderno della voce, ma distinguevano tra afflizioni corporali viste nel loro aspetto materiale (tormenta o cruciatus), e procedimento istruttorio (quaestio per tormenta o più di rado di quaestio

tormentorum) con una precisione tecnica che la nostra lingua non

conosce e che permetteva, dunque, di tenere separate le nozioni di

quaestio, propriamente “interrogatorio”, e di tormentum, propriamente

“tortura”15.

Nel diritto romano repubblicano la tortura veniva applicata solamente agli schiavi, nella posizione di testimoni e accusati, eccetto il caso in cui le dichiarazioni fossero state a carico dei loro padroni. In questa ipotesi, chiamata quaestio in caput domini, le testimonianze non erano ammesse, poiché, come non era possibile costringere un libero alla confessione mediante tortura, così non poteva essere indotto uno schiavo a deporre nei suoi confronti, in quanto considerato longa

14 Fiorelli, op. cit., pag 16. 15 Fiorelli, op. cit., vol. I, pag. 17.

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manus del padrone16.

Ciò che caratterizza l'età imperiale è la cessazione, o limitazione, dell'immunità degli accusati liberi, che si è soliti ritenere quale diretta conseguenza dell'affermarsi del diritto romano in tutto il bacino del mediterraneo e del carattere autoritario assunto dal nuovo regime rispetto ai diritti locali. I limiti consistettero essenzialmente nella determinazioni di alcuni delitti più gravi, per i quali si ammise la tortura anche degli uomini liberi, primo fra tutti il crimine di lesa maestà. Si ritiene, infatti, che le prime forme di processo inquisitorio vennero elaborate durante la Roma imperiale, a partire dai crimini di congiura e sovversione, procedure ex officio, in cui lo stato assumeva la veste di parte lesa. Si sviluppò, pertanto, la cognitio extra ordinem, svolta da magistrati delegati dal principe, basata sulla utilizzazione dell’accusato come fonte di prova e seguita dall’uso della tortura 17. Secondo un'interpretazione basata sulla considerazione dell'atteggiamento degli storiografi, i quali, nel riferire dei numerosi casi di tortura del suddetto periodo, avrebbero manifestato la loro chiara disapprovazione al riguardo, alcuni autori 18 ritengono che tali situazioni fossero delle eccezioni illegali. Ma, per quanto illegali, tali deroghe ricorrono frequentemente nelle pagine degli storici, tanto che è possibile affermare con certezza la soggezione ai tormenti di persone libere accusate o sospettate di aver cospirato contro il Principe, così da spiegare come l'originaria illegalità divenisse consuetudine e infine legge: << a volte l’estensione era dovuta all’arbitrio di qualche potente, ma in un buon numero di casi fu sancito dalla legge. Così per la magia, l’assimilazione della quale al reato di lesa maestà era spiegata dall’uso che di frequente se ne faceva per indagare il destino

16 Fiorelli, op. cit.

17 Ferrajoli, Diritto e ragione, pag. 577. 18 Fiorelli, op. cit.

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del principe o dell’Impero; così per il falso, che in un caso estremo (falsificazione della firma dell’Imperatore) poteva essere tutt’uno colla lesa maestà; così per la falsa moneta, che è per sua natura un delitto contro l’autorità dello Stato>>19.

Di diversa opinione invece, chi ha sostenuto 20 che il ricorso alla tortura avrebbe rappresentato non un'eccezione illegale, ma l'effetto di <<deroghe legalmente ammesse in funzione di interessi bisognevoli di tutela al pari dell'integrità personale e della dignità dell'uomo libero>> e ciò anche in età repubblicana 21.

La prima disposizione legislativa riguardante l'uso dei tormenti sui liberi nella repressione criminale è la Lex Iulia maiestatis del 27 a.C., in merito alle indagine relative alle ipotesi rientranti nei crimen

maiestatis. Con l'altra disposizione, invece, contenuta nella Lex Iulia de vi, Augusto avrebbe concesso al cittadino libero sospettato di un tale

crimine di opporsi alla quaestio per tormenta, per vedersi riconosciuto il diritto a richiedere l'applicazione della tortura da parte dell'organo competente a decidere del reato, invece che dal magistrato procedente nell'ambito dei suoi poteri di coercitio, affinché, presumibilmente, i suoi tribunali avessero il pieno diritto di investigare su fatti e persone potenzialmente in grado di compromettere la vita o l'onore del Principe, attribuendosi, per di più, un efficiente strumento di controllo sui pubblici poteri22.

L'ammissione della tortura dei liberi si trova inoltre disposta da una

19 Fiorelli, op. cit., pag. 27-28.

20 Russo Ruggeri, Quaestiones ex libero homine. La tortura degli uomini liberi

nella repressione criminale romana dell'età repubblicana e del I secolo dell'impero, Milano, 2002, pag. 27,53-56,115-122.

21 In particolare, per quanto attiene al riferimento legislativo principale di rilievo per la prescrizione dei tormenta e risalente alla prima età imperiale ( la lex Iulia

majestatis del 27 a.c), vi sarebbero significativi antecedenti riguardanti proprio la

tortura dei liberi per lesa maestà già in Cesare e nella lex Cornelia majestatis di Silla. Si veda Russo Ruggeri, cit., M

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decisione di Caracalla per il reato di veneficio e da due novelle di Giustiniano per il reato di adulterio23.

Dalla condizione generale dei liberi si distingueva, ad esclusione delle ipotesi di lesa maestà e, con ogni probabilità, di magia, falso e moneta, quella degli honestiores, gli appartenenti alle classi più elevate, i quali mantenevano le antiche prerogative degli uomini liberi. In ogni caso, qualora fosse ammessa la tortura, questa era condizionata all'elogium

principis, l'autorizzazione dell'imperatore. 24

Se nel diritto romano repubblicano si distingueva nettamente la tortura dei testimoni schiavi da quella in caput domini, il diritto imperiale la attenuò notevolmente. Inizialmente attraverso l'espediente della vendita degli schiavi allo stato25, successivamente superata dagli altri imperatori. Allo stesso modo venne meno il divieto di tortura dei testimoni liberi e quelli di stato incerto.

Istituto costante del diritto romano fu la quaestio familia, la quale prevedeva che si sottoponesse a tortura l'intera famiglia servile del padrone ucciso in circostanze non chiare e la condanna a morte degli schiavi che non riuscissero a provare di aver fatto tutto l'impossibile per impedire l'uccisione26.

Si distingueva nettamente da tale sistema romano la tortura dei cristiani. Questa, infatti, non assolveva la funzione di strumento coercitivo finalizzato all'estorsione di una confessione, ma, piuttosto, a

23 Fiorelli, op. cit., vol.1, pag. 29. 24 Fiorelli, op. cit., vol. 1, pag.33.

25 Come per la tortura degli uomini liberi,si ritiene che abbia inizio con Ottaviano Augusto nell'8 a.C., quando dispose in forma generale che, ogni qual volta ce ne fosse bisogno, si vendessero gli schiavi allo stato o a lui medesimo, al fine di poterli liberamente esaminare. Fiorelli, op. cit., pag.35.

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quello di strumento di controllo politico: li si voleva costringere ad osservare le leggi dell'impero, tra le quali, il rispetto delle divinità del paganesimo27. Scrive Tertulliano nel suo Apologetico << coloro che negano voi li sottoponete a tortura affinché confessino. Solo i cristiani li sottoponete a tortura affinché neghino, mentre se fosse il male noi lo negheremmo e voi ci spingereste a confessare con il tormento>>28. Il crimine di cui erano colpevoli i cristiani veniva, infatti, fatto rientrare all'interno delle specie del reato di lesa maestà, integrato senza che si commettesse determinate azioni, che oggi potremmo chiamare reato di opinione. La tortura, pertanto, era un mezzo di coercizione attraverso il quale si rimuoveva il delitto e si riconducevano i recalcitranti all'osservanza della legge e può essere ritenuta la prima forma di tortura basata su una discriminazione.29

27 Sulla tortura dei cristiani: Fiorelli, op. cit., pag. 44 e ss. 28 Padovani, Tortura, Pisa, 2015, pag.44.

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1.1 La tortura nel medioevo

A seguito delle invasioni barbariche e lo sfasciarsi dell'impero d'occidente, si ebbe una contaminazione del diritto romano con le concezioni del diritto delle diverse popolazioni germaniche, che condusse ad una parziale regresso dell'utilizzo della tortura. A tale istituto si sostituirono come mezzi di prova, il giuramento e i giudizi di Dio, mediante i quali <<supplivasi alla prova, facendo intervenire la divinità a designare colui che doveva essere ritenuto colpevole. Questo giudizio propriamente deve considerarsi non tanto come un mezzo di prova, ma come una devoluzione a dio della decisione della controversia>>30.

A fondamento delle concezioni germaniche stava, infatti, l'idea di una indipendenza personale degli uomini liberi dall'autorità dello Stato, con la conseguente limitazione di potere nella repressione penale e nell'indagine giudiziaria: il delitto era considerato un fatto privato, la cui punizione era affidata direttamente alla vittima o al suo gruppo gentilizio31 e, coerentemente con tali principi, la tortura appariva inadeguata e superflua.

I delitti avevano una serie di prezzi possibili da convenire in termini di “guidrigildo”, una volta raggiunta la composizione il conflitto era risolto32. Qualora ciò non fosse stato possibile si ricorreva ad un processo che aveva le caratteristiche di essere pubblico, orale e fortemente ritualistico, di fronte ad un giudice la cui funzione principale, se non esclusiva, era quella di arbitro: <<il giudice decideva le rispettive istanze ed eccezioni, non sul merito di queste, ma esclusivamente sulle procedure probatorie da imporre ad una o tutte e

30 Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, vol. I, Torino 1967,pag. 11.

31 Fiorelli, op. cit., vol.I, pag. 52. 32 Padovani, op. cit., pag. 45.

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due le parti per risolvere il conflitto. L'esito della prova decideva ex se, cioè automaticamente anche il giudizio>>.

Tali procedure probatorie erano appunto le ordalie33, tra le quali si riporta come esempio l'ordalia aquae ferventis (dell'acqua bollente: un anello veniva riposto all'interno di una pentola riempita di acqua bollente e colui che si fosse scottato sarebbe risultato soccombente) o l'ordalia acquae frigidae (dell'acqua gelata: in cui bisognava vedere se

un corpo legato affondasse o galleggiasse, sul presupposto che l'acqua

pura per definizione respinge ciò che è impuro).34

Alla base di questi riti ordalici vi era quindi una sorta di presupposto fideistico per il quale “Dio salva l'innocente” e dove la funzione del giudice, dell'arbitro si esauriva in realtà nell'indicare i modi attraverso i quali convocare il vero giudice, la divinità. E in questo senso necessario era l'intervento del chierico, il quale provvedeva attraverso una serie di riti a celebrare la fase preparatoria.35

In tutte le principali legislazioni barbariche era così prevista la tortura36 solo per gli schiavi, la cui mancanza di credibilità non li rendeva degni del giuramento e degli altri mezzi di prova propri degli uomini liberi. Per quanto riguarda quest'ultimi, invece, si hanno tracce dell'applicazione della tortura nella Legge Borgognona (nei confronti di coloni e di stranieri) e nella Legge Visigota, che la prevedeva anche per i liberi di alto rango, in relazione soprattutto ai delitti capitali. Di fatto, dunque, negli ordinamenti barbarici convissero a lungo le ordalie e la tortura, anche a causa delle innegabili influenza esercitate

33 Potevano esprimersi con un giuramento, con un duello, o con una situazione a rischio per vedere cosa ne sarebbe sortito. Padovani, op., cit., pag. 46.

34 Padovani, op. cit., pag. 45. 35 Padovani, op. cit., pag.47.

36 Sempre in un ottica privatistica, volta al soddisfacimento dell'interesse economico del proprietario. Carattere essenziale anche del diritto greco e in parte minore di quello romano. Fiorelli, op.cit.

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dalla cultura romana 37.

Ma questo generale regresso della tortura è da imputarsi, oltre che al cedimento della romanità, al frantumarsi dello Stato, caratteristica del sistema feudale. A seguito del fallimento della dinastia carolingia, le funzioni dello Stato si riducono, per prima la giustizia e il diritto si adegua all'organizzazione sociale dell'epoca.38

Nei secoli che vanno dal IX al XIII le fonti tacciono sulla tortura, mentre ricorrenti sono le cronache e le leggende del tempo di duelli giudiziari, ferri roventi, sortilegi e roghi miracolosi. Benché la tesi dell'assoluta sparizione della tortura sia prevalente tra gli storici del diritto, pare maggiormente verosimile che essa sia coesistita, sia pure con una incidenza minore, con le ordalie39.

A partire dal XIII secolo, il sistema di giudizio ordalico così delineato comincia a cedere. Determinante in tale senso fu il IV concilio lateranense del 121540 che, benché non colpisse direttamente le ordalie, vietava ai chierici di prendervi parte41, impedendone così l'essenziale aspetto ritualistico e l'attuazione pratica.

Tale divieto era da considerarsi quale risultanza di un determinato contesto storico e prima di tutto culturale: i secoli subito dopo gli anni mille furono caratterizzati dagli studi della filosofia scolastica, del recupero della logica aristotelica e di un atteggiamento logico-razionale per il quale la conformazione di procedure così

37 Diversa la situazione dell'impero d'Oriente, che non vide le conquiste degli invasori, nel quale il diritto della compilazione giustinianea si mantenne in vigore per lungo tempo.

38 Fiorelli, op.cit., pag. 65.

39 Di questo avviso Fiorelli, op.cit., pag. 66.

40 Nello stesso anno viene emanata in Inghilterra la Magna Charta Libertatum, contente la prima enunciazione delle garanzie minimali del giusto processo (due process) e il conseguente consolidamento del processo di common low, Bresciani, appunti di procedura penale 2013/2014

41 Poiché gli strumenti con cui si compievano le ordalie (spade, acqua) dovevano essere consacrati dai sacerdoti affinché si giungesse alla Verità, tale divieto comportò di fatto la soppressione delle ordalie.

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manifestamente irrazionali risultava inconciliabile42.

Alla riscoperta degli studi filosofici si accompagnò la rinascita degli studi giuridici, la riscoperta del diritto romano43 , la formazione del diritto comune 44 e la rinascita della tortura.

Ma l'elemento che contribuì in maggior modo alla reintroduzione della tortura fu un fattore politico istituzionale, la riaffermazione di un'autorità di tipo statuale, che vide i nascenti ordinamenti particolari sottrarre gradualmente la funzione giudiziaria ai signori feudali, e che concorse alla elaborazione di un diverso tipo di processo, “per

inquisitionem”45.

Infatti, le nuove entità comunali che si costituirono con lo sfaldamento della società feudale, avevano problemi di ordine, di regolamentazione di una vita sociale complessa, ben diversa dalla vita curtense sottoposta all'autorità del feudatario, ridotta a una gerarchia piramidale e ad una condizione sociale definita. In questo contesto la pace pubblica è un affare pubblico e l'ordine deve essere garantito da un intervento di ufficio nella repressione dei crimini e nella risoluzione dei conflitti46. L'interesse pubblico nuovamente riconosciuto alla scoperta e alla punizione dei delitti e l'importanza parimenti riconosciuta all'accertamento della verità dei fatti, fece introdurre accanto al processo accusatorio, quello inquisitorio47. Un famoso giurista del

42 Padovani, op.cit., pag.49.

43 Nella materia dei tormenti le fonti sono quasi esclusivamente di diritto romano: sono frammenti della giurisprudenza e della legislazione di Triborniano, che per incarico di Giustiniano, raccolse nel Digesto e nel Codice sotto la rubrica De quaestionibus e De senatus consulto Silaniano et Claudiano e nel Codice De his quibus ut indignis auferentur et ad senatus consultum Silanianum. Fiorelli, op.cit., vol. I pag 74.

44 Manca una definizione univoca in dottrina ma è da ritenersi in modo generico il complesso di norme e di dottrine elaborate a partire dalle fonti di diritto romano (giustinianeo) e di diritto canonico, che assunse a ruolo di diritto “universale” (utrumque ius) e si diffuse progressivamente, anche se in diversa maniera, nella maggior parte degli Stati europei.

45 Padovani, op. cit., pag. 49. 46 Padovani, op. cit., pag.50.

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tempo, Alberico da Rosate, disse “iustitia est anima civitatis”, <<si afferma così l'idea che la giustizia, in tanto si legittima e si giustifica, in quanto sia animata dalla ricerca della verità materiale, perseguita con determinazione e raggiunta con sicurezza. Quindi ricerca della prova, decisione e individuazione dei colpevoli, sono tutte funzioni pubbliche che vedono il giudice svolgere ad un tempo, non soltanto la funzione del giudizio, non più quella di arbitraggio nel conflitto, ma anche quella dell'accusa.>> 48.

Il giudice ha il dovere di ricercare la verità ma non ne è depositario, al contrario lo è l'imputato e lui ha il dovere di rivelarla.

Ecco che la tortura si presenta quale epilogo necessario di un sistema così definito, avvalorata, inoltre, dalla presenza nel diritto romano, che la fa apparire come un sistema progressivo rispetto ai giudizi ordalici, ritenuti irrazionali e primitivi.

É stata peraltro rintracciata49 una continuità tra le antiche prove magiche irrazionali e le prove razionali proprie del rito inquisitorio. Entrambe sono infatti prove formali, nel senso che escludono l’indagine e la libera valutazione del giudice, surrogandole con un giudizio infallibile e superiore, divino nel caso delle prove magiche, e legale nelle seconde; entrambe sono, d’altra parte, prove simboliche, nel senso che agiscono come “segni normativi” della conclusione dedotta50. Nell'enfatizzare tale osmosi c'è però il rischio che operando in questo modo si facciano retroagire categorie appartenenti alla

distinzione principale è data dal modo di intendere e concepire tanto il ruolo assegnato all'autorità giudiziaria che al significato da attribuirsi al concetto di verità. Bresciani, appunti procedura penale 2013/2014.

48 Padovani, op, cit., pag.50.

49 Ferrajoli, Diritto e ragione, pag. 114-115.

50 Dello stesso parere il Professor Bresciani, secondo il quale <<la tortura, emblema delle prove legali, mantiene nella procedura inquisitoria in un certo senso il carattere ordalico di un giudizio divino: si tratta di una prova fisica al cui esito la soccombenza è prova di colpevolezza e la resistenza segno divino di innocenza. Sono due sistemi che apparentemente sembrano distanti ma che hanno invece una ratio comune>>, appunti di procedura penale anno 2013/2014.

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modernità perdendo di vista la profondità dell'esperienza storica <<prove ordaliche e tortura rappresentavano infatti pratiche di accertamento della verità che chiamano in causa due razionalità completamente differenti: legata ad una nozione di “verità rivelata” la prima e di “verità ricercata” la seconda. >> 51

La Chiesa, sebbene nel primo millennio della sua esistenza l'avesse costantemente osteggiata52, introdusse l'uso della tortura nella lotta all'eresia. Una volta condannate le ordalie <<la Chiesa non si poté non sentire in condizioni di disagio, d'inferiorità rispetto al potere civile, che in quel periodo di transizione alternava in molti luoghi l'uso della tortura e quello del duello giudiziario. Se volle evitare che il potere civile avocasse a sé la lotta contro l'eresia e la deviasse verso fini terreni, la Chiesa dovette darsi un'organizzazione giudiziaria e una procedura che potessero stare a fronte a quelle della giustizia secolare. Tali furono le premesse per la successiva adozione della tortura anche nei Tribunali dell'Inquisizione>>53.

Al di là della priorità cronologica54, civitas e Chiesa risultavano <legate ormai da secoli da profondi rapporti di osmosi e contaminazione>>55.

Testimonianze in tal senso si hanno nel 1231, ad opera di Gregorio IX, quando furono istituiti i tribunali dell'Inquisizione con il compito specifico di contrastare il diffondersi dell'eresia e la bolla Ad

51 Marchesi, Testis contra se, cit. pag. 75. 52 Fiorelli, op. cit., vol. I, pag. 75. 53 Fiorelli, op. cit., vol. I,. pag. 78.

54 Secondo altri autori sarebbe stata infatti l'opera della chiesa a determinare la reintroduzione della tortura, scrive Salvioli <<le tortura fece il suo ingresso nelle leggi del secolo XII pur con molte riserve. Quando Innocenzo III, nel 1252, ne approvò l'uso alla scoperta dell'eresia e ordinò alle autorità civili ricorrervi per far confessare gli eretici e i loro fautori, parve alle stesse autorità lecito di valersene nei processi contro banditi, ladri ed assassini>>. Dello stesso avviso Friedensburg <<L'uso della tortura era dapprima ignoto . Esso penetrò dopo il 1250 nei giudizi civili insieme con altri non pochi istituti che vi trasmigrarono dai giudizi ecclesiastici>>, come riportato da Fiorelli, La tortura giudiziaria, pag. 79. 55 Marchetti, op. cit., pag. 70.

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extirpanda del 1252, emanata da papa Innocenzo IV, con la quale

ordinò a tutti i comuni dell'Italia settentrionale di sottoporre a tortura gli eretici. Scopo del processo era quello di portare alla luce la Verità, prima ancor a che dei fatti, quella della Fede. Nessun limite morale o giuridico avrebbe potuto ostacolare l'attività dell'inquisitore. E la possibilità di raggiungere tale risultato con l'applicazione delle sofferenze non doveva essere apparsa del tutto estranea per l'epoca in cui fu introdotta. È stato infatti osservato 56 come <<nell'istituzione cristiana della penitenza (intesa come forma di espiazione per i peccati commessi e riconosciuti attraverso la confessione religiosa) la pena fisica e la ricerca della verità erano state da sempre intimamente legate l'una all'altra>>.

Ecco che <<la rivoluzione inquisitoria soddisfa esigenze comuni ai due mondi: l'ecclesiastico, insidiato dalle eresie, il civile, dove l'espansione economica genera criminalità; gli interessi da tutelare esigono un automatismo repressivo incompatibile con le accuse private>> 57 I termini “inquisitorio/a” ed “Inquisizione” derivano dal verbo “Inquisire”, la cui provenienza è di chiara origine latina e vuol dire “processare i rei in causa criminale”; più precisamente “inquisire” viene da “inqu¯ıro” (composto da “in+quaero”), che significa,

in senso atecnico, “cercare, cercare di scoprire” (tramutatosi nella parola italiana, oggi assai desueta, “inquerire”) e, in senso più stretto, “fare una inchiesta, fare indagini” su qualcuno (inquirere in aliquem) o su qualcosa (inquirere de aliqua re), ovverosia, per l’appunto, “inquisire”58. La caratteristica del modello inquisitoriale consiste, dunque, nella promozione ex o cioffi di una inchiesta, alla ricerca del crimine o dell’eresia da sradicare, da parte di pubblici funzionari che,

56 Marchetti, cit.,pag. 68.

57 Cordero, Procedura penale, p. 17.

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genericamente, possono chiamarsi “inquisitori”.

La procedura si articolava in due macro-fasi: l’inquisitio generalis (o preparatoria), che <<ha la funzione di accertare l’esistenza stessa di un fatto illecito e di guidare all’individuazione del presunto autore>>, e l’inquisitio specialis (o sollemnis),<<finalizzata alla raccolta di prove contro di colui che l’inquisizione generale ha indicato come probabile autore del fatto criminoso e, infine, alla condanna dell’imputato riconosciuto colpevole o all’assoluzione dell’imputato che risulti innocente>>. La tortura veniva, quindi, applicata quando vi fosse stata la certezza rispetto all'esistenza fatto (inquisitio generalis) e la sussistenza di indizi sufficienti circa la commissione del fatto da parte dell'imputato (inquisitio specialis), ed era perciò “ad liquidationem

personae” e non a “liquidationem facti”, destinata a rendere esplicita la

persona e non il fatto 59

È stato osservato60 come in realtà il processo aspirasse <<non tanto a decidere dell'innocenza o della colpevolezza, ma ad indurre il soggetto ad ammettere la propria colpa e di conseguenza ad accettare la pena terrena per espiare la propria colpa>>, l'indagatio veritas è il fulcro del processo e il giudice da <<spettatore impassibile, qual'era, diventa campione del sistema, estirpi eresie o scovi delitti. Al centro sta, passivo, l'inquisito; colpevole o no, sa qualcosa ed obbligato a dirlo; la tortura stimola i flussi verbali coatti. Padrone della scacchiera, l'inquisitore elabora ipotesi di un quadro paranoide: nasce un'impura casistica delle confessioni, talvolta ottenute con promesse di impunità>>61.

In linea generale62 “la procedura torturatoria”,si attivava qualora

59 Padovani, cit., pag.77.

60 Bresciani, appunti di procedura penale 2013/2014. 61 Cordero, Procedura penale, pag. 21.

62 Per una dettagliata analisi si rimanda al testo di Padovani, Tortura da pag.66 a pag. 116.

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l'imputato (contro cui non esistevano prove certe che ne indicassero la colpevolezza) non avesse confessato nell’interrogatorio “semplice”, cioè senza tortura, il delitto di cui era accusato o si fosse rifiutato di rispondere. Veniva così condotto nel luogo dell'esame dove gli veniva fatto compiere un giuramento di dire la verità, seguivano quindi la fase di territio verbalis ,vale a dire l'ammonizione del giudice, e la territio

realis, durante la quale venivano mostrati gli strumenti di tortura con la

minaccia di usarli se l'imputato non avesse confessato o se il testimone non avesse parlato. Riusciti vani questi due tentativi si applicava la tortura nei modi stabiliti dalla sentenza, alla presenza di un giudice, che ne sorvegliava l'esatta esecuzione senza potersi surrogare agli accusatori, del cancelliere, che redigeva il verbale e del medico, pronto a riparare le conseguenze spesso irreparabili delle sevizie. Gli avvocati non vi potevano partecipare ma erano presenti alla discussione della sentenza che proclamava la tortura, potendovi manifestare il loro dissenso63.

L'aspetto fondamentale e l'obiettivo specifico era la confessione. E una delle questioni più controversa era quella di rendere spontanea la confessione estorta con la tortura, che risultava appunto difettosa del requisito della volontarietà, uno dei principali elementi affinché la prova potesse ritenersi legittima. I giuristi del tempo risolsero tale contraddizione attraverso la formalizzazione di un atto: la conferma in giudizio (in tribunale, ventiquattro ore dopo) della confessione una volta cessati i tormenti, restituendo così a tale prova il carattere della spontaneità, oltre quello della giudizialità, poiché essendo i tormenti applicati “extra locum iudicii” la confessione che ne seguiva non poteva dirsi giudiziale64. << La ratifica in tale sistema veniva considerata come l'atto attraverso il quale il reo si appropriava, in un

63 Padovani, Tortura pag.92. 64 Marchetti, cit., pag. 79.

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certo senso, del contenuto delle proprie parole, le quali, sino a quel momento, non si poteva dire gli appartenessero pienamente>>65. Tuttavia era possibile, dopo aver ratificato la confessione, che il torturato la revocasse, accompagnando a questa la prova in contrario rispetto alle dichiarazioni rese a suffragio dell'innocenza dell'imputato che, in caso di idoneità ne comportava l'assoluzione, oppure, senza tale prova, con la conseguenza che veniva nuovamente sottoposto a tormento, fino ad un numero massimo che la maggioranza della dottrina ritiene essere di tre volte66.

Un discorso a parte merita la quaestio in caput sociorum. Tale tipo di tortura si distanziava infatti da quella “tradizionale” finalizzata all'ottenimento di una confessione da parte dell'imputato, in quanto diretta nei confronti del colpevole al fine di ottenere il nome dei complici. Sebbene le fonti romanistiche ne negassero in via generale l'utilizzo, ad esclusione dei delitti che minacciavano la sicurezza pubblica, primo fra tutti i crimini di lesa maestà, i giuristi del diritto comune la interpretarono in modo estensivo applicandola, oltre che al delitto di lesa maestà, al delitto di eresia, ai furti e agli omicidi67. Attraverso un progressivo ampliamento delle fattispecie criminose si giunse, nel seicento, ad avere una ammissibilità generale della tortura

in caput sociorum. In ordine agli effetti che tale chiamata in correità

costituiva, vi era un atteggiamento diffidente, era valutata infatti come un indizio, a seguito del quale si attivava la procedura inquisitoria, ma non era mai sufficiente a determinare la tortura dell'accusato. Tale “categoria” di tortura sarà quella che con maggiore difficoltà sarà soggetta a critiche, anche da parte di coloro i quali furono i più fervidi sostenitori dell'abolizione della tortura.

65 Marchetti, cit, pag. 80. 66 Padovani, cit., pag. 99 e 106. 67 Padovani, cit., pag. 101.

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Fu così che la pratica della tortura si fece tradizione in tutta Europa, come testimoniano molte fonti giuridiche68 , ad eccezione dell'Inghilterra in cui << la prova del delitto non si cercava nell'interrogatorio dell'imputato; erano mezzi di indagine in antico le ordalie e il duello giudiziario, in età moderna unicamente l'esame dei testimoni: mancava alla tortura un saldo fondamento nella logica giudiziaria. […] Nella patria dell'habeas corpus69 ripugnò sempre al sentimento comune il ricorso alla violenta coercizione corporale, e già la Magna Charta […] sanciva, tra l'altro […] sia pure soltanto implicitamente una condanna alla tortura70>>, fino al XVIII secolo quando vi fu una progressiva abolizione in tutti gli stati europei.

68 Ritroviamo la tortura ad esempio nelle Siete Partidas di Alfonso X il Savio nella penisola iberica, nela Costitutio Criminalis Carolina che riguardava la legislazione criminale dell'imperatore Carlo V di germania I di spagna, nella Ordonnance Criminelle di Luigi XIV del 1670.

69 habeas corpus = ‹àbeas...› locuz. lat. (propr. «abbi il [tuo] corpo», sottint.ad subjiciendum «per presentarlo [alla corte, in giudizio]»). – Nel diritto inglese, formula iniziale della norma (già affermata nel sec. 12° e richiamata poi nel 17°, soprattutto con la promulgazione dell’Habeas Corpus Act) che sancisce il principio dell’inviolabilità personale, secondo cui l’imputato ha diritto di conoscere la causa del suo arresto, e dev’essere immediatamente tradotto davanti al competente magistrato, il quale deve metterlo in libertà se egli può fornire cauzione di tornare in giudizio. Per estens., con riferimento generico all’istituto inglese, la locuzione è usata come s. m. per indicare le garanzie delle libertà personali del cittadino, da Enciclopedia Treccani.

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1.3 Le prime critiche alla tortura fino alla sua abolizione ad opera dell'illuminismo giuridico.

Il periodo storico nel quale si è discusso della tortura in modo più incisivo e con più sofferta serietà è senza dubbio quello in cui si sviluppa la riflessione politico-filosofica dell'illuminismo.

In realtà, già alcuni autori dell'antichità avevano manifestato i loro dubbi in merito alla logica ispiratrice dell'introduzione e del mantenimento della tortura: quella del male necessario; necessario e indispensabile al raggiungimento della verità, fine ultimo e bene supremo del processo71.

Scriveva Aristotele nella Retorica << [la verità è] che quando si è costretti si dicono menzogne non meno che verità. E se si sa resistere, non si dice la verità, mentre poi si dice anche il falso per terminare più in fretta la tortura>>, così pure Quintiliano nella Institutiones

horatoriae <<sebbene gli uni chiamino la tortura uno strumento

necessario perché sia confessata la verità, gli altri addirittura un motivo per dire il falso perché la bugia ad alcuni sarebbe resa facile per la resistenza al dolore, ad altri indispensabile alla debolezza>>.

“ Res fragilis et periculosa” la definirà Ulpiano nel Digesto.

E sottolinea Montaigne (quasi mille anni più tardi) << perché il dolore dovrebbe forzarmi a dire il vero , piuttosto che il falso, posto che ciò che conta è dire ciò che mi libera dal dolore?>>

Ciò che emerge, non è una precisa e puntuale condanna alla tortura, come si avrà nell'illuminismo, ma un atteggiamento scettico che accompagna alcuni degli intellettuali di tutte le epoche, anche distanti e diverse tra loro.

A partire dal XVI secolo penetra tra i giuristi ,timidamente prima e

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impetuosamente poi, l'idea che la tortura non sia quel mezzo affidabile che si riteneva e che ,nel dubbio, la sua necessità andasse revocata. Se prima l'ingiustizia della tortura era nulla di fronte all'interesse pubblico della punizione dei delitti, da utilizzarsi per ottenere il massimo beneficio affinché “ne crimina impunita maneant”, a partire dalla fine del Cinquecento la stella polare del processo inquisitorio comincia a perdere di luminosità. E in questo procedimento autorevole dottrina72 ritiene che siano stati determinanti i processi alle streghe73, quale fattore di deflagrazione della tortura.

Ciò che qui preme rilevare non è tanto il fatto che i processi alle streghe furono condotti essenzialmente attraverso la tortura74, quanto , piuttosto, il fatto che finirono con il mettere in dubbio la sua stessa validità. Il seicento è infatti l'epoca del grande sviluppo della scienza, della filosofia razionalistica, in cui il mondo scopre se stesso senza l'utilizzo di categorie preconfezionate, religiose o filosofiche, costruite al di fuori dell'esperienza. La lotta al delitto della stregoneria rappresenta un momento di evidente caduta nella legittimazione sostanziale della tortura poiché smentisce la convinzione prima che sia un mezzo per accertare la verità. 75

In Germania, più che in ogni altro luogo, sarà palese il superamento di ogni limite che il diritto aveva cercato di tracciare all'istituto della tortura <<la violenza persecutoria, inizialmente rivolta ad individuare

72 Padovani, cit., pag. 125.

73 In tutta Europa vi fu un vero e proprio fenomeno di persecuzione, in particolare di donne (circa l’80%) accusate in via principale di essere state soggiogate dal diavolo, di avere avuto con lui rapporti sessuali e di partecipare ai sabba con entità demoniache, ma anche di aver causato pestilenze, incendi e morti misteriose di bambini, uomini e animali. Gli studiosi non sono concordi nel spiegare questo fenomeno, contornato da elementi sconcertanti quali il fatto che le confessioni risultassero omogenee e identiche in luoghi diversi e remoti. Soprattutto in Germania questa forza distruttrice devastò intere città e villaggi,

senza risparmiare neppure gli appartenenti ai ceti alti e gli stessi ecclesiastici, Padovani, cit., pag. 113-150.

74 Per una dettagliata analisi, Cautio Criminalis Friederich von Spee a cura di A.Foa 75 Padovani, cit.,

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dei capri espiatori e a mantenere la coesione sociale, si estende a dismisura, trasformandosi in una crisi distruttiva dell’ordine sociale>>76, come ampiamente testimoniato dall'opera di Friederich Von Spee, teologo gesuita e confessore delle streghe, che denunciò nella Cautio criminalis, quanto il sistema fosse assurdo e irrazionale e la tortura inutile per l'accertamento della verità, perché è concreto << il rischio che, per sfuggire alla sofferenza delle torture, molte imputate confessino delitti che non hanno commesso o si attribuiscano la responsabilità di un crimine qualunque, magari suggerito dai torturatori>> infatti << se l'innocenza potrà rendere tenace chi è innocente, la colpevolezza potrà rendere ostinato chi è colpevole. Quelle stesse forze della natura che sosterranno contro la tortura l'innocente, sosterranno anche il colpevole. Anzi più uno è scellerato, tanto più, di solito, è ostinato; perciò, l'innocente soccomberà quasi sempre prima>>77

<< i processi alle streghe quindi sono processi esiziali nella evoluzione della tortura, rappresentano una sorta di svolta negativa, è l'istituto che implode su se stesso e che disvela nel momento della sua applicazione più parossistica di essere il contrario di quel che dichiara essere: strumento sicuro di falsità, non mezzo per la ricerca della verità>>78

Allo stesso modo la polemica che si svilupperà in aerea milanese da Pietro Verri79 prima, Alessandro Manzoni80 poi, trarrà origine da un

76 Foa, Introduzione, in F. von Spee, I processi contro le streghe (Cautio

Criminalis), cit., pag. 12.

77 F.von Spee, Cautio Criminalis, trad.it I processi contro le streghe a cura di A. Foa, p. 123-124,169.

78 Padovani, cit. pag. 136.

79 Verri, Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse

all'occasioni delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno MDCXXX, opera pubblicata postuma nel 1804.

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processo che può sostanzialmente definirsi di stregoneria, il processo “della colonna infame”81 agli untori milanesi, che in occasione della peste del 1630 furono perseguiti come diffusori occulti del contagio, avvenuto mediante unzioni venefiche. Dall'analisi del processo emersero tutte le illegalità che lo condussero, a partire della insufficienza di indizi che portarono all'applicazione della tortura, alla sua totale inefficienza, poiché portò alla confessione delle colpe e alla nomina dei complici, ma solo per porre fine alle atroci sofferenze patite. Pertanto concluse il Verri in merito all'inutilità della tortura: << i tormenti non sono il mezzo per iscoprire la verità, ma bensì il mezzo che spinge l'uomo ad accusarsi reo di un delitto, lo abbia egli, ovvero non lo abbia commesso … onde è un mezzo per confondere la verità, non per iscoprirla82 >>.

Quella della inutilità della tortura è infatti una delle principali critiche mosse dagli illuministi, insieme a quella relativa alla sua irrazionalità e ingiustizia. È inutile poiché << è il mezzo più sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti […] il suo esito è un affare di temperamento e di calcolo, che varia in ciascun uomo in proporzione della sua robustezza e della sua sensibilità83>> scrive Beccaria e ancora Filangieri << se si considera la tortura come criterio di verità, la si troverà così fallace , così assurda, come erano i giudizi di Dio. La disposizione fisica del corpo determina, così in quella come in questi, l'esito della prova […] ciò che determina la verità non ha alcun rapporto con essa 84>>, allo stesso modo Sonnenfels << ciò che

81 Al termine del processo era stata infatti eretta la Colonna infame al luogo della casa di uno degli untori, in memoria del danno provocato ai danni della comunità e monito contro coloro che volessero ripetere quelle pratiche di stregoneria. La colonna diventò invece infame per coloro i quali la avevano eretta, giustiziando innocenti dopo aver strappato loro delle false confessioni. Padovani, Tortura, p. 197.

82 Verri, cit. Paragrafo IX Se la tortura sia un mezzo per conoscere la verità 83 Beccaria, Dei delitti e delle pene, (1764), in Opere vol. I, pag.68. 84 Filangieri, La scienza della legislazione, Napoli 1780

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accade tramite la costrizione, accade tramite un potere eccessivo che è impossibile contrastare. L'accusato viene quindi indotto ad ammissioni, sì che egli stesso non può dimostrare con certezza il reato a suo carico: tutto ciò che può essere dimostrato è che la violenza dello stiramento, dell'avvitamento dei molteplici modi del martoriare è irresistibile85>>, l'unica informazione gnoseologica che conferisce la tortura alla confessione è , quindi, quella che il torturato non è più riuscito a sostenere i tormenti: la verità non ha nessun rapporto con il dolore.

Un'altra funzione o meglio, giustificazione, che veniva conferita alla tortura era quella della pubblica utilità, nel senso di considerarla un efficiente strumento di garanzia per tutela della sicurezza pubblica 86. Al contrario viene fatto notare come la tortura può avere effetti destabilizzanti sull'ordine sociale, in quanto possibile occasione di impunità del reo non confesso, andando così a minare, da un lato, la certezza della pena e dall'altro la sicurezza dei cittadini, i quali verrebbero minacciati dall'applicazione della tortura << è mai nel potere della comunità approntare ricerche in cui il male che viene inferto ai singoli cittadini sia certo e privo di ogni resistenza mentre il vantaggio lontano e incerto?>>87 si ritiene infatti che con la tortura si annulli il contratto sociale posto in essere tra sovrano e cittadino, poiché con essa sfuma la protezione data dal sovrano: se conferisce al reo la possibilità di sottrarsi alla pena resistendo al tormento, e non impedisce all'innocente di salvarsi, chi mai vorrà ancora mantenersi innocente?88.

La tortura quindi sovverte la nozione di responsabilità e di colpa e

85 Sonnenfels, Sull'abolizione della tortura, 1775

86 Motivazione che viene spesso usata ai giorni nostri per auspicare un ritorno all'uso legittimo della tortura. Questo aspetto verrà affrontato nel secondo capitolo.

87 Sonnenfels, Sull'abolizione della tortura, 1775

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compromette la certezza del diritto poiché incrina la certezza della pena, favorendo il corpo robusto del colpevole a discapito di quello debole dell'innocente, facendo così venire meno il sentimento di sicurezza sociale e compromettendo, quindi, la stabilità dell'ordine costituito.

La tortura inoltre è irrazionale, poiché di fatto equipara la posizione del l'innocente a quella del colpevole, negando ogni valorizzazione alla responsabilità morale delle proprie azioni << una strana conseguenza che necessariamente deriva dall'uso della tortura è che l'innocente è posto in peggiore condizione che il reo; perché se ambedue sieno applicati al tormento, il primo ha tutte le combinazioni contrarie, perché o confessa il delitto, ed è condannato, o è dichiarato innocente, ed ha sofferto una pena debita; ma il reo ha un caso favorevole per sé, cioè quando, resistendo alla tortura con fermezza, deve essere assoluto come innocente; ha cambiato una pena maggiore in una minore. Dunque l'innocente non può che perdere e il colpevole può guadagnare>>89.

Una ulteriore riflessione che accompagna il pensiero illuminista, seppur dai contorni diversificati, è quella di carattere più squisitamente etico e morale che fa riferimento al concetto di giustizia. L'argomentazione era già presente nella trattazioni filosofiche di Sant'Agostino, secondo il quale quando al malcapitato <<gli si domanda se è colpevole, viene torturato, e da innocente paga la pena certa per un delitto incerto, non perché si sia scoperto che egli ne è stato l'autore, ma perché non si sa se l'abbia commesso. Perciò l'ignoranza del giudice il più delle volte è la disgrazia dell'innocente. [...] Se […] costui avrà scelto di fuggire da questa vita invece che continuare a subire supplizi, confesserà di aver commesso quello che

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non ha commesso. Dopo che quindi costui è stato condannato e messo a morte, il giudice non sa ancora se ha ucciso un uomo colpevole o innocente, avendo deciso di torturarlo proprio per non uccidere, per ignoranza, un innocente. Perciò egli ha torturato un innocente per sapere, e lo ha ucciso senza sapere!90>>, realizzando così una sorta di inversione della razionalità, in cui l'irrogazione della pena diventava conseguenza diretta dell'insufficienza delle prove dell'accusa 91.

Il concetto viene ripreso e reiterato nella maggior parte delle argomentazioni abolizionistiche del settecento conducendo alla nota affermazione di Beccaria << un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch'egli abbia violato i patti, coi quali gli fu accordata. Qual'è dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la podestà a un giudice di dare una pena a un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente?>> 92.

Si fa qui riferimento al problema dei pensatori della scuola giusnaturalistica dell'epoca, di definire gli ambiti di competenza del potere dello Stato in relazione al contenuto del diritto naturale dei singoli93. In tale ottica la tortura non può che essere contraria al diritto naturale: lo stesso Hobbes, il quale non la rifiuta, la ritiene però confliggente con la prima legge di natura dell'autoconservazione, la quale prescrive a ciascuno il diritto della propria autodifesa e del sottrarsi dall'accusare se stesso 94. Per Thomasius la tortura è contro natura e contro la retta ragione, senza alcun fondamento religioso poiché assente nelle Sacre Scritture e contraria ai precetti cristiani.95

90 Agostino d'Ippona, De civitate Dei, trad.it. La città di Dio, Alici, p. 953

91 Giannelli, Paternò, Tortura di stato, le ferite della democrazia, Roma, 2004, pag.24

92 Beccaria, Dei delitti e delle pene. 93 Giannelli, Paternò, cit., pag.25

94 La Torre, Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura?, pag. 70. 95 La Torre, Lalatta Costerbosa, cit., pag. 71.

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Dello stesso avviso è Verri secondo il quale << la natura ha inserito nel cuore di ciascuno la legge primitiva della difesa di se medesimo e l'offendere se stesso e l'accusare se stesso criminalmente egli è o un eroismo, se è fatto spontaneamente in alcuni casi, ovvero una tirannia ingiustissima, se per forza di spasimi si voglia costringervi un uomo>> 96. Così pure Filangieri << la prima legge della natura è quella che ci obbliga alla conservazione della propria esistenza […] se il patto sociale mi obbligasse a questa confessione, il patto sociale mi obbligherebbe a violare una legge anteriore della natura: il patto sociale sarebbe nullo>>97

Ai teorici illuministi era chiara la consapevolezza del nesso esistente tra storia della tortura e assolutizzazione del potere, giacché l'istituto della tortura ebbe la sua radice storica nella volontà tirannica: l'applicazione agli uomini liberi fu, infatti, introdotta alla fine dell'età repubblicana e l'inizio del principato, quando dagli imperatori romani Augusto e Tiberio concentrarono il potere nelle loro mani. Perpetuatasi poi durante in tutto il medioevo, epoca di barbarie e superstizioni, era giunta fino al settecento << per la forza d'inerzia intrinseca a tutto ciò che esiste e si consolida in funzione della sua stessa longevità>>98. Ma in un contesto storico caratterizzato da un atteggiamento critico e razionale, un istituto di tale portata risultava anacronistico, espressione di inciviltà e barbarie, del quale era giunto il momento di liberarsi. Si affacciava invece l'idea di una autorità dello Stato nel quale la presenza di limiti e di un processo di costituzionalizzazione del potere costituiva il fondamento stesso della legittimità dell'ordinamento giuridico statale99.

96 Verri, Osservazioni sulla tortura, cit. pag 73. 97 Filangieri, La scienza della legislazione, cit. pag. 49. 98 Gianelli, Paternò, cit. pag. 28.

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È necessario però far presente che, benché l'illuminismo negasse totalmente l'utilità della tortura quale mezzo per scoprire la verità e la considerasse sostanzialmente ingiusta, crudele e irrazionale, introduceva ai margini del discorso la possibilità di farvi ricorso in alcuni casi specifici. Fatta eccezione per Verri e Beccaria, per i quali la censura rimase senza deroghe, alcuni autori la ammisero nei casi di lesa maestà, alto tradimento e delinquenza organizzata100.

Sonnenfels, ad esempio, la ammise solo nel caso in cui l'imputato, condannato con sentenza per un delitto, si rifiutasse di rivelare i nomi dei complici, impedendo di assicurarli alla giustizia e minando così la sicurezza della società101. In tal caso, argomenta, il soggetto non sarebbe danneggiato dall'accusare se stesso e, essendo già riconosciuto colpevole, non si correrebbe il rischio di sottoporre a tortura un innocente << egli è tormentato allora non pe' delitti altrui, ma nel proprio colpevole silenzio; silenzio che è un nuovo attentato contro la pubblica sicurezza, la quale, a cagion di esso, non può difendersi e premunirsi contro de' malvagi che ancora non conosce>>102. Colpisce però il fatto che non abbia trattato del problema delle attendibilità delle dichiarazioni così estorte, contestata in tutte le teorie abolizioniste e qui inaspettatamente trascurata, tanto che alcuni autori103 pensano che, la ragione di questa eccezione al divieto di tortura, sia in realtà da ravvisarsi nella volontà di rendere meno radicale la sua proposta abolizionista e, quindi, più facilmente approvabile dalla corona.

Grazie anche all'opera culturale e filosofica dei più grandi esponenti

100 Furono infatti queste le fattispecie inizialmente sottratte al divieto di

applicazione di tortura decretata da Federico II nel 1740 in Prussia, poi resa totale nel 1754.

101 Gianelli, Paternò, cit., pag.31.

102 Sonnenfels, Sull'abolizione della tortura,, ripreso da Gianelli, Paternò, Tortura

di Stato, le ferite della democrazia, pag.31.

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dell'illuminismo, il settecento si concluse con la progressiva abolizione della pratica della tortura nella maggior parte degli stati europei: nella Prussia di Federico II nel 1754, in Sassonia nel 1770, in Polonia e nell'Austria di Maria Teresa nel 1776, nel 1780 la Francia, nel 1786 il Granducato di Toscana, nel 1787 in Belgio, nel 1789 in Sicilia104. Sebbene gli illuministi pensassero che quella della tortura fosse una tradizione circoscritta ad una fase storica precisa e transitoria della civiltà occidentale, dettata da oscurantismo e barbarie, purtroppo, ancora oggi, non è stata totalmente rimossa dalla nostra società.

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CAPITOLO II

IL RITORNO DELLA VIOLENZA NEL DIRITTO

SOMMARIO: 2.1. Un divieto generalizzato, male attuato ; 2.2.

Tortura e sicurezza pubblica nell'emergenza terrorismo: la tesi di Alan Dershowitz : 2.3. Incompatibilità della tortura con lo Stato di diritto.

2.1 Un divieto generalizzato, male attuato

Il processo di civilizzazione giuridica iniziato con l'illuminismo e concluso con le rivoluzioni liberali, ha dato forma ad un nuova concezione del diritto, nella quale l'istituto processuale della tortura risulta essere espunto dagli ordinamenti moderni. Non più come mezzo di ricerca della prova del processo o sanzione penale, la sua abrogazione è prevista in tutte le Convenzioni internazionali, Carte dei diritti e legislazioni nazionali, tanto che la dottrina dominante la ritiene facente parte dello ius cogens, del diritto internazionale consuetudinario e quindi vincolante a prescindere dalla volontà espressa dagli stati.

La prima enunciazione del divieto si trova all'interno della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, adottata dall'assemblea della Nazioni Unite alla fine della seconda guerra

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mondiale come reazione esplicita alla catastrofe umanitaria appena conclusa, che, dopo aver affermato all'art. 1 il valore della dignità umana quale caratteristica di ogni individuo, all'art 5 enuncia << nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti >>.

In relazione al trattamento dei prigionieri di guerra e delle persone civili in tempo di guerra, l'art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 statuisce che << in ogni tempo e luogo >> non possono essere inflitte torture fisiche o mentali e nessun'altra forma di violenza contro la vita e l'integrità corporale come mutilazioni, trattamenti crudeli, torture e supplizi.

Particolarmente rilevante il divieto espresso all'art 3 della Convenzione europea per la salvaguardi dei diritti dell'uomo del 1950 che stabilisce << nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti degradanti >> da leggersi in combinazione con l'art 15 che al secondo comma esclude che vi si possa derogare in caso di stato d'urgenza.

Il divieto viene ribadito all'art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici che stabilisce: << nessuno può essere sottoposto a tortura né a punizioni o a trattamenti crudeli, disumani o degradanti >> senza possibilità di deroga, neppure in caso di pericolo eccezionale che minacci l'esistenza di una nazione, stabilendo così a livello internazionale e in modo inequivocabile, la prevalenza del diritto a non essere sottoposti a tortura rispetto al valore della sicurezza dello Stato105.

105 Gianelli, Paternò, Tortura di Stato, le ferite della democrazia, Roma, 2004, pag.140.

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Di estrema importanza è poi la risoluzione 39/46 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite mediante la quale è stata adottata la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti disumani o degradanti approvata nel 1984 ed entrata in vigore nel 1987 che recita all'art. 1 << Ai fini della presente Convenzione, il termine tortura designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate >> e all'art. 2 << Ogni Stato Parte prende provvedimenti legislativi, amministrativi, giudiziari ed altri provvedimenti efficaci per impedire che atti di tortura siano compiuti in un territorio sotto la sua giurisdizione. Nessuna circostanza eccezionale, qualunque essa sia, si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, d’instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato eccezionale, può essere invocata in giustificazione della tortura. L’ordine di un superiore o di un’autorità pubblica non può essere invocato in giustificazione della tortura >> con lo scopo, quindi, di rendere più efficace tale proibizione.

Sempre nello stesso anno la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti disumani e degradanti stabilisce invece un meccanismo istituzionale di controllo (preventivo) nei

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