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Biomarkers angiogenetici nelle urgenze preeclamptiche ed eclamptiche, indicatori preclinici di allarme?

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Direttore Prof. Gaetano Pierpaolo Privitera

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

BIOMARKERS ANGIOGENETICI NELLE

URGENZE PREECLAMPTICHE ED

ECLAMPTICHE, INDICATORI PRECLINICI DI

ALLARME?

Relatori

Dott.ssa Maria Giovanna Salerno

Dott.ssa Lorella Battini

Candidata

Nadia Falchi

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Cap ito lo: S o m m a ri o

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Cap ito lo: S o m m a ri o

SOMMARIO

Sommario ... 3 1 Introduzione ... 5

1.1 Preeclampsia e disturbi ipertensivi in gravidanza ... 5

1.1.1 Epidemiologia ... 8

1.1.2 Fattori di rischio ... 10

1.1.3 Eziopatogenesi ... 12

1.1.4 Criteri diagnostici ... 16

1.1.5 Clinica e management della paziente preeclamptica ... 19

1.1.6 Complicanze ... 24

1.2 L’emergenza eclamptica ... 26

1.2.2 Management delle emergenze eclamptiche ... 29

1.2.3 Il parto ... 32

1.2.4 Complicanze e outcomes ... 33

1.3 Fattori angiogenetici placentari: PlGF E sFlt1 ... 35

1.3.1 Struttura e Funzione del PlGF e sFtl-1 ... 35

1.3.2 Lo stato dell’arte ... 37 2 Lo studio ... 43 2.1 Obiettivi... 43 2.2 Materiali e Metodi ... 43 2.3 Risultati ... 45 2.3.1 Statistica descrittiva ... 45 2.3.2 Statistica inferenziale ... 48 3 Bibliografia ... 63

(4)

Cap

ito

lo:

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

1 INTRODUZIONE

1.1 Preeclampsia e disturbi ipertensivi in gravidanza

La preeclampsia (PE) è una patologia ostetrica multi-sistemica e progressiva, caratterizzata da ipertensione e proteinuria di nuova insorgenza oppure ipertensione associata a segni di co-morbidità d’organo anche in assenza di proteinuria, che insorgono in una donna gravida dopo la 20° settimana di gestazione, e, in una quota di casi non trascurabile, fino a 48ore nel post partum. Generalmente è reversibile con il parto.

L’esordio clinico della malattia ad epoche gestazionali precoci alla 20° settimana è raro, ed altrettanto raro, ma degno di nota, è la possibilità di sviluppare PE in presenza di patologia trofoblastica.

Si distingue una Preeclampsia ad esordio precoce, prima della 34° settimana ed una

Preeclampsia tardiva, quando insorga oltre la 34° settimana. Quest’ultima gode di esiti

prognostici più favorevoli rispetto alla prima.

La sindrome preeclamptica può insorgere anche in donne con ipertensione arteriosa preesistente, definendosi come Preeclampsia Sovrapposta, quando compare proteinuria in donne ipertese già da prima della gravidanza ma non proteinuriche, o ancora quando si verifica un significativo peggioramento dell’ipertensione e della proteinuria in gravide già affette da tali condizioni in un pregravidico.

Le sue complicanze quali eclampsia, distacco intempestivo di placenta, coagulazione intravasale disseminata, HELLP Syndrome, iposviluppo fetale grave, morte endouterina del feto rappresentano la causa principale di mortalità e morbilità materna e fetale.

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

Disturbi ipertensivi correlati alla gravidanza. Nell’ambito del capitolo

Ipertensione in gravidanza, la preeclampsia è la forma più frequente, oltre ad essere quella più complessa a causa del progressivo interessamento sistemico materno e del suo impatto sull’accrescimento fetale1. Da non sottovalutare che lo sviluppo di PE in gravidanza rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare anche in epoche future nella vita della donna, incrementando il rischio di mortalità cardiovascolare in epoca pre-menopausale

L’ipertensione gravidica nei paesi economicamente sviluppati interessa il 10-20% di tutte le gravidanze2. La classificazione e i criteri diagnostici dei disturbi ipertensivi in gravidanza non godono di un consenso universale, ed in letteratura non è infrequente trovare dati differenti riguardo la classificazione, e quindi la prognosi, la gestione clinica e gli esiti. Tuttavia, grazie alle attuali conoscenze fisiopatologiche alla base delle differenti condizioni che si presentano clinicamente, le scuole di pensiero si sono uniformate e i punti in accordo superano di gran lunga le discordanze di classificazione. Le “linee guida per il management dell’ipertensione in gravidanza” AIPE 20133, Associazione Italiana Preeclampsia1, presentano la classificazione FIGO, Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia, la quale riconosce 9 classi di disturbi ipertensivi in gravidanza:

1. Ipertensione Gravidica

(Necessità di conoscere i livelli pregravidici)

a. aumento della Pressione Arteriosa Sistolica (PAS) di 30 mmHg b. aumento della Pressione Arteriosa Diastolica (PAD) di 15 mmHg c. PAS ≥140 mmHg

d. PAD ≥ 90 mmHg

in almeno due occasioni consecutive a distanza di almeno 6 ore 2. Proteinuria gestazionale

a. proteine > 0,3 g/l nel campione di urine delle 24 ore

b. proteine > 1 g/l in un campione casuale in almeno due occasioni consecutive a distanza di almeno 6 ore

3. Edema gestazionale (frequentemente associato a PE)

a. accumulo generalizzato di liquidi nei tessuti che si rende manifesto con un gonfiore alle mani e della faccia

b. aumento del peso > 500 g in una settimana

1

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

c. aumento del peso > 2,500 Kg in un mese

(Il solo aumento di fluidi nelle gambe, sebbene suggestivo di preeclampsia, non è sufficiente per stabilire una diagnosi).

4. Preeclampsia 5. Eclampsia

6. Preeclampsia o eclampsia sovrapposta 7. Ipertensione transitoria

a. comparsa di ipertensione durante la gravidanza o entro 24 ore dal parto, in una donna precedentemente normotesa senza altri segni di preeclampsia o vasculopatia ipertensiva, con ritorno alla normotensione entro la X giornata. Può darsi che in questa categoria possano esservi alcune donne con preeclampsia o ipertensione cronica.

8. Ipertensione cronica

a. presenza di ipertensione, di qualsiasi natura, in almeno due occasioni prima della 20 settimana di gestazione

b. persistenza di ipertensione oltre il 42° giorno di puerperio. 9. Alterazioni ipertensive non classificabili

La diagnosi di ipertensione cronica in gravidanza è relativamente semplice nelle pazienti in terapia antipertensiva instaurata già in epoca preconcezionale. Mentre nelle pazienti che manifestano elevati valori pressori in epoca avanzata di gravidanza può risultare difficile la diagnosi differenziale con l’ipertensione gestazionale e la preeclampsia. Talvolta la diagnosi è possibile solo tardivamente, dopo il 42° giorno postpartum, quando l’ipertensione ad eziologia preeclamptica deve normalizzarsi. Lo spettro clinico è ampio, vi sono forme lievi e forme severe e la sua progressione intraindividuale può essere graduale o rapida, fino all’evoluzione in una vera e propria emergenza medica, quale la crisi eclamptica con rischio di exitus materno.

La preeclampsia è tanto più grave quanto precoce è la sua insorgenza4, è progressiva e necessita l’ospedalizzazione e l’impostazione di uno stretto follow up ed una attenta gestione clinica, preferibilmente presso centri specializzati.

Allo stato attuale non esistono misure di assodata validità nella prevenzione primaria della malattia, tuttavia l'individuazione precoce, già dal primo trimestre, delle gravidanze a rischio è di fondamentale importanza dal momento che consente di

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

classificare le gestanti in gruppi a basso ed alto rischio specifico e di prevedere per ognuno di essi percorsi dedicati, con l'invio presso centri specializzati, follow up ravvicinati, indagini diagnostiche approfondite e profilassi farmacologica ove raccomandata. Questo approccio consente una efficace ripartizione delle risorse, riducendo ospedalizzazioni inutili e dimissioni inappropriate quindi una riduzione della spesa sanitaria e un importante impatto positivo sulla salute materno-infantile5 con sensibile decremento di morbilità e mortalità perinatali del 20%6.

Occorre concludere questa premessa ricordando che l’unico trattamento risolutivo è il parto, che è sempre il trattamento appropriato per la madre, mentre può non esserlo per il feto in epoche gestazionali precoci.

L’accurata diagnosi, l’inquadramento e il monitoraggio delle condizioni cliniche della paziente, è fondamentale al clinico che deve prendere la decisione riguardo l’espletamento del parto, nelle variabili delle modalità (trattamento d’attesa, induzione di un parto spontaneo, taglio cesareo d’elezione o tagli cesareo d’urgenza) e dell’epoca gestazionale in cui intervenire. In assenza di complicanze materne e/o fetali, che richiedano l’immediata interruzione della gravidanza, il fattore più importante per la decisione terapeutica è l’epoca gestazionale.

Questa decisione dovrà essere il miglior compromesso tra severità delle condizioni di salute della madre, possibili critiche evoluzioni, e maturazione raggiunto dal feto in utero, in particolar modo quella polmonare.

L’obiettivo di un trattamento farmacologico conservativo nelle epoche gestazionali precoci, si pone proprio l’obiettivo di tentare di raggiungere la maturità fetale, sempre nel rispetto prioritario della salute materna.

1.1.1 Epidemiologia

L’incidenza della preeclampsia è accertata intorno al 5-8% di tutte le gravidanze7

. La prevalenza è variabile, e riflette, almeno in parte, le differenze di distribuzione dell’età materna e della percentuale di primigravide sulla popolazione7

. Inoltre varia secondo l’età gestazionale, passando dallo 0,3% prima della 34° settimana al 2,7% dopo la 34° settimana, secondo dati americani8

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

Il rischio di mortalità è maggiore nelle gestanti con PE rispetto a quelle sane. Nei paesi industrializzati, la PE rappresenta una delle quattro principali cause di morte materna, insieme a emorragia, affezioni cardiovascolari e tromboembolismo.

Il 15-20% delle morti materne2 in tutto il mondo è associato a preeclampsia ed eclampsia, con variabilità del 5% in letteratura9, tuttavia è assodato che rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità materna diretta in tutto il mondo10,11. Nei paesi in via di sviluppo si vede un’incidenza molto maggiore e, a causa della carente possibilità di accesso a cure adeguate, e questi paesi ospitano oltre il 90% delle 600’000 morti materne annue dovute a questa affezione.

Colpisce prevalentemente le primigravide, più rara nelle plurigravide. Fanno eccezione le donne con intervallo superiore a 10 anni tra una gravidanza e l’altra e le donne che concepiscono un secondo figlio con un nuovo partner; in questi due gruppi il rischio torna ad essere quello di una nullipara.

Infatti anche fattori paterni sembrano implicati nella predisposizione all'insorgenza di preeclampsia: molteplici studi hanno dimostrato che tecniche di fecondazione che riducono il contatto con lo sperma paterno, il ridotto contatto sessuale con il padre prima del concepimento e il cambio del partner nelle pluripare sono infatti stati associati ad un aumentato rischio di sviluppare PE probabilmente per un ridotta esposizione al liquido seminale e quindi un ridotto adattamento materno agli antigeni paterni12.

Sebbene appaiano come primariamente influenti i fattori materni nello sviluppo e nella severità della PE, il contributo paterno ai geni fetali potrebbe avere un ruolo nei difetti della placentazione, ritenuti un fondamentale momento patogenetico nell’instaurarsi della PE.

2L’International Classification of Disease decima revisione (ICD-10) definisce la morte materna come

la morte di una donna durante la gravidanza o entro 42 giorni dal suo termine, indipendentemente dalla durata e dalla sede della gravidanza, per qualsiasi causa legata o aggravata dalla gravidanza o dal suo management, ma non per cause accidentali o incidentali. La stessa revisione (ICD-10) distingue la morte materna in:

- Diretta : morte causata da complicazioni ostetriche della gravidanza, parto e puerperio, da

interventi, omissioni, trattamenti non corretti, o da una catena di eventi che possono risultare da ognuna delle cause precedenti;

- Indiretta: morte causata da malattie preesistenti o insorte durante la gravidanza, non dovute a

cause ostetriche dirette, ma aggravate dagli effetti fisiologici della gravidanza;

- Tardiva: morte di una donna per cause ostetriche dirette o indirette, oltre i 42 giorni ma entro 1

anno dalla fine della gravidanza;

- Correlata: morte di una donna in gravidanza o entro 42 giorni dal suo termine, a prescindere

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

La Preeclampsia severa interessa 1% i tutte le gravidanze13.

1.1.2 Fattori di rischio

I fattori di rischio correlati allo sviluppo di preeclampsia devono essere ricercati sin dalle prime settimane di gravidanza, e nelle gestanti con riscontro positivo di uno o più di essi, deve essere attivata una sorveglianza prenatale intensiva e interventi di tipo profilattico (prevenzione secondaria) laddove previsti.

I principali fattori di rischio anamnestici correlati allo sviluppo di preeclampsia vengono in due categorie principali, ciascuna con sottogruppi più specifici: fattori di rischio pre-concezionali (e/o fattori di rischio cronici) e fattori di rischio correlati alla gravidanza3, come sintetizzati in tabella:

Fattori di rischio preconcezionali e/o cronici

Correlati al partner

 Nulliparità/primipaternità Specifici materni

 Età agli estremi della maturità sessuale <20 anni o >35 anni

 Etnia: africana

 Obesità (BMI > 30)

 Familiarità per preeclampsia Patologie croniche

 Ipertensione cronica

 Nefropatie

 Trombofilie o condizioni trombotiche ( sindrome da anticorpi antifosfolipidi, Lupus eritematoso sistemico, mutazione del fattore V di Leiden)14

 Insulino resistenza, diabete gestazionale, diabete mellito tipo I

Fattori di rischio correlati alla gravidanza

 Gravidanza multipla

 Metodo di concepimento con tecniche di procreazione assistita15

Fattori di rischio maggiori

 Pregressa preeclampsia

 Presenza di anticorpi antifosfolipidi

 Diabete pregravidico

 Ipertensione preesistente alla gravidanza

 Gravidanza multipla

 Patologia renale preesistente alla gravidanza Tabella 1: Fattori di rischio per Preeclampsia

L’anamnesi ostetrica positiva per preeclampsia in una precedente gravidanza costituisce un importante fattore di rischio indipendente. Così anche l’anamnesi familiare positiva

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

per preeclampsia in un parente di primo grado e/o nella madre del partner aumenta il rischio di PE.

Molte raccomandazioni da parte di autorevoli società scientifiche (NICE) si basano prevalentemente su fattori di rischio anamnestici, anche se una simile strategia definisce fino al 60% di donne come “a rischio” per preeclampsia, ma identifica veramente solo il 30% di quelle che davvero svilupperanno la patologia16.

Si descrivono i fattori di rischio secondo l’esaminazione degli stessi in una recente “sistematic reviews”, ordinati per RR decrescente:

 Sindrome da Anticorpi anti-fosfolipidi [RR 9.72]

 Storia di preeclampsia in una precedente gravidanza aumenta 7 volte il rischio di PE nella successiva rispetto a donne senza storia[RR 7.19]14. La severità della PE e l’insorgenza della stessa nel II trimestre hanno un forte impatto sul rischio.  Diabete pregestazionale [RR 3.56]. vari fattori sono correlati all’aumento del

rischio, quali una sottostante nefropatia o disfunzione dell’endotelio vascolare, insulino resistenza, e anomalie nel metabolismo lipidico17.

 Prima gravidanza, nulliparità [RR 2.91]18

. Non è chiaro il perché di questa predisposizione. Una teoria attribuisce alla limitata esposizione del sistema immunitario della donna nullipara agli antigeni paterni19. Questa teoria è supportata da dati epidemiologici che mostrano l’incidenza della PE aumentare in donne pluripare con nuovo partner rispetto a pluripare col medesimo partner e in donne che hanno utilizzato metodi contraccettivi di barriera prima del concepimento. Viceversa si vede una diminuzione del rischio in donne con prolungata attività sessuale prima del concepimento20.

 Gravidanza multipla [RR2.93], in particolare quando trigemellare o quadrigemellare.21

 Storia familiare di preeclampsia in parenti di primo grado [RR 2.90], suggerendo un’ereditarietà in alcuni casi22

.  BMI > 26 [RR 2.47]

Età materna avanzata > 40 anni [RR1.96] mentre ed è dibattuto il rischio nelle adolescenti14,23

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Cap ito lo: In tro d u zio n e 1.1.3 Eziopatogenesi

La patogenesi esatta della preeclampsia non è ancora del tutto nota, la letteratura in merito è ampia ma sicuramente un punto fermo riconoscere nel processo di

placentazione24 un momento patogenetico fondamentale, supportato dall’osservazione della risoluzione della patologia a seguito del secondamento.

La rilevazione di casi di PE in corso di patologia molare25 o ancora casi nel postpartum in donne con ritenzione di frammenti placentari, mostra che la presenza della placenta o sue cellule è conditio sine qua non per lo sviluppo di PE, mentre non è necessaria la presenza dell’organismo embriofetale.

L’ipotesi comune è che alla base ci sia una placenta disfunzionale, che rilascia nella circolazione materna fattori inducenti una diffusa alterazione endoteliale e responsabili del danno d’organo multisistemico26 e che determini l’instaurarsi di fenomeni adattativi ai cambiamenti indotti dalla gestazione.

Fisiologicamente l’organismo materno mette in atto meccanismi adattativi volti al raggiungimento di un nuovo equilibrio emodinamico al fine di assicurare una perfusione sufficiente al proprio fabbisogno e a quello del nascituro. Qualora il processo di placentazione sia difettoso, questi fenomeni di compenso adattativi materni possono compromettersi e gettare quindi le basi della genesi della PE. Fisiologicamente, per sostenere la perfusione del nuovo letto vascolare placentare a bassa resistenza ed alto flusso, è richiesto un aumento dell’output cardiaco materno (fino al 50% nella gravidanza fisiologica) e del volume ematico, a cui sarà necessario associare parallelamente una riduzione delle resistenze vascolari sistemiche del circolo materno grazie alla compliance arteriolare per evitare per evitare l’aumento della

pressione sanguigna.

La microcircolazione dell’unità feto-placentare in via di sviluppo, per garantirsi una adeguata perfusione, a fronte della ridotta pressione arteriosa materna, stimola il sistema Renina Angiotensina Aldosterone (RAAS) al fine di aumentare il volume ematico, ed è essa stessa sede di produzione di Renina e di prostacicline, che controbilanciano l’effetto vasocostrittivo dell’angiotensina II evitando squilibri pressori in un senso o nell’altro. Grazie a questo equilibrio si mantengono basse le resistenze vascolari, bassa la pressione sanguigna ma alto il flusso utero-placentare.

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

La presenza di difetti nello sviluppo del microcircolo placentare, quali la riduzione del numero di vasi neoformati e, soprattutto, difetti del rimodellamento delle arterie spiraliformi uterine sembrano trovare la causa in un’invasione incompleta delle stesse da parte delle cellule del citotrofoblasto.

Normalmente le cellule del trofoblasto invadono la parte deciduale delle arterie spiraliformi grazie ad un processo definito pseudo-vasculogenesi27, che determina una modifica nell’espressione delle molecole di adesione passando da un fenotipo epiteliale a uno di tipo endoteliale.

La pseudo-vasculogenesi non è stata ritrovata su preparati istologici con cellule trofoblastiche umane ottenute da donne con PE.

Non viene mai raggiunta, da parte celle cellule trofoblastiche, una invasione del miometrio profonda come nelle gravidanze fisiologiche, e si mantengono le cellule muscolari lisce parietali, che sebbene utili nel periodo extra-gravidico ad arrestare la perdita ematica durante la fase mestruale del ciclo ovarico, nella placenta disfunzionale risultano essere non completamente responsive alla vasodilatazione, ostacolando la formazione di quella circolazione a bassa resistenza e alta capacità fisiologica della gravidanza.

Si forma quindi un disequilibrio tra la perfusione placentare e il fabbisogno feto-placentare, e si instaurano meccanismi materni di compenso che si riveleranno dannosi per l’organismo stesso.

Si assiste a situazioni ischemiche a livello placentare, con conseguente danno tissutale e il rilascio in circolo di fattori solubili che provocano la disfunzione endoteliale diffusa tipica del fenotipo preeclamptico. Ne consegue un’ alterata permeabilità vascolare con fuoriuscita di liquidi nello spazio interstiziale, che determina una riduzione della volemia e aumento viscosità del sangue28. Queste condizioni portano ad uno stimolo al RAAS e all’aumento del tono adrenergico quali tentativi di incrementare la perfusione placentare attraverso un aumento della volemia e rilascio di fattori adenosinici che mediano la vasocostrizione, rispettivamente.

Quest’incremento delle resistenze vascolari sistemiche riduce l’output cardiaco con aumento del post carico e della pressione ventricolare sinistra, con conseguente rilascio del peptide natriuretico atriale, stimolo ala riduzione del volume ematico, quindi un’ulteriore vasocostrizione da stimolo barocettoriale prima e attivazione simpatica poi.

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

La sinergia di questi eventi determina l’instaurarsi di un circolo vizioso nel quale si prova a compensare la ridotta perfusione placentare a discapito di un incremento dei livelli pressori della circolazione materna mediante azione sulla vasocostrizione periferica e sulla riduzione del volume sanguigno.

Ecco la genesi dell’ipertensione materna e dell’ipoperfusione fetale che caratterizzano la patologia preeclamptica e le sue complicanze sui due organismi. Anziché un fisiologico circolo gravidico iperdinamico a bassa resistenza, abbiamo un circolo ipodinamico ad alte resistenze che culmina in un adeguato flusso utero-placentare, che spiegano una della complicanze fetali più gravi, quale la restrizione di crescita intrauterina (IUGR) e il danno d’organo materno, che coinvolge principalmente rene, fegato e sistema nervoso.

Figura 1-1: Patogenesi della Preeclampsia

Queste anomalie di sviluppo della circolazione utero-placentare si verificano molto tempo prima delle manifestazioni cliniche della preeclampsia, e nonostante la maggior parte delle PE sia sporadica, tutti i fattori ambientali, immunologici e genetici sembrano giocare un ruolo in questo processo29.

La messa a fuoco su fattori immunologici come possibile contributo alla anomalia placentare è basata, almeno in parte, sulla constatazione che precedenti esposizioni materne agli antigeni paterni/fetali sembra essere protettiva per PE30. Il contributo genetico di entrambe i genitori sembra avere un ruolo nei difetti di

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

placentazione, nonostante studi su gemelli non abbiano trovato alcun collegamento genetico31.

È stato individuato sul cromosoma 13 un locus genetico associati allo sviluppo di PE, responsabile della produzione di fattori circolanti anti-endotelio.

Il disequilibrio tra perfusione e riperfusione, ischemia placentare e danno endoteliale è alla base dello stress ossidativo placentare.

L’ipotesi di un coinvolgimento del sistema infiammatorio e immunitario nella eziopatogenesi della PE ha portato l’interesse scientifico verso lo studio della popolazione cellulare linfoide nella placenta, evidenziando un aumento del numero di macrofagi attivi in donne preeclamptiche rispetto ai controlli sani. E studi successivi hanno confermato che la ridotta invasione endovascolare trofoblastica possa essere influenzata anche dall’aumentata produzione di TNF-alfa da parte di queste cellule macrofagiche ed altri fattori pro-infiammatori che, oltre al già citato danno endoteliale, alterano la differenziazione trofoblastica e la sua funzione secretiva, contribuendo alla riduzione della produzione di fattori di crescita endoteliali, fondamentali per lo sviluppo placentare [68].

Da queste evidenze brevemente riassunte, poiché non oggetto di questa tesi, si descrive una teoria a due stadi della patogenesi preeclamptica:

− Scarsa invasione vascolare delle arterie spiraliforme uterine da parte del trofoblasto e conseguente ridotta perfusione che determinano un insulto ipossico a livello placentare;

− Stress ossidativo e conseguente quadro infiammatorio che determina il rilascio nella circolazione materna di citochine e fattori pro-infiammatori che contribuiscono alle manifestazioni cliniche sistemiche della PE tramite la disfunzione endoteliale generalizzata.

L’insulto ipossico, il malfunzionamento trofoblastico, il mancato riconoscimento da parte del sistema immunitario e lo stato pro-infiammatorio, contribuiscono a promuovere una rete vascolare placentare inadeguata mediante:

− una ridotta espressione di fattori pro-angiogenici, quali VEGF e PlGF − un’aumentata produzione di fattori anti-angiogenici Endoglina e sFlt-1.

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

Figura 1-2: dalla patogenesi alle manifestazioni sistemiche della Preeclampsia

tratto da UpToDate https://www.uptodate.com/contents/image?topicKey=6760&imageKey=OBGYN%2F7943

1.1.4 Criteri diagnostici

Ad oggi non vi è ancora un accordo universale sui criteri diagnostici di inclusione, in particolare tra la classificazione della scuola americana e quella australiana, quest’ultima risulta più estesa a una serie di segni e sintomi, ad oggi non completamente accettati. L’ISSHP consiglia di aderire ai criteri americani ACOG32, nell’attesa di ulteriori studi in grado di dimostrare che i più ampi criteri australiani abbiano realmente un peso nel condizionare gli esiti materni, fetali e neonatali e quindi possano diventare momenti diagnostici a pieno titolo.

Secondo le più recenti linee guida AIPE 201333, i criteri diagnostici di preeclampsia sono i seguenti:

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Cap ito lo: In tro d u zio n e  Pressione arteriosa ≥ 140/90 mmHg

in due misurazioni successive ad almeno 6 ore di distanza e

 Proteinuria ≥ 0,3 grammi/24 ore

o rapporto proteinuria/creatininuria ≥ 30mg/mmol

Comparse dopo la 20° settimana di gestazione in donne precedentemente normotese e non proteinuriche.

Tabella 2: Criteri diagnostici di Preeclampsia, linee guida AIPE 2013

Devono essere seguite le raccomandazione per la misurazione della pressione arteriosa e la misurazione della proteinuria, minuziosamente indicate sulle linee guida, al fine di ottimizzare l’accuratezza diagnostica.

In base all’età gestazionale al momento dell’esordio, si classifica una PE Precoce, entro la 34° settimana ed una PE tardiva o late-onset, in seguito. La progressione della patologia verso quadri severi è tanto più frequente quanto precoce è l’esordio della PE. Si prendono in esame i criteri diagnostici per classificare le forme di severità della patologia.

1.1.4.1 Preeclampsia lieve

La diagnosi si pone in presenza di tutti i seguenti criteri:

 Valori pressori sistolici tra 140 e 159 mmHg e /o diastolici tra 90-109 mmHg

 Proteinuria > 0,3 g/24 ore

 Assenza dei segni e/o sintomi diagnostici di PE severa

1.1.4.2 Preeclampsia severa

La diagnosi si pone in presenza di almeno uno dei seguenti segni:

 Pressione arteriosa sistolica > 160 mmHg e/o diastolica >110 mmHg

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

 Disturbi del visus: scotomi, visione offuscata, cecità mono- o bilaterale transitoria

 Alterazioni neurologiche: cefalea intensa e persistente, iperreflessia a clono, segni di lato, parestesie, confusione mentale e disorientamento spazio/temporale

 Edema polmonare, cianosi

 Epigastralgia e/o dolore in ipocondrio destro

 Aumento enzimi epatici

 Piastrine < 100’000/mm3  Restrizione crescita fetale

 Sindrome HELLP

Si noti come l’entità della proteinuria non trova ruolo tra i parametri di severità.

Il ruolo della sindrome HEELP (Hemolysisis, Elevated Liver enzymes levels, Low Platelet count) correlata a PE è discusso: alcuni autori lo annoverano tra le manifestazioni di una preeclampsia severa, altri la considerano una sindrome indipendente supportati dal dato che un 15-20% delle pazienti affette non mostra ipertensione o proteinuria.

1.1.4.3 La sindrome HELLP

È una condizione esclusiva della gravidanza, complicante fino allo 0,6% delle stesse in particolare nel terzo trimestre e nel periodo antepartum. I fattori di rischio sono l’età avanzata, la razza caucasica e la multiparità. I criteri diagnostici sono:

- Emolisi

 Anomalie dello striscio periferico

 Bilirubina totale > 1,2 mg/dL

 Lattico deidrogenasi (LDH) > 600 U/L - Aumento degli enzimi epatici

 Aspartato aminotrasferasi (AST) > 70 U/L

 LDH > 600 U/L - Piastrinopenia

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

1.1.5 Clinica e management della paziente preeclamptica

La diagnosi e il trattamento della preeclampsia non sono ottimali nemmeno nei paesi sviluppati. Tra il 2006 e il 2008 nel Regno Unito, 20 decessi su 22, riconducibili a PE, sono stati trattati con un livello di cura inferiore agli standard.

Le cure inferiori agli standard nel 63% di tali decessi sono state classificate come primarie e descritte come “indubbiamente evitabili”34

.

Le linee guida NICE35 raccomandano la valutazione della presenza dei fattori di rischio per la preeclampsia (Tabella 1) in occasione della prima visita ginecologica ostetrica nel

primo trimestre. Nelle pazienti con anamnesi positiva per uno qualsiasi dei fattori di rischio, si dovrebbe considerare un monitoraggio frequente della pressione arteriosa e visite specialistiche mirate in gestanti con due o più fattori o quando sia presente uno tra i fattori di rischio maggiori.

E’ raccomandato3

l’inquadramento clinico iniziale della paziente in regime di ricovero ospedaliero o in day-hospital, sia per le valutazioni atte a stabilire la gravità della malattia sia per la possibilità di erogare un intervento medico in caso di rapida evoluzione.

Il day-hospital o controllo ambulatoriale si rivela valido nel follow-up delle pazienti con PE lieve, in maniera non inferiore al ricovero; tuttavia le pazienti cui viene proposto devono essere in grado di rispettare le frequenti valutazioni di controllo della salute materna e fetale, e dovrebbero avere accesso immediato alle cure mediche qualora le condizioni cliniche lo richiedano.

Il ricovero continua ad essere la prima scelta nelle pazienti con scarsa compliance o in presenza di aggravamento del quadro clinico.

L’educazione delle pazienti affette da PE riguardo allo spettro dei sintomi, alle possibili evoluzioni risulta essere d’aiuto nella compliance, in quanto allo sviluppo di un segno d’allarme sarà la donna stessa a rivolgersi presso la struttura sanitaria, impattando positivamente sulla riduzione di morbilità e mortalità36.

Oltre ai classici segni di allarme per cui una donna in gravidanza deve sottoporsi in tempi brevi all’attenzione del medico, quali riduzione della percezione dei movimenti fetali, perdite ematiche vaginali, dolore addominale, rottura delle membrane o

3

(20)

Cap ito lo: In tro d u zio n e

contrazioni uterine, per la gestante affetta da PE si aggiungono: cefalea persistente o grave, alterazioni della vista, dispnea, dolore epigastrico o al quadrante superiore destro.

1.1.5.1 Preeclampsia lieve

Nel corso della degenza ospedaliera, si dovranno monitorare lo stato di salute materno e fetale.

Per quanto riguarda la madre, si attua:

- Controllo Pressione arteriosa, almeno 4 volte al giorno

- Controllo del peso corporeo, quale indicatore di ritenzione di liquidi - Rilevamento di segni e sintomi di preeclampsia severa

- Esami di laboratorio bisettimanali comprensivi di: emocromocitometrico con conta piastrinica, AST, ALT, LDH, bilirubinemia, creatininemia

- Raccolta delle urine delle 24 ore con misurazione di proteinuria e creatininuria, sebbene non vi sia uniformità nelle linee guida internazionali riguardo l’utilità della ripetizione

Per quanto concerne il feto:

- Percezione dei Movimenti Attivi Fetali (MAF) e auscultazione Battito Cardiaco Fetale (BCF)

- Valutazione ecografica crescita fetale e falda amniotica

- Valutazione ecografica con doppler-velocimetria delle arterie uterine4 - Cardiotocografia

Non evidenze in letteratura circa la frequenza con cui ripetere tali accertamenti, che dovrà essere calibrata caso per caso.

Visto il management clinico della paziente preeclamptica, si passa al trattamento, che dipenderà in primis dall’epoca gestazionale e dal grado di severità del quadro.

≥ 37 settimane  espletamento del parto

4 Mira al controllo dell’impedenza del letto vascolare ad esse distale, cioè degli spazi intervillosi. Il riscontro di un’incisura (notch ) protodiastolica nella morfologia dell’onda flussimetrica è indicativo di ridotta compliance utero-placentare a causa di incompleta invasione trofoblastica della parete dei vasi spirali /o scarsa diffusione superficiale del processo di placentazione, e la sua presenza dopo la 24esima settimana deve essere considerata con significato patologico. E’ nota la sua correlazione con restrizione di crescita fetale e/o preeclampsia.

(21)

Cap ito lo: In tro d u zio n e

Tra 34 e 36 settimane  trattamento conservativo se assenza di segni di PE severa, poiché i rischi di outcome sfavorevole per la madre sono inferiori al beneficio per il neonato di avvicinarsi al termine

< 34 settimane  trattamento conservativo37.

1.1.5.1.1 Trattamento conservativo

Non vi sono evidenze per cui il riposo a letto impatti favorevolmente l’outcome o ritardi la progressione di PE, di contro, è associato a un incremento del rischio di tromboembolia venosa; per cui non deve essere raccomandato. Nel tempo che la degente gravida, preeclamptica e non, trascorre a letto, viene consigliato un decubito laterale sinistro supportato dal posizionamento di un cuscino sotto l’emilato destro del corpo, al fine di alleviare la compressione sulla vena cava, il ritorno venoso al cuore, quindi il flusso utero-placentare.

Stretto monitoraggio, come indicato sopra, dello stato materno e della crescita e del benessere fetale.

Trattamento farmacologico dell’ipertensione nelle pazienti con valori pressori al di

sotto di 150/100 mmHg resta sconsigliato. Numerosi studi5 di confronto tra vari farmaci anti-ipertensivi versus placebo/nessuna terapia hanno dimostrato che, nonostante sia ridotto il rischio di progressione a un’ipertensione severa, non modifica il rischio di preeclampsia e non si osservano effetti protettivi nei confronti di SGA, parti pretermine e morti fetali38

.

Non trovano alcun ruolo la restrizione di sodio o diete ipocaloriche o iperproteiche.

Corticosteroidi (Betametasone o Desametasone) come profilassi contro la Sindrome da

Distress Respiratorio (RDS) neonatale tramite la loro azione di promuovere la maturazione polmonare fetale e sono raccomandati in gravide < 34 settimane con rischio di parto pretermine. In gravide ad epoche gestazionali maggiori, la profilassi con betametasone rimane discussa e quindi la decisione rimane all’esperienza del clinico e del centro. Lo schema terapeutico ottimale prevede:

5 Tra cui una recente review della Cochrane Collaboration, che include 46 studi per un totale di 4282 pazienti.

(22)

Cap ito lo: In tro d u zio n e

- Betametasone 12mg intramuscolare due dosi in due giorni e l’espletamento del parto in una finestra di 24h – 7 giorni dopo il completamento della seconda dose. 1.1.5.1.2 Il parto

L’espletamento del parto è indicata nelle pazienti dopo la 37° esima settimana e in epoche precedenti qualora ci sia sviluppo di PE severa o eclampsia.

Questo si associa ad un miglioramento degli esiti materni, prevenendo le evoluzioni severe della malattia e non comporta un aumento dei tagli cesarei o di esiti neonatali sfavorevoli (Studio HYPITAT II)40.

La via vaginale è la modalità di parto da preferire, poiché non vi sono evidenze di superiorità del taglio cesareo. E’ prevista l’induzione del travaglio di parto e non è controindicato l’utilizzo di prostaglandine per indurre la maturazione della cervice uterina.

Durante il travaglio si devono monitorare la pressione arteriosa materna e ricercare l’insorgenza di sintomi e segni indicatori di rapido peggioramento. Per il monitoraggio dello stato fetale, è indicata la CTG continua durante tutto il travaglio.

L’analgesia in corso di travaglio di parto può essere ottenuta mediante anestesia epidurale, preferibile, o altrimenti con somministrazione sistemica di oppioidi41.

In caso di taglio cesareo è preferibile l’anestesia loco-regionale rispetto a quella generale.

Si ricordi che la preeclampsia e le sue evoluzioni possono insorgere anche nel postpartum, pertanto è necessario continuare a sorvegliare la puerpera fino alle 48-72 ore postpartum, e successivamente in regime ambulatoriale fino alla normalizzazione dei valori pressori e proteinuria, attesa entro 12 settimane.

1.1.5.2 Preeclampsia severa

L’ospedalizzazione immediata è necessario per le pazienti con PE severa, ed è vivamente raccomandato il ricovero presso un centro specializzato di alto livello, con esperienza in tale patologia e disponibilità di unità di terapia intensiva neonatale e materna.

L’approccio generale è l’espletamento del parto per madri ad una età gestazionale > 34 settimane, in quanto un prolungamento della gravidanza aumenterebbe i rischi di

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

complicanze pericolose per la vita quali emorragia cerebrale, insufficienza epatica grave, insufficienza renale, edema polmonare, crisi convulsive, CID ,che possono instaurarsi improvvisamente, a fronte di un inferiore beneficio per il feto, grazie alle attuali conoscenze e competenze neonatologiche.

In casi selezionati di pazienti ad epoche gestazionali molto precoci, al di sotto delle 34 settimane di gestazione, può essere preso in considerazione il trattamento conservativo, il cui razionale è quello di ridurre la morbilità e mortalità neonatale da parto pretermine. Le candidate saranno pazienti in condizioni stabili e dovranno essere costantemente monitorizzate in centri specializzati e gestite in ambito specialistico materno e neonatale.

Al di sotto delle 24 settimane, in presenza di PE già severa, generalmente viene consigliata un’interruzione terapeutica della gravidanza. Seppur ogni caso deve essere valutato singolarmente.

Controindicazioni e/o criteri di interruzione del trattamento conservativo:

 instabilità emodinamica o shock

 sofferenza o morte fetale

 ipertensione severa resistente al trattamento farmacologico

 cefalea intensa, persistente o progressiva

 deficit visus, cecità corticale

 dolore epigastrico o quadrante superiore destro

 edema polmonare

 crisi convulsiva

 abruptio placenta

 sindrome HELLP

Tabella 3:Controindicazioni e/o criteri di interruzione del trattamento conservativo nella preeclampsia severa. Il trattamento dell’ipertensione arteriosa si pone come obiettivo il raggiungimento di un range pressorio sistolico tra 130-150 mmHg e diastolico tra 80-100 mmHg, in quanto un’eccessiva ipotensione potrebbe compromettere la perfusione placentare, cardiaca, renale o cerebrale materna. Non vi sono evidenze di superiorità di un farmaco piuttosto che un altro, la scelta rimane a discrezione dell’esperienza del clinico e della tollerabilità della paziente. Indicati nelle linee guida e comunemente impiegati nella

prassi clinica risultano essere:

- Nifedipina a lento rilascio: 20 mg per os ogni 4-12ore fino ad un massimo di 120 mg/die.

(24)

Cap ito lo: In tro d u zio n e Schema 1 Schema 2

NIFEDIPINA a lento rilascio, 20mg per os ogni 30 minuti, fino

a un massimo di 3

somministrazioni. Se insufficiente, associare:

LABETALOLO 20 mg ev bolo in 1 minuto, se necessario proseguire con 40 mg dopo 15 minuti, 80 mg dopo 15 minuti per due volte, fino ad un massimo 220 mg OPPURE in pompa ad infusione continua 4 ml/ora

LABETALOLO 200mg per os, se necessario somministrare seconda dose dopo 1 ora

Tabella 4: Schema di trattamento dell'emergenza ipertensiva.

L’effetto della Nifedipina può essere potenziato dal MgSO4. La somministrazione di

Labetalolo ev deve avvenire in ambiente protetto, per il rischio di determinare bradicardia ( < 60 bpm), ipotensione materna e ipoglicemia neonatale anche gravi. In tali casi di shock cardiogeno l’antidoto è atropina 3 mg ev oppure infusione ev glucagone (2-10mg in glucosata la 5%). L’utilizzo di Labetalolo è controindicato in pazienti con asma bronchiale o insufficienza cardiaca.

Oltre il 50% delle gravide che richiede un trattamento farmacologico ipertensivo, risponde alla terapia orale.

Trattamento profilattico con MgSO4, la cui efficacia è stata ampiamente dimostrata42-44,

è raccomandata solo nelle pazienti con preeclampsia severa ed eclampsia imminente.

1.1.6 Complicanze

La PE è una patologia progressiva, e le sue complicanze possono compromettere sia l’organismo materno sia l’organismo fetale e nel % dei casi risultare fatali.

Complicanze materne:

 Eclampsia – preeclampsia in combinazione con crisi convulsive

 Generalizzate

 Convulsioni

 Danno renale/Blocco renale

 Distacco di placenta

 Emorragia antepartum

(25)

Cap ito lo: In tr o d u zio n e Complicanze fetali:

 Restrizione della crescita intreauterina (IUGR)

 Feto piccolo per età gestazionale (SGA)

 Danno renale/Blocco renale

 Nascita prematura

 Emorragia antepartum Mortalità perinatale

 Sindrome da distress respiratorio

 Enterocolite necrotizzante

1.1.6.1 Il neonato prematuro

Il termine prematurità si riferisce generalmente alla nascita avvenuta prima del completamento della 37° settimana di gestazione (entro il 259° giorno di amenorrea). I neonati sono classificati a seconda di peso alla nascita ed età gestazionale in:

1. Low birth weight (LBW) o prematurità moderata - Nati tra 32+0 e 36+6 settimane

- Peso tra 1500 e 2499 grammi

2. Very low birth weight (VLBW) o grandi prematuri - Nati tra 28+0 e 31+6 settimane

- Peso tra 1000 e 1499 grammi

3. Extremely very low birth weight (EVLBW) o prematurità estrema - Nati tra la 22+0 e la 27+6 settimana

- Peso < 1000 grammi

L’Organizzazione Mondiale della Sanità cita “le complicazioni dovute a nascita pretermine sono la principale causa di morte tra i bambini sotto i cinque anni di età, ed è stata responsabile di quasi un milione di morti nell’anno 2013. Senza un trattamento adeguato, i nati pretermine aumenta il rischio di invalidità permanente e la scarsa qualità della vita”.

Alla prematurità è associato un aumento della morbilità e della mortalità. La prematurità compromette in modo più o meno determinante lo sviluppo anatomico e funzionale degli organi ed apparati del piccolo, ed il suo impatto negativo è inversamente

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

proporzionale all’età gestazionale. In particolare gli organi che ne risentono maggiormente sono il polmone, il sistema nervoso centrale, l’intestino e la retina. Il neonato pretermine ha problemi di gravità variabile per quanto concerne la termoregolazione, la respirazione, il mantenimento del bilancio idroelettrolitico, la risposta alle infezioni, l’alimentazione che determinano problematiche terapeutiche non di poco conto, e sicuramente la necessità del suo ricovero presso centri altamente specializzati.

1.2 L’emergenza eclamptica

L’eclampsia, è una delle manifestazioni più gravi dello spettro preeclamptico severo. Si parla di Eclampsia Imminente quando insorgono i sintomi tipici, quali cefalea, disturbi del visus, dolori addominali epigastrici, in una paziente preeclamptica.

L’Eclampsia convulsiva, o attacco eclamptico, si riferisce al verificarsi di crisi tonico-cloniche generalizzate o un successivo stato di coma in una donna con segni e sintomi di PE. E questa è a tutti gli effetti un’emergenza ostetrico-ginecologica.

In generale l’eclampsia interessa circa il 2,5% delle gravide con PE severa che non hanno ricevuto profilassi MgSo4 e fino allo 0,6% delle gravide con PE lieve.

Nel 50% dei casi l’eclampsia si presenta prima del termine della gravidanza. - 38-55% antepartum

- 13-36% intrapartum

- 5-39% entro 48 ore postpartum

- 5-17% dopo 48 ore fino a 6 settimane postpartum ( late eclampsia )

Complessivamente il 90% dei casi si registra tra 28 settimane di gestazione ed entro la settimana successiva al parto45,46.

L’incidenza è diversa secondo lo stato di sviluppo del paese. In Europa si attesta tra 2,4 e 6,2 casi per 10'000 parti, circa 1 caso ogni 2000/3000 nascite. Ben peggiore nei paesi in via di sviluppo in cui si contano tra 6 e 157 casi ogni 10'000 abitanti, confermando il

(27)

Cap ito lo: In tro d u zio n e

ruolo di sensibile indicatore della qualità dell’assistenza materno infantile del sistema sanitario di una nazione47.

La patogenesi della crisi eclamptica ad oggi non è chiara, ma nelle varie teorie proposte, il ruolo centrale appartiene all’ipertensione. Si ritiene che l’aumento pressorio causi uno squilibrio al sistema autoregolatorio della circolazione cerebrale, determinando ipoperfusione, disfunzione endoteliale ed edema cerebrale.48 Potrebbe avere un ruolo anche la neuroinfiammazione49.

In un 16% dei casi la crisi convulsiva non presenta ipertensione e un 14% non presenta proteinuria50.

Sintomi e segni antecedenti l’attacco eclamptico sono riscontrati in molte donne alcune ore prima della crisi. A tal proposito, una grande review inclusiva di 59 studi da 26 paesi e con un campione complessivo di 21'000 donne, indica i più comuni riscontri prodromici 51:

 Ipertensione 75%

 Cefalea persistente di tipo frontale, occipitale o a rombo di tuono 85%

 Disturbi del visus: scotomi, cecità corticale (perdita della visione), diplopia, visione annebbiata, fotofobia 27%

 Dolore addominale epigastrico o del quadrante superiore destro 25% Il 25% del campione era asintomatico nelle ore precedenti l’attacco.

La manifestazione tipica dell’eclampsia è la crisi tonico-clonica generalizzata. L’esordio è caratterizzato da un’improvvisa perdita di coscienza, spesso associata a un grido rauco (urlo epilettico). La prima fase, della durata di circa un minuto, è quella tonica in cui si ha progressivo irrigidimento dei muscoli degli arti e del tronco, e può comparire la cianosi. Segue la fase clonica in cui i muscoli si rilassano e si contraggono rapidamente, determinando le convulsioni talora con rilascio sfinteriale e morsus linguale; questa fase ha la durata di circa uno o due minuti. Segue una fase post critica, caratterizzata da un sonno profondo in cui la paziente rimane poco o non responsiva per circa 10-20 minuti, giungendo a un progressivo risveglio in cui può presentarsi in stato confusionale, amnesica, o lamentare cefalea.

Le conseguenze fetali, conseguenti all’ipossia materna, apprezzabili su tracciato cardiotocografico, mostrano comunemente una bradicardia fetale, decelerazioni tardive,

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

riduzioni delle variabilità e tachicardia compensatoria con eventuali decelerazioni transitorie.

Queste alterazioni tendono a risolversi nel giro di qualche minuto. Qualora i segni di sofferenza fetale siano ricorrenti per un periodo superiore a 10-15 minuti, nonostante gli interventi di rianimazione materni volti a correggere l’ipossia materna, si tenga in considerazione la possibilità di un distacco di placenta, eventualmente occulto52 e si la necessità di un taglio cesareo d’urgenza.

La diagnosi è quindi basata sulla clinica, ovvero l’insorgenza della crisi tonico-clonica generalizzata in una donna preeclamptica, con supporto di neuroimaging.

Reperti neuroradiologici di RMN refertati comunemente sono spot iperintensi in sequenze T2 pesate nella sostanza bianca subcorticale e sostanza grigia dei lobi parietali e occipitali simmetricamente, e compatibili con la sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRES), caratterizzata appunto dalla completa reversibilità dei segni radiologici53 e clinici.

1.2.1.1 La PRES

Tipicamente associata ad eclampsia, tale sindrome è caratterizzata da edema vasogenico sotto-/corticale e si presenta clinicamente con cefalea, confusione mentale, nausea, vomito, disturbi della vista e sintomi motori fino al coma e alla morte54 .

Nei casi di eclampsia atipica, quali insorgenza prima della 20° settimana di gestazione o 48 ore postpartum, persistenza deficit neurologici focali o stato di coma prolungato, o ancora crisi convulsive in gravide che hanno fatto adeguata profilassi con MgSO4

devono essere prese in considerazione altre cause di crisi tonico-cloniche. La diagnosi differenziale include:

- condizioni incidentali in stato di gravidanza: neoplasie primitive o metastatiche, rottura di aneurismi o angiomi, infezioni o setticemie

- condizioni esacerbate dallo stato di gravidanza: porpora trombotica trombocitopenica (PTT), sindrome uremica emolitica (HUS), trombosi nelle vene del circolo cerebrale, embolie. Le prime due condizioni, PTT e HUS, possono risultare di difficile discriminazione soprattutto in donne con sindrome HELLP; in genere la reversibilità con il parto dei valori enzimatici e piastrinici, predispone in favore di quest’ultima.

(29)

Cap ito lo: In tro d u zio n e

Frequenza di sintomi e segni in TTP, HUS e HELLP

TTP HUS HELLP AFLP

Dolore addominale ++ ++ ++ ++

Bassa attività ADAMST13 +/++ – –/+ ?

Anemia ++ ++ + +

LDH elevato ++ molto elevato ++ molto elevato ++ +/++

AST e ALT elevate –/+ –/+ ++ ++

Febbre + – – +

Cefalea o disturbi del visus ++ – ++ –/+

Ipertensione +/++ ++ ++ –

Ittero – – + +

Nausea e vomito ++ ++ ++ ++

Proteinuria + and hematuria ++ ++ –

Trombocitopenia ++ ++ ++ +

Von Willebrand factor ++ ++ – ?

Ipoglicemia – – –/+ ++

Tabella 5: Diagnosi differenziale tra TTP, HUS e HELLP. From https://www.uptodate.com/contents/image - altre condizioni: malattie metaboliche e squilibri idroelettrolitici determinanti

ipoglicemia o iponatremia55, abuso di sostanze tossiche.

Inoltre l’insorgenza di eclampsia prima delle 20 settimane di gestazione, generalmente rara, incrementa la possibilità che si tratti di una malattia del trofoblasto, ovvero mola vescicolare.

1.2.2 Management delle emergenze eclamptiche

Obiettivi chiave:

- Prevenzione dell’ipossia e di trauma materno - Trattamento dell’ipertensione severa (se presente) - Prevenzione delle crisi convulsive

- Valutazione sull’immediato espletamento del parto

Durante la fase acuta tonico-clonica:

 Chiamare aiuto senza lasciare sola la paziente convulsivante, ove possibile allertare il team esperto nei protocolli d’emergenza e reperire prontamente il materiale

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

necessario per l’assistenza contenuto in apposita scatola di trasporto, come raccomandazione delle linee guida [Eclampsia Box6]

 Proteggere e contenere la paziente, onde evitare traumi direttamente e indirettamente dipendenti dalle convulsioni.

Durante il periodo post-critico, si seguono le regole ABC della rianimazione:

 A, Airways: adagiare la paziente gravida su un piano rigido, possibilmente in decubito laterale sinistro (tramite ausilio di un cuneo stabile per torace e bacino che inclini di circa 30°)56 o in decubito supino dislocando con la mano l’utero verso sinistra per alleviare la compressione aorto-cavale. Posizionare cannula oro-faringea (Guedel) della misura adeguata all’anatomia della paziente. Liberare le vie aeree da secrezioni, vomito o altro mediante aspiratore per ridurre rischio soffocamento.

 B, Breathing: verificare la ripresa del respiro spontaneo, somministrare ossigeno terapia in maschera, posizionare saturimetro transcutaneo e effetuare un’emogasanalisi.

 C, Circulation: verificare polso periferico e pressione arteriosa. Assicurare un accesso venoso, meglio due.

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

In caso di assenza di ABC, iniziare rianimazione cardiopolmonare secondo i più recenti protocolli. La crisi eclamptica può essere causa diretta di arresto cardiorespiratorio e quindi morte materna57

Terminato l’evento acuto:

 Trattare l’ipertensione se valori sistolici ≥160mmHg e diastolici ≥ 110 mmHg, che costituisce a tutti gli effetti una emergenza ipertensiva58 (consigliabile l’uso di farmaci a “rapida azione” e facile modulazione come la nifedipina per os e il labetalolo e.v., o comunque farmaci con cui si ha familiarità nell’utilizzo, dato che non ci sono evidenze di superiorità di un principio attivo piuttosto che un altro)..

 Prevenire la ricorrenza delle convulsioni mediante profilassi con Magnesio Solfato secondo il Magic Trial59

 Monitoraggio semi-intensivologico per 24-48 ore con bilanciamento dell’equilibrio idroelettrolitico, ossigenoterapia, monitoraggio diuresi, emoglobinemia, ematocrito, piastrine, indici di funzionalità epatica e renale, indici dello stato coagulativo

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Cap ito lo: In tro d u zio n e Tabella 6 http://www.preeclampsia.it/images/linee_guida/Box2_Lovotti.png Tabella 7http://www.preeclampsia.it/images/linee_guida/Box3_Lovotti.png 1.2.3 Il parto

Si procede sempre all’espletamento del parto, a prescindere dall’epoca gestazionale, anche a fronte di un apparente miglioramento delle condizioni materne, poiché è il trattamento definitivo della patologia eclamptica.

L’eclampsia è controindicazione assoluta per una terapia attendistica60

.

Obiettivo primario al parto resta però la stabilizzazione emodinamica materna, ovvero la profilassi con MgSO4 e trattamento dell’ipertensione, al fine di ridurre il rischio di

emorragie cerebrali e altre complicanze materne potenzialmente pericolose per la vita. Riguardo le modalità del parto, dopo stabilizzazione materna, è opportuno fare alcune valutazioni:

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

- Non è mai indicato il taglio cesareo in emergenza42,52 prima della stabilizzazione

materna; le linee guida raccomandano di lasciare tutto il tempo necessario agli anestesisti, anche a fronte di importanti segni di sofferenza fetale, prima di procedere al taglio cesareo;

 Il parto per via vaginale è consentito, se c’è travaglio in atto, piena ripresa di coscienza, alterazione neurologiche residue nulle o minime, non altre controindicazioni di tipo ostetrico;

 Il taglio cesareo è consigliato quando permane uno stato di incoscienza o morte materna56,7, stato di agitazione psicomotoria che non consente la collaborazione della paziente, segni di complicanze (distacco di placenta), tempi troppo lunghi del parto per via vaginale, epoca gestazionale precoce;

 Non è controindicata l’induzione del travaglio di parto mediante uso di prostaglandine PGE2 e ossitocina, se l’età gestazionale e il Bishop score lo consentono;

 Sono indicate l’anestesia e analgesia peridurale o spinale rispetto all’anestesia generale45; per quest’ultima infatti è noto il riflesso ipertensivo del laringoscopio al momento dell’intubazione61

 L’utilizzo di corticosteroidi per promuovere la maturazione polmonare non è controindicato.

1.2.4 Complicanze e outcomes

Nel 70% dei casi di eclampsia, compare almeno una tra le complicanze materne riassunte, con relative incidenza, nella Tabella 4.

Alcune tra queste, come la disfunzione renale, il danno epatico e la coagulopatia, sono reversibili e si risolvono entro qualche ora o giorno dopo il parto, tuttavia necessitano di attento monitoraggio. Anche ’amaurosi o cecità corticale, mono- o bilaterale, tende ad essere reversibile con la risoluzione dell’edema cerebrale

Altre, tra cui l’emorragia o l’ischemia cerebrale, lo stroke, possono residuare sequele neurologiche permanenti o determinare la morte delle donne eclamptiche62,63.

Complicanze materne e neonatali nelle gravidanze complicate da eclampsia

Outcome Frequenza (%)

Distacco di placenta 7 to 10

7

(34)

Cap ito lo: In tro d u z io n e CID 7 to 11 Edema polmonare 3 to 5

Insufficienza renale acuta 5 to 9

Polmonite ab ingestis 2 to 3 Arresto cardiorespiratorio 2 to 5 Danno epatico 1 Sindrome HELLP 10 to 15 Morte perinatale 5.6 to 11.8 Parto pretermine 50

Tabella 8:Complicanze nelle pazienti con Eclampsia. Adapted from: Sibai, BM. Obstet Gynecol 2005; 105:402.

1.2.4.1 Stroke

Di base, l’incidenza è 3 volte superiore nelle donne in gravidanza rispetto a quelle di pari età non gravide: 34,2 vs 10,7 ogni 10'000. Tra le varie cause di stroke (ischemiche, emorragiche, trombotiche venose), quelle legate alla gravidanza sono il 46%, e di queste il ruolo prevalente è proprio la patologia preeclamptica – eclamptica.64 Il trattamento rapido dell’ipertensione appare come la miglior prevenzione dell’emorragia cerebrale.

La mortalità materna, cui principale responsabile è proprio il danno cerebrale, è stata analizzata in vari studi dai quali emergono percentuali fino al 14%. Questa terribile quota si riduce al di sotto del 2% nei centri altamente specializzati.65-67 I tassi più alti di mortalità materna si registrano in paesi sottosviluppati, e in numerosi studi il dato è stato correlato alle limitate possibilità di accesso a cure adeguate con standard di livello internazionali67,68.

1.2.4.2 Outcome fetale

Prematurità, distacco di placenta e asfissia intrauterina risultano essere le cause principali di mortalità perinatale dei figli di donne eclamptiche.

Tuttavia la mortalità perinatale resta strettamente legata all’età gestazionale; si ricordi che le gravidanze eclamptiche hanno un incremento da 5 a 7 volte del rischio di parto pretermine, rispetto alle gravidanze non eclamptiche.

Non di poco conto anche le morbidità perinatale, anch’essa correlata in primis all’età gestazionale. Nei figli di donne eclamptiche si registra un’incidenza di feti piccoli per età gestazionale (Small for Gestational Age, SGA) e restrizione di crescita intrauterina (Intrauterin growth restriction, IUGR).

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Cap ito lo: In tro d u zio n e

1.3 Fattori angiogenetici placentari: PlGF E sFlt1

1.3.1 Struttura e Funzione del PlGF e sFtl-1

221 aminoacidi per una massa molecolare di 24,8 kDa costituiscono il PlGF, membro della famiglia dei Fattori angiogenetici del VEGF, appartenente a sua volta a una più vasta famiglia di glicoproteine caratterizzate per la presenza di moduli ricchi in cisteina. La famiglia del VEGF comprende 6 molecole diverse per sequenza aminoacidica, ma simili per architettura molecolare: VEGF A, VEGF B, VEGF C, VEGF D, VEGF E ed il nostro PlGF (Placental Growth Factor). La complessità strutturale di questi fattori di crescita è accresciuta da eventi di processamento molecolare o di splicing differenziale, e quest’ultimo interessa il PlGF. I membri di questa famiglia sono attivi solo in forma dimerica. Esplicano le loro azioni biologiche mediante legame ad alta affinità coi recettori di membrana specifici.

Il PlGF molecola chiave dell’angiogenesi e vasculogenesi, espresso dal gene omologo sul cromosoma 14q24.369.

Così come succede agli altri membri della famiglia VEGF, meccanismi di splicing producono quattro differenti isoforme di questo fattore: PlGF-1, PlGF-3 secrete in forma solubile con azione paracrina non in grado di legare eparina, e PlGF-2 e PlGF-4 che tramite domini eparinici restano legati alla membrana plasmatica con attività autocrina70. Le diverse isoforme sembrano agire su specifici bersagli permettendo nel loro complesso di guidare l’ angiogenesi, la vascolarizzazione e la maturazione trofoblastica.71

La principale sorgente di produzione di questa proteina è infatti il trofoblasto placentare durante l’embriogenesi, e in minime tracce viene espresso da molti altri tessuti umani, compreso il trofoblasto villoso e cellule endoteliali materne, ed in periodo extra gravidico è prodotto a livello dell’endotelio vascolare e cellule tiroidee, inoltre è stato ritrovato espresso in cellule muscolari lisce di cuore polmoni e tessuto adiposo72.

La produzione del PlGF viene stimolata dall’ipossia, ma non sono ben chiari i meccanismi molecolari, anche a fronte di studi su topi knock-out.

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Il potere angiogenico e vasodilatatore del PlGF assume un ruolo cruciale nei fenomeni di placentazione e di regolazione vascolare durante la gravidanza, ed è inoltre in grado di regolare le cellule trofoblastiche evitandone l’apoptosi. La sua origine sia materna che fetale aumenta il potenziale di buon indicatore dell’interazione a livello placentare tra i due organismi, col limite che il dosaggio non rispecchia soltanto la produzione placentare ma anche quella degli altri distretti, seppur ne esprimano livelli molto inferiori.

La sua azione è modulata dal legame al recettore VEGFR-1 o Flt-1 (tirosin chinasi FMS-simile solubile), espresso anch’esso dalle cellule endoteliali e dal trofoblasto, ma non riconosce il recettore VEGFR-2; è stata proprio questa differenza a far nascere l’ipotesi di un differente ruolo dei due fattori appartenenti alla stessa famiglia, il VEGF e il PlGF nella vasculogenesi placentare. Il primo, VEGF, sembra essere coinvolto nella prima fase di invasione trofoblastica e neoformazione vascolare che avviene a partire dall’impianto della blastocisti fino alla 10°-12° settimana. Il secondo, PlGF, anche se già prodotto in questa prima fase, sembra svolgere il suo ruolo principalmente nella seconda fase di invasione trofoblastica, ovvero quella che raggiunge le arteriole spirali uterine a scopo di determinare formazione di canali vascolari a bassa impedenza e alta capacità.

Fisiologicamente in gravidanza il PlGF aumenta gradualmente durante il primo trimestre, ha un incremento più rapido e intenso durante il secondo trimestre con un picco massimo registrato tra 29 e 32 settimane, per poi cominciare il suo decremento fino a termine di gravidanza73.

Dalle conoscenze riguardo l’interessante ruolo fisiologico di questo fattore. nacque l’ipotesi che una sua alterazione, in senso di ridotta produzione, potesse avere un ruolo patologico e potesse essere predittivo di una disfunzione placentare, che sta alla base di molte patologie ostetriche, in primis la Preeclampsia. Diversi studi in letteratura hanno preso in considerazione quest’ipotesi74,75 76, analizzando l’andamento della

concentrazione di PlGF in gravidanze fisiologiche e in gravidanze complicate da PE.

L’attività del PlGF è inibita dal legame con la forma solubile del recettore sFlt-1 (soluble fms-like tyrosine kinase-1) o VEGFR-1, che assume quindi funzione anti-angiogenetica.

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Da qui una seconda ipotesi che un’aumentata produzione di sFlt-1, indotta da stati ipossici, potesse essere riconducibile all’alterata placentazione, quindi una carenza relativa, e non assoluta, di PlGF70.

La placentazione è un momento delicato e cruciale per lo sviluppo di una gravidanza a decorso fisiologico. Da qui il forte interesse riguardo sue alterazioni, nello specifico riguardo il processo di neoangiogenesi, ha indirizzato la concentrazione della letteratura e numerosi studi sperimentali su questi fattori e sul loro rapporto, con la speranza che potessero avere un utile risvolto nella comprensione della patogenesi e utilità clinica, predittiva e diagnostica, nel corso di patologie ostetriche quali la restrizione della crescita intrauterina (IUGR), neonato piccolo per età gestazionale (SGA), diabete gestazionale, parto pretermine e la preeclampsia.

Per completezza, pur non essendo oggetto di questa tesi, è doveroso aggiungere che il ruolo nei processi di neoangiogensi di PlGF ha richiamato l’attenzione anche da parte dell’oncologia.

Diversi studi in letteratura ne hanno dimostrato la presenza e l’attività in vari tumori, oltre che valutato il ruolo in qualità di marker tumorale e potenziale target terapeutico72,77. Pare infatti che il PlGF abbia un ruolo di condizionamento della risposta macrofagica allo sviluppo di un tumore: i macrofagi hanno un effetto stimolatorio sulla neoangiogenesi neoplastica, favorendone crescita e invasività. Una riduzione dei livelli di PlGF, contribuenti alla suddetta risposta macrofagica, potrebbe contribuire a realizzare un controllo del tumore71.

1.3.2 Lo stato dell’arte

Dal momento dell’isolamento del PlGF da tessuto istologico della placenta agli inizi degli anni ’90, diversi studi sono iniziati a comparire in letteratura con interesse ai due fattori angiogenici. Il loro ruolo come biomarcatori nella patologia preeclamptica è stato assodato agli inizi degli anni 2000 ed in alcuni centri europei sono stati aggiunti alla routine diagnostica delle pazienti preeclamptiche o con fattori di rischio per PE.

I primi sintomi di PE compaiono a partire dalle 20 settimane di gestazione78

, tuttavia il processo patogenetico responsabile dei segni e sintomi della malattia inizia in un’epoca precoce, già nella fase dell’impianto della blastocisti. La ricerca si è quindi indirizzata verso possibili markers che potessero essere predittivi o indicativi già in queste prime

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