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Modulatori dei recettori dei checkpoint immunitari nell' immunoterapia antitumorale

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Academic year: 2021

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D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

MODULATORI DEI CHECKPOINT IMMUNITARI

NELL’ IMMUNOTERAPIA ANTITUMORALE

Relatori

Candidato

Prof.ssa Sabrina Taliani

Lavinia Pozzolini

Dott.ssa Silvia Salerno

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INDICE

Introduzione ………..pag.1 Il tumore………..pag.1 Patogenesi………..pag.1 Classificazione………...…..…...…..pag.6 Prevenzione………..pag.6 Terapia………..………..………….pag .7 Immunoterapia………..pag.12 Il Sistema immunitario……….………pag.12 Sistema immunitario e tumori………...pag.15

Recettori de checkpoint immunologici, principi relativi alla struttura, tasche di legame e interazione…………..………...pag.22

CTLA-4………...…………..pag.22 PD-1/PD-L1………..pag.32 GITR………..pag.50 Prospettive Future……….………….pag.54 Conclusioni……….………..pag.59 Bibligrafia……….………...pag.60

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Introduzione

Il Tumore

Tumore (dal latino “tumor” che significa “protuberanza, gonfiore, tumefazione) o neoplasia (dal greco néos, «nuovo», e plásis, «formazione») è definito dall’oncologo R.A. Willis come «una massa abnormale di tessuto che cresce in eccesso e in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali, e persiste in questo stato dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto il processo», definizione accettata a livello internazionale. Quindi il tumore è una patologia caratterizzata da una proliferazione cellulare incontrollata e fuori dalla norma. Questa è caratteristica comune a tutti i tumori che sono molteplici e diversificati poiché possono avere molteplici cause e colpire organi differenti1.

Patognesi

Questa patologia è attribuibile a mutazioni del patrimonio genetico delle cellule colpite, queste sono causa dell’accrescimento tissutale.

Le cellule tumorali per essere definite tali devono accumulare non uno ma una serie di danni al sistema di controllo della riproduzione2.

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Alla base della patogenesi ci sono mutazioni di specifici geni quali:

 Oncosoppressori: geni che codificano per proteine che influiscono in maniera negativa sulla progressione del ciclo cellulare.

Ad esempio danno avvio all’apoptosi o interrompono il ciclo cellulare se il DNA è danneggiato.

 Proto-oncogeni: geni che codificano per proteine che regolano il ciclo cellulare (sopravvivenza e differenziamento). Si possono trasformare in oncogeni ed indirizzare le cellule verso lo sviluppo del tumore.

 Geni coinvolti nella riparazione del DNA o mutatori. Questi se alterati possono aumentare il numero di mutazioni negli altri due geni. Agiscono in maniera indiretta sullo sviluppo del tumore.

Le mutazioni necessarie per l’insorgere di una neoplasia vanno ad interessare (Figura 1):

1. Proliferazione, che diventa incontrollata

2. Morte programmata ed invecchiamento cellulare, che vengono evitati o ritardati.

3. Neo-angiogenesi, cioè produzione ex-novo di una rete vascolare che andrà ad alimentare la nuova formazione.

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5. Invasione e penetrazione: distacco dal tessuto di origine e conseguente metastasi.

Figura 1. Le caratteristiche delle cellule cancerose.3

I fattori che inducono mutazione sono definiti mutageni.

I mutageni responsabili di un tumore sono definiti cancerogeni. I cancerogeni possono avere origine chimica, fisica o virale.

Il tumore è una patologia attribuibile a fattori ambientali ed in rari casi a fattori ereditari.

Per fattore ambientale si intende qualsiasi fattore eziologico non ereditario. Tra i più comuni ritroviamo: fumo, alcool, alimentazione errata, sovrappeso, radiazioni, stress, inquinanti ambientali.

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L’ereditarietà invece è una componente in più che può facilitare l’insorgenza di una neoplasia in pazienti che sono sottoposti agli altri fattori su detti.

Nei paesi sviluppati il tumore è una delle principali cause di morte. Può colpire pazienti di ogni età. Ma con l’ avanzare degli anni è più probabile accumulare un certo numero di mutazioni e quindi sviluppare la patologia.4

Secondo i dati dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e dell’ AIRTUM (Associazione Italiana Registro Tumori), ogni giorno in Italia si diagnosticano più di 1.000 nuovi casi di cancro. Si stima, infatti, che nel nostro Paese vi siano nel corso dell'anno circa 373.300 nuove diagnosi di tumore, di cui il 52% fra gli uomini e il 48% fra le donne (Figura 2)

Nel corso della vita circa un uomo su 2 e una donna su 3 si ammalerà di tumore.

Considerando l'intera popolazione, escludendo i carcinomi della cute che sono considerati a sé stanti per la difficoltà d’inviduazione di un tipo rispetto all’altro, i tumori in assoluto più frequenti sono quelli del colon retto (13,7 %) e della mammella (14,1 %), seguiti da quello del polmone (11,1 %) e da quello della prostata (9,5 % solo nel sesso maschile).

I cinque tumori più frequentemente diagnosticati fra gli uomini sono il tumore della prostata (18,1 %), il tumore del colon-retto (14,8 %), il tumore del polmone (14,3 %), il tumore della vescica (11 %) e quello del rene (4,6 %); tra le donne, il tumore della mammella (29,3 %), il tumore del

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colon-retto (12,6 %), il tumore del polmone (11,1%), il tumore della tiroide (5,8 %) e quello del collo dell'utero (4,7 %).5

Figura 2. Primi cinque tumori più frequentemente diagnosticati sul totale dei tumori

(esclusi i carcinomi della cute non melanomi) per sesso. Stime per l’ Italia 2018. (www.aiom.it)

Altri Tumori frequenti sono:

Tumore al cavo orale. Nel mondo i tumori del cavo orale, insieme a quelli della laringe e della faringe, rappresentano il 10% circa di tutte le neoplasie maligne negli uomini e il 4% nelle donne.

Tumore della cute e melanoma. Il melanoma cutaneo rappresenta il 9% dei tumori giovanili negli uomini e il 7% nelle donne. Il principale fattore di rischio per il melanoma cutaneo è l'esposizione eccessiva alla luce ultravioletta, che arriva fino a noi sotto forma di raggi UVA e UVB, ed è principalmente veicolata dai raggi del sole. È opportuno ricordare che il melanoma cutaneo rappresenta solo una

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piccola percentuale (circa il 5%) di tutti i tumori che colpiscono la pelle.5

Classificazione dei tumori

I tumori sono generalmente classificati come:

 Benigni: caratterizzati da lenta ma progressiva crescita che rimane localizzata al singolo organo o tessuto di origine. Può comunque creare dei danni comprimendo le strutture con cui entra in contatto. La crescita è definita espansiva.

 Maligni: caratterizzati da una crescita rapida e incontrollata ma le cellule mutate migrano nel flusso ematico o linfatico, raggiungono altri organi e tessuti lontani dal sito d’ origine e proseguono anche lì la loro crescita dando origine alle così dette Metastasi. Questa crescita è definita infiltrativa.

Prevenzione del tumore

L'obiettivo di tutte le strategie di prevenzione è la riduzione del rischio e quindi della mortalità per cancro. Poiché lo sviluppo del cancro richiede anche decine di anni, è importante individuare degli obiettivi intermedi, come l’individuazione e l’eliminazione di eventuali lesioni precancerose. Si può parlare di prevenzione primaria o secondaria .6

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Mentre con la prevenzione primaria si cerca di evitare l'insorgenza del cancro, per esempio attraverso interventi sugli stili di vita o sull'ambiente, con la cosiddetta prevenzione secondaria, di cui fanno parte gli screening, si mira a individuare la malattia quando è più facilmente curabile.

Gli screening sono esami condotti a tappeto su una fascia più o meno ampia della popolazione allo scopo di individuare una malattia o i suoi precursori (cioè quelle anomalie da cui la malattia si sviluppa) prima che si manifesti attraverso sintomi o segni.

In particolare gli screening oncologici servono a individuare precocemente i tumori, o i loro precursori, quando non hanno ancora dato segno di sé. Nello stadio iniziale il cancro è normalmente circoscritto a una ristretta area dell'organismo e, il più delle volte, non dà sintomi. In questa fase il tumore può spesso essere affrontato con maggiore efficacia e minori effetti collaterali con trattamenti chirurgici, farmacologici o di radioterapia e maggiori sono le probabilità di cura.

Terapia del tumore

Negli anni sono stata utilizzati diversi approcci, tra i più noti: chirurgia, chemioterapia e radioterapia.7

La parola chemioterapia letteralmente indica qualunque trattamento terapeutico a base di sostanze chimiche. Più specificamente la chemioterapia antineoplastica, si basa sul principio che le cellule tumorali

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si riproducono molto più rapidamente di quelle normali, e le sostanze utilizzate per questi trattamenti interferiscono con i meccanismi legati alla replicazione delle cellule, uccidendole durante questo processo (azione citotossica). L'effetto della chemioterapia, quindi, si fa sentire soprattutto sui tumori che crescono velocemente, ma anche su alcuni tipi di cellule sane soggette a rapida replicazione (come le cellule dei bulbi piliferi, del sangue e quelle che rivestono le mucose dell'apparato digerente). Ecco spiegati così i più comuni effetti collaterali di questi trattamenti (perdita di capelli, anemia e calo delle difese immunitarie, vomito, diarrea e infiammazione o infezione della bocca). La chemioterapia antitumorale consiste dunque nella somministrazione di una o più sostanze capaci di uccidere le cellule tumorali durante il loro processo di replicazione. L'associazione di sostanze diverse consente di aggredire le cellule tumorali colpendo contemporaneamente diversi meccanismi essenziali per la loro replicazione. Si ostacola così la loro capacità di evolvere verso forme resistenti alle cure.

Per le diverse malattie esistono quindi diversi “schemi” di chemioterapia chiamati con acronimi formati dalle iniziali dei medicinali utilizzati: per esempio CMF (ciclofosfamide, metotrexate e fluorouracile) per il tumore al seno o CVP (ciclofosfamide, vincristina e prednisolone) per alcuni linfomi. Esistono quasi un centinaio di sostanze che possono essere variamente combinate per combattere al meglio le diverse forme di tumore, e nuove molecole sono continuamente scoperte, sintetizzate o estratte.

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Per ogni tumore e per ogni malato, sulla base dei dati raccolti in decenni di ricerche, i medici scelgono lo schema più adatto per ottenere il miglior risultato possibile con il minor carico di effetti collaterali.

A questo stesso scopo la chemioterapia viene generalmente somministrata in cicli. Non tutte le cellule infatti sono contemporaneamente in fase di replicazione. Anche in un tumore a rapida crescita ve ne sono sempre alcune "in fase quiescente". Queste cellule sfuggono all'azione dei farmaci che hanno la caratteristica di uccidere le cellule mentre si replicano. Per questo il trattamento è ripetuto a cicli. La radioterapia consiste nell’uso di radiazioni potenti (raggi X, raggi gamma, emesse da alcuni tipi di particelle radioattive) per distruggere le cellule tumorali e al tempo stesso cercando di preservare le cellule sane. Queste radiazioni si possono somministrare :

 emesse da sostanze radioattive che entrano all’interno dell’organismo del paziente (brachiterapia)

 emesse da un macchinario che circonda il corpo del paziente (radioterapia esterna).

È una terapia che può essere sfruttata come curativa (spesso associata alla chirurgia e alla chemioterapia), come profilassi o come terapia palliativa (per attenuare dolore e sintomi).

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Agisce andando a uccidere le cellule tumorali creando un danno al loro DNA, questi sono irreversibili e le cellule smettono di duplicarsi e crescere e muoiono.

Contemporaneamente può però colpire le cellule sane e danneggiarle. Per minimizzare questi danni spesso si somministrano piccole dosi ripetute. Insieme a queste terapie più classiche esistono anche: terapie ormonali, farmaci biologi e Immunoterapia8.

Terapie ormonali: gli ormoni sono molecole prodotte nell'organismo da ghiandole appartenenti al sistema endocrino. Sono prodotti in risposta a un meccanismo di controllo e regolano l'attività di organi specifici. Poiché la crescita di alcuni tumori al seno o alla prostata è stimolata da ormoni come gli estrogeni o gli androgeni, la terapia ormonale (ormonoterapia) è volta a contrastarli, impedendone la produzione o l'azione proliferativa sul tumore.

Le terapie biologiche, dette anche "targeted therapies" (ovvero "terapie a bersaglio"), sono rivolte contro i meccanismi che controllano la crescita e la diffusione del cancro (bersagli molecolari).

Possono includere: anticorpi monoclonali; inibitori di fattori di crescita o dei loro recettori; vaccini; terapie genetiche.

I farmaci cosiddetti "biologici" o "intelligenti", agiscono in modo selettivo su recettori cellulari specifici. Questa azione selettiva influenza il risultato terapeutico e risparmia le cellule sane, con un miglioramento quindi della

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tollerabilità del trattamento, a vantaggio del paziente e della sua qualità di vita.

L’immunoterapia è tra le più recenti studiate e si basa sull’amplificazione della risposta immunitaria. Quindi sfrutta il sistema immunitario per il trattamento dei tumori.

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Immunoterapia9

L’immunoterapia è un trattamento innovativo contro la lotta al tumore. Non si tratta però di un’idea del tutto nuova, già a cavallo tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 fu studiata e sperimentalmente confermata. In particolare, nel 1891 William Coley, considerato il padre dell’Immunoterapia antitumorale, osservò che inoculando dei microorganismi streptococcici in pazienti affetti da cancro si aveva una regressione del tumore presumibilmente in seguito ad una stimolazione del sistema immunitario. Negli ultimi decenni l’immunoterapia si è confermata come ipotesi terapeutica, sostenuta anche dai grandi progressi fatti nella delineazione dei meccanismi molecolari che sono coinvolti nella progressione dei tumori. L’idea è quella di sfruttare e indirizzare il sistema immunitario affinché risponda in maniera adeguata ad un agente estraneo, in questo caso un tumore .

Il sistema immunitario10

Il sistema immunitario è una "macchina" complessa, che comprende diversi tipi di cellule, ognuna con funzioni specifiche. Queste cellule cooperano per riconoscere ed eliminare agenti "esterni". Alcuni, come batteri e parassiti, danneggiano le cellule dall'esterno, mentre altri come i virus entrano nelle cellule e le danneggiano dall'interno.

Il sistema immunitario si è sviluppato nel corso dell'evoluzione del genere umano per proteggere l’organismo da qualsiasi minaccia esterna, con la

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capacità di distinguere i reali pericoli dalle situazioni che invece non presentano rischi. È una realtà complessa e trovare il modo di regolarne il funzionamento è sempre stato difficile; il sistema immunitario è composto da una serie di elementi talmente numerosi, che sfuggono ancora in certi casi alla piena comprensione. Sappiamo che la presenza di un antigene (proteina o enzima non riconosciuto come proprio dall'organismo) stimola il sistema immunitario a produrre la risposta cellulo-mediata e/o anticorpale.

Il sistema immunitario dispone di due rami di difesa: l'immunità aspecifica (o "innata") e quella specifica (o "adattativa").

 Immunità aspecifica o innata: è presente fin dalla nascita, rappresenta la barriera contro le infezioni più diffuse. Si attiva in seguito a ferite, traumi acuti o cronici o in presenza di malattie, come nel caso dell'artrosi. Questa immunità può essere considerata un campanello d'allarme in caso di aggressione all'organismo, che non è però in grado di contrastare i cambiamenti dovuti a virus e batteri. L'immunità innata comprende la pelle (il sistema di difesa più esterno del nostro organismo), le membrane mucose che ricoprono le parti del corpo a contatto con l'ambiente esterno (bocca, naso, orecchie...), le secrezioni come il sudore (un liquido in grado di uccidere alcuni batteri). Quando un virus o un batterio "sconfigge" questa prima linea di difesa l'organismo reagisce attraverso un'infiammazione, dovuta alla produzione di sostanze da parte dei tessuti colpiti per riparare le lesioni

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subite, oppure con il meccanismo della febbre. L'aumento della temperatura uccide virus e batteri e facilita l'attività dei globuli bianchi.  Immunità specifica o adattativa: è una risposta che l'organismo realizza

in base al tipo di agente infettante. Si tratta di una difesa mirata verso determinati antigeni. Questa capacità è possibile grazie ai linfociti T e B; questi ultimi sono i principali produttori di anticorpi. Il linfocita B è prodotto dal midollo osseo e si muove all'interno dell'organismo. Quando si imbatte nel proprio antigene si riproduce diverse volte, originando cellule figlie identiche dette cloni. Una parte della popolazione clonale si attiva poi in plasmacellule, che sintetizzano in gran quantità gli anticorpi specifici presenti sulla membrana del loro precursore. La parte che rimane serve da "memoria interna" contro future infezioni che, se si verificheranno, saranno contrastate in modo più veloce ed efficace. I linfociti T sono così chiamati perché prodotti da un piccolo organo ghiandolare chiamato timo. Esistono vari tipi di linfociti T che mediano le risposte immunitarie specifiche. La loro attivazione dipende dal riconoscimento di antigeni posti sulla membrana dei linfociti B e dei macrofagi, e alcuni tipi (T helper) secernono sostanze (citochine) che facilitano la risposta citotossica di altri linfociti T verso altre cellule. L'immunità specifica o adattativa è molto più veloce ed efficace. Si sviluppa solo dopo la nascita, durante il primo anno di vita, e si potenzia via via che incontra agenti patogeni da

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contrastare. Questa caratteristica può essere rafforzata con le vaccinazioni.

Sistema immunitario e tumori11

L'identificazione degli antigeni ha permesso di formulare l'ipotesi dell'immunosorveglianza cioè il sistema immunitario potrebbe controllare la crescita incontrollata delle cellule tumorali tramite i linfociti T. Le cellule "impazzite" però sono in grado di attivare numerosi e complessi meccanismi che permettono loro di evadere il controllo del sistema immunitario, capace in condizioni normali di segnalare qualsiasi "movimento" sospetto. Quindi il tumore può continuare a rimodellarsi, proprio per eludere la sorveglianza, e le cellule che lo compongono possono così sopravvivere anche in una persona perfettamente sana. L’immunoterapia si basa proprio sul potenziamento delle cellule del sistema immunitario in modo da mantenere sempre attiva la risposta immunitaria anche in quei casi in cui il tumore tenta di silenziarla; l’obiettivo è quello di sfruttare la specificità e la memoria a lungo termine della risposta immunitaria adattativa per ottenere una regressione tumorale duratura e una possibile cura, anche se, ad oggi, questo è stato ottenuto solo in un piccolo insieme di pazienti, dal momento che non tutti rispondono alla terapia.

Sono stati studiati diversi approcci per l’immunoterapia. Questi includono la somministrazione di citochine esogene o di vaccini terapeutici per

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aumentare la frequenza delle cellule T tumore-specifiche, il trasferimento adottivo di cellule effettrici tumore-specifiche e, più recentemente, l’applicazione di una varietà di inibitori dei checkpoint immunitari e agonisti della costimolazione dei recettori per superare i meccanismi immunosoppressivi indotti dal tumore (Figura 3).

Figura 3. Come funziona l’immunoterapia antitumorale. (Www.treminuti.eu)

I checkpoint immunitari sono regolatori immunitari, stimolatori o co-inibitori (Figura 4), che modulano la proliferazione e l’attività delle cellule T, come pure quella di altre cellule immunitarie, coinvolte in questi pathway. In condizioni normali, i checkpoint immunitari sono essenziali per il mantenimento dell’auto-tolleranza e per garantire durata e grado adeguati delle risposte immunitarie fisiologiche nei tessuti periferici, evitando danni tissutali collaterali. Sono stati ampiamente studiati due recettori del

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checkpoint immunitario di tipo inibitorio: l’antigene 4 associato ai linfociti T citotossici (CTLA-4) e la proteina della morte cellulare programmata 1 (PD-1). Sembra che questi agenti riescano a superare gli stessi meccanismi che i tumori mettono in atto per sopprimere la risposta immunitaria antitumorale.

Figura 4. Recettori co-stimolatori e inibitori che regolano le risposte delle cellule T e la

traduzione nella pratica clinica. (A) Rappresentazione di diverse interazioni ligando−recettore tra cellule T e cellule presentanti l’antigene (APC). (B) Agenti attualmente sottoposti a trial clinici per PD-1, PD-L1, GITR, LAG-3, e TIM-3. La CTLA-4 non presenta alcun nuovo agente in fase di sviluppo clinico. (C) Il numero dei farmaci approvati è estremamente basso. Finora, i farmaci approvati bersagliano unicamente CTLA-4 e PD-1.

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Ad oggi, tutti i modulatori del checkpoint immunitario approvati per la pratica clinica sono anticorpi monoclonali.

Il primo farmaco anti-CTLA-4 è stato Ipilimumab. Si tratta proprio di un anticorpo monoclonale per il trattamento del melanoma metastatico o inoperabile, che è stato approvato da FDA nel 201112. Questo, quando

sono stati eseguiti studi in cui è stato evidenziato che i pazienti trattati con ipilimumab (Yvervoy; Bristol-Myers Squibb), e che avevano risposto positivamente alla terapia, avevano un incremento dell’aspettativa di vita da 6 a 10 mesi. Inoltre, valutando ipilimumab in altre tipologie di tumore , esso ha mostrato una possibile influenza positiva anche sul tumore del rene.

Successivamente è stato studiato, sempre su varie tipologie di tumore, un altro recettore del checkpoint immunitario: PD-1. Inibendo questo recettore è stata evidenziata una risposta nel carcinoma polmonare non a piccole cellule, nel melanoma e nel tumore del rene. Il primo farmaco inibitore di PD-1 approvato è stato Pembrolizumab (Keytruda; Merck). Ci sono anche molti altri anticorpi attualmente avviati a trial clinici (Figura 4B,C). Inoltre, altri recettori di checkpoint immunitari costituiscono target terapeutici promettenti e hanno portato allo sviluppo di nuove molecole che sono attualmente valutate in modelli tumorali preclinici e/o in trial clinici (Figura 4B).13-14Questi farmaci 15-17 hanno rivoluzionato la terapia del cancro per la

loro notevole attività clinica ma allo stesso tempo bisogna evidenziare anche gli svantaggi. Tra questi l’incapacità di mostrare una risposta

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positiva da parte dei pazienti, la somministrazione per iniezione endovenosa, e gravi effetti avversi immuno-correlati.15-17

Ci sono comunque diverse formulazioni immunoterapiche che possono essere somministrate in diverse maniere. Le vie di somministrazione più rilevanti sono:

 Via endovenosa  Via orale

 Via topica

 Via intravesciale

Il più grande ostacolo per lo sviluppo dell’immunoterapia è l’identificazione di molecole target espresse nelle cellule tumorali e non sulle cellule dei tessuti normali dell’organismo. Le mutazioni immunogeniche potrebbero essere uno di questi target e lo sviluppo dell’immunoterapia potrebbe basarsi su questo.

Recenti sforzi si sono rivolti soprattutto all’elaborazione di nuovi approcci per lo sviluppo di piccole molecole modulatori del sistema immunitario, che rappresentano alternative potenzialmente più economiche ed accessibili rispetto agli anticorpi monoclonali. Questi nuovi farmaci sfruttano i vantaggi degli approcci delle proteine ricombinanti, vale a dire: (i) elevata fattibilità di fabbricazione e scale-up, (ii) probabile biodisponibilità orale, (iii) maggiore velocità di diffusione nel

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microambiente tumorale, (iv) maggiore facilità di accesso ai target intracellulari (per i target non trattabili con agenti terapeutici proteici), e (v) migliore farmacocinetica e/o farmacodinamica.

Questi modulatori del sistema immunitario possono anche offrire l’opportunità di evitare la resistenza macrofago-mediata osservata nella terapia anti-PD-1.18

Lo sviluppo di nuove piccole molecole rappresenta una notevole problematica multidimensionale che dura da circa 10−15 anni. Lo sviluppo dei farmaci si basava tradizionalmente sul concetto di trial-and-error. Fortunatamente, negli ultimi decenni, questo processo è stato rivoluzionato ed è diventato molto più razionale, con l’uso di approcci focalizzati sull’identificazione dei farmaci. Dalla selezione dei potenziali hit all’identificazione dei lead si ha un percorso particolarmente lungo e irto di sfide. Nella maggior parte delle aziende farmaceutiche e nelle università, oltre ai classici approcci, i ricercatori sfruttano la progettazione dei farmaci computer-assistita (CADD) per identificare e selezionare le molecole migliori per la sintesi e che potrebbero mostrare le desiderate proprietà ADMET (assorbimento, distribuzione, metabolismo, escrezione, e tossicità). L’utilizzo di metodiche computazionali, ligand- e/o

structure-based, rappresenta già uno strumento per attuare questo processo di

sviluppo dei farmaci.

La mancata conoscenza della struttura e della dinamica dei target limita notevolmente l’uso delle metodologie CADD. Le proprietà strutturali, le

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regioni di legame, la flessibilità, le interazioni cruciali con le tasche di legame, e le dinamiche delle interazioni ligando−recettore sono informazioni essenziali per lo sviluppo dei nuovi farmaci. Solitamente, queste informazioni sono principalmente fornite dalle strutture cristallografiche.

Gli studi strutturali dei recettori dei checkpoint immunitari hanno compiuto notevoli progressi negli ultimi anni. Sono state identificate nuove strutture cristallografiche e sono stati effettuati nuovi tentativi per sviluppare potenziali modulatori dei checkpoint immunitari. Queste informazioni sono tuttavia ancora scarse e per lo più disperse.

Lo scopo di questa tesi è di fornire una panoramica e un’analisi dei più importanti recettori dei checkpoint immunitari attualmente studiati per lo sviluppo di terapie antitumorali con target specifici (CTLA-4, PD-1, e GITR). Verrà fatta un’analisi approfondita dei requisiti strutturali al fine di ottenere una migliore comprensione della druggability e di guidare la progettazione razionale di nuovi farmaci antitumorali, efficaci, sicuri e

molecular targeted. Sarà inoltre fornita una valutazione critica riguardante

l’impatto di queste analisi strutturali-funzionali sulla progettazione di farmaci antitumorali multitarget.

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2. RECETTORI DEI CHECKPOINT IMMUNOLOGICI: PRINCIPI RELATIVI ALLA STRUTTURA, TASCHE DI LEGAME, E INTERAZIONE

CTLA-4

CTLA-4, noto anche come CD152, è un recettore inibitorio espresso sulla superficie delle cellule T, che regola essenzialmente l’attivazione delle cellule T nei primi stadi.19Questo recettore è presente nelle cellule T, ed è

stato il primo recettore del checkpoint immunitario a essere bersagliato dagli anticorpi monoclonali. Ipilimumab è stato il primo inibitore del checkpoint immunitario utilizzato nell’immunoterapia del cancro (Figura 4C). Nel 2011, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha approvato questo modulatore immunitario per il trattamento del melanoma avanzato o non asportabile.

CTLA-4 è una glicoproteina transmembranale di tipo 1 della superfamiglia delle immunoglobuline, con una lunghezza di 223 aminoacidi (aa), comprendente i domini extracellulare (125 aa), transmembranale (20 aa), e citoplasmatico (40 aa). È un omodimero covalente di 41−43 kDa.20

L’omodimerizzazione di CTLA-4 è mediata dal legame cisteina-dipendente alla posizione 122 nella stalk region. In aggiunta, la N-glicosilazione alle posizioni 78 e 110 contribuisce alla stabilizzazione dell’omodimero. I monomeri extracellulari di CTLA-4 evidenziano un β-sandwich a due strati (Figura 5A) che manifesta la topologia della catena (C′′DEBA:GFCC′) osservata nel singolo dominio variabile dell’immunoglobulina e tre proline

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consecutive nell’ansa FG, Met-Tyr-Pro-Pro-Pro-Tyr-Tyr, che hanno importanti implicazioni nel legame con il ligando.

Figura 5. Struttura e interazioni della CTLA-4 umana (PDB 3OSK). (A) Rappresentazione

nastriforme della struttura secondaria del monomero extracellulare della CTLA-4 (B) Rappresentazione nastriforme dell’omodimero extracellulare della CTLA-4. (C) Rappresentazione nastriforme del complesso CTLA-4/B7-1 (PDB 1I8L).

(D) Associazione molecolare di CTLA-4 e B7-1 nel reticolo cristallino.

CTLA-4 si lega a CD80 (B7-1) e CD86 (B7-2) (Figura 4A), che sono espressi sulle cellule contenenti l’antigene (APC), causando una deregolazione dell’attività delle cellule T. Entrambi sono anche ligandi per il recettore co-stimolatorio CD28, un recettore omologo di CTLA-4 (con cui condivide il 31% d’identità), ma con un’affinità complessiva inferiore.21-26

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Il ruolo svolto da CTLA-4 nel controllare l’attivazione delle cellule T è ampiamente dimostrato dal fenotipo di iperattivazione sistemica immunitaria letale in topi CTLA-4-knockout.26-27

Di fatto, il blocco di CTLA-4 induce un elevato potenziamento delle risposte immunitarie che sono dipendenti dalla cellule T-helper mentre, al contrario, l’attività di CTLA-4 sulle cellule T regolatorie (Treg) incrementa la loro funzione di soppressione.

Questo ruolo centrale sulla modulazione dell’attività delle cellule T ha indicato CTLA-4 come bersaglio per l’immunoterapia del cancro. Pertanto, i diversi studi hanno portato ad una ampia analisi strutturale di questo recettore di checkpoint immunitario.

All’inizio del 1997, prima della divulgazione delle strutture cristallografiche di CTLA-4, era stata modellata una struttura 3D della CTLA-4 in silico. La struttura ottenuta mediante il modellamento d’omologia ha identificato i

β-strands e le regioni del loop, dimostrando che CTLA-4 adottava un singolo

ripiegamento del dominio variabile dell’immunoglobulina. Alla fine del 1997, è stata risolta la struttura 3D di CTLA-4 attraverso studi di risonanza magnetica nucleare (NMR), e questa è risultata in accordo con la struttura cristallografica precedente.

Fortunatamente, ad oggi, sono state rivelate diverse strutture cristalline di CTLA-4. Nel 2000, è stata risolta la struttura cristallina del dominio extracellulare di CTLA-4 murina da Ostrov et al. (PDB 1DQT, 2,0 Å).28 È

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topologia di catena riscontrata nel singolo dominio variabile dell’immunoglobulina. In questo lavoro, è stato previsto il complesso CTLA-4/B7 mediante docking manuale, suggerendo la formazione di una struttura periodica in cui ciascun omodimero di CTLA-4 collega due molecole B7 (Figura 5C).

Un anno più tardi, sono state identificate anche le strutture cristalline dei complessi CTLA-4/B7-1 (PDB 1I8L) e CTLA-4/B7-2 (PDB 1I85) ad una risoluzione di 3,0 e 3,2 Å, rispettivamente da Stamper et al.29 e Schwartz

et al.30 Questi studi hanno consentito una caratterizzazione dettagliata

della stabilizzazione interfacciale dell’omodimero di CTLA-4 (Figura 5B). Inoltre è stato osservato che non si verifica nessuna variazione o riorganizzazione conformazionale di questa interfaccia dimerica durante il legame con le proteine B7.

Per quanto concerne il complesso formato dalle proteine CTLA-4 e B7, è stato dimostrato che i siti di legame di B7 sono localizzati distalmente all’interfaccia dimerica, portando alla formazione di un complesso periodico di molecole dimeriche (Figura 5C). Questo conferma il modello precedentemente descritto da Ostrov et al.28che contemplava il legame di

CTLA-4 con due molecole B-7. L’osservazione diretta di questa reticolo periodico fornisce immediatamente un modello che descrive l’assemblamento di queste molecole all’interfaccia delle cellule T/APC. Una volta formato, il complesso è stabilizzato da diverse interazioni, come interazioni ioniche, cinque legami d’idrogeno, e 28 contatti di Van der

(28)

Waals che coinvolgono diversi residui, inclusa la sequenza Met99-Tyr-Pro-Pro-Pro-Tyr-Tyr105, che adotta una insolita conformazione cis−trans−cis essenziale per l’interazione con le molecole B7. Gli altri residui coinvolti nella stabilizzazione del complesso sono Glu33 mediante legame a idrogeno e Arg35, Thr53, e Glu97 tramite interazione ionica.27,28Stamper e

colleghi33 hanno evidenziato anche il potente segnale inibitorio di B7-1 per CTLA-4 (Kd = 0,2−0,4 μM),32ed il forte legame oligomerico dell’interazione

tra cellula T e APC.

Nel 2009, Schönfeld e colleghi hanno descritto la struttura di una lipocalina manipolata per CTLA-4 (PDB 3BX7, 2,1 Å).31 Questo studio

contiene nuove informazioni sulla struttura di CTLA-4, ovvero il sito di riconoscimento della lipocalina. La mancanza di una struttura a elevata risoluzione della forma non legata di CTLA-4 umana è stata finalmente colmata da Yu et al.32 nel 2013, con la risoluzione di una struttura

dell’omodimero non legato di CTLA-4 (PDB 3OSK; 1,8 Å). Questa nuova struttura ha enfatizzato il riconoscimento del ligando a struttura rigida sulla base dell’assenza di variazioni conformazionali rispetto alle strutture recettore−ligando precedentemente risolte.28−30

Un’analisi strutturale dettagliata ha evidenziato notevoli similarità tra gli omodimeri di CTLA-4 non legata e legata al ligando, rivelando con certezza che CTLA-4 si lega essenzialmente in una modalità a struttura rigida. Tuttavia, comparando il legame delle proteine B7, inaspettatamente e contrariamente al legame a corpo rigido evidenziato dalla B7-1, il

(29)

legame della B7-2 a CTLA-4 manifesta elementi di adattamento indotto. Queste differenze nell’adattamento geometrico delle rispettive interfacce derivano possibilmente da ulteriori interazioni polari consolidate dal Glu33 presente nella B7-1 e sono sostituite dalla Val nella B7-2 che non può stabilire la stessa interazione.

A questo punto, gli studi descritti in letteratura si sono focalizzati sulla caratterizzazione di CTLA-4. Tuttavia, l’interesse di CTLA-4 per l’immunoterapia è riconducibile allo sviluppo di inibitori del checkpoint immunitario della CTLA-4. Pertanto, gli agenti terapeutici per CTLA-4 erano finora focalizzati su anticorpi monoclonali; di conseguenza, gli studi strutturali si sono focalizzati sul complesso recettore−farmaco così formato.

Più recentemente, nel 2016, Lee e colleghi33 hanno descritto la struttura

cristallina del complesso CTLA-4/tremelimumab Fab (anticorpo IgG umano; PDB 5GGV, 2,0 Å), descrivendo la modalità di legame dell’anticorpo monoclonale e le variazioni conformazionali indotte dal legame con il farmaco. Questo studio ha dimostrato che l’interfaccia dell’omodimero di CTLA-4 non è coinvolta, e che l’epitopo dell’anticorpo occupa parzialmente il sito di legame di B7-1/2 di CTLA-4, evidenziando una maggiore interfaccia di legame rispetto all’interfaccia recettore−ligando (Figura 6).

(30)

Figura 6. Complesso CTLA-4/tremelimumab (PDB 5GGV). Modello ipotetico per la prevenzione di una disposizione alternativa di CTLA-4 (blu scuro) e B7-1/2 (grigio-azzurro) con il legame di tremelimumab (blu chiaro).

Diversi residui di CTLA-4 (Lys1, Ala2, Met3, Glu33, Arg35, Gln41, Ser44, Gln45, Val46, Glu48, Leu91, Ile93, Lys95, Met99, Pro102, Pro103, Tyr104, Tyr105, Leu106, Ile108, e Asn110) sono coinvolti in legami a idrogeno, ponti salini, e interazioni di van der Waals con tremelimumab. Confrontando i residui coinvolti nell’interazione CTLA-4/B7 precedentemente descritta con quelli identificati nella formazione del complesso CTLA-4/tremelimumab, è possibile concludere che tremelimumab e le proteine B7 occupano gli stessi siti di legame. Di conseguenza, il legame di tremelimumab con CTLA-4 compete efficientemente con il legame di B7-1/2, portando al blocco della funzionalità di CTLA-4 nel cancro.33 Nelle strutture cristalline di

(31)

CTLA-4/B7, il reticolo cristallino genera un riarrangiamento periodico alternato in cui gli omodimeri bivalenti di CTLA-4 connettono gli omodimeri bivalenti di B7-1/2, fornendo un modello che descrive l’assemblaggio di CTLA-4 e B7-1/2 all’interfaccia tra le cellule T e le cellule tumorali. La distanza del complesso CTLA-4/tremelimumab (Figura 6) è incompatibile con l’array oligomerico del complesso CTLA-4/B7. Considerando il semplice antagonismo dell’interazione tra CTLA-4 e B7-1/2, gli autori hanno potuto prevedere che il legame di tremelimumab poteva impedire o distruggere questa struttura peculiarmente organizzata.

Le ultime strutture cristalline descritte sono state il complesso CTLA-4/ipilimumab (PDBs 5TRU e 5XJ3, 3,0 e 3,2 Å) da parte di Ramagopal e colleghi e da Gao e colleghi.34 Questi studi si sono

focalizzati sulla modalità di legame di ipilimumab a CTLA-4, come pure sulla selettività verso CTLA-4 rispetto a omologhi di CD28. Ipilimumab è in contatto con il β-foglietto frontale di CTLA-4 e interseca la superficie di riconoscimento di CTLA-4/Β7, indicando che la sovrapposizione sterica diretta tra ipilimumab e i ligandi di B7 è un importante fattore meccanicistico che contribuisce alla funzione di ipilimumab. La struttura cristallina evidenzia inoltre i fattori della selettività manifestata da ipilimumab verso CTLA-4. Gli autori sottolineano che le differenze strutturali dettagliate dei filamenti G di CTLA-4 e CD28 sono i principali motivi della maggiore selettività di ipilimumab. In aggiunta, le differenze nella protuberanza β del filamento C’ contribuiscono probabilmente alle

(32)

differenze nella conformazione dell’ansa CC′. Tuttavia, questa differenza è distale rispetto all’interfaccia di riconoscimento e non dovrebbe influenzare significativamente il legame o la selettività.

In base alle strutture del complesso CTLA-4−farmaco, entrambi gli anticorpi monoclonali si legano a CTLA-4 con una simile affinità complessiva e nello stesso sito di legame. Tuttavia, questi anticorpi monoclonali manifestano un comportamento diverso che, in parte, può essere dovuto alla deplezione delle cellule bersagliate, ad es., Treg immunosoppressive tramite citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente Fc-mediata (ADCC) e citotossicità complemento-anticorpo-dipendente (CDC). Ipilimumab è una IgG1, mentre tremelimumab è una IgG2, con differenti attività ADCC e CDC.

Le approvazioni di regolamentazione degli anticorpi monoclonali hanno inaugurato una nuova era nell’immunoterapia clinica del cancro. Nonostante ciò, i farmaci a piccola molecola non sono ancora presenti in questa classe di terapie mirate. Come precedentemente affermato, la modulazione del sistema immunitario con l’uso di piccole molecole può offrire diversi vantaggi, ma finora si segnalano pochissimi studi sulla modulazione della CTLA-4. Uvebrant et al.36 e Classon et al.37,

rispettivamente nel 2004 e 2007, hanno descritto derivati della pirazolochionolina quali inibitori di CTLA-4. Non sono state descritte ulteriori indagini con questi composti. Di conseguenza lo sviluppo di

(33)

piccole molecole che bersagliano questo recettore del checkpoint immunitario rimane una sfida ancora irrisolta.

Nonostante ciò, è evidente l’ampia caratterizzazione strutturale di questo regolatore immunitario, e tutte le strutture cristalline descritte forniscono informazioni essenziali. Le analisi strutturali hanno portato a una profonda conoscenza di caratteristiche fondamentali come flessibilità e domini di

binding, come pure dei residui e delle interazioni chiave stabilite tra ligandi

nativi e inibitori (Tabella 1).

(34)

La disponibilità di queste strutture cristalline multiple di CTLA-4 e le analisi dettagliate confermano gli studi in silico structure-based. Le tecniche CADD (agganciamento o dinamiche molecolari) avranno grande valore nell’indirizzare la progettazione di farmaci antitumorali alternativi. Questi siti di legame descritti per le strutture del complesso CTLA-4−farmaco indicano un hot-spot per i composti anti-CTLA-4 e possono fungere da target per il futuro sviluppo di modulatori a piccola molecola. Esistono ampi spazi per l’utilizzo di tecniche di ingegneria per migliorare terapie alternative, soprattutto quelle con l’utilizzo di piccole molecole, e in un prossimo futuro emergeranno notevoli sviluppi in questo campo.

PD-1/PD-L1.

PD-1, noto anche come CD279, è un recettore della superficie cellulare, espresso su differenti tipi di cellule come le cellule T, cellule B, cellule

natural killer (NK), o monociti.39 Il ruolo principale di PD-1 è limitare

l’attività delle cellule T nei tessuti periferici dopo una risposta infiammatoria, limitando quindi l’autoimmunità; tuttavia, quando è occupato da uno dei suoi ligandi, innesca un’evasione immunitaria che compromette la funzionalità delle cellule T citotossiche effettrici. I meccanismi coinvolti in questo processo includono l’apoptosi delle cellule T tumore-specifiche, l’inibizione della proliferazione delle cellule T, e la secrezione di citochine. La persistente esposizione agli antigeni

(35)

provenienti da cellule tumorali che hanno imparato a evadere la risposta immunitaria dell’ospite induce una persistente upregulation di PD-1, causando un esaurimento delle cellule T, un importante meccanismo di resistenza immunitaria nel microambiente tumorale.40

PD-1 è una glicoproteina transmembrana di tipo 1 di 50−55 kDa comprendente un dominio extracellulare immunoglobulinico di tipo variabile, un dominio transmembrana, e una coda citoplasmatica, ed ha una lunghezza di 288 aa (Figura 7A).

Figura 7. Struttura complessiva della PD-1. (A) Rappresentazione schematica della

proteina PD-1. La PD-1 di intera lunghezza è suddivisa in ectodominio, dominio transmembrana, e dominio intracellulare. Rappresentazione nastriforme della struttura della PD-1 (blu). (Cys34−Cys103). (B) Struttura del complesso PD-1/PD-L1 (PDB 4ZQK). PD-1 (blu scuro) e PD-L1 (turchese) (C) Primo piano dell’interfaccia PD-1/PD-L1.

Appartiene alla famiglia di CTLA-4, condividendo con essa il 20% di identità della sequenza. PD-1 presenta una struttura monomerica, sia in

(36)

soluzione sia sulla superficie cellulare, contrariamente alla CTLA-4 e ad altri elementi della famiglia che sono tutti omodimeri legati da ponti disolfuro.

PD-1 si lega al PD ligando 1 (PD-L1) e al PD ligando 2 (PDL2), altresì noti come B7-H1 e B7-DC rispettivamente (Figura 7A). I ligandi di PD-1 sono glicoproteine transmembrana di tipo 1 costituite da domini immunoglobulinici di tipo variabile e costante, che condividono il 37% di similarità della sequenza e derivano dalla duplicazione genica.41

Tuttavia, la loro regolazione è molto diversa. PD-L1 è indotto sulle cellule ematopoietiche ed epiteliali attivate dalla citochina infiammatoria interferone-γ, che è prodotta da alcune cellule T e NK attivate. PD-L2 manifesta un’espressione molto più selettiva sulle cellule dendritiche (DC) attivate e su alcuni macrofagi.

L’utilizzo del pathway di PD-1 nell’immunoterapia del cancro è scaturito dall’identificazione della upregulation dei ligandi di PD-1 in numerosi tumori umani. Di conseguenza, il loro blocco induce l’attivazione delle cellule T, rafforzando il riconoscimento del tumore. L’approvazione di diversi inibitori di questo pathway, come nivolumab, pembrolizumab, atezolizumab, avelumab, e duravalumab, e l’elevato sviluppo clinico in corso di numerosi altri inibitori, dimostrano l’indubbio impatto esercitato dai modulatori di PD-1/PD-L1 nell’immunoterapia del cancro (Figura 7B,C). Sulla base di questi risultati, sono stati condotti diversi studi riguardanti la caratterizzazione del pathway di PD-1.

(37)

Sono state descritte numerose strutture cristalline di PD-1 e dei suoi ligandi. Poiché PD-1 è un membro della famiglia di co-recettori di CTLA-4, i primi lavori si sono focalizzati sulla caratterizzazione di PD-1 e sulla comprensione delle similitudini e delle differenze in questa famiglia di co-recettori. La prima struttura cristallina del dominio extracellulare della PD-1 murina (PDB 1NPU, 2,0 Å) è stata esaminata da Zhang et al. nel 200442. È

stato evidenziato un monomero con una topologia β sandwich a due strati e una superficie che lega il ligando significativamente differente da quella degli altri elementi della famiglia CTLA-4. L’ansa CDR3 di CTLA-4 è caratterizzata da una sequenza Met-Tyr-Pro-Pro-Pro-Tyr-Tyr che svolge un ruolo centrale nell’attività di binding del ligando. In PD-1, la stessa regione presenta elevati fattori B e una debole densità elettronica rispetto al resto della molecola, indicando che quest’ansa è molto flessibile, contrariamente all’ansa CDR3 rigida di CTLA-4. Inoltre, studi di mutagenesi hanno dimostrato che i residui dell’ansa CDR3 di PD-1 murina (Leu-His-Pro-Lys-Ala) non erano critici per l’interazione PD-1/B7-H1. I residui dell’ansa CDR3 di PD-1 umana e murina non sono conservati, in accordo con il loro modesto coinvolgimento nel binding del ligando. Studi di binding hanno indicato che i filamenti provenienti dalle facce frontali apportano un importante contributo all’interfaccia recettore/ligando. Le anse CDR3 risiedono alla periferia dell’interfaccia e non effettuano contatti atomici fondamentali. Questa interpretazione ha suggerito una modalità di legame filamento-filamento per i complessi PD-1/PD-L che si differenzia

(38)

dalla modalità di legame ansa-filamento osservata nei complessi CTLA-4/ B7.

Gli studi successivi di Lin et al., Lázár-Molnár et al., e Freeman et al. 43

sono stati incentrati sulla struttura del ligando PD-1/PD e sulle posizioni e sulle tasche relativi al binding del ligando. Le strutture dei complessi PD-1 murino/PD-L1 umano e PD-1 murino/PD-L2 murino hanno evidenziato una stechiometria recettore/ligando di 1:1, in contrasto a quello 1:2 relativo alla CTLA-4.43 Nel 2008, Lin et al.43 hanno descritto la struttura del complesso

PD-1 murino/PD-L1 umano (PDB 3BIK, 2,7 Å). Questo studio ha identificato i residui coinvolti nel binding con il ligando PD-L1 quali Met64, Asn66, Asn68, Ser73, Asn74, Gln75, Thr76, Lys78, Val90, Leu122, Gly124, Ile126, Leu128, Pro130, Lys131, Ala132, Ile134, e Glu136. Relativamente alle sequenze di PD-1 umana e murina, sono evidenti alcune differenze, suggerendo che PD-1 umana potrebbe legarsi con lievi differenze a PD-L1. Nel dettaglio, Met64 corrisponde a Val, Asn68 a Tyr, e Val90 a Gly. I residui critici di PD-L1 umano per il legame del ligando sono Phe19, Thr20 Tyr56, Met115, Ala121, Asp122, Tyr123, Lys124, e Arg125 (Figura 7C) e sono fortemente conservati tra organismi differenti. Inoltre, le loro mutazioni portano all’abolizione del legame con PD-1.

Lin et al43e Lázár-Molnár et al.44hanno inoltre suggerito l’organizzazione e

l’interazione di PD-1/PD-L1 all’interfaccia cellula-cellula. Semplici processi diffusivi e una mutua affinità portano ad un complesso compatto di PD-1 con i ligandi di PD nell’interazione cellulare.

(39)

Sebbene PD-1, murina e umana, condividono un’elevata identità della sequenza (64%), sono necessari studi strutturali che coinvolgano PD-1 umana. La struttura di PD-1 umana è stata valutata da Cheng e colleghi45

attraverso approcci basati su NMR, evidenziando differenze rispetto all’omologo murino. Tuttavia, PD-1 murina presenta un dominio immunoglobulinico “convenzionale” ad impostazione variabile, il recettore umano manca di un filamento C′′, e, invece dei filamenti C′ e D, evidenzia un loop piuttosto lungo e flessibile. Nel complesso, queste variazioni sono responsabili delle differenti affinità di legame delle PD-1, murina e umana, ai loro ligandi. I modelli dei complessi di 1 umana/L1 umano e PD-1 umana/PD-L2 murino sono stati costruiti sovrapponendo la PD-PD-1 umana alle strutture complesse risolte ipotizzando che la PD-1 umana dovrebbe condividere una simile modalità di legame con le strutture murine.43-44 Nei

complessi modellati, il residuo Tyr68 al centro della regione di binding di PD-1 umana (Asn nella PD-1 murina) interagisce con una tirosina (Tyr123 nel PD-L1 umano, Tyr112 nel PD-L2 murino) conservata nei ligandi di entrambe le specie. La sostituzione di Tyr68 per Asn potrebbe essere altrimenti responsabile del più debole legame delle proteine murine.45

Sebbene le differenze strutturali tra PD-1 murina e umana siano state segnalate da Cheng e colleghi,45 i loro domini di binding del ligando

sembrano identici a quelli finora segnalati (Phe53, Asp55, Thr59, Ser60, Glu61, Asn66, Tyr68, Arg69, Ser73, Gln75, Thr76, Ala80, Gln88, Arg112, Thr120, Leu122, Cys123, Gly124, Ala125, Leu128, Lys131, Ala132,

(40)

Gln133, e Ser137). I residui descritti sono comuni per entrambi i ligandi di PD-1, ma alcuni si legano esclusivamente a PD-L2, come Met70, Ser71, Asp77, Leu79, Phe72, Ser83, Phe106, e Ala149.

In aggiunta agli studi cristallografici e NMR finora segnalati, l’assenza della struttura cristallina della PD-1 umana e le differenze tra l’affinità dei ligandi ha portato ad uno studio intensivo di molecular modeling descritto nel 2015 da Viricel et al46. Per stabilire un modello accurato della PD-1 umana, come pure per prevedere la più verosimile conformazione di

binding per i suoi ligandi, la metodologia di Viricel et al.46 ha utilizzato il modeling d’omologia per generare una struttura della PD-1 umana, con

successive simulazioni delle dinamiche molecolari per studiare la stabilità e le conformazioni dei modelli generati, il docking proteina−proteina, e l’analisi energetica del legame. Una volta generato il modello di omologia della PD-1 umana, i calcoli di docking e dell’energia di legame concordavano con i risultati empirici descritti da Cheng e colleghi,45

identificando la mancanza del filamento C′′ e un lungo e flessibile loop nella PD-1 umana. Inoltre, le energie di legame hanno evidenziato una più elevata affinità di PD-L2 per PD-1, rispetto a PD-L1, a causa dell’estensione della superficie di binding di L2 rispetto a quella di L1. Le strutture cristallografiche riportate non riescono a descrivere la PD-1 umana o il complesso PD-PD-1 /PD-L umano. In seguito, nel 20PD-15, Zak et al.46 hanno descritto la struttura cristallina del complesso PD-1/PD-L1

(41)

delle differenze della 1 murina e umana nell’interfaccia di binding PD-1/PD-L1 come pure alla definizione delle tasche hot-spot (Tabelle 2 e 3). Questo studio ha dimostrato che la formazione del complesso umano coinvolge una significativa flessibilità e riorganizzazione strutturale, contrariamente alla corrispondente PD-1 murina.46

I residui che hanno evidenziato la maggiore flessibilità erano Tyr68, Thr76, Leu122, Cys123, Gly124, e Ile134. L’analisi dettagliata delle interazioni recettore−ligando ha portato all’identificazione di interazioni idrofobiche e polari come pure a legami d’idrogeno che riguardano Val64, Asn66, Tyr68, Gln75, Thr76 Ile126, Leu128, Ala132, Ile134, e Glu136 di PD-1.

(42)

Tabella 3. Hot Spot, residui, e interazioni chiave del target PD-L1

Lo studio ha portato anche all’identificazione degli hot-spot per PD-1 e PD-L1 (Tabelle 2 e 3).La struttura cristallina riportata da Zak et al.46 e

l’approvazione di farmaci che bersagliano il recettore di PD-1 sono stati i punti fondamentali negli studi riguardanti il complesso PD-1/PD-L. Recenti studi sono al momento focalizzati sul complesso recettore/farmaco e sulle interazioni consolidate. Sono state approvate e risolte diverse strutture cristalline di anticorpi monoclonali provati in trial clinici o in fase di sviluppo (nivolumab, pembrolizumab, avelumab, KN035, e BMS-936559) che si legano a PD-1 e PD-L1. Na et al.45 hanno descritto il complesso

PD-1/pembrolizumab (PDB 5JXra struttura di questo complesso è stata descritta da Horita et al.,44con una risoluzione più elevata (PDB 5B8C, 2,2

Å). Lee e colleghi33 hanno risolto la struttura di PD-1/nivolumab (PDB

(43)

et al.56 hanno descritto la struttura del complesso PD-1/nivolumab (PDB

5WT9, 2,4 Å). Queste tre strutture cristalline, attualmente disponibili per il complesso PD-1/pembrolizumab, forniscono informazioni dettagliate e significative sul sito di legame di pembrolizumab (Figura 8A).33,47,48 Questa

tasca d’interazione all’interfaccia recettore/farmaco include 15 legami a idrogeno diretti tra i residui, 15 legami a idrogeno acqua-mediati, due ponti salini, e interazioni idrofobiche. In totale, 26 residui di PD-1 sono coinvolti nell’interazione.33,47,48 Una comparazione strutturale tra i complessi

PD-1/pembrolizumab e PD-1/PD-L1 ha rivelato che l’epitopo riconosciuto da pembrolizumab sovrappone ampiamente i residui responsabili dell’interazione PD-1/PD-L1 (Figura 8B). E’ stato risolto anche il complesso PD-1/nivolumab e sono disponibili due strutture cristalline.

Figura 8: Blocco di PD-1 con l’uso di anticorpi. Le anse CDR e i β-filamenti di nivolumab e

pembrolizumab sono coinvolti nel blocco della PD-1. (A) Superficie strutturale complessiva del complesso PD-1/nivolumab Fab (PDB 5GGR). Regione d’interfaccia (arancione) di nivolumab Fab (blu chiaro) e PD-1 (blu). (B) Superficie strutturale complessiva del complesso PD-1/pembrolizumab Fab (PDB 5GGS). Regione d’interfaccia (arancione) di pembrolizumab Fab (blu chiaro) e PD-1 (blu).

(44)

Queste strutture suggeriscono la presenza di numerosi legami a idrogeno che coinvolgono i residui Pro28, Asp29, Arg30, Ser60, Leu128, Ala129, Pro130 Lys131, e Ala132, e contatti di van der Waals con Ser27, Pro28, Pro31, Glu61, Ala129, Pro130, Lys131, Ala132, e Gln133 della PD-1.33

Similmente al complesso PD-1/pembrolizumab, il complesso PD-1/nivolumab indica che l’epitopo riconosciuto da nivolumab sovrappone ampiamente i residui coinvolti nell’interazione PD-1/PD-L1 (Figura 8A).

È stata presa in considerazione anche l’inibizione del corrispondente ligando PD-L1 e inizialmente gli studi cristallografici si sono focalizzati sulla caratterizzazione dello stesso PD-L1, a partire dal 2008, da parte di Lin et al.45 (PDB 3BIS, 2,6 Å) e quindi nel 2010 da parte di Cheng e

colleghi48 (PDB 3FN3, 2,7 Å). L’inibizione di PD-L1 da parte degli anticorpi

monoclonali ha portato a una delucidazione sulla struttura dettagliata del complesso farmaco/recettore utilizzando anticorpi approvati o attualmente in fase di sviluppo (Figura 9). I gruppi di Liu,49 Lee,33,49 e Zhang51 hanno

risolto la struttura cristallografica dei complessi PD-L1/ avelumab, PD-L1/BMS-936559, PD-L1/KN035, e PD-L1/durvalumab, con una risoluzione di 3,2, 2,8, 1,7, e 2,7 Å (PDB 5GRJ, 5GGT, 5JDS, e 5X8M), rispettivamente. Lee e colleghi45 hanno dimostrato che l’epitopo

BMS-936559 occupa una grande parte del sito di legame di PD-1 (Figura 9A). Inoltre l’elevata avidità, risultante dalla bivalenza delle IgG, a causa

(45)

dell’elevato livello dell’espressione di PD-L1 in molti tipi di cancro, porterebbe portare ad un efficiente blocco dell’interazione PD-1/PD-L1.33

La struttura del complesso PD-L1/avelumab riportata sia da Liu et al.50 sia

da Lee et al.51 ha rivelato che avelumab si lega a PD-L1 utilizzando

entrambe le catene, pesante e leggera, e occupa la regione dell’epitopo corrispondente al legame di PD-1 (Figura 9B). La struttura riportata da Zhang et al.52nel 2017 era costituita dal complesso PD-L1/KN035. Questo

inibitore è una nanoparticella che dissocia l’interazione PD-1/PD-L1 occupando la regione dell’epitopo corrispondente al binding di PD-1, come precedentemente descritto.

Figura 9: Blocco di PD-L1 mediante anticorpi. (A) Superficie strutturale complessiva del

complesso PD-L1/BMS-936559 Fab (PDB 5GGT). Regione d’interfaccia di BMS-936559 Fab (blu chiaro) e PD-L1 (turchese). (B) Superficie strutturale complessiva del complesso PD-L1/avelumab Fab (PDB 5GRJ). (C) Superficie strutturale complessiva del complesso PD-L1/KN-035 (PDB 5JDS) e PD-L1 (turchese).(D) Superficie strutturale complessiva del complesso PD-L1/durvalumab Fab (PDB 5X8M).

(46)

Gli autori si sono focalizzati sull’affinità di binding dell’ordine del nanomolare di KN035 a PD-L1. Questa è dovuta a entrambe le interazioni idrofobiche e ioniche sulla superfice di binding di PD-L1 e alla flessibilità dei loop CDR, che possono interagire con i residui dell’interfaccia (Figura 9C).52

L’ultima struttura cristallina descritta da Lee et al.51è il complesso di PDL1,

e l’ultimo anticorpo monoclonale approvato è durvalumab. Durvalumab si lega perpendicolarmente a PD-L1 utilizzando 16 residui che interagiscono attraverso diversi legami a idrogeno, ponti salini, e interazioni idrofobiche. La maggior parte delle interazioni chiave sono stabilite nella regione dell’epitopo corrispondente al binding di PD-1 (Figura 9D). Sulla base dei promettenti risultati derivanti dal blocco di PD-1 e/o dei suoi ligandi, questo potrebbe essere un approccio promettente per potenziare l’immunità antitumorale. Sebbene i composti di prima generazione (anticorpi monoclonali) abbiano già raggiunto il mercato, lo sviluppo di nuovi inibitori di checkpoint immunitari è tuttora in corso. Pertanto, recentemente è stato descritto l’uso di piccole molecole che bersagliano PD-1 e PD-L1 come un’alternativa agli anticorpi monoclonali.

La Bristol-Myers Squibb ha brevettato una libreria di piccole molecole non peptidiche con scaffold (2-metil-3-bifenilil)metanolo quali utili immunomodulatori che bersagliano la via PD-1/PD-L1 (Figura 10). Tuttavia non è stata fornita alcuna informazione dettagliata. Per

(47)

caratterizzare i composti della Bristol-Myers Squibb, nel 2016 e 2017 sono state identificate da Holak e colleghi diverse strutture cristalline del PD-L1 con inibitori a basso peso molecolare di (2-metil-3-bifenilil)metanolo (PDBs 5J89, 5J8O, 5N2F, 5N2D, 5NIX, e 5NIU), rispettivamente con una risoluzione di 2,2, 2,3, 1,7, 2,4, 2,2, e 2,0 Å. 52-54

Figura 10. Piccole molecole attive su PD-L1. (A) Scaffold (2-metil-3-bifenilil)metanolico

progettato dalla Bristol-Myers Squibb. Le piccole molecole inibitrici 1 (IC50 18 nM), 2 (IC50

146 nM), e 3 (IC50 80 nM) derivano dalla libreria originale brevettata. L’inibitore 4 è uno

dei composti ottimizzati descritti da Holak et al.54-56 (B) Inibizione di PD-L1.

Rappresentazione superficiale di due molecole di PD-L1 (turchese) collegatealla piccola molecola inibitrice (verde) (PDB 5N2F). (C) Rappresentazione superficiale della tasca di legame di PD-L1 (turchese).

(48)

Le strutture cristalline dei composti (2-metil-3-bifenilil)metanolici 1 e 2 (Figura 10A) e dei complessi di PD-L1 sono state le prime a essere risolte nel 2016.53 La caratterizzazione della struttura tramite studi con raggi X e

NMR ha rivelato la mancanza dell’interazione PD-1/PD-L1 come pure il

binding di 1 e 2 a PD-L1 e non a PD-1.

Sebbene i composti descritti abbiano scarse proprietà drug-like sono comunque risultati utili nel fornire informazioni sulle interazioni proteina−inibitore, costituendo pertanto una proof of concept che il bersagliamento della via di PD-1 sia perseguibile non solo con gli anticorpi.

Questo studio ha fornito una descrizione dettagliata del sito di binding, evidenziando l’interazione dei composti con PD-L1 attraverso la superficie idrofobica, coinvolta nell’interazione PD-1/PD-L1. Questo è risultato in accordo con gli hot-spot ipotizzati, precedentemente descritti dagli stessi autori nel 2015.

Gli studi del 2017 riportati da Holak e colleghi54-56 hanno confermato il

meccanismo d’inibizione dei derivati del (2-metil-3-bifenilil)metanolo, secondo il quale il binding con il ligando indurrebbe la dimerizzazione di PD-L1 (Figura 10B). Le ultime strutture cristalline identificate relative alle piccole molecole 3 e 4 hanno rivelato la significativa flessibilità della tasca di legame al ligando PD-L1 e la possibilità di generare strutture più grandi.

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Sebbene i residui coinvolti siano uguali a quelli già descritti, lo spostamento di Tyr56 crea un inatteso tunnel idrofobico (Figura 10D) con il [3-(2,3-diidro-1,4-benzodiossin-6-il)-2-metilfenil]metanolo (3).

Oltre alla caratterizzazione del sito di binding di PD-L1 e delle piccole molecole inibitrici appena visti, Holak et al.55hanno descritto nuove piccole

molecole quali migliori inibitori con scaffold (2-metil-3-bifenilil)metanolico. Gli autori hanno ottenuto il derivato 4, e valutato la sua attività in vitro. I risultati strutturali e biochimici hanno confermato l’attività, e questi composti sono risultate le prime molecole ottimizzate finora descritte. Sono state riportate altre piccole molecole quali inibitori dei checkpoint immunitari (Figura 11). Tra queste troviamo le funzioni 1,2,4-ossadiazolo (5) e 1,2,4-tiadiazolo, attualmente in fase 1 dei trial clinici.

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Figura 11.Altri scaffold attivi che agiscono su PD-L1. L’inibitore 5 è un derivato dell’1,2,4-ossadiazolo, e il composto 6 è un inibitore peptidomimetico; entrambi derivano dalla Aurigene Discovery Technologies Limited. Il potente inibitore macrociclico peptidico

7 (IC50 5,2 nM) è della Bristol-Myers Squibb.

Tuttavia, oltre a essere descritti quali inibitori dell’interazione PD-1/PD-L1, non esistono altri dati che confermino la loro azione. Le ipotesi finora sollevate suggeriscono pertanto che questi composti agiscano sulla via PD-1/PD-L1, e non è stato evidenziato nessun tipo di binding diretto. Inoltre sono stati descritti numerosi altri inibitori peptidomimetici56-58 o

peptidi-macrociclici,59-67 che hanno dimostrato che l’inibizione

dell’interazione PD-1/PDL1 (Figura 12) è un possibile e promettente approccio terapeutico per l’immunoterapia del cancro. Holak et al.61 hanno

riportato informazioni strutturali sui peptidi macrociclici bioattivi inibitori della via PD-1/PD-L1. È stata utilizzata la cristallografia a raggi X per identificare due strutture cristalline con una risoluzione di 1,0 e 2,3 Å (PDBs 5O45 e 5O4Y). Le strutture cristalline hanno rivelato un differente modo di binding a PD-L1 rispetto ai derivati del (2-metil-3-bifenilil)metanolo, suggerendo un’alternativa per la progettazione di nuove piccole molecole inibitrici. La caratterizzazione strutturale dimostra che i peptidi macrociclici possono legarsi all’interfaccia di PD-L1 che coincide con il sito di binding di PD-1 (Figura 12). La parte superiore della superficie di binding è costituita da interazioni idrofobiche, mentre la parte inferiore è dominata da interazioni polari. La struttura non ha rivelato

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nessuna importante modifica conformazionale di PD-L1 nel binding con l’inibitore. La delucidazione strutturale del pathway PD-1/PD-L1 è stata particolarmente intensa negli ultimi anni. Le ultimissime strutture cristalline descritte sono essenziali per l’ulteriore sviluppo di nuovi inibitori, in particolare per le piccole molecole. Sebbene numerose strutture cristalline richiedano un approccio structure-based, è comunque evidente che PD-1 e PD-L1 sono proteine con una tasca di legame altamente flessibile. Inoltre, i derivati (2-metil-3-bifenilil)metanolici, essendo le sole piccole molecole che agiscono sul ligando PD-L1, sono preposte all’ottimizzazione. La loro ottimizzazione è stata problematica, ed è fondamentale una comprensione più approfondita del meccanismo di inibizione per la progettazione di nuovi scaffold che porteranno alla scoperta di nuove molecole che bersagliano questo pathway.

Figura 12. Complesso dell’inibitore macrociclico peptidico (7)/PD-L1 (PDB 5O45). (A)

Vista dettagliata dell’interazione PD-L1 (turchese)/peptide (7) (verde). Le catene laterali idrofobiche interagiscono con la caratteristica fenditura per la modalità di legame “face-on”. La zona polare dell’interazione include due legami d’idrogeno con Glu58 e Asp61 dalle ammine portanti del peptide.

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GITR

La proteina TNFR-correlata glucocorticoide-indotta (GITR), nota anche come TNFRSF18, appartiene alla famiglia TNFR ed è espressa dopo che TCR ha legato le cellule T di CD4+ e CD8+.62La GITR è espressa a bassi

livelli nelle cellule T a riposo, ed è up-regolata 24−72 h dopo il legame di TCR, rimanendo sulla superficie del linfocita per diversi giorni. Al contrario, le cellule T reg esprimono costitutivamente e intensamente la GITR. Questo recettore è responsabile della mediazione della co-stimolazione, causando un potenziamento della proliferazione delle cellule T e delle funzioni effettrici. La GITR è una glicoproteina transmembrana di tipo 1 con una lunghezza di 241 aa, comprendente un dominio extracellulare (residui 26−162), un dominio transmembrana (residui 163−183), e un dominio citoplasmatico (residui 184−241). Il recettore condivide il 4−28% di identità della sequenza con altri elementi della famiglia TNFR, ma non è ancora stata riportata la sua struttura cristallina, nè altri studi strutturali.

La GITR è attivata dal ligando GITR (GITRL), che è altamente espresso nelle cellule APC ed endoteliali attivate (Figura 13A).63 Il GITRL è una

glicoproteina transmembrana di tipo 2 con una lunghezza di 199 aa, comprendente un dominio citoplasmatico (residui 23−50), un dominio transmembrana (residui 51−71), e un dominio extracellulare (residui 72−199). Il legame con GITR protegge le cellule T dall’attivazione della

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