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Scala delle distanze in astrofisica

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Academic year: 2021

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Alma Mater Studiorum - Universit`

a di Bologna

DIPARTIMENTO DI FISICA E ASTRONOMIA Corso di Laurea in Astronomia

Scala delle Distanze in Astrofisica

Tesi di Laurea

Presentata da:

Gregorio Vettori

Relatore:

Chiar.mo Prof. Daniele Dallacasa

Anno Accademico 2019-2020 Sessione II

(2)

Ricordatevi di guardare le stelle e non i vostri piedi. Per quanto difficile possa essere la vita,

c’è sempre qualcosa che è possibile fare e in cui si può riuscire. Stephen Hawking

(3)

Indice

1 Introduzione 4 1.1 Cenni Storici . . . 4 2 Metodi Geometrici 4 2.1 Astronomia Radar . . . 4 2.2 Parallasse . . . 5

2.2.1 Parallasse Stellare Annua . . . 5

2.2.2 Parallasse Secolare . . . 6

3 Indicatori Primari 7 3.1 Fit di Sequenza Principale . . . 7

3.2 Variabili Pulsanti . . . 9 3.2.1 RR Lyrae . . . 10 3.2.2 Cefeidi . . . 11 4 Indicatori Secondari 12 4.1 Relazione di Tully-Fisher . . . 12 4.2 Piano Fondamentale . . . 14 4.3 Supernovae . . . 14 4.3.1 Supernovae Ia . . . 15 5 Redshift Cosmologico 16 5.1 Costante di Hubble . . . 17 6 Conclusioni 18 Riferimenti bibliografici 19

(4)

Sommario

In astrofisica la determinazione delle distanze ha sempre assunto un ruolo mol-to importante, poiché essa consente una più accurata comprensione della strut-tura e dell’evoluzione dell’universo in cui ci troviamo. Ci sono molti metodi che possono essere seguiti, a seconda degli oggetti di studio e dello scopo della ricer-ca. I metodi diretti (geometrici), utilizzabili solo nei dintorni del Sistema Solare, permettono di calibrare quelli indiretti (indicatori primari e secondari), i quali sono utilizzabili a distanze molto maggiori. Ogni metodo consente di accurare il successivo, creando così un meccanismo di misura chiamato scala delle distanze cosmiche, la quale ha come fine ultimo la calibrazione della legge di Hubble, di fondamentale importanza in cosmologia.

(5)

1

Introduzione

L’Astrometria è un’importante branca dell’Astronomia che si occupa dello studio delle posizioni e dei movimenti dei corpi celesti. In quest’ambito ci si può chiedere per esem-pio quanto sia grande il nostro pianeta, quanto il Sole sia lontano dalle stelle vicine oppure quanto la Via Lattea disti dalle altre galassie.

Il problema è che le distanze nell’universo sono troppo grandi per essere misurate diret-tamente, ma esistono comunque molti metodi per misurarle indirettamente. Partendo dalle distanze minori è possibile calibrare i metodi successivi uno ad uno, fino a po-ter depo-terminare le distanze maggiori. Questo approccio di calibrazione progressiva dei metodi astrometrici costituisce la cosiddetta scala delle distanze cosmiche (CDL). La prima parte di essa è costituita dai metodi di natura geometrica, come l’astronomia radar e la parallasse stellare. La seconda parte della scala è rappresentata dagli indica-tori primari, come il fit di sequenza principale e le variabili pulsanti. Nella terza parte troviamo invece gli indicatori secondari, come le Supernovae Ia e le leggi empiriche riguardanti le galassie a spirale ed ellittiche.

Il punto di arrivo della scala è dato dal redshift che, tramite la legge di Hubble, permet-te di depermet-terminare le distanze dell’universo su grande scala. Le osservazioni di questo tipo stabiliscono importanti limiti sul modello cosmologico attuale, il quale risulta fondamentale per la comprensione dell’universo in cui ci troviamo.

1.1

Cenni Storici

Già gli antichi Greci, tramite l’utilizzo della geometria, erano in grado di stimare il raggio terrestre o la distanza dalla Luna con margini di errore relativamente piccoli [1]. Aristotele (384-322 a.C.) dedusse che la Terra e la Luna fossero rotonde, semplicemente osservando l’ombra proiettata dal nostro pianeta sul suo satellite naturale. Eratostene (276-194 a.C.) stimò il raggio della Terra con un errore dell’8%.

Aristarco (310-230 a.C) fece una buona stima del raggio della Luna e della distanza che ci separa da essa. Dedusse inoltre che il Sole dovesse essere molto più grande della Terra e da ciò ritenne assurdo pensare che la nostra stella giri intorno a noi. Fu infatti il primo sostenitore del modello eliocentrico e per questo venne citato da Copernico 1700 anni dopo.

Dal XVI secolo in poi si procedette a studiare le orbite dei pianeti del Sistema Solare tramite l’utilizzo della trigonometria. Ciò portò alle 3 leggi di Keplero 1 sul moto

dei pianeti (1609-1619) e alla formulazione da parte di Isaac Newton della legge di gravitazione universale (1687).

2

Metodi Geometrici

I metodi di natura geometrica non hanno bisogno di calibrazione e rappresentano un punto di partenza necessario per poter utilizzare i metodi successivi.

2.1

Astronomia Radar

Il primo gradino della CDL consiste nel determinare quanto distano da noi gli oggetti del Sistema Solare.

(6)

Per fare ciò, viene utilizzata l’astronomia radar, la quale si basa su impulsi elettroma-gnetici e sulla velocità della luce. È una tecnica di osservazione che prevede l’utilizzo di microonde, con il vantaggio di poter effettuare osservazioni anche in presenza di opaci-tà ottica. Tali onde elettromagnetiche presentano una lunghezza d’onda dell’ordine di alcuni cm e una frequenza dell’ordine di 10 GHz. Quest’ultima è data dalla relazione ν= c/λ, dove c è la velocità della luce, pari a 299,792,458 m/s.

Oltre a fornire una ricchezza di informazioni sulle proprietà geologiche e dinamiche degli asteroidi, delle comete, dei pianeti interni e dei satelliti naturali, gli esperimenti radar hanno stabilito la scala del Sistema Solare [2].

Supponendo di voler misurare la distanza fra la Terra e un oggetto del Sistema Sola-re, viene inviato un impulso elettromagnetico in direzione del bersaglio. Il segnale è riflesso dall’oggetto e torna nuovamente sul nostro pianeta. Consideriamo il tempo ∆t trascorso tra l’invio e la ricezione dell’impulso. La distanza d dall’oggetto considera-to risulterà essere c ·∆t/2, poiché la radiazione elettromagnetica ha percorso il tratto Terra-oggetto due volte [3].

L’utilizzo dell’astronomia radar è limitato al Sistema Solare per via della bassa quan-tità di potenza che ritorna all’antenna ricevente. Durante il tragitto si ha infatti che P ∝ d−4. Nonostante i loro limiti, le tecniche radar forniscono valori precisi per l’unità astronomica (AU), prima misura necessaria per la determinazione della scala delle di-stanze cosmiche [1]. Essa rappresenta la distanza media Terra-Sole e dal 2012 è definita con il valore di 149,597,870,700 m.

2.2

Parallasse

La parallasse è lo spostamento angolare apparente di un oggetto osservato da due punti di vista diversi [4]. È un fenomeno sperimentabile nella vita di tutti i giorni: è sufficiente infatti osservare un oggetto vicino prima con un occhio e poi con l’altro. 2.2.1 Parallasse Stellare Annua

Il secondo gradino della CDL consiste nel determinare la distanza delle stelle vicine. Il movimento apparente di un astro sullo sfondo di altri più lontani, mentre la Terra ruota intorno al Sole, viene definito parallasse stellare. Essa può essere usata per misurare la distanza delle poche stelle che sono abbastanza vicine al Sole da mostrare una parallasse misurabile.

Supponiamo per semplicità che l’orbita terrestre sia circolare (con raggio R = 1 AU) e che le stelle sullo sfondo siano in quiete (sono ipotizzate molto più lontane della stella che stiamo considerando). Le due posizioni dell’osservatore e la posizione della stella formano un triangolo [5]. Nella determinazione di una distanza celeste mediante la misura della parallasse, la linea di base tra i punti di osservazione viene presa il più lunga possibile. Per le stelle al di fuori del Sistema Solare essa corrisponde all’asse dell’orbita terrestre, il quale viene qui considerato un righello standard. Se la linea di base e la direzione dell’oggetto visto da ciascun punto sono note, allora si ottiene l’angolo di parallasse p (Figura 1).

La distanza della stella dall’osservatore può essere trovata di conseguenza:

d = R tan p ' R p = 1 AU p (1)

poiché tipicamente p < 1 arcsec ' 5 · 10−6 rad, dove un arcosecondo (indicato con

(7)

Figura 1: Rappresentazione schematica della parallasse stellare.

Introduciamo adesso un’unità di misura fondamentale in astronomia, il parsec (pc), ovvero la distanza alla quale si ha una parallasse stellare annua di 1 arcsec:

d= 1 pc = 3.2616 ly = 180 · 3600

π AU '3.086 · 10

16m (2)

dove ly è l’unità di misura dell’anno luce, il quale corrisponde alla distanza percorsa dalla radiazione elettromagnetica nel vuoto in un anno. Come abbiamo visto, la di-stanza della stella è inversamente proporzionale alla parallasse ed, espressa in parsec, è data da:

d [pc] =

[arcsec]

p (3)

Da questo si ha che, in proporzione, un’unità astronomica sta ad un parsec come un arcosecondo sta ad un grado. Per fare un esempio, Alpha Centauri (il sistema stellare più vicino a noi) presenta una parallasse di 0.762" e si trova a una distanza di 1.31 pc, ovvero 270,207 AU [5].

La distanza alla quale la parallasse può essere misurata in modo affidabile è stata ora notevolmente estesa da strumenti spaziali come il satellite Gaia, il quale ha una risoluzione angolare di10−5

arcsec. A causa dell’approssimazione di orbita circolare R = 1 AU, l’errore sulla misura dell’angolo di parallasse è superiore a10−4. Con questo

metodo possiamo perciò fare misure astrometriche su stelle all’interno della Via Lattea, fino ad alcuni kpc di distanza. Con future missioni come Jasmine (JAXA), si prevede di raggiungere una precisione dell’ordine di10−9 arcsec per gli angoli di parallasse [3].

2.2.2 Parallasse Secolare

Si parla di parallasse secolare quando si considera come linea di base un tratto percorso dal Sole durante la sua orbita nella Via Lattea [6]. In questo caso, lo spostamento dell’astro di cui si vuole misurare la distanza non è periodico, ma aumenta regolarmente nel tempo. Come si vede nella Figura 2, la distanza delle stelle risulta:

d ' D p =

vs∆t

∆θ (4)

dove vs è la velocità del Sole rispetto alle popolazioni del disco galattico ed è dell’ordine

(8)

Figura 2: Rappresentazione schematica della parallasse secolare.

3

Indicatori Primari

Gli indicatori primari si basano sulle osservazioni fatte con i metodi geometrici e per tanto risentono degli errori di questi ultimi. Facciamo l’assunzione che gli oggetti considerati appartengano ad una classe di oggetti omogenei che prendono il nome di candele standard. Esse sono degli oggetti astronomici di cui è nota la magnitudine assoluta2, perciò si ha che le eventuali differenze in magnitudine apparente sono dovute a differenze di distanza.

3.1

Fit di Sequenza Principale

Il terzo gradino della CDL consiste nel determinare quanto distano da noi gli ammassi stellari3 situati all’interno della via Lattea.

Supponiamo di aver misurato la distanza di una stella vicina con il metodo della pa-rallasse. Con la spettroscopia si può misurare con precisione il colore dell’oggetto [1]. Si osserva il picco di emissione del suo spettro di corpo nero e tramite la legge di Wien λ[cm] = 0.2897/T [K] se ne ricava la temperatura superficiale e quindi la classe spet-trale 4.

Con la fotometria si può invece misurare la luminosità apparente F (flusso di radiazio-ne) dell’oggetto. Tramite la legge dell’inverso del quadrato F = L/4πD2 si può così

calcolare la luminosità assoluta della stella.

Ejnar Hertzsprung (1873-1967) e Henry Russell (1877-1957) furono i primi ad analiz-zare nel dettaglio la relazione tra luminosità assoluta e colore di una stella. Tra il 1905 e il 1915 lo fecero per migliaia di stelle vicine, portando al famoso diagramma di Hertzprung-Russell (HR) [1]. Disponendo di questo potente strumento, lo si può usare al contrario per misurare la distanza di oggetti più lontani. La maggior parte delle stelle risiede in una banda ristretta del grafico temperatura-luminosità, chiamata sequenza principale (MS), la quale è facilmente riconoscibile per gli ammassi stellari. Supponiamo che ammassi con la stessa metallicità ed età presentino lo stesso diagram-ma HR. Da questo si ha che la differenza in diagram-magnitudine apparente non è intrinseca,

2È la magnitudine apparente che un oggetto avrebbe se si trovasse ad una distanza dall’osservatore di 10 pc.

3Un ammasso stellare è un gruppo di stelle che si sono formate dalla stessa nube di polveri e gas e che si mantengono vicine per azione gravitazionale.

4Secondo la classificazione di Harvard, per la maggior parte delle stelle si usano le lettere O, B, A, F, G, K, M, L e T, con temperature che vanno da circa 50,000 K per la classe O a circa 800 K per la classe T.

(9)

ma dovuta alle diverse distanze o all’estinzione5. Prendiamo come riferimento le Iadi, un ammasso abbastanza vicino da determinarne la distanza per parallasse (si trova a 46 pc di distanza) [3]. Dall’ipotesi precedente abbiamo che un ammasso stellare più lontano (della stessa età) presenta la stessa sequenza principale in magnitudine assolu-ta. Trasliamo quest’ultima in verticale nel diagramma HR fino a farla coincidere con la sequenza principale in magnitudine apparente [6]. La differenza tra le due prende il nome di modulo di distanza, il quale è dato da:

µ= m − M − Aν = 5 log10D −5 (5)

Nota l’estinzione Aν (la quale dipende dalla banda di frequenza considerata), µ porta

a determinare la distanza dell’ammasso considerato (Figura 3).

Figura 3: In alto: sequenza principale in magnitudine assoluta; in basso: diagramma HR di un ammasso.

Essendo un metodo statistico, per far in modo che δµ <0.22 mag, (corrispondente ad un errore relativo del 10%) è necessario considerare molte stelle. Il campione è però ristretto dal fatto che a grandi distanze non è possibile osservare quelle meno luminose. Come conseguenza, si ha che questa tecnica è applicabile fino a 10-30 kpc di distanza. È importante notare che ci sono alcune complicazioni con l’adattamento della sequenza principale. Quando le stelle dell’ammasso esauriscono il combustibile di idrogeno nel loro nucleo, lasciano la MS ed evolvono verso l’alto a destra. Per questo motivo, più un ammasso è vecchio e minore è la sequenza principale con cui si può lavorare. Un secondo problema è quello delle blue stragglers. Si tratta di stelle che sono proba-bilmente membri di sistemi binari e che hanno ricevuto massa dalle loro compagne. Da ciò si ha che possono apparire a sinistra del punto di turn-off 6 dell’ammasso, poiché

non hanno avuto sempre questa massa [4].

Il terzo problema è che non sempre si è sicuri di osservare stelle che appartengono effettivamente all’ammasso. È probabile che altre stelle si trovino nella stessa direzione del cielo e finiscano per essere incluse nella fotometria dell’oggetto studiato.

5Termine usato per descrivere l’assorbimento e la dispersione della radiazione elettromagnetica ad opera della materia (gas e polveri) che si trova tra l’oggetto celeste e l’osservatore.

6Il punto di turn-off di un ammasso è il punto nel diagramma HR in cui si interrompe la sequenza principale. Questo avviene poiché le stelle più massive esauriscono prima il loro combustibile e si spostano verso il ramo asintotico delle giganti.

(10)

3.2

Variabili Pulsanti

Una stella è definita variabile se la sua luminosità apparente risulta alterata nel corso del tempo. Questi cambiamenti possono avvenire nel corso degli anni o anche solo in frazioni di secondo, e possono variare da un millesimo di magnitudine a 20 magnitu-dini. Più di 100,000 stelle variabili sono conosciute e catalogate, e altre migliaia sono variabili sospette. Anche il nostro Sole è una stella variabile: la sua produzione di energia varia infatti con un ciclo di 11 anni [7].

Alcune stelle hanno l’inviluppo esterno instabile e pulsano in modo molto regolare, prendendo così il nome di variabili pulsanti. Tra queste, troviamo le cosiddette RR Lyrae e le Cefeidi, le quali occupano una zona del diagramma HR chiamata instability strip (Figura 4). Si deduce facilmente che sono stelle giganti, poiché si trovano infatti al di sopra della sequenza principale [6].

Figura 4: Diagramma HR in cui è rappresentata la instability strip delle variabili pulsanti.

Le RR Lyrae e le Cefeidi mostrano un’importante correlazione, chiamata relazione PL (periodo-luminosità), tale per cui ad un maggior periodo di pulsazione corrisponde una maggiore luminosità media. Per questo motivo possono essere utilizzate come indica-tori primari di distanza. Henrietta Swan Leavitt (1868-1921) fu la prima, nel 1912, ad osservare tale fenomeno. Per le Cefeidi la relazione PL è del tipo M = A + B · logP , in cui A e B sono i parametri di calibrazione. Harlow Shapley li determinò più accura-tamente, portando alla prima stima delle dimensioni della Via Lattea [4].

La più comune instabilità delle variabili pulsanti è legata ai diversi gradi di ionizazzione del gas negli strati convettivi superficiali. Gli oggetti nella fascia di instabilità, date le loro caratteristiche fisiche, presentano il cosiddetto meccanismo κ, il quale è alla base del fenomeno di pulsazione (κ rappresenta l’opacità).

La contrazione della stella provoca un aumento di temperatura e pressione, incremen-tando il numero di elettroni liberi nelle zone a ionizzazione parziale. Essi sono in grado di assorbire energia, così aumenta l’opacità e diminuisce la luminosità. Con l’aumentare della pressione si arresta la contrazione e si ha un’espansione della stella. Analogamente, si ha adesso una diminuzione di temperatura e pressione, e ciò porta

(11)

ad una riduzione dell’opacità con conseguente aumento della luminosità.

Il colore e lo spettro variano durante il periodo di pulsazione: per questo motivo si par-la anche di repar-lazione PLC (periodo-luminosità-colore) [8]. In genere il tipo spettrale è meno avanzato al massimo di luminosità (F5, F6) che al minimo (F7, G, K) e varia con continuità nelle varie fasi della curva di luce.

Tenendo conto di metallicità ed estinzione, fattori che modificano le quantità osser-vative, è comunque possibile avere una buona stima di M considerando le RR Lyrae e le Cefeidi. Premessa l’analisi di un campione abbastanza esteso, si può così avere un’incertezza δµ <0.22 mag.

3.2.1 RR Lyrae

Il quarto gradino della CDL consiste nel determinare la distanza degli oggetti del Gruppo Locale 7.

Le RR Lyrae sono variabili pulsanti di popolazione II, perciò sono molto povere di metalli e si trovano soprattutto nell’alone galattico. Sono stelle giganti di classe A o F, con masse di ∼ 0.5 M 8 e luminosità di ∼ 40-50 L 9. Il periodo di pulsazione

varia da alcune ore fino ad un giorno, con un’ampiezza nella curva di luce di 0.3-2 mag. Presentano una relazione periodo-luminosità nell’infrarosso del tipo [9]:

MI = 0.839 − 1.295 · logP + 0.211 · logZ (6)

dove Z è la metallicità e P è il periodo di pulsazione espresso in giorni.

Generalmente hanno una magnitudine assoluta media quasi costante hMVi = 0.75 ±

0.1 (Figura 5) e per questo motivo non è sempre necessario determinare il periodo di pulsazione. Poiché le RR Lyrae risultano essere meno luminose delle Cefeidi, possono essere utilizzate per misure astrometriche fino ad 1 Mpc di distanza.

Figura 5: Grafico periodo-luminosità per le RR Lyrae e le Cefeidi.

7È il nome dato al gruppo di galassie di cui fa parte la nostra. Esso ha un diametro di 3.1 Mpc e comprende più di 70 galassie.

8La massa solare (M

) equivale a1.989 · 1033 g. 9La luminosità solare (L

(12)

3.2.2 Cefeidi

Il quinto gradino della CDL consiste nel determinare quanto distano da noi gli oggetti dell’Ammasso della Vergine 10 e del Superammasso Locale 11.

Le Cefeidi sono variabili pulsanti giganti e supergiganti. Il loro nome deriva dalla stella prototipo δ Cephei, la seconda di questo tipo ad essere stata scoperta. Sono molto comuni nelle galassie e presentano una curva di luce12 (LC) ben riconoscibile (Figura 6) [6].

Figura 6: Curva di luce di δ Cephei. È possibile notare una salita rapida e una discesa più lenta.

Vengono suddivise in due categorie a seconda di dove si trovano e delle loro proprietà. Le Cefeidi di tipo II sono stelle di popolazione II e perciò si trovano nell’alone galattico. Presentano generalmente una magnitudine compresa fra −2 e 0 mag, con un periodo di pulsazione che varia da 1 a 30 giorni (Figura 5). Occupano la zona inferiore della instability strip nel diagramma HR, essendo meno luminose delle Cefeidi di tipo I. La loro relazione PL nel visibile è [9]:

hMVi = (0.05 ± 0.05) − (1.64 ± 0.05) · log10P (7)

Utilizzando il periodo P espresso in giorni e il modulo di distanza µ dato dalla (5) si può ricavare la distanza D= 10µ5+1. Le magnitudini più elevate consentono di determinare

distanze fino a 10-12 Mpc, oltre il Gruppo Locale.

Le Cefeidi di tipo I sono invece di popolazione I e si trovano quindi nel disco galattico. Presentano generalmente una magnitudine compresa fra −5 e −1 mag, con un periodo di pulsazione che varia da 1 a 50 giorni (Figura 5). Occupano la zona superiore della instability strip nel diagramma HR, essendo più luminose delle Cefeidi di tipo II. La loro relazione PL nel visibile è [9]:

hMVi = (−1.304 ± 0.065) − (2.786 ± 0.075) · log10P (8)

Analogamente al caso precedente, si può ricavare la distanza utilizzando il modulo di distanza. Con questa tipologia di Cefeidi si possono determinare distanze fino a 35-45 Mpc, oltre l’ammasso della Vergine.

10È un ammasso che contiene oltre 1500 galassie, fra cui la Via Lattea. Ha un diametro di 18 Mpc. 11È il superammasso di galassie che contiene l’Ammasso della Vergine. Ha un diametro di 60 Mpc e contiene circa 100 tra gruppi e ammassi di galassie.

(13)

4

Indicatori Secondari

Gli indicatori secondari di distanza sono calibrati sulle galassie vicine, la cui distanza è determinata tramite gli indicatori primari. Si basano sulle relazioni strutturali delle galassie o su oggetti luminosi e rari come le Supernovae.

Prima di introdurre questi metodi, è opportuno far attenzione al fatto che stiamo consi-derando degli oggetti ad una distanza rilevante. In cosmologia non si ha una definizione univoca di distanza: dipende infatti a quale osservabile è riferita [11]. Più osservia-mo lontano e più diventa necessario fare chiarezza su questo concetto, introducendo le cosiddette distanze cosmologiche. Per quello che ci serve in questa trattazione, è sufficiente introdurne tre:

• Distanza propria, DP. È la distanza fisica tra osservatore e sorgente.

• Distanza angolare, DA. È la distanza che soddisfa la relazione euclidea:

DA=

l⊥

θ (9)

tra la dimensione trasversa della sorgente e il diametro angolare osservato. • Distanza di luminosità, DL. È la distanza definita in modo da poter scrivere:

DL=

s

L

4πF (10)

equivalente alla legge dell’inverso del quadrato vista nella Sezione 3.1. Le distanze cosmologiche sono correlate fra loro dalle seguenti relazioni [11]:

DP = (1 + zc) · DA (11)

DP = (1 + zc)−1· DL (12)

dove zc è il redshift cosmologico, il quale verrà meglio approfondito nella Sezione 5.

Per ora basti sapere che esso costituisce un indicatore di distanza fondamentale nell’u-niverso su grande scala.

Per bassi valori del redshift (0 < zc < 0.1), le distanze cosmologiche convergono allo

stesso valore: DP∼ DA ∼ DL. Per zc>0.1, corrispondente ad una distanza dell’ordine

di 3 Gpc, si hanno invece differenze apprezzabili [11].

Per fare un po’ di chiarezza, la distanza utilizzata nella Sezione 2.2 corrisponde alla distanza angolare, mentre quella utilizzata nella Sezione 3 corrisponde alla distanza di luminosità. D’ora in poi, nella nostra trattazione, non sarà più possibile considerare le due definizioni equivalenti.

4.1

Relazione di Tully-Fisher

Il sesto gradino della CDL consiste nel determinare la distanza degli oggetti del Supe-rammasso Laniakea13.

La relazione di Tully-Fisher (TF) è una legge empirica che lega la luminosità assoluta

13Il suo nome deriva dall’hawaiiano (Lani e Akea, Cieli Immmisurabili ). È il superammasso di galassie che contiene il Superammasso Locale e ha un diametro di 160 Mpc.

(14)

L di una galassia a spirale con vf lat, ovvero la velocità nella parte piatta della sua curva

di rotazione. Quest’ultima è un grafico che ha per assi la distanza dal centro galattico e la velocità orbitale delle stelle attorno ad esso. La curva di rotazione si può ricavare dalle righe di emissione del gas, il quale si estende ben oltre le stelle più periferiche della galassia. Si utilizza generalmente la riga a 21 cm di HI (idrogeno neutro), poiché esso è diffuso su tutto il disco galattico e non risente in maniera rilevante dell’estinzione [9].

Nel bulge la velocità orbitale delle stelle aumenta all’aumentare della distanza dal cen-tro galattico (v(r) ∝ r), mentre nel disco si ha che essa tende ad un valore più o meno costante, vf lat appunto (Figura 7).

Figura 7: Curva di rotazione di alcune galassie a spirale. La distanza dal centro galattico è espressa in migliaia di anni luce (kly).

Ciò è dovuto principalmente all’alone di materia oscura 14 presente nelle galassie. Da notare però che la curva di rotazione di un disco tenderebbe comunque ad essere quasi piatta, anche senza considerare gli effetti della dark matter [11].

La relazione di Tully-Fisher stabilisce che:

L ∝ vαf lat (13)

dove α ∼4 è un esponente ricavato empiricamente, il quale dipende anche dalla banda di frequenza presa in esame.

Per questa relazione abbiamo assunto come ipotesi la simmetria circolare delle galassie a spirale e lo spessore trascurabile del disco. Per quanto riguarda l’estinzione, dobbia-mo considerarne di due tipi: l’estinzione intergalattica (Agal) e quella interna (Aint), la

quale dipende dall’inclinazione della spirale.

Per ridurre ulteriormente la dispersione delle misure, è possibile sostituire la lumino-sità assoluta con la massa totale barionica della galassia. Ciò porta alla relazione di Tully-Fisher Barionica Mb = βv4f lat, in cui il termine β dipende dal rapporto

massa-luminosità della galassia.

Utilizzando la banda migliore per l’osservazione e considerando come parametro ci-nematico vf lat, il quale risulta avere la relazione più stringente, raramente è possibile

arrivare ad un’incertezza sulla distanza inferiore al 10%. La complicazione è data so-prattutto dal campione statisticamente piccolo a redshift elevati. Per questo metodo si ha quindi un raggio d’azione efficiente DP ' 1 Gpc, considerando una dispersione

sulla misura fino al 20%.

Bisogna comunque fare attenzione quando si utilizza la relazione TF vicino alla distan-za massima, in quanto recenti osservazioni hanno suggerito che le galassie a redshift

14Componente di materia che non emette radiazione elettromagnetica e sarebbe attualmente rilevabile solo in modo indiretto attraverso i suoi effetti gravitazionali.

(15)

elevato possono essere più luminose delle altre anche di 0.6 mag. Ciò suggerisce che l’evoluzione della relazione TF con il redshift dovrebbe essere studiata più a fondo [9].

4.2

Piano Fondamentale

Nello stesso modo in cui la relazione TF riguarda le galassie a spirale, la relazione di Faber-Jackson (FJ) è una legge empirica che fa riferimento alle galassie ellittiche [6]. Essa lega la luminosità assoluta L alla dispersione di velocità σ 15 delle stelle:

L ∝ σα (14)

dove l’esponente α può essere derivato empiricamente per essere 4 ± 1, facendo ipotesi sulla formazione e la struttura della galassia ellittica [9]. Sperimentalmente, tuttavia, l’incertezza della relazione FJ supera il 30%.

L’aggiunta di un terzo parametro (il diametro di luminosità Dn 16) alla relazione FJ,

la stringe in modo significativo. La nuova correlazione, nota come relazione Dn-σ, è

data da Dn∝ σγ, dove l’esponente γ = 1.20 ± 0.10 è stato derivato empiricamente. È

importante notare che la relazione Dn-σ fornisce un righello standard per la misurazione

della distanza, piuttosto che la tipica candela standard. Dato il diametro angolare osservato della galassia e considerando che Dn ne rappresenta il diametro fisico, è

possibile calcolare la distanza della galassia usando argomenti geometrici.

Tramite l’analisi delle componenti principali (PCA), negli anni ’80 gli astronomi hanno verificato che ci sono solo 3 grandezze correlate fra loro in una galassia ellittica [11]. Esse sono la luminosità assoluta L, la dispersione di velocità σ e il raggio effettivo Re.

Quest’ultimo è il raggio entro il quale è contenuta la metà del flusso della galassia e viene trovato empiricamente.

La relazione tra queste grandezze porta ad un piano in un sistema di riferimento 3D con coordinate L, Re e σ. Tale oggetto è il cosiddetto Piano Fondamentale (FP) e

permette di determinare uno dei tre parametri, data la conoscenza degli altri due, con un’incertezza inferiore al 5%. Il piano non è parallelo a nessuno dei 3 assi e per questo motivo le sue proiezioni non sono delle vere e proprie rette, ma delle fasce con un’incertezza rilevante. È da questo che deriva l’imprecisione della relazione di Faber-Jackson.

È possibile esprimere la relazione del FP nel seguente modo:

α · logL+ β · logσ + γ · logRe= cost (15)

in cui i coefficienti α, β e γ sono calibrati empiricamente e risultano essere simili alla terna (1, −2, −1). È da notare che la calibrazione risulta difficile anche perché non ci sono Cefeidi nelle galassie ellittiche [9].

Dalla misura di L e di σ si può stimare DA tramite la (9), sostituendo Re al posto di

l⊥. Di conseguenza, è possibile ricavare la distanza propria DP tramite la (11).

Considerando la difficoltà di calibrazione di questo metodo, possiamo affermare che la distanza massima alla quale esso risulta utilizzabile è DP' 1 Gpc.

4.3

Supernovae

Una Supernova (SN) è l’esplosione che pone fine alla vita di una stella e rappresenta un evento molto raro se confrontato con i tempi scala umani. Si stima infatti che

15Deviazione standard rispetto alla velocità media delle stelle all’interno della galassia.

(16)

nella Via Lattea ne accadano solo una o due ogni secolo [4]. Tali esplosioni possono risultare più luminose della galassia in cui avvengono e, per questo motivo, sono fra i principali indicatori di distanza cosmologici. Le Supernovae rappresentano inoltre il più efficiente meccanismo di arricchimento chimico delle galassie, poiché rilasciano una grande varietà di elementi nel mezzo interstellare [10].

Si distinguono due tipi di Supernovae, in base alle righe di assorbimento nei loro spettri di emissione. Le SN di tipo I non presentano righe di H, mentre quelle di tipo II le presentano.

Un’ulteriore distinzione viene fatta in base al tipo di esplosione. Le Supernovae Ia sono definite thermonuclear e si possono avere per stelle con M < 8 M . Esse avvengono

quando una nana bianca17 (WD) supera il limite di Chandrasekhar (MCh ' 1.44 M )

per accrescimento da una compagna binaria o se forma un sistema binario con un’altra WD. Le Supernovae Ib, Ic e II sono invece definite core-collapse e si possono avere per stelle con M >8 M . Esse avvengono quando una stella con un nucleo di Fe56collassa,

poiché il processo di fusione nucleare non può proseguire oltre il ferro [11]. 4.3.1 Supernovae Ia

Il settimo gradino della CDL consiste nel determinare quanto distano da noi i complessi di superammassi18 che ci circondano.

L’uso delle SN Ia come indicatori di distanza si basa sull’ipotesi che tutte le nane bian-che bian-che presentano un fenomeno di accrescimento arrivino ad avere approssimativa-mente la stessa massa (MWD∼ MCh). Di conseguenza, essendo tutte le WD composte

da C e O, si ha che le Supernovae Ia presentano la stessa luminosità ed energia di esplosione [9]. Nel giro di pochi secondi esse rilasciano ∼1051 erg di energia nel mezzo

interstellare, generando un’onda d’urto che espelle la materia fino a velocità dell’ordine di ∼10, 000 km/s.

Le Supernovae Ia vengono definite candele standardizzabili, in quanto hanno curve di luce molto simili fra loro che possono essere parametrizzate opportunamente. Un altro importante vantaggio è che sono estremamente luminose e ciò consente di spingere l’os-servazione a grandi distanze. Per poter utilizzare questo metodo è opportuno calibrarlo attraverso l’osservazione di Cefeidi nella stessa galassia ospite [6].

La magnitudine assoluta delle Supernovae Ia è MB ≈ MV ∼ −19.3 ± 0.3 da cui, date

le magnitudini apparenti osservate in queste bande, si può calcolare la distanza della SN Ia considerata.

Si noti, tuttavia, che, indipendentemente dalle ipotesi di massa progenitrice, la rela-zione di Phillips standardizza la luminosità delle Supernovae di questo tipo [9]. Essa mette in relazione la diminuzione della magnitudine apparente in banda B (∆m15,B),

dal picco della curva di luce a 15 giorni dopo, con la massima magnitudine assoluta nella stessa banda (Mmax,B):

Mmax,B = −21.726 + 2.698 · ∆m15,B (16)

È da notare però che non è sempre possibile osservare una SN al picco di magnitu-dine assoluta. Quello che viene fatto generalmente è creare una curva di riferimento

17Stella costituita da materia degenere (alta temperatura e densità) con massa simile a quella solare e raggio inferiore a quello terrestre. Essa rappresenta l’ultima fase dell’evoluzione di una stella di piccola massa.

18Sono enormi formazioni filiformi, tra le più grandi strutture dell’universo. Il loro diametro varia da alcune centinaia di Mpc fino ad alcuni Gpc.

(17)

basandosi su un campione di SNe vicine con estinzione nota. Tale curva è fissata a ∆m15,B = 1.1 mag e dipende da un parametro di larghezza (stretch factor) 19 con il

quale ricondursi al caso che ci interessa [9].

Si può utilizzare il metodo Multicolor Light Curve Shape (MLCS) per confrontare la curva di luce osservata con una famiglia di LC parametrizzate a diverse bande, in modo da determinare la magnitudine assoluta al picco della SN. Il metodo dello stretch factor riconduce invece curve di qualsiasi larghezza al caso ∆m15,B= 1.1 mag e, tramite una

deformazione della scala temporale, genera il best-fit in relazione alla curva osservata (Figura 8).

Figura 8: Curva di luce corretta tramite il metodo dello stretch factor.

Poiché stiamo considerando oggetti molto lontani è importante far attenzione alla cor-rezione K, la quale tiene conto dello spostamento dello spettro osservato causato dal-l’espansione dell’universo. Una volta verificate la curva di luce e la luminosità assoluta del picco, la dispersione finale in magnitudini assolute è ± 0.1, che corrisponde ad un errore sulla distanza di appena il 5% [9].

Utilizzando come valore di riferimento al picco Mmax,B = −19.25 mag e osservando un

tratto della curva di luce, con questo metodo è possibile arrivare fino a DL ' 12-16

Gpc, ovvero zc ' 1.66-2.00. Di conseguenza, dalla (12) si ha che DP ' 4-5 Gpc. Le

Supernovae Ia possono quindi essere usate per sorgenti a distanze cosmologiche, e sono anche preziose per determinare la costante di Hubble. In particolare, le osservazioni di questi eventi a zc∼ 1.5 hanno fornito la prima prova che l’espansione dell’universo sta

accelerando.

5

Redshift Cosmologico

Il punto di arrivo della CDL ci porta a determinare la distanza degli oggetti più lontani nell’universo osservabile 20.

La radiazione proveniente da una sorgente che si allontana da noi subisce uno sposta-mento verso il rosso (redshift), il quale è definito come:

z = λ − λ0 λ0

= λ

λ0

− 1 (17)

19È un fattore dovuto ad una variazione dell’opacità nell’atmosfera della SN. Esso aumenta o riduce l’intervallo temporale occupato dalla curva di riferimento, migliorando così l’accordo con quelle reali. 20Poiché l’universo si sta espandendo, il raggio dell’universo osservabile (∼ 13.9 Gpc) è maggiore della distanza che la luce ha percorso dal Big Bang ad oggi.

(18)

dove λ0 è la lunghezza d’onda emessa a riposo e λ è la lunghezza d’onda osservata [11].

Il parametro di espansione R(t) determina quanto l’universo al tempo t sia più grande o più piccolo rispetto ad oggi. Esso aumenta nel tempo poiché l’universo si sta espan-dendo (al tempo attuale abbiamo R(t0) = 1). Osservare galassie lontane (ad alto z)

significa ricavare informazioni su come era l’universo a piccoli valori di R(t). Risulta quindi possibile definire il redshift cosmologico come:

zc =

R(t0)

R(t) − 1 = R(t)

−1

− 1 (18)

Nel 1929 Edwin Hubble studiò gli spettri di molte galassie e calcolò le loro velocità relative dagli spostamenti Doppler delle righe spettrali. Tutte le galassie (ad eccezione di un paio delle più vicine) mostravano spostamenti verso il rosso e quindi avevano velocità recessive [4]. Hubble ha poi correlato le velocità delle galassie con le loro distanze e ha trovato una relazione lineare che prende il nome di legge di Hubble-Lemaitre:

vrec(t) = ˙DP(t) =

˙ R(t)

R(t)DP(t) = H(t) · DP(t) (19)

dove H(t) è detto parametro di Hubble e dipende dal tempo. Si ha quindi che maggiore è la distanza di una galassia e maggiore sarà la sua velocità di recessione.

Nell’approssimazione locale, ovvero sotto le ipotesi vrec  c e H(t) ∼ H(t0) = H0, si

ha che:

DP =

c · zc

H0

(20) dove H0 è chiamata costante di Hubble.

È da notare che, per zc > 0.06, l’approssimazione non relativistica (locale) fornisce

errori > 10% su ciascuna distanza cosmologica [11]. Dalla Figura 9 si può vedere infatti che, in generale, la distanza è una funzione non lineare del redshift e assume un andamento lineare solo per valori di z molto piccoli.

Figura 9: Distanza comovente (equivalente alla distanza propria attuale) espressa in funzione del redshift z. DC è espressa in miliardi di anni luce (Gly).

5.1

Costante di Hubble

La costante di Hubble può essere misurata in diversi modi, sia considerando il fondo cosmico di microonde (CMB), sia usando candele standard nell’Universo locale. Da

(19)

alcuni anni è emersa però una vera e propria tensione tra le due stime, recentemente confermata con una deviazione standard di 4.4 σ [11]. I due valori Hlocal e HCMB sono

rispettivamente (74.03 ± 1.42) e (67.4 ± 0.5) km · s−1· Mpc−1

.

L’utilizzo della Legge di Hubble a piccole distanze è complicato dalla velocità peculiare vpec delle galassie. Per bassi valori di zc si ha vrec  c e risulta quindi probabile che

vrec ' vpec. Come conseguenza, si possono avere errori rilevanti nella misura delle

distanze. D’altra parte, per alti valori di zc si ha vrec  vpec, ma in questo caso è

necessario utilizzare la (19) per una corretta stima della distanza. H infatti, anche se presunta costante nello spazio, assume valori diversi a seconda del redshift considerato. Secondo il modello cosmologicoΛCDM 21 si ha [11]:

H(z) = H0[ΩM,0(1 + z)3+ Ωr,0(1 + z)4+ ΩΛ,0]1/2 (21)

conΩM,0= 0.315, ΩΛ,0 = 0.685 e Ωr,0 = 0.00004 che indicano rispettivamente le densità

normalizzate della materia (barionica e oscura), dell’energia oscura e della radiazione.

6

Conclusioni

In questo elaborato sono stati esposti i principali metodi per la determinazione delle distanze cosmiche, evidenziandone per ciascuno le incertezze e i vantaggi, e ponendo inoltre l’accento sui vari limiti strumentali. Ci sarebbero molti altri metodi di cui po-ter parlare, tra cui la Parallasse Spettroscopica, l’Expanding Photosphere Method e le Sirene Standard (onde gravitazionali).

Quello che si ottiene nel complesso come scala delle distanze cosmiche è un sistema inevitabilmente dinamico, soggetto a continui miglioramenti per adattarsi alle nuove tecnologie. Anche se il singolo metodo può aiutare a determinare la distanza di partico-lari oggetti, il punto importante è il legame che c’è fra ogni gradino della scala, ovvero la calibrazione di un metodo sulla base del precedente. Ciò ha come fine ultimo lo studio dell’universo dal punto di vista cosmologico, attraverso la determinazione della costante di Hubble.

Di seguito è riportato un quadro riassuntivo (Tabella 1) dei principali metodi trattati in questo elaborato. A fianco sono presenti gli ordini di grandezza delle distanze massime raggiungibili e gli oggetti studiabili con tali metodi.

Metodo Utilizzato Distanza Massima (pc) Oggetto di Studio

Parallasse Stellare >103 Stelle Vicine

Fit di Sequenza Principale >104 Via Lattea

RR Lyrae ≈ 106 Gruppo Locale

Cefeidi di tipo II ≈ 107 Ammasso della Vergine

Cefeidi di tipo I >107 Superammasso Locale

Piano Fondamentale ≈ 109 Superammasso Laniakea

Supernoave Ia >109 Complessi di Superammassi

Redshift Cosmologico >1010 Universo Osservabile

Tabella 1: Scala delle distanze cosmiche.

21È il modello cosmologico standard, quello più in accordo con le osservazioni attuali. Λ rappresenta la costante cosmologica (energia oscura), mentre CDM è l’acronimo di cold dark matter, ovvero la materia oscura fredda (non termalizzata, non barionica e non collisionale).

(20)

Riferimenti bibliografici

[1] T. Tao, The Cosmic Distance Ladder, UCLA, 2017.

[2] Radiation Astronomy/Radars, https://en.wikiversity.org/wiki/Radiation_ astronomy/Radars.

[3] A. Cimatti, Dispense di Astronomia, Università di Bologna, Dipartimento di Astronomia, 2018.

[4] Cosmic Distance Ladder, http://astro.unl.edu/naap/distance/distance. html.

[5] Stellar Parallax, http://abyss.uoregon.edu/~js/glossary/parallax.html. [6] I. De Angelis, Le Distanze in Astronomia, Università Roma Tre, Dipartimento di

Matematica e Fisica.

[7] Types of Variable Stars, https://www.space.com/15396-variable-stars.html. [8] Le Variabili Cefeidi, http://astrolink.mclink.it/cefeidi.htm.

[9] S. Gossan, C. Ott, Methods of Measuring Astronomical Distances, LIGO Scientific Collaboration, 2012.

[10] Supernovae, https://www.lngs.infn.it/it/supernovae.

[11] L. Ciotti, F. Vazza, Dispense di Astrofisica Extragalattica, Università di Bologna, Dipartimento di Astronomia, 2020.

Figura

Figura 1: Rappresentazione schematica della parallasse stellare.
Figura 2: Rappresentazione schematica della parallasse secolare.
Figura 3: In alto: sequenza principale in magnitudine assoluta; in basso: diagramma HR di un ammasso.
Figura 4: Diagramma HR in cui è rappresentata la instability strip delle variabili pulsanti.
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Riferimenti

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