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Valutazione dello scompenso cardiaco nel Dipartimento d'Urgenza: luci ed ombre

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Academic year: 2021

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Indice

1. Introduzione…..………2

2. Scopo del lavoro………11

3. Materiali e metodi…...12

4. Risultati………..……….…14

5. Discussione………20

6. Conclusioni……….…….31

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1. INTRODUZIONE

I mutamenti sociodemografici ed i progressi della medicina hanno profondamente cambiato lo scenario dei bisogni assistenziali, nel nostro come in altri paesi occidentali, spostando l’asse delle cure dalle patologie acute a malattie croniche che, spesso coesistenti fra loro, colpiscono una popolazione sempre più anziana ed assorbono una proporzione sempre maggiore della spesa sanitaria. La cronicità è quindi il nuovo scenario con cui i professionisti e le istituzioni devono confrontarsi per sviluppare risposte assistenziali efficaci e sostenibili.

Pertanto appare chiaro il progressivo emergere di condizioni morbose di tipo cronico-degenerativo tipiche dell’età adulta e anziana quali malattie cardiovascolari, neoplasie, diabete mellito, broncopneumopatie croniche ostruttive, osteoartropatie degenerative.

Lo scompenso cardiaco, in tale contesto, rappresenta una delle patologie croniche a più alto impatto sulla sopravvivenza, sulla qualità e sulla durata di vita dei pazienti e sull’assorbimento di risorse.

Inoltre, nei prossimi anni il numero di soggetti affetti da tale malattia è destinato ad aumentare per la stretta relazione intercorrente tra età e scompenso cardiaco e per i notevoli progressi che si sono verificati nel trattamento di varie forme di cardiopatia acuta (in particolare la cardiopatia ischemica) con un grande miglioramento della prognosi “quoad vitam”. Anche riguardo allo scompenso cardiaco le conoscenze sulla diagnosi e sul suo trattamento sono aumentate con un positivo impatto sulla prognosi,

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ovvero un aumento della sopravvivenza che comporterà un aumento della prevalenza di questa condizione.

Attualmente circa 5,8 milioni di americani sono affetti da scompenso cardiaco con un prevalenza di 9.1% degli uomini e 4.9% delle donne nella popolazione ultrasessantacinquenne, che sempre in questa fascia di età costituisce circa il 20% di tutti i ricoveri ospedalieri [1].

Riportando questi dati all’Europa, con una popolazione globale di 900 milioni di persone, otterremo circa 10 milioni di soggetti affetti da scompenso. Pertanto attualmente possiamo stimare che nel mondo vi siano oltre 15.000.000 di soggetti affetti da scompenso cardiaco. Negli ultimi 10 anni negli Stati Uniti le riospedalizzazioni per scompenso cardiaco sono incrementate del 159% [2].

I dati epidemiologici disponibili presentano un’ampia dispersione anche a causa dell’elevato numero di studi dedicati all’argomento a partire dagli anni ’50 ad oggi. Dai dati di Droller e Pemberton su una popolazione di soggetti > 62 anni nell’area di Sheffield del 1953 passando per i dati dello studio Framingham del 1971 su una popolazione inferiore ai 63 anni fino a lavori più recenti di Clarke nel Nottinghamshire del 1995, vediamo che la prevalenza di scompenso cardiaco nella popolazione oscilla in generale tra 3 e 30/1000 abitanti e sale a 23-60/1000 abitanti quando passa a considerare la fascia di età oltre i 60-70 anni [3,4,5].

In passato è stata sottolineata in letteratura l’estrema variabilità geografica nell’incidenza e nell’eziologia dello scompenso cardiaco come ulteriore contributo all’eterogeneità di questo quadro morboso. In realtà tale aspetto del problema è a tutt’oggi alquanto ridimensionato. Dai pochi dati disponibili in letteratura vediamo che anche in paesi estremamente diversi

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dagli Stati Uniti o dall’Europa, fatte salve alcune peculiarità, ritroviamo sostanzialmente i dati espressi nei grandi trials. A titolo esplicativo citiamo solo due esempi. L’America latina, in cui si è evidenziata negli ultimi anni un aumento dell’incidenza di cardiopatia ischemica, conseguenza dell’incremento esponenziale dei fattori di rischio. A tal proposito in Colombia lo scompenso cardiaco rappresenta circa il 40% dei ricoveri per cause cardiache e la sua eziologia, pur vedendo ancora fortemente rappresentata la febbre reumatica (nel 1999 al 3° posto con il 13% dei casi) e peculiarità locali come il Morbo di Chagas (al 2° posto con il 18,8% dei casi), ha al primo posto la cardiopatia ischemica che rappresenta quasi il 30% dei casi di scompenso cardiaco [6].

Altro esempio in una realtà fortemente diversa dalla nostra è l’arcipelago delle Piccole Antille dove nel 1999 Mc Swain e Coll hanno rivisto i casi di scompenso cardiaco ricoverati all’Holberton Hospital di Antigua nel 1995-1996 riportando un’incidenza annuale di ricoveri per scompenso del 4,6/1000 abitanti con un’eziologia che vedeva al primo posto l’ipertensione arteriosa (41%) seguita dalla cardiopatia ischemica (33%) ed una prevalenza ancora elevata di valvulopatie (12%) [7].

Discorso differente per quanto riguarda l’epidemiologia dell’insufficienza cardiaca e della cardiomiopatia nel continente africano. Un grande studio prospettico ha infatti mostrato che l'insufficienza cardiaca scompensata acuta è causata da ipertensione, cardiomiopatia e cardiopatia reumatica nel 90% dei casi, dati in netto contrasto con il predominio di malattia coronarica in Nord America e in Europa. Nella stessa casistica l’insufficienza cardiaca acuta è una malattia del giovane con un'età media

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di 52 anni, ha una prevalenza sovrapponibile nei due sessi ed è associata ad elevata mortalità [8].

I dati italiani sull’epidemiologia dello Scompenso Cardiaco provengono principalmente dall’analisi dei ricoveri dello studio Temistocle della FADOI-ANMCO e dai registri delle Società Scientifiche Cardiologiche. Il nostro sistema sanitario è organizzato mediante medici di medicina generale sul territorio e medici specialisti negli ospedali. Solo una minima parte dei pazienti affetti da scompenso cardiaco viene seguita dai cardiologi sia ambulatorialmente che durante i ricoveri [9,10].

Lo Studio OSCUR effettuato a Genova ha evidenziato che i cardiologi seguono più rigorosamente le Linee Guida rispetto agli internisti ma ha confermato che trattano un numero molto minore di pazienti che oltretutto sono più giovani, con gradi più avanzati di scompenso e con minori patologie concomitanti rispetto ai pazienti seguiti dagli internisti [11].

Recentemente Grigioni e Coll hanno nuovamente confermato che il 75% dei pazienti affetti da scompenso cardiaco viene seguito in reparti di Medicina e solo il 22% in reparti di cardiologia. I pazienti ricoverati presso reparti di medicina sono più anziani, prevalentemente donne (56% vs. 37%) ed hanno un più elevato tasso di mortalità ospedaliera [12].

Dallo Studio SEOSI (quasi 4000 pazienti) sappiamo che anche in Italia la cardiopatia Ischemica è la prima causa di scompenso cardiaco (42%), l’ipertensione arteriosa ammonta a circa il 20%, la cardiomiopatia dilatativa al 15% così come le valvulopatie [13].

Per avere a disposizione un’ampia mole di dati è necessario ricorrere ad una valutazione mediante i codici DRG (diagnosis related group) o ICD (Inernazional Classification of Disease - 9th Edition), tuttavia lo studio

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dell’epidemiologia mediante DRG ha mostrato di sottostimare le dimensioni del fenomeno finanche del 50% [14].

A conferma di ciò Gronda e Col nel 1996-1997 hanno selezionato 32.093 casi di scompenso cardiaco mediante l’ICD9 428 come prima o seconda diagnosi. Da questi dati osserviamo che le codifica DRG-127 si aveva nel 56,7% dei casi. Lo scompenso associato ad infarto miocardico ammontava al 7,3% mentre il rimanente 36% dei casi veniva inquadrato in una serie eterogenea di DRG medici e chirurgici. Sempre da questo lavoro si può osservare che la mortalità ospedaliera è proporzionale all’età dei pazienti, salendo da poco meno del 7% per i soggetti con meno di 60 anni di età fino a quasi il 15% per gli ultraottantenni. La mortalità ospedaliera differiva inoltre in base al reparto passando dal 2,8% per i reparti di cardiologia al 10,3% per i reparti di Medicina Interna. Infine il tasso di riospedalizzazione in generale risultava del 5,49% ad un mese e del 14,3% a un anno [15].

Nello screening dell'insufficienza cardiaca vengono utilizzati abitualmente diversi test.

L’ECG deve essere sempre eseguito in un paziente con sospetto scompenso cardiaco in quanto possono essere presenti alterazioni elettrocardiografiche acute (aritmie, segni di ischemia) o croniche (IVS, Blocchi di Branca, Pregressa necrosi, etc.) comunque espressione di una qualche forma di cardiopatia. Per contro, qualora l’ECG sia assolutamente nella norma, la condizione di scompenso cardiaco è improbabile, specie quello da disfunzione sistolica (<10%).

L’Rx torace (in due proiezioni) si rivela utile, soprattutto in acuto, per l’individuazione di cardiomegalia, congestione polmonare e versamento

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pleurico ed è in grado di documentare la presenza di eventuali malattie o infezioni polmonari all’origine o favorenti la dispnea.

Nel proseguimento della valutazione diagnostica dei pazienti con scompenso cardiaco è necessario eseguire un esame ematochimico completo (emoglobina, conta leucocitaria e piastrinica), gli elettroliti, la creatininemia, la stima della velocità di filtrazione glomerulare, la glicemia, i test di funzionalità epatica e l’analisi delle urine.

Rimarchevoli alterazioni elettrolitiche ed ematologiche sono rare nello SC lieve-moderato non trattato, mentre forme lievi di anemia, iponatriemia ed iperkaliemia ed una ridotta funzionalità renale possono verificarsi più frequentemente, soprattutto nei pazienti in terapia con diuretici, ACE-inibitori, ARB o antialdosteronici. Un adeguato monitoraggio di laboratorio è basilare nelle diverse fasi di avvio, titolazione e follow-up nei pazienti sottoposti a trattamento farmacologico.

Le concentrazioni plasmatiche dei peptidi natriuretici rappresentano ulteriori markers biochimici utili per la diagnosi e per il trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco. Esistono diverse evidenze a supporto del loro impiego nei procedimenti diagnostici e di valutazione prognostica dell'insufficienza cardiaca, nonché nel disporre di un’ospedalizzazione o di una dimissione e nell’identificare i pazienti a rischio di eventi clinici [16]. Il riscontro di livelli normali in pazienti non trattati ha un valore predittivo negativo elevato ed è indicativo di scarsa probabilità di SC quale causa della sintomatologia, il che può rivestire un ruolo estremamente importante, specie in fase di assistenza primaria. Il riscontro di elevati livelli, nonostante terapia ottimale, depone invece per una prognosi sfavorevole.

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La determinazione delle concentrazioni di peptide natriuretico di tipo B (BNP) e della porzione N-terminale del proBNP (NT-proBNP) si è affermata quale strumento diagnostico e terapeutico per lo SC [17].

Un innalzamento dei livelli di questi peptidi si verifica in risposta ad un incremento dello stress di parete. Generalmente livelli bassi sono osservati nei pazienti con funzione sistolica ventricolare sinistra conservata.

Per entrambi i peptidi, normalmente utilizzati in Pronto Soccorso per porre diagnosi di SC, non sono ancora stati definiti specifici valori di cut-off.

In considerazione della loro emivita relativamente lunga, modificazioni improvvise della pressione di riempimento ventricolare sinistra possono non tradursi in una altrettanto rapida variazione dei livelli plasmatici dei peptidi. Oltre allo SC altre affezioni possono provocare un aumento delle concentrazioni dei peptidi natriuretici e queste comprendono l’ipertrofia ventricolare sinistra, le tachicardie, il sovraccarico ventricolare destro, l’ischemia miocardica, l’ipossiemia, la disfunzione renale, l’età avanzata, la cirrosi epatica, la sepsi e gli stati infettivi mentre obesità ed il trattamento farmacologico possono comportare un abbassamento di tali valori.

I peptidi natriuretici possono inoltre rivelarsi utili ai fini della valutazione prognostica prima della dimissione ospedaliera e nel monitoraggio dell’efficacia terapeutica nei pazienti affetti da SC [18-21].

I prelievi ematici per la determinazione della troponina HS devono essere eseguiti ogni qualvolta il quadro clinico sia suggestivo di sindrome coronarica acuta (SCA). Un aumento delle troponine cardiache sta ad indicare la presenza di necrosi miocitaria e può verificarsi in pazienti con scompenso cardiaco acuto pur in assenza di SCA. Laddove lo scompenso acuto si accompagna a segni e/o sintomi di Sindrome Coronarica Acuta

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deve essere valutata l’opportunità di un intervento di rivascolarizzazione urgente avviando al contempo un adeguato trattamento farmacologico.

Lievi aumenti delle troponine cardiache sono frequentemente osservabili nello scompenso cardiaco severo e durante gli episodi di aggravamento dello SC nei pazienti senza evidenza di ischemia miocardica secondaria ad una SCA ed in altre condizioni come la sepsi. Elevati livelli di troponina rappresentano un forte marker prognostico sfavorevole nello SC, soprattutto se associato ad elevati livelli di peptidi natriuretici [22].

E’ fondamentale che la diagnosi di disfunzione cardiaca venga confermata mediante esame ecocardiografico che rappresenta una metodica ampiamente diffusa, rapida, non invasiva e sicura che consente di ottenere dettagliate informazioni sull’anatomia cardiaca, sulla cinesi parietale, sulla funzione valvolare e fornisce informazioni fondamentali sull’eziologia dello SC [23]. Il percorso di cura dei soggetti con scompenso cardiaco acuto inizia oggi nell’area dell’Emergenza-Urgenza. In Italia i dati epidemiologici disponibili oggi fanno riferimento a conclusione del percorso alla Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO) non considerando che segni e sintomi di presentazione sono più evidenti nella fase di accesso all’ospedale, quindi nel dipartimento d’emergenza, area dove i sintomi e le complicanze possono essere trattate e risolte tempestivamente con evidenti ricadute sulla prognosi [24].

In questa situazione il medico d’urgenza rappresenta una figura strategica: prende decisioni sul primo trattamento, decide poi se il paziente debba essere dimesso dopo un trattamento iniziale oppure ricoverato e in quale area (Osservazione Breve Intensiva, Degenza ordinaria, monitoraggio continuo con telemetria, trattamento in terapia intensiva) [25].

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La maggior parte delle casistiche degli studi clinici non considerano l’arruolamento dal momento dell’accesso nei Dipartimenti d’Emergenza, ma individuano pazienti nelle fasi successive del percorso, operando quindi una selezione dei casi [26].

Tale selezione tuttavia racchiude una gamma molto eterogenea di soggetti presenti nella pratica clinica, sia per eziologia, fattori precipitanti, comorbidità, severità ed espressione dei segni e sintomi di presentazione [27]. Nonostante la maggior parte dei casi presentino all’accesso aspetti di criticità da ore e/o giorni, <20% di questi verrà ricoverato in terapia intensiva, e <4% necessiterà di supperto ventilatorio o emodinamico per shock cardiogeno [28-31]. Poiché la maggior parte dei casi risponderà alla terapia convenzionale, una buona parte sarà ricoverato in aree di degenza ordinaria, o in area medica non specialistica [32].

L’esclusione di questa ampia casistica rappresenta storicamente un bias di selezione importante di molti studi clinici, come documentato da alcuni studi retrospettivi che sottolineano l’importanza della tempestività del trattamento, con importanti effetti sulla prognosi [33].

Le schede di dimissione ospedaliera (SDO) sono ampiamente utilizzate per studi di epidemiologia assistenziale relativamente allo scompenso cardiaco, pur nella pressoché totale assenza di dati sull’accuratezza del dato SDO in questo ambito.

I criteri di selezione applicati per identificare i ricoveri per scompenso cardiaco sono piuttosto vari e generano stime abbastanza differenti per quanto riguarda il burden della malattia. L’approccio forse più frequente si basa sul DRG 127, ma altri approcci prevedono l’utilizzo di pattern di codici di malattia (ICD-9-CM) variamente aggregati.

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2. SCOPO DEL LAVORO

L’obiettivo dello studio è individuare le caratteristiche cliniche ed epidemiologiche dei pazienti che ricorrono al Pronto Soccorso per scompenso cardiaco acuto di nuova insorgenza o per riacutizzazione di uno scompenso cardiaco noto.

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3. MATERIALI E METODI

Attraverso il software gestionale del Pronto Soccorso della A.O.U.P. (First-Aid®) sono stati individuati i pazienti afferiti al Pronto Soccorso nel periodo 1 gennaio 2011 – 31 dicembre 2011.

Criteri di inclusione

Il criterio scelto è stato la selezione come prima o seconda diagnosi di scompenso cardiaco mediante l’ICD9 428

Criteri di esclusione Età <18 anni

Diagnosi di Edema Polmonare Acuto non-cardiogeno

Diagnosi preesistente di scompenso cardiaco ma accesso in Pronto Soccorso per altro motivo

Per ogni paziente corrispondente ai seguenti criteri di inclusione abbiamo raccolto le seguenti informazioni:

• Numero identificativo

• Dati anagrafici: sesso, età, razza • Data di accesso in PS

• Data della comparsa dei sintomi

• Comorbidità (precedenti di scompenso, coesistenza di valvulopatie, malattie cronica respiratorie, aritmie, sindrome coronarica acuta,

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cardiomiopatia, insufficienza renale cronica, diabete mellito, obesità, ipertensione arteriosa, precedenti per ischemia cerebrale, declino cognitivo)

• Terapia cronica: diuretici, ACE-inibitori, sartani, beta-bloccanti, diuretici, anticoagulanti, antiaggreganti, altro

• Cause precipitanti: mancata aderenza alla terapia, scarso controllo pressione arteriosa, aritmie, insufficienza renale cronica, ischemia acuta, febbre, altro

• Concentrazioni di BNP alla prima valutazione

• Concentrazione di Tn ad alta sensibilità alla prima valutazione • Concentrazione della sodiemia alla prima valutazione

• Valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica alla prima valutazione

• Eco-cardiogramma durante la permanenza in Pronto Soccorso • Terapia eseguita in Pronto Soccorso

• Esito

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4. RISULTATI

Il numero di pazienti selezionato secondo i criteri sopra definiti è risultato di 442 pazienti distinti in 186 maschi e 256 femmine (Tab. 1) ovvero il 42% gli uomini e il 58% le donne.

Tab. 1

L’età media complessiva è di 81,16 anni con una netta prevalenza nei pazienti ultrasettantacinquenni (Tab. 2).

Tab. 2

In ben 320 pazienti, ovvero nel 73% dei casi, la causa dello scompenso acuto non è identificabile (Tab. 3). Quando invece è possibile risalire alla causa che ha determinato l’accesso in PS, nel 10% si tratta di aritmie, nel 7% di scarso controllo dei valori pressori mentre per il restante 10% riconosciamo come cause l’IRC (4%), la febbre (3%), la mancata adesione alla terapia (2%) ed infine la SCA (1%).

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Nell’ambito delle comorbidità (Tab. 4) sottolineiamo come l’ipertensione arteriosa (63%), l’IRC (43%), le aritmie (41%), l’anemia (40%) e il diabete mellito (31%) rappresentino le patologie associate di maggior prevalenza.

Tab. 4

Nella rilevazione dei dati relativi alla terapia farmacologica domiciliare (Tab. 5) i diuretici dell’ansa rappresentano i farmaci maggiormente utilizzati (62%), seguiti da ACE-inibitori/sartani (49%), antiaggreganti (48%), beta-bloccanti (33%), anticoagulanti orali (21%), nitrati (19%), antialdosteronici (19%) e digitale (14%).

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Tra le indagini ematochimiche, il 99% ha effettuato il dosaggio della sodiemia, il 93% ha effettuato il dosaggio del BNP e l'84% ha eseguito il dosaggio della Troponina.

Per quanto riguarda la terapia somministrata in urgenza in PS (Tab. 6) i farmaci che risultano principalmente somministrati sono rappresentati dai diuretici dell’ansa (65%), seguiti da ossigeno in maschera (46%), NIMV (25%) e nitrati (23%).

Tab. 6

Nelle tabelle sottostanti, infine, sono riportati i dati relativi all’esito del paziente dopo la valutazione ed il trattamento in PS (Tab.7) ed all’eventuale reparto di ricovero (Tab. 8).

Tab. 7

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Come è possibile evidenziare, dei 442 pazienti, 308 sono stati ricoverati in reparto di degenza ordinaria (il 70%), 26 sono stati inviati al domicilio (il 6%) mentre i decessi sono stati esclusivamente 2.

Dei 392 pazienti ricoverati quasi la metà (47%) è stato condotto nel reparto di Medicina d’Urgenza mentre gli altri hanno proseguito il proprio iter diagnostico-terapeutico prevalentemente nei reparti di Medicina Interna (28%) e di Cardiologia (22%).

5. DISCUSSIONE

Uno studio retrospettivo consiste nella raccolta di un set di pazienti omogenei a partire da un campione eterogeneo con l’obiettivo di individuare dati utili a definire l’incidenza/prevalenza di una determinata malattia ed altri elementi significativi.

Pertanto, proprio perché misura eventi accaduti in un periodo precedente al disegno dello studio, l’analisi retrospettiva è solitamente meno affidabile rispetto ad un’analisi prospettica in quanto in quest’ultima le caratteristiche dei soggetti inclusi, i dati raccolti e gli esiti misurati sono definiti prima dello svolgimento dello studio e sono pianificati.

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Per tale motivo trattandosi di un'analisi retrospettiva, il nostro studio presenta alcuni bias di cui dobbiamo tenere conto nella discussione dei dati e che esprimeremo di volta in volta.

I dati epidemiologici ricavati però permettono di porre determinate valutazioni su molteplici aspetti e sulle caratteristiche relative al paziente condotto in PS al quale viene posta diagnosi di scompenso cardiaco.

Anzitutto lo scompenso cardiaco è fortemente legato all’età e al genere. Si tratta di una condizione complessivamente rara in età giovanile ed invece molto frequente nell’età anziana. Nei maschi presenta una frequenza circa doppia rispetto alle femmine ma la netta preponderanza del sesso femminile nelle fasce di età più avanzate fa sì che oltre metà dei accessi in PS per scompenso cardiaco avvenga in soggetti di sesso femminile.

Tali dati sono rappresentati nel nostro studio in quanto il 58% dei pazienti è di sesso femminile e l’età dei pazienti è per oltre i 3/4 dei casi (il 78%) superiore ai 75 anni mentre solo per il 6% coinvolge pazienti al sotto dei 65 anni.

Oltre ad essere una popolazione molto anziana (età media oltre 81 anni) tali pazienti presentano comorbidità ed eventi precipitanti multipli.

Nella nostra casistica emerge un dato rilevante: solamente il 10% presenta una diagnosi isolata di scompenso cardiaco, nel 90% dei pazienti esso si associa ad altre malattie e quasi il 30% presenta tre o più patologie associate.

Tra queste prevalgono l’ipertensione arteriosa (63%), l’IRC (43%), le aritmie (41%), l’anemia (40%) e il diabete mellito (31%).

La pluripatologia degli anziani affetti da scompenso cardiaco [34,35] è confermata dai numerosi dati in letteratura tra cui riportiamo quelli del

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National Heart Failure Project in cui circa un terzo dei pazienti presentava una diagnosi di BPCO, il 38% era affetto da diabete mellito, il 33% da fibrillazione atriale, il 18% da pregresso ictus, più della metà dei pazienti da malattia coronarica ed ipertensione arteriosa ed era frequente il rilievo di aumentata creatininemia [36].

In uno studio effettuato nel Regno Unito su pazienti con SC assistiti nel Primary Care è risultato che il diabete era presente nel 14% dei casi, una malattia cronica polmonare nel 24%, un’aritmia nel 25%, uno stroke o TIA nel 13%, una condizione di demenza nel 4% [37,38].

Il corretto inquadramento diagnostico in PS del paziente con scompenso cardiaco risulta fondamentale nel determinare la causa che ha precipitato l'insufficienza cardiaca, il grado di compromissione anatomica e funzionale del cuore, il grado di impegno degli organi ed apparati che risultano interessati dalla congestione venosa, tutti elementi di fondamentale importanza per una corretta ed accurata gestione terapeutica. Il percorso diagnostico, come già detto precedentemente, si avvale di anamnesi, esame clinico, esami ematici e strumentali quali ECG, Rx torace ed ecocardiogramma.

Tra gli esami laboratoristici il BNP ed il pro-BNP rappresentano degli indici affidabili nella differenziazione tra le dispnee cardiogene da quelle da pneumopatia.

Un netto incremento del BNP o pro-BNP è un elemento a favore dell’origine cardiogena della dispnea. In caso di incremento moderato è necessario integrare il risultato del test con informazioni desumibili dal quadro anamnestico e clinico.

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Infatti il BNP può elevarsi anche nelle patologie edematose che comportino un aumento della pressione atriale e ventricolare quali insufficienza renale, cirrosi epatica con ascite ed in presenza di angina instabile ed ipertensione polmonare.

Il BNP possiede un alto valore predittivo negativo soprattutto per quanto riguarda lo scompenso cardiaco (basso rischio di falsi negativi). Ciò significa che se i suoi valori sono normali è possibile escludere con elevato grado di probabilità la presenza di disfunzione ventricolare. Non altrettanto eccellente è il valore predittivo positivo; ciò significa che, soprattutto a livelli di poco superiori al limite di normalità, il BNP rappresenta un indicatore solo modestamente accurato della presenza di patologia (rischio di falsi positivi).

I valori di BNP sono correlati anche alla gravità dello scompenso e della prognosi; ciò significa che tanto maggiore è il valore di BNP tanto maggiore è la gravità della malattia e la misurazione dei livelli di BNP rappresenta un mezzo potenzialmente utile non solo per la diagnosi ma anche per monitorare la risposta al trattamento.

Nel nostro studio, dei 442 pazienti nei quali è stata posta diagnosi di scompenso cardiaco, soltanto 8 presentavano valori di BNP negativo, ovvero < a 100 pg/ml che, nell’algoritmo proposto dalle Linee Guida ESC 2012, rappresenta il valore di cut-off per la diagnosi di scompenso cardiaco.

Sulla base di questi dati e, sottolineando nuovamente come il BNP sia solo uno dei parametri da considerare nel porre diagnosi di scompenso cardiaco, va comunque evidenziato una corretta valutazione diagnostica da parte del medico di PS nella maggior parte dei casi.

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Come definito dalle linee guida per lo scompenso cardiaco (ESC), l’ecocardiografia è la metodica che singolarmente risulta più utile in questa condizione. Il principale ruolo riconosciuto è la valutazione diagnostica e prognostica dei pazienti con scompenso cardiaco.

Infatti, mediante l’ecocardiografia è possibile non solo stabilire l’etiologia dello scompenso, ma anche l’entità della disfunzione sistolica e diastolica, la coesistenza di altre patologie cardiache, di disfunzioni valvolari, come anche ottenere in modo incruento alcuni parametri di tipo emodinamico (in particolare le pressioni polmonari).

Benché le informazioni derivabili dall’ecocardiografia variano in rapporto alla competenza dell'operatore vi è sostanzialmente accordo sul fatto che un ecocardiogramma dovrebbe essere eseguito in tutti i pazienti al primo episodio di scompenso cardiaco anche solo sospetto.

Le informazioni sul volume e sulla funzione sistolica e diastolica delle camere ventricolari e sulla morfologia e funzione degli apparati valvolari consentono di capire il meccanismo che ha determinato il quadro clinico di scompenso. Inoltre, lo studio della funzione cardiaca e la valutazione del profilo emodinamico del paziente scompensato sono in grado di aiutare il clinico nel migliorare la gestione clinica, definire la migliore strategia terapeutica e nel ridurre pertanto il rischio di mortalità del singolo paziente.

Se la terapia del paziente con scompenso cardiaco sembra essere infatti facilmente standardizzabile con l’uso di farmaci che hanno dimostrato di incidere significativamente sulla storia naturale della malattia, ogni paziente è però caratterizzato da condizioni funzionali ed emodinamiche diverse.

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La presenza, a parità di frazione di eiezione, di differenti livelli di rigidità ventricolare, pressione atriale sinistra o funzione contrattile ventricolare destra può giustificare una diversa risposta a varie classi farmacologiche, come ad esempio i diuretici.

La diffusa abitudine di modificare la dose del diuretico sulla scorta di variabili purtroppo poco sensibili ed aspecifiche, come i sintomi e il peso corporeo, potrebbe essere affinata da una tecnica come l’ecocardiografia in grado di dare specifici segnali di congestione sistemica e polmonare, consentendo di personalizzare un trattamento gravato da importanti effetti dannosi sulla funzione renale, sul bilancio elettrolitico e soprattutto sull’attivazione neurormonale.

Detto ciò appare chiaro come, nel meglio definire la diagnosi etiopatogenetica dello scompenso cardiaco in PS, in particolare nella diagnosi ex-novo, l’esame ecocardiografico, con le fondamentali informazioni di carattere morfologico (alterazioni valvolari, dilatazione ventricolare, anomalie del pericardio ecc.) e funzionale (ipo e acinesie ventricolari regionali o globali, difetti di riempimento ventricolare, riduzione della performance sistolica ecc.), rappresenti uno strumento insostituibile per un corretto approccio terapeutico.

In tal senso il nostro studio ha evidenziato come solo una piccola percentuale di pazienti (11,5%) abbia effettuato l’esame ecocardiografico in PS.

E’ pur vero che nella nostra casistica un considerevole numero di pazienti (57,2%) aveva già in anamnesi almeno un precedente episodio di scompenso cardiaco per cui la diagnosi poteva essere ragionevolmente effettuata con il soli dati clinici e laboratoristici; è pur vero, però, che a

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volte, lo scompenso può essere particolarmente difficile da distinguere dalle malattie polmonari.

La diagnosi differenziale tra le due principali forme di edema polmonare, cardiogeno (emodinamico) e non cardiogeno (da alterazioni a livello della barriera alveolo capillare), può essere effettuata solitamente valutando il contesto clinico in cui si verifica e prendendo in considerazione alcuni dati clinici e laboratoristici e, proprio per la difficoltà che concerne la diagnosi, l’esame ecocardiografico rappresenta la migliore strategia diagnostica nel determinare la causa fisiopatologica alla base dello scompenso.

Detto ciò appare chiaro come sarebbe di notevole importanza che qualsiasi medico di PS acquisisca le capacità tecniche per eseguire tale procedura diagnostica in modo da ricavarne una serie di elementi morfologici e funzionali, riconoscere la causa determinante lo scompenso ed impostare la migliore strategia terapeutica ed il successivo iter in ambito ospedaliero. Dal nostro database abbiamo estrapolato i dati relativi all’utilizzo delle principali classi di farmaci per il trattamento domiciliare dello scompenso cardiaco.

Tra i paziente giunti in PS ai quali veniva posta diagnosi di scompenso, il 62% assumeva terapia a domicilio con diuretici dell’ansa, il 49% con ACE-inibitori/sartani, il 32% con beta-bloccanti.

Relativamente bassi i dati relativi alla terapia con farmaci cardine nella terapia dello scompenso seppur in stadi più avanzati ovvero anti-aldosteronici (19%), nitrati (18,7%) e digitale (14,2%).

Ulteriore elemento da sottolineare è che soli 3 pazienti assumevano a domicilio ivabradina, farmaco indicato nell’insufficienza cardiaca cronica

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in classe NYHA da II a IV in associazione alla terapia convenzionale con beta-bloccanti o nel caso in cui la terapia con un beta–bloccante sia controindicata o non tollerata. Se si escludono i pazienti con fibrillazione atriale (circa 40%) in cui il farmaco non è raccomandato, è sorprendente una percentuale così bassa di pazienti trattati con Ivabradina. Questo potrebbe essere spiegato in vari modi: a) va comunque evidenziato che i nostri dati sono relativi al 2011, epoca in cui la giovane età del farmaco e la prescrizione esclusivamente tramite piano terapeutico rappresentavano elementi di ostacolo alla diffusibilità del farmaco; b) il dato potrebbe rappresentare una certa “distanza” tra il mondo reale e le raccomandazioni delle LL.GG..

In relazione ai dati acquisiti appare chiaro come nella maggior parte dei casi la terapia domiciliare sia insufficiente nella gestione del paziente scompensato per cui l’ottimizzazione della terapia risulta di fondamentale importanza nel rallentare la progressione della patologia, ridurre i sintomi, aumentare la sopravvivenza, migliorare la qualità della vita e conseguentemente ridurre gli accessi in PS e l'ospedalizzazione.

I pazienti con scompenso cardiaco stabile in assenza di ipoperfusione e significativa congestione generalmente non necessitano di ricovero, a meno di altri elementi di rischio/instabilità, quali aritmie, disfunzione d’organo ed infezioni.

I pazienti con congestione che non presentino segni di ipoperfusione possono essere trattenuti in PS/DEA per un periodo di osservazione breve e, dopo adeguato trattamento e valutazione clinica e di laboratorio, inviati a domicilio per la prosecuzione della cura da parte del medico curante, con consulenza specialistica ambulatoriale o, in relazione all’entità del

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sovraccarico volemico e delle sue ripercussioni sulla funzione d’organo, ricoverati in reparti di degenza comune, in caso di inadeguato supporto socio-familiare o insufficiente risposta al trattamento.

Il destino del paziente giunto in PS per scompenso cardiaco varia in base alla gravità del quadro clinico.

Alcune linee guida aziendali toscane sono in accordo nel porre delle indicazioni ben definite sulla gestione ospedaliera del paziente affetto da scompenso cardiaco ovvero se questi debba essere ricoverato o meno ed eventualmente la struttura più appropriata al caso.

Il paziente viene ricoverato in Terapia Intensiva/Subintensiva qualora sussista un quadro di instabilità clinica con grave insufficienza respiratoria tale da richiedere ventilazione assistita.

La Terapia Intensiva Cardiologica è riservata ai pazienti al primo episodio di scompenso cardiaco che dopo i primi provvedimenti terapeutici al Pronto Soccorso mostrino una regressione solo parziale della sintomatologia, di età <65 anni o con soffio cardiaco patologico e che comunque avranno necessità nei giorni successivi di procedere ad una valutazione eziologia; è altresì riservata a pazienti con scompenso cardiaco noto ma in condizioni emodinamiche instabili o in corso di sindrome coronarica acuta.

Al Reparto di Medicina Generale sono indirizzati i pazienti con scompenso cardiaco noto per i quali non si prevedano (o già siano stati esclusi in passato) approcci terapeutici non farmacologici e con quadro emodinamico precario tale da non consentire una dimissione diretta dopo il solo trattamento in Pronto Soccorso e quelli per i quali già ad una prima valutazione in Pronto Soccorso emergano una o più cause di

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instabilizzazione (es. anemizzazione, insufficienza renale, diabete scompensato, ecc.) tali da richiedere trattamento in ambiente internistico. L’Osservazione Breve Intensiva è riservata invece a quei pazienti con scompenso cardiaco noto che rispondono bene alla terapia instaurata in Pronto Soccorso e che richiedono per una stabilizzazione completa che ne consenta la dimissione dopo alcune ore di trattamento (es. infusione protratta di diuretici e/o inotropi con monitoraggio elettrocardiografico) ma per i quali non si ipotizza un beneficio aggiuntivo delle condizioni cliniche con un ricovero ordinario.

Sono soggetti dimissibili entro la 24° ora dall’arrivo in Pronto Soccorso per i quali verrà programmato un follow-up presso l’ambulatorio cardiologico dedicato.

Vengono invece inviati al domicilio quei pazienti con scompenso cardiaco noto che prontamente rispondono alla terapia e che pertanto possono essere dimessi direttamente dal Pronto Soccorso programmando una rivalutazione ambulatoriale presso l’ambulatorio cardiologico dedicato per ottimizzazione della terapia a distanza di pochi giorni.

Dei 392 pazienti ricoverati quasi la metà (47%) è stato condotto nel reparto di Medicina d’Urgenza mentre gli altri hanno proseguito il proprio iter diagnostico-terapeutico prevalentemente nei reparti di Medicina Interna (28%) e di Medicina Cardiovascolare (22%).

Dai dati del nostro studio emergono alcuni spunti di riflessione.

Anzitutto è possibile evidenziare un elevato tasso di ospedalizzazione. Infatti, di 442 pazienti selezionati, è stata posta indicazione al ricovero in ben 392 pazienti ovvero nell’89% di cui il 70% in regime di ricovero

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ordinario ed il 19% in terapia intensiva/subintensiva mentre solo il 6% è stato dimesso.

Dei pazienti ricoverati il 42% è stato destinato al reparto di Medicina d’Urgenza, il 28% a quello di Medicina Generale, il 22% al reparto di MCV (reparto di degenza, UTIC, CNR).

Il numero degli accessi in PS per scompenso cardiaco è di 442 su circa 80.000 accessi registrati nel 2011, una percentuale di poco superiore allo 0,5%, percentuale sovrapponibile a quella ricavabile da dati Statunitensi. Da sottolineare è anche la bassa mortalità in quanto i decessi sono stati esclusivamente 2, dato comunque sorprendente considerando la popolazione in oggetto. In questo c'è da sottolineare la corretta gestione farmacologica e l'utilizzo della C-PAP che, ad oggi fornisce il trattamento terapeutico maggiormente utilizzato assieme ai diuretici nei pazienti con edema polmonare.

Numerosi studi hanno evidenziato nello scompenso cardiaco acuto l’importanza dell’applicazione precoce della NIV perché determina un più rapido miglioramento delle variabili fisiologiche e riduce così la necessità di intubazione endotracheale, con diminuzione del tasso di complicanze e ad una riduzione della durata della degenza e della mortalità intraospedaliera [39-42].

Con il supporto ventilatorio non invasivo nello scompenso cardiaco avanzato/refrattario si ottengono sia miglioramenti clinici che emodinamici senza interferenze con la funzione contrattile del cuore, potendo inoltre questi miglioramenti essere aggiuntivi rispetto a quanto ottenuto con la terapia farmacologica.

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6. CONCLUSIONI

Dall'analisi dei nostri dati possiamo concludere che anche nella popolazione considerata le comorbidità condizionano fortemente la gestione in Pronto Soccorso e la necessità di ospedalizzazione. La complessità di tali malati si riflette anche nell'ambiente scelto per il ricovero (solo 22% in ambiente cardiologico).

Non possiamo esprimere giudizi sui costi derivanti da questo tipo di gestione ma è ipotizzabile, trattandosi di pazienti ad elevato tasso di

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comorbidità, che una gestione domiciliare attenta di tali condizioni potrebbe incidere favorevolmente sulle riacutizzazioni e quindi sulle ospedalizzazioni.

Nella fase di inquadramento diagnostico in PS il paziente riceve indagini diagnostiche appropriate e correttamente interpretate. Anche la tempestività degli interventi risulta adeguata e il tasso di mortalità acuta sembra confermarlo.

Dai dati considerati e con i limiti dell'indagine retrospettiva sembra carente la fase di inquadramento anamnestico (mancata individuazione delle cause precipitanti) e quella del riconoscimento etiologico (ecocardiogramma effettuato nel 11% dei pazienti). Per il primo punto si potrebbe pensare ad un'azione di sensibilizzazione dei professionisti riguardo all'utilità di questo dato per la gestione del paziente, per il secondo punto è auspicabile un intervento formativo per perfezionare le competenze dei medici d'Urgenza in relazione a questa patologia.

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