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Licenziamento individuale illegittimo: l'evoluzione normativa della tutela dagli anni '60, alla svolta del Job Act sino alle correzioni della disciplina odierna.

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea in Consulenza Professionale alle Aziende

«Licenziamento Individuale Illegittimo: L’evoluzione

normativa della tutela dagli anni ‘60, alla svolta del Job Act

sino alle correzioni della disciplina odierna»

Relatore Candidata

Michele Mariani Giulia Tarchiani

Anno Accademico 2019/2020

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RIASSUNTO

Il licenziamento è l’atto unilaterale di recessione dal contratto di lavoro promosso dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore con il fine di cessare il rapporto. Per essere legittimo deve essere sorretto da una giusta causa o da un giustificato motivo e pertanto risulta illegittimo in mancanza di quanto sopra. Ove risulti illegittimo la legge interviene a tutela del lavoratore e con il contestuale scopo di punire il datore di lavoro. Dagli anni Sessanta ad oggi si sono susseguite numerose leggi che hanno: introdotto la tutela nei confronti del lavoratore, come le due leggi alla base della disciplina ovvero la legge n.604/1966 per i datori di lavoro di piccole dimensioni e la legge n.300/1970, il cosiddetto “Statuto dei Lavoratori”, per i datori di medio e grandi dimensioni; rivisto e modificato la tutela come le leggi n.108/2010 e la legge 92/2012 meglio conosciuta come “Riforma Fornero”; infine, ridotto la tutela come il discusso “Job Act” con il d.lgs. 23/2015 ben presto corretto dalla Corte Costituzionale stessa con la sentenza n.194/2018. Tutte le leggi sopra citate, ad esclusione del d.lgs. 23/2015, hanno sempre previsto, nelle varie sfaccettature e nelle differenze di trattamento economico stabilite per i lavoratori assunti in piccole realtà e quelli assunti in medio-grandi realtà, una tutela basata sulla reintegra nel posto di lavoro affiancata da un’indennità risarcitoria compresa tra un range di un minimo ed un massimo senza fornire un mai un quadro esatto dell’importo spettante, rimesso alla decisione discrezionale del giudice. A risoluzione di questa incertezza del quantum è intervenuto il d.lgs.23/2015, applicato ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, che non solo ha cancellato la possibilità di reintegra ma ha anche fornito un sistema di calcolo matematico preciso, “due mensilità per ogni anno di servizio”, sempre all’interno di un range tra minimo e

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massimo, in grado di fornire a monte la conoscenza dell’indennità risarcitoria da erogare al lavoratore. Ma la prevedibilità ex ante del costo di un licenziamento (eventualmente) illegittimo – ovviamente gradita a qualunque imprenditore, sempre interessato a prevedere i propri costi - è durata ben poco poiché solo 3 anni dopo, con la sentenza n.194/2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il sistema di calcolo, abrogandolo, e riportando la decisione nelle mani del giudice. Certo che la disciplina ad oggi è mutata rispetto a quella che l’ha preceduta con la contemporanea coesistenza di leggi diverse per realtà diverse anche se, paradossalmente, con situazioni analoghe e continua a presentare forti lacune e disparità di trattamento tra lavoratori che porta a constatare che l’evoluzione normativa non può ritenersi conclusa.

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Indice

INTRODUZIONE ... 5

Capitolo I: DEFINIZIONE ED EVOLUZIONE NORMATIVA DEL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE ILLEGITTIMO DAGLI ANNI ’60 ALLA RIFORMA FORNERO ... 7

Definizione di licenziamento e quando è considerato “Illegittimo” ... 7

Distinzione del licenziamento illegittimo dal licenziamento illecito e discriminatorio ... 11 Legge 15 Luglio 1966, n.604 ... 13 Legge 20 maggio 1970, n.300 ... 16 Legge 11 maggio 1990, n.108 ... 19 Legge 4 novembre 2010, n.183 ... 24 Legge 28 giugno 2012, n.92 ... 27

Capitolo II: DECRETO LEGISLATIVO 4 MARZO 2015, N.23 ... 42

Breve riassunto sulla disciplina precedente ... 42

Decreto Legislativo n.23 del 2015 ... 43

L’Offerta di Conciliazione, art.6 d.lsg.23/2015 ... 65

Capitolo III: LA DISCIPLINA ODIERNA ... 84

Decreto-legge n.87 del 2018 cosiddetto “Decreto Dignità” ... 84

L’articolo 3, comma 1, del d.lgs.23/2015 e la sentenza n.194/2018 della Corte Costituzionale ... 88

L’articolo 6 del d.lgs.23/2015 ... 102

Conclusioni ... 104

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato tratta l’evoluzione normativa che la disciplina del licenziamento illegittimo individuale ha subito a partire dagli anni Sessanta, con la Legge 604/1966 fino a giungere alle odierne disposizioni normative del 2015, con il Job Act, del 2018 con il Decreto Dignità e la sentenza n.194 della Corte Costituzionale.

La motivazione portante della scelta di approfondire la tematica di cui sopra è legata al desiderio di apprendere la storia evolutiva della disciplina e l’attuale disposizione normativa relativa al licenziamento individuale illegittimo sia per fini di conoscenza personale, in prospettiva di una possibile futura necessità di avvalermene, che, attualmente, per uso nell’ambito lavorativo in cui sono impiegata, in quanto l’esigenza di fare chiarezza e di conoscere a pieno la norma è basilare per una corretta, puntuale e precisa consulenza, in particolare nel campo del diritto del lavoro.

L’obiettivo, pertanto, è proprio quello di fornire un quadro completo della disciplina vigente in modo da poter estrapolare la corretta consulenza da fornire, con l’eventuale ausilio di un legale o di altro organo preposto, a seconda del possibile caso di licenziamento illegittimo che si dovesse presentare da gestire.

La tesi è articolata in 3 capitoli: nel primo capito è riportata l’evoluzione normativa della disciplina del licenziamento illegittimo individuale a partire dagli anni Sessanta sino alla Riforma Fornero del 2012 con evidenze su similitudini, modifiche, novità introdotte nonché mancanze, relative alle leggi che si sono susseguite. Il secondo capito è finalizzato all’esposizione ed approfondimento del Decreto

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Legislativo 23/2015 con particolare analisi delle importanti novità introdotte sottolineando gli aspetti positivi e negativi e le influenze che quest’ultimo ha avuto sulle altre leggi in vigore. Il terzo capitolo porta l’attenzione alle modifiche subite dal Decreto Legislativo 23/2015 con evidenza delle motivazioni addotte ed al fine di avere una visione completa della disciplina attualmente in vigore.

Attraverso questo lavoro di ricostruzione ed analisi della storia della disciplina del licenziamento illegittimo nel nostro ordinamento sino a giungere ai giorni nostri è stato possibile non solo fare chiarezza sulla normativa vigente, ma anche portare alla luce tutte le carenze ancora presenti.

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Capitolo I: DEFINIZIONE ED EVOLUZIONE NORMATIVA DEL

LICENZIAMENTO INDIVIDUALE ILLEGITTIMO DAGLI ANNI ’60

ALLA RIFORMA FORNERO

Definizione di licenziamento e quando è considerato “Illegittimo”

Il licenziamento è l’atto con il quale il soggetto denominato “datore di lavoro” recede unilateralmente dal contratto di lavoro stipulato con il soggetto denominato “lavoratore dipendente” interrompendo il rapporto lavorativo con conseguente allontanamento di quest’ultimo dal luogo di lavoro. La disciplina del licenziamento si applica ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato ma vi sono casi specifici, seppur residuali, in cui è applicata anche ai rapporti di lavoro a tempo determinato.

All’indomani del secondo dopoguerra, ai sensi dell’articolo 21181 del Codice civile, l’ordinamento permetteva

al datore di lavoro di sciogliere il legame contrattuale di lavoro subordinato attraverso una semplice manifestazione di volontà unilaterale2 e tale possibilità di recesso3 era

simmetricamente prevista anche per il lavoratore dipendente; la motivazione, pertanto, non incideva in alcun modo sulla

1Art. 2118 c.c.: Comma 1 “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità” (la cosiddetta “libera recedibilità”). Comma 2 “In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a

un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso”. Comma 3 “La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte

del prestatore di lavoro”.

2 Marinelli F., 2017, Il Licenziamento Discriminatorio e per Motivo Illecito, Giuffrè Editore S.p.A.,

Milano, p. n. 22.

3 Marinelli F., 2017, op.cit., p. n. 23,24,25,26:<< La dottrina più attenta finì già da allora per rilevare

come il recesso dovesse essere riguardato, da un lato – proprio in quanto facoltà concessa a ciascuna parte indipendentemente dalla volontà dell’altra – come esercizio di un diritto potestativo (ossia come <<potere di incidere sull’altrui sfera giuridica [provocando l’estinzione del rapporto] mediante atto unilaterale>>; dall’altro, - proprio in virtù della centralità del volere dell’agente nella risoluzione del rapporto – come negozio (ossia come atto per il quale <<l’effetto giuridico non è dal diritto ricollegato, come per l’atto giuridico in generale, alla mera volontarietà del comportamento, [quanto, piuttosto…alla] “volontà degli effetti”>>). Si affermava, infatti, che, mentre, il diritto potestativo caratterizza la natura del potere di recesso, il negozio qualifica la natura dell’atto che ne costituisce esercizio. Dunque, il recesso datoriale ex art.2118 c.c. cominciò ad essere considerato: in quanto diritto potestativo, come situazione slegata da qualunque fatto costitutivo che ne facesse sorgere la titolarità, se non l’esistenza di un contratto di lavoro; e, in quanto negozio, come atto

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validità dell’atto, risultando utile ai soli fini del riconoscimento del diritto al preavviso.4 Dunque, tale libertà di licenziamento,

cosiddetto “ad nutum”5, non era altro che l’“applicazione

nell’ambito del rapporto di lavoro della libertà dell’organizzazione dell’impresa che l’ordinamento giuridico riconosce in capo all’imprenditore”6 e, conseguentemente,

legislativamente prevista. Successivamente, a fronte delle numerose evoluzioni normative che si sono susseguite volte allo sviluppo di una maggiore tutela per il lavoratore dipendente, il legislatore ha imposto forti e sostanziali limitazioni al potere di recesso datoriale che ora può essere esercitato ad nutum solo in casi specifici7. Difatti la vigente

normativa, ad esclusione dei casi particolari, prevede che il datore di lavoro possa avvalersi della disciplina del licenziamento solo per cause ben definite dalla legge al di fuori delle quali il licenziamento diviene illegittimo8.

È importante sottolineare la sostanziale distinzione che l’opinione dottrinale maggioritaria9 attua all’interno della

categoria del recesso10 ovvero, la fattispecie ordinaria,

prevista dall’articolo 2118 cod. civ., e la fattispecie straordinaria, alla quale si riportano i licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo, oltre alle dimissioni per giusta causa. Per meglio comprendere tale distinzione è necessario precisare che l’elemento unificante tra le due forme è la “causa

4 Biasi M., 2017, Saggio sul Licenziamento per Motivo Illecito, Wolters Kluwer Italia S.r.l, Milanofiori

Assago, p.n.15,16.

5 Ad Nutum: relativamente al licenziamento ed alle dimissioni significa senza comunicazione per

iscritto ed in particolare senza fornire alcuna motivazione - giustificazione, ma con l'unico vincolo del preavviso, in mancanza del quale subentra l’indennità sostitutiva. Vietato solo il licenziamento per motivo illecito o per discriminazione.

6 Cass. 24 luglio 1951, in DL, 1951, II, p. n. 338.

7 È ancora applicabile per i lavoratori domestici, coloro che hanno raggiunto l'età pensionabile,

lavoratori assunti in prova, apprendisti (al termine dell'apprendistato), dirigenti.

8 Definizione di “illegittimo”: parzialmente o totalmente privo delle qualità o delle condizioni richieste

dalla legge per il riconoscimento o il conferimento della validità giuridica.

9 Per dottrina si intende, in campo giuridico, l'insieme del sapere (corpus di conoscenze) e della

speculazione teorica proveniente dagli studiosi del diritto ovvero quale attività di studio scientifico ed elaborazione intellettuale del diritto. Invece la giurisprudenza (termine derivante dalla lingua latina

iurisprudentia, deriv. di iurisprudens, cioè prudens iuris: esperto del diritto, o scienze giuridiche) è la scienza

che studia il diritto e la sua interpretazione. In senso più ristretto e tecnico, il termine indica l'insieme delle sentenze e delle decisioni attraverso cui gli organi giudicanti di uno Stato interpretano le leggi applicandole ai casi concreti che si presentano loro.

10 Mazzotta O., 2005, Il Recesso – La giustificazione del Licenziamento – La Tutela Reale, Dott.

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– funzione” che consiste nella liberazione del recedente dal vincolo contrattuale mentre la differenza è data dalla “causa - scopo” che nel recesso ordinario è data dall’estinzione del rapporto a garanzia della temporaneità del vincolo obbligatorio, mentre in quello straordinario è data dalla risoluzione del contratto dinanzi all’avverarsi di eventi tali da impedirne il regolare sviluppo fino al momento che ne segnerebbe la fine naturale11.

La legge 15 luglio 1966, n. 604 “Norme sui licenziamenti individuali”, base primaria e fondamentale per l’evoluzione normativa in tema di licenziamento relativamente ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato, all’articolo 1 enuncia quanto segue: “Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’articolo 211912 del Codice civile

o per giustificato motivo13” ed è, sempre per la dottrina

maggioritaria, una chiara espressione della fattispecie straordinaria e di come questa sia divenuta, anche per mezzo di susseguenti interventi legislativi sul tema, vedi tra tutti la legge 180/1990, certamente prevalente, quasi sostitutiva, rispetto a quella ordinaria, ormai residuale rispetto al passato14.

Le “cause” tipiche del licenziamento indicate all’articolo 1 della legge 604/1966 sono sostanzialmente da ricondursi a due motivazioni ovvero ragioni aziendali e ragioni disciplinari;

11 Mazzottini F., 1982, Il Licenziamento Illegittimo, Liguori Editore s.r.l., Napoli, p.n.11 e 12. 12 Art. 2119 c.c.: Comma 1 “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente”. Comma 2 “Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda”.

13 Ai sensi dell’articolo 3 della Legge 604 del 1966. 14 Mazzotta O., 2005, op.cit., p. n.19

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le prime sono legale alla crisi del settore, all’esternalizzazione delle mansioni, alla riorganizzazione dell’attività anche per finalità di incremento della redditività d’impresa, alla riduzione dei posti di lavoro ed altre simili ed in questo caso si parla di licenziamento per giustificato motivo oggettivo che prevede il preavviso15 ed i quali elementi centrali per la valutazione

giudiziale sono tre: una ragione economica reale e genuina, un nesso causale che giustifichi la connessione tra esigenza e posto ricoperto dal dipendente, una (ragionevole) impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti16;

mentre le seconde sono strettamente inerenti al comportamento disciplinare del dipendente ed in questo caso si parla o di licenziamento per giusta causa ovvero un licenziamento in tronco senza preavviso che ricorre nelle ipotesi più gravi, per gli illeciti che interrompono definitivamente ogni fiducia nel lavoratore impedendo la prosecuzione del rapporto anche per un solo giorno (violazione del patto di non concorrenza, assenza del lavoratore in seguito ad una visita medica fiscale, sottrazione di beni all'azienda, falso infortunio e falsa malattia comune e di rifiuto ingiustificato del lavoratore ad eseguire la propria prestazione), oppure di licenziamento per giustificato motivo soggettivo ove è previsto il preavviso e che ricorre nelle ipotesi meno gravi ma pur sempre sufficientemente serie da giustificare il recesso del datore (insubordinazione del dipendente verso i superiori; assenza ingiustificata prolungata per oltre quattro giorni consecutivi; dar luogo ad una rissa

15 Il preavviso di licenziamento è il lasso di tempo che intercorre tra la comunicazione del licenziamento

e l’ultimo giorno di lavoro in azienda. Questo periodo va comunicato dal datore di lavoro direttamente nella lettera di licenziamento. Durante il preavviso il rapporto di lavoro prosegue normalmente e permette al dipendente da un lato di percepire comunque la retribuzione e dall’altro attivarsi per cercare un’altra occupazione. Il preavviso si applica solo ai rapporti a tempo indeterminato e la durata minima è stabilita dai contratti collettivi e generalmente varia a seconda del livello e dell’anzianità aziendale del licenziato. L’azienda può anche decidere, con il consenso o meno del lavoratore, di non concedere alcun periodo di preavviso. In questo caso è tenuta a corrispondere un’indennità sostitutiva pari all’ammontare della retribuzione cui il dipendente avrebbe avuto diritto se il preavviso fosse stato lavorato (infra p. n. 2 nota 1).

16 Varva S., 2015, Il Licenziamento Economico – pretese del legislatore e tecnica del giudizio, G.

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all’interno degli spazi aziendali ed altre eventuali previste dal contratto collettivo nazionale di categoria).

Tutto il resto, che esula da quanto sopra, risulta pertanto “ingiustificato” ed è da ritenersi illegittimo. Difatti la definizione di “licenziamento ingiustificato” è ricavabile agilmente interpretando per difetto l’art.2119, comma 1 C.c. e l’art.3 legge 604/1966 in combinato disposto con l’art.1 della stessa legge 604. Se le disposizioni in parola qualificano come giustificato il recesso datoriale sorretto da una giusta causa o da un giustificato motivo, è evidente che, al contrario, sarà da ritenere ingiustificato il recesso datoriale che sia di ciò privo. Ne consegue che, in base all’interpretazione consolidata delle norme in parola, nel nostro ordinamento il licenziamento è da ritenere ingiustificato tutte le volte in cui non sia motivato né da una giusta causa in grado di alterare la fiducia – da intendere in senso oggettivo – del datore di lavoro nell’adempimento della prestazione da parte del prestatore di lavoro; né da un notevole inadempimento del lavoratore; né, infine, da una ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro o il suo regolare funzionamento.

Distinzione del licenziamento illegittimo dal licenziamento illecito e discriminatorio

Molto importante è comprendere la distinzione tra il licenziamento illegittimo e le figure del licenziamento per motivo illecito e del licenziamento discriminatorio. Brevemente, il licenziamento per motivo illecito, che deriva dall’art.1345 del C.c.17, è quel recesso datoriale in cui

17 Art. 1345 c.c.: “Il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe”.

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l’interesse perseguito dal datore di lavoro, in modo determinante ed esclusivo, risulta contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume o in frode alla legge (classico esempio è il licenziamento “per rappresaglia” ovvero “ritorsivo” o “vendicativo”, inteso quale arbitraria reazione nei confronti di comportamenti legittimi del lavoratore, tipicamente consistenti in rivendicazioni retributive o comunque aventi origine nel rapporto di lavoro, se non, più in generale, in risposta a condotte risultate sgradite al datore di lavoro); mentre il licenziamento discriminatorio, figura che è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art.4 legge 604/1966 per essere poi ribadita dall’art.15 dello Statuto dei Lavoratori e trovare infine esplicita definizione nell’art.3 legge 108/1990, è, per definizione, “determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali […] indipendentemente dalla motivazione adottata” (art.4 legge 604/1966) o irrogato al lavoratore “a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero o […] diretto a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età e basato sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali” (art.15 St. lav.) o disposto nei periodi di irrecedibilità, ai sensi dell’articolo 211018 del Codice Civile, nei

confronti della lavoratrice incinta o durante la malattia, entro il periodo di comporto ed anche oltre, se quest’ultima è stata generata da un ambiente lavorativo insalubre o si tratta di infortunio sul lavoro determinato dalla mancata adozione delle

18 Art. 2110 C.c.: Comma 1 “In caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge o le norme corporative non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità”. Comma 2 “Nei casi indicati nel comma precedente,

l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità”. Comma 3 “Il periodo di assenza dal lavoro per una delle

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misure di sicurezza per cui, in quest’ultimo caso, il licenziamento è definito nullo19.

Legge 15 Luglio 1966, n.60420

Analizzando l’evoluzione storica delle norme sul Licenziamento Individuale dobbiamo soffermarci sul processo di riequilibrio economico-sociale esploso a partire dalla seconda metà dagli anni ’6021. Questo periodo ed anche

quello subito antecedente, sono stati caratterizzati sia dall’emanazione di leggi importanti a tutela del lavoro subordinato quale, tra tutte, la Legge 9 gennaio 1963, n. 7 che sanciva, tra le altre cose, la nullità dei licenziamenti attuati a causa di matrimonio, sia da molti altri fattori contingenti, quali le preoccupanti condizioni di lavoro nelle fabbriche, i numerosi progetti della CGIL al fine di abrogare il principio di insindacabilità22 del licenziamento, il varo della legge di ratifica

ed esecuzione della convenzione OIL23 n.111 del 1958 sul

divieto di discriminazione in materia di impiego e nelle professioni, nonché l’emanazione della raccomandazione OIL n.119 del 1963 specificatamente incentrata sul recesso datoriale ed infine il monito emesso dalla Corte Costituzionale italiana nella nota pronuncia 9 giugno 1965, n.45 (con cui la

19 Art. 1418 C.c.: Comma 1 “Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative (l'ordinamento

utilizza questa espressione per indicare le norme che, per la loro importanza, non possono essere derogate dalle parti. Di regola, infatti, queste possono escludere l'applicazione di norme generali al loro specifico rapporto: non possono, però, farlo se tali norme sono state previste come inderogabili dal legislatore. La contrarietà a norme imperative determina l'illiceità di un negozio giuridico), salvo che la legge disponga

diversamente”. Comma 2 “Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo

1325, l'illiceità della causa [1343], l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346”. Comma 3 “Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge [458, 778, 785, 788, 794, 1350, 1354, 1355, 1472, 1895, 1904, 1963, 1972, 2103, 2115, 2265, 2744].

20 “Norme sui licenziamenti individuali” pubblicata nella G.U. n. 195 del 6 agosto 1966

21 Governo di centro-sinistra (IV legislatura, Moro III – dal 24 febbraio 1966 al 25 giugno 1968) basato

su una formula di collaborazione tra la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano e i due partiti laici minori socialdemocratici del Psdi e repubblicani del Pri.

22 Validità definitiva e categorica di una prassi amministrativa, di un giudizio o di una decisione. Che

non può essere contestato per cui è inappellabile, indiscutibile.

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Consulta, pur escludendo la tesi della abrogazione implicita del principio del recesso ad nutum di cui all’art. 2118 c.c., optò per espungerlo dai valori dell’ordinamento richiedendo, anzi, un intervento del legislatore al fine di circondare il recesso datoriale di “doverose garanzie […] particolarmente per quanto riguarda i principi fondamentali di libertà sindacale, politica e religiosa”)24, che indussero il primo partito di

Governo, la Democrazia Cristiana, a presentare un disegno di legge ad hoc che sfociò nell’emanazione della Legge 15 luglio 1966, n.604 “Norme sui licenziamenti individuali” pubblicata nella G.U. n. 195 del 6 agosto 196625 che segnò il definitivo

tramonto del principio di insindacabilità dell’atto di licenziamento ed introdusse il divieto di licenziamento discriminatorio26. Difatti essa normava per la prima volta che,

nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, il licenziamento del prestatore di lavoro non poteva avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 del Codice Civile o per giustificato motivo27 e che la comunicazione doveva avvenire per iscritto28

rendendo inefficace il licenziamento intimato senza l’osservanza di quanto sopra29. Essa disponeva ancora che

era nullo, indipendentemente dalla motivazione, il licenziamento intimato per ragioni di credo politico, fede religiosa, appartenenza ad un sindacato e partecipazioni ad attività sindacali30. Inoltre, l’onere della prova della

sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spettava al datore di lavoro31 e che vi era la

possibilità d’impugnazione del licenziamento entro 60 giorni dalla comunicazione32 nonché la possibilità per il prestatore di

lavoro che non poteva avvalersi delle procedure previste dai

24 Marinelli F., 2017, op.cit., p. n. 44,45,46.

25 Del Punta R., 2015, Diritto del Lavoro, Giuffrè Editore, S.p.A. Milano, p. n.69

26 Va precisato che la specifica dicitura “licenziamento discriminatorio” è stata introdotta nel nostro

ordinamento solo con il varo dell’art.3 Legge 108/1990 rubricato proprio “Licenziamento discriminatorio”.

27 Legge 15 luglio 1966, n.604, art.1 – Gazzetta Ufficiale

28 Legge 15 luglio 1966, n.604, art.2 comma 1 – Gazzetta Ufficiale 29 Legge 15 luglio 1966, n.604, art.2 comma 3 – Gazzetta Ufficiale 30 Legge 15 luglio 1966, n.604, art. 4 – Gazzetta Ufficiale 31 Legge 15 luglio 1966, n.604, art.5 – Gazzetta Ufficiale 32 Legge 15 luglio 1966, n.604, art.6 – Gazzetta Ufficiale

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contratti collettivi o dagli accordi sindacali, di promuovere, entro determinati limiti temporali, il tentativo di conciliazione33.

Di grande importanza anche la disposizione all’art.8 che prevedeva, nel caso in cui non ricorressero gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, che il datore di lavoro fosse tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, di risarcire il danno versando una indennità da un minimo di cinque ad un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione (intesa quella presa a base della determinazione dell’indennità di anzianità), avuto riguardo alla dimensione dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore ed al comportamento delle parti34. Si evince, pertanto, come ci fosse una totale

incertezza della quantificazione del risarcimento del danno poiché la legge disponeva un range tra un minimo ed un massimo in base a molteplici fattori, con un divario notevole “minimo di cinque ed un massimo di dodici mensilità”, il che rendeva estremamente difficile e poco chiaro, in specie per il datore di lavoro, stabilire a monte il costo del licenziamento nel caso in cui fosse stato dichiarato dal giudice come ingiustificato. Dobbiamo comunque ricordare che quanto sopra, con tutte le sue complessità interpretative ed in particolare quantificative, non si applicava ai datori di lavoro che occupavano fino a trentacinque dipendenti e nei riguardi dei prestatori di lavoro che fossero in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia o che avessero comunque superato il 65° anno di età, fatte salve le disposizioni degli articoli 4 e 935.

La Legge luglio del 1966, n.604 è, come anticipato, alla base dell’evoluzione normativa sulla disciplina del Licenziamento Individuale tanto che successivamente ha

33 Legge 15 luglio 1966, n.604, art.7 comma 1 – Gazzetta Ufficiale 34 Legge 15 luglio 1966, n.604, art.8 comma 1 – Gazzetta Ufficiale 35 Legge 15 luglio 1966, n .604, art.11 comma 1 - Gazzetta Ufficiale

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subito molteplici modifiche ed integrazioni: dalla Legge 20 maggio del 1970, n.30036 “Norme sulla tutela della libertà dei

lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” pubblicata nella G.U. n.131 del 27 maggio 1970; della Legge 11 maggio 1990, n.10837 “Disciplina dei licenziamenti individuale” pubblicata

nella G.U. n.108 del 11 maggio 1990; dalla Legge 4 novembre del 2010, n.18338, cosiddetto Collegato Lavoro, pubblicata

nella G.U. n.262 del 9 novembre 2010 “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”; dalla Legge 28 giugno 2012, n.9239, seconda Riforma Fornero, pubblicata nella G.U

n.153 del 3 maggio 2012 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”.

Legge 20 maggio 1970, n.30040

La Legge 20 maggio 197041, n.300 meglio conosciuta

come “Statuto dei Diritti dei Lavoratori” ha fortemente modificato, in senso rafforzativo della protezione del lavoratore illegittimamente licenziato, la Legge n.604/1966. Si è difatti realizzato il salto qualitativo dalla “tutela obbligatoria” alla “tutela reale” anche se il campo di applicazione non

36 Del Punta R., 2015, op.cit., p. n.70 37 Del Punta R., 2015, op.cit., p. n.75 38 Del Punta R., 2015, op.cit., p. n.91 39 Del Punta R., 2015, op.cit., p. n.94

40 “Norme sulla tutela della libertà dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei

luoghi di lavoro e norme sul collocamento” pubblicata nella G.U n.131 del 27 maggio 1970.

41 Governo di centro-sinistra (V legislatura, Rumor III – dal 28 marzo 1970 al 6 agosto 1970) composto

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risultava essere generalizzato ma legato non più alla dimensione dell’impresa intesa nel suo complesso, bensì alla dimensione della singola dell’unità produttiva, attorno alla quale, del resto, era costruita l’architettura della nuova legge sindacale42. L’articolo emblema di tale modifica è l’articolo 18

(titolato “Reintegrazione nel posto di lavoro”) del quale si riporta un estratto significativo per questa trattazione “Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 743

della Legge 15 luglio 1966, n.604, il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’articolo 244 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato

senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l'invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all'art. 212145 del codice

civile. Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto di

42 Biasi M., 2017, op.cit., p. n. 45.

43 Art.7: comma 1” Quando il prestatore di lavoro non possa avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi o dagli accordi sindacali, può promuovere, entro venti giorni dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento, il tentativo di conciliazione presso l’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione.

Comma 2 “Le parti possono farsi assistere dalle associazioni sindacali a cui sono iscritte o alle quali

conferiscono mandato. Comma 3 “il relativo verbale di conciliazione, in copia autenticata dal direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, acquista forza di titolo esecutivo con decreto, del pretore. Comma 4 “Il termine di cui al primo comma dell’articolo precedente è sospeso dal giorno della richiesta all’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione fino alla data ella comunicazione del deposito in cancelleria del decreto del pretore, di cui al comma precedente o, nel caso di fallimento, del tentativo di conciliazione, fino alla data del relativo verbale. Comma 5 In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione di cui al primo comma le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale”.

44 Art.2: comma 1 “L’imprenditore deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.

Comma 2 “Il prestatore di lavoro, può chiedere, entro otto giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno

determinato il recesso: in tal caso l’imprenditore deve, nei cinque giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto.

Comma 3 “Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai precedenti commi è

inefficace.”

45 Art. 2121 c.c.: Comma 1 “L’indennità di cui all’art.2118 deve calcolarsi computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese. Comma 2 “Se il prestatore di lavoro è retribuito in tutto o in parte con provvigioni, con premi di produzione o con partecipazioni, l’indennità suddetta è determinata sulla media deli emolumenti degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato. Comma 3 “Fa parte della retribuzione anche l’equivalente del vitto e dell’alloggio dovuto al prestatore di lavoro.”

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lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto […]”46. Questo articolo

tutelava i lavoratori dipendenti in caso di licenziamento illegittimo, ingiusto e discriminatorio47, disciplinando il

reintegro con un risarcimento e l’indennità in sostituzione della reintegrazione. La sua applicazione, come sottolineato inizialmente, era però limitata alle sedi, stabilimenti, filiali, uffici e reparti autonomi di un’azienda che occupavano più di 15 dipendenti per cui lasciava fuori le piccole realtà. Anche qui è chiara la totale mancanza di certezza quantitativa del risarcimento del danno poiché addirittura è stabilito un minimo garantito mentre il massimo è indefinito per cui non quantificabile a monte ed altrettanto incerto risulta essere l’importo complessivo delle retribuzioni da corrispondere relativamente al periodo intercorrente tra la sentenza e la reintegrazione nel posto di lavoro. Tale articolo, a sua volta, è stato successivamente modificato dalla Legge 11 maggio 1990, n.108 nonché dalla Legge 28 giugno 2012, n.92 per essere definitivamente superato il 29 agosto 2014 a seguito della promulgazione ed attuazione del Decreto Legislativo 23/2015 il cosiddetto “Job Act” con l’applicazione della disciplina del Contratto a Tutele Crescenti, rimanendo comunque in vigore per i soli rapporti istaurati prima del 7 marzo 2015.

46 Legge 15 maggio 1970, n.300, art. 18 commi 1,2,3 – Gazzetta Ufficiale.

47 Per un maggiore approfondimento, vedi anche Art. 15 Legge 20 maggio 1970, n. 300 rubricato

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Legge 11 maggio 1990, n.10848

La Legge 11 maggio 199049, n.108 è stata una delle

principali riforme della disciplina del licenziamento individuale poiché è intervenuta significativamente sia relativamente al contenuto ed all’applicazione della “tutela reale50”, art. 18

legge n.300/1970, sia della “tutela obbligatoria51”, art. 8 legge

n.604/1966, segnando così l’inizio di una nuova “stagione illuministica pro labor”52 . Il legislatore, difatti, estendeva a tutte

le imprese l’obbligo di giustificazione del licenziamento, mantenendo la differenziazione tra piccole e grandi realtà imprenditoriali sul mero piano rimediale, sempre salvi i casi di recedibilità ad nutum, da un lato, e di nullità del recesso dal lato opposto53. La Legge 11 maggio 1990, n.108 si compone

dei seguenti articoli: art.1 Reintegrazione, art.2 Riassunzione o risarcimento del danno, art.3 Licenziamento discriminatorio, art.4 Area di non applicazione, art.5 Tentativo obbligatorio di conciliazione, arbitrato e spese processuali, art.6 Abrogazioni54. Iniziando l’analisi dal primo articolo

(Reintegrazione) che fa capo alla tutela reale, sono evidenti le modifiche e le integrazioni che sono intervenute all’art.18 legge n.300/1970 poiché, difatti, l’art. 1 della Legge 11 maggio 1990 si apre enunciando quanto segue: “i primi due commi

48 “Disciplina dei licenziamenti individuali” pubblicata nella G.U. n.108 del 11 maggio 1990

49 Governo di centro – sinistra (X legislatura, Andreotti VI – dal 23 luglio 1989 al 13 aprile 1991)

composto dal partito della Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Repubblicano Italiano, Partito Socialdemocratico Italiano e Partito Liberale Italiano.

50 Tutela Reale: prevede, nel caso in cui il licenziamento sia decretato illegittimo, sia la ”reintegrazione”

nel posto di lavoro, per cui il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto e conseguentemente deve esserci anche il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti per il periodo compreso tra il licenziamento e il provvedimento di reintegra, sia il risarcimento del danno subito; se invece il lavoratore non vuole rientrare in azienda può scegliere di rinunciare alla reintegrazione e chiedere il pagamento di una indennità sostitutiva. È importante sottolineare che la scelta tra reintegrazione ed indennità sostitutiva spetta al lavoratore.

51 Tutela Obbligatoria: prevede, nel caso in cui il licenziamento sia decretato illegittimo, o la

"riassunzione" per cui il lavoratore cioè verrà assunto ex novo, sulla base di un nuovo contratto e conseguentemente viene azzerata la pregressa anzianità di servizio ed il datore non deve pagare né la retribuzione, né i contributi assistenziali e previdenziali per il periodo intercorrente tra licenziamento e riassunzione, o il pagamento di una indennità risarcitoria. È importante sottolineare che la scelta tra riassunzione o indennità risarcitoria spetta al datore di lavoro.

52 Carinci F., 1991, Diritto e lavoro – 1 - La Disciplina dei licenziamenti dopo le leggi 108/1990 e

223/1991, vol.1, Jovene Editore, Napoli, p. n. XXIII

53 Biasi M., 2017, op.cit., p. n. 52.

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dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n.300, sono sostituiti dai seguenti55 […]”. Tale intervento all’art.18 non è

una vera e propria integrale “sostituzione” ma, come precedentemente sottolineato, è un connubio di integrazioni e modifiche. Possiamo infatti vedere come al comma 1, dopo “ordina al datore di lavoro” sia stato aggiunto “imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo […]” ed ancora “Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell’ambito dello stesso comune56 occupano più di quindici

dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale57 occupano più di cinque dipendenti, anche se

ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro”. Questa integrazione risulta fondamentale per rafforzare quanto già previsto dall’art.35 legge 300/1970 ed evidenzia pertanto l’ulteriore tentativo, seppure blando, di applicazione della tutela reale anche alle realtà di dimensioni sempre più piccole (“imprenditori58 e non imprenditori59”) che in Italia, negli anni

’90, erano in numero superiore rispetto alle medio – grandi realtà. Al comma 4 ed al comma 5 sempre dell’art. 1 evidenziamo una modifica intervenuta al comma 2 dell’art.18 legge n.300/1970; tale comma è stato integralmente rivisto e rielaborato al fine di meglio esplicitare una maggiore tutela

55 Legge 11 maggio 1990, n 108, art.1 – Gazzetta Ufficiale

56 Ente pubblico territoriale che, attraverso un consiglio comunale, una giunta e un sindaco,

amministra autonomamente un centro abitato e il territorio circostante.

57 Articolazione del territorio regionale, ripartita nelle singole province e suddivisa a sua volta in aree

sub provinciali.

58 Imprenditore: articolo 2082 c.c.: è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica

organizzata (2555, 2565) al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (2135, 2195).

59 Non Imprenditore o datore di lavoro: ogni soggetto di diritto che opera nel campo economico o

sociale e che utilizza la forza lavoro di personale dipendente, dietro pagamento di corrispettivo. È quindi colui che organizza il lavoro del dipendente ed è creditore della prestazione di lavoro (il datore di lavoro domestico, il titolare di uno studio professionale etc.).

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non solo economico – contributiva per il prestatore di lavoro reintegrato dopo aver subito un ingiusto licenziato ma anche una sorta di possibilità di contrattazione nella risoluzione del rapporto di lavoro nonché, conseguentemente, una maggior sanzione per il datore di lavoro. Infatti, al comma 4 dell’art. 1 legge 108/1990, dopo “[…] accertata la inefficacia o l’invalidità […]” è stata inserita la seguente modifica: “[…] stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto60

dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto”, mentre al comma 5 è stata inserita la seguente integrazione: “Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto […]” per cui una specie di baratto della reintegrazione nel posto di lavoro con un’indennità. L’introduzione di quest’ultima opzione ha visto scontrarsi due posizioni differenti ovvero da un lato chi sosteneva che le quindici mensilità altro non erano che un surrogato economico, un allettante incentivo a non ripristinare la funzionalità del rapporto, provocando una consustanziale riduzione del grado di coazione dell’ordine di reintegra e divenendo un pericoloso veicolo di ulteriore litigiosità, dall’altro chi rilevava che lo spettro della indennità potesse invogliare il datore di lavoro a rivolgere in breve tempo l’invito a riprendere servizio con conseguente arricchimento in termini di effettività dell’ordine di reintegra e comunque un minor affollamento delle aule giudiziarie per il prevalere di

60 Consiste in tutti quegli elementi retributivi che il lavoratore percepisce con continuità nel tempo. A

titolo esemplificativo fanno parte di essa l’indennità per il lavoro notturno, le trasferte, l’uso di autovettura propria, l’utilizzo dell’alloggio. Sono esclusi invece i rimborsi spese e tutti quegli elementi che non sono percepiti mensilmente o in ogni caso con continuità. (vedi anche Art. 2121 c.c.).

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soluzioni conciliative (nell’ottica datoriale volte a scongiurare la definizione del giudizio, da cui scaturisce la possibilità di esercitare l’opzione, ma convenienti anche per il prestatore di lavoro, il quale potrà tenere alto il costo dell’accordo grazie al riequilibrio contrattuale provocato dalla norma).61

Analizzando l’art.2 (Riassunzione o risarcimento del danno) si evince, sin dal comma 1, il campo di applicazione della cosiddetta tutela obbligatoria. Difatti, quanto disposto è applicato “ai datori di lavoro privati, imprenditori non agricoli e non imprenditori, e gli entri pubblici di cui all’articolo 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che occupano alle loro dipendenze fino a quindici lavoratori ed i datori di lavoro imprenditori agricoli che occupano alle loro dipendenze fino a cinque lavoratori computati con il criterio di cui all’articolo 18 delle legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente legge62 […]”. Proseguendo, al

comma 3, verifichiamo come sia stata mantenuta la possibilità per il datore di lavoro di riassumere il lavoratore entro il termine di tre giorni, ma anche come sia stato modificato l’importo dell’indennità risarcitoria prevista dall’art.8 legge 604/1966 nonché il rapporto di quest’ultima con l’anzianità di servizio. L’originario art.863 legge 604/1966 prevedeva una

indennità compresa tra un minimo di cinque mensilità ad un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione64 con la

riduzione a otto mensilità per i prestatori di lavoro con anzianità inferiore a trenta mesi e la possibilità di maggiorazione fino a quattordici per i prestatori di lavoro con anzianità superiore a venti anni. Inoltre, le misure minime e

61 Mazzotta O., 2005, op.cit., p. n. 446.

62 “Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale”.

63 Legge 15 luglio 1966, n .604, art.8 comma 1,2 e 3 – Gazzetta Ufficiale

64 Per mensilità di retribuzione si intende quella presa a base della determinazione dell’indennità di

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massime erano ridotte alla metà per i datori di lavoro che occupavano fino a sessanta dipendenti. Il nuovo art.265

comma 3 legge 108/1990 ha modificato quanto sopra sostituendolo con quanto segue: “[…] un importo compreso tra un minino di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto […]” ed ancora “[…] predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti di datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”. Confrontando i due articoli vediamo subito una prima differenza numerica relativa alle mensilità minime e massime di indennità spettante al lavoratore risarcito; infatti, il nuovo articolo ha ridotto notevolmente tali mensilità direttamente dimezzandole ma ha anche eliminato la possibilità di riduzione dell’indennità per coloro che avevano una anzianità inferiore a trenta mesi equiparando quindi tutti i prestatori di lavoro con una anzianità inferiore ai 10 anni. È stato a sua volta eliminato quando previsto in caso di prestatori di lavoro assunti da datori di lavoro che occupavano fino a sessanta dipendenti. Di contro è stato inserito un nuovo scaglione “superiore ai dieci anni” che ha determinato la possibilità di portare il numero di mensilità di risarcimento previste fino a 10 ed è stato mantenuto lo scaglione “superiore ai venti anni” ma, per entrambi, con validità limitata a quei dipendenti assunti in realtà con più di quindici prestatori di lavoro. Nonostante le modifiche e le novità introdotte, la quantificazione a monte dell’importo complessivo del risarcimento del danno, risultava essere ancora molto incerta.

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Legge 4 novembre 2010, n.18366

La legge 4 novembre 2010, n.18367 è intervenuta in

modo molto significativo nella revisione della disciplina del licenziamento per la parte che riguarda l’impugnazione del licenziamento68; difatti, l’articolo 32 (Decadenze e disposizioni

in materia di contratto a tempo determinato), al comma 169,

riporta le variazioni avvenute al primo e secondo comma dell’art.670 della legge 15 luglio 1966, n. 604. Questi due

commi sono stati non solo sostituiti ma anche notevolmente ampliati con l’inserimento di nuovi termini di efficacia dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ma anche del ritorno di quest’ultimi, conciliazione e arbitrato, in forma “facoltativa” quindi non più propedeutici al ricorso al tribunale. Si riportano i primi due commi dell’art.32 per completezza di lettura: Comma 1 “Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione,

66 “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative

e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro” – cosiddetto Collegato Lavoro – pubblicata nella G.U. n. 262 del 9 novembre 2010.

67 Governo di destra (XVI legislatura, Berlusconi IV – dal’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011)

composto dal Popolo della Libertà, Lega Nord e Movimento per le Autonomie.

68 È un diritto del lavoratore qualora non vi siano motivi che giustifichino un licenziamento per giusta

causa, licenziamento per giustificato motivo, disciplinare o licenziamento intimato, in quanto non in regola con le norme dal punto di vista della procedura o perché originato da cause discriminatorie o effettuato nei periodi tutelati dalla legge come la gravidanza è l’allattamento.

69 Legge 4 novembre 2010, n.183, art.32 comma 1 e 2 – Gazzetta Ufficiale: Comma 1 “Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch' essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”. Comma 2 “L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”.

70 Testo originario: Comma 1 “Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”. Comma 2 “Il termine di cui al comma precedente decorre dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento”.

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anch' essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”. Comma 2 “L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo".

Analizzando i successivi commi dell’art. 32 è imperativo evidenziare come sono stati specificatamente normati gli ambiti di applicazione di quanto riportato al comma 1 e questa è la principale modifica intervenuta nella disciplina dell’impugnazione del licenziamento normata dalla legge 183/2010. Nei successivi commi vengono infatti riportati tutti gli ambiti di applicazione che, oltre “a tutti i casi di invalidità del licenziamento” come definito dal comma 2, sono, per il comma 3, i seguenti: a) “ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apporto al contratto”, b) “al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa […]”, c) “al trasferimento ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile, con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento”, d) “all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro […] con termine decorrente dalla scadenza del medesimo”; per il comma 4, i

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seguenti: a) “ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli art. 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 36871, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della

presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine”, b) “ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di leggi previgenti al decreto 6 settembre 2001, n.368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge”, c) “alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento”, d) “in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dall’articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.27672, si chieda la costituzione o l’accertamento di un

rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”. Quanto sopra esposto evidenzia l’esigenza ed il forte desiderio di tutela del rapporto di lavoro dipendente anche nei casi in cui esso sia a tempo determinato. La tutela di tale tipologia di rapporto di lavoro, fino all’emanazione della legge 183/2010, era stata pressoché trascurata privilegiando di fatto la salvaguardia del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

71 “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato

concluso dall’UNICE, dal CEEEP e dal CES” – pubblicato nella G.U n.235 del 9 ottobre 2001.

72 “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14

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Legge 28 giugno 2012, n.9273

La legge 28 giugno 2012, n.9274 cosiddetta “Riforma

Fornero”, è stato il risultato di un faticoso percorso di elaborazione e negoziazione con le parti sociali, finalizzato ad un riassetto strutturale del mercato del lavoro al termine di una travagliata fase congiunturale, caratterizzata da una profonda stagnazione economica e dall’incapacità delle forze politiche di reagire alla esposizione del nostro Paese alle odiose attività speculative sul mercato mondiale. Tale legge, composta da 4 articoli, si apre all’art. 1 (Disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore) primo punto con quanto segue: “La presente legge dispone misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione, in particolare: […]” chiarendo subito l’obiettivo, sopra esposto, posto alla base della sua redazione. I successivi punti sono un riassunto delle specifiche alla presente legge ed al fine di questa trattazione di particolare rilievo è, sempre al primo punto, la lettera “c” che riporta l’attenzione all’esigenza di riformare la disciplina del licenziamento, adeguandola al mutato contesto di riferimento, nonché la contestuale necessità di prevedere un procedimento giudiziario specifico per snellire ed accelerare la definizione delle controversie.

73 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” –

pubblicata nella G.U. n.153 del 3 luglio 2012.

74 Governo “Tecnico” (XVI legislatura, Monti – dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013) composto

dal Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro, Futuro e Libertà per l’Italia, Popolo e Territorio, Alleanza per l’Italia, Partito Liberale Italiano, MpA - Alleati per il Sud, Fareitalia, Repubblicani – Azionisti, Liberal Democratici – MAIE, Autonomia Sud, Minoranze Linguistiche, altri non iscritti ad alcuna componente del Gruppo Misto.

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Perseguendo nell’analisi dell’art.1, un ulteriore punto sul quale dobbiamo soffermarci è il punto undici che esplicita la modifica della lettera “a”75 e l’abrogazione della lettera “d76

dell’art. 32 comma 3 della legge 4 novembre 2010, n. 183 nonché introduce un nuovo campo di applicazione77 per

quanto disposto alla lettera “a” modificata. I punti da trentasette a quarantatré sono anch’essi di notevole interesse per la presente trattazione poiché riportano delle modifiche ad alcuni articoli, tra le altre leggi, anche della legge 15 luglio 1966, n.604, della legge 20 maggio 1970, n.300 nonché della legge 4 novembre 2010, n.183.

Iniziando con l’analisi, al punto trentasette78 notiamo

subito un’importante modifica al comma 2 dell’art.2 della legge 604/1966 che consiste nell’aver reso “obbligatorio” l’inserimento nella comunicazione di licenziamento della specificazione dei motivi che lo hanno determinato mentre nel testo originario tale specificazione avveniva esclusivamente su espressa richiesta da parte del prestatore di lavoro all’imprenditore ed inoltre rispettando il limite temporale degli otto giorni dalla comunicazione.

Restando in tema di obblighi temporali, al punto trentotto, si evidenzia come il termine di cui al secondo comma dell’art. 6 della legge 604/1966 e successive modificazioni

75 “ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n.368, e successive modificazioni. Laddove si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto, il termine di cui al primo comma del predetto articolo 6, che decorre dalla cessazione del medesimo contratto, è fissato in centoventi giorni, mentre il termine di cui al primo periodo del secondo comma del medesimo articolo 6 è fissato in centottanta giorni”.

76“all'azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n.368, e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo” – abrogata.

77 Legge 28 giugno 2012 n.92 – art.1, comma 11: “Le disposizioni di cui al comma 3, lettera a), dell'articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, come sostituita dal comma 11 del presente articolo, si applicano in relazione alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1° gennaio 2013”.

78 Il comma 2 dell'articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente: “La

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abbia subito una ragguardevole modifica diminuendo da “duecentosettanta”79 a “centottanta”.

Proseguendo nell’analisi, al punto quaranta abbiamo la sostituzione dell’intero art. 7 della legge 604/1966, che è stato completamente riscritto ed ampliato al fine di specificare meglio la normativa e la tutela relativa al licenziamento di un lavoratore assunto da datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’art.18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n.300 e successive modificazioni80; in tali casi

infatti è disposto che “il licenziamento per giustificato motivo oggettivo […] deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro81 del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e

trasmessa per conoscenza al lavoratore”. Tale comunicazione obbligatoria deve indicare non solo i motivi del licenziamento ma anche le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore ed è finalizzata ad istituire l’incontro tra lavoratore e datore di lavoro dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione82. Sia datore di lavoro che

lavoratore possono farsi assistere da terze parti83 e la

procedura “si conclude entro venti giorni dal momento in cui la DTL ha trasmesso la comunicazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune accordo, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un

79 Infra p. n.24, nota n.69-70

80 “Datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”.

81 La Direzione territoriale del lavoro (o anche DTL) era l'articolazione periferica, generalmente con

competenza in ambito provinciale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Ha sostituito la vecchia Direzione provinciale del lavoro, istituita con la legge 24 dicembre 1993 n. 538 (legge finanziaria per l'anno 1994). A seguito dell'istituzione dell'Ispettorato nazionale del lavoro ai sensi del D. Lgs. n. 149/2015 sono state soppresse e le relative funzioni sono attualmente svolte dagli Ispettorati territoriali del lavoro. Diffusa pressoché su tutto il territorio nazionale constava di 74 direzioni territoriali. Non era presente in Sicilia e Trentino-Alto Adige.

82 La Commissione Provinciale di Conciliazione ha il ruolo fondamentale di risolvere le controversie

individuali e collettive in ambito lavorativo, prima che esse approdino davanti al giudice.

83 Legge 28 giugno 2012, n.92 – art.1, comma 40: “Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro”.

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