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La disciplina giuridica dei materiali a contatto con gli alimenti.

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INTRODUZIONE:

CIRCOLAZIONE DEGLI ALIMENTI DAGLI ANNI SESSANTA AD OGGI ……….. P 1 CAPITOLO I :

SICUREZZA ALIMENTARE E LEGISLAZIONE ORIZZONTALE

1. From the farm to the fork. La sicurezza alimentare riguarda tutta la filiera ………. ……. P 8 1.2 Principio di precauzione ……….………. P 14 1.3 Sistema di allarme rapido ……… P 41

CAPITOLO II:

2. (SEGUE) LEGISLAZIONE VERTICALE ……… P 49

2.1 Bisfenolo A e Bisfenolo S ……… . P 51 2.2 Plastica ………. P 56

2.3 Alluminio ………. P 70 2.4 Sguardo al futuro: packaging

ecologico….………..……….. P 74

CAPITOLO III:

3. IL NANOMONDO. UN LUOGO DI DESIGN DI NUOVO GENERE……… P 76 RIFLESSIONI CONCLUSIVE ……….. P 111 BIBLIOGRAFIA ……….. P121

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2

INTRODUZIONE

Dagli anni Sessanta ad oggi.

Nel nostro Paese la storia degli imballaggi è collegata ai cambiamenti del sistema economico. La rapidità della crescita dell’Italia, dal 1960 ad oggi, ha comportato un rivoluzionamento delle economie tradizionali, dei mercati e di conseguenza della struttura stessa del sistema produttivo e della sua distribuzione sul territorio. È cambiato il modo di vivere, di rapportarsi con il territorio e quindi di consumare. Le distanze sono aumentate, le merci prodotte in un luogo vengono trasportate

altrove per essere consumate; si ridisegnano i meccanismi della produzione, circolazione e consumo dei prodotti e, di conseguenza, dei loro imballaggi.

L’imballaggio nasce con il declino delle società rurali e con il successivo sviluppo del sistema industriale. Nell’Ottocento si assiste al processo di confezionamento degli

alimenti; è da questo momento in poi che la scatola di conserva1 diventerà

l’emblema della moderna concezione alimentare. Negli anni ’60 e ’70, la politica di armonizzazione attiva della Comunità europea, ha portato all’abolizione dei dazi doganali e, delle restrizioni quantitative, con la conseguente eliminazione degli ostacoli tecnici agli scambi tra i vari Paesi. La normativa nazionale, comunitaria ed internazionale ha reso necessario incentrare tutto sulla tutela del consumatore rispetto alla circolazione degli alimenti rispecchiando il concetto di diritto

alimentare considerato come ordinamento multilivello.2 A sostegno di ciò

l’innegabile privilegio che il diritto comunitario riconosce alla circolazione dei prodotti smascherando interessi degli Stati a limitarla dietro il richiamo a norme sanitarie. Per citare un importante esempio della giurisprudenza della Corte di Giustizia occorre citare la famosa sentenza Cassis de

1 Maria Paola Moroni Salvatori, Einaudi, Storia d’Italia p.847ss. 2

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3

Dijon dalla quale ha avuto origine il principio del mutuo riconoscimento dei prodotti tra i vari stati membri che ha finito per investire tutto il diritto

internazionale.3 Tale sentenza sancisce che le merci prodotte conformemente alle

norme di uno stato membro dell'Unione Europea possono, in genere, essere vendute negli altri stati membri (regola pertanto nota come principio Cassis de Dijon).Dal punto di vista legale la sentenza ha effetti paragonabili a quelli di un accordo di mutuo riconoscimento, tra i Paesi membri, delle rispettive leggi che regolano la produzione e la vendita dei prodotti. Il caso nasce nel 1976 quando l'azienda tedesca Rewe, aveva richiesto il permesso di importare diversi liquori (tra cui il Cassis) per venderli nei propri supermercati in Germania.L'organo

competente in materia: la Bundesmonopolverwaltung für Branntwein4 comunicò

all'azienda che il liquore non poteva essere commercializzato in Germania per il suo tenore alcolico (dal 15% al 20%) era inferiore al minimo prescritto dal diritto tedesco per i liquori (32%). L'importatore in disaccordo con quanto comunicato dall'ente amministrativo intraprese le vie legali, appellandosi tra l'altro ai principi di libertà di scambio all'interno della Comunità Europea (CEE). La Corte considerò che il liquore conforme alle norme legali francesi, poteva essere commercializzato tra i paesi. A tali interessi potevano corrispondere le esigenze di salute pubblica, ma proprio in questo contesto giocava un ruolo non trascurabile il fatto che il tenore alcolico del Cassis fosse modesto. La Corte sentenziò infine che quella limitazione imposta dallo stato non era giustificata da alcun interesse generale; la ditta vinse quindi la causa contro l'amministrazione tedesca. La complessità e la

3 Rizzoli, Costato, Borghi in Compendio di diritto agroalimentare VI edizione Cedam 2013 p. 77 ss. 4

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4

varietà dei casi sottoposti al giudizio della Corte di giustizia dopo la sentenza Cassis de Dijon, hanno però portato la stessa ad elaborare una giurisprudenza non del tutto convincente che ha dato adito a diverse critiche della dottrina specialistica. Si può comunque affermare che,oggi, gli Stati membri non abbiano più la possibilità di applicare la propria normativa nazionale nei confronti di un prodotto

proveniente da un altro Stato membro qualora la loro normativa persegua scopi protezionistici; comporti discriminazioni ai danni di un prodotto degli altri Stati membri; presenti caratteri di evidente irragionevolezza; sia eccessivamente

restrittiva o risulti sproporzionata con riferimento all'obbiettivo da raggiungere. In presenza di uno dei casi citati, lo stesso giudice interno dello Stato membro di destinazione, potrebbe disapplicarla consentendo al prodotto di circolare

liberamente sul territorio del Paese di destinazione.5 Occorre comunque

sottolineare che la giurisprudenza della Corte di giustizia, sopra esaminata, prescinde totalmente dalle caratteristiche qualitative dei prodotti presi in

considerazione sia che si tratti di prodotti industriali (meccanici, chimici, elettrici) che, di prodotti alimentari. La politica comunitaria di liberalizzazione degli scambi si è mossa diversamente, prevedendo la necessità di creare principi e regole comuni per definire e assicurare, in modo univoco, la qualità delle merci all’interno del mercato comunitario. Difficoltoso si è rivelata l’attuazione di questo progetto a

causa della eterogeneità delle legislazioni nazionali dei paesi membri6, del diverso

modo di concepire la qualità a livello nazionale7 e per l’esistenza di norme tecniche

in ogni paese membro8.

5

Rottola Alessandro, La valutazione internazional-privatistica dei presupposti giuridici di norme materiali comunitarie, in Diritto dell’Unione Europea 2004 Vol.9 Fascic. 2 p. 329

6 Per fare un esempio, quando in Italia la legge non imponeva l’obbligo della data di scadenza sui prodotti o l’indicazione delle percentuali nutrizionali degli alimenti sull’etichetta, le legislazioni di altri paesi, diversamente, lo imponevano.

7 Per i paesi nordici e anglosassoni la qualità è legata alla sicurezza del prodotto, alle caratteristiche nutrizionali ed alla conformità a determinati standard produttivi; invece per i paesi mediterranei, dove esistono singole realtà territoriali con specifici e consolidati fattori legati alla tradizione locale, sia nella fase della produzione agricola che in quelle della trasformazione industriale e del consumo, la qualità è rapportata al legame con il territorio, alla tradizione legata al processo produttivo e, al talento dell’uomo.

8

Si tratta di norme volontarie alle quali il produttore decide di aderire, ottenendo in tal caso, una certificazione da parte di enti certificatori e, il diritto d’uso di un marchio che attesta la conformità del prodotto, del servizio o del processo produttivo a determinate regole tecniche.

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5

La certificazione è dunque una forma di garanzia della qualità esterna che regola i rapporti contrattuali tra committenti e fornitori, tra produttori e clienti. Con

la risoluzione 85/C136/01 del 7 maggio 1985, la Comunità europea, ha definito il nuovo approccio della politica di armonizzazione prevedendo da una parte quella normativa attuata attraverso il principio del mutuo riconoscimento, dall’altra una armonizzazione progressiva mediante regole tecniche cogenti sia orizzontali (di carattere generale) sia verticali (riferite ad un singolo comparto). A tal proposito, gli ambiti di intervento comunitario in materia di regolamentazione tecnica obbligatoria, si possono ricondurre a cinque tematiche fondamentali volte a garantire ai consumatori europei la stessa fiducia nei prodotti e nei servizi che circolano liberamente all’interno della UE quali: la sicurezza e protezione della

salute pubblica9, la correttezza delle operazioni tra gli operatori economici, la

difesa dell’ambiente in relazione ai processi produttivi, la correttezza e trasparenza delle informazioni ai consumatori ed un sistema di controlli pubblici. In un mercato europeo che muove verso la globalizzazione, elemento di differenziazione delle produzioni diventa proprio la qualità. Si assiste infatti ad una evoluzione dei mercati, passando da una produzione di massa ad una produzione differenziata limitata e flessibile alle esigenze di mercato e del consumatore. Viene subito in evidenza la problematica sul significato stesso di alimento, sulla sua definizione e su quale debba essere la nozione di immissione di un alimento sul mercato. Con il

Libro Bianco sulla sicurezza alimentare10, attuato attraverso il Reg-178/2002, si

definiscono gli obiettivi per la risoluzione di

9

A tal riguardo, sono state emanate una serie di direttive tra cui direttiva quadro comunitaria 93/43/CEE relativa all’introduzione di sistemi di autocontrollo per la sicurezza e l’igiene degli alimenti - recepita in Italia dal d.lgs. 155/97. 10

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6

questi problemi. Si persegue una visione di alto livello salutistico e sociale nella quale, la Commissione, sceglie di perseguire un livello elevato di tutela della salute e di informazione dei consumatori nell’elaborazione della legislazione alimentare. Il problema della sicurezza e della tutela del consumatore è oggetto di preciso

impegno politico e programmatico da parte dell’Unione. Solo ultimamente la politica comunitaria ha avvertito la necessità di dare una definizione giuridica di alimento. In seguito alle crisi alimentari degli ultimi anni ( ESB, carne agli ormoni, diossina nel pollo, sono solo alcuni) la Commissione europea,nel 2000,ha adottato il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare. Il documento propone interventi

normativi volti a promuovere la sicurezza degli alimenti e la tutela del consumatore garantendo il funzionamento corretto del mercato interno. Tale programma ha

trovato attuazione nel successivo Reg. 178/200211. Non a caso la Commissione ha

posto il tema della nozione giuridica di prodotto alimentare nell’Aprile 1997 in occasione della Comunicazione sui principi generali della legislazione alimentare, il c.d. Libro verde, caratterizzato dal rafforzamento della protezione della salute dei consumatori nelle politiche comunitarie. Questo lavoro ha preso le mosse

dall’autorevole definizione di derrata alimentare contenuta nel Codex

Alimentarius12. Per derrata alimentare il Codex intende qualsiasi sostanza trattata,

parzialmente trattata o allo stato naturale, destinata all’alimentazione umana. Sono espressamente inclusi in tale concetto le bevande, il chewing-gum e tutto ciò che è utilizzato nella fabbricazione, preparazione e trattamento degli alimenti, mentre ne sono esclusi i

11 Stefania Baroncelli Giurisprudenza della CGE in materia di sicurezza e qualità degli alimenti. Riv. Consumatori, Diritti e Mercato, n.2/2007 p. 136 ss.

12

Il Codex Alimentarius è un insieme di regole e di normative elaborate dalla Codex Alimentarius Commission, una Commissione istituita nel 1963dalla FAO e dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Scopo precipuo della commissione è proteggere la salute dei consumatori e assicurare la correttezza degli scambi internazionali

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7

medicinali, i cosmetici e il tabacco. Il Libro verde opera una significativa estensione della nozione di alimento fornita dal Codex, riferendola ai prodotti destinati non già all’alimentazione, bensì all’assunzione da parte dell’uomo. Sono considerati alimenti oltre ai prodotti assunti per via orale anche quelli introdotti per inalazione o somministrati per intubazione gastrica. Un’ulteriore e definitiva precisazione del concetto di alimento è stata successivamente effettuata dall’art. 2 del

Regolamento CE n. 178/2002 secondo il quale l’alimento è una sostanza o un prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato. Nel settore alimentare si stanno affermando soluzioni di soft law. Le competenze congiunte degli Stati membri sono tutte rivolte a quelle materie non interamente

armonizzate relative alla PAC . Di incerta competenza restano gli ambiti non

completamente armonizzati. 13

13 Luigi Costato Codex Alimentarius e competenze congiunte. Riv. di diritto alimentare anno V ,Num.1, Gennaio Marzo 2011, p. 1-2.

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SOMMARIO: 1. Sicurezza alimentare e legislazione orizzontale. From farm to fork: La sicurezza alimentare riguarda tutta la filiera- 1.2 Principio di precauzione – 1.3

Sistema di Allarme Rapido CAPITOLO I

1. Sicurezza alimentare e legislazione orizzontale. From farm to fork:la sicurezza alimentare riguarda tutta la filiera

Il sistema di sicurezza alimentare trae la sua origine dal Reg.178/2002 che

attraverso un complesso di norme, divenute cogenti per gli Stati solo nel 200714, ha

definito i requisiti del diritto alimentare. Il Reg. disciplina un controllo delle

imprese le cui attività si svolgono all’interno della filiera, la cui complessità, rende essenziale il ruolo della comunicazione. Una comunicazione efficiente infatti

permette il corretto funzionamento della filiera15. Con la espressione “from farm to

fork” la Commissione ha voluto focalizzare l’attenzione sul prodotto finito

estendendo i controlli a tutta la catena di produzione16.Garantire la sicurezza e la

salubrità di ciò che mangiamo non si ferma solo al controllo del cibo; tutto ciò che viene a contatto con gli alimenti durante la fase di produzione, imballaggio,

trasporto, immagazzinamento, preparazione e consumo deve essere sicuro. Materiali come plastica, carta, cartone, metalli e ceramica sono comunemente utilizzati per la fabbricazione di imballaggi alimentari ma, occorre menzionare anche le stoviglie, le posate e le varie attrezzature che entrano a contatto con il cibo. La sicurezza di tali materiali dipende dal fatto che durante il contatto con l’alimento non vi deve essere nessuna migrazione di quantitativi pericolosi di sostanze chimiche. Tutti i materiali possono cedere ai prodotti alimentari sostanze indesiderate; non mancano casi in cui i composti ceduti alterino la qualità, il gusto nonché, la sicurezza stessa del prodotto. E’per questo motivo che solo alcuni tipi di materiali possono entrare in contatto con gli alimenti, in ogni caso, solo dopo aver superato dei test che ne comprovino la sicurezza. Questi materiali devono essere prodotti conformemente alle buone

14

Nino Longobardi, A proposito di autorità italiana per la sicurezza alimentare fra disciplina europea e interventi normativi nazionali, in Rivista di diritto alimentare p.31ss., Anno III num.4, Ottobre- Dicembre 2009.

15

Amelia Cocomazzi , La comunicazione del rischio per la sicurezza alimentare, in Rivista di diritto alimentare, p.14, Anno III num.4, Ottobre-Dicembre 2009.

16 Irene Canfora, Sicurezza alimentare e nuovi assetti della responsabilità di filiera, in Rivista di diritto alimentare p.14 Anno III num.4, Ottobre-Dicembre 2009.

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9

pratiche di fabbricazione e non devono, in condizioni d'uso normale,trasferire ai prodotti alimentari, componenti in quantità tale da costituire un pericolo per la salute umana, comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari o un deterioramento delle loro caratteristiche organolettiche. Posto che il materiale destinato a venire a contatto con gli alimenti possa trasferire componenti determinando, in alcuni casi, una vera e propria contaminazione dell’alimento, sono state previste liste positive di materiali, limiti di cessione e condizioni d’ uso. L’entità della migrazione dipende da una serie di fattori quali la natura, la composizione, la superficie, il tempo e la temperatura di contatto del materiale, delle sostanze e dell’alimento. La normativa generale inerente i

materiali a contatto con gli alimenti (MOCA) contiene i principi della legislazione sulla sicurezza alimentare incentrati sulla armonizzazione della materia,valutazione dei rischi da parte dell’EFSA, responsabilità dell’OSA , obblighi di rintracciabilità dell’interazione fra normativa comunitaria e nazionale. Alla legislazione nazionale si preferisce comunque la legislazione comunitaria, quest’ultima disciplina solo alcuni specifici materiali come plastiche, materiali attivi e intelligenti etc. In

mancanza di misure specifiche comunitarie il Regolamento non impedisce agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni nazionali a condizioni che siano conformi alle norme del Trattato. In Italia le Autorità competenti sono il Ministero della salute, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, le ASL nell’ambito delle rispettive competenze. Il Reg. CE n. 1935/2004 si applica ai materiali e oggetti destinati a venire a contatto con le sostanze alimentari compresi i materiali e gli

oggetti attivi17

17

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10

e intelligenti18. Restano esclusi i materiali di ricopertura o rivestimento, (es.

materiali che rivestono le croste dei formaggi, budelli naturali insaccati), preparazioni di carni o la frutta che fanno parte dei prodotti alimentari e che possono quindi, essere consumati con i medesimi; impianti fissi o privati di approvvigionamento idrico ( come ad es. le tubature dell’acqua); materiali o oggetti d’antiquariato. Per raggiungere tale obiettivo l'Unione provvede ad elaborare e a fare rispettare le norme di controllo in materia di igiene degli alimenti e dei prodotti alimentari, salute e benessere degli animali, salute delle piante e prevenzione dei rischi di contaminazione da sostanze esterne. L’Unione inoltre prescrive norme volte a garantire l'adeguata etichettatura di tali prodotti, politica riformata nel 2000. Si garantisce così in tutte le fasi della catena di

produzione e distribuzione un livello elevato di sicurezza degli alimenti e dei

prodotti alimentari commercializzati nei paesi dell’Unione Europea.19 Questa

procedura non si applica solo ai prodotti alimentari che circolano all’interno dell'Unione, ma si estende anche a quelli importati da paesi terzi. La politica di sicurezza alimentare mira a proteggere la salute e gli interessi dei consumatori garantendo, allo stesso tempo, il regolare funzionamento del mercato interno. L’obbligo di comunicare le informazioni inerenti la salute dei consumatori è una componente strutturale del sistema di sicurezza alimentare basato sulla definizione dei requisiti della sicurezza, sulla valutazione scientifica del rischio, sul controllo aziendale e sulla comunicazione di tutte le informazioni che interessano la salute

del consumatore.20 Analizzando l’espressione sicurezza alimentare è proprio sulla

sua ambiguità che si articola una

18

Controllano le condizioni del prodotto alimentare imballato o del suo ambiente. 19

Borghi, Sicurezza alimentare e commercio internazionale, in Prodotti agricoli e sicurezza alimentare, Milano 2003. 20 Irene Canfora Informazioni a tutela della salute e conformazione del contenuto negoziale tra diritto europeo e diritti nazionali, in Rivista di diritto agrario P.119 Anno XCIII fascic. I Aprile Giugno 2014

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importante ed interessante discussione poiché, essa, rimanda a due concetti differenti che in altri contesti giuridici, come ad esempio quello inglese, vengono invece distinti. Ci si riferisce ai concetti di food security e di food safety.

Nell’ambito della sicurezza alimentare occorre anche menzionare lo spazio riservato alle insicurezze che interessano l’era moderna: la scarsità delle risorse idriche, potabili, le risorse alimentari e le energie non rinnovabili. La sicurezza

security21 rispecchia specularmente l’insicurezza riguardante la carenza dei

prodotti alimentari mentre, la sicurezza safety22 rispecchia l’insicurezza relativa

all’affidabilità dei prodotti alimentari.23 L’insicurezza dei prodotti alimentari dal

punto di osservazione dei consumatori permette di individuarne tre differenti tipi: una oggettiva assoluta, una oggettiva relativa ed una soggettiva. Quanto alla prima, con essa si fa riferimento ai prodotti alimentari che non sono conformi ai requisiti di sicurezza fissati dalla normativa europea e nazionale; la seconda invece attiene a prodotti che seguono gli standard di sicurezza ma, se consumati in dosi eccessive o in modo prolungato, diventano pericolosi per la salute dei consumatori; la terza attiene a prodotti che sono conformi ai requisiti di sicurezza ma, per alcuni consumatori possono rivelarsi nocivi. E’ proprio il food safety a destare maggiori perplessità,esso è collegato con le recenti emergenze alimentari e di tutela del consumatore, secondariamente perché riguarda un aspetto importante della vita umana come l’alimentazione che incide direttamente sulla salute delle persone,

infine per la raggiunta autosufficienza alimentare in Europa.24 La disciplina della

food security e safety è complessa, eterogenea ed extraterritoriale. Quanto ai primi due aspetti non ne fanno parte solo

21

Intesa come protezione dalla fame.

22 Intesa come protezione di pericoli attinenti alla qualità degli alimenti. 23

Sandro Amorosino, Sicurezze ed insicurezze in campo alimentare tra regolazioni e programmazioni, in Rivista di diritto alimentare p.1 Anno IV num.3 Luglio Settembre 2010.

24 Jean C. Buzby Effects of Food-Safety Perceptions on Food Demand and Global Trade in Changing structure of global food consumption and trade p.56 Maggio 2001.

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la salute e la dignità umana, ma anche la salute animale e vegetale, la tutela dell’ambiente, degli scambi commerciali, lo sviluppo del sistema agricolo ed il legittimo affidamento dei consumatori. La disciplina è extraterritoriale in quanto pur trovando autonomia nell’assetto costituzionale e applicazione a livello locale, risente di influenze esterne che incidono sulla discrezionalità del legislatore ai sensi dell’art.117 Cost. A tal riguardo, in base all’originario Titolo V della Costituzione, la giurisprudenza costituzionale in base agli articoli 9, 32 e 117 Cost. riconosceva alle Regioni la competenza a perseguire interessi ambientali. In seguito alla riforma Costituzionale n.3 del 2001 è lo Stato ad avere competenza esclusiva in tale

materia, fissando anche standard minimi uniformi di tutela del valore ambientale. In tale quadro potestativo le Regioni possono, nelle materie di competenza

concorrente, perseguire finalità di tutela ambientale. Sulla base di tale prospettiva, la Corte Cost., si pronunciò con una importante sentenza n.307 del 2003 con la quale venne precisato che il bilanciamento di principi costituzionalmente garantiti effettuato dal legislatore statale costituisce un principio fondamentale vincolante lo stesso legislatore nazionale. In un’altra sentenza, la 282/2002 la Corte Cost. riserva la materia alla competenza dello Stato non potendo dunque la Regione adottare nessuna misura precauzionale nemmeno sulla base di nuovi dati scientifici. Nel 2005 la Corte Cost. diede una definizione del principio di

precauzione escludendo che una legge regionale potesse ricorrere a tale principio per negare l’attuazione di una direttiva comunitaria. Nella sentenza 116 del 2006, la Corte Cost. precisa che l’imposizione di limiti alla libertà di iniziativa economica, sulla base del principio di

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precauzione e di prevenzione, possa avvenire solo sulla base di dati scientifici e solo per tutelare la salute dell’uomo e dell’ambiente. La Corte nella sentenza 104/2008 riconobbe l’ambiente come bene giuridico rimettendone la sua tutela alla

competenza statale fermo restando, la possibilità per le Regioni, di adottare norme di tutela ambientale più elevate nell’esercizio di competenze a contatto con quella ambientale.

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1.2 Principio di precauzione.

E’ l’art. 7, Reg. n. 178/2002 a definire il campo di applicazione del principio di precauzione. La sua origine risale al diritto ambientale tedesco per poi svilupparsi

in quello internazionale ,esso è definito all’art. 18 della legge n. 349 del 198625 .

Proprio in questo ultimo articolo viene data una definizione del principio di

precauzione e del dettato “chi inquina paga” , concetti tra loro strettamente legati.

Nel seguente anno 1987 , alcune sentenze26, per la prima volta, considerarono

l’ambiente come un bene fondamentale da tutelare quale valore di rango costituzionale. Il principio di precauzione, prima della Direttiva CEE del 2004, trova le sue basi nel Trattato di Maastricht del 1992 e prima ancora nella

dichiarazione di Rio de Janeiro del 199227. Nella Direttiva il principio di

precauzione è così descritto: la politica della Comunità in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, protezione della salute umana, utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale. Nel quadro delle loro competenze rispettive, la Comunità e gli Stati membri cooperano con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti. Le modalità della cooperazione della Comunità possono formare oggetto di accordi, negoziati e conclusi conformemente all'articolo 228, tra questa ed i terzi interessati. Tale sistema non pregiudica la competenza degli Stati membri a negoziare nelle sedi internazionali ed a concludere accordi internazionali. In Italia,nessuna fonte

normativa,introduce il principio di precauzione, nel nostro ordinamento normativa , ma l’importanza di quest’ultimo è

25

Ora art. 301 d.lgs. n. 152 del 2006, Codice dell’ambiente 26 C. Cost., 30.12.1987, n. 641, e Cass., 25.1.1989, n. 440. 27

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15

sottolineata nel Parere del Comitato Nazionale di Bioetica del 2004. L’esigenza di precauzione non può ancora considerarsi alla stregua di un principio di diritto nazionale anche se, non mancano reazioni sulla disciplina della responsabilità civile. Il principio di precauzione oltre ad avere riflessi nell’ambito giuridico è oggetto anche di riflessioni nell’ambito bioetico poiché è chiara la differenza tra il principio di precauzione e la responsabilità giuridica, basata sull’obbligo di

rimediare al danno. La responsabilità implica l’impegno a evitare sia il danno attuale ad un bene, sia il danno che eventualmente potrebbe prodursi nel lungo termine. La giurisprudenza ha dato attuazione al principio di precauzione

considerandolo come precettivo e proprio sulla violazione di norma precauzionali poste a tutela della salute umana ha fondato le declaratorie di responsabilità . I giudici in numerose pronunce, hanno fondato le loro pronunce di condanna al risarcimento dei danni, servendosi di vari istituti propri della responsabilità civile quali quello della deterrenza, della compensazione ed anche del principio di precauzione che, come già detto, pur non essendo codificato trova applicazione, traendo la sua origine dallo sviluppo della tutela del danno ambientale. Tipico delle moderne società è l’istituto della responsabilità del produttore per danni cagionati da prodotti difettosi, collegati all’intero processo produttivo. La fabbricazione in serie, l’elevato contenuto tecnologico non fa altro che accrescere il pregiudizio dei consumatori.

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16

Tale cambiamento è stato consequenziale al passaggio da una produzione di tipo artigianale ad una produzione in serie, espressione tipica della moderna società industriale aumentando, allo stesso tempo, la probabilità lesiva dei prodotti

dannosi. E’ il ruolo del produttore ad incidere sulla valutazione del tipo di condotta da tenere per ottenere un risultato precauzionale, verificando al contempo, la disciplina della sicurezza dei prodotti e della responsabilità del produttore. Negli anni ’60-’70, ciascun Stato membro aveva rafforzato l’accesso al contenzioso da parte dei consumatori nei riguardi di produttori di prodotti difettosi. La tragedia

del Talidomide28 continuò a produrre ulteriori effetti devastanti negli anni Settanta.

Il sistema politico, diversamente dalle aspettative dell’opinione pubblica, non

assunse un atteggiamento etico nei confronti dei danneggiati. Alcuni Stati29 si

limitarono ad istituire dei fondi rimessi all’amministrazione delle istituzioni

pubbliche ma, il principio di responsabilità del produttore cominciava ad aleggiare nelle sedi giudiziarie e legislative. Gli Stati anche dopo la costituzione della CE continuarono ad emanare norme nazionali, contenenti regole tecniche per la

fabbricazione di prodotti30. Prima della CE il sistema di armonizzazione delle norme

tecniche avveniva mediante direttive contenenti specifiche tecniche. Con la

direttiva 92/59, sulla sicurezza dei prodotti31, si è cercato, a livello comunitario, di

colmare le varie lacune derivanti non solo dalle disposizioni legislative vigenti, ma anche da quelle future , dando un’indicazione di sicurezza per tutti i prodotti

immessi sul mercato, nel caso in cui non esistano disposizioni specifiche per alcune categorie di prodotti. L’art.5 della direttiva in esame stabilisce

28 Il farmaco veniva spacciato in tutto il mondo come tranquillante ma, a causa dei pochi studi condotti a riguardo, produceva danni ai feti.

29

Come Geramnia e Regno Unito.

30 Il sistema del rinvio alle norme tecniche divenne un sistema di principio della CE. 31

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17

che un prodotto si presume sicuro quando è conforme alle disposizioni comunitarie o in mancanza a quelle nazionali in materia di sicurezza di un determinato prodotto. Ai sensi dell’art.5 D.P.R 224/1988 viene data una

definizione di prodotto difettoso: “un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che legittimamente ci si può attendere tenuto conto di tutte le

circostanze tra cui il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, il tempo in cui è stato messo in circolazione”. Questa definizione tiene conto di dati ben precisi tra cui il fatto che non esiste sul mercato un prodotto sicuro in assoluto; la sicurezza del prodotto è funzionale al prezzo per cui, un prodotto più costoso presenta standard di sicurezza maggiori rispetto ad un prodotto meno costoso; i produttori devono sapere cosa i consumatori si

aspettano dai loro prodotti in termini di sicurezza. L’esigenza di bilanciare gli interessi del produttori e dei consumatori ha trovato la sua sistemazione nell’art.5 attraverso l’avverbio “legittimamente”. Quando un produttore dispone le

caratteristiche che un prodotto dovrà possedere, il consumatore farà legittimo affidamento sul fatto che quel prodotto possiede le caratteristiche indicate, in termini di sicurezza, che normalmente ci si aspetta. Tale bilanciamento non sarà raggiunto nel caso in cui manchi una legislazione specifica, che in modo analitico indichi i requisiti di sicurezza che il prodotto dovrà possedere. In questi casi il giudice dovrà tener conto anche delle norme tecniche osservate, in quanto

rappresentative del prodotto e delle legittime aspettative del consumatore. Prima dell’entrata in vigore del D.P.R. 224 del 1988 il consumatore, danneggiato da un

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18

prodotto difettoso, aveva a disposizione solo lo strumento codicistico. Le norme contenute nel codice non soddisfano in modo completo la disciplina delle vendite a catena, proprio perché il codice del 1942 considera la vendita alla come un affare

individuale. A ciò deve aggiungersi anche l’ampia libertà di azione32 di cui godono

le parti in causa in un contratto di vendita. Le cause decise in tema di

responsabilità da prodotto difettoso, prima dell’entrata in vigore della disciplina specifica, hanno visto l’attore-consumatore vittorioso, sia in base alla clausola generale di responsabilità ex art. 2043 c.c., sia per il richiamo all’art.2050 c.c. Il produttore di un bene difettoso è stato dichiarato responsabile civilmente dalla giurisprudenza a titolo di colpa, secondo i criteri della responsabilità oggettiva per i c.d. difetti di fabbricazione, relativi ad un singolo prodotto; in termini effettivi di colpa invece, per i difetti di progettazione, che riguardano cioè, prodotti concepiti già originariamente male, nei quali il difetto non riguarda appunto soltanto il singolo esemplare bensì, l’intera categoria dei prodotti; secondo il criterio dell’attività pericolosa ai sensi dell’ex art. 2050 cod. civ. Tale norma è stata applicata anche alle ipotesi dei rischi da sviluppo, in cui, il difetto del prodotto nasce invece dall’ inosservanza delle indicazioni messe a disposizione non tanto al momento della fabbricazione, quanto piuttosto in un momento successivo. In tema

proprio di presunzione di colpa non può non farsi riferimento al caso Saiwa33, nel

quale viene sancito che: il rivenditore al minuto non risponde a titolo di

responsabilità aquiliana dei danni cagionati dalla ingestione di generi alimentari o dolciari avariati contenuti in involucri sigillati da lui venduti così come li ha ricevuti dalla ditta fabbricante, ove non sia dimostrata la sua

32 In termini di modifiche o esclusioni della garanzia per i vizi della cosa oggetto di scambio. 33

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colpa riguardo alla riscontrata avaria. In realtà la massima citata non è

esemplificativa del problema realmente affrontato e poi risolto dalla Cassazione. La vicenda che ha dato origine alla decisione, pone il problema della responsabilità del produttore per aver commercializzato prodotti difettosi e del distributore anche se, solo marginalmente. La domanda di risarcimento promossa contro il produttore in solido con il rivenditore, fu respinta dal giudice di primo grado e poi accolta dal giudice dell’ appello limitatamente alla ditta produttrice, escludendo infatti ogni responsabilità del rivenditore, posto che il prodotto fu rivenduto in confezione originale e sigillata. La ditta produttrice ricorse in Cassazione,

lamentando che i giudici di appello avevano pronunciato la condanna della stessa senza che, da parte degli attori, si fosse fornita la prova della colpa nel

procedimento di fabbricazione34, essendovi invece la possibilità che l’ avaria fosse

attribuibile alla cattiva conservazione della merce da parte del dettagliante, il che escludeva automaticamente ogni responsabilità del produttore. Il ricorso venne respinto dalla Suprema Corte in base a due argomentazioni: nel caso di danni cagionati dal consumo di generi alimentari avariati e usciti dalla fabbrica in confezione sigillata, non vi può essere responsabilità aquiliana del rivenditore a meno che non si provi la sua colpa nella cattiva conservazione, o nella vendita oltre i termini di scadenza della merce; esclusa la colpa del rivenditore, la causa

dell’alterazione viene attribuita alla negligenza del fabbricante, il tutto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito. Il sistema di produzione di massa implica l’inevitabilità di difetti tecnici e la difficoltà, soprattutto in termini di costo, della eliminazione degli stessi attraverso un costante

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(20)

20

e preciso sistema di controllo . Si evince così che non sempre può parlarsi di una colpa nel processo di fabbricazione anche di fronte a difetti del prodotto . Nelle ipotesi in cui il danno può farsi risalire ad una violazione del dovere di diligenza del produttore, è difficile infatti, provare la negligenza nel non avere preso le

necessarie precauzioni per evitare il verificarsi del difetto o per non averlo

scoperto per tempo ed eliminato. La sentenza Saiwa affronta e risolve, in termini favorevoli per il consumatore, questa difficoltà probatoria attraverso un

ragionamento che attribuisce la responsabilità a titolo di colpa, finendo però per attribuire ad essa stessa una diversa configurazione giuridica. Quando si ragiona in termini di colpa, l’onere della prova dovrebbe ricadere sull’attore. In realtà i giudici di merito, hanno fatto ricorso ad un ragionamento presuntivo; il difetto si sostanziava,nella causa in questione, nella avaria della merce che, poteva anche essere addebitata ad un intermediario per lo stato di cattiva conservazione della stessa . Il difetto non era tale da poter fare escludere qualunque colpa degli intermediari. Quando, come nel caso in questione, si riconduce il difetto alla negligenza nel processo di fabbricazione, si finisce per ottenere un’inversione dell’onere della prova che, pur riconoscendo al convenuto la possibilità di fornire la prova della diligenza dovuta, afferma una responsabilità oggettiva, data la

difficoltà di provare l’ efficienza e la sicurezza stessa del processo produttivo. Il caso in questione più che a canoni logici, risponde ad un’esigenza equitativa di distribuzione dei rischi, dato che il fabbricante, presentando il prodotto in commercio in involucri sigillati, comporta nei consumatori un affidamento sulla integrità stessa del contenuto.

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21

La dottrina ha tentato di superare le difficoltà derivanti dalla normativa. La

responsabilità aquiliana incentrata sull’esclusivo criterio della colpa, determina una carente tutela del consumatore. L’ insufficienza del criterio della colpa ha portato la dottrina a ragionamenti differenti. La difficoltà principale era determinata da pregiudizi di natura interpretativa riguardo l’istituto della responsabilità civile che portavano ad affermare che non vi potesse essere responsabilità senza colpa. La dottrina ha dimostrato però come, da un lato il sistema delle norme sulla

responsabilità extracontrattuale non sia poi così imperniato sulla colpa quale criterio unico di imputazione della responsabilità stessa e dall’altro, come la sostituzione della colpa con criteri oggettivi di imputazione sia più utile per comparare gli interessi del danneggiante e del danneggiato. E’ il produttore che, nell’osservare la diligenza richiesta dalle specifiche disposizioni, deve garantire la sicurezza del prodotto accompagnato di tutte le informazioni necessarie per un suo corretto utilizzo, con le relative avvertenze ed istruzioni. E’ al produttore che spetta operare quel giudizio di ragionevole prevedibilità, in relazione ai probabili

comportamenti che il consumatore potrebbe tenere rispetto al prodotto stesso, così da evitare di cagionare all’utente danni derivanti dall’utilizzo del bene. In seguito al verificarsi di un evento lesivo causato da un difetto di costruzione del prodotto messo in circolazione, la colpa del produttore sta proprio nel non avere previsto la possibilità che un tale evento potesse realizzarsi, per non avere usato la

diligenza richiesta35 durante le fasi della progettazione e realizzazione del prodotto;

oppure

35

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22

nell’averlo previsto ma, nel non avere adottato le misure necessarie per evitarlo; infine nel non essersi astenuti dal mettere in commercio un prodotto che, non offriva la sicurezza che i consumatori legittimamente si aspettavano. Non si tratta di responsabilità oggettiva, bensì di una responsabilità che si fonda direttamente su una condotta colposa, non rispettosa della diligenza del produttore che ha commercializzato un prodotto non sicuro. L’art.2 D.lg.17 marzo 1995 n.115

36fornisce una definizione di prodotto sicuro, nella quale rientra quella di prodotto

pericoloso: prodotto sicuro è il prodotto che in condizioni di uso normale o ragionevolmente prevedibile, compresa la durata, non presenti alcun rischio

oppure presenti rischi minimi, compatibili con l’impiego del prodotto e considerati accettabili in relazione ad un elevato livello di tutela della salute e della sicurezza delle persone. Spesso l’insicurezza del prodotto e dunque la sua pericolosità, è sinonimo di un errato impiego da parte del consumatore; qualsiasi prodotto, può essere fonte di pericoli e di conseguenti danni se utilizzato in modo irragionevole. La disciplina introdotta con la Direttiva 92/59 e col successivo D.lg. di attuazione ha spostato la tutela nei confronti del danno da prodotti da un controllo di natura risarcitoria ad uno di tipo preventivo. In tale quadro, le autorità competenti si vedono riconosciuti poteri di controllo sia prima della fase della

commercializzazione che in quella successiva. Se i prodotti risultano pericolosi,non solo ne viene vietata la commercializzazione ma,se già in commercio, ne viene disposto il ritiro.

36

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23

La nuova normativa grava il produttore ed il distributore di ulteriori obblighi37 che

riguardano anche la fase successiva all’immissione sul mercato del prodotto. Nel caso di un bene insicuro, il criterio di difettosità non può derivare dalla semplice constatazione dell’esistenza in commercio di un prodotto più sicuro; il produttore deve adottare le iniziative volte a garantire l’immissione e la presenza sul mercato di prodotti sicuri o, in mancanza, provvedere a sue spese al ritiro dello stesso. La nuova normativa dà una diversa lettura dell’art.6 lett. e): è il produttore, dopo l’immissione del prodotto sul mercato, ad essere garante della sua non difettosità. Se infatti la Direttiva 85/374 CEE blocca l’indagine sulla responsabilità del

produttore al momento della commercializzazione del prodotto, la Direttiva 92/59 CEE induce invece a prendere in considerazione il comportamento dei soggetti coinvolti nella produzione e distribuzione dei prodotti anche nella fase successiva all’ immissione sul mercato. Qualora il produttore venga a conoscenza della dannosità di un bene da lui fabbricato e già immesso in commercio, senza darne comunicazione ai consumatori o non provveda a modificarlo o, ancora, non lo ritiri dal mercato, sarà imputato per avere messo in commercio un prodotto non sicuro. La CE vedendo nella sicurezza dei prodotti un obiettivo da perseguire alla luce del principio di precauzione, ha sostituito la Dir. 92/59 con la Dir.01/95 recepita con

d.lgs.172/200438. Non potendo adottare una legislazione specifica per ogni singolo

prodotto, è stato stabilito un obbligo generale di sicurezza per tutti i prodotti immessi sul mercato. Quanto alle legislazioni nazionali, il nostro ordinamento, nell’ambito della responsabilità civile, prevede una distinzione tra responsabilità

37 Di cui all’art. 3. 38

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contrattuale e responsabilità extra-contrattuale. Le due fattispecie di responsabilità vanno tenute separate, in quanto si differenziano per numerosi aspetti. La

responsabilità contrattuale nasce tra persone vincolate tra loro da un rapporto di tipo contrattuale: esempio ne è il rapporto tra venditore ed acquirente in cui, tra le parti sorge da un lato, l'obbligo del venditore di fornire la merce pattuita nella

quantità e nella qualità richiesta, dall'altro l'obbligo dell'acquirente di pagare il prezzo nei modi e nei tempi stabiliti. L'onere di provare o negare la responsabilità grava sul debitore che, deve dimostrare che il danno verificatosi non è dovuto ad un suo comportamento, alla sua negligenza o imperizia. La prescrizione per il diritto al risarcimento è di regola di dieci anni, tranne eccezioni. La responsabilità extra-contrattuale si manifesta tra persone non vincolate tra loro da alcun rapporto contrattuale, come ad esempio la responsabilità che sorge nel caso di

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L'onere di provare di chi sia la responsabilità grava su chi ritiene di avere subito il danno. E’ quest'ultimo a dover dimostrare che il danno patrimoniale subito è stato commesso dal danneggiante e l'esistenza di un nesso di causalità tra

l'azione che ha provocato il danno ed il danno stesso. La prescrizione per il diritto al risarcimento di norma è quinquennale. L a distinzione tra le due forme di responsabilità consiste nel fatto che, mentre nella responsabilità contrattuale l'obbligo di risarcimento ha carattere derivato o secondario, in quanto

presuppone la preesistenza tra le parti di un vincolo, nella responsabilità

aquiliana l'obbligo di risarcimento si instaura, con carattere originario o primario, senza che ci siano contatti o progetti precedenti. Rilevata tale differenza,

vengono in rilievo anche delle differenze nella disciplina attinente alla

risarcibilità dei danni non prevedibili: in tema di responsabilità contrattuale, se non vi è dolo, ma solo colpa, sono risarcibili soltanto i danni prevedibili; in tema di responsabilità aquiliana non ha mai rilevanza, ai fini del risarcimento, la

prevedibilità del danno. La responsabilità debitoria si impernia su un diritto di credito rimasto insoddisfatto, che essa mira a soddisfare in via successiva, ponendo il creditore nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se il contratto fosse adempiuto. Altra rilevanza della distinzione tra i due tipi di responsabilità riguarda l'onere della prova: nella responsabilità contrattuale l’attore deve provare il suo credito e la scadenza dell'obbligazione, è sul

debitore che, incombe l'onere di dimostrare di non aver potuto adempiere per una causa a lui non imputabile. Nella responsabilità extra-contrattuale, invece, è

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l'attore che ha l'onere di provare non soltanto che la condotta del convenuto gli ha causato un danno, ma anche che si tratta di un comportamento tenuto con colpa o, ancora peggio, con dolo. L’operatività delle prescrizioni brevi previste per alcuni contratti in relazione ai quali si applica il concorso di

responsabilità39 rende spesso l'azione extra-contrattuale più agevole rispetto a

quella contrattuale. Nonostante si discuta se sia ammissibile il concorso tra la responsabilità contrattuale e quella extra-contrattuale, spesso il concorso tra le due responsabilità è solo un espediente volto ad evitare le conseguenze penalizzanti di una prescrizione troppo breve. Un'ulteriore distinzione viene rilevata all'interno della classificazione dei tipi di responsabilità, che riguarda la cd. responsabilità oggettiva, ovvero una responsabilità del tutto

indipendente dai criteri di imputabilità per colpa. Responsabilità oggettiva significa responsabilità basata sul rapporto di causalità tra il fatto proprio e l'evento altrui dannoso, rapporto di causalità che, a sua volta, si basa sulla normalità che rende prevedibile un dato effetto come conseguenza del verificarsi di una data causa. Secondo alcuni autori, la responsabilità del produttore per danni causati dai difetti del prodotto, trova collocazione

proprio all'interno di questa categoria particolare di responsabilità. La direttiva comunitaria del 25 luglio 1985, n. 374 che l'ha introdotta nel nostro

ordinamento, la pone in rapporto di continuità con la responsabilità oggettiva del produttore. Secondo altri autori, invece, la responsabilità del produttore costituisce una nuova forma di responsabilità, che non deroga, ma si aggiunge alla disciplina generale in tema di responsabilità

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27

extra-contrattuale e contrattuale, costituendo una fattispecie a sé di

responsabilità. Già in precedenza la giurisprudenza tendeva ad affermare la responsabilità del produttore per danni arrecati a cose o persone da vizi dei prodotti commercializzati dal fabbricante ritenendo presunta una colpa del produttore anche in assenza di prove, ora invece la responsabilità del

produttore è sancita senza bisogno di alcuna prova di una sua colpa e dipende dal fatto oggettivo della lesione arrecata al cliente da un difetto del prodotto. Sia che si voglia considerare la responsabilità del produttore come estensione della responsabilità oggettiva, sia come autonomo sistema di responsabilità, l'introduzione di questa disciplina risarcitoria ha dato soluzione ad un problema non risolto esplicitamente dal codice civile, un problema tipico della società moderna basata su criteri di produzione e di consumo di massa. L'esperienza dei paesi industriali mostra come l'incremento produttivo dei beni di consumo corrisponda ad un aumento proporzionale di eventi dannosi cagionati ai consumatori dalle condizioni difettose del prodotto. In primo luogo, la produzione industriale di massa, la cd. produzione in serie, destinata al

pubblico di largo consumo. Un secondo aspetto rilevante è rappresentato dal mutamento rapido del sistema produttivo, particolarmente nel rapporto

rivenditore - acquirente. Tale mutamento è caratterizzato dall'evoluzione che ha subito la figura del rivenditore, in quanto nel moderno assetto del mercato non gli compete un ruolo attivo, ma soltanto la semplice funzione di conservare e distribuire i prodotti. La vera controparte contrattuale dell'acquirente finale del

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prodotto, è il produttore, mentre al rivenditore si attribuisce il semplice ruolo di intermediario interponendosi tra produttore consumatore finale, mentre il dettagliante rappresenta ormai solo un anello di questa catena distributiva. La centralità della figura del produttore nell’assetto del mercato moderno è ancora più evidente se si guardano due aspetti: il produttore non si limita a soddisfare dei bisogni, ma tende a crearne degli altri; la dipendenza psicologica che il consumatore manifesta nei confronti dei cd. prodotti di marca,che

ingenerano una fiducia, in relazione alla loro qualità e sicurezza, tale da condizionarne la decisione in fase di acquisto. Il venir meno delle suddette garanzie da parte dei prodotti acquistati può comportare, una violazione della fiducia che il consumatore aveva riposto nei confronti del fabbricante del prodotto in questione. Da qui nasce l'esigenza di una tutela diretta, da una

parte, alla pratica preventiva di”consumer protection”40; dall'altra, volta ad

attribuire ,al produttore, la responsabilità del danno per la messa in circolazione del prodotto dannoso. Il legislatore italiano ha disciplinato la responsabilità civile del produttore per danni causati dal difetto del prodotto con il D.P.R. 24 maggio n. 224 1988, recependo la direttiva della Comunità Europea n. 374 del 1985, relativa al riavvicinamento delle disposizioni legislative degli Stati membri in materia di responsabilità per danni da prodotti difettosi. Nella Comunità Europea la problematica della responsabilità civile da prodotti si è sviluppata all'inizio degli anni Sessanta. Il sistema della responsabilità del produttore antecedentemente al D.P.R. 224 del 1988 è il frutto di

un'elaborazione giuridica

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che porta alla negazione di una responsabilità di tipo diretto del produttore in

sostituzione di quella del dettagliante41. La disciplina relativa al contratto di

vendita prevede che solo alcune situazioni comportino una responsabilità del venditore che, tuttavia è ben distinto dal produttore: sono i casi di

responsabilità per evizione e per i vizi della cosa oggetto di vendita42. Altri

articoli del Codice Civile sono volti a tutelare il consumatore/ acquirente: l'art. 1490 c.c, prevede l'esistenza di una forma di garanzia per i vizi della cosa

venduta; l'art. 1494 c.c., relativo al risarcimento del danno; entrambi, però, sono limitati, da ulteriori disposizioni, che possono ostacolare l'attuazione di una

efficace tutela del consumatore universalmente praticabile43 . Le norme relative

alla compravendita, attualmente in vigore nell'ordinamento giuridico italiano, non sono idonee nè a tutelare gli interessi dei consumatori, né per una

corretta disciplina delle vendite a catena, proprio perché il codice considera la vendita alla stregua di un affare individuale. Il danneggiato deve fornire la prova della colpa del danneggiante. Una prova, questa, che riesce difficile in quanto il consumatore ignora sia le tecniche di distribuzione del prodotto, sia le cause che provocano il danno che possono manifestarsi nel corso del processo produttivo e che, talvolta, risultano ignote anche al fabbricante stesso. In

conclusione, la circolazione di prodotti dannosi pare comportare un rischio che incombe sul consumatore senza possibilità pratica di trasferirlo su quei soggetti che lo hanno creato.

41Reale controparte del consumatore/acquirente. 42

Art. 1476 cod. civ.

43 Ad esempio, il fatto che all'art. 1494 cod. civ. sia permesso al venditore di non risarcire il danno se egli è in grado di dimostrare di aver ignorato consapevolmente i vizi della cosa venduta.

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La problematica, in assenza di una specifica disciplina legislativa, veniva risolta dalla giurisprudenza, coordinando la fattispecie del danno da prodotto ora all'una, ora all'altra regola di responsabilità. Si è cercato di elaborare modelli di responsabilità oggettiva del produttore o modelli di responsabilità

oggettiva integrati che, facendo ricorso a diverse tecniche, erano volti a

tutelare la parte più debole ovvero, il consumatore danneggiato. Altri tentativi hanno ricollegato la responsabilità per danno da prodotto ad un modello di responsabilità contrattuale per garanzia, senza però addivenire ad una disciplina uniforme. Fin dall'inizio degli anni Settanta, la Commissione CEE ha elaborato vari progetti di direttiva aventi ad oggetto la responsabilità del produttore per la circolazione di prodotti dannosi, fino a giungere

all’approvazione della direttiva 25 luglio 1985, n. 374. L'adozione della direttiva si è resa necessaria per uniformare gli ordinamenti interni degli Stati membri in tema di responsabilità del produttore, al fine di garantire la libera concorrenza e la libera circolazione delle merci all'interno del Mercato comune. La scelta di responsabilizzare il produttore ha risolto il problema di una corretta

distribuzione dei rischi inerenti alla produzione tecnica moderna. La direttiva 85/374/CEE esamina il concetto di sicurezza quale altro punto di notevole importanza presente nella stessa. Il legislatore europeo precedentemente

aveva emanato una normativa dedicata alla sicurezza dei consumatori44, in cui

enunciava il principio generale per cui tutti i prodotti ed i servizi presenti sul mercato dovevano,in condizioni

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ragionevolmente prevedibili da un soggetto esperto, offrire la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, evitando così di danneggiare la salute delle persone. Prendendo in esame le due direttive, emerge una relazione tra esse: la direttiva dell'83 introduce un principio che diventa il fondamento e il fine ultimo della direttiva dell'85, ovvero il raggiungimento della totale

soddisfazione del consumatore, principio che coincide con quello relativo alla qualità del prodotto e quindi con la sicurezza di esso o, in caso contrario, con la risarcibilità del danno da prodotto. Nel 1992 la Commissione emanò una

seconda Direttiva CEE n. 59 in tema di sicurezza dei prodotti che, assunse rilevante importanza letta in combinato con la Direttiva 85/374/CEE. La direttiva 85/374/CEE si apre con il principio generale in virtù del quale il

produttore è responsabile del danno causato da un difetto del suo prodotto. Tale principio dev’essere letto alla luce dell'art. 2 che specifica cosa s'intende per prodotto: "ogni bene mobile, ivi compresa l'elettricità, ad esclusione dei

prodotti agricoli naturali"; per produttore45 s'intende il fabbricante di un

prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una materia componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchi, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenti come

produttore dello stesso. La direttiva introduce una responsabilità oggettiva perché prescinde dall’accertamento della colpa; è il danneggiato a dover provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno.

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L'attenzione si sposta dunque sul criterio di imputazione, che anche se non menzionato, può identificarsi nel rischio o meglio, nella immissione nel mercato del prodotto. A questo proposito, l'art. 6 dispone: “un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui si annovera la presentazione del prodotto, l'uso cui il prodotto è ragionevolmente destinato, il momento di messa in circolazione”. La portata generale della norma presenta però delle limitazioni posto che esclude e limita la responsabilità. L'art. 7 invece precisa che il produttore non è responsabile se non ha messo il prodotto in

circolazione; se il difetto non esisteva al momento in cui il prodotto è entrato nel mercato; se la vendita non è avvenuta per scopi economici; se il difetto è dovuto alla conformità a norme imperative; se lo stato della scienza e della tecnica al momento della immissione sul mercato non poteva consentire l'accertamento del difetto e nel caso di produttore di parte componente, quando risulta che il difetto è dovuto alla concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o alle istruzioni date dal produttore del prodotto. La responsabilità non si riduce nel caso in cui, accanto al difetto si aggiunge

anche un intervento di un terzo, mentre può essere diminuita o cessare del tutto se vi è colpa del danneggiato. Quanto all’incidenza della direttiva

sull'ordinamento italiano, bisogna ricordare che le direttive si distinguono dagli

altri atti comunitari46, poichè vincolano gli Stati membri cui sono indirizzate

esclusivamente quanto al risultato da raggiungere, restando salva la competenza degli organi nazionali

in merito alla forma e ai mezzi47.

46 Ad es., regolamenti, decisioni, raccomandazioni e pareri. 47 Art. 189 Trattato C.E.E

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Le direttive comunitarie stabiliscono il risultato che i singoli ordinamenti devono conseguire, lasciando agli stessi la libertà di determinare i mezzi necessari al raggiungimento di tale scopo nell'ambito di quanto fissato dalla direttiva stessa. L'attuazione della direttiva in Italia è avvenuta con il D.P.R. 24 maggio 1997 n. 224, il quale, per la prima volta, ha introdotto nel nostro ordinamento, il concetto di responsabilità del produttore. E’ stata data inoltre, anche in questo caso per la prima volta, una definizione sia di prodotto che, di produttore, identificando, nel consumatore, il soggetto destinatario della relativa tutela. E’ il consumatore il vero protagonista della legge in esame, è a lui che viene riconosciuto il diritto ad ottenere la sicurezza una volta che il

prodotto viene immesso sul mercato. La legge in questione, nella sua norma di apertura, riproduce quanto previsto dall'art. 1 della Direttiva CEE, laddove prevede che: il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto. I giudici nazionali però disapplicano la direttiva, preferendo adottare norme nazionali in tema di responsabilità civile. Quanto alla valutazione del risarcimento del danno, non è molto rassicurante offrire al consumatore un risarcimento senza fissare standard di sicurezza quantomeno minimi dei prodotti. Da questa considerazione nasce come rimedio comunitario il richiamo alla Direttiva 92/59/CE che rappresenta un ulteriore punto della tutela dei consumatori. Duplice è il suo scopo: in via preventiva stabilire requisiti minimi di sicurezza dei prodotti destinati alla circolazione

intracomunitaria già armonizzati ; in secondo luogo, introdurre procedure di emergenza da applicare in caso di insorgenza di difetti.

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Dopo aver considerato l'evoluzione legislativa della responsabilità del produttore, è giusto fare un cenno anche alla disciplina speciale. Viene in considerazione la complessa disciplina della produzione farmaceutica e la disciplina della produzione e vendita di cosmetici, di cui alla legge 11 ottobre 1986, n. 713, in attuazione di altra direttiva comunitaria n. 768 del 1976. La giurisprudenza comunitaria

pur non avendo ancora riconosciuto in modo espresso il principio di

precauzione previde la possibilità di limitare se non, impedire del tutto, la libera circolazione delle merci per evitare di arrecare danni,

anche solo probabili alla tutela, della salute dell’uomo. Tra le varie sentenze, il

caso Fedesa del 199048, evidenzia il ricorso all'art. 30 TCE giustificando

restrizioni alla libera circolazione delle merci in tutte quelle ipotesi in cui fosse doveroso garantire la tutela della salute e della vita delle persone,

degli animali e la preservazione dei vegetali. Gli Usa vietarono l’applicazione di tutte quelle direttive comunitarie che impedivano la vendita e l’utilizzo di carni

o prodotti ricavati in cui fossero presenti ormoni.49 Panel e Appellate Body

ritennero illegittime le misure adottate dalla Ue in quanto contrastanti con

l’accordo SPS50. A norma dell’art. 5 SPS infatti, gli Stati membri possono

adottare misure sanitarie e fitosanitarie anche quando le relative prove scientifiche non siano del tutto sufficienti. Devono però essere rispettate quattro condizioni ovvero, la temporaneità delle misure adottate, l’adozione da parte degli Stati membri delle informazioni necessarie per una valutazione

48

Caso DS 320, EC – Hormones.

49 In www.wto.org/tratop e/ dispu e/case/ds320. 50 Accordo su misure sanitarie e fitosanitarie.

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ragionevole, la revisione delle misure adottate in termini ragionevoli e ragioni obiettive alla base dell’adozione di tali misure. L’ultimo punto è stato

fondamentale nella sentenza Amianto del 200151 nella quale il Panel del Wto

ha, per primo, dato priorità alla tutela ambientale rispetto alla libera circolazione delle merci.

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La Francia nel 1996 vietò la lavorazione, produzione e vendita di amianto per tutelare lavoratori e

consumatori. Tale misura fu legittima in relazione all’accordo SPS riguardo proprio al carattere scientifico della prova.

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Il principio di precauzione viene invece

espressamente menzionato, per la prima volta, in due note sentenze del 1998: la sentenza National Farmers Union

e la sentenza Regno Unito/Commissione nelle quali la Corte di Giustizia

ha confermato la validità delle misure di emergenza adottate contro l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) solo dopo aver verificato che la decisione era stata

assunta a seguito dei pareri di tre organi tecnici diversi 52. Nel

1996 la Commissione ha adottato, come misura di emergenza, una decisione che vietava la spedizione di qualsiasi bovino e di qualsiasi tipo di carne bovine o di

prodotti ottenuti a partire da queste ultime, dal territorio del Regno Unito verso gli alt ri Stati membri nonché verso i paesi terzi. Nelle due cause gli argomenti relativi all' invalidità della decisione riguardavano la competenza della Commissione, l'ipotesi di sviamento di

potere da parte della Commissione ed infine, la possibilità che la stessa avesse violato il principio di proporzionalità. Circa l'ipotesi di una violazione del principio di proporzionalità la Corte ha notato che all'epoca dell'adozione della decisione impugnata esisteva una grande incertezza riguardo i rischi presentati per gli animali vivi, per le carni bovine o per i prodotti derivati. La Corte ha ricordato che,

quando sussistono incertezze in merito all'esistenza o alla portata di rischi per la

52

Causa C-157/96 in http://eur-lex.europa.eu/smartapi/cgi/sga_doc?smartapi celexplus/prod/CELEXnumdoc&numdoc=61996J0157&lg=it .

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salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure di protezione senza dover attendere che la realtà e la gravità di questi rischi siano pienamente

dimostrate. Un divieto temporaneo di esportazione, tenuto conto della gravità del rischio e dell'urgenza, non può essere considerato una misura manifestamente inadeguata e la Commissione ne ha dato prova vietando globalmente le esportazioni di bovini, di carni bovine e di qualsiasi prodotto derivato in attesa di informazioni scientifiche specifiche. La sentenza Pfizer del 2002, dopo aver chiarito che il principio di precauzione non si applica solo all’ambiente, ma anche alla salute umana, afferma che non si può esigere che una valutazione dei rischi fornisca, obbligatoriamente, alle istituzioni comunitarie le prove scientifiche decisive sulla

realtà del rischio. Con la sentenza Monsanto del 200353 le misure di tutela riguardo

nuovi prodotti ed ingredienti alimentari sono legittimate quando la precedente valutazione sui rischi è il più possibile completa ed in grado di dimostrare la necessità di tali misure, volte a tutelare il consumatore da rischi significativi. Quanto all’onere della prova, esso ricade sullo Stato che considera pericoloso il nuovo prodotto alimentare, per essere rispettato deve esistere un rischio specifico. Solo con la

sentenza Commissione/ Regno Danimarca del 200354 verrà affrontata la necessità

che le misure adottate per la tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza, siano il meno possibili restrittive per gli scambi intracomunitari anche in caso di incertezza scientifica. Il potere in questione, rimesso agli Stati in mancanza di armonizzazione, deve essere

53 Causa C- 236/01 in www.eurlex.europa.eu/LexUriServ/62001J0192:IT:HTML 54

Corte EFTA (European Free Trade del 2001) . Il Regno di Norvegia fu condannato per aver adottato misure di cautela senza basarsi su dati scientifici sicuri. Viene data una interpretazione restrittiva del principio di precauzione.

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esercitato nel rispetto del principio di proporzionalità. Alle Autorità nazionali spetta invece tenere conto dei risultati prodotti dalla ricerca scientifica internazionale. Con la

sentenza Solvay55 , pur richiamando la precedente giurisprudenza , da una definizione

ulteriore del principio di precauzione. Con esso si intende un principio generale del diritto comunitario che obbliga le autorità ad adottare provvedimenti utili per

prevenire rischi legati alla salute, alla sicurezza ed all’ambiente, facendo prevalere tali interessi rispetto a quelli di natura economica. Essendo le Istituzioni responsabili di tale tutela, il principio di precauzione, viene visto come principio autonomo che deriva dalle disposizioni del Trattato. Il giudice comunitario ricorda che il principio di precauzione tende ad evitare rischi potenziali e non quelli puramente ipotetici. Di

contro la sentenza Greenham e Abel L. del 200456 ha ribadito che uno Stato membro,

in virtù del principio di precauzione ,possa adottare provvedimenti cautelari senza dover aspettare che siano dimostrate, in modo esauriente, la realtà e la gravità di tali rischi basati su considerazioni puramente ipotetiche. L’ onere della prova ricade sullo stato che ha adottato la misura restrittiva. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee ed il Tribunale di primo grado hanno avuto modo di confermare, in piena crisi da BSE, la legittimità dell’operatività del principio di precauzione comunitario quale giustificazione all’adozione di misure restrittive anche quando sussistano incertezze riguardo rischi per la salute delle persone o, risulti impossibile determinare l’esistenza o la portata del rischio ( a causa della natura insufficiente, inconcludente o imprecisa dei risultati degli studi

condotti)57,

55

Causa T- 392/02 Tibunale di primo grado, in www.eurlex.europa.eu/LexUriServ/62002A0392:IT:HTML 56

Causa C- 95/01 Sesta Sezione della Corte, in www.eurle.europa.eu/LexUriServ/62001J0095:IT:HTML 57

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ma persista comunque la probabilità di un danno reale per la salute delle persone, degli animali o per l’ambiente. Il Tribunale di primo grado ha

corroborato , con apposita sentenza,58 la validità del principio precauzionale

per l’identificazione dei rischi ritenuti rilevanti ai fini della loro comunicazione all’interno del sistema di allarme rapido. La ratio del Tribunale è di facile comprensione: così come l’adozione delle misure appropriate può essere atto dovuto dell’Autorità competente per prevenire rischi potenziali per la sanità pubblica, senza doverne dimostrare la realtà e la gravità, allo stesso modo la circolazione delle informazioni nel sistema RASFF non può essere condizionato alla certezza dell’esistenza ed alla portata del rischio.

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1.3 Sistema di Allarme Rapido

Uno degli elementi più innovativi del Reg.178/2002 è quello dell’ analisi del rischio le cui misure si basano su un fondamento scientifico. Il ricorso a tale meccanismo (previsto dall’art.6) è volto a prevenire gli ostacoli,ingiustificati, alla libera

circolazione delle merci. Tale sistema per evitare di entrare in contrasto con l’art. 34 TFUE si articola in tre parti: valutazione del rischio rimessa all’EFSA, gestione del rischio e comunicazione del rischio. La valutazione del rischio a sua volta si sviluppa in quattro fasi: individuazione, caratterizzazione, valutazione

dell’esposizione al pericolo e caratterizzazione del rischio59. Compito fondamentale

dell’EFSA è quello di fornire consulenza scientifica a Stati membri ed istituzioni europee. A seguito del ritrovamento di arance contaminate al mercurio rinvenute nei mercati di alcune città olandesi e tedesche nel 1978, alcuni stati tra cui Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Regno Unito dettero vita ad un sistema di informazione reciproca riguardante i rischi sanitari ricollegabili ai prodotti alimentari nel quale, la Commissione, ricopriva il ruolo dello smistamento di notizie. Il primo impiego di questo sistema si ebbe nel 1979 quando la Commissione diffuse l’Allarme su dei calamari deteriorati. La direttiva 92/59/CEE istituì un sistema in grado di consentire un rapido scambio di informazioni in situazioni d’urgenza riguardanti la sicurezza di un prodotto tanto alimentare quanto non alimentare. All’interno di tale rete si realizzava lo scambio rapido di informazioni trasmesse per iscritto tra Stati membri e Commissione secondo uno schema di notificazioni a catena.

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Per rischio s’intende la probabilità di un effetto nocivo per la salute e, per pericolo qualsiasi agente chimico, fisico o biologico presente in un alimento o mangime in grado di provocare effetti nocivi per la salute.

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