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IL RITORNO DELLA VIOLENZA NEL DIRITTO

2.1 Un divieto generalizzato, male attuato

Il processo di civilizzazione giuridica iniziato con l'illuminismo e concluso con le rivoluzioni liberali, ha dato forma ad un nuova concezione del diritto, nella quale l'istituto processuale della tortura risulta essere espunto dagli ordinamenti moderni. Non più come mezzo di ricerca della prova del processo o sanzione penale, la sua abrogazione è prevista in tutte le Convenzioni internazionali, Carte dei diritti e legislazioni nazionali, tanto che la dottrina dominante la ritiene facente parte dello ius cogens, del diritto internazionale consuetudinario e quindi vincolante a prescindere dalla volontà espressa dagli stati.

La prima enunciazione del divieto si trova all'interno della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, adottata dall'assemblea della Nazioni Unite alla fine della seconda guerra

mondiale come reazione esplicita alla catastrofe umanitaria appena conclusa, che, dopo aver affermato all'art. 1 il valore della dignità umana quale caratteristica di ogni individuo, all'art 5 enuncia << nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti >>.

In relazione al trattamento dei prigionieri di guerra e delle persone civili in tempo di guerra, l'art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 statuisce che << in ogni tempo e luogo >> non possono essere inflitte torture fisiche o mentali e nessun'altra forma di violenza contro la vita e l'integrità corporale come mutilazioni, trattamenti crudeli, torture e supplizi.

Particolarmente rilevante il divieto espresso all'art 3 della Convenzione europea per la salvaguardi dei diritti dell'uomo del 1950 che stabilisce << nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti degradanti >> da leggersi in combinazione con l'art 15 che al secondo comma esclude che vi si possa derogare in caso di stato d'urgenza.

Il divieto viene ribadito all'art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici che stabilisce: << nessuno può essere sottoposto a tortura né a punizioni o a trattamenti crudeli, disumani o degradanti >> senza possibilità di deroga, neppure in caso di pericolo eccezionale che minacci l'esistenza di una nazione, stabilendo così a livello internazionale e in modo inequivocabile, la prevalenza del diritto a non essere sottoposti a tortura rispetto al valore della sicurezza dello Stato105.

105 Gianelli, Paternò, Tortura di Stato, le ferite della democrazia, Roma, 2004, pag.140.

Di estrema importanza è poi la risoluzione 39/46 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite mediante la quale è stata adottata la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti disumani o degradanti approvata nel 1984 ed entrata in vigore nel 1987 che recita all'art. 1 << Ai fini della presente Convenzione, il termine tortura designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate >> e all'art. 2 << Ogni Stato Parte prende provvedimenti legislativi, amministrativi, giudiziari ed altri provvedimenti efficaci per impedire che atti di tortura siano compiuti in un territorio sotto la sua giurisdizione. Nessuna circostanza eccezionale, qualunque essa sia, si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, d’instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato eccezionale, può essere invocata in giustificazione della tortura. L’ordine di un superiore o di un’autorità pubblica non può essere invocato in giustificazione della tortura >> con lo scopo, quindi, di rendere più efficace tale proibizione.

Sempre nello stesso anno la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti disumani e degradanti stabilisce invece un meccanismo istituzionale di controllo (preventivo) nei

luoghi di restrizione delle libertà personali, all'interno dei singoli stati. Infine lo Statuto di Roma del 1998 che istituisce la Corte penale internazionale la quale all'art 7 elenca tra i crimini contro l'umanità, al punto (f) la tortura.

Pertanto, tutte le norme internazionali inderogabili sui diritti umani, consuetudinarie e convenzionali caratterizzano il divieto di tortura in termini di assolutezza e completezza in relazione alla sua sfera di applicazione, non possono essere pertanto queste le cause atte a spiegare, almeno in parte, la sopravvivenza di tale pratica in molte parti del mondo, infatti << in una condizione di semiclandestinità: essa è vietata ma non effettivamente impedita >>.

Entrambi i profili della tortura, quella di instrumentum “punitivo” e “investigativo”, continuarono ad avere cittadinanza all'interno delle democrazie106 del novecento, in cui i più gravi abusi furono commessi , in particolar modo, in relazione al profilo investigativo e a quello del terrorismo politico107.

Testimonianze indirette, in relazione al primo profilo, derivano dalla pubblicazione del primo manuale della Cia "Kubark

Counterintelligence Interrogation"108, che risale al luglio 1963 , di 127

106 Gianelli, Paternò, cit. pag. 17, per un'analisi dell'uso della tortura nel XX secolo si veda p. 97-111 : si fa riferimento al caso Algerino del 1954 ( in cui i i corpi militari e polizieschi la utilizzarono al fine di tutelare i domini coloniali), alle guerriglie del Vietnam e dell'America latina, all'occupazione Israeliana dei territori palestinesi nella guerra dei sei giorni e alla repressione del terrorismo in Irlanda del nord negli anni'70.

107 Gianeli, Paternò, cit., pag. 109.

108 (dove Kubark è un nome in codice per definire la stessa Cia)Tenuto segreto fino al 24 gennaio 1997 quando è stato divulgato dalla National Security Agency,

insieme al Human Resource Exploitation Training Manual, a seguito dell'applicazione del Freedom of information Act, una legge degli stati uniti che obbliga il governo a rendere noti i documenti ufficiali. Per una dettagliata analisi:

CIA, manuale della tortura. Testo finora top-secret uscito dagli archivi USA

pagine, contente una dettagliata sezione che si intitola "Coercive

Counterintelligence Interrogation of Resistant Sources" divisa a sua

volta in tre capitoli, Minacce e paura, Dolore e Debolezza, al cui interno vi sono diverse pagine accademiche che riprendono studi universitari e dotte citazioni sulla tortura, seguite poi da una descrizione dettagliata del modo più efficiente per "ottenere

informazioni da fonti resistenti"109.

Due i metodi base: non-coercitivi e coercitivi. Quest'ultimo usato per far parlare chi si rifiuta, attraverso la manipolazione delle funzioni quotidiane110, dalla privazione sensoriale, alla sottoposizione di suoni ossessivi, all'indebolimento fisico, droghe minacce e dolore. Quest'ultimo strutturato in modo tale che sia il prigioniero stesso a procurarsi il dolore che sente, venendo costretto, ad esempio, a restare in piedi per ore, oppure immobile in scomode posizioni, affinché la fonte immediata del dolore non sia, appunto, l'inquirente, ma lui stesso, con il conseguente insorgere di un conflitto interno al prigioniero che mina la resistenza del soggetto, il quale cede per un dolore che lui ha l'impressione di infliggersi da solo "piuttosto che con la tortura vera e propria”.

Nel manuale si faceva poi intendere come queste torture fossero da preferire rispetto alle altre più tradizionali, in quanto “pulite”, atte a non lasciare segni fisici evidenti e quindi più sicure dal punto di vista di eventuali cause legali o pubblicità negativa.

Il secondo manuale "Human Resource Exploitation Training Manual", di venti anni più tardi, riprende quasi per intero il primo richiamando in diverse pagine anche un altro manuale (questa volta redatto

109 D'arcais, il manuale segreto della CIA: “così si tortura un prigioniero”, La Repubblica, 13 maggio 2004.

110 Un modello di manipolazione studiato dalla scienza psichiatrica statunitense, che desse conto dell'esperienza coreana, divenuto famoso con l'acronimo DDD

dependency, debility, dread (dipendenza, debilitazione, terrore) , PAPA, La democrazia violenta, in Tortura di Stato, Le ferite della democrazia, p. 100

dall'intelligence dell'esercito), il cosiddetto "Project X", in uso durante i primi anni della guerra del Vietnam finalizzato all'addestramento del personale militare alla controguerriglia. Lo "Human Resource" riporta in toto le tecniche degli interrogatori coercitivi incluse le minacce di uso della violenza e la capacità, da parte dell'inquirente, di manipolare l'ambiente del soggetto al fine di creare una situazione tale da fargli perdere ogni conoscenza di tempo, spazio e percezione sensitiva 111.

<< La CIA rifece da capo l'introduzione con una frase che non lascia adito a dubbi: "L'uso della forza, la tortura psichica, le minacce, gli insulti o l'esporre un prigioniero a un trattamento disumano di qualsiasi tipo come aiuto per un interrogatorio è proibito dalla legge, internazionale e nazionale, non può essere mai autorizzato e non sarà mai perdonato">>112.

In relazione all'uso della violenza nei metodi indagine al fine di combattere il terrorismo politico, un ultimo esempio lo fornisce l'Italia: in una recente sentenza di revisione113 avente ad oggetto la condanna per il reato di calunnia di Enrico Triaca114, risulta dalla motivazione,

111D'arcais, cit., La Repubblica, 13 maggio 2004. 112D'arcais, cit., La Repubblica, 13 maggio 2004.

113 Sent n 1130/13 del 15/10/2013 della sezione penale Corte di appello di Perugia, consultabile all'indirizzo http://www.penalecontemporaneo.it/area/3-/18-/-/2957- il_prof__de_tormentis_e_la_pratica_del_waterboarding_in_italia/

114 Nel maggio 1978 venne arrestato nell'ambito delle indagini sul rapimento e uccisione dell' On. Aldo Moro, in quanto sospettato di essere un fiancheggiatore delle Brigate Rosse. Nel corso di un interrogatorio di polizia svoltosi il 17 maggio, il Triaca riferì di aver aiutato un membro dell'organizzazione a trovare la sede per una tipografia clandestina, e di aver ricevuto dalla medesima persona la pistola, che era stata rinvenuta in sede di perquisizione; il giorno successivo, sempre interrogato dalla polizia, indicò altresì il nominativo di alcuni appartenenti all'organizzazione. Le dichiarazioni rese all'autorità di polizia vennero poi confermate al giudice istruttore durante un interrogatorio svoltosi alla presenza del difensore. Il 19 giugno, nel corso di un nuovo interrogatorio, il Triaca ritrattò quanto affermato in precedenza, affermando “di essere stato torturato e precisando che verso le 23.30 del 17 maggio era stato fatto salire su un furgone in cui si trovavano due uomini con casco e giubbotto, era stato bendato e fatto scendere dopo avere percorso sul furgone un certo tratto, infine era stato denudato e legato su un tavolo: a questo punto mentre qualcuno gli tappava il naso qualcun altro gli aveva versato in bocca acqua in cui era stata gettata un

redatta sulla base della diretta escussione di alcuni testi indicati dal richiedente, tra cui l'ex commissario di polizia Salvatore Genova, << l'uso di pratiche particolari in danno di soggetti arrestati e volti a farli parlare da parte di un funzionario dell' UCIGOS, che era nell'ambiente conosciuto con il soprannome di prof. De Tormentis e che si avvaleva di un gruppo fidato, denominato “i cinque dell'Ave Maria” >> in particolare, emerge che << un funzionario dell'epoca inquadrato nell' UCIGOS e rispondente al nome di Nicola Ciocia, dopo aver sperimentato (come segnalato dal Genova) pratiche di waterboarding nei confronti di criminalità comune, la utilizzò all'epoca del terrorismo nei confronti di alcuni soggetti arrestati, al fine di sottoporre costoro ad una pressione psicologica che avrebbe dovuto indebolirne la resistenza e indurli a parlare>>.

Le fonti su cui si basa la decisione sono le testimonianze dei giornalisti Nicola Rao115 e Matteo Indice116, e dell'ex commissario di polizia Salvatore Genova, dalle quali si trae conferma dell'esistenza, negli anni settanta-ottanta, di un gruppo di funzionari di polizia specializzati nella pratica della tortura, che non agiva nell'ombra delle forze dell'ordine ma che, anzi, venivano da questi supportati, come risulta dal fatto che lo stesso epiteto “De Tormentis” fosse stato attribuito dal vice Questore dell'epoca. I giornalisti si trovarono ad intervistare De

polverina dal sapore indecifrabile; contestualmente era stato incitato a parlare”. In seguito a queste dichiarazioni venne rinviato a giudizio per il delitto di calunnia presso il Tribunale di Roma, che pervenne alla condanna senza dare seguito ad alcuno degli approfondimenti istruttori indicati dalla difesa; la sentenza venne poi confermata in sede di appello e di legittimità. La corte di appello di Perugia viene investita della vicenda in seguito all'istanza di revisione depositata dal Triaca nel dicembre 2012. Masera, in rivista Diritto penale contemporaneo 2014,

http://www.penalecontemporaneo.it/area/3-/18-/-/2957-

il_prof__de_tormentis_e_la_pratica_del_waterboarding_in_italia/

115 Nel 2011 pubblicò il libro intitolato “Colpo al cuore- dai pentiti ai metodi

speciali: come lo Stato uccise le B.R.- la storia mai raccontata”.

116 Pubblicò l'intervista fatta a De Tormentis sul quotidiano IL secolo XIX del 24-6- 2007, nel quale erano riportate anche le frasi contenute nel libro di Rao.

Tormentis nell'ambito di inchieste svolte su alcuni episodi di violenze sui detenuti avvenuti in quegli anni, ma l'identità di Nicola Ciocia venne rivelata solo in seguito alla pubblicazione di un articolo firmato da Fulvio Bufi, sul quotidiano il Corriere della Sera nel 2012.

Le dichiarazioni più rilevanti sono forse quelle rilasciate da Salvatore Genova, l'ex dirigente di polizia nel capoluogo ligure e “aggregato” in Veneto durante l’inchiesta sul sequestro del generale Usa James Lee Dozier (rapito dalle Brigate Rosse sul finire del 1981 e liberato nel gennaio 1982) il quale, in una sorta di “pentimento” generale, ha rivelato che in quegli anni le sevizie erano praticate sistematicamente. << Più che alla ricerca di verità giudiziarie questa sentenza deve piuttosto condurre ad essere meno perentori nel sostenere la tesi, così diffusa nel dibattito politico e storiografico, secondo cui il nostro ordinamento, a differenza di altri, ha sconfitto il terrorismo con le armi della democrazia e del diritto, senza rinunciare al rispetto dei diritti fondamentali degli imputati e dei detenuti. In larga misura ciò è vero, ma è anche vero che anche nel nostro paese si è fatto non sporadicamente ricorso a strumenti indegni di un sistema democratico: è bene ricordarlo, per evitare giudizi troppo facilmente compiaciuti su un periodo così drammatico della nostra storia recente, e sentenze come quella di Perugia ci aiutano a non perdere la memoria >>117.

In conclusione, anche solo leggendo i rapporti annuali di Amnesty International, è possibile affermare che nonostante il divieto generalizzato, la tortura sia ancora presente in molti paesi del mondo e venga praticata occultamente. Ma quegli episodi dovevano rimanere

117 Masera, in Diritto penale contemporaneo 2014, http://www.penalecontemporaneo.it/area/3-/18-/-/2957-

nascosti nell'oscurità, come accadimenti nefasti di cui l'uomo e il potere doveva esclusivamente provare vergogna.

Nessuno avrebbe mai messo in discussione il carattere atroce e distruttivo della dignità dell'uomo di questo strumento. Nessuno avrebbe messo in discussione la possibilità di una sua istituzionalizzazione quale metodo per risolvere i conflitti.

Recentemente, da una quindicina di anni a questa parte, assistiamo ad una sorta di inversione di paradigma, in cui emergono nuovamente concetti quali sicurezza pubblica, difesa e democrazia. Quel capitolo della storia che sembrava, almeno teoricamente, a livello di discussione filosofica e politica, concluso secoli fa, viene oggi riaperto e messo in discussione da parte di insigni giuristi in termini apparentemente nuovi: legalizzare la tortura al fine di combattere il terrorismo fondamentalista.

2.2 Tortura e sicurezza pubblica nell'emergenza terrorismo: la tesi