0 Introduzione 1
1 Le dighe 3
1.1 Introduzione . . . 3
1.2 Ruolo degli sbarramenti fluviali . . . 4
1.3 Cenni storici . . . 6
1.4 Opere di sbarramento . . . 9
1.5 Funzioni delle dighe . . . 11
1.6 Classificazione delle dighe in Italia . . . 11
1.6.1 Dighe a gravit`a . . . 12
1.6.2 Dighe a volta . . . 13
1.6.3 Dighe in materiali sciolti . . . 16
1.6.4 Sbarramenti di tipo vario . . . 19
1.6.5 Traverse . . . 20
1.7 Gestione delle dighe in Italia . . . 22
2 Il calcestruzzo nella costruzione delle dighe: dam concrete 25 2.1 Introduzione . . . 25
2.2 Evoluzione della qualit`a del calcestruzzo . . . 26
2.2.1 Evoluzione dei materiali componenti il calcestruzzo . . . 26
2.2.2 Evoluzione delle tecniche di confezione e posa in opera . . . 29
2.2.3 Evoluzione delle tecniche per le riprese di getto . . . 31
2.2.4 Evoluzione delle tipologie di calcestruzzo . . . 35
2.3 Valutazione delle caratteristiche delle prestazioni fisico-meccaniche del calcestruzzo di dighe esistenti . . . 43
2.3.1 Resistenza meccanica a compressione . . . 46
2.3.2 Resistenza meccanica a trazione . . . 52
2.3.3 Modulo elastico . . . 56
2.3.4 Creep . . . 61
2.3.5 Propriet`a termiche . . . 65
2.3.7 Aderenza del calcestruzzo tra i giunti orizzontali (o di
di-scontinuit`a) . . . 72
3 Le dighe a gravit`a 78 3.1 Introduzione . . . 78
3.2 Funzioni: l’energia idroelettrica . . . 80
3.2.1 Accenni sugli impianti idroelettrici . . . 80
3.2.2 Classificazione degli impianti idroelettrici . . . 81
3.3 Tecniche costruttive . . . 83
3.3.1 Organizzazione del cantiere . . . 83
3.4 Opere di scarico e presa . . . 116
3.4.1 Organi di intercettazione . . . 116
3.4.2 Organi di scarico e presa . . . 123
3.4.3 Scarichi di fondo . . . 128
3.4.4 Scarichi di mezzofondo . . . 131
3.4.5 Scarichi di esaurimento . . . 132
3.4.6 Dissipatori . . . 132
4 La modellazione delle dighe a gravit`a 134 4.1 Introduzione . . . 134
4.2 Italia . . . 135
4.2.1 Approcci di modellazione . . . 135
4.2.2 Modellazione degli effetti idrodinamici . . . 135
4.2.3 Modellazione delle propriet`a dei materiali . . . 135
4.3 Francia . . . 136
4.3.1 Approcci di modellazione . . . 136
4.3.2 Modellazione della fondazione . . . 138
4.3.3 Modellazione degli effetti idrodinamici . . . 138
4.3.4 Modellazione delle propriet`a dei materiali . . . 139
4.4 Stati Uniti . . . 140
4.4.1 Approcci di modellazione . . . 141
4.4.2 Modellazione della fondazione . . . 143
4.4.3 Modellazione dell’input sismico . . . 144
4.4.4 Modellazione degli effetti idrodinamici . . . 145
4.4.5 Modellazione dell’interazione bacino struttura -- fondazione . . . 146
4.4.6 Modellazione delle propriet`a dei materiali . . . 148
4.5 Svizzera . . . 149
4.5.1 Approcci di modellazione . . . 149
4.5.2 Modelli per la classe III . . . 149
4.5.4 Modelli per la classe I . . . 151
4.5.5 Modellazione degli effetti idrodinamici . . . 152
4.5.6 Modellazione delle propriet`a dei materiali . . . 154
4.5.7 Sintesi dei modelli di calcolo . . . 155
4.6 Giappone . . . 156
4.6.1 Approcci di modellazione . . . 156
4.6.2 Modellazione delle propriet`a dei materiali . . . 156
4.7 Osservazioni . . . 156
5 Il caso studio 159 5.1 Introduzione . . . 159
5.2 Descrizione dell’opera . . . 159
5.3 Descrizione dei terreni di fondazione . . . 164
5.4 Descrizione del bacino imbrifero . . . 165
5.5 Caratteristiche principali degli scarichi . . . 165
5.5.1 Scarico di superficie in corpo diga . . . 166
5.5.2 Scarichi di superficie laterali . . . 167
5.5.3 Scarichi di fondo . . . 167
5.5.4 Scarichi di mezzofondo e di esaurimento . . . 168
5.6 Riassunto dati principali . . . 168
6 Scelta ed analisi dei modelli 169 6.1 Introduzione . . . 169
6.2 Modello a concio singolo . . . 172
6.2.1 Descrizione . . . 172
6.2.2 Discretizzazione . . . 174
6.3 Modello completo . . . 175
6.3.1 Descrizione . . . 175
6.3.2 Tipologie di modello completo . . . 178
6.3.3 Discretizzazione . . . 178
6.4 Verifiche della correttezza dei modelli . . . 179
6.4.1 Tensioni sul corpo diga . . . 180
6.4.2 Frequenze proprie . . . 181
6.4.3 Spostamenti . . . 187
7 Analisi parametriche preliminari 190 7.1 Introduzione . . . 190
7.2 Rappresentativit`a del concio singolo . . . 190
7.2.1 Realizzazione dei modelli . . . 191
7.2.2 Risultati . . . 197
7.3 Analisi parametrica su modelli differenti . . . 201 7.3.1 Risultati . . . 202 7.3.2 Considerazioni . . . 205 7.4 Superfici di risposta . . . 207 8 Experimental design 209 8.1 Introduzione . . . 209
8.2 Definizione dell’experimental desgin . . . 210
8.2.1 Tecniche di campionamento casuale . . . 211
8.3 Caso studio . . . 215
8.3.1 Parametri meccanici dei materiali . . . 216
8.3.2 Risultati . . . 226
8.3.3 Considerazioni . . . 247
9 Incertezza di modello 249 9.1 Introduzione . . . 249
9.2 Concetto di probabilit`a . . . 249
9.2.1 Propriet`a generali della probabilit`a . . . 251
9.3 Approccio frequentista . . . 252
9.3.1 Inferenza classica . . . 254
9.4 Approccio bayesiano . . . 255
9.4.1 Teorema di Bayes e inferenza bayesiana . . . 256
9.4.2 Scelta appropriata della distribuzione a priori . . . 257
9.5 Caso studio . . . 259
9.5.1 Risultati e considerazioni . . . 261
10 Verifiche del corpo diga 263 10.1 Introduzione . . . 263
10.2 Classificazione delle azioni . . . 264
10.3 Definizione degli Stati Limite . . . 264
10.3.1 Scorrimento . . . 265
10.3.2 Ribaltamento . . . 265
10.4 Combinazione delle azioni . . . 266
10.5 Condizioni di carico . . . 267 10.5.1 Peso proprio . . . 268 10.5.2 Spinta idrostatica . . . 268 10.5.3 Azione sismica . . . 268 10.5.4 Sottopressioni . . . 270 10.5.5 Pressioni idrodinamiche . . . 271 10.5.6 Forza d’attrito . . . 272 10.6 Verifiche . . . 273
10.7 Considerazioni . . . 275 11 Conclusioni 277 Appendice A 280 Appendice B 295 Appendice C 311 Bibliografia e sitografia 317 Ringraziamenti 323
Introduzione
Attualmente esistono oltre 4000 dighe nel mondo, molte delle quali costruite pri-ma dell’introduzione di regolamenti sismici o collocate in zone che sono state classificate come sismiche solo in tempi recenti.
Le attuali indicazioni nazionali e internazionali forniscono una scarsa guida su come modellare o calcolare queste strutture.
Poich´e il collasso di una diga pu`o avere effetti catastrofici, `e essenziale definire una procedura per la rivalutazione della sicurezza sismica delle opere esistenti. In que-sto ambito, il primo passo da affrontare `e relativo alla scelta del modello di calcolo che costituisce di per s´e un problema cruciale che comporta conseguenze importan-ti relaimportan-tivamente all’esito della verifica. La forte tridimensionalit`a di queste opere rende generalmente poco opportuno l’uso di modelli piani o bidimensionali.
L’obiettivo di questa tesi riguarda proprio la scelta del modello da utilizzare nel-le verifiche sismiche, individuando un criterio di scelta che fornisca indicazioni quantitative sull’errore introdotto dal modello.
Il metodo impiegato per il confronto tra modelli `e l’experimental design, che per-mette di apprezzare le differenze di comportamento di ciascuno in relazione al-la variazione dei parametri meccanici dei materiali opportunamente scelti. Sono quindi stati analizzati tre possibili modelli della struttura, che riproducano il com-portamento della diga in relazione alle diverse situazioni riguardanti le condizioni di contatto tra i conci e sono state adottate metodologie probabilistiche per la variazione dei parametri.
Il valore dello spostamento di un punto di sommit`a della diga e quello della prima frequenza propria sono stati scelti come termini di paragone dei modelli.
Prelimi-narmente `e stata effettuata un’analisi di sensitivit`a, variando i parametri meccanici dei materiali per valutarne l’influenza. ´E stata eseguita anche un’ulteriore analisi preliminare, nella quale mantenendo costanti i valori meccanici dei materiali, sono state analizzate diverse forme della stretta dell’opera, al fine di individuarne l’in-fluenza sul comportamento della stessa. Successivamente, introducendo opportune funzioni densit`a di probabilit`a relative ai parametri meccanici in ingresso, sono sta-te cercasta-te per ciascun modello le funzioni densit`a di probabilit`a delle grandezze di controllo.
In seguito, `e stato generato un andamento nel tempo del livello di invaso, allo scopo di confrontare i risultati dei diversi modelli in termini di spostamento del punto di controllo. Quindi, una vosta selezionato il modello di riferimento, `e stato possibile apprezzare le differenze di comportamento rispetto al modello scelto, per poter ricavare l’incertezza relativa di modello.
Infine, `e stato affrontato il problema relativo alle verifiche di sicurezza per il ca-so studio, questa volta utilizzando modelli semplificati. In questa circostanza, lo studio si `e concentrato sulla determinazione delle funzioni densit`a di proba-bilit`a dei valori delle resistenze e delle azioni, che sono state ottenute facendo variare i parametri meccanici del materiale, scelti conformemente a quanto fatto precedentemente per l’experimental design.
In definitiva, questo studio si propone di indagare la variabilit`a dei risultati re-lativi a diversi modelli della stessa struttura in termini sia di spostamenti, sia di frequenze o di resistenze, in relazione alla variazione dei parametri meccanici; ci`o allo scopo di consentire la valutazione delle conseguenze derivanti dalla scelta del modello di calcolo.
Le dighe
1.1
Introduzione
Negli ultimi anni la materia di gestione e conservazione delle risorse idriche ha attirato sempre di pi`u l’attenzione a livello mondiale stante le consapevolezza che ogni cittadino oggi ha della limitatezza del ”bene acqua”. L’Agenda 21, programma d’azione in materia ambientale predisposto dalla Conferenza delle Nazioni Unite (ONU) su ambiente e sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, individua le priorit`a, gli obiettivi, le attivit`a e gli strumenti attuativi a cui gli Stati dovrebbero attenersi per assicurare una corretta gestione delle risorse idriche sia a livello locale che globale. In particolare nei paragrafi iniziali del Capitolo 18 si pu`o leggere:
18.1 - Le risorse in acqua dolce sono una componenete es-senziale dell’idrosfera della terra ed una parte indispensabile di tutti gli ecosistemi terresti
18.2 - L’acqua `e indispensabile per tutti gli aspetti della vita. L’obiettivo generale `e di far si che adeguate forniture d’ac-qua di buona d’ac-qualit`a siano mantenute per l’intera popolazio-ne del piapopolazio-neta, preservando popolazio-nello stesso tempo le funzioni idrogeologiche, biologiche e chimiche degli ecosistemi, adat-tando le attivit`a umane ai limiti di capacit`a della natura e combattendo i vettori di malattie legate all’acqua
18.3 - La diffusa scarsit`a, la graduale distribuzione e l’aggra-vato inquinamento delle risorse d’acqua dolce in molte regio-ni del mondo, insieme alla progressiva influenza di attivit`a incompatibili, richiedono un approccio, una pianificazione e gestione integrata delle risorse idriche; questa integrazione
deve coprire tutti i corpi idrici correlati, inclusi quelli di su-perficie e sotteranei e tenere in dovuta considerazione gli aspetti quantitativi e qualitativi dell’acqua
L’acqua `e stata sempre vista come una risorsa da sfruttare per il benessere socio-economico dell’uomo e nel corso del tempo l’interesse si `e ampliato coinvolgendo, oltre le attivit`a tradizionali (irrigazione, approvigionamento) anche le attivit`a in-dustriali quali la produzione di energia idroelettrica. Le svariate attivit`a di sfrutta-mento implicano l’appropriazione da parte di singoli soggetti di quantit`a di acqua disponibili nei fiumi, laghi o altre fonti idriche e ci`o pu`o dar luogo a problemi nel caso tale risorsa non sia sufficiente a soddisfare le richieste di tutti i potenziali interessati. Infatti la risorsa acqua, `e limitata nello spazio e nel tempo: su circa 500 milioni di km3 di acqua esistenti sulla Terra, solo il 2% sono acque dolci e di queste solo l’1-2% `e ”gestito” o controllato.
Inoltre, le acque dei corpi idrici costituiscono degli ecosistemi nei quali vivono e si sviluppano diverse risorse naturali tra loro strettamente collegate (pesci, piante): un deterioramento della qualit`a delle acque si ripercuoter`a negativamente anche sulle specie che nel fiume ed intorno ad esso trovano il loro habitat naturale, minacciando l’equilibrio ecologico dell’intero ecosistema fluviale. La risorsa acqua pu`o quindi diventare scarsa sia qualitativamente che quantitativamente a causa di un utilizzo irrazionale.
Da qui l’esigenza di rendere concreta la nozione di ”uso sostenibile delle risorse idriche”, ovvero la necessit`a di trovare un giusto equilibrio tra le esigenze di svilup-po economico legato allo sfruttamento di tali risorse e gli ”imperativi” della loro protezione e conservazione, in maniera tale che l’uso attuale non comprometta il loro impiego futuro.
1.2
Ruolo degli sbarramenti fluviali
Se da un lato l’acqua `e una risorsa inestimabile per la societ`a, esistono situazioni, quali le inondazioni e le frane causate da piene, che fanno dell’acqua una vera e propria minaccia. ´E allora compito della societ`a provvedere ad una gestione ottimale dell’acqua tanto come risorsa, quanto come fonte di rischio.
Un buon connubio tra difesa e sfruttamento nei confronti della risorsa acqua `e rap-presentato dalla costruzione di sbarramenti fluviali, la cui corretta pianificazione e gestione non pu`o che essere realizzata nell’ambito di una generale pianificazio-ne stategica dello sviluppo socio-economico del territorio, non solo su scala loca-le ma anche regionaloca-le e nazionaloca-le che tenga conto, nel massimizzare il rapporto costi-benefici, in modo integrato degli usi plurimi della risorsa acqua.
Ovviamente si ricorre alle dighe non solo per la necessit`a di avere risorse d’acqua disponibili in quantit`a sufficiente e in tempi programmati, ma anche per la difesa contro eventi naturali eccezzionali (le piene). Le capacit`a d’invaso, create da un generico sbarramento idraulico, consentono il trasferimento delle eccedenze degli afflussi rispetto ai deflussi (nei periodi di piena: massima piovosit`a, scioglimento delle nevi) ai periodi in cui gli afflussi sono deficitari rispetto ai conusmi (magra dei corsi: siccit`a), attenuando, o al limite, annullando, la dipendenza delle irregolarit`a del ciclo naturale dell’acqua e realizando i bisogni del tessuto socio-economico del territorio. Da qui deriva la stretta connessone tra la pianificazione strategica di nuovi sbarramenti e i piani di sviluppo del territorio, questi ultimi inerenti non solo a tutte le attivit`a economico-produttive che richiedono l’impegno sistematico della risorsa acqua, ma, anche a quelle attivit`a necessarie alla difesa attiva e passiva del territorio contro le calamit`a naturali.
Gli ambiti interessati dalla realizzazione di uno sbarramento sono di duplice natura: ambito naturale ed ambito socio-economico.
L’ambito naturale riguarda gli effetti fisico-biologici di primaria importanza che possono essere determinati dalla realizzazione e dall’esercizio di uno sbarramento:
• modifiche idrografiche: la riduzione della portata a valle del serbatoio pu`o causare impatti per gli ecosistemi acquatici, la pesca, il paesaggio;
• riduzione di trasporto solido verso valle;
• modifiche dell’andamento dell’alveo del fiume: come la modifica della stabi-lit`a delle sponde e la profondit`a del letto fluviale;
• modifiche della vita acquatica a valle dello sbarramento;
• modifiche chimico e fisiche dell’acqua a valle del serbatoio: possono mutare temperatura, salinit`a, etc;
• cambiamento del clima e dell’habitat: il lago generato dallo sbarramento pu`o modificare le caratteristiche dell’area sia per ci`o che riguarda gli ecosistemi naturali originari che il clima;
• variazione del contenuto d’ossigeno;
• fenomeni di eutrofizzazione: arricchimento dell’acqua di elementi nutritivi in termini di fosforo ed azoto;
• cambiamenti delle falde a valle dello sbarramento; • movimenti franosi;
• sismicit`a indotta: variazioni della sismicit`a naturale dell’area che si originano a causa della presenza dello sbarramento.
L’ambito socio-economico, invece, considera il rapporto investimento-benefici deri-vanti dalla realizzazione dell’opera. Quindi, sono tre i principali tipi di vincolo che possono presentarsi, in fase decisionale, per la realizzazione di uno sbarramento fluviale: vincolo economico, vincolo ambientale e vincolo di sicurezza. In riferi-mento a quest’ultimo vincolo, ci si riferisce alla sicurezza nel senso pi`u generale del termine e precisamente si parla di sicurezza strutturale, idrologica, geologica, di manutenzione ed ambientale.
1.3
Cenni storici
Una diga `e uno sbarramento artificiale permanente su un corso d’acqua naturale che crea un lago artificiale. Dal punto di vista etimologico, tale termine deriva dall’olandese dijk usato per indicare gli argini che difendevano le terre litoranee dal mare. Da tale termine la derivazione francese antica di dique e l’attuale digue. Sostanzialmente qundi l’origine del termine `e riferito ad opere non di sbarramento di corsi d’acqua bens`ı alle classiche difese dal mare dei ”paesi bassi”. Oggi l’ac-cezzione si `e dunque allargata e comprende non solo le dighe tipo quella famosa dell’Ijseelmeer, (v. Figura 1.1)
Figura 1.1: Diga dell’Ijseelmeer, Paesi Bassi
diga lunga 32 km, larga 90 m ed attraversata da un’autostrada, che separa i bacini interni olandesi dal Mar del Nord, ma anche gli sbarramenti fluviali.
Dal punto di vista storico, gi`a 4000 anni fa, gli Egizi (ma analoghe costruzioni furono realizzate in Mesopotamia, in Cina ed in India) realizzarono delle dighe, sia allo scopo di derivare acqua che di proteggere terreni dalle esondazioni fluviali. Circa al 2700 a.c. risale la costruzione della diga di Sadd el-Kafara, in Egitto, le cui rovine sono ancora visibili (v. Figura 1.2). Trattasi di una diga in rock-fill (in pietrame), sul Nilo, circa 30 km a monte del Cairo alta 11 m e lunga 106 m.
Figura 1.2: Diga di Sadd el-Kafara, Egitto
Circa 1000 anni a.c. gli Assiri realizzarono uno sbarramento sul Tigri presso Sa-marra ed altri in Mesopotamia per derivare le acque dagli importanti fiumi di queste regioni. Le dette costruzioni erano in pietra. Invece attorno al 700 a.c. circa risale la realizzazione di una diga sul Tigri per l’alimentazione della citt`a di Ninive.
L’imperatore cinese Yau intorno al 2280 a.c. fece realizzare una diga ed un canale per scopi potabili ed irrigui.
Il sistema irriguo del Tukiangyien realizzato 300 anni prima di Cristo, sempre in Cina comprendeva diverse dighe sul fiume Min.
In Giappone, intorno al 162 d.c. fu costruita, presso Nara, la diga di Kaerumataike alta 17 m.
Anche in Pakistan, in India, nel Bangadesh ed a Ceylon (odierna Sri Lanka) furono realizzate nel passato importanti dighe, proprio in Ceylon, nel quarto secolo a.c. fu realizzata una diga larga ben 18 km ed alta 21 m.
Nel regno di Saba (odierno Yemen) fu costruita una diga nel 750 a.c., trattavasi ovviamente sempre di opere in terra od in pietrame (rockfill). Ma si era gi`a avuto anche qualche caso di diga in muratura: ´e del 1870 a.c. la realizzazione in India della diga del Khadakwasla, realizzata appunto con tale tecnica (v. Figura 1.3).
Figura 1.3: Diga del Khadakwasla, India
Gli antichi romani non furono da meno e realizzarono un complesso sistema di dighe in muratura in Libia per il rifornimento idrico di citt`a (quali Leptis Magna) e per contrastare l’erosione del suolo. La pi`u grande diga romana fu quella di Cornaldo a Nord di Merida, nella Spagna meridionale, alta sino a 23 m e lunga 183 m.
Dalla caduta dell’ impero romano occorre fare un salto all’epoca rinascimentale per tornare alla costruzione di dighe. Tra le pi`u significative di quest’epoca ´e certamente qualle dell’ Alicante (1594) alta 41 m (in Spagna) realizzata a scopi irrigui e di Tibi, sempre in Spagna, alta 46 m per`o del 19-esimo secolo.
Dal 19-esimo secolo l’Ingegneria Europea si dedica allo studio scientifico delle dighe ed importanti studi si devono a scienziati quali: De Sazilly, francese, nel 1853; Rankine, scozzese; Levj, francese, nel 1895; Mohr, tedesco. Questi pongono le basi scientifiche per lo studio dello stato tensionale delle dighe in muratura a gravit`a. La prima diga costruita su tali basi scientifiche fu quella di F urens (1866) in Francia alta 52 m.
Agli inizi del 20-esimo secolo (1904) viene costruita la diga di Cheesman alta 72 m ed il massimo di altezza ´e raggiunto, oggi, dalla diga Grande Dixence (v. Figura 1.4) del 1962 alta 284 m.
Figura 1.4: Diga Grande Dixence, Svizzera
Importanti contributi circa le dighe a gravit`a alleggerite sono dati da studiosi italiani quali il Castigliano e l’Ing. Claudio Marcello.
Inoltre in questo breve excursus storico non si possono non citare importanti contributi italiani pi`u recenti quali quelli di Oberti, Contessini e Arredi.
1.4
Opere di sbarramento
Gli sbarramenti permanenti di un corso d’acqua possono distinguersi in due tipo-logie (distinte principalmente dal punto di vista funzionale):
• col termine diga si intende uno sbarramento che ha lo scopo di creare un invaso artificiale a monte, che accumula temporaneamente le acque del corso fluviale (v. Figura1.5);
• col termine traversa di indica uno sbarramento che ha la funzione di regolare il livello dell’acqua a monte, solitamente di volume modesto. La regolariz-zazione `e utile, generalmente, per far funzionare nel modo migliore un’opera di presa posizionata sullo sbarramento stesso (v. Figura 1.6).
Figura 1.5: Esempio di diga: diga di Malvaglia, Svizzera
Figura 1.6: Esempio di traversa: traversa sul fiume Po sita a La Loggia, Torino
Le norme italiane dividono le dighe in funzione dell’altezza e della capacit`a d’in-vaso, in particoalre quelle con altezza superiore ai 15 m e con volume d’invaso superiore a 1000000 m3 sono definite grandi dighe. Attualmente sul suolo italiano
sono presenti 541 dighe, tra strutture in esercizio, in costruzione e fuori servizio. Tutte le grandi dighe sono di competenza statale, l’autorit`a preposta al loro con-trollo `e la ”Direzione Generale per le Dighe e le Infrastrutture Idriche ed Elettri-che”, facente capo al Ministero delle Infrastutture e dei Trasporti. Ai fini della tutela della pubblica incolumit`a tale autorit`a provvede all’approvazione tecnica
dei progetti delle grandi dighe, tenendo conto anche degli aspetti ambientali e di sicurezza idraulica derivante dalla gestione del sistema costituito dall’invaso, dal relativo sbarramento e da tutte le opere complementari e accessorie. Hanno inol-tre il compito di controllo e gestione delle dighe, spettanti al concessionario e la predisposizione della normativa tecnica.
1.5
Funzioni delle dighe
Le dighe possono avere diversi funzioni ed in base ad esse si classificano in:
• dighe per bacini di accumulo (storage dams): sono costruite per accumula-re acqua quando arriva in abbondanza per farne uso nei periodi di secca. Possono suddividersi in base alla loro funzione (talvolta combinate): per irrigazione, per distribuzione di acqua potabile e non, per salvaguardia am-bientale di fauna e flora endemica, per uso ricreativo e sportivo e per generare energia elettrica;
• dighe di deviazione (diversion dams): sono costruite per creare un salto idraulico che consenta la deviazione dell’acqua in altri sistemi di adduzione (canali, acquedotti). Possono essere costruite per necessit`a di irrigazione, di continuit`a nella presa d’acqua per acquedotti, di prese per canali che adducono ad altri bacini o per usi industriali. In genere sono sbarramenti bassi (per lo pi`u traverse). Possono essere costruite come opere temporanee per deviare un fiume dove si costruir`a una diga;
• dighe di ritenuta (retention dams): sono costruite per ritardare e laminare il passaggio di piene, di solito a protezione di aree antropizzate. Hanno generalmente grande capacit`a di invaso. A volte funzionano accumulando l’acqua in eccesso che viene scaricata da un canale o condotto di capacit`a limitata. Altre volte l’acqua viene immagazzinata per essere gradualmente restituita ricaricando la falda tramite permeazione nell’area di invaso. Altre volte tali dighe servono a trattenere e depositare il trasporto solido.
1.6
Classificazione delle dighe in Italia
La normativa italiana attualmente in vigore in materia di dighe `e il D.M. 24 Marzo 1982 n.44, ”Norme Tecniche per la Progettazione e la Costruzione delle Dighe di Sbarramento”. All’interno di essa, `e contenuta la classificazione delle dighe che da un punto di vista costruttivo-morfologico esse possono essere distinte in:
• a volta (ad arco, ad arco-gravit`a o a cupola);
• in materiali sciolti (in terra omogenea, in terra e/o pietrame con nucleo di tenuta in terra o in terra e/o pietrame con manto di tenuta a monte o con nucleo di tenuta in materiali artificiali);
• sbarramenti di tipo vario (di tipo misto, in subalveo o sbarramenti per la laminazione delle piene);
• traverse (fisse, mobili o briglie).
1.6.1
Dighe a gravit`
a
Sono opere che sfruttano il peso proprio per opporsi alla spinta idrostatica eser-citata dall’acqua invasata nel lago artificiale. L’effetto del peso proprio `e quello di deviare la risultante delle forze agenti, verso il basso, in maniere tale che la verifica allo slittamento sia soddisfatta. Hanno andamento planimetrico rettilineo o comunque con raggi di curvatura molto grandi e con la concavit`a rivolta verso valle. La sezione caratteristica di queste dighe `e quella triangolare, alla cui som-mit`a `e collocato il coronamento. Entrambi i paramenti, quello di valle e quello di monte, sono inclinati, ma il primo ha pendenza elevata, mentre il secondo `e quasi verticale.
Le dighe a gravit`a vengono suddivise in:
• ordinarie (a gravit`a massicce): sono costruite solitamente in muratura o in calcestruzzo non armato e sono costituite da elementi detti conci. Questi ele-menti sono separati tra loro da giunzioni permanenti secondo piani verticali (v. Figura 1.7);
• a speroni o a vani interni (a gravit`a alleggerite): in questa tipologia di opere i conci sono sagomati in maniera tale da ricavare all’interno della struttura dei vani. Spesso i conci diventano dei veri e propri contrafforti con espansione a monte e/o valle. Queste sono una evoluzione delle dighe massicce, infatti `e presente un maggiore sfruttamento dei materiali ed una ottimizzazione degli spazi. Il profilo teorico di ogni sperone deve rendere stabile la struttura al ribaltamento ed allo slittamento, contemporaneamente deve soddisfare le ve-rifiche tenso-deformative. Il minor peso proprio della struttura `e compensato dalla diminuzione delle sottospinte, che in molti casi diventano trascurabili, dovuta alla notevole riduzione di spessore della sezione nel passaggio da una diga massiccia ad una alleggerita. Inoltre la diminuzione di peso viene in parte compensata da un aumento della pendeza del paramento di monte, portando ad un aumento della componente verticale della spinta idrostatica
e contemporaneamente una riduzione di quella orizzontale, che contribuisce all’equilibrio traslazionale.
Infine le dighe alleggerite possono essere a speroni o a vani interni; nelle prime i conci sono sagomati in modo da formare dei contrafforti con il paramento di monte, nelle seconde i conci sono alleggeriti da cavit`a che formano dei vuoti (v. Figura 1.8).
Figura 1.7: Esempio di diga a gravit`a massiccia: diga di Pancrazio, Alto Adige
Figura 1.8: Esempio di diga a gravit`a alleggerita: diga di Val Grosina, Sondrio
1.6.2
Dighe a volta
Nelle struture con funzionamento a volta, pur non mancando la trasmissione del-la spinta idrica lungo le sezioni verticali (funzionamento a mensodel-la), prevale del-la
trasmissione degli sforzi lungo le sezioni orizzontali, o inclinate, fino alle imposte. Con questo tipo di trasmissione, la struttura viene impegnata con le sollecitazioni e deformazioni tipiche dell’arco.
Dighe di questo genere hanno un andamento planimetrico arcuato, inoltre ancor pi`u delle dighe di altro genere, la possibilit`a della loro realizzazione `e legata non solo alla morfologia del territorio (in particolare sar`a necessario trovare una zona caratterizzata da una gola stretta ma con una capacit`a d’invaso a monte molto grande), ma anche alle caratteristiche geologiche della roccia d’imposta. Gli sforzi trasferiti dalla struttura alla roccia su cui verranno fondate le imposte, saranno notevoli, quindi dovr`a avere resistenza elevata, oltre a non presentare fessurazioni diffuse o problemi macroscopici nella propria struttura.
Le dighe a volta vengono suddivise in:
• dighe ad arco (v. Figura 1.9);
• dighe ad arco-gravit`a (v. Figura 1.10);
• dighe a cupola (o a doppia curvatura) (v. Figura 1.11).
Figura 1.10: Esempio di diga ad arco-gravit`a: diga di Cancano, Sondrio
Figura 1.11: Esempio di diga a cupola: diga di Specchieri, Trento
1.6.2.1 Dighe ad arco
Nelle dighe ad arco semplice, l’effetto arco `e nettamente prevalente su quello a mensola, precedentemente descritto, per cui il peso proprio della struttura ha scarsa importanza sul regime statico e le dimensioni possono essere commisurate alla funzione di trasmissione in orizzontale della pressione dell’acqua.
La struttura potr`a quindi essere assimilata ad un insieme d’archi orizzontali fra loro connessi, una situazione del genere `e accettabile solo nel caso in cui le sezioni
verticali radiali della struttura risultino molto snelle, il che pu`o verificarsi solo in opere nelle quali le corde orizzontali della sezione di sbarramento risultano piccole rispetto all’altezza totale, cio`e in opere che chiudono gole molto strette per cui sono consentite curvature molto accentuate dalle sezioni orizzontali.
1.6.2.2 Dighe ad arco-gravit`a
Nelle dighe ad arco-gravit`a non vi `e una netta prevalenza dell’effetto arco su quello a mensola, a condizione che gli spessori si mantengano piccoli rispetto all’altezza, alle corde, ai raggi di curvatura, il regime statico della struttura `e assimilabile a quello di lastra curva. Nella maggior parte dei casi opere di questo genere hanno raggi di curvatura delle sezioni orizzontali varianti verticalmente, curvatura delle sezioni verticali non nulla e spessori varianti verticalmente e talora anche orizzontalmente. Si ammette in generale la deformabilit`a elastica della roccia di fondazione e l’incastro della struttura lungo il contorno il quale ha forma assai diversa da caso a caso.
1.6.2.3 Dighe a cupola
Le dighe a cupola o a doppia curvatura, presentano in buona parte le stesse carat-teristiche delle strutture ad arco semplice, se non fosse che sono dotate di curvatura sia nelle sezioni orizzontali che nelle sezioni verticali, riducendo notevolmente gli sforzi di taglio e i momenti flettenti sul corpo della diga. In tal modo la struttura sar`a soggetta quasi esclusivamente a sforzi di compressione, tendendo quindi ad un comportamento a membrana sottile, con la possibilit`a di ridurre ulteriormente gli spessori e quindi contenere i costi.
1.6.3
Dighe in materiali sciolti
Le dighe in materiali sciolti sono costituite da un corpo di terra o di pietrame, fondamentalmente permeabile, e di una zona interna praticamente impermeabile, chiamata nucleo, ovvero di un dispositivo di tenuta, sul paramento di monte o interno di materiali artificiali diversi, cio`e manto o diaframma.
Rispetto ad una equivalente struttura muraria, questo tipo di opere induce sulle fondazioni sollecitazioni minori, a ragione dell’ampiezza trasversale conseguente per necessit`a proprie di stabilit`a. Il loro comportamento meccanico `e tipicamen-te plastico-viscoso, pertanto sono in grado di eseguire senza rottura deformazioni notevoli della fondazione. Sono quindi compatibili con formazioni d’appoggio lapi-dee anche ampiamente alterate, diffusamente fessurate e disomogenee, nonch`e con formazioni sciolte, escluse ovviamente quelle tipicamente argillose.
Le dighe di materiali sciolti non sono differenziabili in sottospecie sulla base della forma o per il loro funzionamento statico, lo sono invece sulla base dei materiali di cui sono costituite. Quindi si hanno dighe:
• in terra omogenea (v. Figura 1.12);
• in terra e/o pietrame con nucleo di tenuta in terra (v. Figura 1.13);
• in terra e/o pietrame con manto di tenuta a monte o con nucleo di tenuta in materiali artificiali.
Figura 1.12: Esempio di diga in terra omogenea: diga di Zoccolo, Bolzano
Le dighe in terra omogenea sono costituite totalmente da terra caratterizzata da permeabilit`a uniforme e tale da garantire da sola la tenuta. Normalmente s’impiega tale tipologia per altezze del rilevato non superiori ai 30 m (v. Figura 1.14-1). Le dighe in terra e/o pietrame con nucleo di tenuta in terra, sono costituite da materiali naturali di varia tipologia, organizzati e disposti in zone ben precise della sezione in funzione delle caratteristiche di permeabilit`a, disponendo le zone permeabili all’esterno e quelle impermeabili all’interno per la tenuta (v. Figura 1.14-2). Le dighe in terra e/o pietrame con manto di tenuta a monte o con nucleo di tenuta in materiali artificiali sono costituite da materiali naturali di vario tipo e granulometria, dove la tenuta viene garantita mediante un manto di rivestimento, in materiale artificiale, posto sul paramento di monte, oppure tramite un nucleo interno sempre di materiale artificiale (v. Figura 1.14-3).
Figura 1.14: Schemi delle dighe in materiali sciolti: 1) diga omogenea, 2)diga con nucleo, 3)diga con manto di tenuta
Qualsiasi sia il materiale costituente la diga in terra, la forma della sezione tra-sversale si presenta prossimamente trapezia, con inclinazioni dei due paramenti esattamente o approssimativamente uguali. L’asse planimetrico `e rettilineo, salvo casi in cui la curvatura `e opportuna per particolari condizioni geologiche o
morfo-logiche della stretta. La caratteristica meccanica dei materiali sciolti che interessa la stabilit`a dei rilevati `e la resistenza al taglio, riassunta dai due parametri: angolo di attrito limite e coesione limite. La caratteristica idraulica dei materiali stessi che interessa nelle dighe `e la permeabilit`a. La stabilit`a dei rilevati in materiali sciolti, siano essi in terra o pietrame, si riassume nella loro resistenza ai movimenti d’insieme cio`e al franamento, ma essa dipende anche dalla conservazione del’inte-grit`a dei nuclei o manti o diaframmi, giacch´e fessurazioni di questi e conseguenti filtrazioni possono condurre al sifonamento e quindi alla distruzione dell’opera. In fine `e doveroso osservare che queste non sono strutture tracimabili, in quanto sono facilmente erodibili, quindi la tracimazione, anche se straordinaria, potrebbe comportare pericoli di stabilit`a, a causa delle questioni appena trattate.
1.6.4
Sbarramenti di tipo vario
Rappresentano tutte le strutture di sbarramento diverse da quelle precedentemen-te definiprecedentemen-te, sia per caratprecedentemen-teristiche costruttive che per funzionalit`a e impiego, ma possedenti comunque certe particolarit`a in comune. Tali opere sono:
• dighe di tipo misto (v. Figura 1.15): possono essere formate da materiali di-versi o da tipologie strutturali differenti, ad esempio possono essere a gravit`a ma in parte in calcestruzzo ed in parte in parte in muratura di pietrame. Op-pure ad esempio strutture totalmente in calcestruzzo ma con tratti a gravit`a massicce, tratti a gravit`a alleggerite e tratti ad arco. La tecnica costrutti-va `e talmente evoluta che a seconda delle esigenze `e possibile adattare pi`u tipologie strutturali per ottenere il risultato pi`u conveniente;
• dighe in sulbalveo: le dighe in subalveo sono costituite da uno sbarramento affondato nel subalveo fino a raggiungere ed intercettare la falda sotterranea di una valle, in modo da farla emergere e accumularne la risorsa all’interno dell’invaso che si crea a monte;
• sbarramenti per la laminazione delle piene (v. Figura 1.16): gli sbarramenti per la laminazione delle piene sono caratterizzati da una luce a battente per i normali deflussi che pu`o essere completamente impegnata durante gli eventi di piena in modo da far defluire dalla luce, soltanto le portate per cui `e stata progettata l’opera di regimazione e invasare temporaneamente a monte dello sbarramento il surplus di piena che rappresenta il volume idrico di laminazione, o colmo dell’onda di piena.
Figura 1.15: Esempio di diga di tipo misto: diga del Gleno, Bergamo
Figura 1.16: Esempio di sbarramento per la laminazione delle piene
1.6.5
Traverse
Rappresentano opere di sbarramento di un corso d’acqua di modesta entit`a, in particolare per quanto riguarda l’altezza, che risulta mediamente inferiore ai 10 m e che determinano un innalzamento idrico a monte, contenuto all’interno dell’alveo
(v. Figura 1.17). Vengono realizzate per creare piccoli accumuli idrici al fine di rendere possibile la derivazione di portate o permettere attingimenti grazie al locale incremento del livello idrico. In relazione all’entit`a dell’opera e alla funzione che le traverse devono svolgere possono essere suddivise in:
• fisse: sono costituite prevalentemente da strutture murarie massicce, ma an-che mediante scogliere, al principale scopo di rialzare il livello idrico di mon-te per molmon-teplici obiettivi: derivazioni, attingimenti, fruizione della risorsa idrica;
• mobili : sono costituite da opere murarie trasversali, anche di notevoli entit`a, al solito scopo delle precedenti, ma dotate di organi di regolazione. Tali ap-parati possono essere costituiti da semplici paratoie di tenuta a sollevamento manuale fino alle enormi paratoie meccaniche che consentono le regolazioni a scopi idroelettrici o di regimazione delle portate di piena di un corso d’acqua;
• briglie: sono costituite anch’esse da opere murarie trasversali ma con lo scopo della stabilizzazione dell’alveo, dette infatti briglie di consolidamento. So-no opere trasversali al torrente, sporgenti dall’alveo nel quale soSo-no fondate, costruite per fissare con il coronamento sommitale la quota dell’alveo e de-terminare, a seguito dell’interrimento conseguente all’accumulo del materiale a monte di essa, la modifica della pendenza originaria del corso d’acqua. La funzione primaria della briglia risulta quella di contrastare l’erosione del let-to del let-torrente e quindi del trasporlet-to solido a seguilet-to della riduzione della pendenza; contribuisce inoltre alla stabilizzazione delle sponde a seguito del riempimento che si origina a monte.
1.7
Gestione delle dighe in Italia
Come gi`a precedentemente detto, la competenza in materia di dighe (cio`e l’appro-vazione tecnica dei progetti, vigilanza e controllo sulla costruzione e sull’esercizio delle opere), `e divisa in:
• competenza statale, se H ≥ 15m o V ≥ 1000000m3 (cio`e se si tratta di
grandi dighe);
• competenza regionale, se H ≤ 15m o V ≤ 1000000m3 (tutte le altre dighe).
Nello specifico l’autorit`a statale competente, come gi`a detto, `e la Direzione Ge-nerale per le Dighe e le Infrastrutture Idriche ed Elettriche. Tale autorit`a `e stata istituita ai sensi del D.P.R. 19.11.2007, n.254 - Regolamento concernente le dispo-sizioni di organizzazione del Ministero delle Infrastrutture, a seguito della soppres-sione del Registro Italiano Dighe (R.I.D.) e del relativo trasferimento dei compiti e delle attribuzioni dell’Ente soppresso al Ministero delle Infrastrutture. La Di-rezione Generale `e organizzata in una Sede Centrale e nove Uffici Tecnici per le Dighe, distribuiti sul terriotorio nazionale (Torino, Milano, Venezia, Firenze, Pe-rugia, Napoli, Catanzaro, Palermo, Cagliari). Nell’immagine seguente (v. Figura 1.18), si pu`o osservare la suddivisione territoriale dei 9 uffici appena elencati:
Figura 1.18: Suddivisione territoriale dei 9 uffici periferici e delle grandi dighe di competenza
Per la pianificazione e gestione delle attivit`a di competenza la Direzione Generale dispone di una banca dati che viene aggiornata con continuit`a e che comprende le informazioni relative alle 541 grandi dighe italiane di competenza statale (dato aggiornato a Luglio 2015). Di queste il 73% circa `e in esercizio regolare, il 25% `e in esercizio sperimentale, mentre il restante 2% risulta ancora in costruzione.
Per fornire qualche dato sulle grandi dighe in Italia, riportiamo le seguenti figure raffiguranti altrettanti grafici. Nel primo grafico (v. Figura 1.19), si osserva che la percentuale maggiore delle grandi dighe italiane (ben oltre la met`a), sono realizate in muratura, mentre circa un quarto sono in materiali sciolti.
Nel secondo grafico a torta (v. Figura 1.20) sono riportati gli utilizzi principali che vengono fatti delle grandi dighe, cioe gli scopi per i quali tali opere vengono realizzate. Si pu`o osservare che la fetta pi`u grande `e per l’idroelettrico, poi seguono gli scopi irrigui, poi segue ancora il potabile (molto distaccato dai primi due) e poi via via tutti gli altri usi.
Nel terzo grafico (v. Figura 1.21), si osserva come a partire dall’inizio del secolo scorso fino ad arrivare ai giorni nostri, `e aumentato il numero di dighe in Italia, con l’indicazione anche delle Normative che hanno accompagnato lo sviluppo della realizzazione di queste opere.
Figura 1.20: Utilizzi delle grandi dighe italiane
Il calcestruzzo nella costruzione
delle dighe: dam concrete
2.1
Introduzione
L’uso del calcestruzzo di cemento per la realizzazione delle dighe risale alla fine del secolo XIX. La prima costruzione documentata di una diga in calcestruzzo in Europa risale, infatti, al 1872 (diga a gravit`a di Maigrauge, in Svizzera, con 21 m di altezza e un volume di calcestruzzo di circa 32000 m3).
Agli albori della tecnologia della costruzione delle dighe, il materiale pi`u frequen-temente utilizzato `e stato per`o la muratura di pietrame e malta o conglomerato cementizio. In Italia la muratura ha continuato a competere con il calcestruzzo sino alla fine degli anni ’30 del XX secolo.
L’abbandono progressivo di questi primi materiali `e legato sia ad inconvenienti tecnici, come ad esempio l’inadeguata impermeabilit`a, specialmente per le opere dei primi periodi, sia sopratutto al fatto che essi difficilmente si adattavano alla progressiva e inesorabile meccanizzazione del processo produttivo. Anche se ini-zialmente introdotto per le dighe a gravit`a, il calcestruzzo, `e stato per`o poi preva-lentemente utilizzato per le dighe ad archi multipli, ad arco e a gravit`a alleggerita. Per queste tiplogie di dighe, infatti, per le quali si andavano via via perfezio-nando i criteri di progettazione, era possibile ottimizzare l’impiego del materiale calcestruzzo, che all’epoca incideva maggiormente sui costi di costruzione.
Nel secondo dopoguerra, il perdiodo che va dal 1945 al 1970, il progressivo e forte incremento del costo della mano d’opera, ma anche il parallelo sviluppo del macchinario di cantiere, ha definitivamente orientato la scelta delle dighe in calcestruzzo verso le soluzioni pi`u massicce.
2.2
Evoluzione della qualit`
a del calcestruzzo
Parallelamente all’evoluzione delle tipologie di dighe si `e avuta anche un’evoluzione del materiale calcestruzzo, sia dal punto di vista dello studio delle miscele, sia dal punto di vista dei metodi costruttivi impiegati (confezione e posa in opera), ma anche sotto altri aspetti.
Si riporta di seguito, in breve, il processo evolutivo che ha subito il calcestruzzo, mettendo in luce gli aspetti maggiormente rilevanti.
2.2.1
Evoluzione dei materiali componenti il calcestruzzo
L’evoluzione del calcestruzzo `e frutto dello sviluppo degli studi teorici, delle prove di laboratorio e della pratica costruttiva ed `e essenzialmente condizionato dall’e-voluzione tecnologica dei materiali cementizi.
Abbandonate le calci idrauliche, usate sino all’inizio del secolo scorso, si sono andati sviluppando cementi sempre pi`u specializzati con l’obiettivo di ottenere, oltre a soddisfacenti caratteristiche meccaniche, un moderato sviluppo del calore d’idratazione, buone resistenze al dilavamento delle acque pure e all’azione delle acque aggressive1 (v. Figura 2.1).
Le resistenze meccaniche dei cementi, valutate su malta normale secondo la meto-dologia all’epoca in vigore, sono andate via via crescendo, passando dagli iniziali 300-400 kg/cm2 (a 28 giorni) sino a circa 500 kg/cm2 prima della seconda guerra mondiale, per arrivare ai 650 kg/cm2 nel dopoguerra.
L’incremento di resistenza del cemento Portland pu`o essere assunto come indice di un generale miglioramento della sua qualit`a, ma le problematiche di degrado e invecchiamento riscontrate sui calcestruzzi delle dighe non sono generalmente dovute a insufficienti resistenze meccaniche del legante, ma piuttosto sono in re-lazione alle problematiche dei getti massivi (calore d’idratazione), alle condizioni di aggressivit`a delle acque (dilavamento da parte delle acque pure e attacco di acque aggressive) e alle inadeguate compattezze dei conglomerati (connesse alla tecnologia di posa in opera).
Ad esempio, per risolvere le problematiche del calore d’idratazione, gli iniziali cementi Portland sono stati modificati, riducendo sia il contenuto di alluminato tricalcico C3A (con contemporaneo aumento dell’alluminato ferrito tetracalcico C4AF ) che il contenuto del silicato tricalcico C3S (con contemporaneo aumento del silicato bicalcico C2S ). Nella Tabella 2.1 sottostante `e riportata una tipica composizione mineralogica dei cementi Portland a basso calore d’idratazione, a confronto con i normali cementi Portland:
1sono tre caratterstiche che, limitate, hanno lo scopo principale di aumentare la vita utile
C3S C2S C3A C4AF
cemento standard 50 25 10 8 cemento a basso calore d’idratazione 23 50 5 14
Tabella 2.1: Confronto tra i componenti mineralogici del cemento Portland a basso calore con quelli dei primi cementi Portland
Si `e poi progressivamente passati dai cementi Portland ai cementi pozzolanici, in cui parte del clinker di cemento Portland (all’incirca il 30-35%) veniva sostituita da un’aggiunta minerale, la pozzolana naturale, facilmente disponibile in Italia sin dall’epoca romana. In tal modo, oltre a ridurre ulteriormente lo sviluppo di calore d’idratazione, si `e anche limitata la formazione della calce d’idrolisi derivante dall’idratazione dei costituenti silicatici del cemento (principalmente il C3S ), causa principale del degrado connesso all’azione dilavante delle acque. I primi sistematici utilizzi dei cementi pozzolanici nei calcestruzzi delle dighe Italiane risalgono alla seconda met`a degli anni030 del secolo scorso (v. Figura 2.1).
Dopo la seconda guerra mondiale si sono diffusi anche i cementi ferrici, il cui clinker `e praticamente esente da alluminato tricalcico e i corrispondenti cementi ferrici-pozzolanici, con deciso miglioramento anche per quanto riguarda l’attacco al calcestruzzo da parte delle acque solfatiche. A essi si sono aggiunti i cementi d’altoforno, in cui la loppa granulata d’altoforno sostituisce il clinker di cemento Portland, come nel caso dei cementi pozzolanici, ma con dosaggi di loppa anche decisamente superiori al 50%.
Nella documentazione dell’ANIDEL `e riportato un dettagliato elenco delle dighe il cui calcestruzzo `e stato confezionato con questi cementi di miscela, prevalen-temente pozzolanici o ferrici-pozzolanici, la cui ampia diffusione ha consentito di limitare gli effetti del degrado sul calcestruzzo delle dighe e di migliorarne le condizioni d’invecchiamento.
Al secondo dopoguerra risale anche l’impiego nei calcestruzzi da diga degli additivi aeranti (v. Figura 2.1), che ha contribuito notevolmente a ridurre l’effetto del gelo sulle dighe. La loro azione `e quella d’introdurre nel conglomerato delle minuscole bolle d’aria in grado di attenuare gli effetti espansivi del gelo. Non `e un caso che la maggior parte dei fenomeni di degrado imputabili a questi effetti sia stato riscontrato su vecchie dighe, costruite in periodi precedenti e a quote superiori a 2000 m s.l.m..
Sempre dopo la seconda guerra mondiale si `e diffuso anche l’impiego degli additivi plastificanti o fluidificanti (v. Figura 2.1). Essi hanno lo scopo di ridurre il con-tenuto di acqua dei calcestruzzi, a pari lavorabilit`a della miscela cementizia, con ricadute positive sia sulle prestazioni fisico-meccaniche che di durabilit`a del calce-struzzo. Ma il motivo principale per cui essi sono stati introdotti nei calcestruzzi
da diga sta nel fatto che, a parit`a di rapporto acqua/cemento e quindi di resistenza meccanica, consentono una riduzione del dosaggio di cemento. A parte i risparmi diretti sul materiale, il vantaggio tecnico pi`u rilevante sta nel ridotto sviluppo di calore d’idratazione del calcestruzzo, in una minore richiesta di raffreddamento durante i getti, in stati di sforzo pi`u contenuti durante i raffreddamenti e, alla fine, in minori fessurazioni di origine termica.
A questi additivi si sono man mano aggiunti altri prodotti con scopi pi`u specifi-ci come gli additivi acceleranti e i ritardanti. Questi ultimi, in particolare sono in grado di ritardare la presa e l’indurimento del calcestruzzo per diversi giorni, permettendo in tal modo di evitare i cosiddetti “giunti freddi” 2, in corrispon-denza delle riprese di getto, o controllare la rimozione delle casseforme nei getti a casseforme scorrevoli.
Negli ultimi decenni `e documentato l’impiego anche di materiali pozzolanici arti-ficiali come la cenere leggera di carbone, sia direttamente miscelata nei cementi pozzolanici alle ceneri, che come filler diqualit`a in sostituzione o integrazione del finissimo della sabbia (v. Figura 2.1).
Figura 2.1: Progressi nel tempo dei materiali componeneti il calcestruzzo
2discontinuit`a indesiderate tra strati di calcestruzzo che si verifica quando si esegue un getto
2.2.2
Evoluzione delle tecniche di confezione e posa in
ope-ra
Quando si cominci`o a utilizzare il calcestruzzo nella costruzione delle dighe, que-ste erano generalmente di modeque-ste dimensioni e il calcestruzzo era miscelato a mano, con l’ausilio di semplici badili. L’aggregato era costituito da un insieme ”out-venant”di sabbia e ghiaia, le miscele erano preparate con una consistenza di terra umida, trasportate con vagonetti e messi in opera mediante un costipamento manuale, con pestelli, aste e badili. La produzione di calcestruzzo risultava scarsa, con tempi di posa lenti, il che causava frequenti interruzioni con la formazione dei cosiddetti ”giunti freddi” o riprese di getto non programmate.
In seguito, sotto la spinta di esigenze economiche, per ottenere una maggiore ra-pidit`a di costruzione e un minore impiego di mano d’opera, ritenendo di poter conseguire un migliore assestamento e quindi una migliore compattezza dei get-ti, tra gli anni ’20 e ’30 del XX secolo si adottarono calcestruzzi di tipo fluido o ”colati”. Essi erano messi in opera per gravit`a, mediante canalette, alimentate da torri di distribuzione. Ci`o ha consentito di centralizzare il confezionamento, con maggiori produzioni di calcestruzzo, anche se il sistema delle canalette e degli scivoli di caduta era talvolta piuttosto intricato.
Abbandonando il metodo a volume, la dosatura del calcestruzzo cominciava a esse-re effettuata a peso (v. Figura 2.2), anche se con operazioni manuali, mentesse-re i siste-mi per il confezionamento e la siste-miscelazione delle siste-miscele passavano gradualmente da manuali a meccanizzati.
A partire dal 1935, con il progredire della tecnologia, il sistema di dosatura e confezionamento del calcestruzzo nei cantieri ha subito un deciso salto di qualit`a, con pesate automatizzate e il ricorso a impianti centralizzati, dove erano riuniti i sili di tutti i materiali componenti il calcestruzzo stesso. La preparazione degli aggregati avveniva in appositi impianti (frantumazione e vagliatura) che avevano lo scopo di selezionare il materiale in un certo numero di classi granulometriche di caratteristiche prestabilite. Spesso la vagliatura dei materiali era condotta a umido, in modo da procedere al lavaggio degli aggregati stessi. Il trasporto e la distribuzione del calcestruzzo avveniva mediante benne (a mezzo di blondins, der-rick, gru a torre etc), riducendo cos`ı al minimo segregazione e disomogeneit`a del materiale posto in opera. Questi calcestruzzi, confezionati con una netta diminu-zione dell’acqua d’impasto, rispetto a quelli ”colati” della precedente generadiminu-zione, presentavano una consistenza plastica e avevano bisogno di un’energica azione per la loro posa in opera. A tale scopo si `e ricorso alle prime applicazioni di vibratori, il cui impiego ha costituito una svolta decisiva nella tecnica di costruzione delle dighe (v. Figura 2.3).
Figura 2.3: Vibrazione di un calcestruzzo plastico mediante vibratori a immersione
All’epoca la metodologia di getto pi`u diffusa era quella dei conci isolati (e quindi con piccole superfici di lavoro) realizzati attraverso l’adozione delle casseforme metalliche, costituite da elementi componibili e adattabili alle esigenze geometriche dell’opera, rapidamente smontabili e sollevabili per i getti successivi.
Un altro importante passo avanti nella tecnica costruttiva di questo periodo fu il raffreddamento del calcestruzzo, mediante il pre-raffreddamento degli aggrega-ti e dell’acqua d’impasto (usando graniglia di ghiaccio trito mescolata all’acqua stessa), o il post-raffreddamento del calcestruzzo, ad esempio con serpentine di raffreddamento annegate nei getti (v. Figura 2.4).
Figura 2.4: Serpentina di post-raffreddamento nel calcestruzzo di un concio di diga
Nel secondo dopoguerra le diverse operazioni di confezione dei calcestruzzi in can-tiere erano ormai regolarmente coordinate da un’apparecchiatura di comando e di controllo centralizzata, a partire dagli anni ’70 anche con gestione computerizzata dell’intero impianto. I vibratori sono entrati nell’uso comune, grazie soprattutto alla disponibilit`a di nuovi e pi`u potenti tipi azionati elettricamente. Le produ-zioni orarie di calcestruzzo risultavano cos`ı elevate e lo sono diventate ancora di pi`u quando, a partire dagli anni ’80, si `e diffusa la tecnica della compattazione mediante rullatura di calcestruzzi aventi una consistenza molto asciutta e posti in opera in strati continui mediante i mezzi tipici della movimentazione della terra (calcestruzzo rullato e compattato). In realt`a si tratta di una tecnica che, pur mol-to diffusa all’estero, ha solo sfioramol-to la realt`a italiana, considerato anche il limitato numero di dighe in costruzione negli ultimi decenni.
2.2.3
Evoluzione delle tecniche per le riprese di getto
Non potendo procedere alla realizzazione di una diga in calcestruzzo in un’unica soluzione monolitica, `e stato necessario introdurre dei giunti di costruzione in corrispondenza alle riprese di getto. Questi sono anche richiesti per limitare lo sviluppo del calore d’idratazione e per garantire un adeguato tempo di maturazione al conglomerato cementizio in loco. Normalmente si tratta di giunti orizzontali
che vengono localizzati lungo l’altezza dell’opera a interassi di circa 1,5-3,0 m (v. Figura 2.5).
Figura 2.5: Schema delle superifci di ripresa di getto
Nel caso di dighe in calcestruzzo rullato questi interassi si riducono a meno di un metro (solitamente circa 0,3 m). Il comportamento strutturale della diga e le modalit`a d’invecchiamento sono condizionati dal tipo di giunto e dalle sue pre-stazioni: in particolare dalla sua resistenza allo scorrimento e alla filtrazione di acqua. Per una sufficiente impermeabilit`a del corpo murario non basta, infatti, che sia elevata l’impermeabilit`a del calcestruzzo, ma occorre soprattutto che siano a perfetta tenuta le riprese di getto fra uno strato e l’altro. I risultati ideali si ottengono nei ”giunti caldi”, nei quali ogni strato di calcestruzzo viene ricoperto dal sovrastante prima che la presa del calcestruzzo sia troppo avanzata, garanten-do cos`ı il raggiungimento di una condizione di monoliticit`a della massa muraria. L’intervallo di tempo entro il quale ci`o si verifica `e limitato e generalmente non superiore a circa 24 ore dal getto. In tal caso non `e previsto alcun tipo di trat-tamento della superficie. Se cos`ı non avviene, per motivi legati all’operativit`a del cantiere o accidentali, si forma un cosiddetto ”giunto freddo”, in cui l’avvenuta presa del calcestruzzo sottostante compromette una buona adesione fra gli strati. I due processi che allora intervengo sulla superficie orizzontale di getti di calcestruz-zo, al passare delle ore, sono la separazione dell’acqua e l’affioramento di lattime di cemento. Il flusso di separazione dell’acqua si manifesta spontaneamente a seguito del naturale assestamento dei materiali solidi presenti nel conglomerato cementi-zio. Esso produce un effetto favorevole sulle caratteristiche del calcestruzzo (con una riduzione del rapporto acqua/cemento), ma determina anche una condizione di disomogeneit`a del materiale: pi`u poroso e meno resistente nella parte superficia-le, dove si verifica anche il ristagno dell’acqua affiorante che, trasportando piccoli granuli di cemento non idratati (lattime di cemento), deposita una patina superfi-ciale. I piccoli canali di flusso che si creano nella parte superficiale del calcestruzzo
favoriscono l’accumulo di acqua sotto i grossi ciottoli di aggregato, con l’indebo-limento della struttura litica del materiale (minore aderenza tra pasta cementizia e aggregato e maggiore tendenza alla locale micro fessurazione). Inoltre, su tali superfici si possono facilmente depositare anche altri prodotti di contaminazione provenienti dai macchinari utilizzati in loco.
Oltre al tempo trascorso dall’inizio del getto, anche altri fattori possono condi-zionare la formazione di un ”giunto freddo”, quali il tipo di composizione del calcestruzzo e la temperatura della superficie di contatto calcestruzzo-aria. Cos`ı, a livello progettuale, per la definizione delle condizioni di formazione di un ”giunto freddo” viene talvolta individuato, uno specifico parametro, detto ”indice di matu-rit`a”, espresso in gradi per ora, che varia anche a seconda del tipo di calcestruzzo utilizzato. Elevati contenuti di cemento nella miscela, adeguati contenuti di parti fini (sia come particelle di sabbia arrotondate che come aggiunte di cenere leggera) e la presenza di additivi aeranti, possono ridurre i fenomeni di separazione d’acqua e ritardare la formazione di questi ”giunti freddi”.
Laddove essi si formano, solitamente `e richiesto uno specifico trattamento delle superfici di ripresa, con operazioni di pulizia, scarificazione e, talvolta, il ricorso a idonee quanto costose malte di contatto. Eccessive quantit`a di acqua sulla super-ficie della ripresa possono compromettere l’aderenza, cos`ı come in assenza d’acqua non si pu`o sviluppare alcun tipo di aderenza. La quantit`a d’acqua presente sulla superficie di getto riveste dunque una primaria importanza e, per assicurare un buon risultato occorre mantenere la superficie sempre umida, evitando al contem-po ogni ristagno d’acqua. Garantire una buona aderenza tra le riprese di getto risulta indispensabile non solo per non accelerarne l’invecchiamento, che pu`o in-tervenire a causa di fenomeni connessi alla filtrazione d’acqua nella massa muraria (gelo e disgelo, dilavamento della pasta cementizia etc), ma anche per evitare di indebolire la struttura dell’opera, particolarmente la sua stabilit`a allo scorrimento, soprattutto in caso di sollecitazioni dinamiche (sismi).
I primi tentativi di miglioramento della qualit`a dei ”giunti freddi” risalgono agli anni successivi al 1920 cercando di migliorare la continuit`a tra i vari getti mediante interventi di scarificazione meccanica ad acqua (brooming washing) del getto sot-tostante ormai indurito, eventualmente abbinata a getti d’acqua e aria in pressione (brooming air-water jetting). Successivamente si `e proceduto rimuovendo la malta superficiale del calcestruzzo subito dopo il getto di ogni strato, ricorrendo sempre a getti di aria e acqua in pressione (da 0,5 a 2 MPa), in modo da far emergere la struttura litica del calcestruzzo stesso (green cutting) (v. Figura 2.6).
Figura 2.6: Preparazione della superficie di getto con green cutting mediante un getto in pressione di acqua e aria
Questa tecnica richiede un intervento in tempi dell’ordine di 4-12 ore dal getto. Se adottata troppo presto pu`o disalveolare gli aggregati dal calcestruzzo, rimuoven-do in quantit`a rilevanti anche il calcestruzzo sottostante. In ogni caso, eventuali ulteriori successivi depositi di materiali contaminanti richiedono una seconda pu-lizia, immediatamente prima del nuovo getto. Per questo `e stata poi introdotta la tecnica della sabbiatura ad acqua con materiale abrasivo e aria in pressione (wet sandblasting) che pu`o essere eseguita in qualsiasi momento. Tuttavia essa presenta lo svantaggio di dover poi rimuovere la sabbia dalla superficie di getto, con allungamento dei tempi di esecuzione e aggravio dei costi.
Un’alternativa possibile si `e avuta con l’introduzione, in epoca pi`u recente, di getti d’acqua ad alta pressione (high pressure water jetting), da 40 a 50 MPa, con il vantaggio di poter intervenire anche dopo parecchio tempo dal getto del calcestruzzo.
Infine, particolarmente con l’avvento delle dighe in calcestruzzo rullato e compat-tato, per le quali la cura della ripresa di getto (aderenza e impermeabilit`a tra gli strati) `e diventata un elemento chiave per un corretto funzionamento dell’opera, si `e cercato di migliorare ulteriormente i trattamenti di scarifica delle superfici, anche ricorrendo all’introduzione di macchine automatiche. Inoltre, per questo tipo di dighe si `e spesso ricorsi alla stesura di un betoncino o una malta di ripresa (bedding mortar ) che, tuttavia, richiede un forte impiego di manodopera e costituisce un notevole intralcio alla rapidit`a della posa in opera.
2.2.4
Evoluzione delle tipologie di calcestruzzo
Si riporta di seguito un excursus storico dell’evoluzione delle tipologie di calce-struzzo per le realizzazione delle dighe in Italia.
2.2.4.1 Calcestruzzo degli albori (sino al 1920)
Agli albori della tecnologia del calcestruzzo, agli inizi del XX secolo, sino alla pri-ma guerra mondiale, il proporzionamento del calcestruzzo avveniva direttamente a palate, sulla base di ricette basate su precedenti esperienze, attraverso tentativi e successive correzioni, ma senza un reale supporto tecnologico. I materiali cementi-zi erano costituiti da calci idrauliche o cementi Portland con elevata producementi-zione di calore d’idratazione, gli aggregati erano generalmente costituiti da un tout venant di sabbia e ghiaia e tutti i materiali erano soggetti a una grande variabilit`a. Il costo del lavoro era assai basso mentre risultava elevato il costo dei materiali. Le miscele venivano preparate con un rapporto acqua/cemento relativamente basso e la consistenza risultante era quella della terra umida. I conglomerati cos`ı pre-parati contenevano un dosaggio di cemento appena sufficiente a garantire le basse resistenze meccaniche richieste.
Nonostante si riuscisse, con grandi sforzi, a ottenere calcestruzzi con resistenze meccaniche anche discrete, essi risultavano caratterizzati da una modesta com-pattezza, dovuta all’imperfetta granulometria degli aggregati e alla difficolt`a di costipamento (v. Figura 2.7).
Figura 2.7: Carote prelevate da un calcestruzzo caratterizzato da uno studio inadeguato e scarsamente compatto, con la presenza di vespai e cavit`a
In alcuni casi l’acqua aggiunta all’ultimo momento, per rendere meno pesante la lavorazione di posa in opera e compattazione, ne vanificava la qualit`a.
2.2.4.2 Calcestruzzo della 2a generazione (1920-1935)
I calcestruzzi ”colati” realizzati dopo gli anni ’20 del XX secolo erano caratterizzati da una granulometria pi`u studiata, con un elevato contenuto di parti fini (filler), in modo da conferire una sufficiente impermeabilit`a, ma anche da un elevato rapporto acqua-cemento, per facilitarne il trasporto tramite canalette. Ci`o determin`o seri inconvenienti, quali una forte tendenza alla segregazione dei diversi componenti del calcestruzzo, nelle canalette di trasporto, basse resistenze meccaniche e soprattutto un’inadeguata durabilit`a, evidenziata subito da una scadentissima resistenza ai cicli di gelo e disgelo del calcestruzzo. Le dighe costruite con calcestruzzi colati hanno pertanto manifestato un rapido degrado, specialmente del paramento di monte che ha dovuto, in moltissimi casi, essere ricostruito con manti di rilevante spessore, realizzati con calcestruzzi di migliori caratteristiche.
Lo studio di queste miscele ancora non traeva beneficio dai risultati appena com-piuti in America da Duff Abrams che, nel 1918, aveva gi`a pubblicato un lavoro dal titolo ”Design of concrete mixtures” in cui definiva alcuni criteri base per il proget-to della miscela di calcestruzzo, evidenziando chiaramente l’influenza del rapporproget-to acqua/cemento (a/c). Da questo lavoro trassero poi spunto numerosi altri studi e ricerche sulle fondamentali reazioni chimico-fisiche del cemento e sulle prestazioni del calcestruzzo, ricerche che, negli anni successivi, fornirono le conoscenze per il successivo avanzamento della tecnologia. Fu, ad esempio, nel 1929 che Bogue pub-blic`o il metodo con cui calcolare le proporzioni dei diversi costituenti mineralogici del cemento. Passaggio, quest’ultimo, che fu indispensabile per procedere a un miglioramento razionale della qualit`a dei cementi.
In Italia, accanto ai calcestruzzi colati, nello stesso periodo d’inizio secolo, si fece ricorso anche al cosiddetto ”calcestruzzo ciclopico”. Si ritenne, infatti, che i blocchi di pietrame annegati nella massa di calcestruzzo potessero assicurare, oltre che un certo vantaggio economico, anche un miglior collegamento tra le successive riprese di getto. I risultati non furono tuttavia particolarmente soddisfacenti. La necessit`a di disporre di una doppia attrezzatura, quella necessaria per la confezione e posa in opera del calcestruzzo e quella per l’approntamento e il trasporto dei blocchi di pietra, limitarono i risparmi economici. Inoltre, la presenza di grossi elementi lapidei annegati in una massa di calcestruzzo caratterizzato da un ritiro relativamente alto, tendeva a determinare l’innesco di una fessurazione diffusa. E’ in questo periodo che vengono emanate in Italia le prime norme che regolano i progetti, la costruzione e l’esercizio delle dighe di ritenuta, senza peraltro fornire particolari specifiche indicazioni circa la qualit`a dei materiali.
2.2.4.3 Calcestruzzo moderno (1935-1945)
Intorno al 1935, e soprattutto negli anni seguenti, grazie ai decisivi progressi nel frattempo intervenuti nella tecnologia del cemento e del calcestruzzo, cos`ı come nelle tecniche di confezione e posa in opera, si `e potuto applicare dei metodi scientifici per migliorare le prestazioni del calcestruzzo, in particolare quelle di durabilit`a, arrivando all’impostazione di quello che potremmo oggi indicare come ”calcestruzzo moderno”.
Le composizioni granulometriche degli aggregati non sono pi`u realizzate su base empirica ma vengono basate su granulometrie e dosature pi`u razionalmente defi-nite, adottando come riferimento le tradizionali curve di Fuller e di Bolomey. La dimensione massima dell’aggregato `e scelta caso per caso, non superando i 100 mm per le opere pi`u snelle e arrivando ai 150 mm per le dighe a gravit`a pi`u massicce. Le classi granulometriche variano da 4 a 6.
I cementi impiegati sono ormai solo quelli Portland a basso calore d’idratazione o i cementi pozzolanici, ferrici e ferrici-pozzolanici. La scelta dei dosaggi di cemento e di acqua (rapporto a/c) `e definita sulla base delle esigenze di resistenza del cal-cestruzzo, del tipo di cemento disponibile e inoltre della quantit`a d’acqua richiesta dagli impasti in relazione alle modalit`a di posa in opera. Nei calcestruzzi delle di-ghe Italiane di questo periodo i dosaggi di cemento sono generalmente compresi tra 200 e 250 kg/m3, e solo raramente, per strutture fortemente sollecitate, vengono
raggiunti e superati i 300 kg/m3. Viceversa i rapporti a/c documentati per questi calcestruzzi plastici sono compresi nell’intervallo tra 0,42 e 0,60, notevolmente pi`u bassi di quelli che caratterizzavano i calcestruzzi ”colati” (da 0,75 sino a 1,0).
L’utilizzo di vibratori a immersione ha consentito di ottenere una grande com-pattezza dei getti, con completo assestamento degli aggregati, totale rifluimento della pasta cementizia e pratica eliminazione delle cavit`a. Ci`o, accanto alla razio-nale composizione, ha conferito al calcestruzzo pi`u elevate resistenze meccaniche, migliore resistenza al gelo e impermeabilit`a.
I calcestruzzi a consistenza plastica e vibrati sono stati impiegati per la costruzione di dighe a gravit`a, ad arco, ad arco-gravit`a e per i primi esempi di dighe a gravit`a alleggerite. La metodologia di posa in opera mediante conci isolati e la contempo-ranea applicazione di tecniche di pre-raffreddamento dei materiali componenti o di post-raffreddamento del calcestruzzo, con serpentine annegate nei getti, hanno consentito di limitare ulteriormente il potenziale sviluppo di fessure termiche.
2.2.4.4 Calcestruzzo del 2o dopoguerra (1945-1990)
Nel secondo dopoguerra, grazie all’uso generalizzato di sistemi di vibrazione del calcestruzzo sempre pi`u efficienti e al sempre pi`u frequente impiego di additivi