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Breve excursus dell’evoluzione del concetto di somatizzazione: dal DSM

PARTE 1: Revisione della Letteratura

1. La Consapevolezza Emotiva e la relazione con le somatizzazioni

1.6 La relazione tra Consapevolezza Emotiva e Somatizzazioni

1.6.1 Breve excursus dell’evoluzione del concetto di somatizzazione: dal DSM

Al giorno d’oggi i criteri diagnostici del DSM 5 prevedono che per poter effettuare diagnosi di Disturbo da Sintomi Somatici devono essere presenti sintomi somatici persistenti e clinicamente significativi (criterio A), in concomitanza con pensieri, sentimenti, e comportamenti relativi alla salute eccessivi e sproporzionati in relazione alla gravità dei sintomi (criterio B) (APA, 2013).

Come afferma Noyes (2008), fin dalla sua introduzione nel DSM III, la categoria Disturbi Somatoformi è stata oggetto di controversie. L’isteria e l’ipocondria, condizioni conosciute fin dall’antichità, furono inserite nel DSM III all’interno di questa nuova categoria dei disturbi da somatizzazione, i cui criteri diagnostici prevedevano la presenza di sintomi fisici in assenza di disturbi o lesioni a livello organico, ma in presenza di fattori psicologici. Con l’avvento del DSM-IV sono state apportate numerose modifiche ai criteri dei disturbi da somatizzazione, in primo luogo sono state aggiunte nuove categorie quali ad esempio: il Disturbo Somatoforme Indifferenziato, il Disturbo da Dismorfismo Corporeo e il Disturbo Somatoforme non altrimenti specificato (Noyes et al., 2008). Inoltre, data la difficoltà di applicazione dei criteri

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elencati dal DSM III, furono inseriti nel DSM IV dei criteri più semplificati che prevedevano, ad esempio, la presenza di una combinazione di dolori (cefalea, mal di schiena, articolazioni doloranti), sintomi gastrointestinali (colite, diarrea, nausea, sessuali) e pseudoneurologici (sintomi di conversione, come deficit della coordinazione o dell’equilibrio, vertigini, paralisi o ipostenia localizzate, difficoltà a deglutire o nodo alla gola).

Alla base di questi sintomi non si dovevano riscontrare cause fisiche, e qualora fossero state presenti, dovevano risultare insufficienti per giustificare le lamentele fisiche, fondamento delle continue richieste di intervento medico da parte del soggetto.

Fin dalla sua introduzione, la categoria diagnostica dei disturbi somatoformi ha sollevato, da parte degli studiosi, numerose criticità, che non sono state risolte nemmeno con i nuovi criteri inseriti nel DSM-IV. Nel loro articolo Dismdale e colleghi (2013) elencano alcune criticità che possono essere riassunte in tal modo:

1. Per gli studiosi il termine "somatoforme" è stato difficile da capire ed è stato spesso confuso con "disordine di somatizzazione", creando problemi all’interno di un contesto diagnostico o terapeutico;

2. La caratteristica principale dei disturbi somatoformi è che sono caratterizzati da "sintomi inspiegabili", che potrebbe comportare il rischio di far rientrare all’interno di questa categoria disturbi non tanto “inspiegabili”, quanto piuttosto non esaminati correttamente dai medici: il fatto che un disturbo non abbia un’eziologia organica e non sia medico, non significa che sia necessariamente un disturbo psichiatrico;

3. Una grossa criticità del DSM-IV TR era la presenza di sovrapposizione tra i criteri diagnostici dei diversi disturbi somatoformi, che ha causato non poca confusione dal punto di vista clinico e diagnostico, specialmente per i medici non psichiatri;

4. Il DSM IV richiedeva la presenza di almeno quattro sintomi di dolore, due sintomi relativi ai disturbi gastro-intestinali, un sintomo di tipo sessuale e un sintomo "pseudo-neurologico". Per tale motivo i medici trovarono queste regole diagnostiche ingombranti, confuse e inaffidabili.

I criteri, essendo stati formulati con troppa rigidità e una forte specificità, non permettevano di valutare e diagnosticare un problema clinico presente seppur

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debolmente, di conseguenza il disordine di somatizzazione sembrava essere estremamente raro.

In definitiva gli studiosi hanno concordato sulla poca validità statistica dei criteri per i disturbi somatoformi, sottolineando in particolare la scarsità dei benefici che derivavano dall’avere una classificazione così incerta (Creed et al. 2006; Dismdale et al, 2013). Date le critiche appena esposte, la nuova categoria diagnostica del DSM 5 ha messo in atto una ri-concetualizzazione di questi disturbi, proponendo due nuove categorie: Disturbo da Sintomi Somatici (DSS), che raggruppa il disturbo da somatizzazione, il disturbo algico e il disturbo somatoforme indifferenziato, e il Disturbo da Ansia di Malattia, il quale include i soggetti identificati come ipocondriaci dal DSM IV.

I criteri diagnostici per il disturbo da sintomi somatici riportati dal DSM 5 sono i seguenti:

A. Uno o più sintomi somatici che procurano disagio e/o risultano distruttivi della vita quotidiana;

B. Esagerato interesse o preoccupazione per i sintomi e le malattie, come evidenziano almeno 1 dei seguenti:

 Pensieri sproporzionati e persistenti circa la gravità dei propri sintomi;  Alto livello di ansia relativa alla salute ed ai sintomi;

 Tempo ed energie eccessivi dedicati ai sintomi o a preoccupazioni riguardanti la salute;

C. Sebbene qualcuno dei sintomi potrebbe non essere presente continuamente, lo stato sintomatico è cronico (da almeno 6 mesi).

Specificare se:

Con dolore predominante: individui con sintomi somatici rappresentati prevalentemente

da dolore.

Persistente: un decorso persistente è caratterizzato da sintomi gravi, marcata

compromissione e lunga durata (più di sei mesi). Gravità attuale:

Lieve (uno dei sintomi del criterio B) Moderata (due o più sintomi del criterio B)

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Grave (due o più sintomi del criterio B oltre a molteplici sintomi somatici).

Di seguito uno schema riassuntivo delle differenze tra il DSM IV e il DSM 5 relativamente ai Disturbi da sintomi somatici e disturbi correlati:

Figura 2 – Differenze tra DSM-IV e DSM-5

Consapevolezza emotiva, somatizzazioni e teoria della mente negli adulti

La letteratura riporta che circa il 20% delle visite mediche è costituito da lamentele di tipo somatico, senza una causa organica (Steinbrecher et al, 2011). Per molti studiosi lo sviluppo dei sintomi somatici potrebbe essere legato ad una ridotta consapevolezza emotiva e ai deficit nella teoria della mente, di seguito verranno quindi brevemente riportati i dati presenti in letteratura.

Molti pazienti con sindromi somatiche funzionali come la fibromialgia o la sindrome dell’intestino irritabile hanno difficoltà a comprendere il collegamento che esiste tra i loro stati emozionali negativi esperiti e la comparsa dei sintomi somatici dolorosi. Gli studiosi riportano che questi pazienti non prendono in considerazione il ruolo che i fattori psicologici hanno nel contribuire ad incrementare i loro disturbi, rimanendo della

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convinzione che il loro problema sia esclusivamente a livello corporeo e rifiutando di riconoscere l’importanza sia della propria sfera emozionale sia degli interventi psicoterapeutici (Buton et al, 2009; Griffiths & Griffiths, 1994).

Gli studi presenti in letteratura negli ultimi anni hanno quindi indagato con maggiore interesse il legame che c’è tra i deficit della rappresentazione emozionale e la presenza di disturbi da sintomi somatici.

Ad esempio in un recente studio di Subic-Wrana e colleghi (2010) sono stati valutati i livelli di consapevolezza emotiva e la teoria della mente in un gruppo di 30 pazienti con disturbi somatoformi e in un gruppo di controlli sani, bilanciati per età, genere e livello socio-culturale. Ai soggetti sono state somministrate la scala LEAS per adulti e il Frith- Happe'-Animations (AT), per valutare rispettivamente la consapevolezza emotiva e la teoria della mente ed è stata anche somministrata la Symptom Checklist-90-R (SCL- Derogatis, 1994), per la valutazione dei sintomi internalizzanti, tra cui ansia, depressione e somatizzazioni.

I risultati riportati mostrano che i pazienti con disturbi somatoformi hanno ottenuto punteggi significativamente più bassi alla LEAS, rispetto ai controlli sani. Inoltre sempre lo stesso gruppo di pazienti ha raggiunto livelli significativamente più bassi rispetto ai controlli sani al test delle animazioni di Frith e Happè, portando in luce un deficit al livello delle capacità della teoria della mente, specialmente affettiva. Un risultato simile è stato trovato anche da Zunhammer e dai suoi colleghi (2015) in pazienti con dolore somatoforme. Gli studiosi hanno applicato il paradigma delle animazioni di Frith- Happè e somministrato la LEAS a 30 pazienti con disturbi somatoformi e a 30 soggetti sani. I risultati suggeriscono che i pazienti con dolore cronico ottengono punteggi significativamente inferiori sia nel paradigma per la valutazione della ToM, sia alla LEAS (Zunhammer et al, 2015).

Potrebbe essere interessante a questo punto riportare i risultati di un recentissimo studio, che prende spunto dai disegni di ricerca già citati ma utilizza dei paradigmi sperimentali nuovi, sviluppati appositamente per valutare la ToM affettiva e cognitiva (Preis et al, 2017).

Gli sperimentatori hanno somministrato ad un gruppo di 50 soggetti sani, ma che hanno riportato alti o bassi livelli di sintomi somatici, due paradigmi separati, il primo per valutare la ToM affettiva, che misura la capacità di riconoscere le emozioni dalle espressioni facciali (ossia il riconoscimento delle emozioni, per approfondire si veda:

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Mier et al, 2010); il secondo paradigma valutava la ToM cognitiva, tramite lo strumento dei faux pax (paragrafo 2.4 del capitolo 2) in cui il soggetto doveva riconoscere il “passo falso” commesso dai protagonisti della storia.

Sono stati inoltre utilizzati: il questionario di competenza emotiva (ECQ), che valuta la capacità di riconoscere, esprimere e affrontare adeguatamente le emozioni; un test per la valutazione delle somatizzazioni (Symptoms List-SL), il PANAS , la TAS-26 per evidenziare le difficoltà ad identificare e descrivere i sentimenti propri e altrui e la presenza di un pensiero orientato verso l’esterno ed infine la Scala di Ansia e Depressione Ospedaliera (HADS), utilizzata per valutare l'ansia e la depressione nella settimana passata.

Provando a riassumere i risultati gli autori hanno affermato che grazie all’utilizzo dei paradigmi sperimentali separati per ToM affettiva (aToM) e cognitiva (cToM), i risultati indicano un deficit al livello della “aToM” nei partecipanti che avevano ottenuto un punteggio elevato per i sintomi somatici, evidenziando chiaramente la necessità di una ricerca futura che utilizzi paradigmi diversi per valutare le due componenti della ToM. Per quanto riguarda invece la consapevolezza emotiva, i soggetti sia con alto che con basso livello di somatizzazione non differivano nei livelli di consapevolezza emotiva, dopo aver controllato l'ansia e depressione, tramite la HADS.

Sembrerebbe infatti che ad una prima analisi i soggetti con alto livello di sintomi somatici riportino una minore consapevolezza emotiva del Sé, rispetto ai soggetti con pochi sintomi somatici e che quindi, la consapevolezza emotiva fosse fortemente correlata con i sintomi dell'ansia e della depressione. In realtà, esplorando in maniera più approfondita la relazione tra la consapevolezza emotiva, i sintomi somatici e la depressione/ansia è stato scoperto che i partecipanti con un elevato livello di somatizzazioni non differivano nella consapevolezza delle proprie emozioni, rispetto all’altro gruppo, quando vengono controllati i loro punteggi di depressione / ansia. Come gli stessi studiosi affermano, c’è ancora molto lavoro di ricerca da effettuare, poiché i risultati in letteratura sono ancora pochi e a volte contrastanti. Certo è che all’interno delle future ricerche, dovrebbero essere incluse sia l'ansia che la depressione, come variabili di controllo quando si indaga la consapevolezza emotiva. I risultati evidenziano la necessità di studi futuri che possano permettere di determinare se questi deficit rilevati a livello della consapevolezza emotiva, della teoria della mente ma in generale, i deficit che riguardano la sfera emozionale, contribuiscano all'etiologia del

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dolore somatoforme e se il trattamento di questi deficit all’interno degli interventi terapeutici, possa migliorare la terapia polimodale del dolore.