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L'uso improprio della custodia cautelare quale strumento coercitivo per contrastare la scelta difensiva di tacere.

L'ORDINAMENTO ITALIANO TUTELA LA LIBERTA' MORALE DELLA PERSONA NEL PROCESSO

4.3. L'uso improprio della custodia cautelare quale strumento coercitivo per contrastare la scelta difensiva di tacere.

Nella Relazione al Progetto Preliminare del nuovo codice di procedura penale si legge che si è inteso <<escludere rigorosamente ogni strumentalizzazione delle misure cautelari , ed in particolare della custodia cautelare, a finalità di stimolo ad una partecipazione attiva dell'imputato alla formazione del materiale probatorio>> <<si è voluto escludere nel modo più assoluto un'utilizzazione delle cautele a scopi, più o meno direttamente, estorsivi di confessioni>>269. Il principio secondo cui il soggetto indagato o imputato non può mai costituire fonte di prova contra se era ormai pacifico, tanto che si decise di escludervi qualsiasi riferimento nel codice, a differenza di quanto, invece, proposto nel progetto del 1978, dove si prevedeva espressamente che nessuna misura potesse essere applicata al fine di ottenere la presenza dell'imputato in relazione al compimento di atti che comunque conducessero all'assunzione di dichiarazioni270.

Peraltro, il nuovo codice, al fine di garantire la disponibilità dell'indagato ai fini istruttori, predisponeva l'istituto dell'accompagnamento coattivo (art. 376 c.p.p.), ritenuto il solo mezzo coercitivo idoneo a consentire la partecipazione fisica dell'indagato al compimento di determinati attività istruttorie (ad esempio, interrogatorio o confronto, durante i quali quest'ultimo può sempre avvalersi dello ius tacendi).

Era apparsa, pertanto, sufficiente la previsione della norma contenuta

269 Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in G.U.,

suppl.ord. n.2,24 ottobre 1988, n.250, 72. riportato da Gastaldo, Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 1993, pag. 1161.

270 Marzaduri, Quale rimedio è invocabile dinanzi a prove costituite da

dichiarazioni rese sotto la pressione della custodia in carcere in atto o annunciata da inequivoci precedenti giudiziari, in Critica al diritto, 1995.

nell'art.274 lettere a, che ordinava, ai fini dell'applicazione della custodia cautelare, l' indispensabilità di esigenze inderogabili di natura probatoria, in relazione a situazioni di concreto e attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova. D'altra parte era questa l'unica interpretazione possibile della norma che consentisse di essere in armonia con quanto disposto dall'art.64 c.p.p., dove oltre all'esplicita tutela del diritto al silenzio, è sancito il divieto di ogni forma di pressione sulla libertà di autodeterminazione271.

Eppure, nonostante queste premesse, il legislatore dovette intervenire con l'art.3 della legge n.332 8/8/1995, dai dichiarati intenti riequilibratori, con la quale si modificò l'art.274 lett. a aggiungendovi che <<le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti>>. L'esigenza di dotarsi di una norma espressa discendeva direttamente dalle distorsioni, avvenute negli anni precedenti, dei metodi di indagine utilizzati contro i reati di concussione e corruzione durante l'inchiesta ricordata con il nome di “Mani Pulite”, che suscitò un ampio dibattito in ordine all'uso improprio della custodia in carcere272.

Benché il fenomeno della ricerca di collaborazioni non spontanee risulti di difficile accertamento, poiché non sempre percepibile dalla semplice analisi dei motivi dei provvedimenti cautelari, testimonianze in tal senso si possono ricavare anche dalla frequenza di eventi nei quali la successione tipica risultava essere così definita: custodia in carcere dell'indagato-non collaborazione-istanza di revoca o modifica della misura cautelare-rigetto-richiesta di nuovo interrogatorio-

271 Marzaduri, cit.

272 Amodio, Inviolabilità della libertà personale e coercizione cautelare minima, in

liberazione o arresti domiciliari273. Non si può negare che la prassi deviante di un uso della misure coercitive, finalizzato all'ottenimento di dichiarazioni confessorie e collaborazioni coatte, fosse una realtà dell'epoca, come dimostrato anche dalle dichiarazioni del magistrato Raffaele Bertoni, contenute in un articolo pubblicato in Giustizia

penale del 1994, il quale, discutendo su un disegno di legge volto a

restringere l'area applicativa della custodia cautelare, osservava come, i caso di approvazione della legge, <<non ci sarebbero più confessioni e i processi verrebbero amputati della prova proveniente dall'imputato che è indubbiamente quella di massima utilità per il giudizio>>274.

Prima della riforma del 1995 la stessa giurisprudenza di legittimità era divisa sul punto: se da un lato veniva riconosciuto il diritto al silenzio dell'imputato, dall'altro si riteneva, in alcuni casi, di poterne trarne comunque delle conseguenze, come disposto nella sentenza 25/1/1993 della VI sezione Cassazione secondo cui, in materia di esigenze cautelari, mentre appartiene al legittimo esercizio della strategia difensiva la facoltà di negare taluno o tutti gli addebiti che vengono mossi, è corretto e congruo, in tema di giudizio incidentale de

libertate, il riferimento da parte del giudice a tale situazione per dare

ragione dell'attualità del pericolo di attentato all'acquisizione di fonti di prova, ai sensi dell'art.274 lett.a275. La stesso ragionamento venne seguito nella sentenza 3 novembre 1994, nella quale si sancisce, prima, il diritto della libera scelta della linea difensiva, ritenendo tale anche quella di non collaborare con l'autorità giudiziaria e, successivamente,

273 Marzaduri, cit. Si veda inoltre sul punto Bevere, Una non ovvia ordinanza, secondo il quale l'emanazione di misure cautelari seppur formalmente legittime, venivano concretamente usate quale diretta coazione sull'imputato.

274Amodio, Le misure coercitive nella procedura penale vivente, in Questione

giustizia, Milano, 1995, pag.15.

275Cass.,25 gennaio 1993, Damiani, in Cass.pen. 1994. Dello stesso orientamento Cass., 28 settembre 1994, Demitry.

si afferma che una siffatta condotta potrà ritenersi significativa in ordine al giudizio sulla sussistenza del pericolo di inquinamento delle prove276.

In altre pronunce degli stessi anni, invece, si escludeva la possibilità di trarre conseguenze negative dal silenzio dell'imputato in materia di misure cautelari, come sancito, ad esempio, in una sentenza della Cassazione del 1992, avente ad oggetto un provvedimento cautelare emanato sulla base del comportamento processuale tenuto dal soggetto interessato, il quale, rifiutandosi di rispondere agli interrogatori, veniva valutato ai sensi del pericolo di inquinamento probatorio 277. In questa occasione la Corte ritenne di sottolineare come il pericolo di inquinamento probatorio non potesse ritenersi sussistente sulla base del comportamento tenuto dall'imputato per il solo fatto di tacere, andando contro l'orientamento giurisprudenziale del tempo che era solito trarre, in tema di tangenti, dal silenzio nell'interrogatorio o nella reticenza una volontà di far ancora parte del mondo criminale esterno, cogliendovi dunque un persistente collegamento con il sistema delle tangenti278.

Sebbene la legge n 332/1995 introdusse il divieto di trarre da un comportamento corrispondente ad un diritto la capacità di esprimere un rischio o un pericolo per il procedimento, molti dubbi si sollevarono da parte della dottrina, soprattutto in riferimento alla scelta di prevedere il divieto limitatamente all'esigenza probatoria di cui alla lett.a dell'articolo 274 c.p.p., manifestando, al contrario, l'opportunità di una estensione in senso generale anche alle altre esigenze cautelari. Secondo molti, dunque, sarebbe stato più saggio introdurre tale divieto

276 Amato, Misure cautelari personali, pag.123.

277 Gastaldo, Diritto al silenzio, aspettative di “collaborazione” dell'imputato e

controlli sull'impiego della custodia cautelare, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 1993, pag. 1163.

278 Amodio, Le misure coercitive nella procedura penale vivente, in Questione

all'art. 273 c.p.p., recante le condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari. Un anno dopo279 anche la giurisprudenza di legittimità si pronunciava in questo senso, affermando che, nonostante il divieto espresso facesse riferimento al solo pericolo di inquinamento prove, non fosse, comunque, possibile dedurre dal silenzio dell'interessato alcuna conseguenza negativa diversa dalla mancata possibilità di accedere a eventuali benefici che derivano dalla collaborazione, escludendo, pertanto, la possibilità di ritenere la sussistenza di esigenze cautelari concernenti il pericolo di reiterazione dei reati (di cui alla lett.c dell'art.274 c.p.p.)280.

Solo recentemente, si ha avuto una modifica del sistema esposto, a seguito delle sentenze della Corte di Strasburgo, la quale ha condannato l'Italia per il “trattamento inumano o degradante” dovuto al sovraffollamento carcerario281 , tale per cui è stata emanata la L n. 47 del 16 aprile 2015, modificante in più punti la disciplina sulle misure cautelari al fine di minimizzare l'uso custodia cautelare e renderla strumento di extrema ratio, in armonia con i principi generali dell'ordinamento italiano, primo tra tutti la presunzione di non colpevolezza sancita all'art. 27 della Costituzione.

In conclusione, a distanza di quasi venti anni dalla citata riforma, la situazione non sembrerebbe cambiata. Ancora oggi se l'indagato si avvale dello ius tacendi o non completa il quadro delle ammissioni come desiderate dall'autorità inquirente ovvero non conduce a scoprire coloro che hanno concorso al reato, spesso la conseguenza è quella di

279 Cass. Sez. III, 27 marzo 1996, Papagna, in Cass.pen. 1997, pag. 2159. 280 Cass., 27 marzo 1996, Papagna, C.E.D. Cass., n..204747.

281 Per avere un'idea delle dimensioni del problema, è sufficiente leggere le statistiche del Ministero della Giustizia: al 31 gennaio 2013 riportavano, su una capienza regolamentare di 47.040 posti la presenza di 65.905 detenuti, dei quali 25.520 (circa il 39%) in attesa di sentenza definitiva. http://www.giustizia.it/giustizia/giustizia/it/mg_1_14_1.wp?

vedersi protrarre il vincolo cautelare282. Sebbene risulti difficile trovare testimonianze dirette in questo senso, una dimostrazione di tale orientamento è contenuta in una “recente” sentenza di legittimità, avente ad oggetto il procedimento a carico di un minorenne , in cui il tribunale aveva desunto l'esistenza delle esigenze cautelari dall'atteggiamento tenuto durante il processo dall'imputato, il quale, in sede di interrogatorio di garanzia, si era avvalso della facoltà di non rispondere. In tale occasione la Corte ha, quindi, ribadito una volta ancora il divieto di ricavare l'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione dei reati, dal comportamento assunto dall'indagato, dovendo, invece, valutare esclusivamente la sussistenza concreta del pericolo alla luce delle modalità e circostanze del fatto e della personalità dell'indagato283.

La scelta non collaborativa viene, pertanto, ancora, considerata in malo modo, secondo la logica del “non parla solo chi ha paura della verità che conosce”284, così che, da un lato, al cittadino comune, diviene quasi incomprensibile la scelta del giudice, di lasciare in libertà soggetti colpiti da gravissimi indizi di colpevolezza (soprattutto in merito alla commissione di fatti allarmanti secondo l'opinione pubblica) e dall'altro, il giudice, ritiene la non collaborazione dell'indagato/imputato sintomatica della volontà di mantenere i legami con l'ambiente criminale di appartenenza e, dunque, del pericolo della commissione di nuovi reati285.

282 Amodio, Inviolabilità della libertà personale e coercizione cautelare minima, in

Cassazione penale, fasc.1,2014, pag.0012B.

283 Cass. Sez.VI, 8 gennaio 2007, in Cass.pen. 2008,3, pag. 1138. 284 Marzaduri, cit.

285 Amodio, Inviolabilità della libertà personale e coercizione cautelare minima,

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