• Non ci sono risultati.

Aziende familiari e internazionalizzazione: alcune evidenze dalla Toscana

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Aziende familiari e internazionalizzazione: alcune evidenze dalla Toscana"

Copied!
100
0
0

Testo completo

(1)

Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia Management e Controllo

Tesi di laurea

AZIENDE FAMILIARI E INTERNAZIONALIZZAZIONE: ALCUNE EVIDENZE DALLA TOSCANA

Relatore:

Prof. Vincenzo Zarone

Canditata:

Fabiana Caniglia

(2)
(3)

Ai miei genitori e ai miei amatissimi nonni,

sempre vicini in ogni traguardo della mia vita

“Sii forte che nessuno ti sconfigga, nobile che nessuno ti umili, e te stesso che nessuno ti dimentichi.” Paulo Coelho

“La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità.” Lucio Anneo Seneca

(4)
(5)

INDICE

INTRODUZIONE ... 6

Capitolo I: L‟AZIENDA FAMILIARE E LE LINEE DI SVILUPPO ... 9

1.1 LE CARATTERISTICHE PRINCIPALI ... 9

1.2 AZIENDA FAMILIARE: UN PROBLEMA DI DEFINIZIONI ... 11

1.2.1 La classificazione dei family business ... 17

1.3 PUNTI DI FORZA E NEGATIVITÀ CHE CARATTERIZZANO L‟AZIENDA FAMILIARE ... 21

1.3.1 Punti di forza ... 22

1.3.2 Aspetti negativi ... 24

1.4 LA RELAZIONE FAMIGLIA-IMPRESA ... 26

1.5 I PROCESSI DECISIONALI ... 30

1.5.1 Una possibile classificazione delle decisioni aziendali ... 31

1.5.2 Le fasi del decision making ... 32

1.5.3 Decision making e family business ... 34

Capitolo II: L‟INTERNAZIONALIZZAZIONE E LA COMPETITIVITA‟ ... 36

2.1 INTRODUZIONE ... 36

2.2 L‟AZIENDA FAMILIARE E I MERCATI INTERNAZIONALI ... 37

2.2.1 Vantaggi e ostacoli delle imprese familiari all‟internazionalizzazione ... 40

2.2.2 L‟internazionalizzazione e il passaggio generazionale ... 41

2.3 LE TEORIE DELL‟INTERNAZIONALIZZAZIONE ... 44

2.3.1 Le modalità di ingresso nei mercati esteri ... 46

2.4 INTERNAZIONALIZZAZIONE E COMPETITIVITÀ ... 48

Capitolo III: ANALISI DI SETTORE E INTERNAZIONALIZZAZIONE ... 53

3.1 IL SETTORE CALZATURIERO ... 53

(6)

3.2 IL SETTORE TESSILE ... 60

3.2.1 Il settore tessile in Italia ... 62

3.3 IL SETTORE FARMACEUTICO... 65

3.3.1 Il settore farmaceutico in Italia ... 68

Capitolo IV: IL CONTESTO DI RIFERIMENTO E I CASI DI STUDIO ... 71

4.1 IL TERRITORIO TOSCANO (legame con il territorio e internaz) ... 71

4.1 LUCIANO BARACHINI ... 74

4.1.1 L‟azienda e la storia ... 74

4.1.2 Il prodotto offerto ... 77

4.1.3 L‟internazionalizzazione e le prospettive future ... 78

4.2 DALMO CASHMERE ... 80

4.2.1 La storia ... 80

4.2.2 Il prodotto ... 82

4.2.3 L‟internazionalizzazione e le prospettive future ... 83

4.3 ABIOGEN PHARMA ... 85

4.3.1 La storia ... 85

4.3.2 Il prodotto ... 86

4.3.3 L‟internazionalizzazione e le prospettive future ... 88

CONCLUSIONI ... 91

BIBLIOGRAFIA ... 97

(7)

INTRODUZIONE

In un contesto come quello Italiano, in cui il perdurare della crisi economica sembra lasciare poco spazio ad una ripresa dei consumi interni, l‟internazionalizzazione delle imprese sembra essere una delle poche vie percorribili capaci di ridare ossigeno al tessuto industriale del Paese, composto per la maggior parte da piccole e medie imprese, molte delle quali a conduzione familiare. La globalizzazione ha profondamente cambiato l‟ampiezza e la natura stessa dell‟ambiente competitivo per molte imprese Italiane, comportando innegabili ripercussioni sulla strategia aziendale. Negli ultimi quarant‟anni e stata rilevata una crescente tendenza da parte delle imprese a dislocare la propria produzione al di fuori del mercato domestico. Tale fenomeno, noto come “delocalizzazione produttiva”, può essere definito come quel processo sociale, manageriale ed organizzativo, attraverso il quale le imprese non solo dispiegano le loro vendite su più mercati esteri, ma dagli stessi attingono per il loro approvvigionamento di materie prime, di tecnologie, di impianti, di attrezzature, di risorse finanziarie e di forza lavoro.

Gli studi tradizionali in tema di internazionalizzazione d‟impresa hanno dimostrato che variabili come l‟intensità di R&D, la dimensione, la performance pregressa, la diversificazione dei prodotti e l‟età dell‟azienda sono positivamente associati al grado di internazionalizzazione (Hitt et al. 2006). Il presente studio si inserisce nell‟ambito delle ricerche volte a studiare la relazione tra governance ed internazionalizzazione delle imprese. In particolare, si intende analizzare e capire se e come la presenza familiare nella governance dell‟azienda influisca sulle decisioni prese in tema di internazionalizzazione. Nonostante in letteratura le caratteristiche peculiari delle aziende familiari siano ampiamente riconosciute, relativamente pochi autori hanno analizzato come la natura familiare del business influenzi il processo di internazionalizzazione (Chrisman et al. 2003; Cerrato & Piva, 2012). L‟ambito di ricerca del family business è assolutamente rilevante in Italia, data la predominanza delle imprese a conduzione familiare nello scenario economico. Il presente studio, in

(8)

particolare, si caratterizza per l‟analisi di un campione di tre aziende familiari circoscritte nel territorio toscano, in particolare nella provincia di Pisa. Tutte aziende dalla modesta dimensione, ma che sono riuscite ad intraprendere brillantemente il percorso di internazionalizzazione. Viene dimostrato come le teorie che trattano di imprese familiari e di internazionalizzazione non siano univocamente vere; infatti, come si vedrà in seguito, molti autori riconoscono l‟esistenza di una relazione negativa tra il livello di presenza familiare nell‟azienda, intesa sia come proprietà che come presenza nella gestione, e il livello di internazionalizzazione dell‟impresa, misurato attraverso le esportazioni. Ma attraverso i casi analizzati nel presente studio è possibile affermare che non sempre si crea la relazione negativa, anzi è stato proprio il predominante carattere della familiarità a spingere verso l‟internazionalizzazione.

Il presente lavoro è organizzato come segue: nel primo capitolo viene trattata l‟impresa familiare in tutte le sue sfaccettature, viene risaltato il problema dell‟individuazione di una definizione univoca e sono esposte le caratteristiche peculiari che contraddistinguono l‟impresa familiare.

Nel secondo capitolo si espongono i concetti di internazionalizzazione e competitività, e del legame che li unisce; si descrivono le principali teorie utilizzate in letteratura e i

risultati ottenuti dalle ricerche empiriche in merito alla relazione tra

l‟internazionalizzazione e la capacità delle aziende familiari di continuare ad essere competitive. Si procederà quindi fornendo dapprima una definizione generica di internazionalizzazione, avvicinandola alle aziende familiari; successivamente si definiranno le diverse strategie che un‟impresa può adottare per entrare all‟interno di nuovi mercati.

Nel terzo capitolo vengono studiati e analizzati i settori di riferimento dei casi aziendali scelti per il presente lavoro. Prima viene esposta una panoramica del settore a livello mondiale, per poi operare un focus del settore in Italia, prendendo in considerazione le dinamiche e le evoluzioni. Il primo settore preso in considerazione è quello calzaturiero, molto difficile da studiare in quanto presenta dei caratteri decisamente peculiari. Si tratta, infatti, di un settore in continua e rapida evoluzione, che non permette una definizione univoca, poiché è in diretta relazione con i mutamenti dei consumi e delle tendenze. A differenza degli altri comparti del fashion (come quello dell‟abbigliamento proposto di seguito), alla base delle sue dinamiche vi è un prodotto che richiede la

(9)

capacità di fondere tecnologia e tradizione, innovazione e storia, e che deve presentarsi come un equilibrio tra novità e il know-how di creazione e manualità. Il settore tessile è il secondo che viene analizzato all‟interno del presente lavoro. Nel corso degli ultimi anni questo è stato un settore che ha subito importanti mutamenti congiunturali e strutturali, che hanno investito l‟intera economia mondiale. Per poter contrastare efficacemente l‟avanzata dei concorrenti stranieri, e preservare in questo modo il Made in Italy, le imprese italiane devono introdurre costantemente nuovi prodotti, assicurare un servizio rapido e personalizzato, potenziare la comunicazione e devono adottare una politica commerciale aggressiva, basata sullo sviluppo di forme innovative di commercializzazione. In questo scenario l‟evoluzione del profilo del consumatore diventa un tassello fondamentale nella definizione dell‟ambiente competitivo in cui le imprese devono rivolgersi in maniera consapevole. Il terzo ed ultimo settore analizzato è quello farmaceutico, il quale presenta alcuni aspetti che lo caratterizzano e lo rendono unico rispetto agli altri settori industriali. Innanzitutto uno degli aspetti più importanti è la natura dei beni prodotti, i farmaci, beni considerati primari per garantire la salute dei cittadini; secondariamente gli aspetti collegati alla presenza di una forte interdipendenza fra i diversi interessi economici e sociali coinvolti (imprese private, il Sistema Sanitario Nazionale, l‟ordine dei medici e dei farmacisti ed infine i pazienti). All‟interno di questo settore gli attori che sono principalmente coinvolti sono due: lo Stato e l‟industria. Entrambi devono collaborare reciprocamente per garantire la soddisfazione dei propri interessi: da un lato la salute dei cittadini, dall‟altro il recupero del capitale investito.

Nel quarto e ultimo capitolo si svolgerà l‟analisi dei tre casi di studi, contestualizzandoli nel territorio toscano. Riprendendo i settori analizzati nel capitolo terzo, per ognuno di essi si prenderà in considerazione un caso aziendale: Luciano Barachini per il settore delle calzature, Dalmo Cashmere per il settore tessile/abbigliamento, Abiogen Pharma per il settore farmaceutico. Per ognuna di queste aziende verranno forniti i cenni sotrici relativi alla nascita dell‟impresa; verrà poi preso in considerazione il prodotto commercializzato, attenzionando cosa fanno e come lo fanno; per arrivare infine ad analizzare la strategia di internazionalizzazione adottata da ognuna, le prospettive e gli obiettivi futuri che vorrebbero raggiungere.

(10)

Capitolo I:

L‟AZIENDA FAMILIARE E LE LINEE DI SVILUPPO

1.1 LE CARATTERISTICHE PRINCIPALI

Per poter definire con chiarezza cosa si intende per impresa familiare è necessario analizzare i diversi aspetti che rientrano in un contesto più ampio che è quello del family business. Non è corretto pensare all‟impresa familiare solo come una realtà circoscritta al territorio o al contesto culturale, difatti in questo modo si continuerebbe a pensare all‟azienda familiare come un‟entità di modeste dimensioni strettamente legata al settore di appartenenza. Questo tipo di impresa, oltre ad avere ovviamente la presenza dell‟intera famiglia o di parte di essa nella proprietà e/o nella gestione, è caratterizzata da eterogeneità rispetto alle forme giuridiche, quindi società di persone o di capitali; alle tipologie di controllo, che possono essere di tipo padronale o di tipo consociativo; alle dimensioni organizzative e ai mercati di sbocco, in quanto oltre alle piccole si hanno aziende familiari anche di medie e grandi dimensioni le quali si possono collocare sui mercati locali, nazionali o esteri. L‟azienda familiare di minori dimensioni richiede un‟ampia flessibilità organizzativa affiancata ad una semplificazione delle procedure, con un conseguente risparmio di tempo; appare più semplificato anche il processo decisionale, che si accentra solo nelle mani di chi si trova al vertice dell‟impresa. Nelle aziende familiari di dimensioni maggiori, invece, l‟organizzazione diventa più formale e sistematica; in questo caso i processi decisionali non possono essere lasciati in mano a pochi soggetti, ma devono essere coinvolte più persone.

L‟impresa familiare così descritta trova il proprio posto all‟interno dell‟ambito più esteso del family business: con questo termine si intende comprendere tutti gli affari

economici di una famiglia imprenditoriale, e quindi anche la singola impresa familiare1.

Quello che caratterizza maggiormente le aziende familiari sono i comportamenti e le decisioni imprenditoriali messi in atto non soltanto dall‟imprenditore, ma anche dalla sua famiglia. Quindi il punto focale per poter analizzare al meglio questo modo di fare

1 FARACI R., “Family business ed imprese di famiglia: specificità dei contesti ed elementi di continuità”,

(11)

impresa non è concentrato singolarmente sull‟imprenditore, bensì è necessario che debba essere ricompresa l‟intera famiglia per poter comprendere al meglio il meccanismo che si innesca al momento di una scelta decisionale. Questo tipo di analisi viene disposta su due livelli: il primo si concentra sulla coalizione di comando aziendale, essa stessa familiare,studiando i soggetti che assumono le decisioni di impresa; il secondo livello di analisi è incentrato sulla famiglia, quindi nel caso specifico il fulcro della coalizione di comando. La famiglia opera come un gruppo che ha un obiettivo comune ed i membri sono dipendenti tra loro per la sua realizzazione. È inevitabile che questi due livelli di analisi si influenzino reciprocamente, poiché non è possibile studiare la coalizione di comando se non se non si studia la famiglia e viceversa2.

Data l'unicità e la particolarità delle aziende familiari, per poterne garantire il successo è necessario saper gestire tutti i membri della famiglia, indipendentemente dal fatto che siano coinvolti o meno nella gestione del capitale di rischio; saper gestire tutte le persone che prendono parte all'attività di famiglia, siano essi familiari o non; sapersi muovere rispetto all'ambiente esterno all'impresa, e quindi curare i rapporti con i fornitori, le banche ed i clienti. Vista la loro particolarità, le imprese familiari hanno una disciplina relativamente recente (legge 151/1975) che le regola, oltre che un problema di definizione. L'ostacolo principale per poter collocare questo tipo di imprese in un contesto è forse dovuto al fatto che all'interno di un'impresa familiare siano presenti elementi non razionali che prescindono dall'efficienza e dalla gestione dell'impresa stessa, come i legami di parentela stessi, o gli aspetti emozionali che potrebbero influenzare la gestione, le decisioni e le preferenze. Con l‟intento di poter definire al meglio cosa sia un'azienda familiare, è necessario analizzare la struttura organizzativa e di controllo, di conseguenza la proprietà e il management. È necessario che la proprietà sia concentrata nelle mani di una singola persona o anche di un gruppo, legato però da rapporti di parentela. Per quanto riguarda il management, invece, è necessario che il fondatore come anche i discendenti siano coinvolti direttamente nella gestione aziendale. Altro aspetto da tenere in considerazione è il rapporto diretto che i familiari hanno con il business dell'azienda; quindi come gli stessi con i propri comportamenti possano influenzare obiettivi, strategie e decisioni. Soprattutto sotto questo profilo ogni

(12)

impresa familiare è unica rispetto alle altre, poiché è il comportamento della famiglia a riflettersi sull'impresa3.

1.2 AZIENDA FAMILIARE: UN PROBLEMA DI DEFINIZIONI

Come accennato in precedenza, allo stato attuale non esiste una definizione comune e generalmente accettata di impresa familiare. D‟altronde, i caratteri distintivi e le particolarità che ognuna di essa presenta sono così numerosi e differenziati che sarebbe alquanto difficile riuscire ad identificare il family business in maniera unitaria.

La “speciale natura” del business familiare è stata oggetto d‟indagine già dai primi anni sessanta. Calder (1961), Donnelley (1964) e, più di recente, Schulze et al. (2001), Gomez-Mejia et al. (2001) la associano principalmente agli elementi “non razionali” dell‟impresa familiare, come i legami di parentela, il nepotismo, vari aspetti emozionali nella gestione; i quali vengono posti in relazione con quelli “razionali”, quindi l‟efficienza e l‟efficacia nella gestione del business.

Inizialmente la sovrapposizione della dimensione “razionale” a quella “emozionale” era vista come un elemento penalizzante per la gestione aziendale, che potesse influire sul perseguimento degli obiettivi economici e sulla creazione di valore.Vista questa diversità rispetto al tradizionale modo di “fare impresa”, intorno alla metà degli anni ‟80 si sentì il bisogno di identificare gli elementi distintivi che qualificavano un‟azienda come familiare, in modo tale da distinguerla da una non familiare. Il motivo di questa distinzione è abbastanza semplice: si cercava di capire le dinamiche all‟interno di un‟azienda familiare e se, effettivamente, gli elementi che la contraddistinguevano potessero comportare delle concrete differenze nel comportamento dell‟impresa, nella perfomance, nell‟assunzione delle decisioni e in molti altri aspetti, rispetto alle imprese non familiari.

Con l‟intento di raggruppare le aziende familiari sulla base degli elementi distintivi che la caratterizzano, si sono sviluppate diverse definizioni di impresa familiare, ciascuna avente come riferimento uno o più fattori distintivi.

Prima Litz (1995) e poi Westhead (1997) individuano due approcci interrelati tra loro per definire il family business:

3 C. GALLUCCI – G. NAVE, Family vs non-family: un’analisi sulle performance nel wine business, in

(13)

1) l‟approccio basato sulla struttura organizzativa e di controllo (“structure-based approach”);

2) l‟approccio basato sul comportamento dei familiari nei confronti del business (“intention-based approach”).

Il primo approccio è quello che presenta le maggiori caratteristiche di oggettività, in quanto si basa sulla struttura organizzativa e di controllo, ed è più facilmente utilizzabile, poiché non richiede indagini “personali” tra i membri della famiglia. Esso si basa sostanzialmente su due elementi:

 la proprietà;

 il management.

Per quel che riguarda la proprietà, per definire un‟impresa come familiare, è necessario che la stessa sia sufficientemente concentrata nelle mani di una singola persona fisica o di un gruppo di soggetti legati da vincoli di parentela, tale da garantirne il controllo. La famiglia però non deve necessariamente detenere la maggioranza del capitale, ma è sufficiente che eserciti un‟influenza significativa per connotare un‟impresa come familiare. Alla proprietà infatti si affianca il management, individuabile nel controllo esercitato dai membri della famiglia che partecipano attivamente alla gestione aziendale.

In sostanza, secondo lo structure-based approach un‟azienda si può considerare familiare in base al grado di presenza della famiglia nella proprietà, in base al potere di controllo, oppure combinando i due elementi: avere la presenza di familiari sia nella proprietà che ne management.

Il secondo approccio constata quanto è familiare un‟impresa in base al comportamento della famiglia e delle conseguenze generate. Per questo motivo tale approccio è sicuramente è più soggettivo e discrezionale dal momento che viene analizzato il modo in cui le dinamiche familiari influenzano gli obiettivi, le strategie,le decisioni e, più in generale, i comportamenti dei familiari rispetto al business (Chuaet al., 1999). Viste le caratteristiche di questo approccio, è indifferente che vi sia il coinvolgimento diretto dei familiari nella gestione o vi sia la presenza della famiglia come azionista di controllo, bensì passa in secondo piano in quanto l‟aspetto emozionale prevale sul resto. In particolare, nell‟intention-based approach, è necessario che la famiglia possa creare e

(14)

cercare di raggiungere la vision aziendale attraverso la capacità di condizionare il business, assicurando la continuità e la sostenibilità nel tempo, andando di generazione in generazione. Riguardo questo aspetto, come accennato prima, non ha importanza se ciò possa avvenire o meno con un coinvolgimento diretto dei familiari nella gestione, o con la sola presenza di una famiglia come azionista di controllo.

Quanto detto fino a qui espone l‟intention-based approach da un punto di vista meramente teorico; nella pratica questo tipo di approccio presenta dei limiti importanti in quanto applicarlo significa avere delle informazioni molto approfondite che, generalmente, possono essere reperite solo tramite i diretti interessati.Nonostante questo però, i due approcci analizzati non sono alternativi, anzi, possono influenzarsi reciprocamente tanto da comportare l‟uno l‟applicazione implicita dell‟altro. Individuando infatti criteri sia soggettivi che oggettivi, questi approcci possono consentire di riconoscere diverse tipologie di imprese familiari sulla base del grado di coinvolgimento della famiglia nel business.

Shanker e Astrachan4, con l‟intento di rendere condivisibile l‟applicazione dei due

approcci, presentano un valido schema che tiene conto degli aspetti sia oggettivi sia soggettivi del business familiare. Essi distinguono, in funzione dell‟intensità del coinvolgimento della famiglia all‟interno dell‟impresa, tre definizioni di azienda familiare:

1. la definizione “ampia“, richiede solamente la presenza di un qualche coinvolgimento familiare nel business (non è rilevante né il tipo e nemmeno l‟intensità), nonché il controllo da parte della famiglia sulle decisioni strategiche;

2. la definizione “media” aggiunge come ulteriore condizione a quella “ampia”, che via sia il diretto coinvolgimento familiare nel management nonché l‟intenzione di tramandare il business agli eredi;

3. la definizione “stretta” richiede, ulteriormente, la presenza di più generazioni coinvolte nella gestione e/o nella proprietà.

Da un lato il tentativo di delineare dei confini più o meno rigidi al fenomeno della familiarità porta numerosi vantaggi soprattutto dal punto di vista di indagine pratica del

4 J. H. Astrachan, M. C. Shanker, Myths and realities: Family businesses contribution to the US Economy. A frame work for assessing family business statistics, op. cit., pagg. 107-119

(15)

fenomeno; dall‟altro lato, però, questo tentativo porta con se il rischio di dare un‟enfasi eccessiva all‟unicità e all‟inimitabilità del business familiare, causando quindi una dicotomia quasi forzata tra quello che è “family” da quello che è “non-family”.

Sempre Astrachan et al. (2002), riconoscendo di poter creare questo dualismo artificioso, si propongono come obiettivo quello di inquadrare la definizione di impresa familiare in un “continuo”, definito in base all‟intensità degli elementi che caratterizzano la stessa. L‟ipotesi di partenza èche vi sono delle caratteristiche in un business (anche familiare) delle quali non si può dire, in via del tutto semplicistica, che siano presenti o meno, ma che richiedono una misurazione del grado di intensità che ne contraddistingue la loro presenza.

Una volta inquadrata la definizione di impresa familiare in questo “continuo” di elementi che la caratterizzano, gli autori si propongono di misurare tali elementi attraverso il grado di “family involvement”. Astrachan et al. (2002), infatti, definiscono

tre grandezze che possono qualificare il business familiare5

1) “power”: esprime il grado di coinvolgimento economico dei familiari nella proprietà e nella gestione. Nella pratica ci dice con che intensità la famiglia è coinvolta economicamente nell‟impresa e presidia i posti di comando;

2) “experience”: esprime il grado di coinvolgimento di più generazioni nella proprietà e nella gestione, quindi ci dice quanta è davvero l‟intenzione di assicurare la continuità alla familiarità del business. Questa dimensione è particolarmente importante ai fini della strategia aziendale in quanto la presenza di generazioni successive rispetto a quella del fondatore in genere apporta un più grande bagaglio di competenze e nuovi spunti imprenditoriali;

3) “culture”: esprime il grado di sovrapposizione tra i valori aziendali e quelli familiari, nonché il grado di impegno dei familiari a perseguire gli obiettivi economici del business e asostenere la crescita di relazioni reciproche tra la famiglia, l‟organizzazione e l‟ambiente.

5 J. H. ASTRACHAN et al., Performance of family firms: a literature review and guidance for future research, in http://www.alexandria.unisg.ch/export/DL/49340.pdf+&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it (luglio

(16)

Figura 1: sub dimensions of F-PEC

Fonte: J. H. ASTRACHAN et al., Performance of family firms: a literature review and

guidance for future research

Spostando l‟attenzione sul nostro Paese, è possibile constatare come molti autori italiani hanno da sempre dimostrato molto interesse verso la materia del family business. Questo è in gran parte dovuto al fatto che in Italia le imprese familiari sono molto diffuse ed estremamente radicate nel tessuto economico e sociale, tanto da essere considerate colonne portanti della nostra economia. È verosimile pensare alle aziende familiari come un insieme caratterizzato da prerogative uniche e problematiche legate alla gestione del tutto diverse rispetto a quelle delle altre imprese; proprio per queste motivazioni, quando si parla di aziende familiari, è importante definire l‟oggetto della ricerca. Nonostante esistano diverse definizioni di family business, l‟opinione maggiormente condivisa è quella espressa da Corbetta (2008): “… si possono ascrivere nel novero delle family business solo quelle entità aziendali dove una o poche famiglie possono determinare le decisioni aziendali strategiche…”. Ancora secondo Corbetta (2005) si identifica come familiare un‟impresa in cui “una o poche famiglie, collegate da vincoli di parentela, di affinità o da solide alleanze, detengono una quota di capitale di rischio sufficiente ad assicurare il controllo dell‟impresa”. Quest‟ultima definizione

FAMILY FIRM PERFORMANCE POWER: - ownership - management - supervising EXPERIENCE: - generation contributing in ownership, management and supervisory board

CULTURE: - overlap between family and business values - family commitment

(17)

in qualche modo amplia i confini entro i quali un‟azienda si può definire familiare o meno: infatti possono essere considerate tali anche quei soggetti giuridici nei quali una o più famiglie esercitano i poteri di governo nonostante non detengano la maggioranza del capitale (assetti societari); oppure i membri della famiglia non sono presenti o, se vi sono, non costituiscono la maggioranza negli organi di governo e quindi non sono coinvolti in maniera diretta nella gestione dell‟impresa (governance); o ancora è possibile che due o più famiglie, con nessun grado di parentela fra loro, siano unite da alleanze che permettono di esercitare il controllo (alleanze).

Anche i percorsi per il successo di un‟azienda familiare sono unici e peculiari, infatti la performance dipende dalla capacità di gestire armonicamente tre diverse tipologie di networks:

- network familiare, che tiene conto dei membri della famiglia presenti nelle istituzioni aziendali;

- network organizzativo, nel quale vengono incluse tutte le persone che prendono parte al business di famiglia (famigliari e non);

- network ambientale, coinvolge tutti gli stakeholder esterni (banche, fornitori, consumatori, ecc.)

Quando l‟imprenditore, e generalmente si tratta del fondatore, gestisce direttamente questi tre network allora il carattere individuale d‟impresa aumenta sempre più (Rullani, 1999).

In tempi più recenti Culasso et al. (2012), sempre con il riferimento al contesto italiano, hanno definito come “impresa familiare” quella in cui la quota di controllo è nelle mani di una o più famiglie, e almeno un membro di tali famiglie siede nel Consiglio di Amministrazione. Molti altri autori, però, sostengono che la presenza della famiglia nel management o nell‟assetto proprietario non sia da sola condizione sufficiente a definire conformemente un‟azienda come “familiare”. Un altro dei problemi legato all‟individuazione di una definizione precisa è il riconoscimento dei valori minimi, in termini sia di quota di proprietà che di percentuale di manager o direttori appartenenti alla famiglia.

(18)

1.2.1 La classificazione dei family business

Prendendo in considerazione tutte le possibili definizioni di impresa familiare che sono

state esposte fino ad ora6, e mettendole in relazione con l‟insieme che riguarda la

configurazione di tutto il sistema azienda (quindi la corporate governance), è possibile ottenere un vasto quadro delle diverse tipologie di aziende familiari che possono configurarsi grazie alla combinazione di tutti questi elementi e delle diverse caratteristiche presenti.

Diverse volte capita che più è ampio e mutevole il contesto, più si sente la necessità di inquadrare al meglio il fenomeno di studio non per sola utilità teorica ma anche pratica. Per queste motivazioni molti autori hanno sentito la necessità di introdurre delle possibili classificazioni del family business tenendo in considerazione diverse variabili come la quota di controllo da parte della famiglia sul capitale proprio dell‟impresa, i rapporti che intercorrono tra la famiglia e l‟impresa, la dimensione dell‟organismo aziendale. L‟interazione tra questi tre sistemi può dare vita a delle interdipendenze molto forti, che aumentano all‟aumentare della presenza del nucleo familiare all‟interno dell‟azienda. Di solito nei primi anni di vita dell‟azienda, la presenza del fondatore è molto forte, e le principali funzioni di governo (se non tutte) sono concentrate nelle sue mani. Successivamente, per effetto di fenomeni quali la “deriva generazionale” e il

“raffreddamento dei soci”7

,il potere e l‟influenza della famiglia fondatrice tende ad indebolirsi.

Nonostante il contesto del family business sia molto complesso, è comunque possibile individuare due macrocategorie di imprese familiari: le imprese familiari in senso stretto, nelle quali la proprietà e il potere di indirizzo strategico sono concentrati nelle mani di pochi soggetti; e le imprese familiari allargate, dove le quote dell‟impresa si iniziano a disperdere tra più persone, i ruoli di direzione sono coperti solo in parte da soggetti provenienti dalla famiglia fondatrice, infatti spesso in questa categoria di imprese vengono inseriti manager esterni. Per poter giungere a questi due “tipi” di imprese, le variabili che vengono considerate sono: la concentrazione proprietaria, la quale può essere alta o bassa in relazione a quanti soggetti possiedono le quote dell‟impresa e da che legami intercorrono fra di loro; e la concentrazione del controllo,

6 L. Del Bene, N. Lattanzi, Aziende familiari e longevità economica. Modalità di analisi e strumenti operativi,IPSOA, 2012

7

(19)

che, anche questa, può essere alta o bassa a seconda di chi svolge le funzioni direzionali (quindi la famiglia o soggetti esterni).

Corbetta8, prendendo come punto di partenza di riferimento questa

macroclassificazione, propone a sua volta uno schema che prende in considerazione tre diverse variabili all‟interno delle quali vengono individuati diversi gradi di misurazione. La prima variabile presa in considerazione riguarda la proprietà del capitale, cioè com‟è distribuita la quota di controllo del capitale di un‟azienda familiare; i possibili modelli che ne derivano possono essere così elencati:

 Modello di proprietà assoluta  l‟intero capitale è posseduto da un solo

proprietario;

 Modello di proprietà familiare chiusa stretta  il capitale è suddiviso tra una

cerchia ristretta di persone;

 Modello di proprietà familiare chiusa allargata  il capitale viene suddiviso tra

un numero crescente di persone;

 Modello di proprietà familiare aperta  il capitale non è più posseduto solo da

eredi del fondatore, ma subentrano anche altri soci.

La seconda variabile utile per operare questa classificazione riguarda la presenza dei familiari nel Consiglio di Amministrazione e negli organi di direzione dell‟impresa, quindi vengono presi in considerazione l‟eterogeneità dei rapporti che si instaurano tra la famiglia e l‟impresa; si possono delineare le seguenti situazioni:

 Nel Consiglio di Amministrazione e negli organi di direzione siedono solo

membri della famiglia proprietaria del capitale;

 Il Consiglio di Amministrazione è composto solamente da familiari, mentre

negli organi di direzione sono coinvolti sia membri della famiglia che membri esterni alla cerchia familiare;

 Il Consiglio di Amministrazione e gli organi di direzione sono costituiti sia

da familiari sia da non familiari.

Infine la terza variabile riguarda la dimensione aziendale, che può essere piccola, media o grande. Nell‟impresa di più piccola dimensione si pensa che ci sia una maggiore flessibilità organizzativa, una minore formalizzazione di ruoli e procedure e che il processo decisionale sia più snello ma accentrato nel vertice strategico. Nelle imprese di

(20)

maggiori dimensioni ci si attende che vi sia un‟organizzazione più formalizzata e strutturata; il processo decisionale in questo caso deve necessariamente coinvolgere più soggetti, ed in particolare gli stakeholder.

Figura 2: Una possibile classificazione delle aziende familiari

Fonte: G. Corbetta, Le imprese familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo

Da questa classificazione è facile evincere come l‟analisi di diverse variabili del family business possa portare ad identificare diverse varietà di azienda familiare. Nonostante questo, la definizione di categorie ben precise rimane un obiettivo difficile da raggiungere, in quanto bisogna sempre ricordare che è complesso segnare i confini entro

i quali rientra un tipo di azienda piuttosto che un‟altra. In ogni caso, Corbetta9

individua quattro categorie di imprese familiari, avendo come punto di riferimento le tre variabili sopra esposte:

1. Nelle imprese familiari domestiche il modello proprietario è generalmente di tipo assoluto o stretto, le dimensioni sono piccole, il CdA e gli organi di direzione sono composti solamente da familiari;

9 G. Corbetta, Le imprese familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo, op. cit., pagg.

81-89

Quota di controllo capitale proprio

• Assoluta

• Familiare chiusa stretta • Familiare chiusa allargata • Familiare aperta Rapporti tra famiglia e impresa •CdA e direzione di familiari •CdA di familiari e direzione di familiari e non familiari •CdA e direzione di familiari e non familiari

Dimensione • Piccola • Media • Grande Classificazione aziende familiari

(21)

2. Nelle imprese familiari tradizionali il modello proprietario è di tipo assoluto o stretto, le dimensioni solitamente sono medie o grandi, ma è anche possibile che siano piccole, il Cda è composto solo da familiari, mentre negli organi di direzione vi è la presenza sia di familiari che di non familiari;

3. Le imprese familiari allargate sono contraddistinte da un modello di proprietà di tipo allargato e da media-grande dimensione, nel CdA oltre ai familiari possono essere presenti anche non familiari, come anche negli organi di direzione;

4. Nelle imprese familiari aperte le quote di capitale sono possedute da soggetti non discendenti dal fondatore, le dimensioni sono medie o grandi, il CdA e gli organi di direzione sono composti da familiari e non familiari.

Tabella 1: schema di sintesi Imprese familiari Modello proprietario Dimensione Composizione CdA Composizione organi di direzione

Domestiche Assoluto/stretto Piccola Familiari Familiari

Tradizionali Assoluto/stretto Media/grande Familiari Familiari e non familiari

Allargate Allargato Media/grande Familiari e non familiari

Familiari e non familiari

Aperte Aperto Media/grande Familiari e non

familiari

Familiari e non familiari

Fonte: elaborazione personale

Questa classificazione, oltre a rappresentare i potenziali passaggi che un‟azienda familiare potrebbe affrontare nel tempo, nel momento in cui parla di imprese familiari aperte estende sensibilmente la definizione di azienda familiare.

Un‟altra classificazione è stata presentata da Gallo, il quale in particolare si focalizza sul grado di coinvolgimento della famiglia nell‟impresa, identificando quattro categorie di impresa familiare:

1. Impresa familiare di lavoro, dove la famiglia è proprietaria e intende coinvolgere quanti più membri nell‟attività lavorativa;

(22)

2. Impresa familiare di direzione, in cui la famiglia rimane a detenere la proprietà dell‟impresa, però non coinvolgendo proprio tutti i membri familiari ma solo quelli più capaci;

3. Impresa familiare di investimento, in cui la famiglia è coinvolta nell‟assunzione di decisioni che riguardano investimenti;

4. Nell‟impresa familiare congiunturale viene meno la volontà della famiglia a proseguire uniti l‟attività in quanto l‟unione dei membri è dovuta al fatto che sono eredi.

Anche secondo Gallo questa può essere una classificazione sequenziale, cioè può rappresentare l‟evoluzione che un‟azienda familiare può affrontare durante il tempo. Aatrachan e Shanker (2003), infine, offrono unulteriore schema basato sui criteri oggettivi e soggettivi che caratterizzano il family business. In base all‟intensità del coinvolgimento della famiglia, identificano tre definizioni di azienda familiare:

1. La definizione ampia include la presenza solamente di qualche coinvolgimento familiare nel business, senza che sia importante il tipo o l‟intensità, e il controllo da parte della famiglia sulle decisioni strategiche;

2. La definizione media aggiunge come ulteriore condizione a quella ampia che vi sia il diretto coinvolgimento familiare nel management;

3. La definizione stretta richiede, ancora, la presenza di più generazioni coinvolte nella gestione e/o nella proprietà.

1.3 PUNTI DI FORZA E NEGATIVITÀ CHE CARATTERIZZANO L‟AZIENDA FAMILIARE

Quello che si è cercato di fare fino ad ora è stato dare una definizione di azienda familiare che ricomprenda tutte le sue peculiarità, oltre a tentare di operare una classificazione quanto più omogenea possibile, nonostante le diverse variabili che intervengono.

In questo paragrafo, invece, verranno analizzati gli aspetti positivi e quelli negativi che caratterizzano il modo familiare di fare impresa. È importante capire tutti i meccanismi dietro al funzionamento dei diversi tipi di aziende familiari in quanto queste, come già

(23)

accennato in precedenza (come si vedrà in seguito), compongono una fetta considerevolmente importante del tessuto industriale italiano.

1.3.1 Punti di forza

Un primo elemento da tenere in considerazione è il fatto che, con buone probabilità, non si verifichino comportamenti opportunistici da parte dei manager in quanto la partecipazione dei familiari è molto forte sia nella proprietà che nella gestione. Ciò fa in modo di favorire un allineamento tra gli interessi degli azionisti e gli interessi degli stessi manager, e quindi non è necessario il ricorso a quei meccanismi per evitare o ridurre i conflitti di interesse tra questi due soggetti.

Un altro fattore, considerato come uno dei maggiori punti di forza dell‟azienda familiare, è rappresentato dall‟orientamento di lungo periodo della proprietà ma anche della gestione. Dal punto di vista della proprietà, una visione di lungo periodo ha diversi punti a favore, in quanto non vi è il pericolo di una “fuga” di capitali visto che sono i familiari stessi ad investire e quindi non pretendono una risposta veloce all‟investimento; l‟orientamento strategico di fondo è solido e stabile e, infine, per gli stakeholder l‟orientamento al lungo periodo costituisce una sorta di garanzia perche sono consapevoli di rapportarsi con un interlocutore con cui poter avviare relazioni di lungo periodo. Dal punto di vista della gestione, invece, l‟orientamento al lungo periodo è molto importante in quanto gli investimenti vengono effettuati su una base di convenienza economica estremamente razionale oltre ad essere valutati nel medio-lungo periodo, essendo il tempo necessario per vederne un ritorno.

Il fatto di pensare all‟azienda familiare come un qualcosa che debba durare nel tempo è dovuta all‟intenzione dei fondatori (o dei membri più grandi nel caso in cui si trattasse di un‟impresa operativa già da diverse generazioni) di tramandare agli eredi un‟impresa “sana” e competitiva; questo perché l‟impresa stessa viene vista come un bene da salvaguardare, da un lato, e da sviluppare, dall‟altro. In quanto i familiari sono molto coinvolti sia a livello economico che affettivo. Di conseguenza vi è molta preoccupazione a livello patrimoniale e reputazionale per un‟eventuale situazione di dissesto aziendale. Quindi è possibile affermare che l‟obiettivo economico della creazione del valore per gli azionisti è in piena traiettoria dell‟ottica di lungo termine.

(24)

Altra tipicità delle aziende familiari è la capacità di creare vantaggio competitivo attraverso l‟uso di risorse “inimitabili” che vengono generate dall‟impresa stessa, quindi sono uniche. Questa unicità viene sviluppata grazie a diversi elementi, propri all‟azienda familiare di riferimento:

 Il capitale umano, cioè l‟insieme di conoscenze e di capacità all‟interno di

un‟organizzazione. Con il particolare riferimento all‟azienda familiare, il capitale umano genera un valore aggiunto in quanto i familiari, essendo legati all‟impresa sia da vincoli di parentela che dalla partecipazione al business, apportano elementi originali e non imitabili, quindi unici;

 Il capitale sociale, che comprende la rete di relazioni che si crea tra familiari e

stakeholder, la quale genera il complesso di risorse attuali e di risorse potenziali favorendo la creazione di legami stabili tra l‟impresa e gli stakeholder;

 Il capitale finanziario, che rappresenta le risorse mantenute all‟interno

dell‟impresa per un lungo periodo di tempo. In questo modo, all‟interno di un‟azienda familiare, si favoriscono gli investimenti e di conseguenza anche la crescita;

 Il capitale “informale”, ovvero quella parte di risorse che viene prodotta

“personalmente” dai familiari, come ad esempio lavorare nell‟azienda senza un corrispettivo o concedere prestiti personali. Di norma questo tipo di capitale viene utilizzato all‟inizio dell‟attività, o nei momenti di difficoltà;

 Costi relativi alla governance, cioè, essendo appunto un‟azienda familiare, i

costi relativi al controllo dovrebbero essere minori, se non addirittura nulli. Altro elemento positivo all‟interno delle aziende familiari è rappresentato dall‟altruismo, cioè quel sentimento che lega i parenti (soprattutto quelli più stretti) ad adottare comportamenti finalizzati al benessere e al sostegno reciproco. Questo significa che la famiglia che gestisce l‟impresa debba avere un atteggiamento cooperativo, ma che allo stesso tempo debba distinguere gli interessi dell‟impresa da quelli personali, mettendo i primi avanti ai secondi. Quindi vi deve essere una condivisa volontà da parte dei familiari di mettere gli interessi dell‟azienda al di sopra di tutto, e soprattutto al di sopra di quelli personali. L‟altruismo, però, si riflette anche nella volontà e nella capacità dei familiari fondatori, o comunque quelli più anziani, di trasmettere agli eredi i valori morali fondamentali per l‟azienda. Considerando l‟effetto positivo che l‟altruismo genera all‟interno dell‟azienda familiare, e considerando anche che sia un

(25)

atteggiamento recepito da tutti, porterà a ridurre i costi di agenzia in quanto i legami fiduciari si sostituiranno al controllo, impattando di conseguenza sui relativi costi. Infine, un ultimo elemento ritenuto positivo per le aziende familiari è il cd. “founder effect”, ovvero la presenza del fondatore nelle vesti di principale azionista coinvolto direttamente nella gestione che produce un insieme di effetti positivi sull‟organizzazione e sulla performance aziendale (Kelly et al. 2000). Tali effetti sono dovuti all‟abilità e al carisma del fondatore di trasmettere uno spirito imprenditoriale basato sul talento e sulle intuizioni individuali.

1.3.2 Aspetti negativi

Una prima criticità delle aziende familiari è individuabile nell‟avversione al rischio, infatti, come da un lato è vero che l‟orientamento a lungo termine è tipico di queste aziende, dall‟altro i capitali che vengono investiti tendono ad essere conservati piuttosto che “usati” per crescere. Com‟è facile intuire, l‟avversione al rischio di un‟impresa, soprattutto se familiare, genera non pochi problemi: limita lo sviluppo di processi innovativi e la raccolta di capitale di rischio finalizzato a sostenere la crescita; porta alla chiusura del capitale nei confronti di soggetti terzi, come anche dei ruoli di vertice, per controllare il più possibile i rischi; le strategie sono orientate verso la crescita e l‟espansione nei mercati domestici, quelli internazionali difficilmente vengono raggiunti e/o presi in considerazione.

Altra problematica da tenere in considerazione è rappresentata dalla successione, momento estremamente critico all‟interno di un‟azienda familiare. Il ricambio generazionale è un processo che, come si vedrà in seguito, deve essere studiato nei minimi dettagli per assicurarne la riuscita e per assicurare la continuità del rapporto famiglia-impresa. Il passaggio generazionale può dirsi riuscito se continua ad essere garantita la funzionalità dell‟impresa e se il controllo rimane in mano dei discendenti. A proposito di questo argomento, elemento da tenere in considerazione è la cd. “deriva generazionale”, ovvero un progressivo aumento del numero degli eredi con il passare delle generazioni. Quindi da un lato si avrà una proprietà molto frazionata, con soggetti che hanno diversi obiettivi e compiti, e che quindi potrebbero dare inizio a conflitti familiari estremamente dannosi per l‟impresa; dall‟altro si avrà il cd. “raffreddamento” dei legami affettivi tra i familiari dovuto al passare delle generazioni, andando ad impattare anche sull‟identificazione degli stessi con l‟impresa.

(26)

Come accennato prima, affinché il passaggio generazionale riesca bene, è necessario pianificare i diversi momenti che lo compongono. In particolare il capo azienda deve anticipatamente scegliere il momento in cui verrà materialmente eseguita la successione, e designare il/i soggetto/i che prenderà il comando. Se l‟erede designato ha la volontà di accettare il ruolo, verrà affiancato e formato per essere pronto al momento della successione; se invece all‟interno della famiglia non vi è nessuno idoneo o disposto ad accettare la carica, allora il capo azienda dovrà ricorrere a manager esterni alla famiglia per continuare la conduzione dell‟azienda. C‟è da dire, però, che il capo azienda potrebbe avere una certa riluttanza ad esprimere anticipatamente le proprie intenzioni riguardo la successione perché, comprensibilmente, rischierebbe di creare tensioni e gelosie tra i familiari aspiranti alla posizione e allo stesso tempo evita il condizionamento dei rapporti con gli stakeholder, in modo tale che non si sentano condizionati dal passaggio di ruolo.Nonostante questo, però, la mancata pianificazione arrecherebbe rischi e problemi ancora più gravi all‟azienda, portandola ad un inesorabile declino.

Altro fattore negativo da tenere in considerazione è il momento in cui si devono scegliere i manager che gestiranno l‟impresa, perché si vanno ad accentuare delle criticità che spiccano soprattutto nel contesto familiare. Tendenzialmente, infatti, emerge il fenomeno del nepotismo, ovvero il controllo della società viene posto nelle mani di un familiare indipendentemente dalla bravura e dall‟idoneità al ruolo. La probabilità di assumere manager incapaci aumenta tanto più si restringe la cerchia dei possibili candidati a ricoprire la funzione di leader; in ciò è riscontrabile la scarsa competitività del mercato del lavoro manageriale in quanto i manager più talentuosi andranno a ricercare imprese di grandi dimensioni in cui non vedano la presenza “pressante” dei familiari, piuttosto che guardare ad un‟azienda familiare con modeste opportunità di carriera. Questo fenomeno prende il nome di adverse selection (selezione avversa). Inoltre, il mercato del lavoro si potrebbe restringere ancora di più nel caso in cui la famiglia persegua come obiettivo la massimizzazione della ricchezza personale, disincentivando i lavoratori che saranno meno produttivi.

Come già esposto in precedenza tra gli aspetti positivi caratterizzanti un‟azienda familiare, il rapporto famiglia-impresa può essere fonte di risorse uniche e inimitabili. C‟è da dire, però, che questo aspetto presenta un rovescio della medaglia non indifferente, in quanto tale commistione potrebbe provocare dei conflitti tra familiari che andrebbero ad impattare negativamente sul perseguimento degli obiettivi aziendali.

(27)

Questa problematica è maggiormente riscontrabile quando all‟interno dell‟impresa si hanno familiari-gestori e familiari-azionisti; naturalmente ai primi interessa la crescita aziendale, quindi vedono giusto reinvestire gli eventuali utili per continuare a garantire gli investimenti; mentre per i familiari-azionisti gli utili rappresentano la possibilità di avere dei dividendi come ritorno degli investimenti iniziali. Quindi gli eventuali conflitti tra familiari, dovuti o meno dalla successione, vanno seguiti con molta attenzione poiché potrebbero passare in primo piano rispetto alla gestione e al buon funzionamento dell‟azienda.

Riprendendo, ancora, quanto detto in precedenza riguardo il concetto di “altruism”, anche qui ci sono da considerare diversi elementi negativi che fanno parte di questo concetto, dovuti il più delle volte ad un applicazione sbagliata e distorta del concetto stesso. Soprattutto all‟interno di un‟azienda familiare, la disponibilità di alcuni familiari (che solitamente sono i genitori) può avere effetti negativi a causa dei comportamenti opportunistici di altri membri della famiglia (tipicamente i figli), comportamenti che possono sfociare in due fenomeni:

 Il free riding, ovvero il demandare ad altri le mansioni più dure, con la certezza

che saranno comunque svolte;

 Lo shirking, cioè il nullafacente della famiglia, che spende i soldi in spese inutili

e non ricopre alcun ruolo attivo nell‟azienda di famiglia.

Infine, non è da trascurare il fatto che generalmente il patrimonio di un‟impresa familiare resti all‟interno di essa, quindi è difficile avere la possibilità di diversificare, poiché ciò comporterebbe del rischio e di conseguenza si dovrebbero fronteggiare dei costi per gestirlo. La diversificazione del portafoglio in questo modo viene meno, andando anche incontro al rischio di rifiutare progetti di investimento interessanti e convenienti.

1.4 LA RELAZIONE FAMIGLIA-IMPRESA

Come già evidenziato in precedenza, una caratteristica propria delle aziende familiari è la convivenza tra la famiglia e l‟impresa, due elementi diversi ma fra loro molto interconessi. Sono proprio le differenze tra questi due “mondi” a dare vita ad un

trade-off10 che va correttamente seguito per evitare tensioni familiari che si riversino sulla

(28)

gestione dell‟impresa. La famiglia può condizionare, nel bene o nel male, l‟andamento aziendale perché se da un lato può rappresentare una risorsa “unica”, dall‟altro può costituire un ostacolo alla crescita e allo sviluppo della stessa impresa. Un contributo

importante sotto questo aspetto è stato fornito dagli autori Tagiuri e Davis11, che hanno

ideato il cd. “three circle model” (o modello dei tre cerchi) in cui viene rappresentato il sistema del family business attraverso la sua scomposizione in tre sistemi minori: la famiglia, il business (cioè l‟impresa) e la proprietà. Questo modello, quindi, espone graficamente la connessione tra i tre sistemi e, di conseguenza, i diversi interessi coinvolti.

Figura 3: Three circle model

Fonte: Tagiuri, Davis (1982)

Si andranno ora ad analizzare i tre principali sottosistemi (1,2,3), per poi scendere nel dettaglio di tutte le possibili intersezioni (4,5,6,7), fino ad individuare le sette aree presenti. Sono proprio le relazioni tra i tre sottoinsiemi che permettono di individuare le diverse realtà presenti nel campo delle aziende familiari.

11 J. A. Davis, R. Tagiuri, “Bivalent Attributes of the Family Firm”, 1982. Ristampa in Family Business Review, Volume IX, No. 2, 1996, pagg. 199-208.

Business

3

2

Famiglia

6

1

Proprietà

5

4

7

(29)

1) La proprietà: in questo sottoinsieme vengono ricompresi tutti quei soggetti che si aspettano una remunerazione a seguito del loro investimento in azienda; in pratica sono tutti quelli che detengono quote di capitale dell‟azienda non essendo né familiari né lavoratori. Essendo quindi interessati al ritorno degli investimenti, questi soggetti si aspettano che le dinamiche familiari restino estranee alla condotta del business;

2) La famiglia: rappresenta il gruppo di persone che vedono l‟azienda come fonte di benessere finanziario e di prestigio personale; ogni membro della famiglia può non essere coinvolto nella proprietà o nel management, ma contribuisce comunque con gli investimenti realizzati;

3) Il business: è il sottosistema costituito da quegli individui che non sono né proprietari né familiari, ma sono dei portatori di interessiorientati principalmente verso la propria crescita professionale ed economica, quindi verso le prospettive

di carriera e lo sviluppo dell‟azienda12.

4) Intersezione tra proprietà e famiglia:all‟interno di quest‟area si trovano i familiari che possiedono una quota del capitale che, però, non lavorano in azienda. Gli interessi di questi familiari sono vicini a quelli di un qualsiasi investitore esterno, con la differenza che per i primi vi è anche un senso di appartenenza e un interesse all‟espansione aziendale, mentre per i secondi vi è solo l‟interesse del ritorno dell‟investimento;

5) Intersezione tra proprietà e business: è l‟area in cui si trovano quei soggetti non appartenenti alla famiglia che però sono titolari di quote di partecipazione. Anche se le quote sono possedute da soggetti esterni, sono di modesta grandezza poiché l‟influenza familiare, in questo caso soprattutto, rimane molto forte; 6) Intersezione tra famiglia e business: quest‟area ricomprende i familiari che, pur

non essendo proprietari di quote di partecipazione, hanno degli importanti ruoli di responsabilità. In questi soggetti si ravvisa un duplice interesse perché da un lato ambiscono a prospettive di carriera personali, dall‟altro cercano nuove strade per lo sviluppo dell‟azienda;

7) Intersezione tra famiglia, proprietà e business: rappresenta l‟area centrale, il “cuore” del modello, in cui si convogliano tutti quei soggetti che appartengono alla cerchia familiare, che possiedono quote di proprietà e che svolgono anche le

(30)

funzioni manageriali. In sostanza sono dei soggetti che nutrono, contemporaneamente, interesse per tutte le tematiche viste prima.

Questo modello, sostanzialmente, permette di capire il perché l‟azienda familiare e la sua struttura possano essere fonte di conflitti tra gli attori coinvolti in azienda; infatti il più delle volte tali conflitti sono dovuti alla coincidenza di ruoli in una stessa persona. Inoltre grazie al three circle model è possibile conoscere i diversi interessi all‟interno dell‟azienda, nonché individuarne i punti di intersezione e divergenza.

Come già esposto in precedenza, e ribadito più volte, ogni azienda familiare ha delle proprie caratteristiche che la distinguono e la rendono unica, sia per le risorse possedute e sia per la convivenza della logica familiare con quella aziendale. Il rischio più grande è che la logica familiare prenda il sopravvento rispetto a quella aziendale, conducendo l‟azienda a seguire decisioni dettate dal coinvolgimento persone piuttosto che seguire un criterio di razionalità economica. Anche se la famiglia può influenzare positivamente la gestione aziendale, è comunque necessario gestire il rapporto famiglia-impresa alla luce dei possibili sviluppi. A tal proposito il sistema di corporate governance, cioè il meccanismo e le regole con cui un‟impresa prende le proprie decisioni, garantisce lo sviluppo e la continuità aziendale. In particolare, è possibile che la corporate governance possa essere inserita nel three circle model come elemento sovraordinato rispetto al business, cercando di portare ordine alla realtà aziendale la quale, con il

passare degli anni, aumenta sempre più la propria complessità13.

13 L. Del Bene, N. Lattanzi, Aziende familiari e longevità economica. Modalità di analisi e strumenti operativi,IPSOA, 2012, p.41

(31)

Figura 4: il three circle model e la governance

Fonte: Baumol (2005)

In sostanza, la corporate governance, attraverso il potere di fare ordine tra le scelte di governo e la separazione tra proprietà e management, avrebbe il compito di rendere più agevole il passaggio generazionale diminuendo le possibili conflittualità.

1.5 I PROCESSI DECISIONALI

Le decisioni che vengono prese giornalmente in azienda, insieme ad altri elementi, portano al successo l‟‟organizzazione stessa. Il momento decisionale appartiene al management, in quanto ogni decisione è presa con la finalità di raggiungere sempre il miglior risultato, in modo tale da eccellere e dare l‟esempio. All‟interno di un‟organizzazione la decisione potrebbe spettare ad un singolo soggetto come ad un gruppo; naturalmente le decisioni di gruppo, come si vedrà in seguito, tendono ad essere quelle con meno margini di errore per via del coinvolgimento di diversi punti di vista. All‟interno di una decisione, dunque, si trovano tre elementi fondamentali:

1. La valutazione di tutte le conseguenze che una decisone comporta; 2. Il fronteggiamento di situazioni di incertezza;

3. L‟integrazione di diversi punti di vista, quindi l‟introduzione del gruppo.

Business

Famiglia

Governance

(32)

Il decidere va ad intersecarsi con molti altri aspetti del comportamento organizzativo, difatti molti studiosi accomunano il decison making al problem solving, mentre altri sostengono che il decison making una una fase del problem solving, in quanto la soluzione di un problema prevede una presa di decisione; ma non è detto che valga anche il contrario. Per risolvere questo conflitto è necessario dare una definizione di decisione: “consiste nell‟atto di scegliere un particolare corso d‟azione tra tutti quelli possibili precedentemente individuati”; cioè tra tutte le alternative che si presentano, il decion making farà in modo di selezionare quella più adeguata alla situazione.

1.5.1 Una possibile classificazione delle decisioni aziendali

Simon, tra gli anni ‟50 e gli anni ‟60, propone una classificazione delle decisioni aziendali, basata sul grado di prevedibilità o incertezza dei compiti:

- decisioni programmabili (decisioni non decisioni) si conosce bene il problema per cui si dovrà prendere una decisone, quindi lo si analizza per poter arrivare alla scelta migliore. Essendoci tali presupposti è possibile che le decisioni possano essere prese da sistemi automatizzati piuttosto che da persone, in quanto se ne conoscono tutte le variabili;

- decisioni poco programmabili a supporto della decisione possono essere costruite delle relazioni causa-effetto di tipo quantitativo, particolarmente utili nella formulazione e nella valutazione delle alternative di scelta. In questo caso il manager rimane l‟unico responsabile della scelta finale;

- decisioni non programmabili sono le più complicate in quanto vi sono da considerare numerose variabili tra loro collegate da relazioni poco note. La forte incertezza riguarda sia gli input necessari, sia le conseguenze di ogni alternativa decisionale.

Le decisioni poco programmabili e le non programmabili sono particolarmente interessanti, in quanto hanno una grande importanza per il risultato del processo decisionale, data da diversi elementi: l‟identità del decisore, la raccolta dell‟insieme delle informazioni, la gestione del processo decisionale.

(33)

1.5.2 Le fasi del decision making

Alla base di ogni processo decisionale vi è sempre una fase di ricerca e di analisi dell‟ambiente circostante. Dietro ad un qualsiasi tipo di decisione vi è un complesso e articolato processo costituito da diverse fasi, ognuna con un suo obiettivo; non è quindi frutto di una singola azione.

Una prima fase del processo decisionale può essere dunque riconosciuta nella ricerca e nella verifica delle informazioni (interne ed esterne all‟organizzazione) utili a supportare le decisioni stesse. Nonostante si tratti di un processo routinizzato da parte dei decisori, quindi non si presta la dovuta attenzione ad eventuali problematiche, è molto importante in quanto basta solo qualche errore iniziale di valutazione per viziare l‟intero processo decisionale ancor prima di essere avviato.

Di seguito di esplicitano i modelli decisionali secondo Simon (1960) e Mintzberg (1976) e Keen (1980). Quello di Simon è il modello “tradizionale”, mentre con

Mintzberg e Keen si parla di modello decisionale allargato14:

A. IL MODELLO DEL PROCESSO DECISIONALE DI H. SIMON

Il primo modello analizzato è quello “tradizionale” di H. Simon (1960), il più conosciuto, che si sviluppa nelle seguenti fasi:

 Fase 1: "Intelligence"  consiste nell‟individuazione dei problemi che necessitano di una decisione e nella determinazione di tutte le informazioni ritenute utili per prendere una decisione al riguardo.

 Fase 2: "Design"  consiste nell‟identificazione delle possibili linee d'azione alternative che possono correggere la situazione che ha generato il problema.  Fase 3: "Choice"  consiste nella scelta fra le alternative già formulate e già

analizzate nelle loro possibili conseguenze.

 Fase 4: "Implementation/Review"  consiste nell‟attuazione delle decisioni prese e successivamente nel controllo delle conseguenze e dei risultati effettivi di quelle scelte. Quest'ultima fase può innescare un nuovo processo decisionale, nel caso in cui le conseguenze e i risultati non corrispondano alle aspettative o non siano ritenute soddisfacenti.

La fase della "Implementation", cioè l'attuazione delle decisioni prese, non sempre viene considerata parte del processo decisionale. Simon stesso considera questa fase

14

(34)

come un‟ulteriore decisione a sé stante, nella quale possono intervenire fattori politici o di opportunità che impongono ai manager di prospettare e scegliere un'ulteriore azione alternativa (ritorno alla fase di "design"). Nonostante il modello di Simon costituisca il punto di riferimento di numerosi studi successivi sul processo decisionale e sulle sue relazioni con i sistemi di Business Intelligence, esso semplifica eccessivamente il processo decisionale e trascura alcuni aspetti cruciali (come ad esempio quelli di negoziazione e di apprendimento) che verranno, al contrario evidenziati nel modello successivo.

B. IL MODELLO DECISIONALE ALLARGATO (H. MINTZBERG, P. KEEN) Il modello di Simon non mostra eccessiva attenzione agli aspetti organizzativi di cooperazione, di negoziazione e di conflitto che diventano rilevanti quando una decisione scaturisce dall'interazione di più decisori con obiettivi diversi. Egli non riconosce inoltre l'importanza dei meccanismi di accrescimento della conoscenza, o di apprendimento, come momenti distinti nel processo decisionale.

Dai lavori di Mintzberg (1976) e di Keen (1980), che sviluppano e integrano diversi contributi precedenti, è possibile derivare un modello decisionale più articolato, in cui si tiene nella dovuta considerazione sia l'aspetto di negoziazione, sia di apprendimento. La sintesi di questi contributi converge nel cosiddetto "Modello decisionale allargato", costituito dalle seguenti fasi:

 Fase 1: "Problem recognition"  è la fase iniziale che innesca il processo decisionale con la identificazione e la rilevazione di un problema che richiede un intervento; e situazioni che possono generare un problema aziendale sul quale dover decidere, possono essere molteplici: prestazioni inadeguate, situazioni fuori norma, obiettivi non più rispondenti al nuovo contesto creatisi e così via.  Fase 2: "Problem Setting"  consiste nella corretta formulazione del problema

tramite l'identificazione e l'impostazione delle variabili rilevanti e significative del problema, onde evitare di ragionare e di intervenire su aspetti ingannevoli o falsi.

 Fase 3: "Knowledge Inventory"  è una fase complessa nella quale il decisore ricerca le soluzioni possibili, già pronte o adattabili, nella sua esperienza o in quella aziendale, per semplificare e velocizzare la fase di formulazione delle alternative.

(35)

 Fase 4: "Generation of Alternatives"  strettamente connessa alla fase precedente, in questo stadio il decisore impiega le sue capacità creative e intuitive per formulare alternative di soluzione originali e opportune.

 Fase 5: "Communication/Negotiation"  questa fase può essere considerata come momento propedeutico alla presa della decisione finale nella quale tutti gli eventuali soggetti coinvolti direttamente o indirettamente nella decisione intervengono nel processo, comunicano e negoziano le alternative migliori dal loro punto di vista soggettivo. Di fatto in questa fase avviene una "scrematura" delle possibili linee d'azione alternative, al fine di far convergere tutti gli interessi conflittuali che insistono sulla decisione finale.

 Fase 6: "Evaluation and Choice"  le alternative di azione emerse nella fase precedente vengono valutate nei loro possibili risultati attesi, o probabili, e quella con il ritorno più soddisfacente viene scelta.

 Fase 7: "Implementation"  consiste nell‟attuazione pratica della decisione presa, considerando anche tutti gli aspetti di fattibilità concreta.

 Fase 8: "Monitor Results"  è la fase di controllo dei risultati effettivi derivanti dall‟attuazione della decisione scelta.

 Fase 9: "Learning"  la corrispondenza o meno dei risultati effettivi a quelli attesi o desiderati costituisce un input informativo prezioso per l'apprendimento individuale e organizzativo, in termini di accrescimento dell'esperienza e della "Knowledge Inventory" aziendale.

Spesso le ultime due fasi portano all'osservazione che se una situazione fuori norma, o non desiderata, persiste, questo può innescare un nuovo processo decisionale, riportando alla fase iniziale della "Problem recognition".

1.5.3 Decision making e family business

Quando il processo decisionale coinvolge una sola persona è possibile che il risultato finale sia troppo condizionato dalle aspettative e dalle convinzioni personali, giungendo così ad una decisione finale di scarsa qualità. Quando invece nel processo decisionale è coinvolto un gruppo (come la famiglia), la qualità del risultato aumenta perché vengono presi in considerazione punti di vista diversi, e anche le informazioni che vengono portate sul tavolo decisionale sono variegate. Con le decisioni di gruppo si cerca di

Riferimenti

Documenti correlati

I protocolli per la condivisione dei file possono anche essere utilizzati come protocolli per il trasferimento dei file, ma principalmente consentono di usare un file come se

Se lo stato delle finanze non è negativo, il modello può essere applicato senza problemi, tenuto dunque conto che in presenza di eventi incontrollabili o

Nello specifico, “proteggono” altre proteine presenti nel corpo nelle condizioni di stress-attività fisica, stress chimico, esposizioni a prodotti chimici e farmaci tossici.. Le

• Le fasce elettrosaldabili trasmettono lo sforzo assiale del tubo generato nel punto fisso.. • I supporti tengono le fasce aderenti al tubo durante le operazioni

Per il Garante in attesa di un intervento del legislatore nazionale che valuti se porre la vaccinazione anti Covid-19 come requisito per lo svolgimento di determinate

Oggetto: rilascio servizi online per l’estensione della copertura assicurativa a carico del Fondo di cui all’art.1, comma 312, legge 208/2015 ai soggetti impegnati in lavori

Le diverse strutture sono state collocate, così come realizzato dagli epidemiologi dell’Agenas, in tre fasce: quella blu, i cui dati aggiustati (ossia quei dati per i quali sono

Le diverse strutture sono state collocate, così come realizzato dagli epidemiologi dell’Agenas, in tre fasce: quella blu, i cui dati aggiustati (ossia quei dati per i quali sono