UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di Scienze Veterinarie
Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria
“Aspetti radiografici a lungo termine
dell’articolazione coxofemorale in pazienti
sottoposti a Triplice Osteotomia Pelvica (TPO)”
Candidato: Domenico Sainato
Relatore: Prof.ssa Simonetta Citi Correlatore: Dott. Alessio Raschi
A mamma e babbo
...and may the force be with me!
INDICE Riassunto/Abstract . . . .5 PARTE GENERALE Introduzione . . . 6 Capitolo 1 La displasia dell’anca . . . 8
1.1 Fisiopatologia . . . 9
1.2 Approccio clinico al paziente affetto da CHD . . . 12
Capitolo 2 Diagnosi della displasia dell’anca: esame ortopedico . . . .13
2.1 Rilievi clinici osservabili con paziente in stazione e in movimento . . . 17
Anche squadrate o “a scatola” . . . .17
Andatura “a coniglio” . . . 18
Anche “schioccanti” . . . .18
Prova di sollevamento sui posteriori . . . 19
2.2 Esame ortopedico con paziente sveglio . . . 20
Test di abduzione e rotazione esterna . . . .20
Test di estensione dell’anca . . . .20
Test di sublussazione dell’anca . . . .21
2.3 Esame ortopedico con paziente in anestesia . . . .21
Test di Ortolani . . . 21
Test di Barlow . . . 23
Angoli di riduzione e sublussazione . . . 24
Test di Bardens . . . 28
Capitolo 3 Diagnosi della displasia dell’anca: esame radiografico . . . 30
Alterazioni radiografiche evidenziabili . . . 34
3.2 Proiezione “a rana” . . . .38
3.3 Proiezione DAR . . . 39
3.4 Proiezione Ventro-‐Dorsale con distrattore . . . 41
3.5 Classificazione della displasia dell’anca . . . 44
Classificazione FCI . . . .44
Classificazione BVA/KC . . . .46
Capitolo 4 La Triplice Osteotomia della Pelvi . . . .48
4.1 Tecnica chirurgica . . . .50
Osteotomia pubica . . . .51
Osteotomia ischiatica . . . 52
Osteotomia di ileo . . . .53
4.2 Considerazioni sulla TPO . . . 55
4.3 Complicazioni . . . 57
4.4 Obiettivi e risultati della TPO . . . 58
PARTE SPERIMENTALE Introduzione . . . .60 Capitolo 5 Materiali e metodi . . . 62
5.1 Selezione dei casi . . . .62
5.2 Controllo clinico e radiografico . . . 65
Esame ortopedico . . . 65
Esame radiografico . . . .66
5.3 Valutazione radiografica sul modello BVA/KC . . . .68
5.4 Analisi statistica . . . .70
Capitolo 6
Risultati . . . .71 6.1 Risultati radiografici sul modello BVA/KC . . . .71 6.2 Risultati statistici . . . .82 Capitolo 7 Discussione . . . 90 Capitolo 8 Conclusioni . . . 98 Bibliografia . . . 99 Ringraziamenti . . . .104
RIASSUNTO
PAROLE CHIAVE: Triplice Osteotomia Pelvi, TPO, DPO, displasia anca, CHD, Rx, controllo lungo termine, osteoartrosi
La TPO è un intervento chirurgico correttivo per la displasia d’anca canina precoce il cui principale obiettivo è aumentare la copertura acetabolare e limitare la progressione dell’osteoartrosi (OA). Lo scopo del nostro studio è la valutazione a lungo termine dei segni radiografici a carico dell’articolazione coxofemorale in pazienti sottoposti ad intervento di Triplice Osteotomia Pelvica.
Sette cani di proprietà operati da almeno 5 anni di TPO sono stati sottoposti ad un esame clinico e radiografico. La valutazione radiografica della pelvi è stata eseguita mediante confronto diretto tra le radiografie eseguite nei periodi preoperatorio, postoperatorio e nei successivi follow up, secondo i metodi BVA e FCI. Sono stati poi calcolati la copertura femorale percentuale (PC) e il grado di OA. Un’analisi statistica è stata infine condotta tra i dati preoperatori e i risultati a lungo termine.
Tutti i casi studiati hanno mantenuto nel tempo una congruità articolare nella norma (PC > 50%) sviluppando solo un lieve grado di OA (84,6% dei casi). Correlazioni significative sono state trovate tra i risultati a lungo termine (grado di OA e punteggio BVA) con alcuni dati preoperatori.
ABSTRACT
KEYWORDS: Triple Pelvic Osteotomy, TPO, DPO, hip dysplasia, CHD, Xray, Long term outcome, osteoarthritis.
TPO is a surgical corrective procedure for juvenile canine hip dysplasia which major aim is to improve acetabular coverage and slow the progression of osteoarthritis (OA). The aim of our study is a long term evaluation of the radiographical signs of the coxofemoral joint of patients treated with Triple Pelvic Osteotomy.
Seven owned dogs treated at least since 5 years ago with TPO have been submit to clinical and radigraphical exams. Hip’s radiographical evaluation has been done with a direct comparison between preoperative, postoperative and long term radiographics, according to BVA and FCI mothods. Percentage of the femoral coverage (PC) and osteoarthritis score (OA) have been estimated. A statistical analysis has been done between preoperative datas and long term results.
Every cases of our study manteined a normal joint congruity (PC > 50%) developing just a minimal score of OA (84,6% of the cases). Significative correlations have been found between long term results (OA and BVA score) and some preoperative datas.
INTRODUZIONE
La displasia dell’anca è la patologia ortopedica maggiormente diffusa tra le razze canine; è caratterizzata da un anomalo sviluppo dell’articolazione coxofemorale, incongruenza e lassità articolare di vario grado, con conseguente osteoartrosi. Tale sindrome, descritta anche nell’uomo, riveste maggior rilevanza clinica nelle razze canine di taglia grande e gigante, colpendo indistintamente maschi e femmine quasi sempre bilateralmente. La sintomatologia è caratterizzata principalmente dalle manifestazioni algiche quali: riluttanza al movimento, zoppia di grado variabile, riduzione dell’ampiezza di movimento delle articolazioni e dolore alla palpazione. Nei soggetti giovani il dolore è soprattutto imputabile alla diminuzione della congruità articolare del femore rispetto all’acetabolo e al conseguente stato flogistico; negli adulti e nei più anziani invece il dolore è causato più che altro dai processi degenerativi che seguono l’osteoartrite [Chaniot and Genevois
2004; Hulse 2002].
La Triplice Osteotomia della Pelvi (TPO) è una tecnica chirurgica introdotta da Slocum nel 1986, il cui obiettivo è quello di correggere la lassità funzionale dell’articolazione coxofemorale aumentando la copertura acetabolare, riducendo la forza che agisce sull’articolazione stessa, e soprattutto limitando la progressione dell’osteoartrosi [Johnson et al. 1998; Hara et al. 2002].
Dal 2006 questo tipo d’intervento è stato soppiantato da quello di Duplice Osteotomia della Pelvi (DPO), il quale mira a semplificare la TPO riducendo il tasso di complicazioni postoperatorie e la morbilità [Haudiquet and Guillon
2006].
Il progressivo ritorno verso un approccio chirurgico molto simile a quello della TPO, e la carenza in letteratura di studi radiografici a lungo termine effettuati sulla pelvi di pazienti sottoposti a questo tipo d’intervento, sono le ragioni che hanno mosso il nostro studio, il cui scopo è proprio una valutazione
radiografica a lungo termine, su pazienti precedentemente sottoposti a Triplice Osteotomia Pelvica.
Il nostro obiettivo è osservare la modificazione nel tempo dell’articolazione coxofemorale, evidenziando l’eventuale insorgenza di complicazioni e valutando l’evoluzione dell’osteoartrosi. Abbiamo cercato di capire quali elementi hanno condizionato in positivo o in negativo l’esito dell’intervento e quali sono i limiti entro cui è possibile ottenere risultati clinicamente e radiograficamente accettabili.
Capitolo 1
LA DISPLASIA DELL’ANCA
La displasia dell’anca è un’anomalia multifattoriale, ereditaria, non congenita, riguardante lo sviluppo dell’articolazione coxofemorale. Essa è caratterizzata dalla sublussazione o dalla lussazione completa della testa del femore nei pazienti più giovani, e da una DJD (Degenerative Joint Disease) da lieve a grave nei pazienti più anziani. Per lussazione dell’articolazione coxofemorale s’intende la separazione completa tra la testa del femore e l’acetabolo, mentre la sublussazione ne rappresenta la separazione parziale o incompleta.
La CHD (Canine Hip Dysplasia) rappresenta circa il 30% dei casi di ortopedia nella medicina degli animali d’affezione, costituendo inoltre la causa più frequente d’artrosi d’anca. Interessa i cani di tutte le razze, ma è più comune in quelle di taglia grande, in particolare nel Pastore Tedesco, Rottweiler, Labrador Retriever, Golden Retriever, Alaskan Malamute, Bull Mastiff, Bobtail, San Bernardo, Collie, Pastore Maremmano e Boxer.
Inoltre è stata segnalata anche in razze di taglia più piccola tra cui il Bulldog, Cocker Spaniel e Springer Spaniel [Smith 1997; Dassler 2005].
Raramente la patologia si manifesta nei soggetti con peso da adulto inferiore ai 10 kg. La manifestazione bilaterale è stata osservata nel 93% dei casi; maschi e femmine sono colpiti con frequenza simile, sebbene alcuni studi abbiano identificato una frequenza relativa maggiore nella femmina.
Essendo legata allo sviluppo, l’alterazione non è presente alla nascita e si può manifestare in forme differenti e con aspetti evolutivi diversi a seconda dell’età e del momento in cui viene effettuato l’esame [Chanoit and Genevois 2004].
1.1 FISIOPATOLOGIA
La fisiopatologia può essere schematizzata in quattro step successivi:
1. Iperlassità articolare: è il principale fattore determinante la CHD. Lo stretto rapporto tra displasia dell’anca e iperlassità è stato chiaramente dimostrato, tanto che possono essere considerate come due entità inscindibili anche in assenza di altre modificazioni articolari, in particolare nel soggetto giovane [Fluckinger et al. 1998; Lust et al. 1993]. La causa precisa dell’iperlassità resta sconosciuta, anche se in un certo numero di studi vengono chiamate in causa anomalie collageniche della capsula articolare. I cani displasici sarebbero caratterizzati da una sua aumentata fragilità dovuta ad un deficit nella sintesi del collagene [Fries
and Remedios 1995; Madsen 1997]. Da questo ne deriva un gradiente
pressorio anomalo che porterebbe all’incremento del volume del liquido sinoviale intracapsulare e quindi a un forte aumento della pressione intrarticolare [Chanoit and Genevois 2004] .
2. Modificazioni cartilaginee: la sublussazione della testa del femore è associata a una diminuzione proporzionale delle superfici articolari femorali ed acetabolari in contatto. Le forze biomeccaniche vengono perciò esercitate su una superficie più ridotta concentrandosi sulla regione dorso-‐laterale dell’acetabolo. Ciò fa aumentare notevolmente le forze esercitate per unità di superficie, che superano rapidamente le possibilità di adattamento della cartilagine articolare.
Lesioni della cartilagine articolare, come microfratture cartilaginee, compaiono allora a livello della testa femorale e del margine acetabolare [Alexander 1992]. La cartilagine va incontro a condormalacia, per poi divenire completamente alterata, perdendo la sua funzione di ammortizzatore.
3. Modificazioni sinoviali capsulari: le microfratture cartilaginee sono responsabili della liberazione dei prodotti di degradazione della cartilagine che determinano l’attivazione della cascata dei fattori
dell’infiammazione a livello intrarticolare, causando quindi la comparsa di sinovite reattiva [Alexander 1992; Frost 1989; Morgan SJ 1992]. L’infiammazione sinoviale provoca l’attivazione delle citochine la cui liberazione determina un ulteriore rilascio di prodotti dannosi per la cartilagine. Si osserva anche ipertrofia dei villi sinoviali. Con l’instaurarsi della fibrosi i sinoviociti vengono sostituiti da cellule infiammatorie scarsamente identificabili, e man mano che il loro numero diminuisce, gli spazi intercellulari vengono colmati da un interstizio di natura collagenica sempre più denso, responsabile del fenomeno della fibrosi [Morgan SJ 1997]. Il volume del liquido sinoviale aumenta con l’evolvere della patologia. Il legamento rotondo viene interessato da edema infiammatorio con conseguente aumento del suo volume. Tale fenomeno aggrava la sublussazione, poiché l’aumento di volume del legamento impedisce il normale ritorno della testa femorale all’interno della cavità articolare [Chanoit and Genevois 2004].
4. Modificazioni ossee: prima della chiusura delle cartilagini di accrescimento (tra i 6 e i 10 mesi d’età), l’acetabolo e la testa del femore sono strutture particolarmente malleabili.
In un cane normale, la conformazione definitiva dell’articolazione coxofemorale è il risultato della biomeccanica articolare, ossia del rimodellamento progressivo delle parti anatomiche in rapporto tra loro, sulla base delle forze pressorie esercitate fra la testa del femore e l’acetabolo [Alexander 1992; Cahuzac et al 1989].
Nei cani displasici, a causa dell’iperlassità articolare, si avrebbe un difetto di adattamento della testa del femore con la cavità acetabolare durante il movimento articolare. L’iperlassità può essere dovuta ad eventuali anomalie capsulo-‐legamentose o dal liquido sinoviale, ma può anche essere causata da un’insufficiente contenimento muscolare da parte dei muscoli glutei o da modificazioni degli angoli ossei. [Cardinet et al 1997; Riser and Shirer 1967].
L’alterazione biomeccanica conseguente può causare col tempo un rimodellamento osseo e dunque una perdita di congruenza.
Lo sviluppo della patologia è dunque progressivo ed evolve durante i primi 6 mesi di vita dell’animale [Lust and Summers 1981].
Il margine dorsale dell’acetabolo ha la tendenza a subire un rimodellamento sotto l’azione pressoria da parte della testa del femore, diretta dorsalmente e cranialmente, arrotondandosi. Ciò permette di spiegare le prime manifestazioni algiche della patologia verso l’età di 5-‐6 mesi, con la comparsa di microfratture a livello del margine acetabolare. Dato che la testa del femore sublussata esercita essenzialmente pressioni sui margini acetabolari, la cavità acetabolare ha la tendenza ad allargarsi progressivamente, il che favorisce naturalmente la sublussazione. In alcuni casi è stata anche descritta la tendenza all’oscillazione in senso mediale, in seguito alla trazione esagerata dei muscoli glutei sul grande trocantere, il quale viene dislocato lateralmente [Chanoit and Genevois 2004].
Dopo un intervallo di tempo variabile a seconda degli individui e della gravità della patologia, la scorretta congruità articolare causa la comparsa di un fenomeno artrosico che provoca nuove modificazioni delle strutture articolari tra cui neoformazioni osteofitiche. Ne risulta un’alterazione della forma delle parti anatomiche che aggrava progressivamente l’incongruenza [Kaptakin et al 2000].
Ruolo della muscolatura: anche la muscolatura può giocare un ruolo
nell’evoluzione della CHD. Secondo alcuni studiosi la stabilità articolare è garantita dalla componente muscolare che partecipa alla spinta del femore all’interno dell’acetabolo; nel momento in cui però i muscoli si affaticano o il loro sviluppo non risulta essere sufficiente, la testa del femore può sublussare o comunque stirare la capsula articolare ed il legamento rotondo, mentre il bordo acetabolare dorsale viene danneggiato [Slocum and Slocum 1998].
Riassumendo, il quadro anatomopatologico della displasia dell’anca è rappresentato da: appiattimento della cavità acetabolare, ispessimento o lacerazione del legamento rotondo, sublussazione o lussazione completa coxofemorale, marcata erosione della cartilagine ialina articolare, progressivo rimodellamento dell’acetabolo, della testa e del collo femorale, comparsa di osteofitosi periarticolari [Morgan SJ 1997].
1.2 APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE AFFETTO DA CHD
Esistono due sindromi clinicamente riconoscibili associabili alla displasia dell’anca: quella nei pazienti di età compresa tra i 5 e i 10 mesi, e quella nei pazienti con osteoartrosi (OA).
I sintomi nei pazienti giovani includono la difficoltà ad alzarsi dopo il riposo, l’intolleranza all’esercizio, andatura “bunny hopping” (andatura a coniglio) e la zoppia intermittente o continua. Con la maturità gli animali possono sviluppare ulteriori segni che si attribuiscono alla dolorabilità dell’articolazione dell’anca. L’OA progressiva in questi pazienti causa difficoltà nel passaggio alla stazione, intolleranza all’esercizio, zoppia dopo l’attività, dolore durante la rotazione esterna e l’abduzione dell’articolazione dell’anca, atrofia della muscolatura pelvica e/o andatura ondeggiante attribuibile ai movimenti anomali degli arti posteriori. In genere non c’è lassità articolare, ma si può apprezzare un crepitio durante la manipolazione dell’anca.
Spesso i pazienti sono portati alla visita per la valutazione di una zoppia che ha mostrato un improvviso peggioramento durante o dopo una maggiore attività, o in seguito ad un trauma [Schulz 2008].
La diagnosi differenziale nell’approccio verso un paziente giovane con sospetta CHD deve includere panosteite, osteocondrosi, distacco della fisi e lesioni ai legamenti; in quelli più anziani è invece importante escludere problemi neurologici, poliartriti e neoplasie ossee [Dassler 2005; Hulse 2002].
CAPITOLO 2
DIAGNOSI DELLA DISPLASIA DELL’ANCA: ESAME ORTOPEDICO
Per essere significativo, il protocollo diagnostico per la CHD deve essere eseguito in maniera sistemica. Un esame ortopedico e radiografico risultano indispensabili per ottenere risultati affidabili e prognostici.
L’esame ortopedico generale si compone di due fasi principali: ispezione e osservazione dell’animale in stazione e in movimento, e la palpazione, che deve essere di norma eseguita sia nel soggetto vigile sia dopo sedazione.
L’esame ispettivo deve prendere in considerazione innanzitutto le caratteristiche morfologiche degli standard di razza, o comunque del tipo cui il soggetto appartiene, e ricercare eventuali atrofie, asimmetrie o deformità evidenti come varismo, valgismo, torsioni, pronazione o supinazione, abduzione o adduzione, iperestensione o iperflessione.
Prima di passare alla palpazione, l’animale viene osservato in stazione quadrupedale, soprattutto quando ci si trova di fronte ad una zoppia lieve, in cui non è possibile capire subito e con certezza quale arto sia interessato; istintivamente l’animale scaricherà il peso dell’arto colpito, tenendolo lontano da sé, mentre tutto il peso sarà sull’arto sano, tenuto sotto di sé. Qualora il cane provi sconforto nel mantenere una postura corretta, tenderà subito a riprendere la posizione antalgica iniziale. Se è l’anca a provocare dolore, il soggetto tenderà ad estenderla il meno possibile; così facendo, ginocchio e garretto dovranno essere iperestesi per permettere l’appoggio dell’arto [Martini 2006].
L’osservazione del soggetto in movimento, condotto al guinzaglio dal proprietario, deve essere attenta e ripetuta; è necessario far compiere al paziente un percorso di “andata e ritorno” lungo una linea rettilinea di circa 10 metri su una superficie piana e priva di ostacoli. L’osservatore si pone lungo
l’asse della traiettoria dell’animale così da poterlo osservare quando si avvicina e si allontana.
In tutti i casi, specialmente se non sono stati identificati deficit, è consigliabile far camminare il soggetto in salita, in discesa, al trotto, al galoppo e soprattutto fargli salire e scendere alcuni gradini. In questa maniera il suo baricentro varia, ed è così costretto a scaricare il peso del corpo di volta in volta sugli arti anteriori o sui posteriori, permettendo quindi di poter escludere eventuali paresi di uno o più arti, stati d’incoordinazione, tendenza a cadere e dismetrie [Bernardini 2002].
L’osservazione dell’andatura non si deve limitare ai soli arti, ma anche e soprattutto ai movimenti di testa e groppa; ad esempio, quando l’arto interessato è posteriore, il soggetto caricherà maggiormente sull’arto sano, con periodo di appoggio più lungo e abbassamento della groppa [Martini 2006].
La zoppia più essere algica o meccanica: nel primo caso, questa sarà secondaria al dolore, il quale determina un sistema di difesa organico volto alla sottrazione del carico sull’arto colpito; nel secondo caso essa è determinata da alterazioni osteo-‐articolari che impediscono una normale biomeccanica del movimento.
La zoppia eventualmente osservata è classificata secondo 4 gradi di gravità: § Grado I: zoppia lieve, movimento leggermente alterato, carico dell’arto
mantenuto anche se limitato.
§ Grado II: blanda zoppia, movimento alterato ma con funzionalità e carico
dell’arto mantenuti.
§ Grado III: zoppia moderata, movimento e funzionalità alterati, talvolta
l’arto non viene appoggiato.
§ Grado IV: zoppia grave, movimento alterato e perdita della funzionalità,
Più difficile è la valutazione di problemi articolari bilaterali, poiché la zoppia è subdola, non facilmente identificabile, e spesso è caratterizzata da alterazioni più generiche dell’andatura [Martini 2006].
È fondamentale considerare che, in caso di grave algia bilaterale, il soggetto può assumere atteggiamenti tali da simulare una patologia neurologica: in caso di patologia bilaterale del posteriore, il soggetto tende a spostare tutto il peso corporeo sugli anteriori, assumendo talvolta una posizione di falsa cifosi.
Articolazioni e segmenti ossei devono essere esaminati con il soggetto sia in stazione che in decubito; con l’animale in stazione la palpazione segue una direzione prossimo-‐distale; con il soggetto in decubito si esaminano prima le articolazioni distali per poi risalire. La palpazione dell’animale in stazione si esegue contemporaneamente su entrambi gli arti, in modo da notare più agevolmente, grazie ad una comparazione diretta, atrofia muscolare, tumefazioni, asimmetrie o la presenza di aree calde, fredde o dolenti.
Dopo aver valutato nell’insieme lo scheletro del paziente, si procede all’esame delle singole articolazioni separatamente: le manualità consistono in flessione ed estensione, iperflessione e iperestensione, abduzione e adduzione. I risultati delle prove vanno confrontati con l’arto controlaterale. È importante eseguire le manovre facendo attenzione a flettere o estendere una sola articolazione alla volta, per non incorrere in falsi positivi o falsi negativi. Bisogna tener conto anche del carattere dell’animale in esame, poiché le risposte alle stesse manipolazioni possono dare risultati falsati a seconda che esso sia più tollerante o, al contrario, molto sensibile o impaurito.
Terminato l’esame ortopedico con l’animale in stazione, si posiziona il paziente in decubito laterale e si procede con la palpazione in decubito, iniziando dalle falangi e procedendo in direzione prossimale. Tutte le articolazioni vanno palpate più volte e sempre con maggiore intensità, così da poter valutare l’eventuale risposta algica.
Essenziale è la stima del ROM (Range Of Motion), cioè l’ampiezza di movimento delle singole articolazioni, che deve essere necessariamente valutato sul
paziente sedato poiché la presenza di dolore articolare e la conseguente resistenza del soggetto alle manualità cliniche, determinano la raccolta di dati falsati [Martini 2006].
Una volta escluse patologie ad altri settori anatomici e localizzato il problema a carico delle articolazioni delle anche, si procede con un controllo più approfondito delle stesse.
In particolare, l’approccio diagnostico nei confronti della displasia dell’anca si basa su:
Rilievi clinici osservabili con paziente in stazione e in movimento:
• Anche squadrate (boxy hips)
• Andatura “a coniglio” (bunny hopping) • Anche schioccanti (clunking hips)
• Prova di sollevamento sui posteriori (stand test)
Esame ortopedico con paziente sveglio:
• Test di abduzione e rotazione esterna • Test di estensione dell’anca
• Test di sublussazione dell’anca
Esame ortopedico con paziente sotto anestesia:
• Test di Ortolani • Test di Barlow
• Angoli di riduzione e sublussazione • Test di Bardens
2.1 RILIEVI CLINICI OSSERVABILI CON PAZIENTE IN STAZIONE E IN MOVIMENTO
Anche squadrate o “a scatola”
Modificazione morfologica della groppa, il cui profilo, osservando l’animale caudalmente, diventa da armonioso e arrotondato, spigoloso e squadrato. La differenza che intercorre tra le anche normali e quelle a scatola è la stessa che differenzia una testa femorale correttamente accolta nella cavità acetabolare rispetto ad una testa femorale lussata. In quest’ultimo caso la testa femorale risulta dislocata in direzione dorsale e laterale. Conseguentemente il grande trocantere assume una posizione dorsale e laterale conferendo alla groppa un profilo squadrato, “a scatola”. Nell’anca lussata la testa del femore viene ad essere sostenuta principalmente dalla capsula articolare, già stirata ed infiammata, anziché dell’acetabolo; quindi per evitare un’ulteriore stimolazione meccanica sulla capsula, che comporterebbe un aggravamento della sensazione algica, il soggetto tende a limitare il movimento di abduzione della testa femorale, mantenendo così una base d’appoggio stretta. Al contrario un soggetto displasico ma con le anche non lussate, utilizza una base di appoggio larga in modo da orientare la forza assiale del femore verso l’acetabolo e agevolare così la riduzione dell’anca [Slocum and Slocum 1998].
Fig. 1 A. Soggetto normale con profilo della groppa
armoniosamente arrotondato; B. soggetto con anche lussate e profilo della groppa squadrato.
Andatura “a coniglio”
Nell’andatura a coniglio, il paziente corre utilizzando contemporaneamente il bipede posteriore con i piedi in posizione addotta. Il paziente viene osservato posteriormente durante la corsa cercando di valutare la distanza tra i piedi sul piano trasversale. In condizioni normali l’animale mantiene il piede sulla verticale dell’anca, con i piedi separati di circa 7-‐10 cm. Nell’andatura a coniglio il cane posiziona i piedi a circa 2-‐5 cm e muove simultaneamente il bipede posteriore, riuscendo a ridurre gli stimoli meccanici ed algici a livello dell’anca nonché le sollecitazioni, grazie al fatto che la maggior parte dell’estensione viene esercitata dal movimento della schiena [Slocum and
Slocum 1998].
Anche “schioccanti” (clunking)
Si possono osservare durante la camminata del paziente e sono il risultato della riduzione spontanea delle anche durante la deambulazione. Il clinico può appoggiare le mani sulla groppa del cane, apprezzandone così la riduzione. In alcuni casi il rumore di “clunk” può essere udito distintamente. La presenza dello schiocco indica che l’acetabolo è ancora sufficientemente profondo da permettere il reinserimento spontaneo della testa femorale durante la deambulazione [Slocum and Slocum 1998].
Fig. 2 A. Soggetto displasico con anche
lussate: i piedi sono mantenuti vicini tra loro con una base d’appoggio stretta; B. soggetto displasico con anche ridotte: i piedi sono mantenuti lontani tra loro con base d’appoggio larga.
Prova di sollevamento sui posteriori (stand test)
Per una corretta esecuzione del test è necessario istruire preventivamente con chiarezza il proprietario, il quale dovrà posizionare il cane in stazione quadrupedale di fronte a sé e sollevarne completamente il bipede anteriore come se volesse “ballare” con lui. Lo svolgimento di tale manovra viene osservata lateralmente dal clinico.
In genere un soggetto sano accetta di buon grado questa posizione, anzi gradisce l’attenzione rivoltagli, cercando di allungarsi il più possibile per avvicinarsi al padrone, estendendo ed appiattendo contemporaneamente le anche e la schiena.
Viceversa un soggetto patologico accetta malvolentieri la stazione e non gradisce l’esecuzione del test. Tende ad assumere la stazione quadrupedale, non si allunga per cercare di avvicinarsi al proprietario e scarica il peso su un lato per tornare a terra. Mantiene le anche e la schiena in posizione flessa e cerca di sottrarsi all’esecuzione dell’esercizio.
La prova di sollevamento stimola mediante un’estensione forzata, le anche e la colonna vertebrale del paziente. I cani affetti da patologie alle anche rispondono in maniera differente all’esecuzione del test, proporzionalmente al grado di fibrosi e infiammazione.
Gli animali di giovane età, con capsula articolare stirata e quadro infiammatorio modesto, forniscono una risposta sovrapponibile ai soggetti
FIg. 3 A. Il rumore di “clunk” prodotto dall’anca
durante la deambulazione è causato dalla riduzione del femore all’interno dell’acetabolo (freccia). B. Quando la testa del femore raggiunge il fondo dell’acetabolo si avverte il rumore di “clunk”, che corrisponde alla vibrazione prodotta, durante la deambulazione, dallo spostamento mediale del grande trocantere.
sani. Viceversa se presentano una grave infiammazione articolare e capsulare, si oppongono strenuamente all’esecuzione del test.
I cani adulti, con fibrosi capsulare e displasia dell’anca cronica, non sono in grado di flettere le anche, ma rimangono sollevati mantenendo la groppa sporgente.
Questo tipo di prova non può essere considerata come patognomonica della displasia dell’anca, ma permette comunque la localizzazione anatomica della patologia alle anche o al rachide lombosacrale [Slocum and Slocum 1998].
2.2 ESAME ORTOPEDICO CON PAZIENTE SVEGLIO
L’esame ortopedico con paziente sveglio, tramite la provocazione di una lieve algia, rappresenta lo strumento diagnostico fondamentale per identificare la sede anatomica della zoppia e della dolorabilità.
Test di abduzione e rotazione esterna
È un test non specifico per la displasia dell’anca, anche se può comunque indicare uno stato flogistico del settore dorsale della capsula articolare. Il clinico si pone dietro al paziente, mentre la testa del cane è contenuta da un aiutante; la mano dell’operatore afferra il ginocchio del paziente ed esegue il movimento di flessione e rotazione esterna dell’anca. Si effettua poi, simultaneamente, il movimento di abduzione, rotazione esterna ed estensione, appena sufficiente a stimolare un’eventuale risposta algica del cane. Il test è negativo quando il paziente rimane indifferente alla manovra. La risposta positiva al test indica la presenza di uno stato flogistico articolare [Slocum and
Slocum 1998].
Test di estensione dell’anca
Il clinico si pone dietro al paziente e appoggia le dita della mano destra sulla parte craniale della coscia a livello del ginocchio, mentre la mano sinistra viene
posizionata sulla groppa. Tirando il femore in direzione caudale si ottiene l’estensione dell’anca, mentre la mano sinistra impedisce al paziente di sottrarsi alla manovra. Tale test va a sollecitare la porzione di capsula articolare che avvolge il collo femorale e risulterà quindi positivo sia in un cane affetto da CHD, dove l’anca sarà infiammata ed ispessita, sia nei cani con contrattura del muscolo ileopsoas ed infiammazione della colonna lombare caudale [Slocum and Slocum 1998].
Test di sublussazione dell’anca
Questo test è specifico per la displasia dell’anca poiché valuta la risposta del cane in relazione allo stato infiammatorio della porzione dorsale della capsula articolare.
Il clinico si pone sullo stesso lato dell’anca da esaminare e appoggia le dita della mano, passando cranialmente, sul versante mediale del femore prossimale, mentre il pollice viene posizionato sull’ileo corrispondente. Si retrae quindi il femore in direzione laterale, mentre contemporaneamente si esercita con il pollice una pressione mediale sull’ileo. Quando la pressione in direzione laterale esercitata dall’operatore sul femore prossimale determina la sublussazione laterale dell’anca, infiammata per le ripetute sollecitazioni cui è sottoposta la capsula articolare, il paziente contrae la muscolatura della coscia per proteggere l’anca dall’insorgenza della sensazione algica [Slocum and
Slocum 1998].
2.3 ESAME ORTOPEDICO CON PAZIENTE IN ANESTESIA
Test di Ortolani
Il segno di Ortolani è un rilievo che si ottiene mediante palpazione, originariamente utilizzato in medicina umana quale indicatore della displasia dell’anca. Tale segno si realizza quando la testa del femore, dalla posizione di lussazione, rientra nell’acetabolo con il caratteristico rumore di “clunk”.
Sebbene sia possibile effettuare questo test anche con paziente sveglio, è comunque necessaria la sedazione per ottenere un sufficiente grado di rilassamento muscolare e accertarsi quindi, in maniera affidabile, dell’eventuale lassità articolare. Per eseguire questo test il paziente deve essere quindi anestetizzato e posto in decubito dorsale. Tale manovra si compone di due fasi:
1. S’induce la sublussazione forzando la testa femorale dorsalmente all’acetabolo. Posizionato dietro l’animale, l’esaminatore afferra il ginocchio, che è flesso a 90°. L’altra mano è posta piatta, dorsalmente alla pelvi dell’animale, con il pollice posizionato direttamente sopra al grande trocantere. Il pollice inizialmente si dovrà sollevare all’altezza del trocantere, per permettere al femore prossimale di lateralizzarsi e all’anca di sublussarsi. Il ginocchio è quindi addotto e forzato dorsalmente con una pressione decisa, mentre la pelvi viene mantenuta stabile con l’altra mano. Se è presente un certo grado di lassità articolare, la forza creata lungo l’asse longitudinale del femore causa la sublussazione dorsale dell’anca.
2. In questa seconda fase l’anca viene lentamente abdotta. La riduzione è percepibile non appena la testa sublussata ricade all’interno dell’acetabolo. Prima, il pollice sollevato scende delicatamente in modo da poter percepire leggermente il trocantere, Poi, si abduce lentamente il ginocchio, mantenendo intanto la pressione diretta dorsalmente attraverso il femore. Se l’anca si è sublussata durante la fase 1, si sente un improvviso schiocco con il pollice (segno positivo) appena il trocantere si muove medialmente, e la testa femorale scivola sul bordo dorsale e nell’acetabolo. Attraverso l’utilizzo di un goniometro elettronico canino posizionato caudalmente all’eminenza ileo-‐pettinea è possibile misurare l’angolo di riduzione, che corrisponde all’angolo di
abduzione compreso tra il piano sagittale mediano e la posizione del
Il riscontro del segno di Ortolani positivo non è patognomonico di displasia dell’anca, ma indica la presenza di uno stiramento capsulare e quindi la presenza di lassità articolare, condizione spesso associata alla displasia dell’anca. Va ricordato che nei cani adulti, con CHD avanzata, raramente riscontriamo positività al test di Ortolani o ad altri test specifici per la lassità; questo è dovuto alla diminuzione della profondità dell’acetabolo e alla stabilità guadagnata successivamente con la fibrosi periarticolare. Per quanto riguarda i pazienti anziani, essi hanno tipicamente un’ampiezza di movimento diminuita, in particolare in estensione, e il crepitio a tale test può essere più pronunciato [Dassler 2005].
Test di Barlow
Il paziente è anestetizzato e posto in decubito dorsale. Il clinico appoggia delicatamente il palmo della mano sul versante laterale del ginocchio mantenuto in posizione flessa. Si posiziona poi il pollice della mano sul condilo mediale del femore, in prossimità della rotula. La manovra inizia collocando l’anca in posizione di abduzione, evitando di fletterla o di estenderla. In questa posizione la testa femorale si riduce all’interno dell’acetabolo. Successivamente l’anca viene lentamente addotta. Il segno di Barlow è positivo quando è possibile rilevare, mediante palpazione, lo “scivolamento” della testa femorale dall’acetabolo ad una posizione lussata. Sempre mediante il goniometro elettronico canino è possibile misurare l’angolo di sublussazione che corrisponde all’angolo di adduzione in coincidenza del quale, durante la manovra di adduzione dell’anca, la testa femorale inizia a fuoriuscire dall’acetabolo. Per convenzione l’angolo è considerato positivo se all’atto della sublussazione il femore è in posizione laterale rispetto al piano sagittale mediano, viceversa viene considerato negativo quando il femore è in posizione mediale. Tale test non è patognomonico di CHD ma indica uno stiramento della capsula articolare, alterazione spesso riscontrabile nei soggetti affetti da displasia [Slocum and Slocum 1998].
Angoli di riduzione e sublussazione
Per comprendere a pieno l’utilizzo della manovra di Ortolani e di Barlow è necessario approfondire le due grandezze precedentemente introdotte: gli angoli di riduzione e sublussazione.
Per la determinazione dell’angolo di riduzione il clinico appoggia la mano sul versante laterale del ginocchio e, spingendo in direzione mediale, colloca l’arto nella posizione verticale di partenza, mantenendo l’anca in posizione neutrale, ovvero evitando flessioni od estensioni. Rilasciando la pressione diretta medialmente sul ginocchio, l’anca viene progressivamente abdotta. Ottenuta la riduzione della testa femorale si arresta il movimento di abduzione dell’anca. Per misurare tale angolo si può utilizzare il goniometro elettronico canino, appositamente costruito per questo scopo. Si colloca la sonda appena caudalmente all’inserzione del muscolo pettineo sull’eminenza ileo-‐pettinea, appoggiando lo strumento al versante mediale del ginocchio. La misurazione dell’angolo apparirà direttamente sul display dello strumento.
Partendo dalla posizione di abduzione con cui si è determinato l’angolo di riduzione, l’angolo di sublussazione è calcolato riportando progressivamente il ginocchio in posizione verticale. Aumentando gradualmente la spinta in direzione mediale sul ginocchio, si adduce lentamente l’anca. Non appena la testa femorale inizia a lussare, s’interrompe il movimento di adduzione. Anche per la misurazione di quest’angolo si ricorre all’utilizzo del goniometro elettronico, mettendo in atto la stessa tecnica prima descritta per la misurazione dell’angolo di riduzione. Le stesse operazioni sono compiute sull’arto controlaterale.
Su ciascun’anca si rilevano dunque due angoli, quello di riduzione e quello di sublussazione. L’angolo di riduzione rappresenta la lassità articolare, ovvero lo stiramento o la lacerazione della capsula articolare rispetto al DAR (Dorsal
Acetabular Rim). Quanto maggiore è l’angolo di riduzione, tanto maggiore sarà
lo stiramento della porzione capsulare dorsale. Lo stiramento della capsula articolare dorsale condiziona il punto in cui il DAR prende contatto con la testa
femorale. Il punto di contatto tra il bordo acetabolare e la testa femorale determina il grado di abduzione necessaria prima che la forza assiale del femore sia diretta medialmente al punto di contatto. Quando si realizza tale condizione, la testa del femore rientra nell’acetabolo. Quando lo stiramento della capsula articolare è di entità modesta, il punto di contatto tra il bordo acetabolare e la testa femorale coincide con il settore dorsale della testa femorale quando l’arto è posto sul piano sagittale. Con il progredire dello stiramento capsulare, la testa femorale è in grado di dislocarsi lateralmente e poi dorsalmente; a tale dislocazione l’unica struttura ad opporsi è il legamento rotondo. L’angolo di riduzione aumenta ulteriormente solo in presenza di cedimento del legamento rotondo, conseguente ad eccessivo stiramento capsulare, o di collasso del bordo acetabolare, successivo alla notevole incongruenza articolare che si stabilisce. Viceversa l’angolo diminuisce in caso di fibrosi capsulare o di proliferazione osteofitica localizzata a livello del DAR che, opponendosi all’ulteriore traslazione dorsale della testa femorale, favorisce la stabilizzazione capsulare [Slocum and Slocum 1998].
Fig. 4 Riduzione dell’anca mediante la sua abduzione
L’angolo di sublussazione rappresenta invece l’inclinazione funzionale dell’acetabolo sottostante al bordo acetabolare dorsale. Quando l’anca viene addotta, la forza assiale del femore si orienta ortogonalmente al piano di inclinazione del DAR, che costituisce l’ultima posizione in cui l’anca è ancora stabile. Ogni ulteriore movimento di adduzione dell’anca dirige la forza assiale del femore lateralmente alla perpendicolare alla superficie del DAR, con conseguente spostamento laterale della testa femorale, che prende contatto con la capsula articolare. In condizioni normali, la lassità fisiologica della capsula articolare non consente uno spostamento laterale della testa femorale di entità tale da permetterne la sublussazione.
Fig. 5 Sublussazione dell’anca mediante la sua adduzione
L’identificazione mediante palpazione dell’angolo di riduzione risulta agevole in un soggetto giovane affetto da displasia, mentre può essere difficoltosa in un soggetto adulto. L’angolo di riduzione tende ad aumentare fino a quando viene raggiunto il punto limite dello stiramento del legamento rotondo e della capsula articolare. Se la testa del femore permane in posizione lussata, l’acetabolo viene colmato dalla proliferazione osteofitaria, anche qualora la testa femorale torni occasionalmente in posizione ridotta. Parallelamente all’evoluzione della malattia displasica, l’angolo di riduzione diminuisce
progressivamente, fino a diventare difficile da evidenziare mediante palpazione [Slocum and Slocum 1998].
Diversamente, in un soggetto displasico, l’angolo di sublussazione sarà sempre maggiore di 0° e tenderà progressivamente ad aumentare, senza mai diminuire.
La diminuzione dell’angolo di riduzione ed il contemporaneo aumento dell’angolo di sublussazione proseguono fino a percepire un unico angolo, al livello del quale la testa femorale oscilla tra il sostegno capsulare e quello acetabolare. Tale angolo è definito “angolo di traslazione”.
Una notevole differenza tra angolo di riduzione e angolo di sublussazione (per es. 40/5), indica la presenza di un’anca normale con la capsula articolare stirata o l’anca di un soggetto giovane al primo stadio di displasia, che può essere facilmente trattata con ottimi risultati e senza sviluppo della malattia artrosica. Una differenza intermedia tra i due angoli (per es. 30/15), indica la presenza di un’anca che deve essere immediatamente trattata con osteotomia pelvica. Una differenza di piccola entità tra i due angoli (per es. 25/22), indica la presenza di un’anca con grave riempimento acetabolare, non più idonea all’osteotomia pelvica. Una differenza di piccola entità tra i due angoli con valori prossimi a 0° (per es. 10/0), indica la presenza di un’anca normale con un lieve stiramento capsulare, che non richiede alcun intervento chirurgico [Slocum and Slocum 1998].