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REGIONI ITALIANE A CONFRONTO: INDICATORI DI SOSTENIBILITA' E LORO AGGREGAZIONE. SELEZIONE DEGLI INDICATORI

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UNIVERSITA’ DI PISA

FACOLTA DI ECONOMIA

Corso di Laurea Magistrale in

SVILUPPO E GESTIONE SOSTENIBILE DEL TERRITORIO

TESI DI LAUREA

REGIONI ITALIANE A CONFRONTO:

INDICATORI DI SOSTENIBILITA’ E LORO

AGGREGAZIONE

Relatore:

Chiar.mo Prof.

Tommaso Luzzati

Candidati

*

:

Matteo Floridi

Chiara Speroni

David Trassinelli

Anno Accademico 2006-2007

* Il presente lavoro è frutto di un intenso scambio tra i candidati. L’apporto originale di ciascuno

(2)
(3)

I

INDICE

*

INTRODUZIONE FST... 1

1. LO SVILUPPO SOSTENIBILE... 5

1.1 INTRODUZIONE T... 5

1.2 INQUADRAMENTO STORICO – CULTURALE A LIVELLO INTERNAZIONALE ED EUROPEO T... 6

1.3 LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ITALIA T... 9

1.4 DEFINIZIONI DI SVILUPPO SOSTENIBILE T... 11

1.5 LA SCIENZA POST-NORMALE S... 13

2. COME MISURARE LA SOSTENIBILITA’ : GLI INDICATORI DI SVILUPPO SOSTENIBILE T... 17 2.1 INTRODUZIONE... 17 2.2 MODELLI DI RIFERIMENTO... 18 2.2.1 IL MODELLO PSR... 20 2.2.2 IL MODELLO DSR... 20 2.2.3 IL MODELLO DPSIR... 21 2.2.4 IL MODELLO ABCD... 22

2.3 LE PRINCIPALI FONTI STATISTICHE... 23

2.3.1 GLI INSIEMI DI INDICATORI... 24

2.4 CRITERI DI SCELTA DEGLI INDICATORI... 33

2.5 SINTETIZZARE GLI INDICATORI... 36

2.5.1 PRINCIPALI INDICI SINTETICI IN LETTERATURA... 37

3. COSTRUZIONE DI UN INDICE AGGREGATOS... 55

3.1 INTRODUZIONE... 55

3.2 ANALISI MULTIVARIATA... 60

3.2.1 ANALISI FATTORIALE E DELLE COMPONENTI PRINCIPALI E INFORMAZIONI RAGGRUPPATE PER TEMI... 60

*L’apporto originale di ciascuno degli autori è individuato dalla lettera che contrassegna i

diversi capitoli e/o paragrafi dell’indice: la lettera F indica l’apporto originale di Floridi, la lettera S indica l’apporto originale di Speroni, la lettera T indica l’apporto originale di Trassinelli.

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II II

3.2.2 INFORMAZIONI RAGGRUPPATE PER PAESI: ANALISI DI

RAGGRUPPAMENTO ... 61

3.3 IMPUTAZIONE DEI DATI MANCANTI... 63

3.3.1 ANALISI DEI CASI COMPLETI... 66

3.3.2 IMPUTAZIONE SINGOLA... 66

3.3.3 IMPUTAZIONE MULTIPLA... 68

3.4 NORMALIZZAZIONE... 68

3.4.1 CLASSIFICA ... 69

3.4.2 DEVIAZIONE STANDARD DALLA MEDIA... 69

3.4.3 DISTANZA DALLA MIGLIORE E PEGGIORE PERFORMANCE... 70

3.4.4 DISTANZA DAL LEADER... 71

3.4.5 DISTANZA DALLA MEDIA... 71

3.5 ASSEGNAZIONE DEI PESI... 72

3.5.1 PESI UGUALI... 72

3.5.2 ASSEGNAZIONE DEI PESI BASATA SULL’OPINIONE DI PUBBLICO ED ESPERTI. ... 73

3.5.3 ASSEGNAZIONE DEI PESI BASATA SU MODELLI STATISTICI... 76

3.6 METODI DI AGGREGAZIONE... 79

3.6.1 METODI ADDITIVI... 79

3.6.2 MEDIA GEOMETRICA... 80

3.6.3 ANALISI MULTICRITERIA NON COMPENSATORIA. ... 81

3.7 ANALISI DELLA ROBUSTEZZA DELL’INDICE... 83

3.8 PRESENTAZIONE E VISUALIZZAZIONE DEI RISULTATI. ... 84

4. SPERIMENTAZIONE DEL CALCOLO DEGLI INDICATORI AGGREGATI A LIVELLO REGIONALE E ANALISI DI ROBUSTEZZA ... 87

4.1 INTRODUZIONE F... 87

4.2 L’INDIVIDUAZIONE DI UN INSIEMET... 88

4.3 COSTRUZIONE DELL’INDICE DI SOSTENIBILITÀ RELATIVA F... 96

4.4 ANALISI DI ROBUSTEZZA F... 104

4.4.1 NORMALIZZAZIONE... 104

4.4.2 ASSEGNAZIONE DEI PESI ... 109

4.4.3 AGGREGAZIONE... 113

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III IIIII

4.5 LA SITUAZIONE DELLA TOSCANA RISPETTO ALLE ALTRE REGIONI

ITALIANE F...121

CONCLUSIONI FST...125

LISTA DEGLI ACRONIMI...129

APPENDICE A: SCHEDE DESCRITTIVE DEGLI INDICATORI SELEZIONATI T...133

APPENDICE B: I DATI RACCOLTIF...161

APPENDICE C: STRUMENTI INFORMATICI UTILIZZATI F...175

BIBLIOGRAFIA ...179

WEBGRAFIA...185

INDICE DELLE TABELLE...187

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1

INTRODUZIONE

FST

Lo sviluppo sostenibile è concetto multidimensionale e complesso che implica un compromesso tra obiettivi ambientali, economici e sociali. Il problema della sua valutazione si pone quando dall’idea astratta di sostenibilità si passa alla formulazione di politiche effettive, in quanto la sostenibilità è questione che, per sua natura, contiene forti connotati di soggettività e che non trova consenso sui metodi e sugli indicatori per valutarla.

Una volta stabiliti i metodi di rilevazione ed elaborazione dei dati e quali indicatori usare, occorre stabilire quali siano i punti di riferimento rispetto ai quali effettuare la valutazione. Si può, ad esempio, voler valutare l’andamento nel tempo di alcuni indicatori e capire in che direzione si sta muovendo una certa regione. Si possono invece effettuare esercizi di benchmarking e confrontare l’ambito territoriale di riferimento con altri territori simili in modo da evidenziarne la situazione relativa; in questo caso la valutazione non consente di trarre conclusioni sulla sostenibilità in termini assoluti dell’area scelta. Un altro possibile scopo è confrontare lo stato presente e la sua evoluzione rispetto ad obiettivi fissati a livello politico.

Considerata l’enorme mole di indicatori (semplici) disponibili, si pone il problema della loro “trattabilità”, soprattutto quando si tratta di comunicare i risultati e monitorare un intervento o un fenomeno. In altri termini il problema è quello della sintesi, spesso, ma non esclusivamente, affrontato aggregando diversi indicatori semplici in uno o più indicatori compositi, detti anche indici. Numerosi sono i tentativi di elaborare validi indici aggregati per misurare lo sviluppo sostenibile - spesso al fine di trovare un’alternativa al PIL, indicatore macroeconomico utile per la misurazione della crescita ma non sempre per quella dello sviluppo e del benessere. Esempi di indici che mirano a correggere i difetti del PIL sono il Measure of Economic Welfare (MEW), l’ Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW), il Genuine Progress Indicator (GPI), l’ Indice di Benessere Economico Sostenibile per l’Italia (RIBES) ed il Genuine Saving. Altri indici come lo Human Development Index (HDI), l’ Impronta Ecologica, lo Spazio

Ambientale, il Cruscotto della Sostenibilità, l’Environmental Sustainable Index (ESI) e altri, prendendo le distanze dal PIL, propongono una unità di misura diversa dalla moneta.

Ovviamente, utilizzare un solo indice significa oscurare le varie sfere della sostenibilità - ambientale, economica e sociale. Inoltre sintetizzare vari indicatori con un indice significa accettare un’ottica del tutto compensatoria in cui le buone

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prestazioni in un aspetto compensano quelle cattive in un altro. E’ chiaro che una maggiore sintesi conduce ad una migliore chiarezza di presentazione; al tempo stesso essa aumenta il rischio di non robustezza dei risultati e, comunque, riduce la loro portata informativa.

Come accennato, quando si ha per oggetto un fenomeno multidimensionale, complesso e in divenire, la sua rappresentazione varia a seconda della scala che adottiamo e del criterio di osservazione, che determinano la scelta delle numerosissime variabili che entrano in gioco. La costruzione di un indice sintetico è pertanto discrezionale, tant’è che anche la procedura più rigorosa è affetta dall’arbitrarietà e dalla soggettività delle scelte. Tuttavia, per poter disporre di strumenti di monitoraggio dall’efficace potere comunicativo,l’uso di indici sintetici si è diffuso rapidamente nell’operare politico e nella vita di tutti i giorni - soprattutto per i confronti tra

performance di un ambito territoriale nello spazio e nel tempo e per costruire classifiche di regioni o paesi.

Per evitare erronee interpretazioni degli indici o la costruzione di indici caratterizzati da deboli basi teoriche, è importante avere sempre chiaro quali strumenti teorici si utilizzano e tenere conto che ogni scelta metodologica relativa ad un passaggio è inevitabilmente legata alle scelte effettuate nella tappa precedente e successiva; per questo uno schema scientifico è quello che si fonda su passaggi trasparenti e ripercorribili. In altre parole, a partire dalla scelta di quali indicatori usare, fino alla fase finale di presentazione dei risultati occorre porre attenzione agli aspetti critici che ogni passaggio nasconde e non perdere di vista l’obiettivo finale della ricerca.

In quest’ottica assume rilevanza particolare il problema della robustezza dell’indicatore, in quanto la soggettività delle scelte e le criticità relative ai dati, agli indicatori selezionati e agli strumenti teorici scelti, introducono elementi di incertezza nella costruzione dell’indice composito. Mediante l’analisi della robustezza si può attestare la validità del risultato ottenuto e capire quanto l’esito della ricerca sia sensibile a piccoli cambiamenti. Il risultato o la classifica finale possono essere posti a confronto con altri indicatori o classifiche ottenute mediante procedimenti diversi per vedere se varia, in che misura, il posizionamento di una regione, o il valore assoluto dell’indicatore composito.

Scopo del presente lavoro è approfondire questi problemi a livello teorico per poi mettere in pratica le conoscenze acquisite mediante la costruzione, a scopo di esercizio,

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3

di indici compositi. La tesi è frutto di un lavoro di gruppo in cui vi è stato un intenso scambio di opinioni e conoscenze; l’apporto individuale di ciascuno di noi è specificato nell’indice.

Il lavoro è articolato in quattro parti. La prima fornisce un quadro generale sul significato dello sviluppo sostenibile e sulle tappe del negoziato internazionale e nazionale in riferimento a questo tema, passando da un inquadramento storico-culturale a quello scientifico consolidato nella scienza post-normale. La seconda parte passa in rassegna prima le banche dati costruite dalle principali istituzioni internazionali e nazionali poi gli indicatori compositi più noti in letteratura. Ciascun insieme di indicatori e ciascun indice aggregato sarà proposto attraverso una tabella che, oltre a contenerne una breve definizione, il nome dell’ideatore o dell’ente promotore, ne riassume le caratteristiche principali, come i punti di forza e le criticità. Nel caso degli indici compositi saranno inoltre presentati alcuni risultati derivati da una loro applicazione ad un caso concreto. La terza parte mira ad riassumere, attraverso l’esame critico di alcuni contributi della letteratura, il processo statistico-matematico che conduce all’ottenimento di un indicatore aggregato, con particolare attenzione agli aspetti più delicati di tale processo. I principali temi che emergono da questa analisi sono i seguenti: la fase di selezione degli indicatori; la struttura del

dataset e le relazioni che intercorrono tra gli indicatori; il problema dei dati mancanti; la riduzione ad una comune scala dimensionale di indicatori espressi in unità di misura diverse; la scelta del sistema di pesi; i metodi di aggregazione in un indice composito; le strategie per valutare la robustezza; l’efficacia nella presentazione dei risultati

La quarta parte intende fornire una vera e propria sperimentazione di calcolo di indici aggregati in rapporto alla sostenibilità relativa delle regioni italiane. Il primo passo sarà la selezione degli indicatori e la raccolta dei relativi dati. Ciò fatto sarà possibile calcolare numerosi indici, avendo cura di testare per ogni passaggio più metodologie e osservare poi il relativo posizionamento delle regioni.

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1. LO SVILUPPO SOSTENIBILE

1.1 INTRODUZIONE

T

Per quanto il concetto di sviluppo sostenibile sia entrato nell’agenda politica internazionale solo da pochi anni, il problema della scarsità delle risorse naturali e del loro sfruttamento è presente in tutta la storia del pensiero economico. Fin dagli albori dell’economia moderna, i suoi interpreti si sono preoccupati della limitatezza di alcuni dei fattori produttivi, in primis della terra coltivabile e dei vincoli che ne derivano per la crescita economica. Ad esempio Malthus1 fu tra i primi ad affermare l’idea che la

scarsità delle risorse naturali potesse essere ostacolo alla crescita, sottolineando la limitatezza delle risorse naturali a fronte di una popolazione in continuo aumento. Egli conclude che, tenuto conto dei limiti naturali e in particolare di terre coltivabili, la crescita demografica comporta un declino del capitale e della produzione e di conseguenza della crescita economica. È facile vedere quanto vicini si fosse già a una visione assolutamente attuale e moderna di equità, per lo meno a livello intergenerazionale, dello sviluppo rappresentata dall’uguale accesso a una “porzione” di risorse naturali.

Negli anni più recenti è a partire dal secondo dopoguerra che emerge una forte consapevolezza ambientale sia in riferimento alla scarsità delle risorse naturali sia per quanto riguarda gli effetti dell’inquinamento legati alla produzione industriale. Il dibattito si accende agli inizi degli anni settanta successivamente alla pubblicazione del noto rapporto del Club di Roma “I limiti della crescita”.

Nei trenta anni successivi alla Conferenza ONU sull’”Ambiente Umano”, tenuta a Stoccolma nel 1972 si irrobustisce una consapevolezza ecologista che si basa sul nuovo concetto di sviluppo sostenibile, in cui sviluppo e crescita si differenziano in modo sostanziale poiché il primo implica il conseguimento di una situazione migliore della precedente e possiede caratteristiche sia qualitative che quantitative; al contrario l’idea di “crescita” riguarda solo l’aumento quantitativo nelle dimensioni fisiche, come scrive il premio nobel per l’economia A. Sen <<…l’espansione della libertà è vista sia come fine

primario che come mezzo principale dello sviluppo. Lo sviluppo consiste nell’eliminare vari tipi

1 Thomas Robert Malthus (1766-1834), economista e sociologo inglese, pubblicò nel 1798 "An

essay of the principle of the population as it affects the future improvement of society" (Saggio sul principio della popolazione) in cui sostenne che l'incremento demografico avrebbe spinto a coltivare terre sempre meno fertili con conseguente scarsità di generi di sussistenza per giungere all'arresto dello sviluppo economico, poiché la popolazione tenderebbe a crescere in progressione geometrica, quindi più velocemente della disponibilità di alimenti, che crescono invece in progressione aritmetica.

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di privazione della libertà che lasciano agli uomini poche scelte e poche occasioni di agire secondo ragione; eliminare tali privazioni sostanziali è un aspetto costitutivo dello sviluppo. Il vantaggio della crescita economica non è dato dal fatto che l’aumento della ricchezza accresce la felicità, ma che con essa si allarga la possibilità di scelta dell’uomo…>>.

(A. SEN, 2002)

1.2 INQUADRAMENTO STORICO – CULTURALE A LIVELLO

INTERNAZIONALE ED EUROPEO

T

All’inizio degli anni ’70 ha origine una serie di appuntamenti a livello internazionale ed europeo, dove si discute del problema dei limiti della crescita economica. La conferenza di Stoccolma del 1972 è stata la prima conferenza mondiale con rappresentanti di tutti i governi, dedicata ai problemi dell’ambiente e del futuro dell’umanità. Nella dichiarazione, firmata dai capi delle 110 delegazioni, è resa nota la presa di coscienza del problema, definendo la difesa ed il miglioramento dell’ambiente scopo imperativo di tutta l’umanità, da perseguire insieme alla pace e lo sviluppo economico e sociale dell’intero mondo.

Nel 1987 la Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo, la WCED, istituita nel 1983 e presieduta dalla norvegese Gro Harlem Brundtland, presenta il proprio rapporto Our Common Future in cui formula una efficace definizione di sviluppo sostenibile che diventerà definizione di riferimento. Nel rapporto viene espressamente dichiarata la necessità di inserire variabili non economiche nella definizione di benessere come la salute, l’istruzione, la protezione delle bellezze naturali e la necessità di considerare la protezione dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile obiettivi e doveri di tutti gli enti governativi e delle grandi organizzazioni pubbliche e private.

Il Summit della terra di Rio de Janeiro del 1992 è il punto di partenza del percorso istituzionale dello sviluppo sostenibile. I Paesi aderenti riconoscono che le problematiche ambientali devono essere affrontate in maniera universale e che le soluzioni devono coinvolgere tutti gli Stati. Si afferma così la cultura del multilateralismo, in cui non solo le preoccupazioni ma anche le sfide e gli sforzi devono essere comuni. Per sovrintendere all’applicazione degli accordi nasce la Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (CSD) con il mandato di elaborare indirizzi politici per le attività future.

Durante il Summit della Terra furono votati due documenti importanti: la

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sviluppo sostenibile e l’Agenda 21, la quale fornisce una guida operativa per l’evoluzione verso un modello socio economico sostenibile e condiviso, capace di produrre benessere diffuso e prolungato nel rispetto dei limiti imposti dall’ecologia del pianeta ed a garanzia dell’equità sociale. Venne inoltre approvata la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, che pone obblighi di carattere generale miranti a contenere e stabilizzare la produzione di gas che contribuiscono all’effetto serra.

Nel corso della terza Conferenza delle Parti, svolta a Kyoto nel 1997, la convenzione approvò il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore solo a partire dal 16 Febbraio 2005 con la ratifica da parte della Russia. Il trattato prevede l’obbligo in capo ai Paesi industrializzati di riduzione delle emissioni di sei elementi climalteranti, tra cui biossido di carbonio e metano. L’efficacia del trattato rimane limitata a causa dell’adesione volontaria al protocollo e la mancanza di sanzioni in caso di violazione dello stesso.

Il nuovo secolo si è aperto con una dichiarazione d’intenti per la lotta contro la povertà nel mondo, derivata dall’Assemblea del Millennio, convocata dalle Nazioni Unite nel Settembre 2000 .I rappresentanti dei 189 paesi presenti hanno sottoscritto nella dichiarazione obiettivi e target da raggiungere entro il 2015 (i Millennium Development Goals, MDGs). Gli obiettivi comprendono l’eliminazione della povertà e della fame, il raggiungimento dell’istruzione primaria universale, la promozione dell’uguaglianza dei generi e l’autonomia della donna, la riduzione della mortalità infantile, il miglioramento della salute materna, la lotta all’AIDS, la malaria e altre malattie, la promozione della sostenibilità ambientale e la creazione di una partnership globale per lo sviluppo. Gli Obiettivi e i relativi target sono interdipendenti tra loro e debbono essere visti come un corpo unico. Essi interpretano una partnership globale determinata a creare un contesto favorevole allo sviluppo ed alla cancellazione della povertà dal mondo.

A Monterrey, in Messico, nel 2001 si svolge un’importante conferenza per sancire l’impegno finanziario da parte di numerosi governi per combattere l’AIDS, dimezzare la povertà e garantire l’istruzione. L’importanza di questa Conferenza risiede, però, nel aver rappresentato una prima occasione d’incontro tra governi, società civile imprenditoria e gruppi d’interesse istituzionali sulle materie economiche a carattere mondiale.

Nel 2002 si è svolto a Johannesburg il World summit sullo sviluppo sostenibile. In questa sede si rinnova l’impegno nella lotta alla povertà attraverso uno sviluppo

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sostenibile, svincolato dal degrado ambientale e dal consumo esasperato di risorse. Il Vertice è pervaso da un clima di attesa e scetticismo in cui l’entusiasmo di molti si scontra con la politica reale. Si tratta di fare i conti con i risultati deludenti rispetto agli impegni presi nel decennio precedente, in un mondo in cui povertà e degrado ambientale avanzano inesorabilmente di pari passo con il divario fra Sud e Nord del mondo. A Johannesburg entra in crisi il multilateralismo per opera dell’amministrazione USA e finisce il precario idillio nato a Rio fra ambientalismo e istituzioni.

L’ultimo summit sul clima dell’ONU si è appena concluso a Bali nel dicembre 2007. I leader politici si sono accordati per una road map di negoziati entro il 2009. I paesi industrializzati, nei prossimi due anni, dovranno trovare un accordo per un forte taglio delle emissioni. L'Unione Europea e i paesi in via di sviluppo leader come il Brasile, la Cina e il Sud Africa dovranno proporre un piano di lavoro per i prossimi anni di maratona negoziale. Dal summit sono scaturiti due impegni importanti come il trasferimento delle tecnologie e la lotta alla deforestazione, riconosciuta fra le principali cause dell’aumento delle emissioni di anidride carbonica.

Se a livello internazionale, con la dichiarazione di crisi del multilateralismo degli USA, abbiamo avuto una brusca frenata sul cammino dello sviluppo sostenibile, a livello europeo ciò non è avvenuto. Al contrario, con la Strategia di Lisbona del 2000, l’Europa si autocandida a divenire centro della conoscenza e dell’innovazione, realizzando una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.

A partire dal 1973 all’interno del Parlamento Europeo si è costituita la Commissione per l’Ambiente e su suggerimento di questa l’UE si è dotata, proprio a partire dal ’73. di sei piani d’azione per l’ambiente.

Il V piano (1993-2000) ed il VI piano (2000-2010) possono essere identificati come i piani della “svolta” nell’impegno dell’Unione Europea nel perseguire una logica di sviluppo sostenibile. Il V Piano d’Azione rappresenta il primo quadro di riferimento dopo la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 ed ha caratterizzato le politiche di sostenibilità nel corso degli anni ’90. Il programma Per uno sviluppo durevole e sostenibile si concentrava su obiettivi come il passaggio da strumenti d’azione a favore dell’ambiente non più basati sul sistema di command and control bensì volontari, il cambiamento dei modelli di produzione e consumo, la necessità di partecipazione di

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tutti gli attori coinvolti, pubblici e privati, e di integrare le scelte e gli obiettivi di tutela ambientale nelle altre politiche.

Il VI piano d’azione comunitario “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” individua quali priorità urgenti il cambiamento climatico, la protezione della natura e della biodiversità, la salute e la qualità della vita, la gestione delle risorse naturali e dei rifiuti.

Il Processo di Goteborg dal 2001 definisce la strategia per lo sviluppo sostenibile dell’Unione europea. Questo rappresenta il tentativo, non ancora del tutto realizzato, di armonizzare le politiche nei diversi settori e dare le priorità per lo sviluppo sostenibile integrando i diversi aspetti.

Nel 2005, a cinque anni dal varo della Strategia di Lisbona, la Commissione presenta un bilancio contenuto dei risultati conseguiti. Le prestazioni previste per l'economia europea in materia di crescita, di produttività e di occupazione non sono state raggiunte. Al fine di imprimere un nuovo slancio alla strategia, la Commissione propone, attraverso una comunicazione (“Lavoriamo insieme per la crescita e l’occupazione. Un nuovo slancio per la strategia di Lisbona”, del febbraio 2005) un processo di coordinamento semplificato accompagnato da una concentrazione degli sforzi sui piani di azione nazionali. La comunicazione si presenta come un rilancio delle priorità politiche, segnatamente in materia di crescita e di occupazione. L’attenzione della Commissione si sposta sulle azioni da svolgere piuttosto che sugli obiettivi in cifre da raggiungere.

Rimane infine da menzionare il Piano di azione per l'efficienza energetica (2007-2012) adottato dalla Commissione Europea da cui parte la strategia del "20 - 20 - 20": ridurre le emissioni di CO2 del 20%, aumentare l'efficienza in campo energetico del 20%, portare la produzione di energia rinnovabile al 20% entro il 2020. Il piano di azione prevede misure volte ad accrescere l'efficienza energetica di prodotti, edifici e servizi, a migliorare il rendimento della produzione e della distribuzione di energia, a ridurre l'impatto dei trasporti sul consumo di energia, a favorire il finanziamento e la realizzazione di investimenti nel settore, a promuovere e a rafforzare un comportamento razionale in merito al consumo di energia e a potenziare l'azione internazionale in materia di efficienza energetica.

1.3 LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ITALIA

T

Nel 1976 il gravissimo incidente occorso all’Icmesa di Seveso, con l’esplosione del reattore, segna in Italia il passaggio dalla fase accademica dell’ambientalismo alle

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prime forme di rivendicazione dell’integrità dell’ambiente allora intesa come presupposto imprescindibile della salute dei lavoratori.

Fino agli anni ’90 la questione ambientale resta però sostanzialmente al di fuori delle istituzioni ed assume forti connotazioni sociali e politiche.

Nel 1980 nasce a Roma su tematiche essenzialmente energetiche, la Lega per l’Ambiente che in seguito assumerà l’attuale denominazione di Legambiente. La nascita degli Amici della Terra Italia avviene nel 1979 mentre l’ufficio italiano dell’associazione internazionale Greenpeace è del 1986.

I rappresentanti del Ministero dell’Ambiente2 sono presenti per la prima volta in

rappresentanza del Governo Italiano al vertice della terra di Rio de Janeiro nel 1992 e pur essendo stato modesto il contributo italiano al dibattito preparatorio, durante il vertice l’Italia fu in prima linea. Al ritorno in Italia della delegazione gli esiti della Conferenza tardarono a manifestarsi: una Commissione ministeriale per l’ambiente globale viene incaricata di redigere un Piano italiano per lo sviluppo sostenibile in attuazione di Agenda 21. Il Piano, buono ma privo di concertazione e di consenso, privo anche di risorse finanziarie, viene approntato adottando uno schema derivato dal “V Piano di Politica e di Azione a favore dell’ambiente e di uno Sviluppo Sostenibile”, votato dal Consiglio Europeo nel febbraio del ’93. Il CIPE3 approva questo Piano nel dicembre

’93, ma esso finisce relegato in un cassetto dove rimarrà incapace di produrre azioni concrete, ma non incapace di orientare le politiche ambientali su scala nazionale e locale in tutto il decennio seguente.

La riscrittura del Piano Cipe del ’93, “Strategia di Azione Ambientale per lo Sviluppo

Sostenibile” viene approvato nell’Agosto 2002 per effetto dell’urgenza e della pressione esercitata dall’imminente Summit di Johannesburg. La Strategia, pur rinnovata rispetto al Piano del 1993, contiene programmaticamente soltanto la dimensione ambientale. Lo schema concettuale rispecchia il VI Programma d’Azione Ambientale della Commissione Europea. La “Strategia di Azione Ambientale” rappresenta un punto di riferimento parziale ma comunque l’unico quadro organico di riferimento a livello nazionale per lo sviluppo sostenibile. Essa si articola in quattro aree d’intervento:

2 Il Ministero dell’Ambiente è stato istituito soltanto nell’86, affidato a Giorgio Ruffolo, e

finanziato un anno dopo. Il Ministero nasce senza supporti tecnici, con limitate capacità e competenze per avviare una politica ambientale non solamente emergenziale.

3 Il CIPE, acronimo di Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica è

l'organismo statale creato nel 1967 che predispone gli indirizzi della politica economica nazionale. Promuove, inoltre, l'azione necessaria per l'armonizzazione della politica economica nazionale con le politiche economiche degli altri Paesi della Comunità europea.

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Clima e Atmosfera, Tutela della Natura e della Biodiversità, Qualità dell’ambiente e qualità della vita negli ambienti urbani, Prelievo delle risorse e produzione di rifiuti. Per ognuna delle aree sono stati individuati obiettivi generali, specifici, indicatori e, quando possibile, target. Gli obiettivi e le azioni della strategia si ispirano a tre criteri di fondo: la progressiva dematerializzazione del sistema economico con riduzione del prelievo di risorse naturali; la diminuzione dei rischi connessi a specifiche forme di inquinamento e di degrado ambientale superando la logica emergenziale; la partecipazione consapevole di tutti gli attori. Non mancano in Italia gli approcci strategici ai problemi sociali, economici e della salute dell’uomo. Manca invece la capacità da parte delle varie istituzioni di rappresentarli in forma organica ed unitaria in una visione coerente e sostenibile dello sviluppo.

1.4 DEFINIZIONI DI SVILUPPO SOSTENIBILE

T

La prima definizione di “sviluppo sostenibile” in ordine temporale è contenuta nel rapporto Brundtland (dal nome della presidente della Commissione, la norvegese Gro Harlem Brundtland) del 1987: «lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che garantisce i

bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri»4.

Una successiva definizione di sviluppo sostenibile, in cui è inclusa invece una visione più globale, viene data, nel 1991, dalla World Conservation Union5, UN

Environmental Programme and World Wide Fund for Nature, che lo identifica come:

<<...un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende…>>.

Nello stesso anno Herman Daly6 ricondusse lo sviluppo sostenibile a una idea di

equilibrio da raggiungere tra uomo ed ecosistema individuando tre condizioni sull’uso delle risorse naturali:

4 Rapporto “Our Common Future” della World Commission on Environment and Development

(Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo dell'ONU).

5 L'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, World Conservation Union,

meglio conosciuta con il suo acronimo IUCN, è una organizzazione non governativa internazionale con sede in Svizzera. È stata fondata nel 1948 con la finalità di supportare la comunità internazionale in materia ambientale svolgendo un ruolo di coordinamento e di scambio di informazioni fra le organizzazioni. È generalmente considerata la più autorevole organizzazione in materia di conservazione della natura ed è l'unica organizzazione specializzata nelle tematiche dell'ambiente che ha un posto di osservatore nell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

6 Herman E. Daly, economista ambientale, è attualmente professore all’Università del

Maryland. Dal 1988 al 1994 ha lavorato come Senior Economist per il dipartimento ambientale della World Bank e precedentemente, per circa vent’anni, aveva insegnato economia alla

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• il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione;

• l'immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell'ambiente non deve superare la capacità di carico dell'ambiente stesso;

• lo stock di risorse non rinnovabili deve restare costante nel tempo. Nel 1994, l'ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives)7 ha

fornito un'ulteriore definizione di sviluppo sostenibile: <<...Sviluppo che offre servizi

ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l'operabilità dei sistemi naturali, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi…>>. Ciò significa che le tre dimensioni economiche, sociali ed ambientali sono strettamente correlate, ed ogni intervento di programmazione deve tenere conto delle reciproche interrelazioni.

Nel 2001, l'UNESCO ha ampliato il concetto di sviluppo sostenibile indicando che: <<…la diversità culturale è necessaria per l'umanità quanto la biodiversità per la natura

(...) la diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale…>> (Art 1 e 3 della “Dichiarazione Universale

sulla Diversità Culturale”, UNESCO, 2001). In questa visione, la diversità culturale diventa il quarto pilastro dello sviluppo sostenibile, accanto al tradizionale equilibrio delle tre E (Ecologia, Economia ed Equità sociale).

Dalle definizioni ricavate in letteratura, circa trecento, si evidenzia in generale una prospettiva di uno sviluppo sostenibile dipendente da uno sforzo giocato contemporaneamente sul terreno economico, ambientale e sociale. Economia, ambiente e società rappresentano i tre pilastri portanti su cui fondare la sostenibilità, senza Louisiana State University. Daly ha ottenuto una fama crescente per i suoi studi sul rapporto tra economia ed ecosistema (visto come fonte delle materie primarie, bacino ricettivo dei rifiuti e fonte di energia). Secondo Daly, che è anche uno dei fondatori della rivista Ecological Economics, la nostra economia è cresciuta talmente tanto che la sua domanda minaccia di superare la naturale capacità dell’ecosistema di rigenerare le risorse e assorbire i rifiuti. Questo significa che il cammino del progresso economico deve spostarsi dall’idea di crescita (espansione quantitativa) a quella di sviluppo (miglioramento qualitativo). La sfida sta nella ricerca di quelle politiche, tecnologie, istituzioni e anche valori etici necessari ad attuare questa trasformazione.

7 L'International Council for Local Environmental Initiatives, ICLEI, è un'associazione

internazionale costituita da amministrazioni locali e finalizzata alla prevenzione e risoluzione di problemi ambientali locali, nazionali e globali attraverso la realizzazione di azioni a livello locale. Conta più di 350 membri, tra cui molte capitali europee ed alcune grandi metropoli di tutto il mondo.

(19)

13

sminuire l’importanza attribuita agli aspetti demografici e culturali, essendo comunque la sostenibilità un concetto che include numerose componenti tra loro correlate.

Sviluppo sostenibile è quindi integrazione di sostenibilità economica, ambientale e sociale: deve essere equo e durevole, deve garantire che le risorse naturali restino disponibili in qualità e quantità adeguate e che il loro sfruttamento non sia indiscriminato e non deve alterare la capacità degli ecosistemi di rigenerare le risorse stesse ed infine deve garantire equità sociale, intragenerazionale e quindi sia a livello locale sia internazionale, implicando la parità di accesso alle risorse da parte degli attuali abitanti della Terra ed anche intergenerazionale assicurando la possibilità di accesso alle risorse al di là dell’orizzonte di breve e medio periodo della crescita economica passando a considerazioni di lungo periodo.

1.5 LA SCIENZA POST-NORMALE

S

L’intreccio tra problemi naturali e sociali e i nuovi problemi di dimensione globale che producono conseguenze di lungo periodo a volte non reversibili, hanno reso meno efficaci i classici strumenti analitici e posto le basi per un nuovo paradigma scientifico, quello della scienza post-normale.

Il concetto della scienza post-normale è stato introdotto dai filosofi della scienza Silvio Funtovicz e Jerry Ravetz all’inizio degli anni novanta come metodologia per affrontare i problemi di scienza, tecnologia e società. La scienza post-normale ci vuole indicare che viviamo in un mondo nel quale i fatti sono incerti, le decisioni urgenti e le scelte hanno conseguenze potenzialmente enormi, in questo contesto è difficile prendere buone decisioni politiche poiché entrano in gioco giudizi di valore che offuscano l’oggettività della scienza.

Il termine post-normale vuole evidenziare l’impossibilità e di applicare le tipiche procedure di validazione della scienza normale, di conseguenza anche gli ordinari metodi di problem solving non sono più adatti a risolvere problemi complessi come quelli relativi alla sostenibilità dello sviluppo.

La scienza post-normale accetta l’idea della complessità della realtà: la realtà è in continuo divenire e può essere osservata da punti di vista differenti, adottando diverse scale di rappresentazione.

In questo modo viene rigettata l’idea dell’esistenza di un modello di rappresentazione della realtà universalmente valido, per abbracciare il concetto di una realtà complessa la cui rappresentazione varia a seconda della scala adottata e del criterio di osservazione.

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14

I sistemi naturali, sociali ed economici evolvono in modo instabile e con crescenti discontinuità spaziali e temporali, in questo contesto anche piccoli cambiamenti iniziali possono produrre grandi effetti. I sistemi nei quali viviamo sono caratterizzati da dal cambiamento e, sono sistemi adattivi complessi che alternano periodi di stabilità a periodi di drastici mutamenti.

In questo quadro si situa la scienza post-normale, una disciplina scientifica non ancora matura ma frutto della convergenza di discipline diverse che cercano di analizzare le relazioni tra i sistemi naturali, economico e sociale per poterle gestire al meglio.

Nel prendere decisioni di governance8 siamo di fronte ad oggettive situazioni di

incertezza, di conseguenza la qualità delle scelte di policy9 è influenzata dal grado di

robustezza delle politiche rispetto all’incertezza.

Nella gestione dell’incertezza, la scienza post-normale riconosce la presenza e la legittimità di diversi principi di valore e non rivendica neutralità morale, ne indifferenza verso le conseguenze delle sue politiche. Viene riconosciuta l’importanza della partecipazione al dialogo dell’uomo della strada (lay-person). L’estensione alla

comunità dei parigrado (peer community) è importante per la qualità dei processi di gestione dei sistemi complessi.

L’utilizzo della scienza post-normale nel processo di presa delle decisioni implica un cambiamento di paradigma e un passaggio da un concetto di razionalità oggettiva ad uno di razionalità procedurale.

La razionalità oggettiva si basa sull’assunto che sia possibile definire con certezza una soluzione ottimale condivisa da tutti gli attori sociali, mentre la razionalità procedurale si basa sull’idea che il processo di presa delle decisioni è caratterizzato da informazione incompleta, incertezza o ignoranza nei modelli usati per spiegare il presente e il futuro ed esistenza di punti di vista legittimi ma discordanti su cosa vada considerato un miglioramento. In base alla razionalità procedurale, paradigma scientifico alla base della scienza post-normale, le decisioni dovrebbero essere basate sulla negoziazione tra gli attori sociali.

Gli avanzamenti nelle discipline nell’ambito della scienza post-normale stanno contribuendo alla formazione di una scienza della sostenibilità, frutto della

8 Gestione dei sistemi naturali e socio-economici. 9 Politiche di intervento dei governi.

(21)

15

convergenza interdisciplinare di saperi che contribuiscono a comprendere al meglio il concetto di sostenibilità e a metterlo in pratica. (Falorni, Golfarini 2007).

(22)
(23)

17

2. COME MISURARE LA SOSTENIBILITA’ : GLI INDICATORI

DI SVILUPPO SOSTENIBILE

T

2.1 INTRODUZIONE.

“Indicators are also important tools to communicate ideas, thoughts and values because as an authority said, “We measure what we value, and we value what we measure”

(United Nations, 2001)

L’OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel 1997 ha definito un indicatore «…un parametro od un valore derivato da più parametri, in grado

di fornire informazioni su un determinato fenomeno, con una significatività che va oltre quella associata al parametro da un valore numerico» (OECD, 1997).

Un indicatore è quindi una misura quantitativa che, seguita nel tempo, fornisce informazioni sulle tendenze di un fenomeno. Inoltre è in grado di comunicare in modo semplice fenomeni complessi e di quantificare gli elementi necessari a monitorare e a valutare un intervento.

La sostenibilità non è certamente un "oggetto" facilmente misurabile, lo dimostra il fatto che pur dopo quindici anni di dotte discussioni e di sperimentazioni ancora non si è trovato un accordo a livello internazionale e europeo sui suoi indicatori, sulle sue "unità di misura", sui metodi per il suo monitoraggio, per la sua misurazione e per l'effettuazione dei necessari bilanci.

Le varie organizzazioni sono comunque in sintonia nel ricorrere necessariamente agli indicatori per la misura della sostenibilità.

A partire dal 1992, con l’adozione del documento Agenda 2110, è sempre più in

uso il concetto di indicatore di sviluppo sostenibile. Una delle fasi del processo d’Agenda 21 è la redazione del Rapporto sullo Stato dell’Ambiente, il quale viene elaborato attraverso l’utilizzo di indicatori ambientali. La scelta e l’analisi degli indicatori rappresenta una fase importante per definire un percorso finalizzato alla determinazione di un Piano d’Azione per migliorare le condizioni di vita di una comunità. Inoltre la necessità di determinare una serie d’indicatori è formulata nella stessa Agenda 21: «Gli indicatori generalmente in uso come il prodotto nazionale lordo e la

dimensione dei flussi di singole risorse o sostanze inquinanti non danno informazioni sufficienti sulla questione della sostenibilità. E’ necessario elaborare indicatori di uno sviluppo sostenibile,

10 Quarto Documento internazionale firmato a Rio di Janeiro, nel 1992. E’ un vasto programma

(24)

18

in modo da creare solide fondamenta per le decisioni a ogni livello e da contribuire a una sostenibilità autoregolante dei sistemi integrati ambientali e di sviluppo» (Agenda 21, Capitolo. 40,4).

Gli indicatori di sostenibilità rappresentano uno strumento di controllo del processo di realizzazione di uno sviluppo sostenibile, in termini d’avvicinamento o allontanamento dagli obiettivi prefissati. Essi permettono quindi di monitorare lo sviluppo misurando i progressi compiuti dall’intero sistema in relazione al raggiungimento di obiettivi di qualità sociale, economica e ambientale (Federico T., Barbabella A., 2005).

Gli indicatori di sostenibilità possono svolgere diverse funzioni:

• monitorare le condizioni ambientali, sociali ed economiche del contesto territoriale considerato e il loro andamento temporale;

• integrare le considerazioni ambientali, economiche e sociali nei processi decisionali;

• informare e comunicare con il pubblico;

• stimolare i cittadini a adottare “comportamenti ecologici”;

• identificare i punti deboli e conseguentemente le azioni puntuali da adottare;

• confrontare la posizione di una data area geografica nel tempo e in relazione alla posizione delle altre aree geografiche;

• identificare il percorso verso la sostenibilità, con riferimento a obiettivi e valori soglia stabiliti per i vari indicatori;

• identificare lacune nella disponibilità dei dati e suggerire il tipo d’informazioni che in futuro sarebbe utile rilevare;

• contribuire in generale al processo d’Agenda 21 locale (Bianchi D., Berrini M., 2003).

2.2 MODELLI DI RIFERIMENTO

A partire dai primi anni novanta si sviluppano su scala internazionale modelli analitici di sistemi di indicatori con l’obiettivo iniziale di analizzare gli effetti del degrado ambientale e le azioni di risposta programmate per la protezione dell’ambiente.

Il primo modello viene proposto dall’OECD nel 1993 con la sigla PSR (Pressione, Stato, Risposta) e prende in considerazione esclusivamente il sistema ambientale. Le

(25)

19

variabili ritenute cause del degrado dell’ambiente sono generalmente antropogeniche e vengono denominate “pressioni”. Le azioni predisposte per proteggere l’ambiente sono azioni di feedback, possibilmente capaci di mitigare le pressioni.

Il modello, pur riscuotendo molto successo, presenta alcuni limiti. Innanzitutto è mancante delle cause dei fattori di pressione. La Commissione ONU per lo Sviluppo Sostenibile, UN CSD, propose di ampliare il modello OECD introducendo la categoria D delle Driving Forces, i “determinanti”, che sono le sedi dell’attività umana nelle quali si determinano le principali pressioni sull’ambiente: si tratta di Energia, Trasporti, Agricoltura, Industria, ecc. (Federico T., Barbabella A., 2005). Ebbe così origine la variante DSR del modello.

Parallelamente gli studi in corso in Europa misero in luce che gli effetti sull’ambiente, ma anche gli effetti su questioni di altrettanta importanza come la salute e la qualità della vita degli uomini e degli altri esseri viventi, non erano facilmente rappresentati dalle variabili di stato del modello PSR. Fu proposta pertanto la categoria I degli Impatti, In questo nuovo modello PSIR le risposte di salvaguardia e protezione R sono determinate dall’impatto sull’ambiente piuttosto che dalle variabili di stato in quanto tali (Federico T., Barbabella A., 2005).

Queste due varianti portano ad una sintesi finale, proposta dall’Agenzia Europea per l’Ambiente: il modello Determinanti-Pressione-Stato-Impatto-Risposta, DPSIR. Tale modello rimane piuttosto soddisfacente per trattare la questione ambientale ma conserva i difetti intrinseci del modello originale PSR. L’aspetto maggiormente limitante dal punto di vista formale e contenutistico è l’asimmetria che esso impone tra l’ambiente e i sistemi economici e sociali, questi ultimi essendo solo contenuti nell’area dei Determinanti (Federico T., Barbabella A., 2005).

Il modello PSR, come i suoi derivati, risulta possedere una indubbia utilità ai fini della elaborazione di sistemi di indicatori ambientali e della redazione delle Relazioni sullo Stato dell’Ambiente, ma risulta essere poco efficace in uno studio di sviluppo sostenibile.

Nel 1999 l’EEA introduce un nuovo modello, ABCD, che non possiede la proprietà di linearità causale fra le variabili, presente invece nei modelli precedenti ma ha una applicabilità maggiore per studi diversi.

Nel paragrafo successivo presentiamo nel dettaglio i singoli modelli sopra descritti cercando di evidenziarne punti di forza e di debolezza ed i possibili casi di applicazione.

(26)

20 2.2.1 IL MODELLO PSR

L’OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) è un’organizzazione intergovernativa della quale fanno parte 30 paesi, compresa l’Italia. Dal 1970 opera al suo interno una Direzione Ambientale che, agli inizi degli anni Ottanta ha avviato un impegnativo programma di informazione ambientale relativa a tutti i paesi membri, con la produzione regolare di reporting. Nel tentativo di formulare un approccio comune a livello internazionale, alla fine degli anni ottanta l’OCSE ha avviato un programma per l’identificazione di indicatori ambientali quali strumenti per integrare le considerazioni ambientali nei processi di elaborazione delle scelte di sviluppo. In quest’ambito si colloca anche l’individuazione, nel 1993, di un modello (PSR)11 che classifica gli indicatori in tre gruppi principali, Pressione, Stato e Risposta,

ponendoli in un rapporto di causa-effetto.

Indicatori di pressione sull’ambiente (pressure): misurano la potenziale

pressione sull’ambiente delle attività umane (fra cui il prelievo di risorse e la restituzione di rifiuti ed emissioni).

Indicatori dello stato dell’ambiente (state): misurano la situazione della qualità dell’ambiente o il suo degrado (per esempio il contenuto di CO2 nell’atmosfera).

Indicatori di risposta (response): descrivono i programmi e le politiche pubbliche e i comportamenti privati finalizzati al miglioramento dello stato (ad esempio riduzione del consumo di energia per unità di prodotto nazionale lordo).

Sebbene non sia l'unico possibile, tale modello è quello più largamente utilizzato, perché si interseca in modo ottimale con il ciclo delle politiche ambientali: percezione del problema, formulazione della politica, monitoraggio e valutazione degli effetti prodotti dall'implementazione della politica stessa.

Il modello dell'OECD però non è stato esente da critiche. A causa della sua linearità, gli si attribuisce una scarsa flessibilità ed incapacità nel descrivere fenomeni ambientali uniti da complessi legami retroattivi non lineari (Federico T., Barbabella A., 2005).

2.2.2 IL MODELLO DSR

Un nuovo modello DSR, Determinanti-Stato-Risposta, fu adottato dalla UN CSD nel 1996 come strumento per strutturare l’informazione per lo sviluppo sostenibile. I Determinanti, D, rappresentano le attività umane che hanno effetti rilevanti

11 Il modello PSR è stato sviluppato negli anni 70 dallo statistico canadese Anthony Friend, e

(27)

21

sull’ambiente e quindi sullo sviluppo sostenibile, sostituendo i fattori di pressione, per consentire l’inclusione dei fattori “nuovi”, economia, società ed istituzioni. Inoltre le Driving Forces sono da considerare origine anche di effetti benefici per lo sviluppo sostenibile e quindi non sono facilmente riconducibili a pure e semplici pressioni, quindi considerate nel loro aspetto negativo, sull’ambiente. L’eccezione è così rilevante da spingere molti progetti successivi, come quello dell’EEA, ad accogliere entrambi i termini D e P in un modello ancora più generale, il DPSIR che ristabilisce la catena causale tra determinanti e fattori di pressione, implicita nel modello OECD ed altrimenti compromessa.

L’elemento caratterizzante l’approccio UN CSD, il suo punto di forza o, se si vuole, di debolezza, è l’eliminazione delle dipendenze lineari del modello OECD. In altri termini non è necessaria alcuna linea orizzontale di determinazione causale tra i termini D ed S o R.

Ciò elimina ogni semplicistica ipotesi in materia di dipendenze lineari tra processi e quindi tra indicatori all’interno del modello. Per converso, però, obbliga allo studio approfondito delle sempre difficili interdipendenze (Federico T., Barbabella A., 2005).

2.2.3 IL MODELLO DPSIR

Il modello DPSIR12, elaborato dall’EEA, come già scritto, è un’estensione del

modello PSR, al quale aggiunge due fasi: la fase delle attività antropiche primarie (cause generatrici primarie o determinanti: drivers), facendo propria la novità apportata dalle Nazioni Unite e quella degli impatti (impacts).

Questo modello nasce proprio in seguito al riconoscimento dell'incapacità del modello PSR dell'OECD di identificare e di tenere conto di quei fattori, poco controllabili e difficilmente quantificabili, legati alle attività umane, (trends economici, culturali, settori produttivi) che hanno un'incidenza rilevante ma indiretta, nel determinare le condizioni ambientali. Il modello è stato adottato dalla EEA (European Environmental Agency) alla fine degli anni novanta, in modo da proporre un approccio integrato nei processi di reporting sullo stato dell’ambiente, applicabile a qualsiasi livello europeo o nazionale. Esso permette di rappresentare l’insieme degli elementi e delle relazioni che caratterizzano un qualsiasi tema o fenomeno ambientale,

12 Il modello DPSIR, concepito da Jochen Jesinghaus ideatore anche del “Cruscotto della

Sostenibilità”, nel 1999 è stato utilizzato dall’Agenzia Europea dell’Ambiente in fase di redazione del “Europe’s Environment. The Dobris Assessment”, (cioè il primo Rapporto sullo stato dell’ambiente europeo).

(28)

22

mettendolo in relazione con l’insieme delle politiche esercitate verso di esso (Federico T., Barbabella A., 2005).

Questo modello definisce cinque categorie di indicatori:

Determinanti: attività e comportamenti umani che originano pressioni

sull’ambiente (esempio: produzione industriale totale);

Pressioni: sono le modalità di azione delle determinanti sull’ambiente (esempio: emissioni di CO2);

Stato: mostrano la condizione attuale dell’ambiente (esempio: la

concentrazione di piombo in aree urbane);

Impatto: descrivono gli effetti ultimi di cambiamento dello stato

(esempio: la percentuale di bambini che soffrono per problemi sanitari piombo-indotti);

Risposta: dimostrano gli sforzi della società (normative, progetti,

bonifiche) per risolvere i problemi (esempio: Piano del traffico). 2.2.4 IL MODELLO ABCD

Nel 1999 l’EEA propone una ulteriore classificazione topologica degli indicatori secondo il sistema ABCD, così definito (Smeets E, Weterings R, 1999):

Indicatori di tipo A: rispondono alla domanda: “Cosa succede all’ambiente e

alle persone?”.

Sono indicatori descrittivi che quantificano lo stato dell’ambiente, della salute o altro, descrivendo quindi una situazione attuale. Fa parte di questa classe la maggioranza degli indicatori compresi nelle liste delle principali istituzioni internazionali, comprese le Nazioni Unite (core set UN-CSD) la stessa OECD.

Indicatori di tipo B: rispondono alla domanda: “Quanto è distante

l’obiettivo da raggiungere?”.

Sono indicatori di performance che misurano la distanza da un target che può essere un target internazionale se condiviso e ratificato dai governi; può essere definito da obiettivi di politiche ambientali, sociali ed economiche nazionali o locali oppure da obiettivi condivisi per raggiungere condizioni di sostenibilità o per avvicinarsi ad esse. Rispondono alla domanda: “Quanto è

distante l’obiettivo da raggiungere?”.

Indicatori di tipo C: rispondono alla domanda: “Stiamo migliorando in

(29)

23

Sono indicatori di efficienza che quantificano l’efficienza nei cicli produzione-consumo in termini di unità di prodotti-servizi. Appartengono a questa classe di indicatori i rapporti o le differenze (o altre relazioni algoritmiche) tra entità diverse della catena causale. Si tratta in genere di intensità, densità o anche semplicemente di indicatori pro capite. Sono indicatori di efficienza, ad esempio, gli indicatori di intensità di risorse per unità di prodotto come l’intensità energetica.

Indicatori di tipo D: rispondono alla domanda: “Viviamo complessivamente

meglio?".

Sono indicatori di benessere globale che aggregando le dimensioni ecologica, economica e sociale, misurano il trend del benessere generale. Nella categoria degli indicatori globali di welfare cadono molti tra i più conosciuti indicatori globali di benessere come l’ISEW, l’HDI, il Genuine Progress, che contengono nuove definizioni del concetto di benessere, non più determinate mediante il mero conteggio monetario delle transazioni economiche.

2.3 LE PRINCIPALI FONTI STATISTICHE

I numerosi appuntamenti a livello globale ed europeo, le dichiarazioni e gli impegni che ne sono derivati, pongono l’accento su come il problema della sostenibilità sia diventato priorità all’interno della comunità politica internazionale (Federico T., Barbabella A., 2005).

Se da un lato quest’ultima si è adoperata nell’individuare obiettivi di uno sviluppo sostenibile, la comunità scientifica, negli ultimi quindici anni, in seguito al “Vertice sulla Terra” tenutosi a Rio nel 1992, si è impegnata nel definire le modalità di misurazione della sostenibilità dello sviluppo.

Come già sottolineato, è convinzione comune l’uso necessario di indicatori nello svolgere questa operazione e in particolare la visione comune è quella di trovare una alternativa all’adozione dei classici indicatori macroeconomici, tra tutti il PIL, che renda conto della complessità delle interazioni tra le dimensioni economica, ambientale e sociale.

Le soluzioni proposte possono essere estremizzate in due grandi categorie:

• l’uso di un unico indice composito, che con un solo valore misura la sostenibilità;

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24

• l’uso di insiemi di indicatori di settore, che descrivono le varie dimensioni della sostenibilità dandone un ampio quadro conoscitivo.

L’utilità di giungere ad una valutazione sintetica o articolata della sostenibilità è una problematicità ancora irrisolta e oggetto di discussione tra chi ritiene la sintesi e quindi l’utilizzo di un unico indice con un unico valore la maniera più efficace dal punto di vista politico e comunicativo e chi invece la ritiene una drammatica perdita di informazione e preferisce quadri conoscitivi più ampi ed articolati in grado di evidenziare criticità e punti di forza attraverso un report dettagliato.

2.3.1 GLI INSIEMI DI INDICATORI

Dai primi anni ’90, successivamente alla conferenza di Rio de Janeiro del 1992 su Ambiente e Sviluppo, molti enti a livello internazionale, nazionale e regionale hanno cominciato ad occuparsi dell’individuazione e della revisione di insiemi di indicatori, ai quali è indispensabile ricorrere per garantire l’adozione del programma di Agenda 21. In questa sede vengono presi in considerazione solo alcuni di questi enti, suddivisi in base alla scala geografica a cui operano. Con riferimento alla scala globale vengono descritti i progetti attuati dall’ONU e dall’OECD, dall’Eurostat e dall’EEA su scala europea e infine per il livello italiano saranno considerati i due maggiori istituti per la raccolta dati e la costruzione di indicatori necessari alla creazione dei core set, cioè l’ISTAT e l’APAT.

(31)

25

UNCSD _ SDI (Sustainable Development Indicators) CARATTERISTICHE PRINCIPALI

BREVE DEFINIZIONE DEL SET DI INDICATORI ENTE/ISTITUTO

IDEATORE La UNCSD (Commission on Sustainable Development of Union

Nations), istituita dopo la conferenza di Rio del 1992, ha sviluppato nel 1996 la prima guida sulle metodologie e un modello di indicatori dello sviluppo sostenibile (UN_CSD 1996). Questo modello, rivisto nel 2001 (UN_CSD, 2001) è diviso in temi e sotto-temi raggruppati in 4 pilastri: sociale, ambientale, economico e istituzionale, per un totale di 15 temi, 38 sotto-temi e 58 indicatori. Ogni sotto-tema è riferito ad uno o più capitoli di Agenda 21. Nel pilastro sociale i temi politici sono: l’equità, la salute, l’istruzione, l’edilizia, la sicurezza, la popolazione. Il pilastro ambientale copre i temi: atmosfera, terra, oceani, mari e coste, acqua potabile, biodiversità. Il pilastro economico comprende: struttura economica, consumo, produzione. Il pilastro istituzionale è costituito dai temi legati alla struttura e alla capacità istituzionale. Il set è costruito sulla base del modello DSR (determinanti, stato, risposta). I 58 indicatori sono così divisi: 19 sociali, 19 del dominio ambiente, 14 economici e 6 istituzionali.

UNCSD (2000) (Commissione Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite)

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Considera le tre componenti fondamentali dello sviluppo sostenibile e la componente istituzionale. E' adatto al controllo a livello globale.

Gli indicatori sono generali e non hanno applicazione a livello locale.

LIVELLO DI APPLICAZIONE

NAZIONALE REGIONALE PROVINCIALE COMUNALE

p

CARATTERISTICHE GENERALI

FONTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

http://www.un.org/Depts/unsd

“Indicators of sustainable development: Framework and Methodologies”. Commission on Sustainable Development, Ninth Session.

(32)

26 OECD _ Social Indicators

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

BREVE DEFINIZIONE DEL SET DI INDICATORI ENTE/ISTITUTO

IDEATORE Lista di indicatori di natura sociale che riflette la capacità delle politiche

degli Stati membri dell'OCSE di rispondere agli obiettivi di promozione dell' autosufficienza, equiità, salute e coesione sociale. Il core set segue il modello PSR sebbene la non netta distinzione fra indicatori di contesto (pressione) e quelli di stato. Gli altri indicatori definiscono le risposte della società. La lista è strutturata sulla base delle quattro macro-categorie che riflettono i quattro obiettivi sociali. Una prima lista era già presente dal 1982 ma non è mai stato redatto un regolare report.

OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development)

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Si occupa in maniera molto dettagliata e approfondita della sfera sociale.

Non considera la componente Ambiente e solo limitatamente quella economica.

LIVELLO DI APPLICAZIONE

NAZIONALE REGIONALE PROVINCIALE COMUNALE

p

CARATTERISTICHE GENERALI

FONTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

http://www.oecd.org

OECD “Towards Sustainable Development. Indicators to measure progress”. Rome Conference.

OECD, 2000.

Tabella 2 OECD _ Social Indicators

OECD _ SEI (Sectoral Environmental Indicators) CARATTERISTICHE PRINCIPALI

BREVE DEFINIZIONE DEL SET DI INDICATORI ENTE/ISTITUTO IDEATORE Il set è composto da tre liste identificative le relazioni fra tre settori,

energia, trasporti, consumo delle famiglie, con l'ambiente. Ogni lista è strutturata in tre parti, seguendo il moldello PSR. La prima è composta da indicatori che definiscono il trend del settore. La seconda, da indicatori che descrivono le interazioni del settore con l'ambiente. La terza parte è caratterizzata da indicatori descrittivi gli aspetti economici e politici. Il numero di indicatori per ogni lista è differente.

OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development)

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Le liste analizzano dettagliatamente le interazioni fra i settori e l'ambiente. Seguendo il modello PSR vengono identificate le pressioni esercitate dai settori sull'ambiente e le risposte della società a tali pressioni.

La componente sociale non è considerata e quella economica analizzata solo nei tre settori energia, trasporti e consumo ma non nel suo complesso. Il numero totale di indicatori è comunque elevato.

LIVELLO DI APPLICAZIONE

NAZIONALE REGIONALE PROVINCIALE COMUNALE

p

CARATTERISTICHE GENERALI

FONTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

http://www.oecd.org/env/

OECD Environmental Indicators "Development, Meaurement and Use" OECD, 2003. Tabella 3 OECD _ SEI (Sectoral Environmental Indicators)

(33)

27 OECD _ Factbook

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

BREVE DEFINIZIONE DEL SET DI INDICATORI ENTE/ISTITUTO

IDEATORE Il progetto è nato nel 2005. E' una lista di circa 100 indicatori classificati in 10

temi sia di natura ambientale che economico-sociale: popolazione e migrazione, trend dell'economia, globalizzazione, prezzi, mercato del lavoro, scienza e tecnologia, ambiente, educazione, politiche pubbliche, qualità della vita. Il set descrive la situazione annuale in base agli indicatori utilizzati che possono variare nel numero per descrivere situazioni particolari (come nel factbook 2006 la voce relativa agli aiuti per lo Tsunami nel Pacifico). OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development)

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

La possibilità di inserire nuovi indicatori per situazioni particolari. Ogni tema è rappresentato tramite tabelle e grafici che descrivono il trend degli ultimi 10 anni. E' quindi possibile fare confronti fra anni e Paesi diversi.

Le variabili sono così numerose da rendere il core set eccessivamente generale

LIVELLO DI APPLICAZIONE

NAZIONALE REGIONALE PROVINCIALE COMUNALE

p

CARATTERISTICHE GENERALI

FONTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

http://www.oecd.org/publications/factbook

Tabella 4 OECD _ Factbook

OECD _ CEI (Core Environmental Indicators) CARATTERISTICHE PRINCIPALI

BREVE DEFINIZIONE DEL SET DI INDICATORI ENTE/ISTITUTO IDEATORE Il core set è composto da circa 50 indicatori che sono classificati

seguendo il modello PSR: indicatori di pressione ambientale, sia diretti che indiretti, indicatori delle condizioni ambientali e indicatori di risposta della società. La lista è strutturata attraverso 13 temi, 12 di natura ambientale, tra cui rifiuti, cambiamenti climatici, qualità dell'ambiente urbano e una categoria generale di indicatori socio-economici che interagiscono con l'ambiente. La lista è stata creata per essere d'aiuto nelle politiche ambientali tramite l'analisi dello stato dell'ambiente e della validità di queste come azioni di risposta.

OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development)

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Tratta in maniera approfondita il dominio Ambiente.

I domini Economia e Società sono trattati in maniera generale e solo nelle loro componenti di interazione con l'ambiente.

LIVELLO DI APPLICAZIONE

NAZIONALE REGIONALE PROVINCIALE COMUNALE

p

CARATTERISTICHE GENERALI

FONTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

http://www.oecd.org/env/

OECD Environmental Indicators "Development, Meaurement and Use" OECD, 2003.

(34)

28 EU _ SDI (Sustainable Development Indicators) CARATTERISTICHE PRINCIPALI

BREVE DEFINIZIONE DEL SET DI INDICATORI ENTE/ISTITUTO

IDEATORE Sono lo strumento di valutazione della strategia di sviluppo sostenibile

adottata dal Consiglio Europeo dopo Gotheborg 2001 con l’obiettivo di conciliare sviluppo economico, coesione sociale e protezione dell’ambiente. Il core set è organizzato in 10 temi che rappresentano le priorità politiche della strategia. I temi sono divisi in sotto-temi, che generalmente definiscono gli obiettivi guida, seguendo la struttura del set delle Nazioni Unite, a loro volta suddivisi in variabili o indicatori chiave per entrare maggiormente nel dettaglio. I 10 temi considerati sono: sviluppo economico, povertà ed esclusione sociale, società che invecchia, salute pubblica, cambiamenti climatici e energia, modelli di produzione e consumo, gestione delle risorse naturali, trasporti, buongoverno, partnership globale. Ad ogni tema è associato uno o più indicatori headline (di I livello) mentre ai sotto-temi sono associati indicatori di II e III livello.

Eurostat

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Gli indicatori di livello diverso corrispondono anche a un potere comunicativo e un pubblico diverso. Quelli di terzo livello che entrano maggiormente nel dettaglio sono adatti alla comunità accademica al contrario degli headline di primo livello che sono molto più comunicativi per la gente comune e sono adatti ad analizzare i progressi delle politiche.

Gli indicatori sono molto numerosi e comunque generali e non trovano applicazione a livello locale.

LIVELLO DI APPLICAZIONE

NAZIONALE REGIONALE PROVINCIALE COMUNALE

p

CARATTERISTICHE GENERALI

FONTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

http://europa.eu.int/comm/eurostat/

“Measuring progress towards a more sustainable Europe 2007 monitoring report of the EU sustainable development strategy”

(35)

29

Eurostat13 _ CSI (Core set of Sustainable Indicators)

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

BREVE DEFINIZIONE DEL SET DI INDICATORI ENTE/ISTITUTO

IDEATORE Nato sulla base del core set della UNCSD in cui l’Eurostat ha avuto una

partecipazione attiva. La lista è strutturata gerarchicamente prendendo in considerazione i quattro domini (economico, sociale, ambientale e istituzionale), suddivisi in sotto-temi (tra cui povertà, equità fra sessi…) collegati a uno o più indicatori. In tutto sono 63 indicatori, di cui 22 sociali, 16 del dominio ambiente, 21 economici e 4 istituzionali. In particolare rispetto alla core list della UNCSD 29 indicatori sono simili se non uguali e 13 comparabili.

Eurostat (2001)

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

E' l'applicazione della lista della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite adattata al contesto Europeo.

Risulta essere comunque generale e solamente applicabile a livello nazionale.

LIVELLO DI APPLICAZIONE

NAZIONALE REGIONALE PROVINCIALE COMUNALE

p

CARATTERISTICHE GENERALI

FONTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

http://europa.eu.int/comm/eurostat/

“Measuring progress towards a more sustainable Europe Proposed indicators for sustainable development” European Commission, 2001

Tabella 7 Eurostat _ CSI (Core set of Sustainable Indicators)

13L'Ufficio Statistico delle Comunità Europee (Eurostat) raccoglie ed elabora dati dell'Unione

Europea a fini statistici, promuovendo il processo di armonizzazione dell'approccio statistico tra gli Stati membri. La sua missione è quella di fornire all'Unione Europea un servizio informativo statistico di elevata qualità.

(36)

30 EEA14 _ CSI (Core set of Sustainable Indicators)

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

BREVE DEFINIZIONE DEL SET DI INDICATORI ENTE/ISTITUTO

IDEATORE Nata con l'obiettivo di essere da base per i report dell'Agenzia e come

aiuto per le altre liste di indicatori (come quella per la strategia di sviluppo sostenibile dell' Eurostat o della OECD). La lista è formata da 37 indicatori integrati in 10 tematiche di sostenibilità ambientale (inquinamento atmosferico e distruzione dell'ozono, biodiversità, cambiamenti climatici, uso del suolo, rifiuti, acqua, agricoltura, energia, pesca, trasporti).

EEA (2004) (Eviromnental Energy Agency)

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Si occupa in maniera molto dettagliata e

approfondita della sfera ambientale. Considera esclusivamente il dominio Ambiente LIVELLO DI APPLICAZIONE

NAZIONALE REGIONALE PROVINCIALE COMUNALE

p

CARATTERISTICHE GENERALI

FONTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

http://www.eea.eu.int/

"Technical report No 1/2005" EEA core set of indicators Guide Tabella 8 EEA _ CSI (Core set of Sustainable Indicators) ISTAT _ Sistemi di Indicatori Territoriali

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

BREVE DEFINIZIONE DEL SET DI INDICATORI ENTE/ISTITUTO

IDEATORE L' ISTAT ha realizzato un sistema di indicatori di tipo demografico,

sociale, ambientale ed economico riferito a ripartizioni, regioni, province e capoluoghi. Gli indicatori sono raggruppati in 15 aree informative: Prezzi, Contabilità nazionale, Agricoltura, Ambiente, Imprese, Abitazioni, Attività edilizia ed opere pubbliche, Commercio, Trasporti e turismo, Mercato del lavoro, Condizioni economiche delle famiglie, Famiglie ed aspetti sociali, Popolazione, Sanità, Assistenza e previdenza, Istruzione, Cultura e tempo libero, Giustizia.

ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica)

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Il sistema permette una lettura integrata del territorio italiano. La disponibilità dei dati in serie storica consente inoltre di analizzare l'evoluzione dei diversi fenomeni con riferimento agli ambiti territoriali considerati

La parte sull'Ambiente è poco dettagliata LIVELLO DI APPLICAZIONE

NAZIONALE REGIONALE PROVINCIALE COMUNALE

p p p

CARATTERISTICHE GENERALI

FONTI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

http://www.istat.it/

Tabella 9 ISTAT _ Sistemi di Indicatori Territoriali

14 L'Agenzia europea dell'ambiente è l'organismo europeo responsabile di fornire informazioni

puntuali, mirate, pertinenti ed affidabili ai responsabili decisionali ed al pubblico. Ciò al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile e contribuire al miglioramento sostanziale e misurabile dell'ambiente in Europa.

Figura

Tabella 7 Eurostat  _ CSI (Core set of Sustainable Indicators)
Tabella 31 Indicatori economici
Tabella  35 Normalizzazione di un indicatore con direzione positiva e di uno con direzione  negativa: l'Eco-management  – certificazioni ambientali di processo (dati 2006) e  l’indice di  delittuosità – delitti ogni 1000 abitanti (dati 2004)
Tabella  38  Normalizzazioni di un indicatore con direzione positiva: l'Eco-management  –  certificazioni ambientali di processo (dati 2006)
+7

Riferimenti

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