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Vita e opere de la Comptesse de Segur

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Filologia, Letteratura

e Linguistica

Tesi di Laurea:

LA COMPTESSE DE SÉGUR E

LA NUOVA LETTERATURA

PER L’INFANZIA

Relatore: Correlatore:

Prof. Tiziana Goruppi Prof. Barbara Sommovigo

Candidata: Serena Collecchi

Matricola: 147920

Laurea Vecchio Ordinamento

Anno Accademico 2012/2013

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INDICE

Introduzione...p. 4 CAPITOLO I

1. Sophie Rostopchine, Comtesse de Ségur: cenni biografici...p. 7 2. Tematiche della narrativa per l’infanzia della Comtesse De Sé-gur………..…..p 16

CAPITOLO II

Analisi e commento di tre dei principali romanzi della Comtesse De Ségur

1. Les Malheurs de Sophie...p. 22 2. Les Petites Filles Modèles...p. 30 3. La Sœur de Gribouille...p. 37

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CAPITOLO III

1. Cultura e pensiero pedagogico nel mondo aristocratico-borhese e del XIX° secolo...p. 44 2. Il Mondo dell’Infanzia di Egle Becchi...p. 50 3. Il messaggio educativo-pedagogico della Comtesse raffrontato con quello di altre opere per l’Infanzia...p. 56

CAPITOLO 4

La pedagogia, sviluppo storico dell’approccio al bambi-no………...……….…….………….p. 70 CONCLUSIONI………...……….………….p. 78 BIBLIOGRAFIA………...……….………….p. 81

FILMOGRAFIA………...……….………….p. 85

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Introduzione

Scoprire, conoscere e approfondire lo studio, oggi giorno, all’interno del vasto e intrinseco universo culturale, umanistico, arti-stico e letterario, di scrittori, letterati o novellieri molte volte conside-rati erroneamente “minori”, risulta un’operazione sempre ricca e densa di un fascino unico e particolare.

E se poi proprio uno di questi autori diviene oggetto di una tesi di laurea universitaria, allora l’emozione e il fascino sono chiaramente doppi. In tempi in cui si versano ancora fiumi e fiumi d’inchiostro per saggi, tesi e articoli sui vari Pirandello, Montale, D’Annunzio etc., di-viene davvero un’operazione affascinante, nonché originale su un’Autrice, di cui, almeno qui in Italia si sa poco o niente . Si tratta per l’appunto di una mite e serena signora, Sophie Rostopchine, Com-tesse de Ségur1, la quale solo in tarda età, a cinquant’anni, ha scritto il suo primo romanzo, scoprendo così la propria vocazione. Oltre che una facoltosa esponente della ricca aristocrazia russa, una volta stabili-tasi e sposastabili-tasi in Francia, avvertì inesorabilmente, in età avanzata, l’esigenza forte, chiara e insopprimibile di scrivere e mettere su carta le storie, i racconti, le favole e i romanzi che tanto amava raccontare ai propri nipotini. Un po’ come se una nostra nonna che tanto ci narrasse

1 Dal russo Fiodorovna Rostoptchina. (in cirillico: Софья Фёдоровна Ростопчина

).

E proprio Rostoptchina, sarebbe la trascrizione corretta, succesivamente, però, si è registrata l’imposizione della forma orale più usuale e coorente di Rostopchine.

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racconti e aneddoti locali (frutto di sorprendenti viaggi nell’immaginario fantastico-popolare) ricchi e densi di fascino e tradi-zione, in cui l’elemento storico si mescolava all’elemento favolistico e puramente paraonirico-surreale, si fosse messa anche lei a scrivere tali storie.

Nel ricco universo della Letteratura per l’infanzia di metà XIX secolo, la Comtesse de Ségur occupa un posto di tutto rispetto data sia la mole di opere redatte, che l’importanza di quest’ultime dal punto di vista artistico, letterario, pedagogico e educativo. E proprio dal punto di vista pedagogico, ecco che tali romanzi, grazie anche e soprattutto al loro insegnamento etico - morale, assumono un’importanza di rilie-vo e di tutto rispetto soprattutto per il delinearsi, formarsi e stabiliz-zarsi di quelli che saranno i punti chiave della vera e propria Pedago-gia Moderna, che tanto rivoluzionerà con nuovi canoni e princìpi so-cio-educativi il pensiero pedagogico legato all’educazione e alla for-mazione del mondo dell’infanzia. La fiaba, la favola, il racconto fan-tastico per il bambino come elemento e momento sia ludico-ricreativo che socio – pedagogico e istruttivo insieme. In questo modo si posso-no ottenere due risultati entrambi ottimali e l’uposso-no subordinato all’altro: divertire e allo stesso tempo crescere e educare il bambino. E’ questo, uno degli insegnamenti più lampanti, chiari e palesi che la novellistica, il pensiero e la grande personalità de la Comtesse de Sé-gur ci ha lasciato, e che ancor oggi, a centocinquant’anni di distanza ritroviamo ancora validissimo e attendibilissimo, con la possibilità di

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un paragone con le opere moderne che mostrerebbe analogie sotto di-versi aspetti.

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CAPITOLO I

1. Sophie Rostopchine, Comtesse de Ségur:

Cenni biografici

Nata a San Pietroburgo il 1° Agosto del 1799 nell’allora Impero Russo retto dallo Zar Paolo I, Sophie Rostopchine, Contessa di Ségur1, per tutta la sua vita condusse un’esistenza molto agiata, date le sue nobili origini, l’appartenenza a un illustre casato e a una grande e celebre famiglia dell’alta aristocrazia russa. Difatti, le sue lontane e nobili ori-gini genealogiche discendono addirittura dalla dinastia dei Khan mon-goli appartenenti all’Orda d’oro, legati in filo diretto proprio con la famiglia di Gengis Khan2, il grande conquistatore dei Mongoli. Suo padre era il Conte Fédor Rostoptchine (1763-1826), il quale ricoprì durante la sua vita importanti cariche all’interno dell’apparato politico zarista. Cominciando con la carriera di Luogotente-Generale di fante-ria dell’Esercito russo, divenne poi Ministro degli Affari Esteri dello Zar Paolo I (tra l’altro anche Padrino della stessa), per venir nominato, infine, Governatore Generale di Mosca. La madre di Sophie era, inve-ce, Caterina Protassova, damigella d’onore e di compagnia di vecchia

1  Stando all’onomastico russo: Fiodorovna Rostoptchina, in cirillico : Софья Фёдоровна Ростоп-чина (cfr. pag.2, note 1).

2 Cfr. Deux mille ans d'histoire, France Inter, emissione radiofonica del 7 Gennaio 2009, ri-trasmessa il 2 Luglio 2010.

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data alla Corte di Caterina II1. Dal Matrimonio tra Fédor e Caterina, nacquero ben nove figli: Sergueï Fiodorovitch (1796-1836), Natalia Fiodorovna (1797-1866), Pavel Fiodorovitch (1803-1806), Maria Fio-dorovna (1805), Elisabetta FioFio-dorovna (1807-1825), Mikhaïl Fiodoro-vitch (1810), Andréï FiodoroFiodoro-vitch (1813-1882). Sophie Fiodorovna futura Contessa di Ségur, venuta alla luce per l’appunto il 1° Agosto del 17992, fu la terza nata della numerosa prole dei due aristocratici coniugi. La sua infanzia e adolescenza sono caratterizzate dagli anni spensierati trascorsi tra agi, comodità e privilegi nel podere di Voro-novo, alle porte di Mosca.

Sophie visse quindi nell’immensa proprietà terriera paterna, con 45.000 ettari, attorniata da 4.000 servi e addirittura da agronomi pro-venienti dalla Scozia ingaggiati dallo stesso Conte Rostoptchine. L’educazione e la formazione culturale di Sophie furono assolutamen-te conforme a quella della classe aristocratica della Russia zarista del tempo: in primo luogo lo studio delle lingue straniere, Francese in primis3. Fu soprattutto grazie a questi studi che una volta adulta, So-phie divenne un’eccellente poliglotta per la sua conoscenza di ben cinque lingue. A quanto pare la piccola Sophie era caratterizzata da un animo indomito e ribelle, al che spesso i genitori erano costretti a

1 Caterine II, Imperatrice di Russia, moglie dello Zar Petrus III. 2 Cfr. p. precedente.

3 Da fonti certe è stato appurato che nel XVIII° e XIX° sec., i figli dell’aristocrazia russa venivano seguiti da uno o più precettori stranieri che impartivano loro lezioni di lingua estera, di solito fran-cese o tedesco, e tali allievi giungevano a studiare queste lingue ancor prima che il russo.

Singolare quanto significativo resta il caso in cui il giovane Puskin veniva continuamente sopran-nominato “il francese” per la sua quasi perfetta francofonia.

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nirla. La Madre in particolare doveva essere molto dura e severa con lei.

Difatti all’età di tredici anni, costrinse la figlia a convertirsi dal Credo Ortodosso al Cattolicesimo.

Nel 1812, in occasione dell’invasione napoleonica di Mosca, il padre Fédor, già Governatore della città, dopo aver scagliato senza mezzi termini proclami contro lo stesso Napoleone, ordinò di far evacuare le pompe antincendio della città, facendo liberare, al contempo, dei pri-gionieri per far loro appiccare incendi in ogni quartiere della stessa Capitale russa. Fu questo il famoso incendio di Mosca, il quale, seppur costrinse il condottiero francese a una rovinosa ritirata, procurò, in se-guito, dure critiche nei riguardi del Conte Fédor, generando non poco malcontento tra quegli strati della popolazione che subirono l’inevitabile perdita della propria abitazione a causa delle fiamme de-vastatrici. Si trattava soprattutto dei ceti più aristocratici e della classe dei commercianti, i quali, particolarmente danneggiati dal funesto in-cendio, non mancarono di dimostrare tutto il loro dissenso e dissapore nei confronti del Governatore moscovita. Quest’ultimo, perso pure il favore dello Zar di cui aveva beneficiato fino a poco tempo prima, preferì partire in volontario esilio da solo, accompagnato soltanto da un domestico, prima per la Polonia nel 1814, poi alla volta della Ger-mania, a seguire Italia e infine, nel 1917, Francia. Ora, il dato alquanto singolare che fa riflettere, è il paradosso che si verificò in quel

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do: il Conte, seppur avversato e aspramente contestato in Patria per il suo riuscitissimo piano incendiario di Mosca contro l’avanzata napo-leonica, all’estero, invece, fu proprio il successo di tale stratagemma che gli permise, ovunque andasse, d’essere accolto e riverito come un vero e proprio eroe, salvatore della monarchia zarista. Una volta stabi-litosi definitivamente a Parigi, è lì che fece pervenire il resto della sua numerosa famiglia, Sophie compresa. Quest’ultima, proprio nella splendida Capitale transalpina, ritrovò Eugène De Ségur (1798-1869), figlio di Enrico VIII, grazie alla mediazione di Svetchina1, grande amica della futura Contessa De Ségur, la quale tanto si prodigò per l’unione sentimentale dei due giovani. Eugène era il nipote del mare-sciallo De Ségur, ambasciatore francese presso la Russia zarista, non-ché nipote anche del Generale Philippe De Ségur, stretto assistente di Napoleone Bonaparte, il quale aveva seriamente rischiato la morte proprio nell’incendio di Mosca fatto appiccare dal padre diSophie. Quest’ultima e Eugène, dopo il relativo periodo di fidanzamento uffi-ciale, si sposarono il 14 Luglio 1819. Il loro Matrimonio fu combinato e organizzato dalla stessa Svetchina, l’anno prima del ritorno in Ma-dre-Patria degli stessi genitori di Sophie de Ségur. Il Matrimonio tra Eugène e la Comtesse, nei primi anni fu caratterizzato da una grande gioia. Tutto procedeva al meglio inizialmente, ma con il trascorrere

1 Anche lei esponente dell’aristocrazia russa allepoca dello zar Paolo I, Petrovna Svetchina (trascrizione latina dal cirillico Софья Петровна Свечина), nacque a Mosca nel 1792 e morì a Pa-rigi nel 1857. Non aveva legami di sangue con Sophie De Ségur, ma anche lei era una scrittrice, sposò un generale russo (il Generale Svetchine), si convertì al cattolicesimo (nel 1815 grazie alla letture delle opere di Joseph de Maistre), e infine, come Sophie de Ségur, anche leisi trasferì da Mosca a Parigi.

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del tempo giunsero anche i momenti tristi e bui. In particolare i pro-blemi vennero dalla chiara e palese volubilità del marito Eugène che tradiva continuamente e impudentemente la moglie Sophie. A tali problemi di natura coniugale, per Eugène se ne aggiunsero anche altri di natura economica e di “inattività vuota e passiva”. La sua esistenza registrò significativi miglioramenti solamente in seguito alla sua no-mina di Pair de France1 avvenuta nel 1830. Ma seppur migliorando le sue condizioni economiche e occupazionali Eugène, non riuscì a dare una significativa svolta in meglio alla sua vita coniugale. Difatti, si re-cava molto raramente a render visita ai suoi figli, i quali alloggiavano nel castello de “Noisettes”, donato ai due coniugi dal Padre della stes-sa Sophie. Quest’ultima, ormai rassegnatasi col tempo alle stravaganti e del tutto immorali abitudini del marito, rifiutò i cliché della monda-nità parigina. Sophie condusse una vita sempre più rinchiusa tra le mura del suo Castello, dedita alla cura, all’educazione e alla crescita dei suoi ben otto figli e in seguito, dei nipoti. Tale totale e completa dedizione, tale profondo amore e grande affetto materni, nutriti nei confronti della propria prole, procurarono addirittura l’appellativo di “madre Cicogna” da parte del marito Eugène. Intanto pur dedicandosi completamente alla famiglia, ella riusciva a ritagliarsi anche dei picco-li spazi per sè.

1 Membro di un gruppo di grandi feudatari e vassalli (Pairie de France) diretti della Corona di Francia che avevano il grande privilegio di poter essere giudicati soltanto dalla Corte dei Pari.

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Non poteva essere diversamente dal momento in cui, sorprendente-mente poliglotta, Sophie era dotata di una capacità davvero ammirabi-le nel padroneggiare ben cinque lingue. Accanto a ciò il suo carattere mostrava dei lati corroborati da veri e propri elementi di pura isteria, ereditata forse dalla Madre. Ma ancor più probabilmente l’origine di questa forma d’isteria doveva derivare dalla malattia venerea conta-giata dal marito a causa della sua volubilità. Tali comportamenti iste-rici si manifestavano attraverso gravi crisi nervose da una parte, e da un assoluto mutismo dall’altra, al cui verificarsi soleva comunicare so-lo per iscritto attraverso la sua personale lavagnetta, divenuta a dir po-co leggendaria.

Come già precedentemente sottolineato, Sophie scopre abbastanza tardi la sua vocazione di scrittrice, al che la stesura del suo primo ro-manzo risale all’età di cinquant’anni della ricca Contessa russa1. Pur tuttavia, questa, risulta essere il chiaro esempio di come anche una vo-cazione letteraria abbastanza tardiva, possa risultare alquanto fruttuosa e feconda. E tale vocazione, sorse in lei quando avvertì dentro di sé l’esigenza di dover trascrivere le novelle o storie per bambini ch’ella amava tanto raccontare ai suoi figli e nipoti. Fu così che nacque la raccolta Les Nouveaux Contes de fées. E a quanto pare, una di queste novelle venne letta proprio alla stessa autrice a un ricevimento in pre-senza del suo amico Louis Veuillot, affermato giornalista e letterato francese, il quale, rimanendo appassionato da quel racconto s’impegnò

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per farlo pubblicare presso l’editore Hachette. Altre versioni di storici francesi asseriscono, invece, che fu proprio Eugène De Ségur, marito di Sophie, al tempo in cui era Presidente della Compagnia delle Ferro-vie francesi dell’Est, a incontrarsi proprio con l‘editore Luigi Hachette per la pubblicazione di nuove novelle e racconti destinati all’infanzia. E così, quando i due si ritrovarono a discutere su una possibile nuova collana della Bibliothèque des Chemins de Fer1, ecco che il conte rife-rì al facoltoso editore del talento letterario della moglie giungendo co-sì, nel giro di poco tempo, a presentargliela di persona. Fu così che la Contessa De Ségur, rimanendo sempre dedita alla casa, alla famiglia e soprattutto ai figli e ai nipoti, giunse a firmare il primo contratto edito-riale nell’Ottobre 1855 per soli 1000 Franchi.

E il successo editoriale e di pubblico arrivò più che inaspettatamente per questa tranquilla e anziana signora, madre e nonna, consacrandola come una delle autrici più importanti della letteratura per l’infanzia nella Francia del XIX secolo. Difatti questo successo dovuto alla pri-ma pubblicazione di Les Nouveaux Contes de fées, la incoraggiò così tanto da indurla a comporre opere per ciascuno degli altri suoi nipoti. Fu così che al successo della prima pubblicazione, ne seguirono altri, anche perché, a livello editoriale la mossa escogitata dal Conte De Sé-gur sì rivelò significativamente vincente. Difatti questi acconsentì all’editore Hachette di avere l’assoluto monopolio delle opere della

1 Questa oggi può essere considerata come la vera e autentica antenata delle librerie Relay, tuttora

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Contessa, adoperandosi non solo per la loro pubblicazione, ma anche per la loro vendita e diffusione esclusiva nelle librerie delle stazioni ferroviarie, luogo d’intenso traffico in cui i libri della Contessa non potevano di certo passare inosservati. Nel 1860 Luigi Hachette, nella sua Bibliothèque rose1, iniziò a pubblicare l’intero corpus delle opere seguriane. Soltanto tardivamente la Contessa riuscirà a farsi ricono-scere i propri diritti d’autore2 e si occuperà con più solerzia e decisio-ne di questo aspetto proprio a partire dal momento in cui il marito Eu-gène le taglierà i fondi3. Nel 1866, a seguito della morte del marito il Conte Eugène, Sophie prese i voti francescani divenendo Suor Maria– Francesca. Pur tuttavia non smise di scrivere. Ma questi ultimi anni furono per lei molto bui e difficili sul piano economico. Difatti, il suo stato di vedova e il vertiginoso calo di vendite delle sue opere, la co-strinsero a vendere i diritti de Les Nouettes e, nel 1873, a stabilirsi a Parigi al numero 27, di rue Casimir-Perier. E fu qui che trovò la mor-te a settantacinque anni, assistita da figli e nipoti. Venne sepolta a

Pluneret (nel Morbihan)4, accanto alla tomba della sua penultima fi-glia Henriette, la quale, assieme al marito il Senatore Fresneau,

1 La Bibliothèque rose è una collezione di libri e opere per bambini e adolescenti dai sei ai dodici anni che lo stesso Luigi Hachette fondò nel 1856. Nel 1958, venne creata la Nouvelle Bibliothèque

rose, poi nel 1962 anche una miniserie dedicata maggiormente ai più piccoli:Minirose. Il successo

editoriale della Bibliothèque rose ne consente le pubblicazioni ancor oggi in maniera continua e regolare.

2 Difatti, Sofia all’epoca, seppur Contessa e sempre rappresentante dell’Alta Aristocrazia russa, in Francia viveva in un condizione sociale “minore” per cui gl’introiti derivanti dai suoi Diritti d’Autore dovevano essere percepiti dal marito.

3 Cit. Deux mille ans d'histoire, France Inter, emissione radiofonica del 7 Gennaio 2009 e ri-trasmessa il 2 Luglio 2010.

4 Pluneret: piccolo Comune francese di 5.200 situato nel Cantone di Auray, Arrondissement di

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scorse la vita nel Castello di Kermadio1, celebre anche per aver ispira-to alcune novelle della stessa Contessa dopo che anch’ella vi soggior-nò2. Ancora oggi al capezzale della sua tomba, su una Croce di marmo vi è inciso quello che è stato senza dubbio il motto della sua esistenza terrena:

Dieu et mes enfants

Invece, il suo cuore, venne imbalsamato ed è conservato tutt’ora nella Cappella del Convento della Visitadove terminò i suoi giorni sua fi-glia Sabine De Ségur, dopo che anch’ella si convertì al Cattolicesimo.

1 Castello di modeste proporzioni della fine del XVIII° secolo, situato nella Municipalità di

Plune-ret, nel Morbihan (Vd. nota 4 p. 14).

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2. Tematiche della narrativa per l’infanzia della

Comtesse De Ségur

Uno degli aspetti maggiormente trattati e sottolineati dall’Autrice nel corpus delle sue opere letterarie è certamente quello che riguarda le punizioni corporali. Quest’ultime, difatti, si ritrovano in svariati suoi romanzi d’ispirazione autobiografica (Le Malheurs de Sophie1,

Un bon petit diable2, Le Général Dourakine3, Les Petites Filles

mo-dèles4 dove l’Autrice pare risentire dell’infanzia dura, dell’educazione severa e dell’inflessibile intransigenza etico-morale della madre Cate-rina.

L’elemento rilevante nella narrativa seguriana è che queste puni-zioni e castighi corporali inflitti dalle figure adulte ai giovani protago-nisti dei suoi racconti, vengono illustrati e descritti con realismo. Cio-nonostante la forma descrittiva non rivela alcuna forma di compiacen-za o di assenso verso tali metodi pedagogico-educativi che la Contessa già all’epoca riteneva crudelmente severi, barbari e diseducativi.

Tale concezione era dovuta, probabilmente, dall’essere stata essa stessa, da piccola, vittima di tali metodi punitivi e aver sperimentato,

1 Les Malheurs de Sophie, op. cit. ... p. 15 n. 2. 2 Id., Un bon petit diable, Paris, Hachette 1865. 3 Id., Le Général Dourakine, Paris, Hachette 1863. 4 Id., Les Petites Filles modèles, Paris, Hachette 1858. .

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dunque, sulla sua stessa pelle, sia la crudeltà eccessiva sia la severità esasperata, che il fallimento socio-educativo e l’inefficacia ai fini pe-dagogici di tali punizioni corporali. Inoltre va sottolineato come la de-scrizione cruda e realista di tali castighi, riveli una rottura davvero evidente con i modelli e gli stilemi della precedente letteratura per l’infanzia. Basti citare i racconti immersi nell’elemento allegorico-fantastico-meraviglioso di un Perrault1 o di una Madame d’Aulnoy2, nei quali l’elemento punitivo non è per nulla presente o sufficiente-mente descritto, per rendersi conto di come, da questo punto di vista, la Contessa attuò (e probabilmente inconsapevolmente) una vera e propria “rivoluzione” all’interno della letteratura per l’infanzia del XIX secolo.

Ma è anche un modo per affermare non solo la grave responsabilità educativa che gli adulti hanno nei confronti dei bambini, ma anche e soprattutto per sottolineare l’ingiusta arroganza e prepotenza che i

1 Charles Perrault, Contes de ma mère l'Oye, Paris, Hachette 1697. 2 Marie-Catherine, Les Contes des Fées, Paris, Barbin, 1698.

L'Histoire d'Hyppolite, comte de Douglas, Paris, Barbin, 1692.

Mémoires secrets de plusieurs grands princes de la cour, Paris, Barbin, 1696. Mémoires sur la cour de France, Paris, Barbin, 1692.

Nouvelles Espagnoles, avec des Lettres galantes, Paris, Barbin, 1692.

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siddetti grandi esercitano sui piccoli. Ed ecco, dunque, che l’opera se-guriana, pur senza pretese, si afferma come un nuovo Manifesto porta-tore di valori, princìpi, ideali etico-morali e di un nuovo pensiero so-cio-pedagogico che influenzerà non poco la successiva Pedagogia Moderna.

Il bambino represso e castigato dalla figura adulta attraverso metodi punitivi esasperatamente umilianti e dolorosi, rischia di andare incon-tro a veri e propri traumi dell’età infantile. Ma non solo, rischia anche di vivere un’infanzia frustrata, in preda a mille timori, sensi di colpa e paure, sempre perseguitato dall’ossessivo terrore di sbagliare e terro-rizzato dalla figura adulta intransigente e severa. Infatti, i castighi cor-porali non spiegano né fanno comprendere l’entità e il perché del pro-prio errore al bambino. Questi li subisce quindi come una sorta di tor-tura, ne percepisce il messaggio punitivo e non educativo. E anche nel caso in cui il bambino si renda conto del proprio errore, la crudeltà e l’intransigente severità di tali metodi non lo inducono ad avere un ap-proccio sano, costruttivo e sincero con l’adulto, ma anzi, di solito lo conducono su due strade.

Nel caso di un carattere e di una personalità debole e introversa, il bambino rischia di spegnersi lentamente e di rinchiudersi anche attra-verso un ostinato mutismo. Può, inoltre, diventare accondiscende e as-secondare l’adulto in tutto e per tutto, pur di non ricevere i castighi corporali da cui è fortemente terrorizzato. Nel caso in cui invece il

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bambino è dotato di un carattere più impulsivo, indomito e ribelle, gli atteggiamenti severi, intransigenti, e le punizioni corporali dell’adulto possono ben presto portare il bambino a indisporlo e a urtarlo contro la sua stessa autorità. E’ in questo caso che il bambino, per rabbia, può arrivare, dunque, anche a sentire dentro di sé, il sorgere di uno spicca-to senso di ribellione e di rivolta contro il mondo degli adulti, giun-gendo, in casi estremi a trasgredire, a sbagliare di proposito e a far di peggio in futuro. In questo secondo caso si è di fronte a una sorta di “guerra dichiarata all’adulto”, alle sue leggi, alle sue imposizioni, ai suoi torti, ai suoi metodi educativi, al suo pensiero. La mancanza di un dialogo costruttivo tra l’adulto e il bambino e la presenza, invece, di metodi “educativi” repressivi e violenti, possono portare il bambino al terrore o alla violenza nei confronti della figura adulta. È risaputo che la violenza genera altra violenza.

Chiaro è dunque che l’adulto, per la Contessa de Ségur, ha il compito di educare il bambino non con le percosse e violente punizioni corpo-rali, ma d’instaurare un dialogo con il bambino stesso attraverso il quale riuscire a conquistare la sua piena e totale fiducia. Soltanto in questo modo si potrà assicurare al bambino un crescere sano e costrut-tivo dal punto di vista socio–educacostrut-tivo, in pieno equilibrio con quelle che sono le sue esigenze, le sue peculiarità, il suo Io interiore, le sue richieste, la sua piccola visione del mondo e della vita propria dell’infanzia. Inoltre, nel pensiero di Sophie, l’esecuzione e applica-zione continuativa e costante di tali metodi punitivi ai danni del

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bino portano anche a un altro dato di fatto, del tutto riscontrabile, reale e oggettivo: i bambini castigati oggi, potranno diventare, a loro volta, gli adulti castigatori di domani, continuando così a perpetuare un cir-colo vizioso duro da spezzare e da infrangere, in quanto erediteranno e arrecheranno su di sé, errori e colpe degli adulti di ieri. Ma, per De Ségur, il bambino non va soltanto compreso e non punito corporal-mente, va comunque seguito in quanto l’adulto ha il compito nonché il dovere di vigilare su di lui, d’impartirgli una certa educazione e for-mazione che faranno del bambino e che permetteranno al bambino di acquisire una certa maturità e personalità, in tutto e per tutto. Difatti, se è pur vero che un ambiente troppo repressivo, severo, intransigente e violento può portare a sua volta il bambino a essere mechant, al con-tempo, un eccesso di lassismo, permissivismo e indulgenza possono indurlo a essere egoista, capriccioso e viziato. Sta all’adulto, quindi riuscire a trovare i giusti equilibri, la giusta misura per impartire una buona educazione al bambino.

La componente pedagogico e socio-educativa è dunque per Sophie di un’importanza fondamentale per la formazione e crescita matura e consapevole di un individuo, e le sue opere risentono molto di questa impronta, così come di chiari, palesi e evidenti insegnamenti morali. Tornando a un’analisi più prettamente letteraria delle Opere della Contessa, ci sarà da sottolineare anche il suo soffermarsi nella descri-zione realistica di certi aspetti, abitudini, usi e costumi che attualmente (tranne che in rarissimi casi), non sono più utilizzati presso i francesi

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di oggi. In più ella amava descrivere i personaggi dei suoi romanzi in modo caricaturale, conferendo loro anche quegli usi, costumi e quelle abitudini che la visione dell’aristocrazia francese dell’epoca attribuiva a determinati popoli europei. Ed ecco quindi che i Polacchi venivano dipinti come sporchi e bevitori, gli Scozzesi come avari, i Valacchi e i Rom come ladri, gli Arabi come cattivi e bellicosi, i Russi come vio-lenti, ecc.1

Ora, anche se tali descrizioni risultano alquanto datate, sorpassate e del tutto inverosimili, della Contessa restano attualissimi, oltre che le sue lezioni di morale, anche gli insegnamenti socio-educativi e peda-gogici. In più, proprio il suo stile di scrittura schietto, diretto e alta-mente realistico, capace di cogliere i particolari e i dettagli del vivere quotidiano in maniera davvero sorprendente, contribuì fortemente nel farle attribuire l’appellativo di “Balzac dei bambini” da parte

diMarcelle Tinayre2.

1 Cfr. Michel Legrain, opere della Comtesse de Ségur : Mots, silences et stéréotypes, Paris, Honoré Champion, 2011, p. 313.

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CAPITOLO II

Analisi e commento di tre dei principali

ro-manzi della Comtesse De Ségur

1. Les Malheurs de Sophie

Les Malheurs de Sophie1è una delle principali opere letterarie de la Comtesse De Ségur, e si presenta come un romanzo per bambini. Co-stituisce la prima parte di una ben nota trilogia di cui fanno parte i ro-manzi: Les Petites Filles modèles2 (pubblicato nel 1858), e Les Va-cances3 (edito invece nel 1859).

Les Malheurs de Sophie4, venne redatto negli anni cinquanta dell’Ottocento e arricchito dalle illustrazioni di Orazio Castelli, vide la sua pubblicazione nel 1858 presso l’Editore Hachette. romanzo forte-mente autobiografico5, narra le vicende della piccola Sophie alle prese con svariate avventure ed esperienze di vita della propria infanzia, a stretto contatto con la visione della vita e del mondo dei cosiddetti adulti.

1 Les Malheurs de Sophie, op. cit. ... p. 15 n. 2.

2 Comtesse de Ségur, Les Petite Fillès Modeles, Paris, Hachette, 1858. 3 Id., Les Vancances, Paris, Hachette, 1859.

4 Id.,Les Malheurs de Sophie, op. cit. ... p. 15 n. 2.

5 Non è affatto un caso che il nome Sophie della giovane protagonista del romanzo sia lo stesso dell’autrice.

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Ma è proprio lei, l’Autrice stessa, a presentare nel migliore dei mo-di tale suo romanzo proprio attraverso la piccola demo-dica alla figlioletta che così si presenta all’inizio dell’Opera :

À ma petite-fille ÉLISABETH FRESNEAU

Chère enfant, tu me dis souvent : Oh ! grand’mère, que je vous aime !

vous êtes si bonne ! Grand’mère n’a pas toujours été bonne, et il y a bien des

enfants qui ont été méchants comme elle et qui se sont corrigés comme elle. Voici des histoires vraies d’une petite fille que grand’mère a beaucoup con-nue dans son enfance ; elle était colère, elle est devecon-nue douce ; elle était gourmande, elle est devenue sobre ; elle était menteuse, elle est devenue sincère ; elle était voleuse, elle est devenue honnête ; enfin, elle était mé-chante, elle est devenue bonne. Grand’mère a tâché de faire de même. Faites comme elle, mes chers petits enfants; cela vous sera facile, à vous qui n’avez pas tous les défauts de Sophie.

COMTESSE DE SÉGUR,

née ROSTOPCHINE.1

Il tutto si svolge in un castello in stile Secondo Impero totalmente immerso nella vasta campagna francese2. E’ qui che la piccola Sophie, giovanissima protagonista del romanzo, abita con i suoi genitori: i co-niugi De Réan. In questo castello Sophie vive le sue avventure e di-savventure, rendendosi protagonista di svariate birichinate anche con

1 Les Malheurs de Sophie, op. cit. ... p. 15 n.2, p. 272.

2 Si tratta del Castello di Kermadio, a Pluneret nel Dipartimento del Morbihan, dove la Contessa realmente soggiornò in vita e che tanto ispirò le vicende non solo de Les Malheurs de Sophie, ma anche di altri Romanzi della stessa autrice.

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la complicità del cugino Paul, al quale la zia non disdegna d’indicargli la giusta e retta via. Ma come modelli comportamentali da seguire la piccola ha anche quelli delle sue care amiche d’infanzia Camille e Madeleine de Fleurville, che, nonostante tutto il suo impegno, diffi-cilmente riesce a imitare.

D’importanza fondamentale, per meglio comprendere il vero mes-saggio di tale romanzo, è conoscere e capire il chiaro contesto sociale, familiare, educativo in cui visse.

È quello, dunque, del mondo piccolo-medio borghese della Francia del XIX secolo, dove vigevano princìpi saldi, valori, regole, canoni e stereotipi peculiari di un chiaro e palese indottrinamento etico-morale, di un’educazione e formazione cultural-religiose di natura altamente ferrea, rigida, severa e intransigente. Le componenti di tale indottri-namento, educazione e formazione provenivano, per l’appunto, da quegli ambienti piccolo-medio borghesi dove la loro profonda natura, la loro vivida conformazione, visione della vita e del mondo fortemen-te e totalmenfortemen-te perbenisfortemen-te, benpensanti, conformisfortemen-te e altamenfortemen-te puri-tane, oltre ad affermarsi come veri e propri elementi di una realtà più che mai attendibile e oggettiva, fungevano anche da vero e proprio manifesto socio-culturale, e da chiara ed evidente carta d’identità del mondo piccolo-medio borghese. Sophie viene presentata come una bambina vispa, attiva e intraprendente, innamorata della vita ma anche desiderosa al contempo di emulare, o talvolta d’andar contro i modelli

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di vita del mondo degli adulti. Difatti ammirando gli adulti e le grandi dame dell’alta società dell’epoca, cerca di assumere modi e atteggia-menti simili ai loro, giungendo persino a radersi le sopracciglia, a li-sciarsi i capelli con un ferro da stiro, a liberare un fringuello dalla gabbia che verrà divorato subito dopo perché incapace di difendersi, o addirittura a camminare a piedi nudi nella calce viva. Emblematico, a tal proposito, resta l’episodio della Bambola di Cera1, nel quale la pic-cola, attratta dal mondo dei cosiddetti grandi, comincia a trattare una bambola con tutte le cure e le attenzione proprie che gli adulti hanno nei confronti dei neonati. Ma una bambola di cera non è di certo un neonato, per cui ecco che l’eccesivo zelo delle sue cure e attenzioni, unito a una sua chiara testardaggine, e al non ascoltare i consigli della Madre, porta la piccola a compiere dei veri e propri disastri. Come a esempio quando, nell’intento di rendere i capelli della sua bambola più belli e lisci, li passa sotto il ferro da stiro provocandone l’immediata e irrimediabile bruciatura. O come quando, constatando un colorito pallido della sua bambola e credendo quindi che questa avesse freddo, la espone al sole in attesa che arrivino le sue amiche. Il tutto ignorando il consiglio della madre che la esorta a non esporla al calore del sole, in quanto la cera rischia di sciogliersi. E difatti, all’arrivo delle amiche, quando ritorna dalla sua amata bambola, ecco che la trova senza occhi: il calore del sole aveva sciolto la parte più delicata attorno agli occhi facendoli cadere all’interno della testa. Per

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tale triste e inaspettata sorpresa incomincia a piangere, addolorandosi come se effettivamente quella bambola fosse sua figlia. Ma il proble-ma è presto risolto. Difatti la proble-mamproble-ma della piccola dopo aver recupe-rato gli occhi li riattacca con un po’ di cera a caldo. Dopo che si è raf-freddata, ecco che tra leurla di gioia e i ringraziamenti alla Madre può tornare a giocare con la sua amata bambola di cera.

Difatti ecco che esclama :

Merci, ma chère maman, … , merci : une autre fois je vous écouterai, bien sûr.

… Vive maman ! De baisers je la mange.

Vive maman ! Elle est notre bon ange.1

Ed ecco dunque che, nei vari episodi del romanzo, mostra davvero di possedere una profonda bontà d’animo, una forte sensibilità e un cuore grande e nobile, per cui lei fondamentalmente per tutte le azioni che compie o che vuole compiere, è spinta da buoni intenti e propositi leali e giusti. Ma, come nel caso della Bambola di cera, paga non sol-tanto la sua inesperienza, ma anche l’orgoglio e talvolta la presunzio-ne di saperpresunzio-ne più dei grandi.

E da qui i suoi guai.

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Si assiste, così, come già all’epoca, al mondo degli adulti, con tutti i suoi modelli e stereotipi palesi a una forte e chiara ascendenza sui bambini, anche lì dove non è voluta e ricercata, a testimonianza della ferrea e rigida educazione e del particolare contesto pedagogico del tempo. Sophie, quindi è semplicemente una delle tantissime bambine figlie della piccolo-media borghesia, che nell’Ottocento, vivevano “succubi” di modelli comportamentali e di pensiero, incarnati e impar-titi dal proprio entourage di provenienza, dalla propria famiglia e, in particolare, dagli stessi genitori. A seguire, il romanzo offre anche episodi che riguardano il viaggio n America della piccola. Episodi se-gnati da un dolore molto profondo intenso e lacerante a causa della prematura scomparsa della madre alla quale Sophie era molto legata. Dopo di ché ella dovette crescere, tornata in Francia, accanto alla nuo-va compagna del padre, che sin da subito si rivela ostile alla piccola Sophie e dedita a pesanti castighi e a dolorose nonché umilianti puni-zioni fisiche. Tali percosse rendono Sophie di volta in volta e a secon-da dei casi, ora timorosa e terrorizzata ora sfrontata e coraggiosa, non permettendole tale rapporto difficile e burrascoso con la compagna pa-terna, un giusto e sereno approccio con quest’ultima e con il mondo degli adulti in generale.

Affermare quindi che in quest’ottica Le Malheures de Sophie vuole at-testarsi anche come elemento di forte denuncia e di attenta riflessione sul mondo dell’infanzia, risulta quanto mai scontato e superfluo. In-tento della Comtesse, la quale in questo romanzo riversò molti

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menti e ricordi della propria infanzia, era non soltanto quello di diver-tire e distrarre i più piccoli con le sue storie, e nemmeno soltanto quel-lo d’informare e convincere attraverso l’illustrazione chiara, limpida e palese dell’assoluta disumanità, barbarie e brutalità, delle punizioni corporali, che si attestavano anche come metodo assolutamente falla-ce, inefficace e inadatto alla crescita ed educazione dei bambini. Ma il suo intento, attraverso i suoi romanzi, rimase anche soprattutto quello di formare le coscienze adulte verso l’accettazione di nuovi metodi educativo – pedagogici che mettessero il bambino al centro dell’attenzione; il bambino con le sue esigenze, il bambino con le sue paure, il bambino con le sue difficoltà, non l’adulto al centro di tutto che impone le sue leggi al bambino.

Per ciò che concerne il percorso editoriale e il successo di tale ro-manzo, si può affermare che nel ramo della letteratura per l’infanzia

Le Malheurs de Sophie ha avuto diverse riedizioni, e il suo successo si

è rinnovato di volta in volta sino ai nostri giorni anche fuori i confini francesi. Riferimenti letterari si ritrovano in Ada ou l'ardeur 1, in cui l’autoreVladimir Nabokov immagina una sorta di Sophismi di Sophie in “M.lle Stopchin”. Mentre nell’opera Les Malheurs de Swann si ten-de a mescolare tematiche seguriane a tesi proustiane. Interessante è constatare invece come in Gran Bretagna, per svariati decenni, Les

Malheurs de Sophie2 sia stato il romanzo col quale generazioni di

1 Vladimir Nabokov, Ada ou l'ardeur, Paris, Folio, 1969. 2 Les Malheurs de Sophie, op. cit. ... p. 22 nota 1

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dentesse si son esercitate nelle loro traduzioni dal francese. E nemme-no si possonemme-no dimenticare i tre film ispirati dallo stesso romanzo1, nonché il ciclo di cartoni animati andati in onda nelle tv francesi a par-tire dal 1997. Poi vi è stata la realizzazione di due collane di fumetti, mentre in campo musicale tra le varie opere son state composti un bal-letto e una commedia musicale.

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2. Les Petites Filles Modèles

Les Petites Filles Modèles1 fu il secondo romanzo per l’infanzia re-datto dalla Comtesse De Sègur e pubblicato nel 1858 nella collana La

Bibliothèque Rose2 apparso nella stessa trilogia a cui fanno parte Les

Malheurs de Sophie3 (1858) et Les Vacances (1859)4. Tale romanzo illustra le vicende di due bambine, Camille e Madeleine de Malaret, figlie di Madame de Fleurville, la quale ha perso il marito sei anni prima. Nonostante questa grave disgrazia, madre e figlie formano tra loro una famiglia molto felice e spensierata, alle prese con le piccole-grandi gioie e preoccupazioni quotidiane tipiche di famiglia piccolo-medio borghese della Francia del secondo Ottocento.

L’attenzione della Comtesse sulle figure delle due protagoniste del romanzo è evidente sin da subito, a partire addirittura dalla Prefazione all’Opera stessa:

Mes Petites Filles modèles ne sont pas une création ; elles existent bien réellement : ce sont des portraits ; la preuve en est dans leurs imperfections mêmes. Elles ont des défauts, des ombres légères qui font ressortir le charme du portrait et attestent l'existence du modèle. Camille et Madeleine5 sont une réalité dont peut s'assurer toute personne qui connaît l'auteur.1

1 Les Petites Filles Modèles, op. cit. ... p. 22 n. 2. 2 Cfr. Cap. I, Par. 1, p. 12, n 1.

3 Les Malheurs de Sophie, op. cit. ... p. 22 n. 1. 4 Cfr. Cap. II, Par. 1, p. 20.

5 Come giustamente attesta la Contessa De Segur, è storicamente provato que Camille e Ma Made-leine De Malaret sono realmente vissute: le loro tombe si trovano in un cimitero di

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A dimostrazione che felicità, bontà d’animo, buoni sentimenti, al-truismo e generosità regnano sovrani in questa piccola famiglia, è il fatto che Madame de Fleurville giunge ad accogliere in casa sua una Signora, Madame de Rosenburg con la sua piccola figlia Marguerite, dopo che queste son scampate a un grave e pauroso incidente in car-rozza. E così, necessitando di cure e assistenza immediate, ecco che Madame de Rosemburg con la piccola Marguerite vengono subito ospitate da Madame de Fleurville nel suo castello.

Inizialmente quindi Madame de Rosenburg e la piccola Marguerite ricevono cure e attenzioni per lo scampato pericolo, successivamente, Madame de Fleurville scopre di avere in comune con la sua ospite, una triste condizione: anche Madame de Rosemburg è vedova avendo perso il marito in mare. Inutile affermare che tra queste due signore nasce e cresce col tempo un’unione, una sintonia, un legame di solida amicizia ancor di più avallato dalla “condivisione” dell’esperienza tri-ste, drammatica e dolorosa dovuta alla perdita dei loro mariti. Insieme si fanno forza, si danno coraggio l’una sull’altra, cercando, per quanto sia possibile, di non far pesare l’assenza della figura paterna sulla psi-che e nell’animo delle loro innocenti figliolette. In quest’Opera l’autrice si sofferma soprattutto nella narrazione delle vicende legate alle piccole bambine: Camille, Madeleine e Marguerite , di come

des-Rais, in località Verfeil (comune di Toulouse, departement de l’Haute-Garonne, Région du Midi-Pyrénées).

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scono insieme e di come insieme apprendono a distinguere il bene dal male. Tale percorso di crescita è evidente soprattutto in Marguerite, ancora troppo piccola e poco matura per capire determinati concetti da sola, la quale si lascia ben guidare dalle più grandi e “mature” Camille e Madeleine.

Difatti, sin da subito, da dopo l’incidente, s’instaura tra le due sorel-le e la piccola, un rapporto di forte e reciproca amicizia, basata su sen-timenti leali, puri e sinceri su una grande dose di fiducia. La piccola si sente molto protetta e al sicuro con le sorelle, probabilmente anche co-sciente del fatto che son state proprio loro a soccorrerla e a trarla in salvo dopo l’incidente che Madame de Fleurville si occupava di Ma-dame de Rosemburg rimasta nella carrozza in condizioni ben più gra-vi. E così Marguerite, avverte da parte delle sorelle un senso di forte e profonda protezione, addirittura giunge a chiamarle “mamans” (mamme).

Pertanto è chiaro che si lascia correggere e educare da loro. Lei cerca così di imitarle emularle e di prenderle come sano esempio da seguire, alla stessa stregua di come di solito le figlie fanno con le proprie Ma-dri. Da qui dunque il titolo del romanzo “Le bambine modello”.

Ma Camille e Madeleine fungeranno da modelle non soltanto alla piccola Marguerite, ma anche a Sophie, protagonista del precedente romanzo Les Malheurs de Sophie1. Quando nel settimo titolo fa la comparsa nel romanzo un nuovo personaggio Fedor Fichini, ecco che

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il baricentro dell’attenzione delle vicende narrative si sposta sulla nuova entrante figura di Sophie, per l’appunto.

Quest’ultima, difatti, spesso si reca con la sua matrigna, Madame Fi-chini, proprio in visita a madame Fleurville e alle sue due figlie e no-nostante che Sophie non si comporti in modo cattivo e insolente con le due sorelle, quest’ultime devono far appello a tutta la loro più grande e lungimirante pazienza affinché l’atmosfera rimanga calma, serena e pacifica.

Da questo punto di vista, è Marguerite, più piccola, per l’appunto, e meno matura di Camille e Madeleine, a dare chiari segni d’insofferenza di mal sopportazione nei confronti di Sophie, la quale, seppur non cattiva, si dimostra a ogni modo nervosa, in preda a un’angoscia chiara ed evidente accompagnando al tutto un comporta-mento talvolta poco leale e onesto. Ma le due sorelle compresa la pic-cola Marguerite, giungono ben presto a comprendere, tanto palese che fosse, che lo stato ‘animo, i comportamenti riprovevoli di Sophie son dovuti alla paura, al terrore che quest’ultima subisce dalla figura di Madame Fichini, sua matrigna, la quale era non poco avvezza a casti-gare severamente la piccola con dure e umilianti punizioni corporali.

Difatti l’educazione e formazione della Matrigna, molto severe, ri-gide e intransigenti la portavano a pensare che “le fouet est le meilleur des maîtres”, “le seul moyen d'élever des enfants”1. Ed è soltanto quando Madame de Fleurville e de Rosenburg riescono a persuadere

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Madame Fichini di lasciar Sophie più tempo in compagnia delle loro figliolette che la stessa Sophie giunge a dei significativi progressi ca-ratteriali e comportamentali, proprio perché Madeleine e Camille fun-gono per lei, così come per la piccola Marguerite da bambine modello. Ciò nonostante, Sophie avverte che mai e poi mai potrà debellare dal suo animo difetti così troppo profondi e radicati del suo Essere. Ed è per questo ch’ella giunge a dire proprio a Camille:

Chère Camille, je vois que je resterai toujours méchante ; jamais je ne serai bonne comme vous.1

Ma per quanto il carattere e i comportamenti di Sophie possano appa-rire del tutto destabilizzanti al lettore, in realtà è proprio la sua irru-zione nella storia a rimettere in discussione anche le più fervide e ac-cese convinzioni e nozioni di natura etico-morale, conformiste, perbe-niste e benpensanti di Camille, Madeleine e Marguerite.

Difatti i suoi atteggiamenti e la sua condotta di vita inducono ogni qual volta le tre amiche a riflettere e a rivedere meglio la loro conce-zione del bene e del male, su ciò che può essere giusto e sbagliato, e su come ci si deve comportare nei confronti degli adulti.

Con l’arrivo di Sophie, importante è sottolineare come l’Autrice vo-glia evidenziare il ruolo delicato e fondamentale delle sorelle Made-leine e Camille nella gestione del difficile rapporto che comincia a in-tercorrere tra Sophie e Marguerite. Difatti le due bambine mal si

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portano, e Marguerite, essendo più piccola, il più delle volte cede alle provocazioni della più grande Sophie. E’ qui che le Camille e Made-leine tentano d’intervenire ogni volta, riuscendo col tempo a calmare gli animi e a rendere più sereno, pacato e pacifico il delicato rapporto d’amicizia tra le due.

Da qui l’importanza del messaggio etico-morale e pedagogico-educativo della Comtesse De Ségur espresso dalla stessa Autrice at-traverso uno stile semplice e sobrio, un lessico familiare e facilmente comprensibile e la narrazione dell’avvenimento in questione, il quale pur se del tutto immaginario o quasi, viene descritto in modo realisti-co, riportato vivo su carta, battuta dopo battuta e calato direttamente in una dimensione completamente quotidiana e verista.

Ed è proprio in linea con questo realismo, in certi casi nudo e crudo, che l’autrice si sofferma non poco anche nella descrizione/denuncia delle severe e umilianti punizioni corporali subite da e per conto della sua Matrigna madame Fichini.

A questo tema così doloroso, difatti, la Comtesse era molto legata, in quanto anche lei subì durante la sua infanzia più e più volte le stesse punizioni di1, tanto da riprenderlo più volte nell’intera sua produzione letteraria2. In conclusione, Les Petites Filles modèles3 ha ispirato

1 Les Petites Filles modèles Op. cit. ... p. 15 n. 2.

2 A tal proposito meritano assolutamente di essere citati in specifico altri due Romanzi della Com-tesse: Le Général Dourakine, Paris, Hachette 1863, acuto quanto profondo ritratto del caro Padre a cui l’Autrice rimase sempre legatissima, e Un bon petit diable, op. cit. ... p. 16 n.2, che trae chia-ra ispichia-razione dalla narchia-rativa di Charles Dickens (ed in particolare dal romanzo Oliver Twist), auto-re, quest’ultimo, che pure tanto si contraddistinse per aver denunciato i soprusi e le ingiustizie de-gli adulti nei confronti dei bambini perorando sempre, con le sue opere, la causa di quest’ultimi. 3 Op. cit. ... p. 35 nota 1.

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che due film1 e due opere letterarie2. In particolare, il film che riscos-se maggior successo fu quello del 1971 dal titolo omonimo che rac-conta la storia di una teenager dei primi anni 70 con i problemi carat-tesristici della sua età. Nella loro bella cittadina la protagonista del film, Sofia de Segur, le sue sorelle e la madre avvertono il bisogno di qualcosa che i loro giochi femminili non possono colmare: la mancan-za di un uomo.

1 1952 : Les Petites filles modèles film francese (incompiuto) di Éric Rohmer, con Josette Sinclair (Madame de Fleurville), Josée Doucet (Madame de Rosbourg) e Olga Baïdar-Poliakoff (Madame Fichini)

1971 : Les Petites Filles modèles, film di Jean-Claude Roy avec Marie-Georges Pascal, Michèle Girardon e Bella Darvi

2 1982: Les petites filles modèles, riadattamento di Georges Lévis, Jean-Claude Baboulin e Francis Leroi, Éd. Dominique Leroy, 1982.2010-2011: Les Nouvelles Petites Filles Modèles, série di cinque uscite di Rosalind Elland-Goldsmith (Hachette Jeunesse).

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3. La Sœur de Gribouille

Altro romanzo per l’infanzia di successo della Comtesse redatto all’inizio degli anni sessanta dell’Ottocento e pubblicato sempre da Hachette nel 1862 nella collezione nella Bibliotheque en Rose come i romanzi qui precedentemente illustrati. Ispirata a La Sœur de Jocrisse,

dalla quale la Comtesse confessò apertamente di averne ripreso qual-che frase e qualqual-che facezia1 per redigere il suo nuovo romanzo, La

Sœur de Gribouille2 venne dedicata dalla stessa Autrice alla figlia

Va-lentine de Ségur-Lamoignon.

E difatti così scrive La Comtesse nella sua Prefazione all’Opera:

L’idée première de ce livre m’a été donnée par un ancien souvenir d’une des plus charmantes et spirituelles bêtises qui aient été jouées sur la scène : la Sœur de

Jo-crisse. Je me suis permis d’y emprunter deux ou trois paroles ou situations

plai-santes, que j’ai développées au profit de mes jeunes lecteurs ; la plus importante est l’inimitié de Gribouille contre le perroquet. J’espère que les auteurs me par-donneront ce demi-plagiat ; Gribouille et Jocrisse étant jumeaux, mon Gribouille a imité presque involontairement son plaisant et inimitable prédécesseur.

Comtesse de Ségur, née Rostopchine.3

1 Difatti questo è quanto la contessa scrisse nella sua introduzione: “Je me suis permis d’y emprun-ter deux ou trois paroles ou situations plaisantes, que j’ai développées au profit de mes jeunes lec-teurs".

2 Cfr. Comtesse de Ségur, La Sœr de Gribouille, Paris, Hachette, 1862

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Tutta la storia si svolge a Verneuil, in Normandia. Al momento della prematura scomparsa della loro cara Madre, Gribouille e Caroline, ri-spettivamente fratello e sorella, seppur ancor bambini, son costretti a rimboccarsi le maniche per riuscire a tirare avanti da soli. È così che i due cominciano a vivere grazie a proventi che giungono dai lavori di sarta della sorella maggiore Caroline, campo nel quale ella dimostra un vero e proprio spiccato talento. Ma a causa della sbadataggine del fratello Gribouille, ecco che i due si ritrovano spesso alle prese con svariati problemi e innumerevoli tribolazioni. In questo romanzo si as-siste al ritorno dello messaggio educativo-pedagogico già presente ne

Les Petites Fille modèles1.

Difatti ciò che Camille e Madeleine erano per Marguerite e Sophie, ossia delle “Bambine modello”, in questo romanzo è lo è Caroline. Quest’ultima, difatti proprio davanti la Madre morente giura che mai si separerà dal fratello minore e che sempre se ne prenderà cura in modo attento e solerte, assumendosi così sulle proprie spalle un ruolo di grande responsabilità proprio nei confronti di Gribouille. Quest’ultimo, difatti necessita di essere guidato nell’ambiente lavora-tivo così come nella vita, in quanto, pur se non più un bambino ma bensì un adolescente di sedici anni, risulta sì leale e buono di cuore, ma anche ingenuo e maldestro tanto che tali suoi difetti lo portano ad avere continuamente guai soprattutto sul lavoro nella sartoria dei

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Delmis. In più, si rende protagonista di una sonora gaffe con Made-moiselle Rose.

Quest’ultima nutre un odio e un rancore profondo nei confronti dei Trihault, proprio perché offesa da Gribouille che gli ha donato un abi-to che non era in realtà destinaabi-to a lei. Per questa incomprensione avu-ta con il giovane, ella, per l’appunto, comincia ad avversare anche l’onesto e duro lavoro di Caroline, giungendo anche a insultare ab-bondantemente.

Ma in tutto questo scenario, lì dove non può arrivare la mediazio-ne e la proteziomediazio-ne di Carolimediazio-ne, giunge la saggezza e la comprensiomediazio-ne dei coniugi Delmis, proprietari della sartoria e datori di lavoro di Ca-roline e Gribouille. Ed è soprattutto il signor Delmis ad aver più pa-zienza con Griboulle, ad accettar e sopportare le sue marachelle, e a addirittura a prendere in simpatia il ragazzo, vedendo in lui un cuor leale, buono e gentile. Di contro, invece, la signora Delmis si affezio-na maggiormente a Caroline, instancabile e ottima lavoratrice il cui ta-lento per la sartoria pare l’avesse ereditato dalla Madre Trihault. La signora Delmis, però, a lungo andare giunge a mal tollerare i guai con-tinui e costanti di Gribouille. Uno dei più gravi di questi è quello ri-guardante lo strangolamento del pappagallo Jacqot. Gribouille e Jacqot a lungo andare cominciano a mal sopportarsi fin quando lo stesso Gribouille strangolerà il pappagallo.

E proprio nella descrizione di questa scena si può meglio consta-tare l’autentico realismo letterario della Comtesse:

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— Gribouille ! Ha ! ha ! ha ! Gribouille est bête ! Imbécile de Gribouille ! Ha ! ha ! ha ! dit une voix forte qui partait de derrière le rideau.

GRIBOUILLE.

Qu’est-ce que c’est que ça ? Qui parle de Gribouille ?

LE PERROQUET.

Jacquot ! pauvre Jacquot ! Gribouille l’a battu !

GRIBOUILLE.

Ah ! c’est toi! menteur ! voleur ! scélérat emplumé ! Ah ! c’est toi,… et nous sommes seuls ! À nous deux, calomniateur ! traître !

Gribouille s’élança vers la fenêtre et ne tarda pus à découvrir le perroquet, qui grimpait le long du rideau en s’aidant du bec et de ses griffes. Voyant arriver son ennemi, Jacquot précipita son ascension en criant : « Ha ! ha ! ha ! imbécile de Gribouille ! »

Cette dernière injure exaspéra Gribouille, qui sauta sur le perroquet, presque hors de sa portée ; Gribouille ne saisit que la queue, dont quelques plumes lui restèrent dans les mains. Il s’élança une seconde fois sur le rideau après lequel grimpait le pauvre Jacquot avec prestesse et terreur tout en criant : « Au secours ! Gribouille ! Jacquot ! Gribouille l’a battu ! pauvre Jac-quot ! »1

Lo stesso Gribouille confesserà l’accaduto proprio al Signor Delmis, il quale pur di proteggere il ragazzo, tenterà di non rivelare il fatto, che,

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alla fine verrà a scoprirsi. Il signor Delmis, difatti, anche dinanzi a eventi incresciosi come questo, tenta sempre di difendere Caroline e Gribouille, cercando di comprenderli e di averli sempre a cuore in quanto completamente orfani. L’uccisione del pappagallo da parte di Gribouille dimostra che il ragazzo, pur se animato da buoni e sani principi, è facile preda di indomite pulsioni rabbiose, e da incontrollati isterismi. È per questo che secondo la Madre la figura di una persona più matura e saggia, come Caroline, o come lo stesso signor Delmis, che lo guidi e completi la sua educazione, diviene quasi di fondamen-tale importanza. In altro modo rimarrebbe uno spirito puro e leale, ma anche estremamente ingenuo e selvaggio e secondo la cultura dell’epoca andrebbe addolcito e addomesticato.

Ma oltre al Signor Delmis, come amico, dalla sua parte c’è il Briga-diere, la cui coscienziosità bontà d’animo e saggezza, lo portano a le-garsi al ragazzo attraverso un legame di profonda amicizia, anche per-ché comprende che Gribouille non è affatto cattivo, ma solo maldestro e ingenuo.

E una prova di tale verità la si ha proprio alla fine del romanzo, quan-do proprio Gribouille salva la vita allo stesso Brigadiere, che intanto aveva sposato Caroline, frapponendosi tra lui e una pallottola sparata da un malvivente.

E così Gribouille, proteggendo con il suo corpo il Brigadiere gli fa scudo e muore eroicamente. . Ed ecco riportato qui di seguito il passo

in cui la Comtesse, con agghiacciante realismo descrive il tragico ac-caduto:

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…un homme portant une lanterne sourde entra à pas de loup ; la porte ou-verte laissait pénétrer assez de lumière pour que le brigadier reconnût Mi-chel. Gribouille se serra contre le brigadier, qui n’avait pas bougé. Avant de s’engager plus avant dans la chambre, et aussi pour reconnaître la place du meuble qui devait contenir le petit trésor de la pauvre Caroline, Michel diri-gea la lumière de sa lanterne sourde du côté où se trouvait le brigadier, il l’aperçut, et, poussant un cri de rage, il dirigea le canon d’un pistolet, qu’il tenait à la main, sur le brigadier, qui allait s’élancer pour le saisir. Gribouil-le, devinant l’intention de Michel, se jeta sur le brigadier, préservant de son corps la poitrine de son ami avant que le brigadier eût pu prévoir et prévenir ce mouvement, le coup partit et Gribouille tomba.

« Je l’ai sauvé ! s’écria-t-il en tombant. Caroline, je l’ai sauvé ! »1

Ed ecco che Gribouille appare l’emblema della purezza, della bontà fatta persona e vittima del mondo degli adulti, la cui condizione esi-stenziale non riesce ad accettare: non riesce ad accettare le sue regole, i suoi schemi, le sue imposizioni e i suoi soprusi.

E la sorella Caroline, comprendendo più di tutti l’animo del fratello, tenta di condurlo al meglio nell’intricato mondo degli adulti, sì, pren-dendosi cura di lui, ma allo stesso tempo cerca anche di proteggerlo da quel mondo che la personalità di Gribouille non riesce ad accettare, proprio perché troppo indomita libera e selvaggia.

La semplicità di spirito, la bontà d’animo e la spiccata onestà d’intenti, sono alcuni dei saldi e fervidi principi e d insegnamenti

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co-morali che Caroline e il fratello ereditano non solo dall’ambiente socio-familiare povero da cui provengono, ma soprattutto dall’educazione e dalla stessa figura della madre Trihault, donna umi-lissima, leale e ottima sarta e grande lavoratrice.

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CAPITOLO III

1. Cultura e pensiero pedagogico nel mondo

bor-ghese e aristocratico

Sin dai più remoti albori della loro genesi, il mondo piccolo-medio borghese e l’alta aristocrazia in particolare, hanno sempre nutrito una concezione ben precisa e particolare sull’educazione infantile e sul pensiero pedagogico da seguire. Difatti, in questi ambienti, il bambino è stato sempre cresciuto ed educato alla luce di valori, princìpi e ideali etico-morali e che non riflettessero la più vera natura, intima essenza e genesi originaria del mondo borghese e aristocratico.

Il rigido e severo insegnamento unito a una cieca obbedienza di certe regole, norme e precetti di natura esplicitamente perbenista, puritana, benpensante e conformista, è stata da sempre una costante in tutte le famiglie dell’alta Società di tutte le epoche. Tale educazione è da sempre risultato un vero e proprio marchio di fabbrica, sigillo, tratto distintivo della società borghese e aristocratica. Nelle famiglie bor-ghese e aristocratiche i fanciulli sin da piccoli, venivano affidati alle cure, attenzioni e soprattutto all’educazione di maestri privati o precet-tori, i quali si occupavano in toto, non soltanto della loro istruzione e

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formazione scolastica e della loro maturità culturale, ma anche e so-prattutto della loro delicata educazione. Tali precettori, difatti, aveva-no sulle loro spalle l’arduo compito di doverli seguire, formare e gui-dare per renderli pronti, un giorno, raggiunta l’età adulta, al loro fati-dico ingresso nell’alta società. Ecco quindi che le norme, le regole , i precetti, i princìpi gli ideali che tali precettori insegnavano e imparti-vano ai fanciulli, apparteneimparti-vano, senz’ombra di dubbio, al mondo e contesto socio-culturale di appartenenza delle loro famiglie: quello borghese e aristocratico, per l’appunto.

Normale era, dunque, fare in modo che il bambino venisse educato affinché la sua persona e figura potesse corrispondere perfettamente a quei canoni, modelli e stereotipi dettati dall’educazione e del pensie-ro pedagogico aristocratico-borghese. Il bambino doveva, così, già in tenera età apprendere e cominciare a essere un piccolo adulto. Anche i giochi, le attività ludico-ricreative e gli esempi educativi erano finaliz-zati a questo: già da piccoli i bambini apprendevano che, a esempio, i matrimoni con persone di rango o estrazione sociale “inferiore” non erano consentiti dalla morale, dall’educazione e dalle tradizioni del mondo aristocratico-borghese: così come erano mal tollerati, se non vietati addirittura, i contatti e le amicizie anche solo di natura ludica con bambini provenienti da classi sociali meno abbienti. Secondo l’educazione e il pensiero pedagogico aristocratico-borghese (soprat-tutto nel XIX° secolo), il bambino veniva così inquadrato a imitare, emulare, seguire in tutto e per tutto l’adulto per essere egli stesso

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l’adulto di domani. Inutile affermare che, si trattava di un’educazione assolutamente imposta che non lasciava alcuno scampo al bambino: accettarla era d’obbligo. E, se c’erano rimostranze, rifiuto o disubbi-dienza nel seguire gli “ordini” impartiti dai genitori o dal Precettore, ecco che non tardavano ad arrivare, per il bambino stesso, oltreché du-ri du-rimprovedu-ri, anche dure, severe e umilianti punizioni o castighi cor-porali. Ed ecco che in questo modo il bambino non cresceva e non ve-niva educato in modo sano, tranquillo e sereno, m in maniera rigida, severa e intransigente alla luce dell’insegnamento di princìpi, regole e norme da rispettare e obbedire senza batter ciglio. Il bambino, data la sua condizione d’inferiorità di fronte all’adulto non era per nulla tenu-to a ricevere né spiegazioni né a saper il perché di certe regole. E, co-me precedenteco-mente sottolineato in questo lavoro, il rischio di far del male e di ottenere dei pessimi risultati sia nella psiche del bambino (con il sorgere di problematiche alquanto serie e gravi), sia dal punto di vista educativo, rimaneva comunque alto. Le problematiche pote-vano variare da bambino a bambino. Difatti, il bambino d’indole più spiccatamente impulsiva, istintiva, vivace estroversa e ribelle, era spinto e portato a un senso di ribellione, di sfida, di opposizione e in-disposizione nei confronti dell’adulto proprio a causa dell’eccessivo rigore, dell’esasperata severità, intransigenza e fiscalità di determinati insegnamenti, nonché soprattutto dalle dure, dolorose e umilianti pu-nizioni corporali che seguivano alla mancata obbedienza di certi pre-cetti.

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Invece, nel caso di un bambino dall’indole e dalla natura più timi-da, chiusa, riservata, timorosa, introversa, si poteva assistere al verifi-carsi di n vero e proprio trauma dell’età infantile.: il bambino poteva giungere a chiudersi ancora ulteriormente in sé, a essere timoroso nei confronti dei genitori o precettori, ma addirittura terrorizzato dalla fi-gura dell’adulto, rinchiudersi in un ostinato mutismo isolandosi sem-pre di più dal mondo circostante soffrendo da solo e in silenzio. Le ri-percussioni di tali esperienze e o traumi infantili potevano facilmente avere poi delle inevitabili e dolorose conseguenze anche nella succes-siva vita da adulto. Inoltre, anche nei rapporti, interpersonali il bambi-no veniva guidato e sorvegliato. Questi sin da piccolo veniva abituato a frequentare compagni o compagne della stessa età di altrettante fa-miglie aristocratico/borghesi. E sin da piccoli, sia bambine che bam-bini, venivano promessi come sposi a figli o figlie di importanti fami-glie o casati. E qui, oltre al perché di tale usanza, oltre all’educazione impartita ai bambini, intervengono anche motivi di natura politica e di prestigio dinastico-nobiliare. Difatti, per permettere il perdurare nel tempo e il più a lungo possibile il nome della propria famiglia o dina-stia aristocratico-borghese, per preservare il proprio “sangue blu” da contaminazioni esterne da parte di persone senza titoli e non prove-nienti da ambienti facoltosi e nobiliari, per permettere una discenden-za di sangue puro il più possibilmente certa e sicura, per garantire il rispetto di certi determinati accordi tra le varie famiglie aristocratico-borghesi di natura politica o economica... per questi principali motivi

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e per tanti altri, ecco che negli ambienti aristocratico-borghesi si per-petuava di continuo questa usanza a discapito dei sentimenti e delle passioni dei figli, i quali, se sin da piccoli per l’appunto venivano già destinati e promessi sposi a determinati fanciulli, divenuti adulti se non addirittura ancora in età adolescenziale, venivano uniti in matri-monio senza amore, poiché la “ragion di stato” o il prestigio ella pro-pria casata nobiliare erano di considerati di gran lunga superiori e più importanti dei sentimenti e dell’amore stesso. Per non parlare poi, dei Matrimoni combinati tra figli di re, Monarchi o Imperatori: lì “ragion di Stato” e ragioni di prestigio erano ancora più evidenti, e erano per davvero gli unici motivi assoluti per cui venivano combinati e sanciti i Matrimoni.

Il bambino di una famiglia aristocratico-borghese, dunque, veniva privato e “spogliato” della sua vera e pura identità, della sua Essenza e natura interiore, proprio perché non rispettato nel suo essere bambino. La sua piccola visione del mondo e della vita, le sue difficoltà, le sue esigenze, le sue paure, le sue necessità, le sue problematiche non ve-nivano prese in considerazione per nulla o quasi dall’adulto aristocra-tico-borghese. Oppure se venivano prese in considerazione, non era mai in maniera approfondita attraverso un approccio puro che ponesse il bambino al centro di tutto. Invece no, l’adulto cercava di ascoltare e comprendere il bambino e di risolvere i suoi problemi le sue paure e angosce ponendosi sempre se stesso al centro di tutto (e non il bambi-no per l’appunto), e imponendo la sua visione del mondo e della vita,

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attraverso metodi risolutivi idonei ad appianare le sue problematiche, le sue angosce, le sue paure, ma non quelle di bambino. Tali atteggia-menti, ma soprattutto codesta linea di pensiero educativo-pedagogica che determinati ambienti avevano nei riguardi del bambino, si ritrova facilmente ed esplicitamente espressa nella letteratura e in particolare nel romanzo borghese del XIX° secolo.

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