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SVILUPPO DI UN METODO DI PATTERN RECOGNITION PER L'IDENTIFICAZIONE NEL SEGNALE ELETTROENCEFALOGRAFICO DEI FUSI DEL SONNO: IMPLICAZIONI PER I MECCANISMI DI CONSOLIDAMENTO DELLE MEMORIE

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Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Biomedica

Tesi di Laurea

SVILUPPO DI UN METODO DI PATTERN RECOGNITION PER

L

IDENTIFICAZIONE NEL SEGNALE ELETTROENCEFALOGRAFICO DEI FUSI DEL SONNO

:

IMPLICAZIONI PER I MECCANISMI DI

CONSOLIDAMENTO DELLE MEMORIE

Relatori:

Prof. Alberto Landi

Candidata:

Dott. Angelo Gemignani

Jessica Gemignani

Dott. Danilo Menicucci

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Questo lavoro di tesi ha l’obiettivo di sviluppare e validare un metodo per l’individuazione automatica dei fusi del sonno (sleep spindles). L’algoritmo qui sviluppato sfrutta le caratteristiche morfologiche peculiari del fuso del sonno e perciò rientra nella famiglia dei “pattern recognition”; la validazione effettuata è stata basata sia su un confronto tra i riconoscimenti manuali e quelli automatici, sia mediate la valutazione dei risultati ottenuti applicando l’algoritmo a un esperimento di neuroscienze che riguarda i meccanismi di consolidamento delle memorie dichiarativa e procedurale durante il sonno.

I fusi del sonno sono particolari oscillazioni elettroencefalografiche caratteristiche prevalentemente degli stadi 2 e 3 del sonno ed è stata da lungo tempo ipotizzata una loro correlazione con i processi di consolidamento della memoria, anche se non è stata tuttora accertata una vera e propria relazione causale.

L’individuazione dei fusi del sonno, e più in generale la classificazione degli stadi, è stata sempre effettuata manualmente tramite l’utilizzo dei criteri standard descritti nel 1968 da Rechtschaffen e Kales e pubblicati nel libro A manual of standardized terminology,

techniques and scoring system for sleep stages of human subjects. Nonostante una loro

leggera modifica e integrazione nel 2007, tali criteri, chiamati R&K, fin da allora sono stati universalmente riconosciuti e utilizzati tanto in ambito di ricerca quanto in ambito clinico.

Negli ultimi anni si è reso però evidente come lo staging manuale, per quanto accurato, trovi le sue limitazioni proprio nel carattere manuale della tecnica, e quindi nella soggettività intrinseca della lettura. In particolare, per quanto riguarda l’individuazione dei fusi del sonno, si può notare come l’individuazione manuale risulti difficoltosa e suscettibile di molti errori, soprattutto a causa del lungo tempo che richiede e della variabilità nelle interpretazioni date da specialisti diversi che effettuano la stessa lettura.

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ruolo del sonno nei processi della memoria (capitolo 3) e vengono spiegate più dettagliatamente i meccanismi di generazione e le caratteristiche della Slow Wave Oscillation e dei fusi del sonno, che sono le principali oscillazioni elettroencefalografiche legate all’apprendimento (capitolo 4).

Nella seconda parte, si introduce il problema delle limitazioni della lettura manuale del segnale, ovvero i lunghi tempi richiesti dall’analisi, il rischio di una riduzione dell’attenzione dell’operatore nel corso della lettura, il problema della variabilità nelle interpretazioni date da operatori diversi; da qui nasce l’importanza di sviluppare un algoritmo che permetta la rilevazione automatica; si espone quindi nel capitolo 5 uno stato dell’arte sui principali algoritmi proposti in letteratura per l’approccio alla rilevazione automatica dei fusi del sonno, ovvero i metodi tempo frequenza, come la Short Time Fourier Transform e la Trasformata Wavelet, i metodi di pattern recognition, che sono quelli a cui si ispira il presente lavoro di tesi, e i metodi basati sul Matching Pursuit.

Nel capitolo 6 viene esposta l’implementazione del metodo di rilevazione oggetto di questo lavoro di tesi e la sua applicazione ai segnali EEG raccolti nell’ambito di un trial sperimentale condotto dal Centro Extreme,SSSUP – Istituto di Fisiologia Clinica del CNR che prevede l’esecuzione da parte dei partecipanti di due compiti di apprendimento visuo-motorio di differente difficoltà, in due giorni diversi, e la successiva registrazione EEG del sonno; per misurare il grado di correttezza con cui veniva eseguito il compito sono stati utilizzati dei punteggi. Dalla misura del rate di occorrenza degli spindles nelle due notti è stato possibile valutare se la differenza di difficoltà sperimentata nel task durante il giorno ha avuto effetti sulla quantità di spindles rilevati; oltre al rate di occorrenza degli spindles, sono state anche estratte diverse caratteristiche, come l’ampiezza, la durata, la frequenza istantanea e la percentuale di spindles broadband, ossia gli spindles per i quali è stato

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differenziale di ciascuna caratteristica tra le due notti e la variazione nel punteggio del compito.

Nei capitoli 7 e 8 si espongono infine i risultati ottenuti in termini di correlazione e le conclusioni relative tanto all’accuratezza dell’algoritmo implementato quanto ai risultati fisiologici ottenuti. Quello che si osserva dalle mappe topologiche è che la registrazione EEG che segue l’esecuzione del compito visuo-motorio ha una maggiore densità di spindle, ma questi sono caratterizzati da una minore frequenza e una durata maggiore rispetto agli spindle dell’altra notte; in pratica si verifica un aumento e contestualmente un rallentamento dei fusi del sonno. Inoltre si può apprezzare un significativo aumento dell’attività gamma nella notte che segue il compito.

Dati i risultati ottenuti, osserviamo che il sonno successivo al compito visuo-motorio che richiede apprendimento è associato a una maggiore ampiezza dei pacchetti di attività gamma rilevati durante il sonno NREM. Se da una parte abbiamo che questa maggiore attività gamma potrebbe stimolare il nucleo reticolare e quindi ad una maggiore espressione degli spindle, dall’altra abbiamo però che essendo un’attività desincronizzata potrebbe indebolirne le oscillazioni, con il risultato di un rallentamento generale del fuso nella notte successiva al compito. Per quanto riguarda le correlazioni, possiamo ipotizzare che una minor attività gamma, e di conseguenza un minor rallentamento degli spindles, siano associati a una migliore performance nell’esecuzione del task, indicando che il marker di un consolidamento efficace della memoria risiede quindi più che nel numero vero e proprio di spindles del sonno, nella loro “capacità” di mantenere la propria frequenza caratteristica; l’attività gamma si configurerebbe quindi come un “rumore” rispetto a tali meccanismi.

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attenzione, a causa della forte soggettività che possiamo osservare nelle ampiezze del segnale e quindi nell’impostazione delle soglie, benchè già in questa versione non siano soglie fisse ma parametrizzate rispetto alla media del segnale. Inoltre, un altro aspetto a cui prestare attenzione è il filtraggio del segnale, che può condurre a risultati molto diversi anche al variare di solo 1 Hz la banda passante.

La rilevazione automatica di spindles è di grande interesse clinico e può trovare applicazione nella diagnosi o nella valutazione di vulnerabilità di alcuni soggetti a disturbi quali la depressione e la schizofrenia; può essere inoltre utilizzata quale valido indicatore dell’outcome farmacologico di alcuni principi, come le benzodiazepine.

Uno degli sviluppi futuri più importanti di questo lavoro sarà il clustering dei risultati ottenuti da tutti gli elettrodi per valutare l’evento complessivo dell’attività spindles, che infatti sappiamo coinvolgere tutte le aree della corteccia. In tal modo sarà possibile studiare la distribuzione spaziale e temporale di questa attività e comprendere in modo più approfondito i meccanismi che ne stanno alla base.

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Al termine di questo lungo percorso di studi, vorrei ringraziare prima di tutto il Centro Extreme dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, presso cui ho svolto il mio lavoro di tesi; un ambiente fatto di ottime persone che ogni giorno mettono professionalità, bravura e abnegazione nel loro lavoro e che grazie alla loro enorme disponibilità mi hanno reso questo lavoro oltre che interessante e stimolante anche molto piacevole.

Un ringraziamento sincero ai miei relatori e in particolare al Dott. Danilo Menicucci, il cui supporto quotidiano è stato determinante per la riuscita di questo lavoro e da cui ho imparato molto, ma avrei voluto imparare molto altro ancora.

Un pensiero affettuoso poi a tutti i miei amici, parenti e conoscenti; mi sento davvero fortunata per tutte le persone che so di avere accanto perciò un ringraziamento di vero cuore a ognuno di voi, che con il vostro calore contribuite a sostenermi e incoraggiarmi in tutti i miei passi.

Questo lavoro, l’impegno che ho messo nei miei studi e l’entusiasmo che metterò in tutto quello che mi aspetta lo dedico ai miei genitori: siete la mia ispirazione più forte, il mio coraggio, la mia stella polare.

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Ringraziamenti ...

Capitolo 1 - IL SONNO ... 1

1.1 Caratteristiche generali del sonno ... 1

1.2 Macrostruttura del sonno ... 3

1.3 Correlati neuronali del sonno e della veglia ... 5

1.4 Meccanismo di regolazione sonno/veglia ... 7

1.5 Bibliografia ... 13

Capitolo 2 - L’ ATTIVITA’ ELETTRICA INTRACORTICALE E DI SCALPO ... 14

2.1 Strutture cerebrali e generazione del segnale ... 14

2.2 Genesi dei potenziali elettroencefalografici ... 17

2.3 Ritmi dell’EEG ... 21

2.4 Il problema diretto: dalle sorgenti alla determinazione del potenziale ... 22

2.5 Modelli del volume conduttore ... 23

2.6 Limiti dei modelli del volume conduttore ... 31

2.7 Bibliografia ... 32

Capitolo 3 - SONNO E APPRENDIMENTO ... 33

3.1 Il processo della memoria ... 33

3.2 Tipi di memoria ... 34

3.3 Ruolo del sonno nel consolidamento della memoria ... 35

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4.2 Spindles... 48

4.3 Bibliografia ... 53

Capitolo 5 - STATO DELL’ ARTE SULLA RILEVAZIONE AUTOMATICA DEGLI SPINDLES ... 55

5.1 Metodi basati sull’utilizzo di STFT e Trasformata Wavelet ... 56

5.2 Metodi basati sul pattern recognition ... 65

5.3 Metodi basati sul Matching Pursuit ... 66

5.4 Bibliografia ... 69

Capitolo 6 - IMPLEMENTAZIONE DELLA RILEVAZIONE AUTOMATICA DI SPINDLES .. ... 70

6.1 Algoritmo di rilevazione degli spindles ... 70

6.2 Protocollo sperimentale ... 76

6.3 Scoring del task visuomotorio ... 80

6.4 Estrazione delle caratteristiche ... 80

6.5 Analisi delle caratteristiche estratte ... 80

6.6 Analisi dei punteggi del task nelle sessioni ... 81

6.7 Correlazioni ... 81

6.8 Bibliografia ... 84

Capitolo 7 - ESTRAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DEGLI SPINDLES ... 85

7.1 Caratteristiche degli spindles ... 85

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8.3 Considerazioni sul metodo implementato ... 92 8.4 Bibliografia ... 96

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1.1 Caratteristiche generali del sonno

Il sonno è definito come uno stato naturale e reversibile di riduzione della reattività agli stimoli esterni e di relativa inattività, accompagnato da assenza di coscienza, perciò dal punto di vista evolutivo è una condizione potenzialmente pericolosa. La spiegazione che in passato veniva comunemente data del perché gran parte degli animali più evoluti dormano è che il sonno è una condizione prodotta da una riduzione dell’attività cerebrale indotta dalla fatica. Fino al 1945 la maggior parte degli studiosi condivideva questa concezione, cioè si riteneva che lo stato di veglia venisse mantenuto attivamente dagli stimoli sensoriali e che durante il sonno il cervello si “spegnesse” a seguito della quiescenza indotta dalla fatica, in cui gli stimoli periferici venivano meno. Le ricerche successive dimostrarono invece che il sonno è tutt’altro che un processo passivo, è una condizione cerebrale indotta attivamente e ben organizzata in fasi distinte, e fecero definitivamente tramontare la vecchia ipotesi che vedeva il sonno semplicemente come una condizione di attività cerebrale ridotta.

Un’altra ipotesi sul ruolo del sonno riguarda l’omeostasi sinaptica, ovvero che si pensa che il sonno serva a tenere sotto controllo l’efficacia delle sinapsi, portandole a valori basali durante la notte. Infatti, come già spiegato, i geni che potenziano le sinapsi sono maggiormente espressi durante la veglia. In effetti, sarebbe impossibile sostenere l’efficacia sinaptica nella stessa misura per tutta la durata delle ventiquattrore, dato che solo durante la veglia richiederebbe l’80% del consumo energetico cerebrale. Per questo motivo, un meccanismo omeostatico si rende indispensabile per evitare la saturazione delle capacità cerebrali.

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L’altra grande ipotesi, oggetto del presente lavoro di tesi, è che il sonno favorisca alcune forme di memoria. La possibile spiegazione è che la disconnessione sensoriale riduca le interferenze esterne e permetta la riattivazione dei circuiti nervosi attivati durante il giorno in fase di apprendimento.

Il sonno, al pari di molte altre attività fisiologiche ha un andamento circadiano, influenzato dalla luce (tratto retino-ipotalamico, come spiegato più avanti); inoltre il sonno mostra una dinamica periodica ed è regolato omeostaticamente.

La regolazione omeostatica del sonno ha come caso estremo il fatto che la privazione del sonno conduce a seri problemi sia cognitivi che emotivi, tant’è che gli animali che vengono privati dal sonno cronicamente arrivano a mostrare deficit nella regolazione della temperatura e del peso e infine, muoiono per disautonomie, o infezioni varie e lesioni tissutali conseguenti depressione immunitaria.

Da un punto di vista comportamentale, il sonno viene definito sulla base di quattro criteri: (1) riduzione dell’attività motoria, (2) diminuzione delle risposte agli stimoli, (3) presenza di posture stereotipate, (4) reversibilità relativamente rapida, (è la proprietà che permette di distinguere il sonno da altre condizioni come il coma o l’ibernazione o il letargo).

Durante il sonno l’attività fisiologica può essere adeguatamente monitorata mediante registrazioni elettroencefalografiche, e sono queste registrazioni che mettono ben in evidenza come nei mammiferi, il sonno consista di due principali fasi: il sonno NON-REM caratterizzato dalla presenza di onde lente, SWS (slow-wave sleep) e il sonno REM (rapid-eye-movement), che si alternano in modo ciclico durante tutta la notte.

Nel sonno notturno umano, il sonno a onde lente predomina nella prima parte della notte, decrescendo poi sia in intensità che durata con i cicli successivi; contestualmente, il

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sonno REM diventa sempre più intenso e duraturo, e ha la sua maggiore durata verso la fine della notte.

1.2 Macrostruttura del sonno

L’addormentamento, ossia la transizione dalla veglia all’inizio del sonno, avviene attraverso lo stadio 1; la transizione dura alcuni minuti, durante i quali i movimenti oculari rallentano e il tono muscolare si riduce, così come la capacità di rispondere a stimoli sensoriali. Dal punto di vista elettrofisiologico, mentre appena prima dell’addormentamento le onde del tracciato hanno voltaggio 10-30 μV e frequenze 16-25 Hz, lo stadio 1 è dominato da onde di basso voltaggio e frequenza predominante 3-7 Hz (teta), mista ad altre componenti.

Dopo pochi minuti segue lo stadio 2; lo stadio 2 è caratterizzato dalla presenza di particolari strutture, i complessi K, che sono onde bifasiche di elevato voltaggio che compaiono in modo episodico, e gli sleep spindles, , cioè onde sinusoidali nel range frequenziale 12-14 Hz così chiamati per la loro forma a fuso.

Lo stadio 2 è seguito dagli stadi 3 e 4, che insieme costituiscono il vero e proprio sonno SWS, il sonno ad onde lente. Il tracciato è caratterizzato da onde molto lente di grande ampiezza (0.5-2 Hz, “attività delta”, > di 50 μV). Questa è la fase più profonda del sonno, nel senso che la soglia per il risveglio è la più alta rispetto agli altri stadi. In questa fase l’attività onirica è molto ridotta o assente.

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Figura 1-1: Pattern EEG nei diversi stadi del sonno [da Principi di neuroscienze, Eric R. Kandel, James H. Schwartz, Thomas M. Jessel]

Successivamente allo SWS, il sonno torna ad alleggerirsi, ovvero torna indietro brevemente attraverso gli stadi 3 e 2 e per sfociare nel sonno REM, così chiamato proprio a causa dei movimenti oculari che si fanno molto rapidi; la frequenza dell’EEG aumenta e il tracciato è molto simile a quello della veglia; l’attività onirica è molto intensa. A differenza di quanto avviene nello stato di veglia, il REM si caratterizza per la scomparsa del tono di quasi tutti i muscoli scheletrici, eccettuati quelli che controllano i movimenti degli occhi, degli ossicini dell’orecchio medio ed il diaframma. I meccanismi omeostatici durante il sonno REM si attenuano: il respiro diventa relativamente insensibile alle variazioni della CO2 ematica e si riducono o scompaiono del tutto le risposte al caldo e freddo, perciò la temperatura corporea tende a scendere: questi e molti altri fenomeni contribuiscono a chiarire che il sonno non è banalmente un processo continuo di approfondimento dal sonno superficiale a quello più profondo, bensì è un processo organico complesso, costituito da fasi diverse tra loro, espressione di configurazioni diverse dei meccanismi fisiologici che rappresentano un particolare stato cerebrale.

Da un punto di vista biochimico, l’attività metabolica e il flusso sanguigno si riducono anche del 40% nel sonno SWS rispetto alla veglia; l’attività metabolica che si verifica è dovuta in gran parte alla spesa energetica necessaria alla trasmissione sinaptica, che è praticamente assente nella fase di iperpolarizzazione dell’oscillazione lenta. Nel sonno REM invece, si ha una depolarizzazione tonica e alta frequenza di scarica neuronale, perciò il flusso cerebrale e l’attività metabolica tornano ad alti livelli.

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Un ciclo completo sonno dall’addormentamento alla fine della prima fase REM dura dai 90 ai 110 minuti e si ripete per quattro o cinque volte nell’arco di una notte. Nei cicli successivi la durata del sonno a onde lente diminuisce mentre quella del REM aumenta, ossia il sonno a onde lente prevale nella prima parte della notte, mentre quello REM nella seconda metà.

Il modo in cui si susseguono i cicli di sonno varia moltissimo in funzione dell’età dell’individuo, e in particolare negli anziani la durata del sonno profondo è molto inferiore a quella degli individui più giovani.

1.3 Correlati neuronali del sonno e della veglia

Il sonno è accompagnato da modificazioni di vario tipo, dall’attività neuronale, all’espressione genica nel cervello, alla capacità di rispondere agli stimoli esterni, fino alla attività cognitiva residua.

Attività nervosa spontanea

Per quanto riguarda l’attività neuronale spontanea, la prima caratteristica da notare è la presenza di attività irregolare e ad alta frequenza (>10Hz) nel tracciato EEG della veglia. Questo è da attribuire direttamente alla continua attività sinaptica della corteccia cerebrale e con livelli del potenziale di membrana tali da favorire la produzione potenziali d’azione cosi da poter integrare anche i più piccoli stimoli durante la veglia. Parte della attività ad alta frequenza (attività γ, > 30Hz) caratteristica della veglia sono inoltre associate ai processi cognitivi.

La situazione si modifica radicalmente all’addormentamento: i neuroni corticali vedono ridurre notevolmente il rilascio dei neurotrasmettitori provenienti dai nuclei subcorticali, come l’acetilcolina, spostano il potenziale di membrana verso livelli più iperpolarizzati; per questo motivo, anziché un’attività continua e irregolare dovuta al continuo superamento della soglia del potenziale d’azione che si vedeva nella veglia, nel

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sonno avremo un’oscillazione molto più lenta del potenziale, la sleep slow oscillation, di cui si parlerà meglio più avanti in questa trattazione.

Durante il sonno REM poi, il tracciato EEG torna ad essere simile a quello della veglia, a seguito della massiccia depolarizzazione dei neuroni talamici e corticali dovuta al rilascio

di acetilcolina, che torna ad essere alto, e quindi alla chiusura dei canali al potassio.

Figura 1-2: Profilo tipico del sonno nell'uomo. (A) Profondità e durata dei diversi stadi del sonno, (B) oscillazioni tipiche, (C) neurotrasmettitori coinvolti nella regolazione del ciclo sonno-veglia [da Principi di neuroscienze, Eric R. Kandel,

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1.4 Meccanismo di regolazione sonno/veglia

In prima approssimazione, sono identificati due network di aree cerebrali che, in antagonismo, regolano l’alternarsi di sonno e veglia: il RAS, sistema reticolare attivante, e il HSS, sistema ipotalamico del sonno. Il primo favorisce la veglia ed è localizzato nel tronco dell’encefalo e nell’ipotalamo posteriore, mentre il secondo favorisce il sonno ed è localizzato nell’ipotalamo anteriore.

Oltre a questi due centri c’è poi il sistema generatore del sonno REM, localizzato nella parte dorsale del bulbo, e l’orologio circadiano, nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo, che organizza in modo circadiano il sonno, in funzione del ciclo luce-buio.

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Sistema reticolare attivante e veglia

Ruolo di acetilcolina, istamina, glutammato

E’ oggi noto che i gruppi cellulari costituenti il RAS sono localizzati in posizione strategica in modo da rilasciare in ampie regioni del cervello tutti quei neuromodulatori che favoriscono l’attivazione del tracciato EEG come l’acetilcolina, l’istamina e il glutammato.

La loro azione è quella di bloccare i canali al potassio presenti sulle membrane cellulari nei neuroni corticali e talamici, producendo in tal modo attivazione corticale, ovvero uno stato tonico di depolarizzazione dei neuroni che perciò sono sempre pronti a scaricare. Le cellule colinergiche sono localizzate nel prosencefalo basale e nei nuclei tegmentali peduncolopontino e laterodorsale (PPT e LDT); scaricano ad alta frequenza durante la veglia e il sonno REM mentre riducono la loro scarica durante il sonno NREM. I neuroni colinergici promuovono attivazione corticale mediante due vie di proiezione, una attraverso il talamo e l’altra extratalamica; inoltre proiettano verso l’ipotalamo posteriore. Un altro gruppo cellulare del RAS è quello dei neuroni istaminergici: questi proiettano all’intera corteccia cerebrale, scaricano al massimo durante la veglia e sono inibiti durante il sonno, e infatti l’infusione di istamina negli animali produce attivazione mentre quella di antistaminici produce sonnolenza.

Noradrenalina e attivazione genica

Ci sono poi altri neuromodulatori che influenzano lo stato comportamentale: è il caso delle cellule noradrenergiche del locus coeruleus, che scaricano alla massima frequenza durante la veglia, meno durante il sonno NREM e cessano del tutto durante il sonno REM. E’ stato comunque dimostrato che il rilascio di noradrenalina in sé e per sé non è necessario per l’attivazione corticale; in realtà il sistema noradrenergico ha il suo ruolo chiave nel controllo dell’espressione genica nel ciclo sonno-veglia, ovvero nell’espressione di geni importanti nel potenziamento sinaptico a lungo termine; la forte scarica dei neuroni noradrenergici che si verifica durante la veglia in occasione di scelte comportamentali

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facilita la risposta neuronale agli stimoli esterni, in modo che si possa ricordare successivamente il risultato delle nostre interazioni con l’ambiente. Allo stesso modo, gli stessi geni non devono essere espressi durante la notte, altrimenti si avrebbe confusione tra sogni e realtà, e infatti il sistema noradrenergico non scarica durante il sonno.

Serotonina, dopamina e ipocretina

La serotonina, la dopamina e l’ipocretina hanno tutte un ruolo importante nel mantenimento della veglia. La frequenza di scarica dei neuroni serotoninergici in funzione dello stato comportamentale è la stessa dei noradrenergici, ovvero è alta durante la veglia, bassa durante il sonno NREM, ma al contrario di questi ultimi essi smettono di scaricare quando l’animale si trova davanti a uno stimolo nuovo, mentre scaricano al massimo durante le attività ripetitive.

Sistema ipotalamico del sonno

All’addormentamento, i gruppi neuronali che costituiscono il RAS vengono inibiti in modo attivo dai gruppi antagonisti che costituiscono l’HSS. Nell’induzione del sonno il ruolo più importante è quello dell’area preottica ventrolaterale, una piccola porzione dell’ipotalamo anteriore, i cui neuroni tendono a scaricare a più alta frequenza durante il sonno e a rilasciare GABA, favorendo così l’inibizione dei gruppi neuronali del RAS. I neuroni GABAergici sono detti anche cellule attivanti il sonno non-REM, perché inducono il sonno inibendo appunto le cellule istaminergiche dell’ipotalamo posteriore e le cellule del ponte, che media lo stato di vigilanza.

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Figura 1-4: Un modello semplificato delle possibili connessioni tra i gruppi neuronali chiave nel controllo del sonno REM [da Principi di neuroscienze, Eric R. Kandel, James H. Schwartz]

Sistema generatore del sonno REM

Mentre durante la veglia l’attivazione di PPT e LDT, costituiti come detto da neuroni colinerigici, è associata all’attivazione simultanea anche delle altre componenti del RAS, come i neuroni noradrenergici e serotoninergici, durante il sonno REM questi ultimi sono profondamente inibiti.

Perciò il sonno REM è sostenuto dai nuclei PPT e LDT e da altri gruppi localizzati nella formazione reticolare pontina e bulbare, che sono responsabili di fenomeni come i movimenti oculari rapidi e le forti contrazioni muscolari.

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Figura 1-5: Pattern di attività dei gruppi di cellule coinvolte; ogni riga verticale rappresenta un potenziale d'azione [da Principi di neuroscienze, Eric R. Kandel, James H. Schwartz]

Orologio circadiano soprachiasmatico

Il nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo (SCN) rappresenta il centro di coordinamento del sonno, sincronizza le funzioni endocrine e molti aspetti comportamentali, incluso il ciclo sonno-veglia: gestisce l’attivazione di RAS e HSS in modo che il sonno corrisponda alla fase di buio negli animali diurni e di luce negli animali notturni. Il meccanismo di base è una modificazione dell’eccitabilità nervose delle cellule del SCN con un ritmo di circa ventiquattro ore. La luce influenza i ritmi mediante il tratto retino-ipotalamico, che si porta dalla retina fino al nucleo soprachiasmatico, che di fatto è quindi il responsabile del carattere circadiano del ritmo sonno-veglia.

Regolazione del sonno

Quindi il RAS, l’HSS, il generatore del sonno REM e l’orologio circadiano sono i quattro elementi principali che interagiscono tra loro per regolare il sonno. Il modo in cui avviene la loro interazione è determinata da tre fattori principali:

- Fattore vigilanza: nelle situazioni in cui si richiede vigilanza o in situazioni emotive particolari il fattore vigilanza è in grado di promuovere la veglia anche in piena notte

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e anche in situazioni di stanchezza, grazie all’attivazione transitoria del RAS e quindi alla conseguente attivazione corticale.

- Fattore circadiano: è responsabile del fatto che il sonno abbia luogo nel momento della giornata che da un punto di vista evolutivo è più sicuro per l’uomo, ovvero la notte, dato che l’uomo è una specie fortemente dipendente dal sistema visivo.

- Fattore omeostatico: banalmente, si ha più tendenza ad addormentarsi quanto più si è rimasti svegli, e analogamente dopo una veglia prolungata il sonno aumenterà sia di durata che in intensità.

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1.5 Bibliografia

Bjorn Rasch, J. B. (2013). About Sleep's Role in Memory. Physiology Reviews, 681 - 766.

Eric R. Kandel, J. H. (s.d.). Principi di Neuroscienze. Casa editrice Ambrosiana.  Tononi, G. (2005). Fisiologia Medica. Edi. Ermes.

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Capitolo 2 - L’ ATTIVITA’ ELETTRICA

INTRACORTICALE E DI

SCALPO

L’elettroencefalogramma (EEG) è un’espressione dell’attività elettrica spontanea della corteccia cerebrale, una misura del flusso di corrente extracellulare generato dalla somma delle attività di un elevato numero di neuroni. I segnali EEG possono essere misurati attraverso elettrodi posti sullo scalpo dell’individuo, e per questo si parla di EEG di scalpo; esistono anche registrazioni EEG per mezzo di elettrodi intracranici, utilizzate per scopi diversi e in condizioni particolari (chirurgiche, sperimentali, o per monitorare particolari patologie neurologiche).

I dati di scalpo sono indipendenti dalle dimensioni dell’elettrodo perché i potenziali sono molto mediati dalla conduzione di volume tra il cervello e lo scalpo.

L’EEG di scalpo è un importantissimo strumento clinico che permette di diagnosticare, seguire e trattare moltissime patologie e condizioni di salute: epilessie, disturbi neurologici, tumori cerebrali, ictus, ritardi mentali, disordini metabolici e tanto altro ancora. L’EEG fornisce anche misure quantitative, per esempio riguardo alla profondità dell’anestesia, o la severità di un coma.

2.1 Strutture cerebrali e generazione del segnale

L`encefalo è composto da tre elementi fondamentali: il cervello, il cervelletto e il tronco

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Il tronco cerebrale è la struttura attraverso cui le fibre nervose trasmettono il segnale in entrambe le direzioni tra il midollo spinale e i centri cerebrali.

Il cervelletto, che si trova sopra e dietro il tronco cerebrale, è stato a lungo associato con il controllo dei movimenti muscolari.

Figura 2-1: Struttura dell'encefalo

Il cervello si divide in due emisferi. La porzione esterna di entrambi gli emisferi e’ la

corteccia cerebrale, una struttura ripiegata che varia in spessore dai 2 ai 5 mm, costituita da

materia grigia, così chiamata perché contenente prevalentemente i corpi cellulari, il cui colore tende al grigio quando esaminati ex vivo. Essa, costituisce la parte periferica degli emisferi cerebrali ed è composta dai circa 1010 neuroni corticali, fortemente interconnessi tra loro. Interno alla corteccia si trova il talamo, composto da due strutture ovali poste sopra e a lato del tronco cerebrale, che costituisce la stazione di trasmissione e filtraggio di gran parte degli stimoli sensoriali, ed è un importante centro di integrazione per tutti gli input sensoriali verso la corteccia.

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Cellule piramidali

Sono la parte preponderante della corteccia cerebrale. Il corpo di queste cellule ha una forma triangolare con la base rivolta verso il basso e l’apice diretto verso la superficie della corteccia, risultando quindi disposto in modo perpendicolare alla superficie stessa della corteccia.

Le cellule piramidali sono composte da: 1) un lungo dendrite che scende dall’apice del corpo cellulare attraversando i vari strati corticali ed infine si ramifica in diverse terminazioni; 2) dense ramificazioni alla base del triangolo che si dispongono anche parallelamente alla superficie corticale.

Gli input sinaptici verso un neurone piramidale possono essere di due tipi: potenziali postsinaptici eccitatori (EPSPs) e potenziali postsinaptici inibitori (IPSPs). I primi provocano una depolarizzazione della membrana postsinaptica, i secondi una iperpolarizzazione.

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Cellule non piramidali

Hanno un corpo cellulare piccolo e sono caratterizzate da forma ovale; i loro dendriti si ramificano in tutte le direzioni nelle immediate vicinanze della cellula e in genere i loro assoni non lasciano la corteccia, ma terminano sui neuroni vicini.

Le cellule non piramidali non partecipano in modo sostanziale alle registrazioni di segnale in superficie, e il motivo risiede nella diversa organizzazione dendritica: infatti l’organizzazione spaziale dei dendriti delle cellule piramidali facilita l’integrazione dei segnali afferenti grazie alla loro disposizione sempre perpendicolare alla corteccia e al fatto che attraversano molti strati corticali, raccogliendo quindi gli input da ciascuno strato; inoltre, i dendriti delle cellule piramidali sono in grado di produrre a loro volta potenziali d’azione e quindi di amplificare le correnti sinaptiche. (Eric R. Kandel, Principi di Neuroscienze, 2003). Queste sono le ragioni per cui l’attività elettrica delle cellule piramidali è la fonte principale di generazione del segnale EEG.

2.2 Genesi dei potenziali elettroencefalografici

Il contributo elettrico del singolo neurone corticale non può essere misurato sullo scalpo a causa dell’attenuazione provocata dai tessuti interposti tra la sorgente, cioè la corteccia, e l’elettrodo. Il segnale perciò riflette la somma delle attività elettriche sincrone di milioni di neuroni.

Secondo quanto spiegato precedentemente riguardo alla disposizione della cellula piramidale, l’unità cellula-dendrite rappresenta un dipolo e la variazione di potenziale di una parte della cellula rispetto ad un’altra crea un campo che imprime una corrente extracellulare.

In particolare un impulso di ingresso eccitatorio (EPSP) all’albero dendritico apicale causa una depolarizzazione della membrana dendritica. Di conseguenza una corrente elettrica scorre in un circuito chiuso, attraverso il citoplasma dei dendriti e del corpo

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cellulare della cellula piramidale, richiudendosi all’esterno attraverso il mezzo extracellulare. Il mezzo extracellulare ha una resistenza Rext, perciò la corrente scorrendo fuori dalla cellula produce una differenza di potenziale misurabile in superficie.

Figura 2-3: Flusso di corrente prodotto da un EPSP in un dendrite apicale di una cellula corticale piramidale, la corrente IEPSP entra nel pozzo ed esce dalla sorgente e fluisce attraverso le resistenze di membrana Rm, extracellulare Re ed

del citoplasma Ra [da Principi di neuroscienze, Eric R. Kandel, James H. Schwartz]

Per interpretare la polarità del potenziale registrato bisogna distinguere i siti di ingresso e di uscita della corrente; il sito di ingresso è il pozzo, ed è il polo negativo della differenza di potenziale, mentre quello di uscita è la sorgente ed è il polo positivo.

Ogni potenziale registrabile dalla superficie rappresenta la misura di una differenza di potenziale netta (corrente elettrica moltiplicata per resistenza elettrica) tra l’elettrodo di misura e quello di riferimento.

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Figura 2-4: Genesi del potenziale elettroencefalografico [da Principi di neuroscienze, Eric R. Kandel, James H. Schwartz]

Il segno della registrazione di scalpo dipende da dove sono localizzati all’interno della corteccia gli assoni da cui provengono i segnali eccitatori. Infatti, come è possibile vedere nella figura 2-5, immagine di sinistra, un input talamico produce un pozzo in uno degli strati più profondi, lo strato 4, e una sorgente in uno strato più superficiale. Perciò, l’elettrodo di registrazione si trova più vicino alla sorgente e quindi al polo positivo. Nell’immagine a destra abbiamo invece il caso di un segnale proveniente da un neurone corteccia contrallaterale, il cui assone termina negli strati 2 e 3 della corteccia; in tal modo, avremo un pozzo nella regione più superficiale e una sorgente in quella più profonda, con il risultato che la polarità del segnale prelevato dallo scalpo avrà segno opposto dato che l’elettrodo si trova più vicino al pozzo piuttosto che alla sorgente. Si ha quindi una deflessione del potenziale registrato verso il basso (“downward”) nel caso di sinapsi negli strati profondi e di deflessione del potenziale registrato verso l’alto (“upward”) nel caso di sinapsi più superficiali.

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Entrambi i casi appena trattati si riferiscono a segnali di tipo eccitatorio; nel caso di segnale inibitorio, la situazione è invertita perché nel punto in cui afferisce l’assone anziché un pozzo abbiamo una sorgente, perciò si produce un potenziale downward nel caso di sinapsi inibitoria localizzata nella regione superficiale e un potenziale upward nel caso di sinapsi inibitoria localizzata nella regione più profonda.

Figura 2-5: Il segno del potenziale registrato sullo scalpo dipende dalla natura eccitatoria o inibitoria del segnale afferente e dalla profondità dell’attività sinpatica all’interno della corteccia [da Principi di Neuroscienze, cap. 50 – Eric R.

Kandel, James H. Schwartz]

Il motivo per cui l’EEG origina dai potenziali postsinaptici e non dai potenziali d’azione, sebbene questi siano più ampi, risiede nel fatto che i potenziali postsinaptici hanno una durata molto maggiore, e permettono quindi una sommazione più efficiente che può essere rilevata. L’ampiezza del segnale EEG dipende soprattutto dal grado di sincronia con il quale i neuroni corticali interagiscono: l’eccitazione asincrona genera un segnale

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irregolare e di bassa ampiezza mentre una sincrona un segnale di grande ampiezza e più regolare.

2.3 Ritmi dell’EEG

I tracciati EEG sono caratterizzati da fluttuazioni di voltaggio spontanee associabili processi fisiologici diversi. Queste oscillazioni hanno bande caratteristiche di frequenza e distribuzioni spaziali.

L’EEG è tipicamente suddiviso in bande frequenziali:

• ritmo delta (0.5-4 Hz): tipicamente non presente in condizioni fisiologiche di veglia, è pertanto associato a stati patologici oppure al sonno

•ritmo teta (4-8 Hz): presente durante gli stati di sonno NREM, stadio 2

•ritmo alfa (8-13 Hz): associato a stati di rilassamento in veglia

• ritmo beta (13-20 Hz): associato a livelli mentali attivi come la programmazione motoria e l’allerta

• ritmo gamma (> 20 Hz): legato a stati di elaborazione attiva

Questa suddivisione qualitativa è molto utilizzata per effettuare il visual scoring del tracciato, ma bisogna prestare attenzione perché in un dato istante è composto di componenti frequenziali molto diverse tra loro, come evidenziato meglio dall’analisi spettrale.

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Figura 2-6: Ritmi EEG osservati durante vari stati di coscienza; (a) eccitazione, (b) rilassamento, (c) sonnolenza, (d) sonno, (e) sonno profondo

Ci sono molte possibili fonti di attività elettrica sullo scalpo. I movimenti degli occhi o della lingua, le contrazioni muscolari e altri movimenti possono produrre potenziali di scalpo più ampi dell’EEG.

2.4 Il problema diretto: dalle sorgenti alla determinazione del potenziale

La scarsa risoluzione spaziale dei tracciati EEG non permette una localizzazione diretta delle sorgenti corticali, e d’altra parte analogamente non è immediato conoscere il potenziale generato sullo scalpo dato un certo numero di sorgenti di corrente. Il modo in cui l’attività elettrica neuronale viene trasmessa verso i sensori EEG rappresenta il cosiddetto

problema diretto, mentre la localizzazione delle sorgenti a partire dalla distribuzione dei

segnali EEG misurati sullo scalpo è il problema inverso.

Quando si modellano le sorgenti neurali nel cervello, è appropriato utilizzare l’equazione di Poisson per descrivere il comportamento del campo elettrico:

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dove s(r,t) è la funzione che rappresenta la sorgente di corrente all’interno del volume, ( ) è il potenziale e ( ) è la conduttanza.

Un modo semplice per modellare il problema è descrivere e modellare l’attività generata da un’area corticale come un dipolo equivalente, cioè un dipolo che approssima il fenomeno elettrico e minimizza l’errore quadratico medio tra la distribuzione del potenziale osservata e quella ottenuta con un modello. Quindi i generatori dell’EEG nella corteccia cerebrale sono modellati con più dipoli equivalenti di corrente. L’equazione di Poisson è lineare, perciò il potenziale dovuto a un certo numero di sorgenti in un mezzo omogeneo è la somma dei contributi di ciascuna sorgente presa separatamente.

Il problema è quindi quello di modellare l’anatomia della testa considerando le diverse conduttanze delle varie strutture presenti al suo interno; poi, una volta ottenuti i modelli della sorgente e dell’anatomia del volume conduttore, è possibile determinare i valori dei campi elettrici e magnetici, la cui accuratezza dipenderà quindi dalla scelta dei modelli utilizzati.

Figura 2-7: Schematizzazione della conduzione del segnale

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Il cervello è un mezzo non omogeneo, caratterizzato quindi da una conduttanza che varia con la posizione σ= σ(r). I modelli correnti descrivono l’interfaccia cervello-elettrodo con una sovrapposizione di strati con diversa conduttività. Perciò, la funzione σ(r) è sostituita con σ1, σ2,… σN. costanti all’interno di ciascuna delle N regioni. Limitiamo la discussione ai mezzi non omogenei isotropici in cui le proprietà elettriche sono indipendenti dalla direzione della corrente.

Per le applicazioni EEG, le disomogeneità di conduttanza maggiori sono quelle relativa al cranio e all’aria, dato che hanno conduttanze notevolmente diverse da tutti gli altri tessuti, ma disomogenei tra loro sono anche materia grigia, materia bianca, sangue, fluido cerebrospinale (CSF) ecc… Inoltre, anche il cranio è a sua volta una struttura caratterizzata da 3 strati aventi conduttanza differente, e in particolare lo strato intermedio è più conduttivo degli altri due. E’ chiaro quindi che quindi disomogeneità nella conduttanza del mezzo rende complesso la modellazione di generazione del potenziale a partire da sorgenti di corrente.

Se il mezzo fosse omogeneo, il potenziale dipenderebbe solo dall’ampiezza e dalla posizione delle sorgenti di corrente, mentre invece in un mezzo disomogeneo, i percorsi di corrente e i potenziali sono generalmente distorti perché le correnti seguono il percorso di minore resistenza. In un mezzo omogeneo, il percorso di minore resistenza coincide con il percorso più corto, mentre questo chiaramente non è verificato in un mezzo disomogeneo, dato che le conduttanze dei diversi mezzi variano con la posizione.

I potenziali generati in un mezzo non omogeneo possono essere determinati attraverso la risoluzione appropriata dell’equazione di Poisson. Le soluzioni dell’equazione dipendono dall’ampiezza e dalla localizzazione delle sorgenti di corrente e dalle conduttanze e le configurazioni geometriche delle varie regioni del mezzo.

La maggiore limitazione che si trova nel cercare di risolvere l’equazione in modo numerico è la disponibilità dei dati esatti relativi alle proprietà conduttive e geometriche di ogni singola regione all’interno del mezzo, e questa restrizione si rivela particolarmente

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severa quando prendiamo in considerazione proprio l’EEG, data la complessità di reperire questi dati relativamente al cervello. Comunque, anche nel caso di mezzo non omogeneo si può continuare a sfruttare la linearità dell’equazione di Poisson, sommando i potenziali dovuti a ciascuna sorgente.

Di seguito sono presentati alcuni dei modelli proposti in letteratura. (Paul L. Nunez, 2006)

Modello di un mezzo piano a due strati

Abbiamo una sorgente di corrente contenuto in un mezzo di conduttanza σ1. La sorgente è posizionata a una distanza h da un’interfaccia che separa il mezzo 1 da un altro mezzo, avente conduttanza σ2. I due mezzi sono considerati semi-infiniti, ovvero hanno dimensioni molto maggiori di h; la corrente uscente dalla sorgente scorre verso i pozzi, che sono anch’essi a distanze molto grandi se confrontate con h. In questo caso il potenziale del materiale superiore è dato da

( )

con R la distanza tra la sorgente I e il punto avente coordinate sferiche: √ ( )

con z >0 e r la distanza perpendicolare tra l’asse z e il punto di osservazione.

r R z I

Figura 2-8: Una sorgente di corrente I, posizionata al di sotto di un'interfaccia che separa due regioni con diversa conduttanza, produce un potenziale nel materiale al di sopra dell’interfaccia [da Electric Fields of the

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Il potenziale nello strato superiore di materiale dovuto a n sorgenti è dato da

( )∑

Il potenziale nello strato inferiore può essere visto come dovuto alla sorgente reale I più una sorgente fittizia I’ localizzata nello strato superiore anch’essa a una distanza h dall’interfaccia (“metodo della carica immagine”), legate tra loro secondo la relazione:

( ) ( )

Perciò il potenziale nello strato inferiore può essere calcolato mediante la relazione:

∑ [ (

) ]

dove per Ri si intendono le distanze tra le sorgenti reali Ii e i punti del campo, e Si sono le distanze tra le sorgenti fittizie.

Dipolo interno a una sfera omogenea

Il modello considera il potenziale dovuto a un dipolo di corrente posizionato all’interno di una sfera conduttrice di raggio a e conduttanza , circondata dall’aria ( ). Il potenziale misurato sulla superficie della sfera dovuto a un dipolo orientato secondo la direzione radiale è dato da:

{ ( ) ( ) [ ( ) ]}

per a>>d. Qui f= rz /a localizza il dipolo lungo la direziona radiale, come mostrato in figura.

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Dipolo interno a un mezzo piano a molti strati

Questo modello considera invece il problema di un dipolo di corrente localizzato sotto interfacce multiple che separano regioni planari aventi conduttanze diverse; l’estensione di ogni strato viene considerata semi-infinita. Questa approssimazione è ragionevole nel caso del fluido cerebrospinale, il cranio e lo scalpo. L’espressione del potenziale in ciascuna delle tre regioni è data da:

( ) ∫ ( ) ( )

dove ( ) sono i coefficienti che dipendono dalle ampiezze e dalle posizioni delle sorgenti di corrente, ( ) è la funzione di Bessel di ordine zero e (r,z) si riferisce al sistema di riferimento in coordinate cilindriche.

I cinque principali compartimenti tissutali della testa sono: cervello, fluido cerebrospinale, cranio, scalpo e aria circostante, perciò l’equazione si riferisce a un caso semplificato rispetto al reale.

Figura 2-9: Dipolo radiale dentro una sfera di raggio a [da Electric Fields of the Brain – Paul Nunez, Ramesh Srinivasan]

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Figura 2-10: Mezzo piano a 5 strati utilizzato per modellare i potenziali di superficie dovuti a un dipolo corticale posizionato a z=0, r=0 [da Electric Fields of the Brain – Paul Nunez, Ramesh Srinivasan]

Dipolo dentro superfici sferiche cilindriche

Questo modello consiste di 3 gusci sferici concentrici che rappresentano lo scalpo, il cranio e il fluido cerebrospinale e di una sfera interna al guscio più interno, che rappresenta il cervello. Per questo ci si riferisce spesso a questo modello come al modello a 4 sfere, che diventa il modello a 3 sfere quando il CSF viene trascurato. Questo modello utilizza molte delle caratteristiche più importanti delle conduzione di volume nella testa ed è molto utilizzato per sviluppi teorici e simulazioni. Dal punto di vista matematico, il sistema di riferimento è orientato in modo che il dipolo sia posizionato lungo l’asse z. In figura il dipolo è in posizione rz lungo l’asse z orientato in modo ortogonale rispetto alla superficie della

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Figura 2-11: Un dipolo localizzato nella sfera interna di un modello della testa a 4 sfere concentriche che consistono di una sfera interna, il cervello, e tre gusci sferici che rappresentano il CSF, il cranio e lo scalpo. I parametri del modello sono i

raggi di ciascun guscio e i rapporti di conduttanza. [da Electric Fields of the Brain - Paul Nunez, Ramesh Srinivasan] Il modello a 4 sfere consiste di una sfera più interna che rappresenta il cervello (r1 ~ 8.0 cm) circondato da un sottile guscio di CSF (r2 ~ 8.1 cm), uno strato osseo (r3~8.6 cm) e infine lo scalpo (r4~9.2 cm). Lo scalpo e il cervello sono tessuti morbidi e si assume che abbiano approssimativamente la stessa conduttanza (σ1/σ4~1). Lo strato osseo ha una conduttanza molto più bassa di quella del cervello, cioè si assume che il rapporto σ1/σ3 cada nel range 20÷80, mentre il CSF ha una conduttanza molto più alta del tessuto cerebrale, σ1/σ2~0.2.

Il modello a 3 sfere trascura come abbiamo detto la sfera del CSF, e si pone quindi σ2=σ1, oppure si mette il raggio r3=0.

Il modello a 4 sfere è ovviamente un’approssimazione sia in senso geometrico che fisico ma fornisce un metodo utile per studiare gli effetti delle disomogeneità di conduttanza.

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Si definisce un potenziale standard di normalizzazione supponendo che il dipolo si trovi all’interno del guscio più interno e definendo il potenziale omogeneo come il potenziale che sarebbe generato alla coordinata radiale corrispondente alla sfera più esterna; se il dipolo centrale è inclinata di θ rispetto all’asse, il potenziale omogeneo è dato da:

definiamo ϕ0 = ϕH(r4, 0). I grafici seguenti mostrano l’andamento di ϕ/ϕ0;

Figura 2-12: Dipendenza del massimo potenziale di superficie sul cranio dallo spessore del CSF in un modello della testa a 4 sfere concentriche. Le quattro curve corrispondono a 4 valori diversi del rapporto di conduttanza cervello/cranio [da

Electric Fields of the Brain – Paul Nunez, Ramesh Srinivasan]

Si può vedere che il potenziale di superficie sopra il dipolo è maggiore del potenziale che sarebbe stato generato dalla stessa sorgente in un mezzo omogeneo infinito. Questo avviene a causa del confinamento del flusso di corrente dentro il volume sferico conduttore; le linee di corrente sono compresse specialmente nei pressi della superficie più esterna e questo significa più ampie densità di corrente e quindi di potenziale. Il rapporto ϕ/ϕ0 è determinato dai rapporti tra le conduttanze e dai raggi relativi dei gusci sferici. I grafici mostrano la dipendenza del potenziale di superficie dalla conduttanza e dallo spessore. Il rapporto diminuisce al crescere dello spessore del cranio, come ci si aspetterebbe. Le quattro curve corrispondono a 4 valori del rapporto conduttanza cervello/conduttanza cranio

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2.6 Limiti dei modelli del volume conduttore

I modelli esposti hanno fondamentalmente un limite geometrico: la testa non è realmente sferica, gli strati di tessuto hanno spessori non uniformi e conduttanze non omogenee, lo strato osseo e la materia bianca sono anisotropici e molto altro, tuttavia includono alcune delle maggiori caratteristiche che devono essere tenute in considerazione, perciò rappresentano un’approssimazione accettabile. Per determinare invece il ruolo di lesioni, irregolarità, ventricoli cranici, conduttanze anisotropiche, che non possono essere considerati in questi modelli, sono state sviluppate simulazioni utilizzando altri metodi numerici come quello degli elementi finiti. Questi conducono ovviamente a risultati più precisi, al prezzo di una aumentato carico computazionale.

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2.7 Bibliografia

Eric R. Kandel, J. H. (2003). Principi di Neuroscienze. Casa editrice Ambrosiana. Paul H. Schimpf, C. R. (2002). Dipole Models for the EEG and MEG. Transactions

on Biomedical Engineering, 49(5), 409-418.

Paul L. Nunez, R. S. (2006). Electric fields of the brain - The Neurophysics of EEG. Oxford University Press.

 S.P. van den Broek, F. R. (1998). Volume conduction effects in EEG and MEG.

Electroencephalography and clinical Neurophysiology(106), 522–534.

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Capitolo 3 - SONNO E APPRENDIMENTO

3.1 Il processo della memoria

La formazione delle memorie passa attraverso tre grandi meccanismi, ovvero la

codifica, il consolidamento e il recupero.

Generalmente si assume che mentre durante la veglia il cervello è ottimizzato per il processing acuto degli stimoli esterni, che coinvolge la codifica di nuove informazioni e il recupero di memoria preesistente, mentre durante il sonno il cervello si troverebbe nelle condizioni ottimali per quei processi di consolidamento che integrano la memoria appena codificata in un percorso di lungo termine.

La codifica e il consolidamento sono almeno in parte processi mutualmente esclusivi, dato che sono supportate da risorse neuronali parzialmente in comune; è per questo motivo che il sonno rappresenta la condizione ottimale, perché durante il sonno il processing di informazioni esterne è enormemente ridotto.

E’ ampiamente accettata l’ipotesi, basata peraltro su numerosi studi, che ci siano manipolazioni psicologiche, farmacologiche ed elettrofisiologiche. (Bjorn Rasch, 2013)

Queste manipolazioni sono tempo-dipendenti e hanno l’effetto maggiore quando applicati immediatamente dopo l’apprendimento. Il consolidamento può coinvolgere processi multipli di stabilizzazione, che dipendono da diversi processi sottostanti di plasticità neuronale.

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Evidenze recenti suggeriscono che le tracce di memoria non siano consolidate una sola volta, bensì dopo un loro primo recupero subiscano un nuovo periodo di consolidamento, che permette loro di persistere a lungo termine.

A livello neuronale, la formazione della memoria avviene grazie al cambiamento nella forza delle connessioni sinaptiche nella rete che rappresenta la memoria. Si parla di “plasticità sinaptica indotta dall’apprendimento” nel senso che la codifica di nuove tracce di memoria induce il potenziamento sinaptico a lungo termine (LPT) oppure la depressione sinaptica a lungo termine (LTD).

Il riverbero di attività che segue alla codifica promuove due tipi di processi di consolidamento, ovvero il “consolidamento sinaptico” e il “consolidamento del sistema”.

Il consolidamento sinaptico porta a un rimodellamento delle sinapsi e delle spine neurali, piccolissime protuberanze dei dendriti, contribuendo a una rappresentazione della memoria e producendo rafforzamento delle sinapsi partecipanti.

Il consolidamento del sistema si basa sul consolidamento sinaptico e si riferisce ai processi nei quali il riverbero dell’attività nelle rappresentazioni appena codificate stimola una redistribuzione delle rappresentazioni neuronali verso altri circuiti neurali, per un immagazzinamento di lungo termine.

3.2 Tipi di memoria

In neuropsicologia, si distingue tra memoria dichiarativa e non dichiarativa sulla base del coinvolgimento delle regioni dei lobi temporali mediali, in particolare l’ippocampo, nell’acquisizione della memoria.

La memoria dichiarativa comprende: 1) la memoria episodica per gli eventi inseriti in un contesto spaziotemporale, come anche i ricordi autobiografici; 2) i ricordi semantici per fatti che vengono conservati indipendentemente dalla conoscenza del contesto.

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Le memorie dichiarative possono essere codificate sia intenzionalmente che non, ma tipicamente sono esplicitamente accessibili, ovvero consapevolmente, attraverso il tentativo di recupero attivo. I ricordi episodici vengono imparati molto velocemente, ovvero al primo tentativo, ma sono più soggetti a una rapida dimenticanza. I ricordi semantici possono essere visti come il risultato di una codifica ripetuta o l’attivazione di ricordi episodici sovrapposti.

L’integrità del circuito dell’ippocampo è un prerequisito per il trattenimento in memoria per più di 15 minuti tanto di un episodio quanto del suo contesto spazio temporale.

In contrasto con la memoria dichiarativa, la memoria non dichiarativa può essere acquisita senza il coinvolgimento delle strutture del lobo temporale mediale.

La memoria non dichiarativa comprende sistemi di memoria diversi tra loro, anche per le aree del cervello coinvolte. Include memorie procedurali riguardanti le capacità motorie e sensoriali e altre forme di condizionamento e apprendimento implicito, come il

priming. Le memorie non dichiarative possono essere acquisite implicitamente, ovvero

senza consapevolezza, e poi richiamate; l’apprendimento in questo caso è lento e di solito richiede tentativi multipli; è da notare che è molto complicato separare sperimentalmente il processing della memoria dichiarativa da quello della memoria non dichiarativa, perché questi sistemi di memoria interagiscono continuamente durante l’acquisizione di nuove informazioni; così, l’acquisizione di competenze quali l’apprendimento di una lingua o di una sequenza con le dita, specialmente nel primi stadi, incorpora la memoria dichiarativa in aggiunta a componenti procedurali. (Bjorn Rasch, 2013)

3.3 Ruolo del sonno nel consolidamento della memoria

L’ipotesi che il sonno abbia un ruolo nel consolidamento della memoria ha le sue ragioni concettuali nel modello standard di memoria a due stadi, il modello più influente e

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più riconosciuto. Secondo questo modello la memoria viene codificata inizialmente in modo molto rapido, per esempio dall’ippocampo nel caso di memoria dichiarativa, e viene poi gradualmente trasferita per una conservazione a lungo termine, per esempio dalla neocorteccia. Questo assicura una codifica rapida ed efficiente della memoria, anche in un solo tentativo (“one-trial learning”). Tuttavia, queste rappresentazioni sono instabili e vulnerabili ad interferenza retroattiva da parte dell’informazione appena codificata.

Nel tempo, l’informazione viene gradualmente integrata in una riserva a lungo termine di apprendimento lento, senza sovrascrivere la memora più vecchia.

Si pensa che dalla ripetuta riattivazione delle nuove memorie durante i periodi off-line come il sonno, la riserva a lungo termine venga “allenata” e le nuove memorie siano gradualmente rafforzate e adattate a quelle preesistenti.

Per quanto riguarda la memoria dichiarativa, questo modello ha ricevuto un forte supporto dagli studi sulle lesioni dell’ippocampo, che provocano l’incapacità di acquisizione di nuove memorie dichiarative e simultaneamente producono un’amnesia temporanea delle nuove memorie, lasciando intatte quelle più vecchie. (Bjorn Rasch, 2013)

Per chiarire quali sono le evidenze a supporto dell’ipotesi di un ruolo del sonno nel consolidamento della memoria, si riportano solo alcuni dei concetti chiave acquisiti negli anni grazie alle ricerche e agli studi comportamentali. (Bjorn Rasch, 2013)

1. Il sonno agisce proteggendo passivamente la memoria dall’interferenza retroattiva

La ricerca della prima metà del 20esimo secolo è giunta alla conclusione che il dimenticare ha la sua spiegazione in due concetti, il concetto di decadimento, secondo cui semplicemente la memoria si degrada con il tempo, e il concetto di interferenza, secondo cui la memoria si degrada a causa dell’apprendimento di nuove informazioni che sovrascrivono quelle più vecchie.

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Le evidenze più recenti suggeriscono che il dimenticare non sia dovuto in realtà al decadimento, ma bensì alla sola interferenza, e questo spiegherebbe il ruolo del sonno nel consolidamento della memoria: dal momento che il sonno rappresenta un momento in cui la codifica di nuove informazioni, sia esterne che interne, è fortemente ridotta, si ha una riduzione cruciale dell’interferenza; in qualche modo, il sonno agisce come una “schermatura” nei confronti dell’interferenza.

2. Il sonno REM contribuisce al consolidamento della memoria

Un’ipotesi classica è che il sonno REM contribuisse al consolidamento della memoria, grazie soprattutto all’attività EEG molto simile alla veglia, per cui è molto frequente ricordare sogni molto vividi se il risveglio avviene subito dopo il sonno REM. Anche se molti studi sugli animali hanno rafforzato questa ipotesi, gli studi sull’uomo non hanno avuto risultati altrettanto forti.

Sicuramente il consolidamento della memoria procedurale può beneficiare in qualche misura dal sonno REM, ma quest’effetto è legato a specifiche condizioni e all’esistenza di meccanismi biologici e molecolari che per il momento sono sconosciuti.

3. La memoria emotiva contribuisce alla cancellazione dell'informazione

Una domanda ancora aperta è se il consolidamento di memoria emotiva sia uguale o differisca in qualità da quello della memoria dichiarativa neutrale, se il processo di consolidamento sia aumentato per ragioni particolari o se sia semplicemente accelerato dalla carica emotiva collegata.

Un dato di fatto, suggerito da moltissime evidenze, è che il sonno, in particolare quello REM, ha un influenza chiara sulla reattività emotiva. Recentemente è stata proposta l’ipotesi cosiddetta SFSR ovvero “sonno per dimenticare, sonno per ricordare”: secondo questa ipotesi, il sonno REM immediatamente successivo ad un’esperienza emotiva avversa rafforza il contenuto di tale rappresentazione in memoria, ma simultaneamente riduce la

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risposta emotiva associata con questo ricordo. Il processo non si limita ad una sola notte ma continua anche nelle notti successive.

4. L’ipotesi del processo del consolidamento duale

L’ipotesi del processo duale assume che diversi stadi del sonno provvedano al consolidamento di tipi diversi delle memorie; in particolare, si ipotizza che la memoria dichiarativa tragga beneficio dal sonno SWS, mentre il consolidamento di quella non dichiarativa sia supportata dal sonno REM. Questa ipotesi ha ricevuto molto supporto soprattutto dagli studi condotti sull’uomo utilizzando il paradigma night-half; questo paradigma confronta le performance tra la prima e la seconda metà della notte, perciò ha reso possibile mettere in relazione il tipo di sonno con il tipo di memoria consolidata, dato che è noto come la prima parte della notte sia prevalentemente caratterizzata da sonno SWS mentre la seconda da sonno REM.

La maggiore debolezza di questa ipotesi è che trascura totalmente un possibile contributo del sonno di stadio 2 alla memoria: infatti anche se è vero che la quantità di sonno di stadio 2 è comparabile in quantità tra la prima e la seconda metà della notte, è risaputo che differisce molto per esempio in densità di spindles, heart rate o livelli di neuromodulatori.

C’è un’evidenza consistente di un coinvolgimento del sonno di stadio 2 e degli spindles nell’apprendimento motorio e la memoria di un compito motorio anche molto semplice risulta danneggiata a seguito di selettiva deprivazione di sonno 2. (Smith C, 1997) L’allenamento per i compiti motori aumenta il tempo passato nel sonno 2 e aumenta la densità degli spindles. Tuttavia, si è trovata anche una correlazione dell’attività spindle di stadio 2 con apprendimenti di tipo visuospaziale, e questo suggerisce che gli spindles e in generale lo stadio 2 non contribuiscano soltanto all’apprendimento dei compiti motori ma che siano coinvolti anche nella formazione della memoria dichiarativa (Zsofia Clemens, 2006); rappresentando l’oggetto di questo lavoro di tesi, questa ipotesi verrà approfondita meglio più avanti in questa trattazione.

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5. L’ipotesi del consolidamento sequenziale

L’ipotesi sequenziale si concentra invece su l’importanza della successione ciclica di sonno SWS e sonno REM, con le due fasi che svolgono funzioni complementari: in un primo step di processing, durante il sonno SWS, le memorie non adattative vengono indebolite e quelle adattative rinforzate; poi durante il sonno REM, si ha un secondo step attraverso cui le memorie adattative vengono integrate e immagazzinate in reti di conoscenza preesistenti. Questa ipotesi ha ricevuto un notevole supporto sia da studi su animali che su l’uomo.

6. L’ipotesi del sistema di consolidamento attivo

Secondo questo modello, che integra sia l’ipotesi del processo duale che quella del processo sequenziale, il consolidamento della memoria ha origine nella ripetuta riattivazione delle rappresentazioni appena codificate; queste riattivazioni avvengono durante il sonno SWS e mediano la ridistribuzione di queste rappresentazioni temporanee verso “siti di raccolta” a lungo termine, dove vengono integrate in reti preesistenti.

Le oscillazioni lente che si verificano durante il sonno SWS guidano la ripetuta riattivazione delle rappresentazioni di memoria ippocampali durante i i pacchetti di onde

sharp-wave ripples dell’ippocampo, insieme agli spindle talamo-corticali, che sono coinvolti

nell’indurre durature variazioni nella plasticità delle aree corticali.

Perciò la riattivazione e l’integrazione di memorie temporaneamente immagazzinate in memorie di lungo termine accompagna una riorganizzazione qualitativa, una vera e propria trasformazione, della rappresentazione della memoria, che necessita di essere stabilizzata in un processo di stabilizzazione sinaptica che avviene nei periodi che seguono il sonno REM.

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Figura 3-1: Sistema di consolidamento attivo durante il sonno (a) Durante il sonno SWS, le nuove memorie codifate in una rete temporanea (l’ippocampo nel caso della memoria dichiarativa) vengono riattivate e ridistribuite in reti a lungo termine, come la neocorteccia. (b) Il sistema di consolidamento si basa sul dialogo tra la neocorteccia e l’ippocampo sotto il controllo delle lente oscillazioni neocorticali [da System consolidation of memory during sleep - Born J, Wilhelm I - Psychol Res (2011)]

Secondo questo modello :

 Il processo attivo di consolidamento della memoria durante il sonno conduce a una riorganizzazione qualitativa delle rappresentazioni di memoria e il sonno favorisce processi di astrazione, inferenza e analisi.

 Il consolidamento della memoria è selettivo, ovvero il sonno non influenza in ugual misura tutte le memorie.

 Durante la veglia i vari aspetti degli episodi vissuti vengono codificati in reti corticali, con le diverse parti delle nuove rappresentazioni di memoria tenute insieme dalle aree del lobo temporale mediale, specialmente l’ippocampo. Durante il sonno, la riattivazione della memoria episodica che origina dalle reti ippocampali risulta nell’attivazione di diverse parti di memoria anche a livello corticale, che quindi rafforzano le connessioni cortico-corticali e trasformano le rappresentazioni temporanee in memorie di lungo termine. Dal momento che le risorse per il

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