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Indagine preliminare sulla fattibilità di canali per microreattori tramite tecnologia laser

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D

IPARTIMENTO DI

I

NGEGNERIA DELL

’E

NERGIA DEI

S

ISTEMI

,

DEL

T

ERRITORIO E DELLE

C

OSTRUZIONI

RELAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA GESTIONALE

Indagine preliminare sulla Fattibilità di Canali per

Microreattori tramite Tecnologia Laser

RELATORI IL CANDIDATO

Prof. Gino Dini Matteo Neri

Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale

Dott.ssa Michela Dalle Mura

Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale

Sessione di Laurea del 17/07/2019 Anno Accademico 2018/2019

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SOMMARIO

Il presente elaborato nasce con lo scopo di studiare e illustrare l’impiego di una sorgente laser CO2 per la realizzazione di canali costituenti i microreattori i quali, oggigiorno, rappresentano

una delle più importanti e significative innovazioni in diversi campi disciplinari, come l’industria chimica e farmaceutica. Per quanto concerne più precisamente l’obiettivo del lavoro sperimentale, esso consiste nel verificare la fattibilità di usare una sorgente laser per realizzare per via sottrattiva canali di forma idonea ad essere utilizzati in microreattori; nello specifico, i microcanali realizzati su vetro float, di larghezza 1mm-10µm, devono presentarsi quanto più simmetrici possibile, con forma ad U, e con delle buone finiture superficiali delle pareti interne. Una volta individuato il giusto compromesso per la realizzazione di microcanali dalla finitura superficiale ritenuta accettabile, sono state svolte le analisi e le valutazioni finali utilizzando il rugosimetro e la macchina di misura per confermare la bontà della soluzione trovata.

ABSTRACT

The purpose of this thesis is to study and outline the use of a CO2 laser source for the creation

of channels constituting the microreactors which, today, represent one of the most important and significant innovations in several disciplinary fields, such as the chemical and pharmaceutical industry. More precisely, the objective of the experimental proposal consists in verifying the feasibility of using a laser source to subtractive channels of suitable form for microreactors; in particular, the microchannels on float glass, 1mm-10µm wide, must be as symmetrical as possible, with a U shape, and with good surface finishes on the internal walls. Having identified the solution for the creation of microchannels characterized by a surface finish deemed acceptable, some final evaluations have been carried out using the roughness tester and the measuring machine for the purpose of confirming the validity of the solution found.

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1

INTRODUZIONE 3

1. PROPRIETÀ, METODI PRODUTTIVI E

ASSEMBLAGGIO DEI MICROREATTORI 6

1.1. Introduzione alla microfluidica 6

1.1.1. Definizione di microreattore 6

1.1.2. Dimensioni caratteristiche 7

1.2. Microreattore: materiali utilizzati 8

1.2.1. Microreattori metallici 9

1.2.2. Microreattori ceramici 10

1.2.3. Microreattori in silicio 13

1.2.4. Microreattori polimerici 15

1.2.5. Microreattori in vetro 18

1.3. Tecniche di fabbricazione consolidate 20

1.3.1. Fotolitografia 20

1.3.2. Etching 21

1.3.3. Machining 27

1.3.4. S.L.M. Selective Laser Melting 29

1.3.5. Microstampaggio/Micromoulding 31

1.3.6. L.I.G.A. 34

1.3.7. Foratura, Diamond Lapping, Ultrasonic Lapping 36

1.3.8. Microabrasione tramite sabbiatura 37

1.4. Incollaggio/Bonding 40

1.4.1. Incollaggio anodico di vetro e silicio 41

1.4.2. Incollaggio diretto del silicio 42

1.4.3. Incollaggio del vetro 42

1.4.4. Incollaggio del PDMS 43

2. PROPRIETÀ E PROCESSO PRODUTTIVO DEL VETRO 46

2.1. Microreattori in vetro 46

2.2. Struttura chimica del vetro 48

2.3. Transizione vetrosa e diagramma volume-temperatura 53

2.4. Processo produttivo del vetro 56

2.4.1. Una panoramica generale 56

2.4.2. Processo tradizionale 57

2.4.3. Processo produttivo vetro float 61

2.5. Vetri moderni 62

2.5.1. Vetro soda-lime 62

2.5.2. Vetro borosilicato 65

2.5.3. Vetro float 67

2.5.4. Altri tipi di vetro 69

2.6. Proprietà del vetro 70

2.6.1. Proprietà meccaniche 70

2.6.1.1. Dipendenza del modulo elastico

alla temperatura 72

(4)

2

2.6.2.1. Dipendenza dalla composizione

del calore specifico vetro 73

2.6.2.2. La dilatazione termica e il suo

coefficiente α 75

2.6.3. Proprietà ottiche 78

2.6.4. Proprietà chimiche 78

2.6.5. Viscosità 79

3. LASER: FUNZIONAMENTO E UTILIZZO PER LA

FABBRICAZIONE DI MICROREATTORI 85

3.1. Uso del laser CO2 per la costruzione dei microreattori 85

3.2. Definizione formale 95

3.3. Elementi principali di un laser 95

3.4. Proprietà del fascio luminoso 97

3.5. Principio di funzionamento: i livelli energetici e

l’inversione della popolazione 100

3.5.1. I livelli energetici 100

3.5.2. Inversione della popolazione 104

3.6. Distribuzione energetica del fascio laser 106

3.7. Interazione del fascio laser con un materiale 108

3.8. Laser CO2 111

3.8.1. Proprietà principali 111

3.8.2. Funzionamento 112

3.8.3. Riscaldamento e raffreddamento della miscela di gas 114

3.8.4. Modi del fascio laser CO2 116

3.8.5. La nomenclatura TEM 120

3.8.6. Qualità del fascio laser CO2 e dipendenza

dalla cavità ottica 120

4. PROGETTAZIONE E SVILUPPO

DELL’ATTREZZATURA DI LABORATORIO, TEST E

RISULTATI SPERIMENTALI 125

4.1. Premesse 125

4.2. Situazione as-is 126

4.3. Situazione to-be 128

4.4. Piano sperimentale e prove 134

4.5. Risultati 152 4.6. Analisi al rugosimetro 158 APPENDICE – A 162 5. CONCLUSIONI 216 BIBLIOGRAFIA 220 RINGRAZIAMENTI 226

(5)

3

INTRODUZIONE

Il presente elaborato nasce con lo scopo di studiare e illustrare l’impiego di una sorgente laser CO2 per la realizzazione di canali costituenti i microreattori i quali,

oggigiorno, rappresentano una delle più importanti e significative innovazioni in diversi campi disciplinari, come l’industria chimica e farmaceutica.

Prima di procedere con i test sperimentali, è stato essenziale un lavoro preliminare di ricerca e raccolta bibliografica riguardante le tecniche impiegabili per la fabbricazione di microreattori, così come la valutazione dello stato dell’arte circa, in generale, la tecnologia laser. Anche la scelta del vetro, come materiale di composizione per il microreattore in oggetto, è stata particolarmente significativa: si è optato, infatti, per un vetro di tipo float Planibel, il quale si distingue dagli altri per le poche lavorazioni di trasformazione subite durante il processo produttivo e per l’assenza di composti chimici come l’anidride borica, che rende il vetro resistente agli shock termici.

Più precisamente, l’obiettivo del lavoro consiste nel verificare la fattibilità di usare una sorgente laser CO2 per realizzare per via sottrattiva canali di forma idonea

ad essere utilizzati in microreattori, sperimentando varie combinazioni di parametri di processo, come potenza, distanza focale e velocità di scansione, allo scopo di osservare il risultato dell’interazione tra fascio laser e vetro, in termini di forma del profilo del canale e caratteristiche superficiali dello stesso. Per motivi funzionali legati all’utilizzo di un microreattore, è necessario che il canale realizzato rispetti determinati requisiti, quali una larghezza tra 1mm e 10µm, che sia quanto più simmetrico possibile e con forma specifica, cioè ad U. Il microcanale deve avere delle buone finiture superficiali delle pareti interne, senza presentare cricche o essere frastagliato dato che le applicazioni per cui vengono realizzati richiedono la massima precisione e la non alterazione del campione chimico da oggetti esterni.

Tuttavia, è stato riscontrato che nell’interazione laser-vetro la vaporizzazione del vetro porta residui nell’atmosfera circostante all’area di tale interazione: perciò, secondo lo stato dell’arte, al fine di proteggere il sistema di lenti dal vetro vaporizzato, è stato avanzato l’impiego di un flusso d’aria di apporto che permette ai residui della

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4

lavorazione di fuoriuscire dal canale e di non andare a danneggiare l’ottica della sorgente laser. Nel dettaglio, il presente lavoro sfrutta il flusso d’aria per un duplice scopo, cioè, proteggere il sistema di lenti del laser e asportare il vetro fuso creatosi sulla superficie del microcanale subito dopo il passaggio del fascio laser. In questo modo, il materiale fuso viene spinto verso l’esterno del canale investendo la zona di lavorazione con il suddetto flusso d’aria di apporto: l’obiettivo è quello di ottenere un microcanale preciso, senza vetro risolidificato al suo interno.

Più nello specifico, l’articolazione di questo elaborato prevede di fornire con il Capitolo 1 un’ampia descrizione della microfluidica quale campo di ricerca interdisciplinare riguardante tecniche di rilevamento, manipolazione e processazione di reazioni che si svolgono all’interno di piccoli canali ben definiti, andando ad esaminare quantità esigue di sostanze rare e/o molto preziose. Tale capitolo descriverà con maggiori dettagli il concetto di microreattore, fornendone una definizione e una panoramica sulle caratteristiche più rilevanti, incluse quelle relative alla fabbricazione e ai materiali utilizzati.

Il Capitolo 2 si occuperà in modo sostanziale della struttura chimica del vetro, della composizione e del processo produttivo; verranno poi approfonditi alcuni aspetti riguardanti il vetro soda-lime e borosilicato: questi, infatti, risultano essere quelli più utilizzati, secondo lo stato dell’arte, per la costruzione di microreattori. Come già detto, si analizzeranno poi più dettagliatamente le caratteristiche relative al vetro float, le quali potrebbero incidere sui risultati finali dell’esperimento oggetto di questo lavoro e, più in generale, le proprietà più rilevanti del vetro, ovvero meccaniche, termiche, ottiche, chimiche e quelle relative alla viscosità.

Il Capitolo 3 si focalizza esattamente sulle particolarità riguardanti i laser, i loro principi di funzionamento e i componenti più significativi; verranno poi esaminati alcuni aspetti del laser CO2: questo, infatti, risulta essere quello più utilizzato, secondo

lo stato dell’arte, per la costruzione di microreattori in vetro.

Infine, il Capitolo 4 si avvia alla presentazione della progettazione e dello sviluppo dell’attrezzatura di laboratorio, della creazione del piano di esperimenti, dell’esecuzione dei test sperimentali e dell’interpretazione dei risultati con il supporto di fotografie e di un’apposita Appendice: si tratta, nello specifico, di un supplemento aggiunto a fine capitolo contenente il materiale rilevante delle prove svolte per una

(7)

5

maggiore e più esaustiva comprensione. L’elaborato terminerà poi con un commento finale su quanto esposto, fornendo perciò un’interpretazione conclusiva dei risultati raggiunti e dell’intero lavoro.

(8)

6

1. PROPRIETÀ, METODI PRODUTTIVI E ASSEMBLAGGIO DEI

MICROREATTORI

1.1 Introduzione alla microfluidica

La microfluidica è un campo di ricerca interdisciplinare riguardante tecniche di rilevamento, manipolazione e processazione di reazioni che si svolgono all'interno di piccoli canali ben definiti, andando ad esaminare quantità esigue di sostanze rare e/o molto preziose. I dispositivi microfluidici garantiscono elevate velocità di reazione, precisione e costi contenuti rispetto alle tecniche tradizionali.

Tali tecnologie sono più comunemente conosciute come lab-on-a-chip o microreattore integrato: quest’ultimo, in particolare, fornisce una soluzione totale, a partire dall'input dei campioni da analizzare fino al risultato finale della reazione, in maniera automatica e sequenziale, permettendone l'uso in molteplici campi, come in quello della chimica, delle scienze biologiche e dell'ingegneria dei microprocessi, "guidando” le reazioni chimico-fisiche. Il microreattore può essere inoltre utilizzato per scopi medici o, ancora, per applicazioni militari, analisi point-of-care (che richiedono risultati tempestivi e sul dispositivo stesso), analisi delle acque o come attrezzatura portatile da guerra chimica.

I paragrafi successivi descriveranno, più dettagliatamente, il concetto di microreattore, fornendone una definizione e una panoramica sulle caratteristiche più rilevanti, incluse quelle relative alla fabbricazione e ai materiali utilizzati.

1.1.1 Definizione di microreattore

Il microreattore, o reattore microstrutturato o reattore a microcanali, è un dispositivo in cui le reazioni chimiche avvengono in un ambiente confinato, con dimensioni laterali inferiori a 1 mm; la forma tipica di tale confinamento è data dai microcanali [1].

A partire dalla fine degli anni '90, i ricercatori hanno sviluppato diverse metodologie per la fabbricazione di reattori microstrutturati. Ad oggi, la ricerca

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7

prosegue in prospettiva di materiali e lavorazioni che possano garantire qualità superiore per le reazioni da svolgere, tenendo pur sempre in considerazione l'economicità dei processi e delle attrezzature. A tal proposito, è possibile leggere in letteratura di diversi metodi produttivi, alcuni dei quali innovativi, riguardanti una vasta gamma di materiali, ovvero i metalli, il polimetilmecrilato (PMMA), il silicio, la ceramica, l'acciaio e il vetro. A questi verrà dedicata un'ampia trattazione nelle pagine a seguire.

1.1.2 Dimensioni caratteristiche

Nell’analisi della documentazione relativa al campo della microfluidica sono state riscontrate una serie di difficoltà riguardanti, principalmente, la mancanza di una definizione univoca e precisa delle scale dimensionali dei microreattori che, al contrario, avrebbe permesso di distinguere con immediata facilità un microreattore da un reattore, minireattore e nanoreattore. Tuttavia, da quanto appreso da alcuni contributi letterari, se ne potrebbe fare una differenziazione basata sulle dimensioni di larghezza dei canali. Ad ogni modo, la ricerca in merito non si è limitata solo ad articoli e libri specifici sull'argomento [2], [3], ma si è estesa anche a contributi scientifici [4], [5], il cui confronto ha permesso di individuare il range dimensionale di cui sotto, in figura 1.1:

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8

Figura 1.1: range dimensionale dei canali per reattori di piccole dimensioni

Come si può notare, il microreattore si situa nella fascia di range tra 10µm sino a un massimo di 1mm; le dimensioni, come già detto, sono relative alla larghezza del canale.

1.2 Microreattore: materiali utilizzati

Il materiale utilizzato per la fabbricazione di microreattori dipende fortemente dall'applicazione desiderata. Ad influenzare in maniera determinante tale scelta possono essere fattori come la temperatura e la sua distribuzione, il campo di pressione, la corrosività dei fluidi utilizzati, la conduttività, la capacità termica specifica e le proprietà elettriche.

Un altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione è il design dei microcanali: alcune forme, infatti, sono realizzabili solo con certi tipi di materiali. Potrebbe anche essere necessario occuparsi della qualità superficiale, ottenibile solo con determinati materiali e tecniche di produzione: queste ultime, in particolare, a seconda del numero di dispositivi, possono essere considerate idonee oppure no,

(11)

9

dovendone quindi valutare i costi, i macchinari necessari nel processo produttivo e la loro reperibilità, la difficoltà nell'attuare determinati processi e il tempo necessario alla fabbricazione del microreattore. Infine, l'ultimo parametro da considerare è l'incollaggio finale che può incidere anch’esso sulla scelta del materiale da impiegare. Tornando specificatamente ai materiali, quelli maggiormente adoperati per la fabbricazione dei microreattori sono i metalli, la ceramica, il silicio, i polimeri e il vetro. Di questi, ne sarà fornita un'ampia panoramica nei paragrafi successivi, riportandone, inoltre, delle immagini esemplificative [6].

1.2.1. Microreattori metallici

I metalli sono senza dubbio i materiali più diffusi nei dispositivi convenzionali dell'ingegneria dei microprocessi tecnologici. Questi includono i metalli nobili (argento, rodio, platino, palladio), l'acciaio inossidabile e altri tipi ancora, come rame, titanio, alluminio o leghe a base di nichel.

La maggior parte delle tecnologie di produzione per i microreattori metallici, di cui è possibile vedere un esempio in figura 1.2, prevede la fabbricazione di dispositivi semiconduttori o la lavorazione di dispositivi ad altissima precisione dimensionale, con un'elevata qualità superficiale. Quasi tutte le tecniche di microlavorazione dei metalli sono di tipo abrasivo, a eccezione della tecnica SLM (Selective Laser Melting) per fusione laser selettiva, la quale verrà discussa in seguito. Inoltre, nel caso in cui siano richieste caratteristiche dimensionali di elevata precisione, una tecnica come l'incisione laser consente più di altre una forma rettangolare dei canali e, quindi, maggior accuratezza dimensionale.

Una delle tecniche maggiormente impiegate per l’introduzione di scanalature e canali dei substrati metallici è il wet etching; tuttavia, come nel caso del vetro, tale metodologia di lavorazione restituisce canali con una larghezza minima di due volte la profondità desiderata e la tipica forma ad U. Per questa ragione, il wet etching viene adoperato solo per innescare la scanalatura.

Si segnalano infine una serie di metodi di incollaggio per il serraggio del microreattore che includono la saldatura, la brasatura e il bloccaggio. È possibile vedere un microreattore in acciaio in figura 1.2.

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10

Figura 1.2: microreattore in acciaio [7]

1.2.2. Microreattori ceramici

Le ceramiche sono materiali interessanti poiché, al contrario dei metalli e polimeri, sono adatte a temperature operative elevate, superiori a 1000° C; anche l'assenza di reazioni chimiche con la maggior parte dei reagenti è un fattore rilevante e distintivo nella scelta del suddetto materiale. Tuttavia, la fabbricazione di microreattori in ceramica è limitata ad alcune tecnologie, e non molto efficiente dal punto di vista dei costi.

Il processo produttivo convenzionale per ottenere microstrutture in ceramica è: • preparazione dell’impasto ceramico in forma liquida;

• stampaggio a iniezione o fusione; • sformatura;

• sbozzatura; • sinterizzazione.

Durante la fase di sinterizzazione, la maggior parte dei materiali ceramici si contrae, rendendo quindi necessario considerarne il ritiro e valutare preventivamente la quantità necessaria di ceramica fusa, per far sì che il microreattore finale rispetti le

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11

specifiche dimensionali progettuali 1. In figura 1.3 è possibile osservare lo schema del processo produttivo per formare microreattori in ceramica.

Figura 1.3: processo produttivo per microreattori in ceramica [9]

Ad ogni modo, indipendentemente dal processo di fabbricazione, la granulometria della polvere ceramica utilizzata per generare la miscela deve essere sufficientemente piccola da riprodurre esattamente i dettagli della microstruttura desiderata. Anche dopo la sinterizzazione, essa è normalmente accompagnata da una grossolanità delle dimensioni dei grani: questi devono essere almeno di un ordine di grandezza inferiore rispetto alla dimensione più piccola del canale del microreattore. Anche gli additivi svolgono un ruolo importante nel processo di produzione: rimuoverli in modo errato, infatti, può portare a distorsioni e crepe, o addirittura a debellare parti microscopiche del dispositivo desiderato.

Il punto cruciale per la fabbricazione dei microdispositivi ceramici resta la corretta progettazione della microstruttura. A causa delle proprietà specifiche della ceramica, infatti, occorre prendere in considerazione anche le esigenze di sigillatura, assemblaggio e giunzione. Inoltre, bisogna valutare l'interconnessione tra le

1 Esisterebbe, inoltre, un altro metodo di lavorazione della ceramica fusa che prevede

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12

apparecchiature di processo convenzionali e dispositivi ceramici, vista la diversità dell'espansione termica. Questo può portare a stress termico, indebolimento delle connessioni o rotture della ceramica [3], [8]. In figura 1.4 si può osservare un microreattore in ceramica.

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13 1.2.3. Microreattori in silicio

Il silicio è un semimetallo e un semiconduttore, presente in elevata percentuale sulla crosta terrestre; è il componente principale di vetro, cemento, ceramica e silicone e, nella sua forma cristallina, assume un colore grigio, con una lucentezza metallica.

Per quanto riguarda gli ambiti di applicazione, esso è particolarmente utilizzato nell'ingegneria dei microsistemi in quanto adatto, oltre che per i microinterruttori, anche per scopi meccanici e fluidici. Le ragioni risiedono non solo nelle sue utili proprietà meccaniche, ma anche nella sua pronta disponibilità e nell’essere, in generale, di facile lavorazione/lavorabilità [10].

Il silicio viene utilizzato nella sua forma monocristallina; i dispositivi finiti vengono lucidati al fine di ottenere una migliore qualità superficiale e rimuovere le impurità residue delle lavorazioni precedenti. Tale materiale cristallizza con una struttura diamantata, e quelle che ne risultano possono avere l'orientamento (1-0-0), (1-1-0) o (1-1-1), com’è possibile vedere in figura 1.5; il primo è quello più comunemente usato.

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Di seguito, in tabella 1.1, sono riportate le proprietà più importanti del silicio:

Tabella 1.1: proprietà del silicio [3]

In figura 1.6 è possibile vedere un esempio di microreattore in silicio:

Figura 1.6: microreattore in silicio [11]

Coefficiente di espansione termico (medio) 2,6 * 10-6 K

Densità (ρ) 2 330 kg/m³

Resistenza alla flessione (σ) 6000 MPa

Conducibilità termica (λ) 148 W/ (m*K)

Modulo di Young 130-188 GPa

Punto di fusione 1413°C

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15

I microreattori in silicio possono essere fabbricati impiegando tecniche di wet

etching o dry etching, a seconda delle caratteristiche del canale richieste. Queste

saranno approfondite nei paragrafi a seguire.

1.2.4. Microreattori polimerici

Un polimero (dal greco poli-meros, molte parti) è una macromolecola ad elevato peso molecolare, costituita da un gran numero di gruppi molecolari detti unità ripetitive, uniti "a catena" mediante la ripetizione dello stesso tipo di legame. I polimeri non possono solitamente confrontarsi con vetro o acciaio in termini di proprietà meccanica o resistenza chimica, ma, rispetto a questi, sono spesso più economici e facili da lavorare [12].

Tali materiali ibridi hanno in sé le proprietà di più polimeri e sostanze, come vetro o silice: quindi, rispetto alle sostanze pure, si cercano compromessi di miglior lavorabilità e minore fragilità. Le parti possono essere realizzate mescolando fisicamente le sostanze tra loro, per creare così un materiale ibrido con le caratteristiche desiderate (ad esempio nanoparticelle di silice disperse in una matrice polimerica per aumentare il modulo elastico dell'intera sostanza). I polimeri maggiormente utilizzati per la fabbricazione di dispositivi microfluidici sono:

• Politetrafluoroetilene (PTFE), formula molecolare CnF2n+2, anche noto con il

nome commerciale di Teflon, è il polimero appartenente alla classe dei

perfluorocarburi (PFC) derivante dall'omopolimerizzazione del

tetrafluoroetene. Si tratta di una materia plastica liscia al tatto e molto resistente alle alte temperature (fino a 300 °C), usata nell'industria per ricoprire superfici alle quali si richiede anti-aderenza e una buona inerzia chimica. Le caratteristiche principali sono:

- densità di 2200 kg/m3;

- la completa inerzia chimica, per cui non viene aggredito dalla quasi totalità dei composti chimici (ad eccezione dei metalli alcalini allo stato fuso, il fluoro ad alta pressione e alcuni composti fluorurati in particolari condizioni di temperatura);

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- non modifica i fluidi con i quali viene posto in contatto; - completa insolubilità in acqua e in qualsiasi solvente organico;

- ottime qualità dielettriche (65 kV/mm di rigidità dielettrica e εr =2.1); - ottime qualità di resistenza al fuoco, poiché non propaga la fiamma; - ottime proprietà di scorrevolezza superficiale: il coefficiente di attrito

risulta il più basso tra i prodotti industriali;

- anti-aderenza, poiché la superficie non è incollabile.

• Polimetilmetacrilato (PMMA), formula molecolare (C5O2H8)n. Anche noto con

il nome commerciale di Plexiglas, è un materiale plastico, formato da polimeri di metacrilato di metile e molto utilizzato nei microreattori [13].

Il PMMA è molto trasparente, più del vetro; con la proprietà di essere più o meno infrangibile a seconda della miscela preparata, questo viene spesso impiegato in alternativa al vetro. Alcune differenze tra i due materiali sono le seguenti:

- densità di 1190 kg/m3, circa la metà di quella del vetro (2500 kg/m3); - ha un punto di rottura superiore al vetro;

- più tenero e sensibile ai graffi e alle abrasioni. A questo generalmente si ovvia con un opportuno rivestimento; eventuali graffi su lastre colate possono essere facilmente eliminati grazie a metodi specifici;

- può essere modellato per riscaldamento (termoformatura) a temperature relativamente basse (ha temperatura di transizione vetrosa pari a 110 °C circa, inferiore rispetto a quella del vetro);

- più trasparente del vetro alla luce visibile, circa 0,93 contro i 0,8-0,9 del vetro; inoltre, a differenza del vetro, esistono alcune formulazioni che non fermano la luce ultravioletta;

- è trasparente alla luce infrarossa fino a 2800 nm, mentre la luce di lunghezze d'onda maggiore viene sostanzialmente bloccata; esistono specifiche formulazioni di PMMA atte a bloccare la luce visibile e a lasciar passare la luce infrarossa di un dato intervallo di frequenze (usate, ad esempio, nei telecomandi e nei sensori rivelatori di fonti di calore);

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- il PMMA brucia in presenza di aria a temperature superiori a 460 °C; la sua combustione completa produce anidride carbonica e acqua. Pezzi di PMMA possono essere saldati a freddo usando materiali adesivi o sciogliendone gli strati superficiali con un opportuno solvente (diclorometano o cloroformio) e mantenendo i due strati in pressione, generando una giuntura quasi invisibile. Per quanto riguarda gli incollaggi di precisione, questi possono essere effettuati con colle a base solvente: da qualche anno, infatti, si stanno affermando le cosiddette "colle UV", che uniscono i vantaggi di praticità e prestazioni delle colle mono- e bicomponente a base solvente.

• Polidimetilsilossano (PDMS) è tra i più comuni polisilossani. Si ottiene a partire dal dimetilclorosilano, che è a sua volta un composto chimico prodotto per reazione diretta tra silicio e cloruro di metile. Il PDMS è formato dalla sequenza del monomero (C2H6OSi)n. Le proprietà principali sono:

- notevole resistenza alla temperatura; - resistenza agli attacchi chimici; - resistenza all'ossidazione; - ottimo isolante elettrico; - ottima trasparenza;

- non è né tossico né infiammabile.

Un’ulteriore caratteristica di questo polimero è che non si lega né al vetro, né al metallo, né alla plastica in fase di solidificazione, ma conserva maggiore aderenza sulle superfici lisce una volta solidificato. Tutte queste proprietà lo hanno reso negli anni il polimero più utilizzato nel campo medico e, nello specifico, nelle micro-applicazioni inerenti al campo dei microreattori Lab-on-a-chip [2], [3].

A seconda del tipo selezionato, esistono inoltre una serie di tecniche di fabbricazione specifiche, tra cui stampaggio a iniezione, fusione e ablazione laser, goffratura a caldo, metodi che verranno approfonditi in maniera dettagliata nelle pagine successive.

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Figura 1.7: microreattore in PDMS [14]

1.2.5 Microreattori in vetro

La sua compatibilità con i solventi organici e la sua complementarietà con sostanze chimiche, rendono il vetro uno dei materiali più studiati nell'ambito dei microreattori. Le tipologie maggiormente impiegate sono il vetro borosilicato e il vetro soda - lime, conosciuti con i nomi commerciali di Pyrex, Borofloat e FOTURAN.

Nello specifico, i microcanali vengono incisi sulla superficie del vetro con diverse metodologie produttive, come ad esempio l'ablazione laser, la lavorazione meccanica con microfrese, il wet etching e la microsabbiatura. Altro processo fondamentale è l'incollaggio della piastra di vetro lavorata con un altro vetrino per isolarne la reazione. I dispositivi sono termicamente ricotti con lo scopo di offrire un

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unico dispositivo integrato che non può essere aperto: utilizzando questo approccio, possono essere fabbricati sistemi robusti adatti alla manipolazione di reagenti organici ad alte temperature e pressioni [3].

Tuttavia, una limitazione del vetro risulta dall'incapacità di impiegare acido fluoridrico come reagente o sottoprodotto di una reazione, poiché può portare a un'incisione aggiuntiva dei canali, con conseguenti modifiche delle dimensioni dei canali del microreattore stesso [15]. L’argomento sarà comunque approfondito con il capitolo 2.

In figura 1.8 è riportato un esempio di microreattore in vetro.

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20 1.3 Tecniche di fabbricazione consolidate

In questo paragrafo verranno trattati i principali metodi di lavorazione dei canali e le relative tecniche di fabbricazione di microreattori. La lavorazione utilizzata, come detto in precedenza, dipende da vari fattori, senza tralasciare i costi e i tempi di produzione relativi alle tecniche adoperate. Qui, saranno prese in esame le principali metodologie produttive, andandone a considerare i materiali impiegati, le attrezzature e i risultati ottenibili a livello superficiale e qualitativo in uscita dalla lavorazione.

1.3.1 Fotolitografia

La fotolitografia è un processo tecnologico considerevole, poiché permette una produzione di dispositivi microfluidici in larga scala e con costi relativamente contenuti.

I passi essenziali del procedimento fotolitografico sono illustrati in figura 1.9. Il processo inizia con la selezione del materiale e della geometria del substrato; tipicamente si sceglie un materiale a base silicea (monocristallino) di diametro compreso tra 10 e 20 cm, anche se queste dimensioni possono variare (fase (a) fig. 1.9). Successivamente, sul substrato viene depositato un polimero fotosensibile, detto

fotoresist (fase (b) fig. 1.9). In seguito, viene utilizzata una maschera aperta il cui

materiale dovrà reagire con il reagente che, una volta terminato il processo, la porterà via dal metallo lavorato: quest’ultimo, ovviamente, non deve essere alterato dal reagente. Per quanto riguarda le aperture della maschera, queste permettono il passaggio dei raggi UV che dovranno andare a investire il fotopolimero e ad alterarne la struttura; la zona sottostante alla maschera, invece, serve a proteggere il fotopolimero che non deve subire alterazioni. Quindi, grazie alle proprietà fotochimiche del fotoresist, le regioni che sono esposte alla radiazione ultravioletta risultano chimicamente alterate (fase (c) fig. 1.9). Dopo l'esposizione UV, il fotoresist è immerso in una soluzione nota come developer che rimuove chimicamente o le regioni esposte (processo positivo, come quello riportato in fig. 1.9) o quelle non esposte (processo negativo) (fase (d) fig. 1.9). Il dispositivo in silicio viene poi fatto asciugare con una leggera ricottura e il fotoresist rimanente può essere allora utilizzato come maschera per una successiva deposizione (processo additivo, fase (e) fig. 1.9), o

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21

per un etching (processo sottrattivo, fase (f) fig. 1.9). Infine, il fotoresist viene rimosso in maniera selettiva per via chimica, e il risultato è in entrambi i casi un substrato microlavorato (fase (g) e (h) fig. 1.9).

Quanto appena descritto è il processo fotolitografico più elementare per la produzione di microreattori in silicio.

Figura 1.9: processo litografico [17]

1.3.2 Etching

Stando a quanto visto dal processo litografico, la superficie al di sotto del fotoresist viene lavorata con l’etching. In questo paragrafo saranno illustrate, più dettagliatamente, le tecniche di dry etching (incisione "a secco”) e wet etching

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22

(incisione "a umido”) per silicio, vetro e altri metalli [18]. Da questi tipi di incisione ne deriva poi l'incisione isotropica o anisotropica, come mostrato in figura 1.10.

Figura 1.10: incisione isotropa e anisotropa di una superificie [3]

In particolare, se il materiale attaccato viene rimosso allo stato liquido, il processo prende il nome di wet etching chimico; invece, se rimosso allo stato gassoso, si parla di etching chimico. L'etching è una tecnica relativamente poco costosa e ben consolidata per ottenere strutture a forma libera e con tolleranze nel range sub-millimetrico. Come già visto per il processo litografico, una maschera in materiale polimerico fotosensibile viene applicata sul metallo o sul materiale da attaccare, e il sistema costituito da maschera più metallo viene esposto a una luce UV.

Nel dettaglio, saranno qui riportati i metodi di etching impiegati per la costruzione di microreattori. Innanzitutto, il processo di wet etching chimico presenta numerosi problemi. Dopo la fotolitografia, i fotoresist deposti sul materiale perdono spesso la loro adesione alla superficie sottostante quando esposti ad acidi caldi. Inoltre, mentre l'incisione procede verso il basso, essa procede anche lateralmente, andando a corrodere il materiale base sotto la maschera, generando così una forma ad U del canale stesso. La forma del canale ad U è riconducibile all'incisione isotropica, proprio per l'attacco chimico portato dall'agente anche sotto la maschera. Questa condizione non garantisce una precisione superficiale adeguata. Perciò, a causa di queste difficoltà nel

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23

delineare i modelli ad alta risoluzione mediante wet etching chimico, sono stati sviluppati processi di dry etching usando gas attivo come nell'incisione chimica anisotropa del silicio (attacco reattivo con ione, RIE). In tabella 1.2 è possibile vedere alcuni materiali utilizzati per la produzione di microreattori e i reagenti comuni con cui si va a completare il processo di wet etching chimico:

Materiali maschera Reagenti/Eccitanti Temperature di

somministrazione reagenti (°C) SiO2 HF 20-25 Si3N4 H3PO4 160-180 Al H3PO4/HN03/HC2H3O2 40-50 Si HNO3/HF 20-25

Tabella 1.2: materiali della maschera, reagenti e temperatura di somministrazione dei reagenti per un processo di wet etching chimico [3]

Di seguito, si identificano i metodi di fabbricazione dei microreattori in vetro e silicio, rispettando il range dimensionale dei canali, caratterizzati inoltre da buona finitura superficiale [3], [18]:

1) anisotropia (cristallografica) wet etching chimico del silicio (KOH); 2) etching chimico anisotropo del silicio (attacco reattivo con ione, RIE); 3) etching chimico isotropo del vetro (tampone al 10% di acido idrofluoridrico). Con il primo metodo, cioè l’anisotropia (cristallografica) wet etching chimico del silicio (KOH), la velocità di incisione varia a seconda del piano cristallino considerato: in generale, le velocità di attacco sono inferiori per quei piani cristallini che hanno densità maggiore. Negli attacchi di questo tipo viene in genere utilizzato idrossido di potassio (KOH) o idrossido di sodio (NaOH) e la velocità di incisione

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nelle singole direzioni dipenderà dalla temperatura e dalla soluzione di aggressione utilizzata. Qui, un attacco anisotropo forma dei solchi esattamente a forma di V (a sinistra in figura 1.11) i cui bordi sono dei piani (1 1 1) formanti un angolo di circa 54,7° rispetto alla superficie (1 0 0); se il tempo di attacco è breve, si forma invece un solco a forma di U (a destra in figura 1.11). Solchi di forma differente si realizzano invece utilizzando silicio orientato secondo piani cristallini diversi.

Figura 1.11: esempi di wet etching chimico su silicio [3]

Per quanto riguarda il secondo metodo di fabbricazione, ovvero l’incisione chimica anisotropa del silicio (attacco reattivo con ione, RIE), questa offre la possibilità di creare una sezione relativamente libera da imperfezioni del materiale. Per l'uso qui descritto, il metodo più adatto è l’incisione con lo ione reattivo (RIE): trattasi di una combinazione di incisione tramite sputtering (metodo fisico) e incisione al plasma (metodo chimico). L'apparecchio utilizzato (in figura 10) è lo stesso impiegato per l'incisione a sputtering, in cui lo ione incidente colpisce gli atomi appostati sulla superficie bersaglio e li disperde in tutte le direzioni (fenomeno detto "cascata di collisioni"), compresa quella che li porta a uscire dalla superficie bersagliata. Quindi, il materiale viene emesso da tale zona dopo una cascata di collisioni, e non dopo un singolo urto particella incidente - atomo del bersaglio, perché non è possibile che un singolo urto provochi una variazione della direzione del momento sufficiente per far sì che l'atomo della zona bersagliata abbia una

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componente di velocità diretta verso la direzione di arrivo dello ione incidente. In base a considerazioni geometriche, è chiaro il perché l'incidenza obliqua degli ioni, che colpiscono il bersaglio, aumenti la resa di sputtering: con incidenza non perpendicolare, infatti, è più facile che le collisioni conferiscano una componente di velocità diretta verso l'esterno del bersaglio agli atomi del bersaglio stesso.

Generalmente, in un processo di sputtering, le particelle energetiche che bombardano il bersaglio sono costituite da ioni; la resa maggiore si ha quando gli ioni incidenti hanno massa paragonabile a quella degli atomi del bersaglio perché così si ha un più efficiente scambio di energia tra ione incidente e atomo del bersaglio [19]. Nel caso RIE, l’unica differenza dal processo sputtering, è che al posto del gas inerte si alimenta il gas attivo (o una miscela che ne contiene uno) alla zona di lavorazione. Utilizza, in contemporanea, particelle cariche e particelle di plasma reattive per rimuovere il materiale dal microreattore e creare così i microcanali: le particelle energetiche eliminano le particelle superficiali.

È possibile osservare in figura 1.12 una rappresentazione del metodo RIE.

Figura 1.12: rappresentazione del metodo RIE [3]

Questo significa che c’è una reazione chimica tra il gas reattivo e il substrato. La parte fisica del processo è detto anisotropo; la sostanza chimica, isotropa. I diversi

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profili di incisione possono essere impostati mediante un’accurata selezione dei parametri chimico-fisici (come in figura 1.13), con una profondità di incisione molto elevata.

Figura 1.13: diversi profili di incisione al variare di parametri chimico-fisici nel metodo RIE [3]

Nello specifico, per il RIE sono previste procedure modificate: è possibile citare, ad esempio, l’attacco ionico reattivo in profondità (DRIE), ovvero un processo comune di incisione chimica a secco (dry etching) impiegato nella produzione di microreattori. Per aumentarne l'anisotropia, la procedura RIE viene alterata cosicché quando l'incisione avanza, alcuni dei prodotti di reazione si depositano sulla parete laterale del canale, generando il fenomeno di passivazione, in cui si blocca sostanzialmente la corrosione del materiale. I prodotti di reazione, verso cui l'attacco è rivolto, vengono rimossi mediante getto d’aria o microfrese: il risultato prevede l’ottenimento di canali con una profondità verticale particolarmente accentuata.

Passando al terzo metodo di fabbricazione, cioè l’incisione chimica isotropica bagnata del vetro, è possibile notare che la scelta delle procedure di incisione è più stringente poiché questo materiale presenta una resistenza chimica superiore rispetto al silicio. Una possibilità è data dall'attacco chimico wet etching, in quanto la natura del processo indica che le proporzioni dell’aspect ratio (cioè la profondità del canale/larghezza del canale) sono di 0,5.

Le scelte per il materiale di mascheratura sono il polisilicio (Poli-Si) e il Cromo-Nichel (Cr-Ni); la strutturazione dello stato dipende dalla litografia. Ogni volta che si

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verifica un'erosione chimica del vetro, gli ioni H+ o OH- sono coinvolti e, per questo motivo, si è soliti fare una distinzione tra la resistenza del vetro all'acqua (la sua resistenza idrolitica) e la sua resistenza agli alcali o all'acido. In particolare, sotto attacco di acqua o acidi, vengono rilasciati piccoli numeri di cationi, in particolare monovalenti e bivalenti. Per i vetri più resistenti, si forma così uno strato molto sottile di gel di silice sulla superficie, che inibisce l’erosione del vetro stesso. Al contrario, l'acido idro-fluorico, le soluzioni alcaline e l'acido fosforico, rimuovono lo strato inibitore e quindi l'intera superficie di vetro, andando così a inciderlo.

In figura 1.14 è possibile osservare un esempio di wet etching su vetro, che evidenzia una tipica forma arrotondata (ad U) dei canali di un microreattore.

Figura 1.14: esempio di wet etching su vetro [3]

1.3.3 Machining

Non tutti i materiali possono essere incisi in modo semplice ed economico come descritto in precedenza con l’etching. In particolare, i metalli nobili risultano essere quelli più stabili ai suddetti metodi di incisione: di conseguenza, la lavorazione di precisione può generare, su questi metalli, delle microstrutture, così come su leghe metalliche standard (ad esempio l'acciaio inossidabile o l'acciaio inox). Per lavorazione meccanica di precisione si intende, in questo caso, fresatura, foratura e scanalatura.

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Per tali lavorazioni, vengono impiegati degli utensili di piccole dimensioni che formano canali all’interno del range 10µm - 1mm, coincidente alle dimensioni che fanno rientrare tale dispositivo nella categoria di microreattore. Naturalmente, l’utilizzo di alcune lavorazioni e dei relativi utensile dipende anche dal tipo di lega metallica adoperata: infatti, per ottone e rame, possono essere utilizzati microutensili in diamante naturale, mentre per acciai inossidabili e leghe a base di nichel, sono necessari utensili in metallo duro. In figura 1.15 si riporta una fresa diamantata naturale.

Figura 1.15: fresa diamantata [3]

La qualità superficiale ottenuta con le tecniche di machining è fortemente influenzata anche dai parametri di taglio e dal tipo di materiale lavorato. Ad esempio, l’evoluzione delle frese per la lavorazione di metallo, per le quali viene proposto un nuovo processo di fresatura multi-cutter per la produzione di più microcanali paralleli, per la produzione in larga scala di microreattori [20]. È possibile vederne un esempio in figura 1.16.

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Figura 1.16: fresa multi-cutter innovativa per lavorazione di microreattori in vetro [20]

1.3.4 Selective Laser Melting (SLM)

Un altro metodo interessante per la fabbricazione di microreattori è il Selective Laser

Melting (SLM): si tratta di una delle tecnologie più avanzate del Metal Additive Manufacturing, considerata come una sottocategoria della tecnica Selective Laser Sintering (SLS) [21]. Tale metodo è stato ideato in Germania a metà degli anni ’90 e

la sua particolarità risiede nella la fusione delle polveri metalliche mediante fascio laser CO2. Questo provoca il riscaldamento della polvere metallica, favorendo l’unione dei grani. Essendo, quindi, uno dei metodi generativi per i metalli, esso può essere inserito nelle tecnologie di Rapid Prototiping [22]. Lo spostamento continuo del fascio laser sul materiale metallico polverizzato ne provoca un riscaldamento ed un successivo raffreddamento, favorendo così la solidificazione del materiale. Se ne riporta il processo produttivo:

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• viene deposta la polvere metallica in una vasca, sul cui fondo è presente una piattaforma con un grado di libertà lungo la direzione verticale. La polvere metallica viene spianata;

• il raggio laser defocalizzato viene diretto verso la polvere metallica, lungo la forma generata da un modello CAD 3D, controllato da un computer (impostato per ottenere la forma desiderata);

• con l'esposizione laser, la polvere metallica viene fusa, formando una sorta di cordone di saldatura (quando il materiale fuso si raffredda). Il laser, quindi, seguendo la traccia proveniente dalla CPU, fonde il materiale nella forma desiderata. Il materiale fuso si raffredda una volta terminata l’esposizione al raggio laser;

• una volta solidificato uno strato, la piattaforma viene abbassata di un certo valore; si distribuisce nuova polvere per un certo Δy; viene spianata e il processo si ripete.

Dunque, le microstrutture vengono generate strato per strato. In generale, qualsiasi metallo può essere utilizzato per SLM, compatibilmente alla temperatura di fusione dello stesso e la temperatura raggiunta attraverso la focalizzazione del fascio laser. Un accorgimento tecnico per ridurre le deformazioni del materiale ed evitare così la generazione di fumi, che potrebbero dar luogo a problematiche chimico-fisiche del pezzo finale, è riscaldare le polveri metalliche a una temperatura leggermente inferiore rispetto alla temperatura di fusione del materiale. In figura 1.17 è possibile osservare lo schema di funzionamento:

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Figura 1.17: metodo SLM [18]

Anche se i grani fondono durante il processo, è impossibile ottenere un’elevata qualità superficiale. Infatti, la superficie ottenuta, presenterà una notevole rugosità dovuta alla presenza dei grani delle polveri metalliche. Inoltre, il metodo SLM non è adeguato alla produzione in grande serie dei dispositivi, sia per tempi che per costi di produzione [3], [18].

1.3.5 Microstampaggio/Micromoulding

Il microstampaggio è una tecnica che replica su substrati polimerici le microstrutture presenti sugli stampi [3], [23]. I processi produttivi più conosciuti per tale tecnica sono: replica PDMS, stampaggio a iniezione e processi di goffratura a caldo. Tra questi, il metodo più diffuso per fabbricare dispositivi microfluidici nei laboratori di ricerca è il PDMS. Come già visto in precedenza, si tratta di un polimero otticamente limpido, inerte, non tossico e non infiammabile. Con le figure 1.18.a, b, c, è possibile osservare meglio tale processo.

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Figura 1.18.a: step 1 Fabbricazione dello stampo [2]

Innanzitutto, si crea lo stampo mediante un fotoresist che può essere in silicio per microstrutture precise (< 50 µm), o in PMMA per microstrutture più grandi (cioè > 50 µm).

Figura 1.18.b: step 2 applicazione e indurimento PDMS [2]

Viene quindi deposta una miscela di PDMS sopra al modello di stampo, a 70 ° C. Una volta che il PDMS si solidifica, ci sarà la rimozione del microreattore dallo stampo. Le microstrutture ottenute hanno elevati aspect ratio. Tuttavia, il processo, pur economico e facile da realizzare, richiede diverse ore e non è pratico per la produzione di massa.

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Ancora, per la fabbricazione di microreattori in materiali termoplastici (PMMA e PTFE), può essere impiegato il processo di stampaggio a iniezione o un processo di goffratura a caldo, soprattutto in presenza di una produzione in larga scala. Per quanto riguarda lo stampaggio a iniezione, le miscele termoplastiche vengono versate in una tramoggia, fuse e iniettate nello stampo in acciaio o alluminio. Lo stampo possiede le forme del microreattore desiderato; la miscela fusa entra quindi nello stampo ad alta pressione e viaggia verso la cavità dello stampo. Dopo il raffreddamento, il microreattore viene liberato e rilasciato dallo stampo. È possibile vederne una schematizzazione in figura 1.19.

Figura 1.19: processo di stampaggio [2]

Infine, nella stampa a caldo (o goffratura a caldo), il substrato termoplastico viene inserito in una macchina di formatura. Le microstrutture o microcanali presenti nello stampo vengono trasferite al substrato di materiale scelto per calore e pressione: sono necessarie temperature che garantiscano un rammollimento del materiale da incidere (e non una fusione, per questo i polimeri a elevato peso molecolare sono adatti a questo processo, poiché forniscono proprietà meccaniche e termiche più elevate), e la pressione impressa deve essere compresa tra 5 e 10 tonnellate. In definitiva, tale processo non permette di ottenere con aspect ratio elevato, e le microstrutture ottenute microcanali presentano tensioni residue assai elevate.

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34

In figura 1.20 è possibile osservare le fasi del processo a stampaggio a caldo:

Figura 1.20: fasi del processo di stampaggio a caldo [2]

1.3.6 L.I.G.A.

La tecnologia LIGA (acronimo tedesco di lithographie galvanoformung and

adformung) è stata inventata nel 1982 presso il Centro di fisica Nucleare di Karlsrue

in Germania, in seguito perfezionata negli Stati Uniti nei primi anni ’90 da Henry Guckel presso l’University of Wisconsin, Madison.

Con LIGA si intende un processo che combina strati spessi di fotoresist polimerico (> 1mm) e litografia con raggi X ad alta energia (circa 1GeV). I raggi X consentono di impressionare i polimeri fotosensibili fino a profondità molto elevate e, essendo la lunghezza d’onda della radiazione incidente molto piccola, gli effetti diffrattivi risultano molto ridotti, consentendo quindi altissime risoluzioni anche a profondità piuttosto elevate. Il metodo LIGA consente allora di superare uno dei limiti intrinseci della tecnologia tradizionale di microlavorazione del silicio: si possono infatti raggiungere profondità di penetrazione superiori di oltre tre ordini di grandezza di quelle ottenibili con le altre tecniche di lavorazione del silicio [24],[25], [26], [27].

Quando si parla di LIGA, occorre in realtà distinguere tre approcci differenti, pur rientrando sotto il medesimo nome. Questi sono:

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a) la sequenza del processo LIGA classica, in cui la litografia a raggi X (DXRL) viene utilizzata per fabbricare uno stampo realizzato tramite stampaggio a iniezione, o per la creazione di stampi di produzione di massa per la tecnica di goffratura a caldo;

b) litografia a raggi X profonda, in cui ogni singolo componente viene prodotto litograficamente, con metilmetacrilato (PMMA) come polimero più utilizzato. Questa tecnica è propriamente impiegata nella produzione dei microreattori; c) sostituzione della sorgente di raggi X con sorgente per irraggiamento UV ed

esposizione di un sistema specifico resistivo con materiale polimerico EPON SU – 8 [28]. L'applicabilità delle maschere al quarzo standard è il principale vantaggio del LIGA UV rispetto all’esposizione a raggi X, ma si registra una sostanziale riduzione della qualità superficiale a fronte di un costo minore della sorgente.

La tecnica LIGA offre senza dubbio caratteristiche tecniche, quali precisione, risoluzione spaziale, proporzioni e rugosità, superiori a qualsiasi altra tecnologia di microfabbricazione. Si fornirà ora un’analisi più dettagliata della condizione b), cioè litografia a raggi X profonda, impiegata per la costruzione dei microreattori. Qui, un blocco spesso di fotoresist polimerico (tipicamente PMMA) viene esposto ai raggi X per la creazione di uno stampo che viene poi utilizzato per l’elettrodeposizione galvanica di strutture 3-D, ad alto rapporto di forma (aspect ratio). Dopo la rimozione del fotoresist resta la struttura sospesa che può essere già impiegata come microreattore finito o come stampo. Tuttavia, uno svantaggio della tecnologia LIGA sta nella necessità di disporre di sorgenti a raggi X ad alta energia (come acceleratori lineari) che attualmente sono poco diffuse, dal costo molto elevato.

Di seguito si riportano le fasi del processo, illustrandole anche in figura 1.21. Nel dettaglio, uno strato di fotoresist (in marrone) molto spesso viene esposto ai raggi X attraverso una maschera (in viola). Dopo l’esposizione, sono disponibili parti in polimero a cui vengono aggiunte placche elettrolitiche (in blu) per la produzione di componenti metallici. Dopo la sovrapposizione, lo stampo generato può essere quindi separato dal substrato e utilizzato in metodi di produzione di massa, facendone dei modelli per processi come stampaggio a iniezione o goffratura a caldo.

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Figura 1.21: fasi del processo L.I.G.A. [28]

1.3.7 Foratura, Diamond Lapping, Ultrasonic Lapping

Per materiali duri come il vetro, le lavorazioni avvengono mediante meccanismi a fresa con geometria indefinita, come ad esempio lavorazione superficiale, perforazione e lappatura a ultrasuoni. È possibile ottenere energia elettrica ad alta frequenza attraverso un dispositivo piezoelettrico, un convertitore di suono ceramico, che converte l’onda sonora in vibrazione meccanica alla stessa frequenza, la cui ampiezza d’onda longitudinale è di 5 mm; per far sì che quest’ultima aumenti, si utilizza un trasformatore di ampiezza e un amplificatore (il “trapano” che permette le perforazioni), che ne amplifica il valore tra 20 e 40 mm. Questi quattro elementi collegati tra loro costituiscono un sistema vibrante che opera in risonanza. Questo consente un processo basato sul martellamento dei grani sulla superficie del materiale, con delle onde all'interno della gamma di ultrasuoni (19-22 KHz) che creano minuscole crepe, favorendo il distacco di tali grani. Questo processo avviene principalmente nella direzione di movimento della vibrazione ultrasonica. Per distaccare completamente i grani “indeboliti” dal passaggio dell’onda ultrasonica, e ottenere superfici finite ad alto livello qualitativo, si impiegano frese meccaniche che garantiscono una migliore rimozione delle imperfezioni superficiali.

Per effettuare la lappatura della superficie viene utilizzata una pasta comprendente un liquido con dei grani, cioè il mezzo di lappatura. La miscela viene

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versata o pressata in modo continuo tra l’utensile e la superficie da lavorare; il grano scelto solitamente è il carburo di boro, per le sue capacità di frattura della superficie e in quanto “autoaffilante”. Il carburo di boro costituisce circa il 25-35% della massa totale del mezzo di lappatura e di solito ha una granulometria di 50-60 mm. Per quanto riguarda la scelta dell’utensile di lavorazione, essendo sottoposto a elevate sollecitazioni, questo dovrà essere di un materiale che sia più duro o che abbia almeno un'adeguata resistenza all'abrasione. Per tale ragione vengono solitamente impiegati gli acciai, in quanto tendono ad essere deformati elasticamente e plasticamente all'impatto con i grani [2], [3].

1.3.8 Microabrasione tramite sabbiatura

La microabrasione, che utilizza aria compressa e sabbia, è una lavorazione basata sulla sabbiatura. Questo processo consente a tutti i tipi di vetro, ceramica e materiali semiconduttori, indipendentemente dalla loro composizione chimica e struttura cristallina, di essere lavorati in modo economico, con una precisione fino alla scala del micrometro [3], [26].

Il processo di microabrasione si svolge prevalentemente in direzione parallela, o quasi, rispetto alla superficie del materiale da lavorare. Sopra tale superficie, viene applicata una maschera creata attraverso processo di fotolitografia; i grani penetrano nelle aperture della maschera e il materiale viene rimosso per abrasione, come si può vedere in figura 1.22 [3].

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Figura 1.22: microsabbiatura con maschera [3]

La profondità ottenuta nella lavorazione dei microcanali dipenderà dal tempo di esposizioni del materiale all’azione abrasiva della sabbia, ottenendo un aspect ratio nell'intervallo 2-3; la struttura più piccola che è possibile creare si attesta sui 50 µm. Questa particolarità può portare alla strutturazione di microcanali più o meno profondi, come si può vedere in figura 1.23.

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La microsabbiatura, agendo sul parametro tempo, permette la strutturazione di cavità e fori passanti su entrambi i lati del materiale, come mostrato nella figura 1.24.

Figura 1.24: taglio del materiale lavorato per tempi di esposizione più lunghi al flusso di sabbia [3]

Le tolleranze e la qualità superficiale ottenute con questo processo sono simili a quelle di microlavorazioni, perforazione e lappatura ad ultrasuoni, analizzate nel paragrafo precedente. La rugosità della superficie finita sta all’interno dei 2-4 mm. A tal proposito, in figura 1.25 è possibile osservare un microreattore totalmente prodotto tramite microsabbiatura, inclusi i canali, i serbatoi di apporto dei fluidi e i fori utili per l’incollaggio del vetro superiore (processo di bonding).

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Figura 1.25: microreattore in vetro prodotto con il metodo della microsabbiatura [3]

1.4 Incollaggio/Bonding

Generalmente, la maggior parte dei dispositivi microfluidici richiede l’unione di due substrati, incollando così il substrato su cui sono incisi i microcanali, con una superficie piana non lavorata, che può essere dello stesso materiale o meno rispetto al substrato lavorato. Quest’unione serve a creare volumi chiusi, per una corretta gestione dei fluidi e per avere un dispositivo lab-on-a-chip, cioè un’applicazione dove la reazione avviene completamente in loco.

Prima di essere utilizzati, i dispositivi vengono forati nei punti di ingresso dei liquidi. Successivamente vengono sottoposti ad accurata pulizia mediante lavaggi successivi con acqua e sapone, acqua distillata, acetone (C3H6O) ed isopropanolo

(C3H8O), e infine trattati per 30 minuti in Ultra-Violet Ozone cleaner [2], [3], [26].

In letteratura sono presenti vari metodi di incollaggio per ottenere un microreattore finito (o dispositivo lab-on-a-chip). I più conosciuti sono:

• incollaggio anodico di vetro e silicio;

• incollaggio diretto del silicio (legame di fusione del silicio); • incollaggio del vetro;

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41 • incollaggio del PDMS;

Questi verranno analizzati più dettagliatamente nel paragrafo a seguire.

1.4.1 Incollaggio anodico di vetro e silicio

I metalli o i semiconduttori possono essere uniti al vetro con un sigillo ermetico anodico. Il processo è utilizzato principalmente per unire il silicio e il vetro borosilicato. I prerequisiti sono:

• superfici lucide e pulite;

• le superfici da legare devono avere circa lo stesso coefficiente di espansione termica (nessuno dei due materiali deve subire uno stress termico).

Qui, vetro e silicio sono portati a stretto contatto l'uno con l'altro, ad una temperatura di 400-500 °C grazie ad un piano riscaldato e, successivamente, viene applicata una corrente continua, a una tensione di 700-1000 V. L'alta temperatura permette al vetro di condurre degli ioni; le forze elettrostatiche generate dalla corrente elettrica rafforzano il contatto, causando una deriva di ioni di sodio dal vetro al silicio. Con questa deriva, gli atomi di silicio formano forti ponti chimici che costituiscono il vero e proprio legame vetro-silicio. In figura 1.26 è possibile osservare il processo schematizzato di legame anodico.

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42

1.4.2 Incollaggio diretto del silicio (legame di fusione del silicio)

L’incollaggio diretto viene utilizzato come processo per unire due dischi in silicio. È possibile legare i dischi allo stato ossidato o immergerli prima in soluzioni di NH4OH:H2O2:H2O per legarli tra loro. Questo è un trattamento specifico per la superficie di Si che elimina il disco di silicio da contaminazioni organiche e da altri metalli che potrebbero essere presenti sulla superficie del silicio dopo le lavorazioni precedenti [29]. Quindi, un primo disco viene posto sulla sommità di un secondo, per poi essere premuti l’uno contro l’altro. Le superfici sono estremamente lisce ed uniformi, quindi permettono ai dischi di aderire tra loro, in virtù delle forze di van-der-Waals. I dischi sono infine trattati con calore in un forno ossidante, che possiede un’atmosfera ricca di N2 (circa il 95%) per 60 minuti a 1050°C. I risultati sono dei

legami in Si-O che tengono i dischi insieme.

1.4.3 Incollaggio del vetro

L’incollaggio termico del vetro [2], [3], [22], è simile all’incollaggio diretto del silicio. C’è, però, una leggera differenza, poiché viene fatta una distinzione tra due metodi alternativi:

- con deformazione plastica; - senza deformazione plastica.

Per componenti cui è richiesta estrema precisione, viene utilizzato il metodo senza deformazione plastica. I dischi vengono collegati a temperature superiori a 350 ° C. Lo strato di gel di silice si condensa su entrambe le superfici, traducendosi in legami solidi che tengono insieme le superfici in contatto tra loro. Le fasi successive prevedono che:

- i dischi vengano sottoposti a trattamento termico per diverse ore tra 400 e 450 °C. A causa della temperatura (inferiore alla temperatura di trasformazione del vetro), i dischi sono ancora fermi e non distorti dopo il trattamento termico.

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43

- perché tutto ciò abbia successo, la qualità della superficie e l’accuratezza della forma è soggetta a specifiche molto esigenti. La planarità deve essere superiore ai 100 nm e la rugosità assoluta superiore a 1-2 nm, da cui dipenderà la qualità superficiale finale. Se non si ottengono superfici con buone planarità o con finitura superficiale oltre il range imposto, sono necessarie azioni di deformazione plastica a temperature uguali o superiori alla temperatura di trasformazione del vetro;

- i parametri di processo come la temperatura, la pressione ed il tempo di incollaggio, sono, quindi, fondamentali per la forma e la qualità superficiale ottenuta.

1.4.4 Incollaggio del PDMS

Poiché l’incollaggio anodico e l’incollaggio di fusione non sono applicabili ai materiali polimerici, sono necessari processi di legame del substrato alternativi, operati a basse temperature. Per l'incollaggio di strati PDMS, il legame al plasma di ossigeno è un metodo ampiamente utilizzato per fabbricare dispositivi microfluidici multistrato PDMS [26].

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Figura 1.27: esempio di fabbricazione di un microreattore in PDMS [2]

Per l'incollaggio di strati con materiali termoplastici, la compressione termica e l'incollaggio sono ampiamente utilizzati per substrati polimero-polimero. La tecnica di compressione termica lega i substrati polimerici per compressione a temperature molto elevate; l’incollaggio può essere ottenuto mediante l'applicazione di uno strato di colla, ad esempio tramite resine-polimerizzanti a raggi UV, messe tra i substrati polimerici.

Queste tecniche di incollaggio sono semplici e non richiedono apparecchi sofisticati, risultando poco costose e con apparecchiature di facile reperimento. Tra gli svantaggi, tali metodi possono indurre a livello globale e locale la deformazione dei bordi, o lasciare intercapedini tra una faccia e l’altra. Non è tollerabile l’alterazione o la deformazione globale e/o locale dei microcanali durante l’incollaggio, poiché i microreattori devono garantire un’estrema precisione della reazione.

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Per migliorare la precisione dell’incollaggio vengono sfruttati metodi che migliorano la focalizzazione dell’energia, così da ottenere delle geometrie piuttosto precise. Le parti di accoppiamento accanto ai microcanali sono fuse mediante ultrasuoni [30], microonde [31], o un laser a infrarossi [32].

Tuttavia, queste tecniche non sono molto usate per la fabbricazione di dispositivi microfluidici dove si hanno particolari design dei microcanali.

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2. PROPRIETÀ E PROCESSO PRODUTTIVO DEL VETRO

2.1. Microreattori in vetro

Il presente elaborato intende osservare i risultati conseguenti all’interazione di laser CO2 su vetro float del quale verrà fornita un’ampia panoramica nelle pagine a seguire.

Questo capitolo tratterà, in particolare, la struttura chimica del vetro, la composizione e il processo produttivo; verranno poi approfonditi alcuni aspetti riguardanti il vetro soda-lime e borosilicato: questi, infatti, risultano essere quelli più utilizzati, secondo lo stato dell’arte, per la costruzione di microreattori. Come già detto, verranno analizzate più dettagliatamente le caratteristiche relative al vetro float, le quali potrebbero incidere sui risultati finali dell’esperimento oggetto di questo lavoro.

Come visto nel Capitolo 1, i microreattori sono impiegati in molti campi di ricerca per una serie di applicazioni diverse. I materiali che li compongono includono silicio, metalli, vetro e altre sostanze ibride: tra questi, il vetro è quello maggiormente utilizzato, e ciò si deve alla sua eccellente stabilità chimica e termica. I microreattori in vetro, di cui un esempio in figura 2.1, vengono adoperati in reazioni importanti, come quelle di Berthelot e Wittig [33], la reazione diazonica [34], la reazione di idrogenazione [35], poiché in esse si utilizzano sostanze chimiche che, altrimenti, sarebbero corrosive per il silicio e/o materiali polimerici. Inoltre, il vetro è meno soggetto ad assorbimento di proteine rispetto, per l’appunto, al silicio e al nitruro di silicio (Si3N4), ampiamente utilizzati nella fabbricazione di microchip.

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Figura 2.1: microreattore in vetro [16]

Con i microreattori in vetro si cerca di abbattere tempi e costi di produzione, e questo è possibile, in particolare, utilizzando il metodo dell’ablazione laser. Si tratta di una tecnica che progetta e produce un applicativo in modo flessibile, con il tempo di sviluppo complessivo che può essere ridotto da giorni a ore. Inoltre, l’ablazione laser consente la progettazione e produzione di microcanali che sarebbero, al contrario, difficili da ottenere con i processi di fotolitografia standard o di machining del vetro.

Numerosi articoli scientifici hanno descritto la microlavorazione laser su vetro con l’utilizzo di laser a nanosecondi ad alta densità di energia (3,4-5,4 J /cm2) o laser

a femtosecondi [36]. Altri, hanno presentato l'uso di un laser UV a nanosecondi per eseguire l’ablazione laser di precisione dei substrati di vetro [37]. Sebbene queste tecniche di incisione forniscano superfici prive di detriti e imperfezioni, i sistemi laser UV, a femtosecondi e a nanosecondi sono in realtà molto costosi e di difficile reperimento. Questa condizione si scontra con l’economicità e l’abbattimento del Time

to Market ricercato per la fabbricazione di chip microfluidici in vetro. Quindi, si

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