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Le basi neurobiologiche della Teoria della Mente

PARTE 1: Revisione della Letteratura

2. La Teoria della Mente e le sue applicazioni

2.5 Le basi neurobiologiche della Teoria della Mente

Un argomento molto interessante e utile ai fini di una maggiore comprensione della complessità del costrutto è lo studio dei correlati neurobiologici, delle aree anatomiche e dei meccanismi neuronali alla base della teoria della mente.

Come già discusso, questo costrutto in definitiva contiene due diverse sotto-componenti che possono essere danneggiate in maniera selettiva: una è la componente cognitiva, intesa come la capacità di comprendere le intenzioni, desideri e credenze altrui; mentre la seconda è la componente affettiva, ossia l’abilità di inferire le emozioni altrui. Alla luce di questa divisione le regioni interessate sono diverse tra loro e correlate diversamente alle varie componenti, di conseguenza gli studi hanno riscontrato come la corteccia prefrontale dorsolaterale (emisfero destro in prevalenza) sia responsabile del controllo dell’aspetto cognitivo, mentre la corteccia orbitofrontale abbia un ruolo maggiore nell’aspetto affettivo (Vallar & Papagno, 2011).

Gli studi condotti finora sono stati effettuati per la maggior parte da soggetti adulti sia normali che clinici, attraverso tecniche quali l’elettro-encefalografia (EEG), la stimolazione magnetica transcranica (TMS), la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e tecniche psicofisiologiche come l’attività elettrodermica e le misurazioni cardiovascolari (Saxe & Baron-Cohen, 2006).

Varie ricerche hanno studiato l’attivazione delle regioni cerebrali durante compiti e test per valutare la teoria della mente su pazienti con danni cerebrali (specialmente nell’emisfero destro) o afasici o soggetti con diagnosi di ASD. Ad esempio gli studi tramite l’utilizzo della PET durante i compiti di falsa credenza hanno rilevato un’attivazione del sistema linguistico, nello specifico delle strutture dei lobi temporali bilaterali e delle aree linguistiche legate alle abilità grammaticali (Brunet et al, 2000, 2003). Uno studio di Rizzolati e Gallese (2001) con la tecnica fMRI ha messo in luce l’attivazione dell’area di Broca e dei neuroni specchio, ossia un gruppo di neuroni con proprietà motorie e visive, originariamente identificati nell’area F5 nella corteccia premotoria del macaco. Gli studi hanno rilevato il fatto che questi neuroni non codificavano per movimenti singoli, ma per atti motori, movimenti coordinati per un fine specifico. La particolarità che emerse dagli studi fu che questi neuroni non si attivavano esclusivamente quando le scimmie muovevano la propria bocca o il proprio arto, ma anche quando vedevano un altro individuo, sia uomo che scimmia, compiere

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lo stesso atto. Questo è il motivo per cui vennero chiamati “neuroni specchio”, poiché permettono la codifica di un atto visto in termini di atto motorio, costituendo il meccanismo alla base della “comprensione pragmatica” delle azioni e delle esperienze altrui e che oggi, grazie ai numerosi studi effettuati, sono ritenuti necessari per la costruzione dell’abilità di metacognizione, per l’empatia e per l’apprendimento imitativo (Gallese, 2003,2006; Rizzolati et al, 1998; Rizzolati & Sinigallia, 2010; Ciaramella, 2015) .

Proprio grazie agli studi della relazione tra teoria della mente e disordini dello spettro autistico, tramite fMRI, che oggi gli studiosi sono portati ad affermare come una disfunzione precoce dei neuroni specchio, associata ad una ridotta attività cerebrale nelle aree deputate alla comprensione degli stati mentali altrui, come ad esempio la corteccia prefrontale mediale, i già citati poli temporali e il solco temporale superiore, potrebbe essere alla base dei comportamenti sociali deficitari tipici dei soggetti autistici (Dapretto et al, 2006).

Per quanto riguarda invece il dominio delle funzioni esecutive, gli studi sono stati effettuati tramite fMRI, che ha permesso la rilevazione delle zone cerebrali attive durante la somministrazione di compiti di falsa credenza (Sempio, Marchetti & Lecciso, 2005). La corretta risoluzione di tali compiti, come già accennato, prevede la messa in atto di strategie di problem solving ed è quindi fortemente dipendente anche dalle funzioni esecutive. Il funzionamento esecutivo coinvolge una serie di abilità, come il controllo inibitorio, la flessibilità mentale, la capacità di pianificazione, il controllo volontario dell’attenzione, veicolate dai lobi prefrontali. La letteratura riporta una correlazione tra risoluzione del compito ed attivazione delle le aree frontali e prefrontali delle funzioni esecutive in soggetti normali, mentre in campioni clinici emerge invece una dissociazione (Vallar & Papagno, 2010).

Un risultato interessante sembra essere quello che sottolinea il ruolo dell’amigdala nell’interpretazione degli stati mentali altrui. Studi su soggetti con ASD hanno portato in luce come anomalie corticali e sottocorticali, specialmente nel funzionamento dell’amigdala sembrano essere correlate ai deficit di lettura della mente (Happè et al, 1996; Baron-Cohen, 2000; Morris & Frith, 1998). E’ interessante notare come la disfunzione a carico dell’amigdala si presenti anche nei parenti di primo grado dei bambini con diagnosi di autismo, ciò è molto importante al fine di individuale i geni alla base della patologia e delineare i circuiti neurali che sono associati, permettendo di

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definire ciò che gli autori chiamano “fenotipi”, in cui è stata trovata un’associazione tra alterati funzionamenti di determinate regioni cerebrali come l’amigdala e le risposte date ai compiti di natura sociale (Losh et al, 2009). Gli studi finora effettuati affermano che l’amigdala non è la sola struttura ad essere implicata nella ricognizione del comportamento sociale, legato alle emozioni e alla capacità di mentalizzazione, ma sembra essere coinvolta anche la corteccia orbitofrontale, la parieto- temporale destra e la giunzione temporo-parietale (Siegal & Varley, 2002; Saxe & Wexler, 2005).

Per concludere la rete neurale che costituirebbe la Teoria della Mente sembrerebbe coinvolgere in definitiva strutture corticali come: i poli temporali, le giunzioni parieto- occipitali, le cortecce prefontali, fronto-orbitali e fronto-mediali, nonché strutture sottocorticali come amigdala, ippocampo, i gangli della base e il cervelletto (Vallar & Papagno, 2011). Non bisogna trascurare le difficoltà metodologiche delle tecniche di “brain imaging” e soprattutto il rischio sempre presente della tendenza a generalizzare, cercando un’unica area a cui associare diverse abilità, ma anche la tendenza a cadere troppo sulla specificità e sul particolare, che potrebbero far perdere la visione di insieme e di rete neurale. Per il futuro saranno necessari approfondimenti per indagare la capacità di metacognizione su popolazioni più giovani o più anziane, per permettere di ricavare un profilo o uno stile di mentalizzazione legato all’età, al sesso e al livello socio- culturale (Sempio, Marchetti & Lecciso, 2005).

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PARTE 2: Ricerca Sperimentale