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Analisi del decadimento W -> tau nu in CMS a LHC

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(1)

Universit`

a degli Studi di Pisa

FACOLT `A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea Magistrale in Scienze Fisiche

Tesi di laurea magistrale

Analisi del decadimento W

→ τν

in CMS a LHC

Candidato: Simone Coscetti Relatore: Giuseppe Bagliesi Anno Accademico 2010–2011

(2)
(3)

Indice

1 Background teorico 5

1.1 Introduzione . . . 5

1.2 Invarianza di gauge: QED e QCD . . . 7

1.2.1 Il gruppo Up1q e la QED . . . 9

1.2.2 Il gruppo SUp3q e la QCD . . . 10

1.3 Rottura spontanea della simmetria . . . 15

1.3.1 Rottura spontanea di Up1q globale . . . 16

1.4 Meccanismo di Higgs . . . 18

1.4.1 Rottura spontanea di Up1q locale . . . 19

1.5 L’unificazione elettrodebole . . . 21

1.5.1 Le interazioni deboli . . . 21

1.5.2 Unificazione Elettrodebole . . . 23

1.5.3 Modello di Weinberg-Salam . . . 28

1.6 La massa del bosone di Higgs . . . 34

1.6.1 Limiti teorici . . . 34

1.6.2 Limiti sperimentali . . . 37

1.7 Oltre il Modello Standard . . . 39

1.7.1 Supersimmetria . . . 42

1.7.2 Altri modelli . . . 46

2 LHC e CMS 49 2.1 Il collisore adronico LHC . . . 49

2.1.1 Struttura della macchina . . . 49

2.1.2 Fasci di protoni . . . 50

(4)

2.1.4 Fisica protone-protone . . . 52

2.2 L’esperimento CMS . . . 54

2.2.1 Il magnete solenoidale . . . 57

2.2.2 Sistema per muoni . . . 58

2.2.3 La calorimetria . . . 65

2.2.4 Il sistema di tracciamento . . . 73

2.2.5 Il sistema di trigger . . . 79

2.2.6 Panoramica sul sistema di computing . . . 81

3 Fisica a LHC 87 3.1 Fisica elettrodebole . . . 87

3.1.1 Meccanismi di produzione dei bosoni W e Z . . . 88

3.1.2 Canali di decadimento dei bosoni W e Z . . . 89

3.1.3 Propriet`a e decadimenti del leptone τ . . . 89

3.2 Fisica dell’Higgs a LHC . . . 91

3.2.1 Processi di produzione dell’Higgs predetti dal MS . . . 92

3.2.2 Canali di decadimento per l’Higgs predetto dal MS . . 92

3.2.3 Processi di produzione dei bosoni Higgs predetti dal MSSM . . . 93

3.2.4 Processi di decadimento per gli Higgs predetti dal MSSM 98 4 Analisi 101 4.1 Ricostruzione degli eventi a CMS . . . 101

4.1.1 Ricostruzione locale . . . 103

4.1.2 Ricostruzione globale . . . 104

4.1.3 Ricostruzione combinata . . . 107

4.1.4 Strumenti utilizzati . . . 108

4.2 Analisi del decadimento W Ñ τν . . . 110

4.2.1 Campioni Monte Carlo . . . 112

4.2.2 Algoritmo Particle-Flow . . . 114

4.2.3 Strategie di identificazione off-line del τ . . . 116

4.2.4 Ricostruzione degli oggetti fisici . . . 118

4.2.5 Trigger . . . 119

(5)

INDICE iii

4.2.7 Stima del fondo QCD . . . 121

4.2.8 Sistematica . . . 123

4.2.9 Risultati . . . 125

4.2.10 Stima della sezione d’urto . . . 126

4.2.11 Sviluppi futuri . . . 128 A Decadimenti del bosone di Higgs nel Modello Standard 137

(6)
(7)

Elenco delle figure

1.1 Diagrammi di auto-interazione tra gluoni. . . 12 1.2 Andamento del potenziale Vpφq per un campo scalare

com-plesso nel caso µ2   0 λ ¡ 0. . . 17

1.3 Correnti deboli cariche. . . 24 1.4 Diagramma per l’accoppiamento del campo scalare di Higgs

h0 con il bosone W nel Modello Standard. . . 32

1.5 Diagramma per l’accoppiamento del campo scalare di Higgs h0 con il campo fermionico f nel Modello Standard. . . 33

1.6 Correzioni ad un loop per l’accoppiamento di quadrupolo del bosone di Higgs. . . 34 1.7 Limiti teorici e relative incertezze sul valore della massa del

bosone di Higgs in funzione della scala di energia Λ per cui rimane valido il Modello Standard. . . 36 1.8 Risultati del fit elettrodebole globale. . . 39 1.9 ∆χ2 delle misurazioni effettuate a LEP, SLAC e Tevatron in

funzione della massa dell’Higgs. . . 40 1.10 Evoluzione dell’inverso delle costanti di accoppiamento nel

Modello Standard. . . 41 2.1 Struttura sotterranea di LHC. . . 51 2.2 Sezioni d’urto per collisioni protone-protone in funzione

del-l’energia nel centro di massa [1]. . . 53 2.3 Vista prospettica di CMS e dei vari sottorivelatori. . . 56 2.4 Vista longitudinale di un quarto di CMS, con in evidenza

(8)

2.5 Vista del solenoide e del giogo del barrel. . . 59

2.6 Uno dei 12 settori del sistema a muoni. . . 60

2.7 Sezione trasversa di un DT (a). Layout di un DT (b) . . . 61

2.8 Visione schematica dell’endcap. . . 62

2.9 Sezione (a) e struttura (b) di una CSC . . . 62

2.10 Principio di funzionamento di una CSC. . . 63

2.11 Struttura (a) e schema (b) di una RPC . . . 64

2.12 Risoluzione in impulso dei muoni. . . 65

2.13 Vista di un quadrante del sistema calorimetrico e del barrel. . 66

2.14 Segmentazione del calorimetro elettromagnetico. . . 67

2.15 Forma dell’endcap. . . 68

2.16 Segmentazione longitudinale di HCAL [2]. . . 69

2.17 Vista isometrica di un cuneo di HB (a); vista di una megatile (b). . . 70

2.18 Scintillator Tray in HE (a); vista frontale di uno Scintillator Tray. . . 71

2.19 Segmentazione in φ di una tower di HF (a); disposizione delle fibre all’interno dell’assorbitore (b). . . 73

2.20 Il layout del tracker [3]. . . 74

2.21 Layout dei rivelatori a pixel nel tracker (a); struttura mecca-nica del primo layer di pixel nel barrel (b). . . 75

2.22 I due lati di una delle pale dell’endcap del rivelatore a pixel. . 76

2.23 Tipico modulo one-sided (a); schema del principio di funzio-namento di un rivelatore a microstrip (b). . . 77

2.24 Visione di uno dei dischi di TEC . . . 78

2.25 Risoluzione in pT (a) ed in d0 (b) per il tracker. . . 79

2.26 Circolazione schematica dei dati attraverso il sistema di com-puting di CMS. . . 84

3.1 Diagrammi di Feynman per il canale leptonico (a) e per quello adronico (b) del decadimento del τ . . . 90

3.2 Sezioni d’urto di produzione del bosone di Higgs in funzione della sua massa [4]. . . 93

(9)

ELENCO DELLE FIGURE vii

3.3 Branching ratio dei principali canali di decadimento del boso-ne di Higgs in funzioboso-ne della sua massa [4]. . . 94 3.4 Sezioni d’urto di produzione dei bosoni di Higgs neutri e

cari-chi del MSSM a LHC. . . 95 3.5 Diagrammi di Feynman dominanti per la produzione del

bo-sone di Higgs carico leggero. . . 97 3.6 Branching ratio per i decadimenti del bosone di Higgs carico

in funzione della propria massa. . . 99 4.1 Schema della ricostruzione di un muone, utilizzando le

infor-mazioni del Tracker e del sistema per muoni. . . 102 4.2 Diagramma della struttura di EDM [5, 6]. . . 109 4.3 Schematizzazione del flusso, durante l’analisi, dei dati e dei

job sottomessi a Grid via CRAB [7] . . . 111 4.4 Schema di isolamento del τ . . . 117 4.5 Distribuzioni della massa trasversa del candidato τhad e di

Emiss

T nelle regioni B, C e D dello spazio delle fasi. . . 122

4.6 Valor medio di RHT in funzione di ETmiss. . . 123

4.7 Distribuzioni delle variabili Emiss

T (a) e RHT (b) prima dei tagli

finali. . . 126 4.8 Distribuzione di Emiss

T alla fine dei tagli. . . 127

4.9 Distribuzione di RHT alla fine dei tagli. . . 127

4.10 Massa trasversa di τhad e ETmiss alla fine dei tagli. . . 128

4.11 Distribuzioni delle variabili discriminanti RHT (a) e ETmiss (b),

utilizzate per costruire la likelihood. . . 129 4.12 Distribuzione del discriminante likelihood per i sample di

se-gnale e di fondo QCD. Le aree sono normalizzate a 1. . . 130 B.1 Diagrammi di Feynman per i principali processi di produzione

del bosone di Higgs predetto dal Modello Standard. . . 141 B.2 Diagrammi di Feynman per i processi di produzione diretta del

bosone di Higgs carico a LHC: boson fusion (a); gluon-gluon fusion (b). . . 142 B.3 Diagramma di Feynman per la produzione di due fermioni

(10)

B.4 Diagrammi di Feynman per la produzione del bosone di Higgs carico, H (prima parte). . . 143 B.5 Diagrammi di Feynman per la produzione del bosone di Higgs

(11)

Elenco delle tabelle

1.1 Classificazione dei fermioni nel Modello Standard, divisi in

leptoni e quark. . . 6

1.2 Tipici decadimenti deboli e loro vita media . . . 21

1.3 Isospin debole e ipercarica debole di leptoni e quark. . . 26

1.4 Supermultipletti di gauge del MSSM. . . 45

1.5 Supermultipletti chirali del MSSM. . . 46

2.1 Principali caratteristiche di LHC (valori nominali). . . 52

3.1 Branching Ratio per i vari canali di decadimento del bosone vettore W . . . 89

3.2 Branching Ratio per i vari canali di decadimento del bosone vettore Z . . . 90

3.3 Principali decadimenti del τ con i relativi branching ratio. . . 91

4.1 Sample MC utilizzati nell’analisi, con le corrispondenti sezioni d’urto. . . 114

4.2 Incertezze sistematiche sulla misura della sezione d’urto di decadimento di W Ñ τν. . . 125

4.3 Eventi dei campioni MC utilizzati nell’analisi che sopravvivono ad ogni criterio di selezione. . . 131

4.4 Efficienze cumulative per ogni criterio di selezione (tra paren-tesi l’efficienza di ogni singolo taglio). . . 132

4.5 Valori dei parametri che entrano nella 4.7 per il calcolo della sezione d’urto di decadimento (gli errori sono statistici). . . 133

(12)
(13)

Introduzione

La teoria del Modello Standard `e universalmente accettata per la descrizione delle interazioni tra particelle elementari, dato il notevole accordo esistente tra le sue predizioni ed i risultati sperimentali conseguiti negli ultimi decen-ni. Ci`o nonostante, si tratta di una teoria non ancora del tutto confermata: il tassello mancante per completare la descrizione del Modello `e il bosone di Higgs, che non `e stato ancora osservato. La ricerca di questa particella costituisce la pi`u grande sfida sia sperimentale che teorica per la comunit`a scientifica di questi ultimi anni. La rivelazione del bosone di Higgs infatti richiede esperimenti operanti ad alte energie ed a valori di luminosit`a elevati, al fine di generare eventi con sezioni d’urto molto piccole, essendo per`o anche in grado di riconoscerli all’interno di un ampio fondo di QCD. La ricerca di questa particella si basa sulla rivelazione dei suoi prodotti di decadimento. Per raggiungere questo scopo, ai laboratori del CERN di Ginevra `e da poco entrato in funzione il Large Hadron Collider (LHC), il pi`u grande acceleratore di particelle del mondo, un collisionatore circolare in cui saranno accelerati, una volta che la macchina operer`a a regime, fasci di protoni con energia di 7 TeV ciascuno. In corrispondenza dei quattro punti di intersezione dei fasci sono installati i rivelatori ATLAS, CMS, LHCb e ALICE.

Nonostante buona parte delle energie della comunit`a scientifica siano dedica-te al completamento ed alla verifica del Modello Standard, esistono numerose evidenze e considerazioni sul fatto che in realt`a questa non sia altro che una teoria in grado di descrivere la fisica delle particelle elementari soltanto al di sotto di una certa soglia di energia. Nel corso degli anni sono state sviluppate sia estensioni del Modello Standard che teorie alternative, le quali prevedono l’esistenza di nuove particelle. Queste dovrebbero manifestarsi almeno ad una scala di energia del TeV.

(14)

Questo lavoro di tesi si svolge nell’ambito dell’esperimento CMS (Compact Muon Solenoid) che, attraverso un complesso sistema di sottorivelatori, per-mette la rivelazione dei muoni (e comunque dei leptoni in generale), nonch`e la completa ricostruzione degli eventi prodotti nelle collisioni dei fasci. In particolare, il lavoro verte sullo studio delle strategie off-line per l’identi-ficazione del leptone τ , atteso tra i prodotti di decadimento del bosone di Higgs cos`ı come di altre particelle previste in altri modelli teorici. Il canale utilizzato per testare la procedura di identificazione del tau `e il decadimento semileptonico del bosone vettore W : W Ñ τν.

Il lavoro di tesi `e organizzato in quattro capitoli. Nel primo vengono pre-sentati il formalismo e la struttura teorica del Modello Standard, attraverso strumenti quali l’invarianza di gauge e la rottura spontanea della simmetria nella descrizione di teorie quali QED, QCD e teoria elettrodebole. Inoltre vengono accennate la Supersimmetria (SUSY) e l’estensione supersimmetrica minimale del Modello Standard (MSSM).

Nel secondo capitolo si descrivono sinteticamente il funzionamento del colli-sionatore LHC, e pi`u in particolare le caratteristiche del rivelatore CMS. Nel terzo capitolo viene presentata la fisica elettrodebole ad LHC, e quindi gli aspetti pi`u strettamente correlati al bosone W ed al leptone τ . Inoltre vengono illustrati i meccanismi di produzione e di decadimento dei bosoni di Higgs, sia quello atteso nel MS che quelli predetti dal MSSM. Particolare attenzione viene dedicata ai bosoni di Higgs carichi attesi nel MSSM, data la particolare affinit`a tra il processo di decadimento dominante H Ñ τν ed il processo studiato in questo lavoro.

Infine, nel quarto capitolo si illustrano prima gli algoritmi per l’identificazione delle particelle e la ricostruzione degli oggetti necessari per l’analisi descritta successivamente. In questa descrizione si evidenziano i modi in cui sono state impiegate le propriet`a caratteristiche del leptone τ e dei suoi decadimenti nel-la procedura di identificazione off-line e nell’analisi vera e propria, attraverso campioni simulati e dati registrati dall’esperimento. Particolare attenzione `e stata dedicata alla stima degli eventi di QCD, background dominante in que-sto processo. Infine, sulla base dei risultati ottenuti, viene presentata una stima quantitativa della sezione d’urto di produzione ppÑ W X.

(15)

Capitolo 1

Background teorico: il Modello

Standard

1.1

Introduzione

Il Modello Standard (SM), sviluppato da Glashow, Weinberg e Salam negli anni ’60, `e attualmente il modello teorico migliore per descrivere le intera-zioni subnucleari; in questo modello le particelle fondamentali sono divise in fermioni (particelle con spin 1

2) ed in bosoni (particelle con spin 1), che hanno

il ruolo di mediatori delle forze. Il modello descrive con un unico formalismo tre tipi di interazione tra particelle elementari:

• interazione elettromagnetica, che agisce tra particelle cariche. Il me-diatore di questa forza `e il fotone (γ). La teoria delle interazioni elettromagnetiche (QED) `e basata sul gruppo di simmetria Up1q;

• interazione debole, che agisce tra particelle con isospin debole. I me-diatori di questa forza sono i tre bosoni vettori W , W, Z0. La teoria

dell’interazione debole `e basata sul gruppo di simmetria SUp2qL: questa

simmetria `e la stessa utilizzata in meccanica quantistica per descrivere lo spin delle particelle, e per questa ragione viene utilizzato il termine isospin (in particolare, i mediatori della forza costituiscono un tripletto di isospin-1);

(16)

Doppietti left Singoletti right Leptoni  νe e L  νµ µ L  ντ τ L eR µR τR |ÝÑT|  1 2, Y   1 2 |Ý Ñ T|  0, Y  1 Quark  u d L  c s L  t b L uR dR cR sR bR tR |ÝÑT|  1 2, Y   1 6 |Ý Ñ T|  0, Ypur, cr, trq  23 Ypdr, sr, brq  13

Tabella 1.1: Classificazione dei fermioni nel Modello Standard, divisi in leptoni e quark. Per ogni gruppo sono mostrati l’isospin debole ~T e l’ipercarica Y [8].

• interazione forte, che agisce tra particelle con ipercarica forte o colore. La teoria che descrive questa interazione (QCD) `e basata sul gruppo di simmetria SUp3qC ed i mediatori di questa forza sono 8 bosoni chiamati

gluoni.

Le particelle vengono classificate in base alla carica che trasportano, e quindi in base al tipo di interazione che subiscono. I fermioni che trasportano una carica di colore sono chiamati quark, mentre quelli che non ne hanno sono chiamati leptoni. Tutti i fermioni sono divisi in doppietti di isospin 1

2 di tipo

lef t-handed ed in singoletti di isospin 0 di tipo right-handed (tabella 1.1). Ad oggi sono stati osservati tre doppietti di quark, cos`ı come tre doppietti di leptoni, mentre per quanto riguarda i singoletti si hanno sei singoletti di quark e tre singoletti di leptoni. Non si hanno evidenze di neutrini di tipo right-handed, poich`e non avrebbero modo di interagire con le altre particelle e quindi per questo motivo non sono rivelabili.

(17)

non-1.2 Invarianza di gauge: QED e QCD 7

abeliana basata sul gruppo di gauge:

SUp3qC  SUp2qL Up1qY (1.1)

Oltre all’individuazione del gruppo di trasformazioni 1.1, il modello richiede altri strumenti teorici quali:

• l’invarianza di gauge;

• la rottura spontanea di simmetria (SSB).

In questo capitolo si presenter`a la struttura teorica del Modello Standard, tenendo presenti le motivazioni alla base di tale costrutto.

1.2

Invarianza di gauge: QED e QCD

Nella teoria quantistica dei campi (Quantum Field Theory) l’invarianza di gauge si `e dimostrata lo strumento fondamentale per la descrizione di tutte le interazioni presenti in natura: l’idea alla base `e che le interazioni tra par-ticelle siano dettate da simmetrie di gauge locali.

In QFT un sistema fisico `e descritto attraverso l’equazione di Eulero-Lagrange per i campi: B Bxµ  BL B pBϕ{Bxµq   BL  0 (1.2)

doveL `e la densit`a lagrangiana del sistema, in generale funzione di ϕ, Bϕ{Bxµ

e xµ. Da L si ricava l’equazione 1.2 attraverso il principio variazionale.

Di notevole importanza `e la forma specifica delle densit`a lagrangiana, poich`e sono le propriet`a di simmetria che manifesta a permettere di dedurre par-ticolari leggi di conservazione, oppure di aprire la strada verso l’approccio dell’invarianza di gauge. Quello che interessa studiare in questa sede sono le propriet`a di trasformazione della densit`a lagrangiana sotto le cosiddette “simmetrie interne”: si tratta di particolari trasformazioni che non coinvolgo-no la coordinata spazio-temporale xµe che quindi si riducono ad una semplice

trasformazione di fase. Ogni trasformazione di un gruppo continuo `e fissata da un numero di parametri reali uguale all’ordine del gruppo. In base alla natura di questi parametri possiamo distinguere tra:

(18)

• simmetrie interne globali, per le quali i parametri sono costanti nello spazio-tempo;

• simmetrie interne locali, dove i parametri sono funzione delle coordinate e quindi la trasformazione introduce fasi differenti in punti diversi dello spazio-tempo.

Nella maggior parte dei casi si lavora con densit`a lagrangiane invarianti sotto trasformazioni globali e questo porta, attraverso il teorema di Noether, ad equazioni di continuit`a e di conseguenza a leggi di conservazione. Infatti, si pu`o dimostrare che ad ogni gruppo di simmetrie interne globali che lasciano invariata una lagrangiana indipendente dal tempo corrisponde una corrente conservata della forma:

Jµ i BL B pBµϕrq

λrsϕs (1.3)

dove ϕr `e un generico campo a pi`u componenti, mentre λrs `e la matrice

caratteristica del gruppo. Da quest’ultima `e possibile dedurre una carica conservata:

Q »

d3xJ0pxq (1.4)

In generale, Q risulter`a essere anche un generatore infinitesimo del gruppo. Non `e necessariamente vero, per`o, che le densit`a lagrangiane siano invarianti sotto gruppi di simmetrie interne locali: questo `e dovuto alla presenza di parametri dipendenti dalle coordiante ed alla presenza di operatori di deri-vazione nelle espressioni di L. L’invarianza di gauge permette di costruire la densit`a lagrangiana per descrivere una particolare interazione in natura imponendo che la densit`a lagrangiana di campo libero sia invariante sot-to simmetrie interne locali. L’esempio pi`u importante del successo di questa tecnica si ha nel modo in cui riesce a riprodurre la QED. Il caso della QED ha spianato la strada per l’applicazione dell’invarianza di gauge nella descrizione di altri tipi di interazioni come quella di colore e quindi per la costruzione della QCD.

(19)

1.2 Invarianza di gauge: QED e QCD 9

1.2.1

Il gruppo U

p1q e la QED

L’Elettrodinamica Quantistica (QED) `e la teoria dei campi che descrive tutti i fenomeni che coinvolgono le particelle che interagiscono elettromagnetica-mente.

Supponiamo di considerare un fermione carico massivo: tale particella sar`a descritta da un doppietto di campi complessi ψ che soddisfa l’equazione di Dirac:

piC  mq ψ  0 (1.5)

che a sua volta pu`o essere dedotta dalla densit`a lagrangiana:

Lpxq  ¯ψpiC  mq ψ (1.6)

attraverso la 1.2 oppure direttamente utilizzando il principio variazionale. Si nota che questa densit`a lagrangiana `e sicuramente invariante sotto trasfor-mazioni del gruppo Up1q globale, le cui generiche trasformazioni sono della forma:

ψ ÝÑ ψeiα, con αP R (1.7)

in quanto Up1q `e un gruppo di ordine 1. Questa propriet`a di invarianza porta alla corrente conservata:

Jµ e ¯ψγµψ (1.8)

ed alla conservazione della carica elettrica Q secondo la 1.4. Non `e altrettanto vero, per`o, che la 1.6 sia invariante sotto il pi`u generico gruppo di simmetria Up1q locale:

ψ ÝÑ ψeiαpxq (1.9)

In questo caso il parametro α dipende dalle coordinate, per cui l’operatoreBµ

introduce un termine aggiuntivo che compromette l’invarianza. Si pu`o per`o definire la derivata covariante, in modo tale da preservare l’invarianza anche sotto il gruppo Up1q locale:

 Bµ ieAµ (1.10)

dove Aµ `e un campo vettoriale ausiliario, che sotto Up1q locale trasforma

come:

AµÝÑ Aµ1 eB

µαpxq

(20)

Il campo Aµ`e un campo di gauge ed ha le stesse propriet`a di trasformazione

del campo elettromagnetico. Inoltre, accoppia al campo di Dirac nella stessa maniera del campo elettromagnetico:

Lpxq  ¯ψriγµpBµ ieAµq  ms 

 ¯ψpiC  mq ψ e ¯ψγµψA µ 

 ¯ψpiC  mq ψ  JµAµ (1.12)

Per identificare il campo Aµcon il campo elettromagnetico fisico `e necessario

introdurre un termine cinetico del tipo: Lgauge 

1 4F

µνF

µν (1.13)

che risulti invariante sotto Up1q locale. La forma che il tensore Fµν deve

assumere affinch`e sia garantita l’invarianza `e:

Fµν  BµAν  BνAµ (1.14)

Quindi, la densit`a lagrangiana invariante sotto Up1q locale assume la seguente espressione:

LQEDpxq  ¯ψriγµpBµ ieAµq  ms 

1 4F µνF µν   ¯ψpiC  mq ψ  JµA µ 1 4F µνF µν (1.15)

Questa `e esattamente la lagrangiana che descrive l’interazione tra il campo di Dirac ed il campo elettromagnetico, giustificando la presenza di un accop-piamento di tipo corrente-campo per il termine di interazione. Si nota che non compaiono termini massivi nel campo Aµ, in quanto termini di questo

tipo comprometterebbero l’invarianza di gauge. Da qui segue che i quanti del campo Aµ devono rimanere massless: si tratta di un risultato comprensibile,

dal momento che soltanto un campo massless pu`o mediare un’interazione a range infinito, necessaria per compensare le fasi che possono presentarsi in qualunque punto dello spazio-tempo.

1.2.2

Il gruppo SUp3q e la QCD

Dall’esempio della QED si pu`o tentare di costruire una densit`a lagrangiana per altri tipi di interazione a partire dall’invarianza di gauge: la QED `e de-dotta a partire da un gruppo di simmetria di tipo abeliano, ma `e possibile

(21)

1.2 Invarianza di gauge: QED e QCD 11

dedurre altre teorie di gauge imponendo l’invarianza sotto gruppi di simme-tria non abeliani (teorie di Yang-Mills). Sin dal primo momento queste sono apparse le soluzioni alla descrizioni delle interazioni forti; i primi tentativi hanno visto l’utilizzo del gruppo SUp2q, ma in realt`a solo con l’avvento del-l’ipotesi del colore si `e arrivati ad individuare in SUp3q il gruppo pi`u adatto nella descrizione di tali interazioni.

L’ipotesi del colore

Il modello a quark statico descrive in maniera soddisfacente gli adroni, in-quadrandoli in termini di rappresentazioni irriducibili del gruppo SUp3qf. In

un primo momento per`o un tale approccio ha lasciato aperto il problema dell’antisimmetrizzazione delle funzioni d’onda dei barioni, interpretati come stati legati di tre quark con lo stesso f lavor e quindi come sistemi di tre fermioni indistinguibili. Un esempio di questa problematica `e dato dal caso della ∆ , particella con spin J  3{2, stato legato di tre quark u. D’altra parte, sussisteva la necessit`a di giustificare la non osservazione di stati legati del tipo qq oppure ¯q ¯q, che in questo tipo di scenario potrebbero essere comun-que costruiti. E’ possibile trovare un’unica soluzione a comun-questi due problemi ipotizzando l’esistenza di un nuovo numero quantico: il colore. Per risolvere il problema dell’antisimmetrizzazione `e necessario postulare l’esistenza di tre cariche di colore distinte (R, G, B) e supporre che i quark si presentino in uno dei tre colori primari. In quest’ottica, il problema della ∆ si risolve pensandola come uno stato di tre quark colorati diversamente, e quindi di-stinguibili.

In realt`a, non tutte le combinazioni di colore sono permesse: si ipotizza che le uniche combinazioni esistenti in natura siano non colorate, in modo da giustificare la non osservazione di quark liberi. Le combinazioni di colore possono quindi essere soltanto le seguenti:

• miscele in parti uguali dei tre colori (R, G, B); • miscele in parti uguali di ( ¯R, ¯G, ¯B);

(22)

Queste tre possibilit`a corrispondono proprio agli stati di particella osservati: mesoni, barioni, antibarioni. L’idea che i quark siano confinati negli adroni, porta a supporre che le cariche di colore siano anche le sorgenti di un nuo-vo tipo di campo e quindi di un nuonuo-vo tipo di interazione che possa tenere insieme tali strutture. Sulla falsariga della QED, si pu`o pensare che l’intera-zione di colore sia mediata dai quanti del campo stesso: i gluoni. Per questo allora, essi stessi devono necessariamente trasportare carica di colore, ed in particolare dovranno presentarsi come oggetti doppiamente colorati. Gli sta-ti doppiamente colorasta-ti ed indipendensta-ti che possono essere costruista-ti a parsta-tire da tre cariche di colore sono otto, e quindi otto saranno i gluoni necessari per mediare l’interazione di colore. Il fatto che i gluoni trasportino carica di colore comporta una notevole differenza con il fotone, in quanto possono dare origine a termini di auto interazione (figura 1.1).

 

Figura 1.1: Diagrammi di auto-interazione tra gluoni.

Il gruppo SUp3qC

Dal punto di vista formale, questo scenario pu`o essere descritto facendo ricor-so alla rappresentazione fondamentale di dimensione tre di SUp3qC. Questo

gruppo ammette una rappresentazione irriducibile di dimensione tre, ed `e possibile associare i tre colori ai vettori di base di tale rappresentazione:

R     1 0 0  , G     0 1 0  , B     0 0 1  . (1.16)

Il gruppo SUp3q `e un gruppo non abeliano di ordine 8 ed ammette altrettanti generatori infinitesimi per i quali una rappresentazione `e quella di Gell-Mann

(23)

1.2 Invarianza di gauge: QED e QCD 13

in cui sono diagonali le matrici λ3 e λ8:

λ3     1 0 0 0 1 0 0 0 0  , λ8     1 0 0 0 1 0 0 0 2  . (1.17)

Il fatto che sia un gruppo non abeliano si evince dalla relazione di commu-tazione soddisfatta dai suoi generatori infinitesimi:

 λi 2, λj 2   ifijk λk 2 (1.18)

dove fijk `e un tensore completamente antisimmetrico per scambio di due

in-dici.

A questo punto, richiedere che gli adroni siano non colorati equivale a richie-dere che siano singoletti di SUp3qC.

QCD

I primi tentativi per ricavare una lagrangiana che descrivesse le interazioni forti seguendo l’esempio della QED sono stati fatti da Yang e Mills. Nel loro approccio utilizzavano un gruppo non abeliano quale SUp2qI: la scelta era

giustificata dalla conservazione dell’isospin sotto interazioni forti. L’ipotesi di SUp2qI fu presto abbandonata poich`e venivano predetti bosoni di gauge

mai osservati. Il problema fondamentale stava nel fatto che SUp2qI, per

quanto potesse fornire una buona descrizione fisica, non era una simmetria esatta: SUp2qI `e rotta dalle differenze di massa dei quark stessi. Questo tipo

di situazione non si presenta, invece, se si considera il gruppo SUp3qC: si

assume infatti che questa sia una simmetria esatta. D’altra parte, una diversa assegnazione delle cariche di colore ai vettori di base della rappresentazione di dimensione 3 non comporta alcuna conseguenza: l’assegnazione risulta puramente arbitraria. Di seguito si vede come pu`o essere ricavata la QCD con l’ausilio di SUp3qC.

Supponiamo di descrivere i quark utilizzando un campo q che sia tripletto di SUp3q: q    q1 q2 q3  . (1.19)

(24)

I quark sono fermioni, quindi il campo q deve essere di Dirac e soddisfare la corrispondente equazione di campo. La lagrangiana di campo libero `e:

L  ¯qpiC  mq q (1.20)

Tale lagrangiana `e invariante sotto trasformazioni globali di SUp3q del tipo: qpxq ÝÑ qpxqeiαaTa, con aP t1, ..., 8u (1.21)

dove Ta sono una possibile rappresentazione per i generatori infinitesimi di

SUp3q. Questa invarianza porta alla conservazione della carica di colore. Anche in questo caso l’invarianza locale non `e verificata a causa della presen-za dell’operatore di derivazione. L’unico modo per ristabilire l’invarianpresen-za `e quello di ridefinire la derivata covariante, introducendo un numero di campi vettoriali ausiliari in numero pari all’ordine del gruppo:

 Bµ ig

a, con aP t1, ..., 8u (1.22)

i campiGµ

a sono detti gluonici e devono presentare delle ben precise propriet`a

di trasformazione sotto SUp3q locale: Gµ a ÝÑ G µ a  1 gB µα apxq  fabcαbpxqGcµ (1.23)

Il terzo termine, non presente in QED, `e una diretta conseguenza della non abelianit`a del gruppo considerato, e come si vedr`a in seguito porter`a alla nascita di termini di auto-interazione tra campi gluonici. Infatti, essendo i Gµ

a dei campi dinamici, dobbiamo introdurre un termine cinetico del tipo:

Lgauge   1 4G µν a G a µν (1.24) Il termine Gµ

a `e fissato dalla richiesta di invarianza della precedente

lagran-giana di gauge: Gµν a  B mu Gν a B ν Gµ a  gfabcGbµG ν c (1.25)

La lagrangiana che descrive la QCD nella sua forma completa `e: LQCD  ¯qriγµpBµ igTaGaµq  ms q  1 4G µν a G a µν (1.26)

(25)

1.3 Rottura spontanea della simmetria 15

Il terzo termine della 1.25 `e ancora una volta dovuto alla natura non abeliana di SUp3q. Quello che si pu`o notare `e che sostituendo la 1.23 in 1.25 e 1.26 si ottengono dei termini di accoppiamento tra campi di gauge inesistenti in QED. La cosa non deve sorprendere: del resto i campiGµν

a descrivono i gluoni

che, essendo colorati, possono interagire tra loro.

Anche per la QCD non `e possibile introdurre dei termini massivi nei campi Gµ

a (del tipo m2GaµGµa) per non compromettere l’invarianza di gauge. Dunque,

anche i gluoni risultano essere massless, per la stessa ragione del caso dei fotoni.

1.3

Rottura spontanea della simmetria

La tecnica dell’invarianza di gauge permette di ricostruire le densit`a lagran-giane in maniera soddisfacente per le interazioni mediate da bosoni massless: `e l’approccio pi`u giusto per descrivere le interazioni elettromagnetiche e di colore. La cosa fondamentale `e che le teorie di gauge che ne conseguono risultano rinormalizzabili. In natura esistono per`o delle interazioni che pre-suppongono l’introduzione di campi di gauge massivi, come ad esempio le interazioni deboli. Inserendo dei termini massivi nell’espressione della la-grangiana, anche ignorando le questioni di invarianza, si va incontro ad una teoria non rinormalizzabile e che quindi perde ogni potere predittivo.

Nonostante questo, esiste un meccanismo per poter generare le masse dei campi di gauge partendo da una densit`a lagrangiana per campi massless: tale meccanismo prende il nome di “rottura spontanea di simmetria” (SSB). Generalmente, `e sempre possibile esprimere una lagrangiana come somma di un termine cinetico e uno di potenziale, cio`e come:

L  T V (1.27)

Le densit`a lagrangiane che sono state considerate nelle sezioni precedenti mo-strano delle propriet`a di simmetria (globali o locali) manifeste: questo tipo di situazione `e strettamente legato alla non degenerazione dello stato di minimo energetico (il minimo per il potenziale V ) assunto come stato di vuoto. Que-sto stato di minimo rispecchia le propriet`a di simmetria della lagrangiana. Il meccanismo di rottura spontanea di simmetria ha lo scopo di introdurre

(26)

quei termini massivi nei campi di gauge di cui si ha bisogno, ma che minano la rinormalizzabilit`a delle teoria. Per farlo si utilizza un potenziale che abbia uno stato di minimo degenere. In questo tipo di situazione, i vari stati di mi-nimo non mostrano pi`u le propriet`a di simmetria della lagrangiana, ma anzi si trasformano uno nell’altro mediante trasformazioni del gruppo che lascia-no invariata la lagrangiana. La rottura spontanea della simmetria si esplica nella scelta arbitraria di uno di questi stati di minimo per la ridefinizione dello stato di vuoto.

1.3.1

Rottura spontanea di U

p1q globale

Consideriamo un campo ϕ complesso:

ϕ ?1

2pϕ1 iϕ2q (1.28)

con ϕ1 e ϕ2 campi reali non interagenti. La tipica densit`a lagrangiana che

descrive questo campo `e:

L  BµϕB

µϕ µ2ϕϕ λpϕϕq2 (1.29)

dove sia µ2 che λ sono due parametri, ed il terzo termine rappresenta una

auto-interazione tra campi. La 1.29 `e invariante per trasformazioni di Up1q globale. Il termine di potenziale `e una funzione dei due campi reali ϕ1 e ϕ2:

Vpϕ1, ϕ2q  1 2µ 2 ϕ21 1 2µ 2 ϕ22 1 4λpϕ 2 1 ϕ 2 2q 2 (1.30) Si nota che se µ2 ¡ 0 e λ ¡ 0, la 1.29 descrive una particella scalare di

massa µ, ed in questo caso il potenziale mostra un minimo stabile in ϕ1 

ϕ2  0. Questo stato di minimo non `e degenere e rispecchia la simmetria della

lagrangiana. Diversamente, se µ2   0 e λ ¡ 0, le particelle descritte dalla 1.29

dovrebbero avere massa quadra negativa: un risultato chiaramente assurdo. L’assurdit`a di questa situazione `e dovuta al fatto che che il potenziale 1.30 possiede un massimo locale nel punto individuato da ϕ1  0 e ϕ2  0.

Per questo motivo, lo sviluppo di Taylor al secondo ordine del potenziale in potenze dei campi in un intorno di pϕ1  0, ϕ2  0q risulta negativo.

(27)

1.3 Rottura spontanea della simmetria 17

uno sviluppo della lagrangiana in potenze dei campi attorno ad un punto di minimo del potenziale. Il potenziale per`o non presenta un minimo isolato, ma una intera orbita di minimi (figura 1.2), corrispondente alla circonferenza di equazione: ϕ21 ϕ 2 2   µ2 λ (1.31)

Poich`e il potenziale `e invariante per trasformazioni Up1q, la particolare scelta

Figura 1.2: Andamento del potenziale Vpφq per un campo scalare

complesso nel caso µ2   0 λ ¡ 0.

del punto di minimo `e totalmente irrilevante: tutti i punti appartenenti alla circonferenza di raggio ?µ

λ sono tra loro equivalenti. Scegliamo per esempio

il punto di minimo ϕ1  c µ2 λ  v , ϕ2  0 (1.32) Poniamo allora: ϕ1pxq  v σpxq , ϕ2pxq  ηpxq (1.33)

dove i campi scalari σpxq ed ηpxq rappresentano gli spostamenti dei campi dalla posizione di equilibrio. Utilizzando questi campi, la densit`a lagrangiana 1.29 diventa: L  1 2pBµσpxqq 2 1 2pBµηpxqq 2 µ2σ2pxq ... (1.34) dove sono stati omessi il termine costante ed i termini di ordine 3 e 4 in σ ed in η.

(28)

Come risulta dalla parte quadratica della lagrangiana, la particella descritta dal campo σpxq acquista una massa pari a:

mσ 

a

2µ2 (1.35)

Oltre a questo, compare il campo scalare reale η, massless, non osservato fisicamente e che prende il nome di “bosone di Goldstone”.

Teorema di Goldstone

Il campo scalare ηpxq associato alla particella a massa nulla descrive uno spostamento dei campi dalla posizione di equilibrio, lungo una direzione che `e tangente all’orbita dei minimi del potenziale. Siccome il potenziale assume lo stesso valore in tutti i punti appartenenti all’orbita dei minimi, effettuando uno spostamento dei campi lungo la direzione tangente all’orbita il potenzia-le non subisce alcun incremento. Conseguentemente, lo sviluppo al secondo ordine del potenziale lungo la direzione tangente all’orbita si annulla e, per questo motivo, la particella η ha massa nulla. Questo fenomeno `e del tut-to generale e prende il nome di teorema di Goldstut-tone: ogni qual volta una simmetria continua della lagrangiana `e rotta spontaneamente (e questa sim-metria corrisponde ad una invarianza solamente globale dell’azione), tra le particelle descritte dalla teoria vi `e almeno una particella a massa nulla, che viene chiamata bosone di Goldstone associato alla rottura spontanea della simmetria. Per motivi di covarianza relativistica, il bosone di Goldstone deve avere spin nullo ed `e quindi una particella scalare o pseudoscalare, a seconda della particolare simmetria che subisce la rottura spontanea.

1.4

Meccanismo di Higgs

Abbiamo visto che la rottura spontanea di una simmetria globale della la-grangiana si manifesta attraverso la presenza di una particella a massa nulla. Nel caso in cui si abbia rottura spontanea di una simmetria locale della lagrangiana, il campo corrispondente al bosone di Goldstone si combina col campo vettoriale a massa nulla della connessione di gauge, ed il campo vetto-riale risultante acquista massa non nulla. Questo fenomeno ha preso il nome

(29)

1.4 Meccanismo di Higgs 19

di fenomeno di Higgs: in questa sezione si considera un semplice modello abeliano che mostra questo meccanismo.

1.4.1

Rottura spontanea di U

p1q locale

Sia ϕ un campo complesso, ed Aµla connessione associata a trasformazioni di

gauge abeliane, ad esempio il campo che descrive un campo elettromagnetico esterno. Dalla sezione 1.2 sappiamo che la densit`a lagrangiana che descrive il modello `e data da:

L  |pBµ ieAµq|2 µ2ϕϕ λpϕϕq21

4F

µνF

µν (1.36)

Questa lagrangiana descrive un sistema fisico con quattro gradi di libert`a: due corrispondenti alle componenti ϕ1 e ϕ2 di ϕ, e due per il campo Aµ che,

essendo massless, ammette soltanto le due polarizzazioni trasverse.

Per rompere spontaneamente la simmetria che abbiamo richiesto, conside-riamo µ2   0 e λ ¡ 0, e ridefiniamo lo stato di vuoto come in 1.32. La

semplice sostituzione del campo shif tato 1.33 in 1.36 porta alla comparsa di un bosone di Goldstone, ma anche di una particolare assegnazione per lo spettro delle masse:

L1  1 2pBµσq 2 1 2pBµηq 2 v2λσ2 1 2e 2v2AµA µ evAµBµη 1 4F µνF µν ... (1.37) dove abbiamo trascurato i termini di interazione.

Notiamo che a questo punto anche il campo elettromagnetico ha acquistato massa: la cosa non desta problemi, dato che Aµ descrive un fotone virtuale

che media l’interazione. In realt`a, la presenza di un termine fuori diagonale suggerisce l’idea che gli autovalori di massa assegnati non siano esatti. Se andiamo a contare il numero dei gradi di libert`a del sistema fisico descritto daL1, troviamo: un grado di libert`a per il campo scalare reale σ, uno per il campo scalare η (massless) e tre per il campo Aµ, che ha acquistato anche

una polarizzazione longitudinale. Un semplice shift del campo ϕ non pu`o variare il numero dei gradi di libert`a, quindi L e L1 devono necessariamente descrivere lo stesso sistema fisico. Si pu`o dedurre, allora, che non tutti i campi presenti in L1 corrispondono a particelle fisiche. Si pu`o notare che

(30)

all’ordine pi`u basso in η e per piccole oscillazioni attorno allo stato di vuoto, si ha: ϕ ?1 2pσ v iηq  1 ? 2pσ vq e iηv (1.38)

Il meccanismo di Higgs individua il grado di libert`a in eccesso nel bosone di Goldstone. La 1.38 permette di vedere il bosone di Goldstone come il responsabile di una ben precisa trasformazione di gauge nel campo ϕ. Questo suggerisce di introdurre un diverso set di campi θpxq, hpxq e Aµpxq tali che:

ϕpxq ÝÑ ?1 2phpxq vq e iθpxqv (1.39) Aµpxq ÝÑ Aµpxq 1 evBµθpxq (1.40)

con θpxq tale che hpxq sia reale. Il campo di Goldstone agisce anche sul campo Aµ, e grazie all’invarianza di gauge sotto Up1q locale, non ha alcuna

influenza sulla densit`a lagrangiana. Dunque, da 1.39 e 1.40 si ottiene:

L2  1 2pBµhpxqq 2 v2λhpxq2 λvhpxq31 4λhpxq 4 1 2e 2v2AµA µ 1 2e 2A2 µhpxq2 ve2A2µhpxq  1 4F µνF µν (1.41)

Dalla 1.41 si pu`o capire che il meccanismo di Higgs ha eliminato il bosone di Goldstone, ripristinando il corretto numero di gradi di libert`a: uno per il campo scalare reale massivo di Higgs e tre per il campo elettromagnetico polarizzato sia trasversalmente che longitudinalmente. Il grado di libert`a scalare in eccesso `e stato incorporato nella polarizzazione longitudinale del campo di gauge Aµ . Si dice che il campo di gauge ha “mangiato” il bosone

di Goldstone ed `e diventato massivo. In altri termini, il grado di libert`a in eccesso corrispondeva soltanto alla possibilit`a di attuare una trasformazione di gauge. Notiamo che anche il termine fuori diagonale `e sparito, attestando che la matrice di massa ora `e diagonale e le assegnazioni di massa sono altrettanto corrette.

(31)

1.5 L’unificazione elettrodebole 21

1.5

L’unificazione elettrodebole

1.5.1

Le interazioni deboli

La prima evidenza sperimentale di interazioni deboli fu l’osservazione del decadimento-β del nucleo, in circostanze tali per cui le interazioni forte ed elettromagnetica risultavano proibite dalle leggi di conservazione. Un ulte-riore indizio che ha portato a pensare all’esistenza di una nuova categoria di interazioni `e stata la misura della vita media di alcune particelle, troppo lunga per poter interpretare il decadimento di queste in termini di intera-zioni gi`a note (tabella 1.2). I processi deboli osservabili sono i decadimenti

Decadimento Vita media (s) πÝÑ µν¯µ 2.6  108

µ ÝÑ eν¯eνµ 2.2  106

Tabella 1.2: Tipici decadimenti deboli e loro vita media

selezionati dalla conservazione del numero leptonico, processi che coinvolgo-no neutrini, e quelli in cui avviene una transizione tra quark con cambio di f lavor (decadimento-β nucleare). Caratteristiche fondamentali e peculiari delle interazioni deboli, stabilite da numerosi esperimenti, sono la non con-servazione della parit`a e della coniugazione di carica.

Gli aspetti fenomenologici delle interazioni deboli sono descritti dalla cosid-detta teoria di Fermi delle interazioni deboli. Il punto fondamentale di questa teoria, `e l’introduzione di una densit`a lagrangiana di interazione della forma corrente-corrente:

L  G?F 2J

µ:J

µ (1.42)

dove GF `e la costante di accoppiamento effettiva delle interazioni deboli

(costante di Fermi).

La corrente che interviene nella 1.42 `e costruita con i campi dei leptoni: Jµ  Jµpeq Jµpµq Jµpτq (1.43)

Ogni famiglia di leptoni contribuisce alla corrente debole: ciascun termine della corrente conserva il numero leptonico della corrispondente famiglia.

(32)

Poich`e le cariche elettrica dei leptoni massivi e dei neutrini differiscono tra loro, ciascuna corrente debole possiede carica elettrica non banale; queste correnti sono perci`o chiamate correnti cariche, e possono essere scritte come:

Jµpaqpxq  ¯ψpaqpxqγµp1  γ5q ψνapxq

Jµpaq:pxq  ¯ψνapxqγµp1  γ

5q ψpaqpxq (1.44)

La presenza del fattorep1  γ5q nell’espressione 1.44 delle correnti seleziona

la componente left degli spinori: le correnti deboli coinvolgono solamente le componenti sinistrorse dei campi che descrivono le particelle. Pertanto, le interazioni deboli descritte dalla lagrangiana 1.42 violano la parit`a, mentre conservano la simmetria CP.

Bosoni intermedi

L’interazione a quattro fermioni della lagrangiana 1.42 `e di tipo non rinor-malizzabile. Dal punto di vista teorico, una teoria non rinormalizzabile non `e proponibile come teoria fondamentale: essa pu`o essere accettabile solamen-te come solamen-teoria efficace. Si pone quindi il problema di ricercare una solamen-teoria rinormalizzabile che riproduca, nel limite di bassa energia, la teoria fenome-nologica di Fermi per le interazioni deboli. Il primo passo in questa direzione consiste nel notare che una interazione efficace corrente-corrente pu`o essere prodotta dallo scambio di una particella virtuale descritta da un campo vet-toriale massivo.

La costante di Fermi nella 1.42 non `e una quantit`a adimensionale, come lo `e la costante di accoppiamento α per le interazioni elettromagnetiche. L’ipote-si di un bosone intermedio necesL’ipote-sita l’introduzione in 1.42 di un propagatore adatto, che a basse energie tenda a semplificarsi:

ig µνpµpν M2 W M2 W  p2 p2!M2 W ÝÑ igµν M2 W (1.45) A questo punto `e possibile reinterpretare la costante di Fermi come:

G ? 2  g2 8M2 W (1.46) Tutto questo suggerisce di interpretare l’interazione debole come una mani-festazione dell’interazione elettromagnetica (Glashow, 1961). L’unica diffe-renza tra le due interazioni rimarrebbe nella massa del bosone mediatore.

(33)

1.5 L’unificazione elettrodebole 23

Correnti deboli neutre

I processi deboli inizialmente individuati sono stati tutti interpretati attra-verso correnti deboli cariche. Solo a partire dal 1973 si sono avute evidenze dell’esistenza di processi da correnti deboli neutre, ovvero dell’esistenza di un mediatore neutro Z. In questi processi `e necessaria la presenza di neu-trini, in quanto solo i neutrini non subiscono n`e interazione elettromagnetica n`e interazione forte. La segnatura caratteristica `e dunque un processo con un neutrino nello stato iniziale e con assenza di leptone carico nello stato finale. Gli eventi da correnti deboli neutre studiati in principio sono stati gli scattering neutrino-nucleone in un liquido pesante (Freon):

νµN ÝÑ νµX; ν¯µN ÝÑ ¯νµX (1.47)

La forma assunta da queste correnti non `e dello stesso tipo V-A delle cor-renti deboli cariche. Per poter dotare le corcor-renti deboli neutre anche di una componente right-handed, si introduce la forma:

JN Cµ  ¯ψγ

µ

2 pcV  cAγ5q ψ (1.48)

Sperimentalmente `e stato verificato che la corrente debole neutra ha una componente right-handed non nulla.

1.5.2

Unificazione Elettrodebole

La teoria V-A di Fermi per le interazioni deboli `e riuscita a giustificare un ampio range di risultati sperimentali per molto tempo. Nonostante questo, per`o, rimane soltanto una descrizione fenomenologica. Poich`e si tratta di una teoria non rinormalizzabile, ad alte energie si presentano divergenze ai vari ordini perturbativi.

Come gi`a detto, la relazione 1.46 conduce all’idea che le interazioni deboli ed elettromagnetiche possano essere due manifestazioni dello stesso tipo di interazione. La teoria di Glashow (1961) tenta una unificazione delle due in-terazioni, identificando per la prima volta il gruppo di simmetria appropriato per descrivere le interazioni deboli: SUp2qLb Up1qY.

(34)

Isospin debole ed ipercarica debole

La ricerca del gruppo di simmetria per la descrizione delle interazioni deboli parte con l’idea di interpretare le correnti deboli cariche e l’eventuale cor-rente neutra in termini di rappresentazioni irriducibili di un certo gruppo di simmetria.

Le correnti deboli cariche descrivono transizioni del tipo νlØ l: accoppiano

quindi soltanto stati left-handed (figura 1.3). Questa considerazione

permet-

W ` ν`



W ν` ` Jµ  ¯νLγµ`L Jµ ¯`LγµνL

Figura 1.3: Correnti deboli cariche.

te di vedere la coppia (νl, l) come doppietto di un certo gruppo di simmetria.

La scelta pi`u semplice `e quella di vedere la coppia di leptoni come base della rappresentazione irriducibile di dimensione 2 del gruppo SUp2q (in analogia con l’isospin), che in questo caso sar`a detto di “isospin debole”. L’introdu-zione di SUp2qL porta all’assegnazione di un nuovo numero quantico a νl e

l:  νl l L   |1 2, 1 2y |1 2, 1 2y l  e, µ, τ. (1.49)

I generatori infinitesimi di SUp2q sono le matrici di Pauli (τ1, τ2, τ3),e quindi

la generica trasformazione che interessa il doppietto risulta della forma:  νl l 1 L  eiÝÑαÝÑτ2  νl l L (1.50)

Notiamo che esiste uno stato right-handed per il leptone (lR) sul quale SUp2qL

(35)

1.5 L’unificazione elettrodebole 25

|lRy  |0, 0y. Il modello non considera invece la possibilit`a dell’esistenza di

un neutrino right-handed.

E’ possibile definire delle correnti J1µ e J µ

2 a partire dalle matrici τ1 e τ2:

J1µ  ¯χLγµ τ1 2χL (1.51) J2µ  ¯χLγµ τ2 2χL (1.52)

e notare che esiste un legame con le correnti deboli cariche: Jµ  ¯χLγµτχL  1 2pJ µ 1  iJ µ 2q (1.53)

Considerare le correnti J1,2,3equivale a considerare le rappresentazioni

irridu-cibili del gruppo: l’ideale sarebbe poter identificare J3µ con la corrente debole

neutra. Ci`o non `e possibile perch´e J3µ `e puramente left-handed, mentre J µ N C

ha un contributo right-handed.

L’idea di Glashow fu quella di individuare un’altra corrente neutra con com-ponente right che, combinata in maniera opportuna con la JN Cµ , potesse essere identificata con la J3µ: l’unica corrente con queste caratteristiche `e la

corrente elettromagnetica. Oltre la combinazione che completa il tripletto di correnti left-handed esiste un’altra corrente, data da un’altra combina-zione ortogonale alla prima. Glashow pens`o di fare riferimento allo schema di Gell-MannNishijima, utilizzato per organizzare le particelle dotate di stranezza nei multipletti di SUp2qI. Questo corrisponde ad introdurre un

nuovo nemeo quantico, l’ipercarica debole, e ad assumere valida la formula di Gell-MannNishijima:

Q T3

Y

2 (1.54)

Dal punto di vista formale questo corrisponde ad estendere il gruppo di sim-metria SUp2qL con l’aggiunta di Up1qY, di cui l’ipercarica Y sar`a generatore

infinitesimo, ed introdurre una nuova corrente (di ipercarica debole):

JYµ  ¯ψγµY ψ (1.55)

Il legame tra le correnti coinvolte si deduce dalla 1.54: Jemµ  J

µ 3

JYµ

(36)

Leptone T T3 Q Y Quark T T3 Q Y

νe 12 12 0 -1 uL 12 12 23 13

eL 12 12 -1 -1 dL 12 12 13 13

eR 0 0 -1 -2 uR 0 0 23 43

dR 0 0 13 23

Tabella 1.3: Isospin debole e ipercarica debole di leptoni e quark.

Alla luce di tutto questo, il gruppo di simmetria totale sar`a il prodotto diretto:

SUp2qLb Up1qY (1.57)

La formula 1.54 comporta un’assegnazione ben precisa anche dell’ipercarica debole alle particelle coinvolte nel modello standard (tabella 1.3). Il fatto di avere un prodotto diretto per il gruppo di simmetria delle interazioni elettro-deboli, comporta l’introduzione di due costanti di accoppiamento distinte: g e g1. Per questo motivo non `e possibile parlare di una vera e propria uni-ficazione tra interazioni deboli ed elettromagnetiche. La strada seguita da Glashow, per`o, porta ad individuare quelle che sembrano essere le interazioni fondamentali (isospin debole e ipercarica debole) di cui le interazioni deboli ed elettromagnetiche sarebbero una manifestazione ad una ben precisa scala di energie.

Interazioni elettrodeboli effettive

Il modello per le interazioni elettrodeboli si completa supponendo che l’inte-razione effettiva corrente-corrente provenga essenzialmente dallo scambio di bosoni massivi, con un piccolo trasferimento di impulso. Si assume che la forma di termini di interazione sia dello stesso tipo corrente-campo vista per le interazioni elettromagnetiche, sia a livello delle interazioni fondamentali

(37)

1.5 L’unificazione elettrodebole 27

individuate, sia a livello delle interazioni fisiche.

Questo tipo di approccio necessita della introduzione di tre campi vettoriali Wiµche si accoppino con intensit`a g alle correnti J

µ

i , e di un campo vettoriale

che si accoppi con intensit`a g1 alla corrente Jµ

Y. Quindi:  igWµ Jµ i g1 2BµJ µ Y (1.58)

La 1.53 impone che tra i campi Wi

µ ed i campi fisici W ci sia una relazione

del tipo: Wµ  1 ? 2 W 1 µ W 2 µ  (1.59) Sia W3

µ che Bµ devono essere campi neutri, e ci possiamo aspettare che

descrivano sia Aµ, sia Zµ; da una loro combinazione si ottiene:

#

Aµ Bµcos θW Wµ3sin θW

Zµ Bµsin θW Wµ3cos θW

(1.60)

L’ipotesi di questo mixing prevede l’introduzione di un parametro libero nel modello: l’angolo di Weinberg θW.

La 1.60 permette di trovare la relazione esistente tra le costanti g e g1 e la carica e dell’elettrone, nonch`e il loro legame con l’angolo di Weinberg:

g sin θW  g1cos θW  e (1.61)

A questo punto, da 1.56 e da 1.61 `e possibile ricavare la forma della combi-nazione lineare di JNµC e Jµ em da identificare con J µ 3: JNµC  J µ 3  sin 2 θWJeµm (1.62)

Dalle relazioni precedenti si capisce che l’accoppiamento pu`o essere descritto tanto da g e da g1 quanto da e e da sin2θ

W.

Bench`e questo modello riesca a descrivere in maniera molto accurata i proces-si elettrodeboli, resta comunque insoddisfacente per le questioni che riman-gono aperte. Rimane, infatti, il problema di spiegare come venriman-gono generate le masse dei bosoni vettori e la motivazione del mixing 1.60.

(38)

1.5.3

Modello di Weinberg-Salam

Il modello presentato nella sezione precedente pu`o essere ritrovato interpre-tando il gruppo 1.57 come locale, ed imponendo l’invarianza di gauge vista nel paragrafo 1.2. In questo modo si ottiene una teoria di gauge che intro-duce i bosoni di gauge appropriati, ma che continua ad esser problematica per l’assegnazione delle masse. Il problema delle masse non affligge soltanto i bosoni vettori, ma anche le masse degli stessi fermioni. La vera soluzione al problema arriva s`ı passando per l’invarianza di gauge, ma applicando la rottura spontanea della simmetria con il meccanismo di Higgs, sviluppato in maniera separata da Weinberg (1967) e da Salam (1968).

Invarianza di gauge sotto SUp2qLb Up1qY locale

La costruzione del modello di Weinberg-Salam parte dalla richiesta che la densit`a lagrangiana per i fermioni sia invariante sotto SUp2qLb Up1qY. Si

dovr`a trattare necessariamente di una lagrangiana per campi fermionici mas-sless, affinch`e l’invarianza non sia compromessa. D’altra parte, aver organiz-zato leptoni e quark in doppietti e singoletti di SUp2qL permette di scrivere

la densit`a lagrangiana libera come:

L0  i¯χLCµχL i ¯ψRCµψR (1.63)

Note le propriet`a di trasformazione di χL e ψR sotto SUp2qLb Up1qY:

χL ÝÑ χ1L  e

iÑÝαpxqÝÑT iβpxqYχ

L (1.64)

ψR ÝÑ ψ1R eiβpxqYψR (1.65)

resta fissato il modo in cui ridefinire le derivate covarianti e i campi ausiliari necessari secondo la procedura vista nel paragrafo 1.2:

L1  ¯χL  iγµ  Bµ igÝÑτ 2  Ý Ñ Wµ ig1Y 2B µ  χL ¯ ψR  iγµ  Bµ ig1Y 2B µ  ψR  1 4 ÝÑ Wµν ÝWѵν  1 4B µν Bµν (1.66)

(39)

1.5 L’unificazione elettrodebole 29

con:

ÝÑ

Wµν  BµÝWÑν BνWÝѵ gÝWѵ ÝWÑν (1.67)

Bµν  BµBν BνBµ (1.68)

I campi di gauge devono trasformarsi sotto SUp2qL ed Up1qY nel seguente

modo: ÝÑ Wµ ÝÑ ÝWѵ1 gB µÑÝαpxq  ÝÑαpxq  ÝWѵ (1.69) Bµ ÝÑ Bµ 1 g1B µβpxq (1.70) La lagrangiana 1.68 `e invariante sia sotto SUp2qL che sotto Up1qY. Inoltre,

risulta invariante sotto Up1qem, in quanto continua a valere la conservazione

della carica elettrica totale.

Scelta del campo di Higgs

Per generare le masse dei bosoni di gauge `e necessario introdurre un opportu-no campo scalare complesso, e dunque un ulteriore termine alla lagrangiana L1, comunque invariante sotto SUp2qLbUp1qY. Si considerano quattro campi

reali organizzati in un doppietto di campi complessi:

φ  φ φ0  ?1 2  φ1 iφ2 φ3 iφ4 (1.71)

La lagrangiana invariante che descrive il campo φ ha la seguente forma:

L2   Bµ igÝÑτ 2  Ý Ñ Wµ ig1Y 2B µ 2  V pφq (1.72)

Aver supposto φ doppietto di SUp2qL comporta una precisa assegnazione di

isospin debole al campo di Higgs. La 1.71 stabilisce anche una assegnazione di carica elettrica e, quindi, di ipercarica debole. Si tratta della scelta fatta da Weinberg nel 1967, ritenendo necessario rompere in maniera spontanea sia SUp2qL che Up1qY, in modo che Up1qem € SUp2qLb Up1qY non sia rotta

(40)

Il potenziale Vpφq `e della forma V pφq  µ2φ:φ λ φ:φ2 e per applicare la

rottura spontanea della simmetria `e necessario considerare µ2   0 e λ ¡ 0.

I nuovi stati di minimo giacciono su una superficie sferica di equazione:

φ21 φ 2 2 φ 2 3 φ 2 4   µ2 2λ (1.73)

La scelta pi`u appropriata per il nuovo stato di vuoto `e: # φ1  φ2  φ4  0 φ3  v ùñ φ0  1 ? 2  0 v (1.74)

Il nuovo stato di vuoto `e sicuramente invariante sotto Up1qem, in quanto `e

non nulla solo la componente neutra del campo (Q `e generatore infinitesimo di Up1qem), quindi non verr`a generata alcuna massa per il fotone. D’altra

parte, la componente φ0 ha T  12, T3  12 e Y  1, dunque `e in grado di

rompere sia SUp2qL che Up1qY, assicurando la generazione delle masse degli

altri bosoni di gauge.

Masse dei bosoni di gauge e termini di accoppiamento tra campi Secondo il meccanismo di Higgs, il campo φ si riduce al semplice:

φpxq  ?1 2  0 hpxq v (1.75)

Sostituendo 1.75 in 1.72 ´e possibile ottenere il termine cinetico per il campo di Higgs:

1 2B

µhpxqB

µhpxq (1.76)

e far vedere come il modello fissi esplicitamente i termini di accoppiamento tra hpxq ed i campi di gauge:

1 8     gpW1µ iW µ 2q gW3µ g1Bµ  0 hpxq v    2   |hpxq v| 2 8  2g2W µWµ W 3 µ Bµ  g2 gg1 gg1 g12  W3µ Bµ  

(41)

1.5 L’unificazione elettrodebole 31  h2pxq 2vhpxq v2 8  2g2Wµ Wµ pAµ Zµq  0 0 0 g2 g12  Aµ Zµ    vg 2 2 WµWµ g 2 4WµW µh2pxq g2v 2 WµW µhpxq 1 2 v2 4 pg 2 g12qZµZ µ 1 8 g2 cos2θ W ZµZ µh2pxq v 4pg 2 g12qZµZ µhpxq   M2 WWµWµ g2 4WµW µh2pxq g 2v 2 WµW µhpxq 1 2M 2 ZZ µ Zµ 1 8 g2 cos2θ W ZµZµhpxq g 2 cos θW ZµZµhpxq (1.77)

Si pu`o notare che la matrice di massa per i campi W3

µ e Bµ non `e diagonale.

E’ possibile trovare la trasformazione unitaria che porta ai vettori di base che la diagonalizzano:  Aµ Zµ  ? 1 g2 g12  g g1 g1 g  W3 µ Bµ ùñ $ & % Aµ  g1W3 µ gBµ ? g2 g12 Zµ gW?µ3g1Bµ g2 g12 (1.78) Le assegnazioni di massa del modello ai campi di gauge sono:

Mγ  0, MW  vg 2 , MZ  v 2 a g2 g12 (1.79)

Confrontando con il mixing 1.60 si deduce che le differenze di massa tra i Wµ e lo Zµ dipendono dal mixing tra Wµ3 e Bµ. La particolare relazione che

intercorre tra le due masse porta il modello al valore di ρ voluto: MW MZ  cos θW ùñ ρ  M2 W M2 Zcos2θW  1 (1.80)

Dal potenziale Vpφq derivano invece i seguenti termini: V1pφq  λv2h2pxq  λvh3pxq  1

4h

4pxq (1.81)

tra cui `e possibile individuare il termine di massa dell’Higgs ed i suoi termini di auto-interazione.

In 1.77 sono evidenti gli accoppiamenti tra il campo di Higgs ed i campi di gauge. In particolare si nota che i diagrammi trilineari sono proporzionali alla massa dei bosoni di gauge coinvolti, dunque rappresentano canali privilegiati per la scoperta dell’Higgs (figura1.4).

(42)



W h0

W

Figura 1.4: Diagramma per l’accoppiamento del campo scalare di Higgs h0 con il bosone W nel Modello Standard.

Masse dei fermioni e termini di Yukawa

Il gruppo SUp2qL agisce solo su stati left-handed, dunque non permette

l’in-troduzione nella lagrangiana L1 di termini massivi nei fermioni, che per loro

natura miscelano stati left-handed e stati right-handed. E’ possibile costruire una lagrangiana invariante sotto SUp2qL b Up1qY che accoppi i campi

fer-mionici al campo di Higgs, cio`e `e possibile utilizzare il campo φ per generare anche le masse dei fermioni, attraverso un termine detto “di Yukawa”. Partiamo dai leptoni. Ricordando che il Modello Standard suppone i neu-trini massless, e che quindi non prevede mixing tra le famiglie leptoniche, il termine aggiuntivo assume la forma:

L3  Gl  ¯ νl ¯l  L  φ φ0 lR ¯lR φφ¯0  νl l L  (1.82) Una volta rotta la simmetria, l’unica componente del campo di Higgs che rimane `e quella neutra in 1.75: questo permette di generare le masse del leptone inferiore di una qualsiasi delle tre famiglie. Oltre al termine massivo per i campi leptonici, si generano anche termini di accoppiamento con il campo di Higgs: L13   Gl ? 2v ¯lLlR ¯lRlL   ?Gl 2v ¯lLlR ¯lRlL  hpxq   ml¯ll  ml v ¯llhpxq, dove ml G?lv 2 (1.83)

Anche in questo caso l’accoppiamento risulta inversamente proporzionale al valore di v, ma direttamente proporzionale alla massa del leptone stesso (fi-gura 1.5). La generazione delle masse dei quark `e un problema pi`u complesso

(43)

1.5 L’unificazione elettrodebole 33



h0

fR

fL

Figura 1.5: Diagramma per l’accoppiamento del campo scalare di Higgs h0 con il campo fermionico f nel Modello Standard.

in quanto `e necessario generare anche la massa del membro superiore della famiglia. Si pu`o trovare una soluzione osservando che il campo φ di Higgs introdotto `e una rappresentazione irriducibile del gruppo SUp2qL e che `e

possibile ottenere una rappresentazione equivalente:

φc iτ2φ    ¯φ0 φ (1.84)

Il campo φc trasforma come φ, ma a seguito della rottura spontanea della

simmetria, la componente non nulla `e quella superiore, cos`ı come risulta ne-cessario per generare le masse dei quark u, c, t.

Il termine di Yukawa per i quark ha la stessa forma di 1.82; esiste un’unica differenza dovuta al mixing presente tra le famiglie di quark: le interazioni deboli coinvolgono doppietti del tipopui d1iqL, dove gli stati d1isono intesi

co-me combinazioni di autostati di flavor. In quest’ottica, il termine lagrangiano si presenta come: L4   Gijd pui d1iqL  φ φ0 djR Giju pui d1iqL  ¯φ0 φ ujR h.c. ÝÑ  mi dd¯idi  1 h v mi uu¯iui  1 h v con i,j P t1, 2, 3u (1.85) Come si pu`o vedere, il modello di Weinberg-Salam riesce a spiegare come siano generate le masse dei campi di materia e nei campi di gauge. Tali masse, per`o, restano parametri liberi della teoria ed il Modello Standard non `e in grado di darne una stima: g1, g, v e le costanti Gi sono tutte quantit`a

(44)

1.6

La massa del bosone di Higgs

Cos`ı come il Modello Standard non riesce a predire le masse dei campi di materia e dei campi di gauge, allo stesso modo non d`a una stima della massa dell’Higgs. Il termine massivo che `e presente nella 1.81, m2

h  2λv2, dipende

da λ e da v. Il valore di v `e noto, ma λ resta un parametro libero. Nonostante ci`o, esistono dei limiti ben precisi alla massa del bosone di Higgs dettati da considerazioni teoriche, nonch`e valori esclusi dai risultati sperimentali.

1.6.1

Limiti teorici

La costante di accoppiamento λ, come ogni altra costante d’accoppiamento in una teoria rinormalizzabile, sar`a dipendente dalla scala di energia coin-volta nell’interazione. Limiti pi`u stringenti sul suo valore si possono, quindi, ottenere in funzione della scala di energia Λ cui si vuole estendere il Modello Standard. Fissata Λ, la richiesta che la costante rimanga finita fino a tale scala d`a un limite superiore alla massa dell’Higgs.

Studiando le condizioni di rinormalizzazione della teoria con diagrammi di Feynman di ordine successivo al primo e limitandosi allo studio delle corre-zioni ad un loop, si trova che l’accoppiamento di quadrupolo del bosone di Higgs viene corretto da due diagrammi (figura 1.6). Il secondo ed il terzo



h0 h0 h0 h0



h0 h0 h0 h0 h0 h0



t t t t h0 h0 h0 h0

Figura 1.6: Correzioni ad un loop per l’accoppiamento di quadrupolo del bosone di Higgs.

diagramma introducono la costante di accoppiamento λ, che diventa funzio-ne della scala di efunzio-nergia Λ. In particolare, il loop di top la spinge a piccoli valori. Per il loop di Higgs si trova che:

λpΛq  λpvq

1 3λpvq2 ln

Λ v

(45)

1.6 La massa del bosone di Higgs 35

Da questa relazione appare evidente che questa teoria, come la QED, non `e “asintoticamente libera”, nel senso che l’accoppiamento cresce con la scala di energia. Infatti, la teoria raggiunge il limite “non-perturbativo” ad un valore Λ tale che: Λ  v  exp  8π2 3λpvq (1.87) Da 1.87 si capisce che Λ cresce rapidamente al crescere di λpΛq. Inoltre, mh

`e proporzionale a λ12, dunque al crescere di mh il regime non perturbativo si

stabilisce sempre prima. Se si volesse conservare il regime perturbativo fino ad una generica scala di energia Λ, si deve allora richiedere che la mh non

superi il valore limite:

m2 h   4π2v2 3 ln Λ v  (1.88)

Per Λ 1016 GeV (energia stimata per la GUT) si avrebbe m

h   160 GeV.

Se per`o il regime non-perturbativo si instaura a 1 TeV, allora il limite su-periore per la massa dell’Higgs `e 750 GeV. Tuttavia, questo ragionamento `e molto approssimativo, in quanto sarebbe necessario valutare il contributo del loop da quark top.

In maniera diversa, il limite inferiore alla massa del bosone di Higgs pu`o esse-re determinato richiedendo che si abbia effettivamente la rottura spontanea della simmetria: per garantire ci`o, λ deve rimanere positiva a tutte le scale di energia. Infatti, se λ diventasse negativa, il potenziale di Higgs non sarebbe limitato inferiormente e non si avrebbero stati di minimo di energia. Que-sta richieQue-sta impone la cosiddetta “Que-stabilit`a del vuoto”. E’ possibile provare che nelle vicinanze di tale limite diventano importanti le correzioni radiative dovute al loop di top del terzo diagramma di figura 1.6. Come detto, questo loop porta λ ad assumere valori piccoli: addirittura, al crescere della massa del top questi valori possono diventare negativi. Quindi, fissata la massa del top, per evitare tale instabilit`a, la massa dell’Higgs deve eccedere un valore minimo. Anche questo limite `e comunque funzione della scala di energia Λ. Supponendo di voler estendere il Modello Standard ad energie di almeno 1 TeV, si ottiene: mh ¡ ? 3v 32π 16G 4 t g4 2g2g12 3g14 1 2 ln  Λ v (1.89)

(46)

dove Gt´e la costante di accoppiamento tra il bosone di Higgs ed il quark top.

Le considerazioni fatte fino ad ora si possono riassumere nel grafico in fi-gura 1.7. Stime pi`u accurate fissano i limiti superiore ed inferiore per mh

Figura 1.7: Limiti teorici e relative incertezze sul valore della massa del bosone di Higgs in funzione della scala di energia Λ per cui rimane valido il Modello Standard. L’area scura superiore indica la somma delle incertezze teoriche nel limite superiore di MH, considerando fissata mt 175 GeV/c2. L’area

trat-teggiata mostra un’incertezza ulteriore quando si fa variare mt da 150 a 200 GeV/c2. Il bordo superiore corrisponde a

valori di mh per cui il meccanismo di Higgs cessa di

esse-re significativo alla scala Λ, mentesse-re il bordo inferioesse-re indica un valore di mh per il quale la teoria delle perturbazioni

risulta affidabile alla scala Λ. L’area scura inferiore infi-ne rappresenta le incertezze teoriche infi-nel limite inferiore di mh [9].

rispettivamente a 130 GeV e a 190 GeV, estendendo il regime perturbati-vo fino a 1016 GeV. Inoltre, un bosone di Higgs con massa inferiore a 130

GeV suggerirebbe l’esistenza di nuova fisica a partire da una scala di energia minore di ΛGU T [9].

(47)

1.6 La massa del bosone di Higgs 37

1.6.2

Limiti sperimentali

Maggiori informazioni relative al range nel quale individuare la massa del bosone di Higgs vengono dalle ricerche sperimentali. E’ possibile attuare un check di consistenza del Modello Standard in maniera indiretta, tenendo presente quali siano i parametri del modello:

• le masse dei bosoni di gauge: MW, MZ, Mγ;

• la massa del bosone di Higgs: mh;

• le costanti di accoppiamento per le interazioni tra bosoni di gauge e fermioni: g, g1, αs;

• le masse dei fermioni;

• i coefficienti di mixing tra le famiglie di quark: Vij.

Inoltre, ´e indispensabile anche tenere conto delle relazioni che intercorrono tra questi parametri secondo il Modello Standard, ossia 1.61 e 1.80 . Alla luce di questo, il numero di parametri pu`o ridursi ai soli g, sin θW e MW. Di

solito, per´o, si tende ad esprimere tali parametri attraverso quantit`a meglio note, quali αQED, GF, MZ [ref.]:

αQED 

1 137.0359895

GF  1.16639  105GeV2

MZ  91.1867  0.0021GeV {c2 (1.90)

A livello ad albero si ottiene: sin2θ W cos2θW  παQED ? 2GFMZ M2 Z  M 2 W cos 2θ W g2  4παQED sin2θ W (1.91) Lo scopo di una linea di ricerca indiretta `e quello di misurare una serie di osservabili fisiche che in generale risultano essere funzione dei parametri in 1.90. Questo `e stato fatto fino al 2000 a LEP (CERN). In quel caso per`o

Figura

Tabella 1.1: Classificazione dei fermioni nel Modello Standard, divisi in leptoni e quark
Tabella 2.1: Principali caratteristiche di LHC (valori nominali).
Figura 2.2: Sezioni d’urto per collisioni protone-protone in funzione dell’energia nel centro di massa [1].
Figura 2.4: Vista longitudinale di un quarto di CMS, con in evidenza alcuni valori della pseudorapidit` a η.
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Riferimenti

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