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Competitività tra radici territoriali e longevità familiare: il caso Aeroviaggi S.p.A.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA

COMPETITIVITÀ TRA RADICI TERRITORIALI E

LONGEVITÀ FAMILIARE: IL CASO AEROVIAGGI S.P.A.

Relatore:

Prof. Nicola Lattanzi Candidato:

Salvatore Alessi

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Alla mia famiglia, a Simona, e a tutti coloro che in questi anni hanno pregato per me.

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(4)

Indice

Introduzione………..3

Capitolo 1: Il fenomeno “azienda familiare”………6

1.1 Definirsi “azienda familiare”……….………..6

1.2 Tipi e classificazioni: il “Three Circle model”..……….………10

1.3 Le aziende familiari nel contesto italiano e internazionale………16

1.4 La questione dimensionale……….20

1.5 Corporate Governance, azienda e famiglia……….…….……….……….23

1.6 Aziende familiari e radicamento territoriale……….. 28

Capitolo 2: Passaggio generazionale elongevità aziendale….….………..32

2.1 Il fenomeno successorio………32

2.2 Trasferimento del patrimonio “conoscitivo”……….42

2.3 Trasmissione e ruolo della cultura aziendale……….46

2.4 Previsione e mitigazione di potenziali conflitti……….49

2.5 Gli strumenti giuridici per la successione………..55

Capitolo 3: Traiettorie di sviluppo del family business………..………61

3.1 Modelli e variabili di crescita……….61

3.2 La necessità di “professionalizzarsi”………..65

3.3 Innovarsi nel solco della tradizione………69

3.4 Il concetto di “rete”……….71

3.5 Nuovi strumenti per sostenere la crescita….….……….76

3.5.1 Strumenti finanziari per il family business………77

3.5.2 Il Family Office ……….………80

Capitolo 4: Il caso “Aeroviaggi S.p.A.”………84

4.1 Profilo societario………84

4.2 Il settore turistico-alberghiero italiano ed internazionale…….….…….…………85

4.3 La storia dell’azienda……….87

4.4 Orientamento strategico e Corporate Governance……….90

(5)

4.6 Il passaggio generazionale e le prospettive di sviluppo……….97

Conclusioni……….….……….………101

Bibliografia………..…….………..……….……….…………104

Sitografia………..107

(6)

Introduzione

“La cultura economica ha considerato per decenni la famiglia come un elemento di di-sturbo rispetto a un’efficiente gestione d’impresa. Questo ha contribuito a rendere l’im-presa familiare una realtà senza volto, una straordinaria ricchezza economica, privata della sua identità culturale, nella convinzione che fosse destinata a scomparire nell’era del turbo-capitalismo globale.” Eppure, questa convinzione, per lungo tempo diffusa 1 nella dottrina economica, non solo è stata smentita dai fatti, ma l’evidenza empirica ha altresì dimostrato che il “capitalismo familiare” sia stato in grado di adattarsi, e in certi casi perfino trasformarsi completamente, al mutato contesto socio-economico degli ul-timi decenni, sempre più turbolento, pervaso dall’internazionalizzazione dei mercati e dalla competizione globale, così riuscendo a crescere e a svilupparsi. Il presente lavoro di tesi, ha dunque come primario obiettivo quello di indagare il fenomeno delle aziende familiari nell’attuale contesto competitivo. Particolare attenzione viene posta al feno-meno del ricambio generazionale nonché alle traiettorie di sviluppo tracciate e quelle ancora da percorrere.

La curiosità e l’attenzione verso il tema delle aziende familiari nasce da un’espe-rienza personale trovandomi io stesso, insieme a mio fratello, ad affrontare la complessa sfida del secondo passaggio generazionale dell’azienda di famiglia, la Alessi s.r.l., nata nel 1973 ed operante nel settore dell’automotive. Un settore questo, che, se da un lato sembri essere giunto alla piena maturità, dall’altro lato, invece, è inesorabilmente espo-sto all’epocale transizione della e-mobility, con un indubbio impatto sui tradizionali modelli di business.

Il presente elaborato si compone di quattro capitoli. Nel primo si offre una pre-liminare e generale disamina del fenomeno “azienda familiare” nel contesto italiano ed europeo. In particolare, la prima sezione affronta il delicato problema definitorio delle aziende familiari noto in letteratura come family business definition dilemma, i caratteri distintivi e i vari tentativi di classificazione delle aziende familiari, la relazione impresa-famiglia-territorio e, infine, un inquadramento sui principali assetti istituzionali e di corporate governance che caratterizzano tali organizzazioni.

Pacini P., Introduzione, in: Lattanzi N., Anselmi L., a cura di, Il family business made in Tuscany, Franco 1

(7)

Il capitolo due è specificatamente dedicato al fenomeno successorio a cui nessu-na impresa familiare è in grado di sottrarsi. Particolare enfasi viene posta al ruolo della generazione uscente e di quella entrante, alle modalità di trasmissione del patrimonio di conoscenze, al valore precipuo della cultura aziendale a supporto della continuità inter-generazionale, agli strumenti giuridici e operativi a disposizione della famiglia nonché i meccanismi per poter prevedere, governare e se necessario mitigare, potenziali conflitti nascenti nel momento cruciale del “passaggio del testimone”.

Il terzo capitolo affronta le traiettorie di crescita e sviluppo, quest’ultima da in-tendersi come la capacità di generare valore per una pluralità di portatori di interessi (stakeholders), delle imprese familiari. Un approfondimento è dedicato alle variabili e ai modelli di crescita del family business accomunati dalla circostanza che ogni percorso di sviluppo passa inevitabilmente dalla valorizzazione delle relazioni impresa-famiglia e dalla capacità delle aziende familiari di rinnovare continuamente la propria formula im-prenditoriale pur tuttavia rimanendo fedeli al proprio imprinting storico. Inoltre, l’anali-si del concetto di “rete”, oggi più che mai importante per riuscire a competere in ambito nazionale ed internazionale, nonché dei nuovi strumenti finanziari e operativi a disposi-zione della famiglia per sostenere la crescita del proprio business trova spazio nel capi-tolo. La sezione si conclude con un focus particolare sull’importanza assunta dalla pro-fessionalizzazione o managerializzazione “interna”, cioè dei membri della famiglia o “esterna”, mediante l’ingresso di soggetti esterni alla famiglia proprietaria, quale fonte di longevità e competitività dell’impresa.

Infine, nel quarto e ultimo capitolo, è stata mia intenzione contestualizzare l’in-tera impalcatura teorica, mediante l’analisi del caso Aeroviaggi S.p.A., un’azienda fami-liare tutta siciliana, operante nel settore turistico-alberghiero dal 1973 e la cui storia ed evoluzione sono indissolubilmente legate alla famiglia Mangia. Nel contesto competiti-vo regionale, Aeroviaggi S.p.A., si presenta come primo operatore in Sicilia e Sardegna per posti letto, con i suoi circa 9.700 posti e 88 milioni di fatturato nel 2018, una tra le prime società siciliane per fatturato nonché una tra le più innovative e longeve nel pro-prio settore. La scelta di Aeroviaggi S.p.A. a base del caso studio, deriva dal problema del passaggio generazionale e in particolare, con l’ingresso della seconda generazione.

(8)

Dall’analisi del case study emerge come il legame esistente tra impresa e fami-glia non costituisce necessariamente un ostacolo allo sviluppo del business ma viceversa – come peraltro l’evidenza empirica ha ampiamente dimostrato – un punto di forza di un’organizzazione e di riflesso di un intero tessuto produttivo capace, con tenacia e resi-lienza, di affrontare le sfide di oggi e di domani.

(9)

Capitolo 1: Il fenomeno “azienda familiare”

1.1 Definirsi “azienda familiare”

“Defining the family firm is the first and most obvious challenge facing family business

researchers.” Così lo studioso Wendy C. Handler, nel 1989, riassumeva, in maniera 2 puntuale, il problema definitorio legato alle aziende familiari che, tuttora, pone partico-lari criticità nel riuscire a circoscrive i confini e a quantificare un fenomeno di indubbia rilevanza per la comunità scientifica e il regolatore. Nonostante ciò, diversi sono i con-tributi che a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, i ricercatori sul tema sono riu-sciti a fornire e che costituiscono un necessario punto di partenza di questo contributo al fine di cercare di individuare, se non un’unica definizione, almeno i termini entro i quali il fenomeno oggetto di studio può essere studiato, analizzato e discusso.

Prima di addentrarci nell’analisi dei requisiti che delineano i confini di un’a-zienda familiare appare utile affrontare un preliminare problema di ordine sintattico e semantico avente ad oggetto la combinazione dei costrutti linguistici e il significato che questi ultimi assumono nella dinamica comunicativa.

Nello specifico, si fa riferimento alla distinzione tra “impresa a base familiare” 3 e l’istituto della “impresa familiare” disciplinata nell’ordinamento giuridico italiano e, segnatamente dall’art. 230-bis del Codice Civile, che individua con tale termine in via 4 esclusiva un’impresa costituita in forma individuale caratterizzata dalla collaborazione dei familiari dell’imprenditore prestata in ordine continuativo, la quale dà diritto al “mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia” . 5

È necessario, a parere di chi scrive, comprendere questa preliminare distinzione, poiché, se da un lato è pur vero che l’istituto giuridico stabilito dal sopracitato articolo rientra nell’alveo delle aziende familiari, questo non esaurisce la molteplicità di forme e rapporti che la contraddistinguono.

Handler Wendy C., Methodological issues and considerations in studying family businesses, Babson 2

College, Massachusetts, 1989.

Nel proseguo del lavoro si utilizzerà il termine “azienda familiare” come sinonimo. 3

Codice Civile, Sezione VI, Capo VI, Libro I. 4

Ibidem. 5

(10)

Da un punto di vista semantico, con la definizione di cui all’art. 230-bis c.c., si corre il rischio di porre a definizione ciò che è esplicitazione di un mero rapporto intra-familiare a natura giuridica individuale, senza considerare che l’istituto “impresa” as-sume nella prassi forme giuridiche ben più complesse, le quali seguono da vicino lo svi-luppo degli stessi modelli familiari.

Detto ciò, è ora possibile focalizzarsi sui requisiti che ne definiscono la natura, guardando all’azienda familiare come un sistema combinato di aziendalità e

famigliari-tà. Per requisito di aziendalità si intende la compresenza dei seguenti attributi: 6

• orientamento all’economicità; • autonomia gestionale;

• sistematicità dell’attività di governo.

Con famigliarità si intende invece la presenza e il coinvolgimento nella proprietà e/o 7

nella gestione all’interno dell’azienda di: • una o più generazioni di una famiglia;

• più famiglie collegate o coordinate tra loro da vincoli di parentela, affinità o solide relazioni.

Si osservano, dunque, due sistemi interdipendenti, uno governato da principi economici e capitalistici - l’azienda - e la famiglia caratterizzata da bisogni e considera-zioni di ordine spesso opposti al primo, quali, ad esempio, la coesione, l'uguaglianza e l’emotività, che, se non adeguatamente gestiti, possono generare particolari conflitti, rientranti nella dicotomia nota in letteratura come “Family First vs Business First”.

Assunti, dunque, tali requisiti quali aspetti caratterizzanti lo specifico fenomeno “azienda familiare” è giunto il momento di cercare di fornire alcune definizioni varia-mente presenti in letteratura nonché proposte da istituzione pubbliche, che possano aiu-tare, come detto, a circoscrivere, quanto possibile, i confini dell’istituto stesso.

Sul requisito di “aziendalità” si veda, tra gli altri: Bianchi Martini S., Forconi E., Rocchiccioli E., Il si

6

-stema dei valori e la strategia aziendale, Giappichelli Editore, Torino, 2018, pp.85-92.

Sul requisito di “famigliarità” si veda, tra gli altri: Anselmi L., Azienda, cultura, famiglia, in: Anselmi 7

(11)

Si può, ad esempio, citare la definizione promossa dal Family Business Group , 8

organo consultivo costituito dalla Commissione Europea, che identifica un’azienda come familiare se ricorrono i seguenti aspetti:

• la proprietà dell’azienda, attraverso il possesso diretto e indiretto di quote rilevanti del capitale sociale, deve essere nelle mani del fondatore o dei successori/familiari;

• almeno un membro della famiglia deve essere formalmente coinvolto nel governo del-l’impresa.

Se l’azienda è poi quotata in Borsa, il fondatore o i suoi erede devono possedere quote del capitale sociale per almeno il 25%.

Sebbene tali requisiti appaiano già abbastanza soddisfacenti, la peculiare situa-zione presente nel nostro Paese - che verrà analizzata più avanti - ha spinto l’ente pub-blico italiano Unioncamere a cercare di fornire una propria definizione che riesca a 9 10 darne appropriata rappresentazione. Nello specifico si identificano come imprese fami-liari:

• tutte le ditte individuali e le società di persone.

• le società di capitali in cui oltre il 50% delle quote sia detenuto da una sola persona e/ o da persone con vincolo di parentela e dove, al contempo, un membro della famiglia rivesta cariche apicali o la famiglia, nel suo insieme, detenga la maggioranza delle cariche.

Appare dunque evidente, lo si ribadisce, quanto sia complesso stabilire una pre-cisa delimitazione al fenomeno in parola, di cui anche nella più preparata letteratura si osserva l’evidenza.

Con riguardo appunto ai contributi presenti in letteratura, si rilevano, tra gli altri, due interessanti ordini di approcci con i quali si è cercato di definire l’azienda familiare.

Il primo, detto “mono-variabile”, si concentra sulla presenza di una o più fami-glie nella proprietà dell’azienda, posta quale dimensione tipizzante del fenomeno e

Si veda sul tema il sito www.europeanfamilybusinesses.eu

8

Acronimo di “Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”. 9

Rapporto Unioncamere, Impresa, comunità e creazione di valore, 2014, pp.11 10

(12)

ducendo, in tal modo, il campo d’indagine alla sola situazione nella quale vi è completa sovrapposizione tra famiglia e impresa.

Maggiormente esaustivo è, a mio parere, il secondo approccio, detto “pluri-va-riabile”, di cui i principali esponenti sono Shanker e Astrachan , i quali, in un’opera del 11 1996, nella quale si erano posti l’obiettivo di valutare l’impatto economico delle impre-se a carattere famigliare nell’economia statunitenimpre-se, arrivano a concludere che, in realtà, le stesse si pongano in una sorta di “spazio continuo”, definito in funzione di caratteri-stiche economico-famigliari di cui non si può semplicemente affermare l’esistenza o la non-esistenza ma bensì richiedono il rilevamento della intensità che caratterizza la loro presenza/assenza (Morelli, 2012). Nello specifico i due studiosi elaborano un grafico, cosiddetto “the family universe bull’s eye”, nel quale propongono tre gruppi di defini-zioni (Figura 1.1):

Figura 1.1 - The family universe bull’s eye

Fonte: Shanker, Astrachan (1996).

1. The broad definition (definizione “ampia”), corrispondente al cerchio più esterno, nella quale si definisce “familiare” l’azienda progettata al fine di rimanere sotto il controllo della famiglia e dove il grado di coinvolgimento e partecipazione diretta da parte dei membri familiari è limitato.

Shanker M.C., Astrachan J.H., Myths and Realities:Family Businesses’Contribution to the US Econo

11

(13)

2. The middle definition (definizione “intermedia”), dove l’azienda possiede già le

ca-ratteristiche viste in precedenza, con il requisito aggiuntivo che il fondatore o i suoi eredi guidino la compagnia e intendano mantenerne un controllo rilevante.

3. The narrow definition (la definizione “ristretta”), dove l’azienda è “familiare” se ha

già affrontato almeno un passaggio generazionale e almeno un membro della famiglia proprietaria ricopre ruoli apicali e di responsabilità nella gestione.

Riassumendo, dunque, al fine di definire se un’azienda possegga o meno le ca-ratteristiche idonee per essere ricompresa nell’alveo delle family business, è indispensa-bile adottare una visione ampia, capace di osservare il fenomeno da molteplici angola-zioni, oggettive e soggettive, che non si concentri su un singolo aspetto ma, in sintesi, guardi alla relazione intima esistente tra i due sottosistemi - famiglia e azienda - le cui continue interazioni producono un fenomeno unico e multiforme nel panorama impren-ditoriale e, principalmente per queste ragioni, difficile da ricomporre ad un’unica, asso-luta e condivisa definizione.

1.2 Tipi e classificazioni: il “Three Circle model”

Come anticipato nel paragrafo precedente, a partire dalla seconda metà degli anni Set-tanta, diversi studiosi si sono interrogati su quanto l’interdipendenza e il grado di so-vrapposizione di questi due sottosistemi - famiglia e impresa - fosse in grado di esercita-re un impatto sulla forma assunta e sull’evoluzione delle impesercita-rese familiari, in funzione di una potenziale tipizzazione e classificazione.

Tra gli altri, di precipua importanza fu il contributo fornito da due studiosi, Re-nato Tagiuri e John Davis che, a seguito di alcune ricerche sul tema, elaborarono un modello rappresentativo del funzionamento delle family business: il cosiddetto “Three

Circle model”, pubblicato per la prima volta nella tesi di dottorato dello stesso Davis

alla Harvard Business School nel 1982 e poi nuovamente pubblicato su un articolo a 12 firma di entrambi gli autori sulla Family Business Review nel 1996 . 13

Il titolo della tesi di dottorato era: “The influence of Life Stages on Father-Son Work Relationships in 12

Family Companies”.

Davis J., Tagiuri R., Bivalent Attributes of the family firm, Family Business Review, Volume IX, No. 2, 13

(14)

La novità alla base del modello proposto fu che, oltre alla famiglia (family) e all’impresa (business), i due studiosi aggiunsero un terzo sottosistema intersecante: la proprietà (ownership), ognuno dei quali è allo stesso tempo indipendente singolarmente e interdipendente nel rapporto con gli altri (Figura 1.2).

Figura 1.2 - Il “Three Circle model”

Fonte: Tagiuri e Davis (1982).

Dall’intersezione fra i tre cerchi si generano ulteriori quattro sottosistemi , la 14 cui analisi è fondamentale per affrontare i successivi tentativi di classificazione del

fa-mily business proposti dalla letteratura.

In dettaglio, partendo dall’area di intersezione tra famiglia (family) e proprietà (ownership), si individuano quei soggetti appartenenti alla famiglia che non apportano il proprio contributo lavorativo e di gestione in azienda, ma che possiedono esclusivamen-te quoesclusivamen-te di capitale sociale e che in altri esclusivamen-termini sono riconducibili alla stregua di inve-stitori esterni. Membri della famiglia proprietaria ricadenti in questa fattispecie avanza-no aspettative che fanavanza-no esclusivo riferimento ad un ritoravanza-no finanziario derivante dal possesso delle quote sociali, con la differenza però, che nutrono comunque un forte sen-so di appartenenza nei confronti della famiglia al cui nome è legata l’attività d’impresa.

Su questo tema si veda, per ulteriori approfondimenti: Morelli A., Lattanzi N., I modelli concettuali e le 14

condizioni di funzionamento delle aziende famigliari, in: Del Bene N., Lattanzi N., Liberatore G., a cura

(15)

Nella successiva area di intersezione, quella tra proprietà (ownership) e impresa (business), si collocano soggetti esterni alla/e famiglia/e che possiedono quote di pro-prietà e allo stesso tempo sono coinvolti, per riconosciute capacità manageriali, nella gestione dell’attività aziendale. L’inserimento di questi soggetti è sempre più frequente nella prassi delle aziende familiari, in ragione del fatto che la necessità di professiona-lizzazione - di cui si tratterà più avanti - è sempre più avvertita come fattore competitivo imprescindibile per il successo del business.

Nella terza area di sovrapposizione, quella esistente tra famiglia (family) e im-presa (business), si osservano soggetti appartenenti alla famiglia che hanno ruoli di ge-stione all’interno dell’attività e apportano il proprio contributo in termini lavorativi, ma che non possiedono quote di capitale sociale e dunque non vantano diritti di proprietà. Questi individui sono caratterizzati da un forte senso di responsabilità verso il perse-guimento del successo dell’impresa mentre nutrono aspettative di carriera in ordine ad una visione aziendale di lungo termine.

L’ultima area d’intersezione è quella al centro della figura, dove vi è piena so-vrapposizione tra impresa (business), famiglia (family) e proprietà (ownership), caratte-ristica spesso attribuibile ad aziende familiari di piccole dimensioni o non ancora giunte al primo passaggio generazionale.

La completa sovrapposizione e le diverse sfaccettature attribuibili a tali figure, sono risultate, nella storia imprenditoriale inerente le family business, più volte un punto di forza ma, in non pochi casi, si sono rivelate anche un fattore limitante, fonte di con-flitti interni e fattori di rischio che, se non adeguatamente monitorati, potrebbero in al-cuni casi, comprometterne irreversibilmente la capacità competitiva delle stesse azien-de.

È in questa prospettiva che va letto lo sviluppo alla base dell’inserimento della

corporate governance quale quarto sottosistema intersecante, relativo in particolare

al-l’area dell’impresa (business), di cui si riporta rappresentazione grafica in Figura 1.3; una sorta di quarta dimensione, che si esplicita nel “complesso di strutture e di processi attraverso i quali si esercita il governo economico, ossia si prendono le decisioni

(16)

azien-dali di fondo” , e il cui scopo regolatore consente, se adeguatamente impostato e se ne15 -cessario, di tracciare un confine tra la politica direzionale della famiglia proprietaria e le necessità della gestione aziendale.

Figura 1.3 - Potenziale evoluzione del “Three Circle model”

Fonte: Baumol (2005).

L’analisi delle interazioni tra i tre sottosistemi alla base del family business, in-tegrata con lo studio della corporate governance quale elemento ordinatorio, ci conse-gna dunque una visione d’insieme dei caratteri e degli attributi qualificanti il fenomeno oggetto d’analisi e che ci permettono di spingerci nella complessa sfida di fornire un tentativo di classificazione delle diverse tipologie di imprese familiari osservabili nella realtà, pur consci della difficoltà di poter trovare unanime consenso al riguardo.

Nel dettaglio, citiamo i contributi, particolarmente significativi in letteratura, forniti da quattro studiosi: Guido Corbetta, Claudio Demattè, Miguel Gallo e R. Litz . 16

Secondo Gallo, ad esempio, quattro sono le possibili classificazioni del fenome-no:

• “Impresa familiare di lavoro”, dove i membri della famiglia proprietaria prestano la propria opera nell’attività aziendale, uniti dalla volontà di mantenerne lo stretto con-trollo.

• “Impresa familiare congiunturale”, dove, al contrario, la presenza dei componenti fa-miliari in azienda discende essenzialmente dalla conseguenza di essersi trovati ad

Airoldi G., Brunetti G., Coda V., Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna, 1995, pag. 93. 15

Morelli A., Lattanzi N., in: Del Bene N., Lattanzi N., Liberatore G., a cura di, Aziende famigliari e lon

16

(17)

sere “eredi” del fondatore, in questo caso, dunque, la volontà di proseguire l’attività è subordinata alla presenza o meno di una remunerazione adeguata.

• “Impresa familiare di investimento”, nella quale i membri della famiglia si interessano precipuamente alla presa di decisioni in merito a investimenti da effettuare.

• “Impresa familiare di direzione”, dove l’ingresso in azienda da parte dei componenti della famiglia è subordinato al possesso di specifiche competenze e attitudini alla ge-stione.

R. Litz, alternativamente, guardando alla questione da un punto di vista mag-giormente dinamico, identifica due dimensioni alla base della classificazione: la struttu-ra - ovvero coloro i quali esercitano la gestione - e la volontà di far crescere l’interdi-pendenza tra l’impresa e la famiglia . Nel dettaglio, l’Autore ne identifica tre tipologie: 17 • Impresa “a familiarità crescente”: nel caso in cui la proprietà si identifichi con un

singolo individuo e sia presente l’intenzione di incrementare la sovrapposizione tra i due sottosistemi, riscontrabili spesso in imprese di dimensioni piccole-medie, ancora alla prima generazione.

• Impresa familiare “potenzialmente stabile”: dove la proprietà e la gestione sono in-dissolubilmente nelle mani della famiglia e vi è la ferma volontà di incrementare l’in-terazione tra i due sottosistemi, tipica di imprese che hanno superato il primo passag-gio generazionale.

• Impresa “a familiarità calante”: dove la famiglia è proprietaria dell’azienda ma non è coinvolta nella gestione, inoltre vi è la volontà di ridurre l’interazione tra i due sotto-sistemi, tipica di imprese giunte alla terza o alla quarta generazione, spesso di grandi dimensioni, nelle quali è osservabile il fenomeno della “deriva generazionale” e del “raffreddamento dei soci”.

Riportiamo, in ultimo, il contributo fornito da Corbetta e Demattè nel 1993, i 18 quali focalizzano la propria attenzione su due variabili in particolare: la concentrazione di capitale sociale nelle mani della famiglia e il peso della stessa nelle funzioni di

Bonti M., La piccola e media impresa, tra famiglia e innovazione, Il Borghetto, Pisa, 2015. 17

Demattè C., Corbetta G., I processi di transizione delle imprese familiari, Mediocredito Lombardo, 18

(18)

stione. Dall’interazione tra queste variabili, gli autori individuano tre diversi tipi di im-presa familiare:

• Impresa familiare in senso stretto o “domestica”; • Impresa familiare “allargata”;

• Impresa familiare a controllo direzionale o “manageriale”.

Successivamente, in un contributo del 1995 , lo stesso Corbetta propone un perfezio19 -namento della precedente classificazione, aggiungendo alle due variabili già contempla-te in precedenza, anche la “dimensione aziendale” (Figura 1.4):

Figura 1.4 - Le tre direttrici per la classificazione delle family business

Fonte: Corbetta (1995).

Dall’interazione tra le tre variabili considerate, l’Autore riconosce quattro categorie di

family business:

• Imprese familiari “domestiche”, dove la dimensione è generalmente ridotta, la pro-prietà è interamente nelle mani della famiglia e il consiglio di amministrazione è composto da soli familiari.

• Imprese familiari “tradizionali”, in cui vi è un’evoluzione nella gestione, ovvero gli

organi direttivi contemplano la presenza di soggetti non familiari al fianco dei membri della famiglia, e la dimensione tende ad accrescersi, mentre la proprietà è ancora sal-damente nelle mani della famiglia.

Corbetta G., Le imprese familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo, Egea, Milano, 19

(19)

• Imprese familiari “allargate”, dove la proprietà si apre anche a soggetti non familiari,

la dimensione è di solito media e nel C.d.A. e negli organi direttivi sono coinvolti at-tivamente familiari e non familiari.

• Imprese familiari “aperte”, nelle quali la dimensione è spesso grande, sia la proprietà

che la gestione sono aperte a soggetti esterni alla famiglia in maniera più invasiva del-le precedenti tipologie e dove spesso si è attraversato più di un passaggio generazio-nale.

A conclusione, è necessario puntualizzare che, seppur le variabili prese in consi-derazione da questi quattro Autori, nonché il “modello dei tre cerchi” analizzato in pre-cedenza, rappresentino una guida abbastanza puntuale nel tentativo di classificazione delle imprese familiari, le stesse non esauriscono la molteplicità di elementi potenzial-mente considerabili, né le tipologie potenzialpotenzial-mente osservabili. È esclusivapotenzial-mente trami-te l’osservazione del fenomeno “azienda familiare” nel contrami-testo reale dove nasce e si sviluppa che possiamo avere un quadro sufficientemente esaustivo delle variabili e dei requisiti che ci consentono una classificazione e tipizzazione del family business.

1.3 Le aziende familiari nel contesto italiano e internazionale

Il fenomeno delle aziende familiari è largamente diffuso nel panorama economico glo-bale in termini di presenza numerica, apporto occupazionale e contributo alla crescita 20 del PIL.

Di particolare interesse, ai fini del presente lavoro, è l’analisi del contesto italia-no ed europeo. Esso costituisce storicamente un ambiente fecondo per le aziende di na-tura familiare. Per tale ragione non c’è da stupirsi come molteplici studi e ricerche a li-vello istituzionale abbiano investigato il family business in Europa oltre alla costituzione di diversi organi associativi nazionali e internazionali, tra cui il Family Business

Net-work International, il Family Business Group e l’Aidaf , il cui precipuo scopo è quello 21 di approfondire le peculiarità delle aziende familiari e promuoverne la crescita.

Il report del 2015, edito dal giornale inglese The Economist dal titolo “Family Companies. To have and 20

to hold”, evidenzia come l’incidenza delle aziende familiari nel mondo sia di circa il 90% del totale delle

imprese. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a www.aidaf.it

“Associazione Italiana delle Aziende Familiari”, fondata nelle 1997 da Alberto Falck. 21

(20)

Se guardiamo, ad esempio, al Global Family Business Index , il quale fornisce 22 una fotografia annuale delle prime cinquecento società a controllo familiare per fattura-to nel mondo, si evince quanfattura-to il peso dell’Europa sia preminente. Nel solo 2019, in23 -fatti, si contano ben 230 imprese europee sul totale, contro le 150 dell’America del Nord, le 94 dell’Asia, le 20 del Sud America, le 4 dell’Africa e solamente 2 dell’Ocea-nia.

Approfondendo poi le stime più recenti a livello europeo, si osserva che l’inci24 -denza in termini quantitativi del fenomeno si attesta intorno alle 14 milioni di unità atti-ve, le quali occupano più di 60 milioni di persone - se si considera il solo settore privato - e generano circa il 50% del PIL dell’Eurozona.

Se si effettua un confronto tra la situazione osservabile nel 2008 - di cui si ripor-ta rappresenripor-tazione grafica in Figura 1.5 - e i dati ad oggi disponibili, si osserva un in-cremento costante dell’incidenza numerica ed economica delle imprese familiari nelle principali economie europee.

Figura 1.5 - Incidenza delle family business in Europa (2008)

Fonte: I. Mandl (2008).

Per ulteriori approfondimenti si visiti il sito internet www.familybusinessindex.com

22

Nel conteggio vengono inserite esclusivamente imprese il cui capitale sociale sia, in maniera maggiori

23

-taria, nelle mani di una o più famiglie, nelle quali si è peraltro affrontato almeno il primo passaggio gene-razionale e dove la generazione entrante sia attivamente coinvolta nella gestione.

I dati riportati sono consultabili sul sito www.europeanfamilybusiness.eu 24

(21)

A titolo esemplificativo, in Gran Bretagna nel 2010, l’incidenza percentuale 25 delle aziende familiari sul totale era di circa il 65%, con un’incidenza di circa 10 milioni di persone e un contribuito al PIL per una cifra quantificabile intorno ai 419 miliardi di euro. Ad oggi incidono per l’88%, occupano 2,3 milioni di persone in più e contribui-scono per 519 miliardi al PIL britannico, ovvero ad un quarto del totale.

In Olanda rappresentavano, nel 2008, il 61% del totale delle imprese, mentre ad oggi incidono per 10 punti percentuali in più, quantificabili intorno alle 277.000 impre-se, di cui circa il 90% impiega meno di 10 persone.

Analoghe stime sono riscontrabili nel resto dei maggiori Paesi europei, tra cui Spagna (83%), Francia (80%) e Germania (90%) . 26

Ancora più marcato è il peso che, per diverse ragioni di ordine storico e territo-riale, assume il fenomeno “aziende familiari” in Italia. Si stima, infatti, che la percen-tuale di imprese a carattere familiare sul totale sia oggi di oltre il 90%, numericamente quantificabile in oltre 4 milioni di imprese familiari, le quali impiegano ben 13 milioni di persone - il 75% del dato occupazionale totale nel settore privato - incidendo per oltre il 25% del PIL nazionale complessivo.

Basandoci sui dati forniti dall’Osservatorio AUB , il quale dispone di informa27 -zioni dettagliate sulle imprese a carattere familiare presenti nel nostro Paese con un fat-turato pari o superiore ai 20 milioni di euro, si evince la loro predominante presenza nel settore manifatturiero, la cui incidenza in poco più di un decennio è cresciuta di oltre 2 28 punti percentuali, mentre altrettanto non trascurabile risulta la loro presenza nel settore del commercio e dei servizi.

Per quanto concerne la distribuzione geografica, la maggioranza di queste im-prese, se consideriamo ancora una volta quelle aventi una dimensione medio-grande e un fatturato pari o superiore ai 20 milioni di euro, è concentrata nel Nord del Paese, con

Per ulteriori approfondimenti si veda lo “UK Family Business Sector Report”, condotto dalla Oxford 25

Economics per lo “Institute for Family Business Research Foundation”, pubblicato il 04/04/2018 sul sito

www.europeanfamilybusiness.eu

www.aidaf.it

26

L’acronimo AUB si riferisce agli istituti che ne fanno parte: Aidaf, Unicredit e Università Bocconi. I 27

dati qui riportati fanno riferimento al X e all’XI rapporto annuale dell’Osservatorio, a cura di G. Corbetta, F. Quarato e A. Minichilli.

Dal 2008 ad oggi. 28

(22)

circa il 74% del totale, più basse le percentuali al Centro e al Sud, rispettivamente di circa il 16% e il 10%, anche se nell’ultimo decennio si è registrato un incremento di nuovi entranti in misura maggiore al Centro-Sud piuttosto che al Nord, probabilmente merito anche delle misure di supporto finanziario all’imprenditorialità giovanile pro-mosse per il Mezzogiorno, quali, ad esempio, il programma “Resto al Sud”.

Guardando poi alla relazione intercorrente tra aziende familiari e dimensione - 29 su cui si tornerà più approfonditamente nel paragrafo successivo - si osserva la prefe-renza nel nostro Paese per la piccola dimensione, con una percentuale di presenza fami-liare che si attesta intorno al 70% del totale delle piccole imprese, contro il 56% delle medie e il 35% delle grandi.

In merito alle performance economico-finanziarie , sempre con un focus agli 30 ultimi dieci anni, si denota la crescita dei ricavi delle aziende familiari di circa 12 punti percentuali in più rispetto a quelle non familiari mentre il rapporto di indebitamento del-le prime si è ridotto di quasi il 40%, contro il 20% deldel-le aziende non familiari.

Infine, effettuando un confronto tra le performance reddituali delle aziende fami-liari del nostro Paese con quelle relative a Francia e Germania negli ultimi sei anni (Fi-gura 1.6), si osserva quanto la realtà italiana sia in costante crescita, nonostante soffra notevoli limiti derivanti da un penalizzante regime fiscale e da un rigido apparato buro-cratico.

Figura 1.6 - Trend di crescita dei ricavi delle family business in Italia, Francia e Germania

Fonte: Report dell’Osservatorio AUB, XI edizione (2019).

Sul tema si consulti il Rapporto Cerved PMI 2018, scaricabile dal sito www.know.cerved.com

29

XI Rapporto annuale dell’Osservatorio AUB, consultabile sul sito www.aidaf.it nella sezione “Studi e 30

(23)

L’analisi di questi dati dunque, ci permette di prendere coscienza di quale sia la portata che il fenomeno family business assume nell’economia italiana ed europea, evi-denziando al tempo stesso la necessità di un maggior impegno da parte delle istituzioni nella creazione delle migliori condizioni sociali e giuridiche a vantaggio di questa tipo-logia d’impresa.

1.4 La questione dimensionale

Nel dibattito sul family business è comune l’automatico accostamento alla “piccola di-mensione”. Il binomio azienda familiare-piccola dimensione, assunto in passato anche da alcuni ricercatori nell’approccio allo studio del fenomeno, è stato una delle motiva-zioni per le quali, fino agli anni Ottanta del secolo scorso, la categoria delle piccole e medie family business era considerata, da molti, un mero fenomeno transitorio e resi-duale, relegato ad uno “stadio di passaggio” verso l’impresa di grandi dimensioni, buro-cratizzata e multinazionale, e nella quale vi è completa separazione tra imprenditorialità e managerialità.

Non è mia intenzione mettere in discussione in questa sede che la presenza delle aziende familiari, in contesti come il nostro, sia fortemente legata alla piccola e media dimensione, ma che questo connotato non abbia rappresentato a priori un limite o una fase di transizione necessariamente superabile, pena il declino e la graduale scomparsa; si vuole in un certo senso guardare alla piccola e media dimensione di molte imprese familiari quale “scelta consapevole”, condizionata certamente da una molteplicità di fat-tori contingenti endogeni ed esogeni, ma in grado tuttavia di generare crescita qualitati-va e quantitatiqualitati-va sia per sé stessa che per il proprio territorio.

Appare inoltre necessaria la comprensione di cosa si intenda in letteratura per “dimensione”, consapevoli che anche in questo caso, come si è detto con riferimento al problema definitorio, non è agevole fornirne una soluzione univoca e condivisa. Al ri-guardo Gino Zappa, uno dei padri dell’economia aziendale, in un’opera del 1957 af31 -fermava come: “la dimensione è un carattere della produzione d’impresa in quanto av-vinto per molteplici nessi ai suoi diversi momenti, alle sue strutture e alle sue

Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Giuffrè Editore, Milano, 1957. 31

(24)

zioni di gestione (…) che va indagata con riguardo sia al settore economico d’apparte-nenza sia al tempo di riferimento (…)”.

È dunque necessario osservare i fattori endogeni ed esogeni rilevanti, oltre a quelli relativi al profilo del settore d’attività in cui l’azienda familiare opera (Tabella 1.1) , nonché al tempo e al luogo della sua manifestazione, per poter fornire un giudi32 -zio sulle motiva-zioni alla base delle quali sia stata assunta una determinata dimensione piuttosto che un’altra.

Tabella 1.1 - Fattori rilevanti per l’interpretazione della dimensione aziendale

Fonte: elaborazione da Iacoviello, Zarone (2012).

Per quanto riguarda i fattori interni, soffermandoci ad esempio sulla variabile “posizione concorrenziale e grado di standardizzazione del/i prodotto/i” si evince la cor-relazione, tendenzialmente simmetrica, tra produzione di massa e grande dimensione, relazione che si inverte per beni altamente differenziati a carattere innovativo e prodotti in piccole quantità; allo stesso modo, considerando il “grado di internazionalizzazione”, che fino a pochi decenni fa era prerogativa esclusiva di aziende familiari di medio-gran-di medio-gran-dimensioni, si può affermare che prescinda oggi, in un certo qual modo, da qualsivo-glia dimensione strettamente intesa, andandosi a configurare al pari di una scelta strate-gica d’investimento il cui potenziale rendimento è il principale driver di decisione da parte dello/degli imprenditore/i.

Iacoviello G., Sul concetto di dimensione nell’azienda famigliare, in: Del Bene N., Lattanzi N., a cura 32

di, Aziende famigliari e longevità economica. Modalità di analisi e strumenti operativi, Ipsoa, Milanofiori Assago, 2012, pag. 7.

Fattori interni all’azienda Fattori esterni all’azienda Caratteristiche del settore di attività

Età Fattori sociali Tipologia del settore

Qualità e quantità del

personale Fattori politici Livello e tipologia di concorrenza Condizione operative Fattori internazionali Struttura e meccanismi di

funzionamento del mercato Posizione concorrenziale e grado di standardizzazione del/i prodotto/i Condizioni infrastrutturali e politiche di R&D di un Paese

Fatturato Forme di finanziamento Posizione finanziaria

Capacità di R&D Corporate Governance Grado di

(25)

In relazione ai fattori esterni all’impresa, le condizioni politiche, economiche e sociali, nazionali e internazionali, incidono significativamente sulla capacità di un’a-zienda di sviluppare o meno una certa dimensione, così come le politiche di investimen-to in ricerca e sviluppo (R&S) che un Paese mette in atinvestimen-to, nonché gli investimenti in in-frastrutture fisiche e virtuali, sono un indizio fedele delle peculiarità dimensionali di un certo tessuto produttivo rispetto un altro.

Risulta poi imprescindibile il confronto della realtà aziendale singolarmente considerata con le altre presenti nel medesimo settore d’attività, per tale intendendosi “l’insieme delle imprese che operano in condizioni di tipicità dei processi tecnici di produzione” , al fine, lo si ribadisce, di fornirne un giudizio comparativo. 33

In ultimo, al fine di comprendere l’importanza del fattore “tempo”, è emblemati-co chiedersi se sia ad esempio possibile paragonare una tipica media azienda familiare degli anni ’70, la quale impiegava un centinaio di operai in processi produttivi media-mente meccanizzati e a carattere prevalentemedia-mente artigianale, con una piccola azienda familiare di oggi, che impiega meno di una ventina di addetti ma dove i processi di pro-duzione sono completamente automatizzati, si adotta una struttura organizzativa com-plessa, il grado di internazionalizzazione, professionalizzazione e delega è di gran lunga più elevato; in altri termini ci si chiede se si possa guardare al concetto di dimensione potendo prescindere dall’osservarlo nel momento storico nel quale si manifesta.

La risposta è certamente negativa ma ciò ci aiuta a ribadire quanto i confini della questione dimensionale, nel particolare ambito delle family business, non siano di facile ed oggettiva delimitazione, dovendo necessariamente considerare parametri di ordine qualitativo, oltreché quantitativo, arrivando ad affermare in definitiva che “il problema non risiede tanto nel numero degli elementi, fattori, variabili da prendere/non prendere in considerazione, quanto nella loro qualità” e che “la dimensione non è più in qualche 34 misura sinonimo di grandezza (dei volumi, del fatturato, dei dipendenti) ma diviene il risultato di un calcolo di convenienza.” 35

Ibidem, pag.19. 33

Bonti M., Una, nessuna e centomila. Varietà dei percorsi di sviluppo nelle piccole e medie imprese., 34

FrancoAngeli, Milano, 2012, pag. 17. Ibidem.

(26)

Al di là di qualsivoglia tentativo di formalizzazione concettuale, ciascuna azien-da familiare possiede, dunque, una propria motrice di crescita e sviluppo, le cui caratte-ristiche sono influenzate dal sovrapporsi di molteplici fattori, quali - come si vedrà - an-che il contesto storico-familiare e territoriale an-che assume una rilevanza precipua e ri-spetto il quale la dimensione rappresenta solo una delle molteplici variabili da prendere in considerazione.

1.5 Corporate governance, azienda e famiglia

A conclusione di questo preliminare inquadramento del fenomeno delle family business, appare utile riprendere il concetto di corporate governance - di cui si è fatto cenno nel paragrafo 1.2 - il quale assume particolari caratteristiche in funzione dell’interazione tra i tre sottosistemi famiglia-business-proprietà. È bene, a tal riguardo, arricchire la defini-zione di corporate governance già accennata in precedenza , attribuendovi l’aggiuntivo 36 significato di insieme di “strutture, di attori e di processi che regolano la proprietà ed il controllo, configurando i poteri ed il funzionamento degli organi apicali” , facendo 37 dunque riferimento, in maniera più precisa, alle modalità attraverso le quali le aziende familiari vengono gestite e controllate. Ciò al fine di preservarne la continuità nel tem-po, attraverso la ponderazione dei diversi interessi facenti capo alle molteplici categorie di stakeholder destinatari del valore generato.

Il tema in questione è stato oggetto negli ultimi decenni di grande interesse e dibattito da parte della comunità scientifica. La crescente attenzione è scaturita dagli scandali finanziari che hanno travolto numerose società ed enti pubblici e privati nelle quali l’orientamento economico di amministratori eccessivamente focalizzati al breve termine, misto all’inefficacia dei sistemi di controllo, hanno permesso di anteporre l’in-teresse individuale e particolare a quello generale dell’azienda. Se ne deduce che divie-ne indispensabile comprendere in che modo la governance sia in grado di incidere sui processi decisionali riguardanti la gestione delle family business, in particolare quelli

Si veda pag.12 del presente capitolo. 36

Di Toma P., La Corporate Governance nelle imprese famigliari, in: Del Bene L., Lattanzi N., Liberato

37

-re G., a cura di, Aziende famigliari e longevità economica. Modalità di analisi e strumenti operativi, Ip-soa, Milanofiori Assago, 2012, pag. 55.

(27)

inerenti le scelte strategiche e gli assetti strutturali, i quali impattano, in definitiva, sulle performance aziendali.

Inizialmente, l’impresa a carattere familiare non ha in realtà ricevuto molta con-siderazione a causa sia dell’automatico accostamento alla piccola dimensione sia per la convinzione che il forte grado di sovrapposizione tra proprietà, famiglia e direzione - riassunte spesso nella figura dell’imprenditore-fondatore - fossero una situazione tal-mente ricorrente ed automatica da non dare spazio né rilievo a potenziali assetti di

go-vernance. In realtà, se è pur vero che grazie a codesta sovrapposizione le family busi-ness riescano a superare più facilmente le problematiche inerenti la separazione tra

pro-prietà e gestione, tipiche invece delle aziende altamente managerializzate, è altrettanto vero che, proprio a causa di tale situazione, non sia raro osservare il nascere di conflitti nelle relazioni intra-familiari, capaci, se non gestiti adeguatamente, di mettere in discus-sione il progetto imprenditoriale e, in definitiva, il perdurare del fenomeno aziendale.

A queste problematiche è possibile porre rimedio attraverso l’implementazione, appunto, di vari strumenti di governance, tra cui l’efficace definizione dei ruoli del con-siglio di amministrazione (C.d.A.), nonché l’inserimento nello stesso di eventuali figure esterne alla famiglia.

È interessante però approfondire, in via preliminare, i vari contributi presenti 38 in letteratura, alla luce dei quali è possibile meglio comprendere le tipologie di rapporti esistenti fra i diversi attori coinvolti. Tra i più significativi citiamo:

• la teoria dell’agenzia; • la teoria della stewardship; • la teoria degli stakeholder;

• la teoria della dipendenza dalle risorse; • la teoria dei diritti proprietari.

Con riferimento alla teoria dell’agenzia (Jensen, Meckling, 1976), si osserva il tipico rapporto generalmente presente nelle imprese che hanno raggiunto un certo stadio di sviluppo e attraversato diversi passaggi generazionali, nelle quale il principal, ovvero

Per ulteriori approfondimenti si veda: Bonti M., La piccola e media impresa tra famiglia e innovazione, 38

(28)

la/e famiglia/e proprietaria/e, delegano a soggetti esterni, gli agent, la responsabilità del-la gestione. Aldel-la base deldel-la teoria vi è del-la convinzione che tra queste differenti categorie di attori si generino necessariamente conflitti; ciò a causa dell’asincronia di obiettivi alla base dei loro ruoli e che, per una stabile convivenza, sia imprescindibile il sosteni-mento di ingenti costi di supervisione e controllo, monetari e non. Alla luce di questa teoria è evidente come la contemporanea presenza di membri della famiglia nella pro-prietà e nella gestione rappresenti in realtà una potenziale soluzione permettendo, quin-di, di minimizzare i costi di agenzia nonché massimizzare l’efficacia del processo deci-sionale.

Un’evoluzione di tale ragionamento può essere rappresentata dalla stewardship

theory (Davis, Muth, Donaldson, 1998), la quale afferma che non vi è necessariamente

dissonanza tra interessi della proprietà e del management, guardando ai soggetti che ri-coprono cariche apicali quali steward della famiglia proprietaria, mossi da motivazioni e obiettivi consonanti a quest’ultima e alternativi a quelli meramente finanziari.

Interessante è poi la prospettiva della più recente teoria dei diritti proprietari (Grossman, Hart, 1986; Hart, Moore, 1990; Giannecchini, Gubitta, 2012), nella quale gli studiosi hanno focalizzato l’attenzione sulla necessità che chi apporta le risorse fi-nanziarie si assuma la responsabilità delle decisioni inerenti la gestione, così da mitigare i diversi interessi potenzialmente in conflitto. Questa convinzione giustifica, in un certo senso, quelle aziende familiari nelle quali la famiglia proprietaria si ostina, nonostante la crescita dimensionale, a mantenere il controllo delle decisioni strategiche inerenti la gestione nelle proprie mani.

Detto ciò, è opportuno concentrare l’attenzione sul ruolo e la composizione del consiglio di amministrazione (C.d.A.) quale strumento privilegiato di corporate

gover-nance, nonché sul ruolo degli amministratori indipendenti, per il precipuo contributo

che possono apportare in termini di valore aggiunto circa migliori processi decisionali, crescita del livello di professionalizzazione e mitigazione di potenziali conflitti.

Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione, la sua definizione dovrebbe permettere il bilanciamento delle esigenze di gestione con il perseguimento degli inte-ressi della famiglia proprietaria. Ciò al fine di mitigare l’insorgenza di comportamenti

(29)

opportunistici descritti dalla teoria dell’agenzia. Ogni azienda familiare possiede però distinte specificità e in tal senso differenti sono anche le funzioni prevalenti che pos39 -sono essere assunte da tale organo. Nel dettaglio particolarmente significative -sono la funzione:

• di controllo, dove preminenza viene data alla tutela degli interessi della famiglia

pro-prietaria da condotte pregiudizievoli da parte del management;

• strategica, dove l’organo considerato ha il precipuo compito di formulare l’indirizzo

strategico dell’impresa;

• di rappresentanza dei gruppi familiari, nel caso in cui l’azienda abbia attraversato già

diversi passaggi generazionali e tenda a mancare una figura capace di rappresentare adeguatamente gli interessi delle diverse generazioni coinvolte;

• di gestione delle relazioni con l’ambiente, dove il consiglio di amministrazione si

pone quale principale interprete della relazione intercorrente tra l’impresa e le varie categorie di stakeholder esterni all’impresa.

Per quanto riguarda poi la composizione del C.d.A. è ampiamente dimostrato come le aziende familiari prediligano prevalentemente un familiar board of directors , 40 ovvero un organo amministrativo composto totalmente da membri della famiglia sebbe-ne gli ultimi dati disponibili abbiano rilevato come, a partire dal 2015, il coinvolgi41 -mento di soggetti non familiari nel management abbia subito un’inversione di tendenza anche nelle imprese a carattere familiare con un fatturato più contenuto, come si evince dalla Tabella 1.3.

Di Toma P., La Corporate Governance nelle imprese famigliari, in: Del Bene L., Lattanzi N., Liberato

39

-re G., a cura di, Aziende famigliari e longevità economica. Modalità di analisi e strumenti operativi, Ip-soa, Milanofiori Assago, 2012, pag. 58.

Colarossi F., Giorgino M., Steri R., Viviani D., A corporate governance study on Italian family firms. 40

Corporate Ownership & Control, 2008.

XI Osservatorio AUB, a cura di Guido Corbetta e Fabio Quarato, 2019. 41

(30)

Tabella 1.3 - Trend di apertura del consiglio di amministrazione a soggetti non familiari

Fonte: XI Report dell’Osservatorio AUB (2019).

La dimensione dell’organo amministrativo ritenuta ottimale dipende ovviamente da una serie di fattori contingenti così come dalla presenza di componenti esterni nel C.d.A.. L’ingresso di outsider, mentre di per sé non rappresenta un vantaggio competiti-vo a priori, lo diviene nel momento in cui questi ultimi siano in possesso di requisiti professionali ed esperienze non rinvenibili all’interno della famiglia, contribuendo in tal modo all’evoluzione dei tradizionali modelli di gestione e rappresentando, in un certo senso, quel trait d’union tra gli equilibri preesistenti e lo sviluppo dell’azienda verso nuove prospettive. Non è dunque un problema di quantità bensì di qualità, ovvero del maggior valore che tali soggetti sono in grado di apportare al family business in termini, prevalentemente, di indipendenza di giudizio, professionalità e qualità del processo de-cisionale. Tutto ciò contribuisce altresì a renderli figure privilegiate a ricoprire il ruolo di mentor nella formazione delle generazioni entranti.

Possiamo infine concludere che, anche nel caso degli assetti di governance, non è possibile definire un modello unico valido per tutte le tipologie di family business, in quanto queste ultime possiedono caratteri distintivi che le rendono un fenomeno multi-forme e di difficile generalizzazione. Nonostante ciò, è altresì indispensabile compren-dere quanto un’opportuna configurazione e utilizzo di tali strumenti rappresenti a tut-t’oggi una sfida cruciale per la continuità del business, anche e soprattutto nel riuscire a portare efficacemente a compimento il passaggio generazionale - di cui si vedrà meglio nel capitolo successivo - il quale rappresenta un momento cruciale e particolarmente delicato, che lega ancora una volta famiglia e impresa in un vincolo unico e dalle mol-teplici manifestazioni.

Anno di

riferimento Familiari Uscenti Familiari entranti Saldo

2014 106 107 1

2015 139 106 -33

2016 139 107 -32

2017 161 102 -59

(31)

1.6 Aziende familiari e radicamento territoriale

Quanto fin qui delineato spinge a ripetere quanto l’approccio alla tematica delle family

business debba essere assunto con profondo relativismo, rifuggendo qualsivoglia

prete-sa di assolutizzazione e confinamento del fenomeno entro rigide delimitazioni o conget-ture.

È con questa consapevolezza che procediamo nell’approfondimento del feno-meno in parola focalizzando l’attenzione sullo stretto rapporto di scambio reciproco esi-stente tra l’impresa e il proprio territorio di appartenenza, nel quale le family business assumono peraltro una posizione competitiva particolare, in funzione di quel “sistema unico di risorse derivante dall’interazione tra la famiglia, i singoli membri e il business” , - riassumibile nel termine familiness (familismo) - che è caratteristica per 42 certi versi intrinseca e distintiva e che permette loro di generare un vantaggio strategico difficilmente imitabile dai concorrenti non familiari.

Per approfondire l’interazione tra i due sistemi - azienda familiare e territorio - è necessario comprendere preliminarmente cosa si intenda con il termine “territorio”. In letteratura questo termine è spesso utilizzato indistintamente quale sinonimo di “am-biente”, anche se è opportuno puntualizzare che con quest’ultimo s’intende per lo più “il complesso di condizioni sociali, culturali e morali nel quale un’azienda si trova ad ope-rare e si sviluppa senza delimitazioni di spazio fisico o immateriale” . Il termine “terri43 -torio” viene solitamente inteso con riferimento ad una determinata circoscrizione fisica, cioè propria di un luogo ben definito.

Compreso ciò, è bene altresì specificare che il rapporto tra azienda familiare e territorio si origina e va letto quale conseguenza del fatto che entrambi sono concepibili quali “sistemi aperti” (Franceschi, 1998), i quali interagiscono reciprocamente, conta-minando in tal modo i propri modelli e schemi di funzionamento in un circolo virtuoso fondato su una relazione biunivoca, dove da un lato l’impresa guarda al territorio non più o non solo come un “terreno di caccia”, un luogo dal quale riuscire a sfruttare quan-te più risorse possibili e al quale restituire il minimo indispensabile. Dall’altro lato, il

Patuelli A., Familismo aziendale e Mission statement, in: Lattanzi N., Le aziende familiari. Generazio

42

-ne, Società, Mercato, Giappichelli Editore, Torino, 2017, p.175.

Kocollari U., Zavani M., Radicamento territoriale, competenze distintive e strategia aziendale, in: An

43

(32)

territorio cresce e si arricchisce di connotati nuovi che, se adeguatamente valorizzati, ne costituiscono il valore riconoscitivo, una sorta di marchio di fabbrica che ne rappresenta le peculiarità agli occhi del mondo.

Il territorio viene dunque a configurarsi quale particolare patrimonio dell’azien-da familiare, distinto e aggiuntivo rispetto a tutti gli altri, espressione del modo di essere della stessa, del suo core value system, in una sorta di rapporto simbiotico nel quale, tut-tavia, l’azienda è chiamata continuamente a reinterpretarlo, valorizzarlo, perfino distac-carsene se necessario, al fine di sviluppare il proprio disegno strategico in un’arena competitiva complessa e in continua evoluzione.

È in questo processo di “mutuo soccorso” che il familismo si arricchisce di qua-lità uniche, forgiato dalle caratteristiche di un territorio specifico, colmo di saperi e co-noscenze produttive che ne hanno segnato la storia, quasi una “intelligenza produttiva di carattere collettivo” che funge da “moltiplicatore cognitivo” , una sorta di catalizzato44 45 -re delle competenze individuali che, attraverso processi di scambio tacito ed esplicito, divengono conoscenza collettiva caratterizzante uno specifico luogo.

Al riguardo, particolarmente rappresentativo, nel contesto del nostro Paese, è il fenomeno dei “distretti industriali” , peculiari sistemi produttivi generatisi dall’integra46 -zione orizzontale e verticale, nonché dalla specializza-zione tecnica, di un insieme preva-lente di piccole e medie imprese localizzate in aree a forte vocazione produttiva. Queste hanno saputo sviluppare la capacità di competere sui mercati internazionali senza rinun-ciare all’appartenenza specifica al proprio territorio e alle sue caratteristiche intrinseche, non assumendo ciò come un limite ma anzi elevandolo a fonte di quel vantaggio strate-gico di cui si parlava in precedenza.

Adelaide M., I modelli concettuali e le condizioni di funzionamento delle aziende famigliari, in: Del 44

Bene N., Lattanzi N., Liberatore G., a cura di, Aziende famigliari e longevità economica. Modalità di

analisi e strumenti operativi, Ipsoa, Milanofiori Assago, 2012, pag. 50.

Si veda sul tema: Pironti M., Pisano P., Natoli C., Il legame impresa-territorio come leva competitiva 45

attraverso la valorizzazione del patrimonio industriale, analisi svolta in collaborazione con Docbi -

Cen-tro Studi Biellesi, 2015.

Si veda al riguardo la definizione disponibile sul “Dizionario di Economia e Finanza Treccani” (2012), 46

(33)

Al fine di approfondire ulteriormente questo argomento, ci sembra opportuno citare un recente studio che si focalizza su due particolari fattori che assumono grande 47 rilievo nell’analisi della relazione esistente tra azienda familiare e territorio, ovvero:

• il grado di identità economico-culturale del territorio; • la profondità delle radici familiari e delle abilità aziendali.

L’intersezione tra queste due variabili genera una matrice (Tabella 1.2) composta da quattro diverse aree:

Tabella 1.2 - Matrice di analisi della relazione azienda familiare-territorio Profondità radici familiari e abilità aziendali

Grado di identità territoriale

Fonte: elaborazione da Lattanzi, Migliaccio, Santucci (2016).

Le aziende familiari collocate nel I quadrante hanno sede in luoghi caratterizzati da forte identità ma dai quali non riescono a ricavare vantaggi rilevanti a causa dell’a-sincronia esistente tra le proprie competenze distintive e quelle caratterizzanti lo speci-fico territorio.

Al contrario, appartengono al II quadrante, le aziende familiari definibili “auto-sostenute”, in quanto sono ben inserite in territori fortemente identitari e in virtù di ciò hanno sviluppato le competenze distintive fonti del vantaggio competitivo, riuscendo ad elaborare una visione strategica internazionale attraverso la lente delle proprie radici territoriali. In questo particolare scenario la famiglia assume la doppia natura di

Santucci G., Lattanzi N., Migliaccio M., Identità territoriale e radici familiari nelle strategie di cresci

47

-ta, in: Anselmi L., Lattanzi N., a cura di, Il family business made in Tuscany, FrancoAngeli, Milano,

2016, pp. 287 - 299.

Basso Alto

Alto (I)

Aziende insediate in territori con forte identità

ma non sostenute da competenze distintive del

territorio

(II)

Aziende radicate, insediate in territori con identità e

sostenute da quelle competenze distintive del

territorio

Basso (III)

Aziende insediate in territori con scarsa identità e

non sostenute da particolari competenze distintive del

territorio

(IV)

Aziende insediate in territori con scarsa identità ma supportate da competenze che distinguono l’azienda ma

(34)

to rafforzante delle reciproche identità e di custode del patrimonio di competenze che trovano la propria ragion d’essere nella storia di quello specifico luogo . 48

Nel III quadrante sono identificabili aziende localizzate in territori scarsamente identitari e che allo stesso tempo possiedono radici familiari e abilità aziendali poco profonde, in questi casi la familiness non subisce il condizionamento del territorio.

Nel IV e ultimo quadrante si osservano poi aziende familiari contraddistinte da particolari conoscenze e saperi distintivi, a cui il territorio non apporta però un rilevante contributo a causa della scarsa identità che lo contraddistingue. In casi di questo tipo lo scorrere del tempo, misto al successo di queste imprese, possono fornire esse stesse un’identità a quello specifico territorio.

A conclusione, è bene dunque riflettere su come la crescita economica e lo svi-luppo di un territorio passi obbligatoriamente dal considerare la stretta relazione inter-corrente con il tessuto produttivo di riferimento, nel quale l’azienda familiare è sempre più accreditata quale attore principale. Ciò in virtù di un impegno e un ruolo sociale, oltreché economico, che va oltre le tradizionali funzioni imprenditoriali, garantendo al-tresì il perseguimento di una logica di prosperità complessiva di medio-lungo termine, fondata su un comportamento sostenibile nei confronti delle comunità che vivono quo49 -tidianamente il territorio e libera dai gravami di miopi, ma purtroppo ancora attuali, lo-giche di mero sfruttamento a breve termine delle risorse.

Ibidem 48

Con il termine “sostenibilità” si fa riferimento ad uno “sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimen

49

-to dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. Il concetto fu introdotto per la prima volta nel 1972 durante la prima conferenza ONU sull’ambiente e poi successivamente formalizzato nel 1987 con la pubblicazione del cosiddetto “rapporto Brundtland”. Per ulteriori approfondimenti si veda www.treccani.it

(35)

Capitolo 2: Passaggio generazionale e longevità aziendale

2.1 Il fenomeno successorio

“L’azienda è un istituto economico atto a perdurare che (…) svolge in continua coordi-nazione la produzione, il procacciamento e il consumo della ricchezza”. È dunque pre-supposto fondamentale nella definizione di “azienda” suggeritaci da Gino Zappa, che la continuità nel tempo dell’attività aziendale costituisca obiettivo precipuo e imprescindi-bile alla base di qualsivoglia logica di proprietà e gestione.

Obiettivo di questo capitolo è dunque quello di indagare il delicato processo del passaggio generazionale nel contesto delle family business. Nello specifico, la contem-poranea presenza degli istituti “azienda” e “famiglia”, comporta la necessità di far fron-te a bisogni di diverso ordine e infron-tensità tali da generare diversi fattori di criticità. La questione del passaggio del testimone da una generazione ad un’altra nel contesto delle aziende familiari, e generalmente inteso quale “complesso di attività, eventi e meccanismi organizzativi per mezzo dei quali la leadership e la proprietà vengono tra-sferite” , assume perciò particolari connotati, unici e differenti rispetto alle aziende non 50 familiari. Alcuni dati risultano utili ai fini di una maggiore comprensione del fenomeno successorio:

• solo il 25% delle aziende familiari sopravvive alla seconda generazione, percentuale

che si riduce ulteriormente al 15% se si fa riferimento alla terza generazione ; 51

• entro 5 anni dal passaggio dalla prima alla seconda generazione il 60% delle aziende

cessano la propria attività;

• il 40% del totale delle aziende familiari presenti nel nostro Paese dovrà affrontare nei

prossimi 8-10 anni almeno un passaggio generazionale;

• la percentuale di imprenditori che manifestano l’intenzione di trasferire l’azienda ad

un familiare è di circa il 70%;

Giovannoni E., Maraghini M. P., Riccaboni A., Transmitting knowledge across generations: The role of 50

management accounting practices; Family Business Review, 24(2), 2011, pag. 126-150.

Stime fornite nel 2018 dal Family Firm Institute, organizzazione internazionale no profit, impegnata 51

(36)

• secondo le ultime stime dell’ISTAT , nel 74% delle imprese che hanno già affrontato 52 un passaggio generazionale, si è osservato il mantenimento del ruolo della famiglia nella proprietà o nella gestione;

• la percentuale di family business che dichiarano di aver affrontato criticità nel

proces-so succesproces-sorio è elevata ma tende a diminuire proporzionalmente all’aumentare della dimensione aziendale.

Dando un primo sguardo a questi dati, risulta evidente quanto il processo suc-cessorio rappresenti innanzitutto, prima ancora che un’opportunità di crescita e svilup-po, un ineludibile problema di sopravvivenza del fenomeno aziendale, e nel quale con-corrono molteplici fattori di diversa natura. Tra questi le dinamiche relazionali e psico-logiche degli attori coinvolti - in conseguenza dell’intima relazione esistente tra la gene-razione uscente e quella entrante - ricoprono un ruolo cruciale nell’efficace ingresso del-le nuove generazioni in azienda. A livello psicologico infatti, l’imprenditore-fondatore concepisce spesso l’azienda come una propria creatura, al cui sviluppo ha dedicato tutta la vita ed è proprio in questo senso che il subentro della generazione successiva può es-sere visto come un elemento traumatico e destabilizzante, a causa di scelte strategiche e di gestione che possono essere dissonanti rispetto alla prassi operativa adottata fino a quel momento.

Sul tema in questione, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, diversi studio-si hanno peraltro fornito interessanti contributi, presentando un quadro complesstudio-sivo 53 che è possibile riassumere nei seguenti punti principali:

• la successione generazionale si deve intendere come un processo in divenire, il quale

si articola in diverse fasi e si sviluppa in un arco temporale più o meno lungo a secon-da del manifestarsi di molteplici variabili;

• gli attori familiari e non familiari coinvolti sono molteplici;

Per approfondimenti si veda: Censimento permanente delle imprese 2019, Istat, 2020; disponibile per la 52

consultazione sul sito www.istat.it

Longenecker & Schoen, 1978; Mc Givern, 1978; Handler, 1990; Morris et al. 1997; Cabrera-Suarez et 53

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