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Influenza delle variabili ecologiche sul comportamento spaziale e sui ritmi di attività del cinghiale in ambiente appenninico

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA Dipartimento di Biologia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN CONSERVAZIONE ED

EVOLUZIONE

Influenza delle variabili ecologiche sui ritmi di

attività e sul comportamento spaziale del

cinghiale in ambiente appenninico.

Laureando: Rudy Brogi

Relatore interno: Dott. Dimitri Giunchi

Relatore esterno: Prof. Marco Apollonio

Correlatore: Dott.ssa Francesca Brivio

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RIASSUNTO

Il cinghiale (Sus scrofa L.) è un mammifero ungulato, appartenente all'ordine dei Cetartiodattili e alla famiglia dei Suidi. A causa di cambiamenti ambientali e della manipolazione da parte dell'uomo, si è assistito negli ultimi decenni ad un notevole incremento nella consistenza delle popolazioni italiane ed europee di cinghiale. Questo fenomeno ha causato l'insorgenza di molti problemi, riguardanti sia attività umane sia aspetti conservazionistici. Incrementare le attuali conoscenze sulla biologia e sull'ecologia di questa specie è dunque necessario per definire piani di gestione delle popolazioni più efficienti. In questa tesi sono stati affrontati due aspetti dell'ecologia comportamentale del cinghiale, quali dimensioni degli home range e ritmi di attività. I dati sono stati raccolti su un totale di 9 cinghiali a cui è stato applicato un collare Vectronic GPS Plus. Questo dispositivo ha permesso la registrazione di dati di posizione e di attività a intervalli di tempo relativamente brevi. Le localizzazioni sono state definite tramite sistema GPS e distanziate da un intervallo temporale di 2 ore, per un totale di 12 posizioni GPS giornaliere per ogni individuo. Il collare registrava un valore di intensità dell'attività ogni 4 minuti.

Per il calcolo delle dimensioni degli home range mensili e stagionali sono stati utilizzati due metodi di analisi: il Minimum Convex Polygon (MCP) e il Local Convex Hull (LoCoH). Le elevate precisione e risoluzione temporale dei dati di posizione permesse dalla tecnologia GPS, unite ad un metodo di analisi innovativo (LoCoH), hanno fornito un'accurata stima delle estensioni degli home range. Tali dimensioni sono risultate eterogenee a livello inter-individuale, evidenziando il ruolo di abitudini ed altri fattori individuali nel modellare il comportamento spaziale del cinghiale.

I ritmi di attività sono definiti come oscillazioni temporali dell'attività di un individuo.

Per valutare l'effetto di una serie di variabili ecologiche, quali temperatura, precipitazioni atmosferiche, umidità, intensità luminosa lunare e stagione dell'anno, sull'attività diurna e notturna del cinghiale, queste ultime sono state inserite come variabili dipendenti in due set di modelli additivi generalizzati (GAMs). Al trascorrere dei giorni dell'anno, l'attività diurna e notturna ha subito importanti variazioni, riconducibili principalmente al numero di ore di buio disponibili e allo stato riproduttivo degli individui. I cinghiali si sono mostrati molto sensibili alle variabili meteorologiche,

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incrementando l'attività in corrispondenza dei giorni molto umidi e piovosi e dei momenti della giornata con temperature meno estreme. Inoltre, è stata osservata una più debole relazione positiva tra l'attività media notturna e l'intensità luminosa lunare. L'ecologia comportamentale del cinghiale è risultata essere fortemente influenzata dalle variabili testate, rimarcando la notevole plasticità ecologica della specie e la necessità di avere informazioni dettagliate per le popolazioni interessate ad attività gestionali.

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Indice

1. INTRODUZIONE...

1

2. BIOLOGIA DELLA SPECIE...

...

...

8

2.1 – Sistematica...

...

...

....

...

....

...8

2.2 - Areale di Sus scrofa...10

2.3 - Status delle popolazioni italiane...

....

...11

2.4 – Morfologia...12

2.5 - Comportamento alimentare...

...

...14

2.6 - Comportamento sociale e riproduttivo...15

2.7 - Dinamica di popolazione...

....

...16

2.8 - Impatto sulle biocenosi...18

3. AREA DI STUDIO

...19

4. MATERIALI E METODI...

...20

4.1 - Metodi di cattura...

....

...

...

...

....

...20

4.2 - Raccolta dati comportamentali...

...

...22

4.3 - Dati astronomici e meteorologici...24

4.4 - Analisi dei dati...25

 Calcolo delle dimensioni degli home range.........

.

...25

 Analisi dei dati di attività...

...

....27

5. RISULTATI

...

..

...30

5.1 - Home range mensili e stagionali......30

5.2 - Ritmi di attività...33

6. DISCUSSIONI...

...39

7. CONCLUSIONI...

...44

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1. INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni le popolazioni italiane ed europee di cinghiali (Sus scrofa) hanno subito un rapido incremento numerico, dovuto principalmente alla manipolazione da parte dell'uomo e ai cambiamenti ambientali (Apollonio et al., 2010). Sono stati eseguiti infatti numerosi ripopolamenti e reintroduzioni allo scopo di incrementare le popolazioni oggetto di caccia sportiva, spesso alimentate con foraggiamenti artificiali. Il cambiamento ambientale più importante è stato causato dall'abbandono delle aree rurali da parte delle popolazioni umane, con conseguente aumento delle aree adatte alla presenza del cinghiale. Inoltre, la presenza di una correlazione positiva tra la crescita delle popolazioni europee e la temperatura invernale degli ultimi 60 anni indicherebbe un ruolo tutt'altro che marginale dei cambiamenti climatici in atto, probabilmente dovuto alla minore mortalità giovanile dovuta alle basse temperature e ad una maggiore disponibilità di risorse trofiche (Vetter et al., 2015). La plasticità riproduttiva e l'elevata adattabilità trofica ed ecologica tipiche della specie hanno poi dato un ulteriore contributo, facendone espandere geograficamente le popolazioni, che possono raggiungere localmente alti livelli di densità (Monaco et al., 2003).

Tale proliferazione è stata ed è causa di molti problemi, riguardanti sia le attività umane sia la conservazione di importanti biocenosi. Infatti, all'incremento delle popolazioni di cinghiali si è accompagnato un aumento dei danni causati a diversi tipi di colture agricole, del rischio di trasmissione di zoonosi per gli animali di allevamento e della frequenza di incidenti stradali causati dai selvatici (Bertolotto, 2010). Inoltre, l'impatto negativo che il cinghiale può avere sugli ecosistemi è tangibile sia dove questo è stato introdotto sia in aree in cui è autoctono, ma presente con alte densità (Genov & Massei, 2004). Incrementare le conoscenze sulla biologia ed ecologia del cinghiale è un punto cruciale per definire misure gestionali più efficienti volte a mitigare i contrasti sociali e a ridurre l'impatto che questa specie può avere sull'ambiente. Ad esempio, risulterebbe di grande utilità acquisire più informazioni su come gli individui si spostano e in relazione a quali fattori ambientali. Lo studio del comportamento spaziale permette di raccogliere tali informazioni, mirando a comprendere e prevedere la presenza e gli spostamenti degli animali nello spazio. Dato che molti animali tendono ad usare la stessa area ripetutamente nel tempo, i loro spostamenti in natura sono spesso studiati

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utilizzando il concetto di home range, definito come “l'area attraversata da un animale durante le sue normali attività di ricerca del cibo, accoppiamento e cura dei piccoli” (Burt, 1943). La scala temporale cui si fa riferimento per misurarlo risulta fondamentale, determinando la distinzione di home range giornalieri, mensili, stagionali e annuali.

Similmente, una corretta gestione del cinghiale necessiterebbe un ampliamento delle attuali conoscenze riguardo alla distribuzione temporale delle sue attività, siano queste dedite a soddisfare necessità alimentari, riproduttive o di altro tipo. Questo obiettivo può essere raggiunto anche attraverso lo studio dei ritmi di attività, in particolare focalizzando l'attenzione su quali fattori ambientali possano influirvi. In considerazione del fatto che gli organismi vivono in ambienti “ciclici”, infatti, i loro processi biologici esibiscono periodiche variazioni per adattarsi alle variazioni ambientali. Sulla base della durata del loro periodo, i ritmi biologici possono essere distinti in circannuali (ritmicità annuale), circadiani (ritmicità giornaliera), circatidali (ritmicità legata al ciclo delle maree) o circalunari (ritmicità legata alla fase lunare). Esistono poi ritmi il cui periodo non ha un equivalente esterno, ovvero i ritmi infradiani (periodo superiore alle 24 ore) e ultradiani (periodo inferiore alle 24 ore) (Krop-Benesch et al., 2011). Il ritmo ambientale più evidente e determinante per il mondo biologico è comunque rappresentato dal ciclo solare, causa di cambiamenti periodici e predicibili nelle condizioni di luce e temperatura. La sequenza notte – giorno è infatti il più diffuso Zeitgeber (stimolo ambientale esterno cui è affidata la sincronizzazione dell'orologio interno, Dibner et al., 2010) dominante per la maggior parte delle specie terrestri. La presenza di un ritmo circadiano interno permette agli animali di anticipare i cambiamenti ambientali giornalieri, adattandovi efficacemente i propri processi fisiologici e comportamentali (Dibner et al., 2010; Heurich et al., 2014). Il pattern di attività giornaliera più semplice si ritrova in specie cosiddette “monofasiche”, cioè con un solo periodo di attività al giorno (sebbene l'intensità dell'attività possa comunque variare all'interno di questo periodo, che può anche essere inframezzato da brevi intervalli di inattività). Più in particolare, le specie monofasiche vengono comunemente classificate in diurne (attive nelle ore di luce) e notturne (attive nelle ore di buio). Molto comune tra le specie animali è anche il pattern bifasico di attività giornaliera, che consiste nella presenza di due picchi di attività nelle 24 ore. È tipico delle specie

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crepuscolari, attive soprattutto in corrispondenza di alba e tramonto. Esistono infine specie con vari periodi di attività distribuiti in tutte le 24 ore (Krop-Benesch et al., 2011).

Da studi effettuati su diverse specie di ungulati emerge che le variabili ecologiche svolgono un ruolo fondamentale nel determinare il comportamento spaziale e i ritmi di attività degli individui.

In particolare, l'ecologia comportamentale degli ungulati sembra risentire dell'influenza di variabili ambientali come: durata delle ore di luce, temperatura, precipitazioni, copertura nevosa e rischio di predazione (Mysterud, 1997; Krasińska, 2000; Berger et al, 2002; Grignolio et al., 2004; Van Oort et al., 2005; Kamler et al., 2007; Keuling et al., 2008b; Rivrud et al., 2010; Signer et al., 2011; Pagon et al., 2013) . Queste sembrano poter agire sia in modo diretto (ad esempio facilitando o limitando gli spostamenti degli individui, oppure influendo sul loro fabbisogno energetico) sia in modo indiretto (inducendo variazioni sulla disponibilità delle risorse). Gli effetti diretti sono visibili su piccola scala temporale (giornaliera o settimanale) mentre quelli indiretti sono osservabili solo su scala mensile o stagionale (Rivrud et al., 2010). Un fattore strettamente legato alla stagione dell'anno che può avere un effetto sui ritmi di attività e il comportamento spaziale è la temperatura ambientale. In periodi molto caldi o molto freddi gli animali tendono infatti a concentrare le proprie attività nelle fasce orarie con temperature meno estreme, riducendo ad esempio l'attività diurna in estate in favore di quella notturna (Berger et al., 2002; Pagon et al., 2013). Similmente, durante i periodi freddi diverse specie di ungulati sembrano limitare l'attività nei momenti della giornata in cui le temperature sono più basse, riducendo così il dispendio energetico dovuto alla perdita di calore corporeo (Cervus elaphus: Kamler et al., 2007; Capra ibex: Signer et al., 2011; Capreolus capreolus: Pagon et al., 2013). La temperatura sembra influenzare il comportamento spaziale degli ungulati in modo del tutto analogo: da studi condotti sul cervo (Cervus elaphus) Rivrud et al. (2010) hanno osservato come le dimensioni degli home range fossero correlate positivamente con le temperature nei mesi invernali e negativamente nei mesi estivi. Questo fenomeno era osservabile a tutte le scale temporali considerate, inclusa quella giornaliera. Inoltre, le basse temperature della stagione invernale possono determinare ad esempio uno spostamento degli individui ad altitudini minori (Capreolus capreolus: Mysterud, 1997), mentre le più alte

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temperature estive possono far sì che gli individui prediligano ambienti posizionati ad una maggiore altitudine (Capra ibex: Grignolio et al., 2004; Aublet et al., 2009). La copertura nevosa sembra limitare gli spostamenti di molte specie di ungulati, ostacolandone i movimenti e rendendoli più costosi in termini energetici (Bison bonasus: Krasińska, 2000; Capra ibex: Grignolio et al., 2004; Cervus elaphus: Rivrud et al., 2010). Le precipitazioni non nevose sembrano aumentare la perdita di calore corporeo, soprattutto in corrispondenza di basse temperature, con conseguenze sull'entità degli spostamenti degli individui (Parker, 1988; Rivrud et al., 2010). Le specie preda possono inoltre modificare i propri ritmi di attività per minimizzare il rischio di predazione, ad esempio riducendo l'attività e dunque l'esposizione ai predatori nei momenti della giornata in cui questi sono più efficienti. In questo senso, l'attività notturna può essere considerata come una forma primitiva di comportamento antipredatorio, sviluppata dai primi mammiferi del Mesozoico (Gerkema et al., 2013; Heurich et al., 2014). D'altro canto, Theuerkauf et al. (2003) sostengono che le condizioni di tenue luminosità (come l'alba, il tramonto o le notti con forte irraggiamento lunare) permettano la massima efficienza predatoria del lupo (Canis lupus). Pertanto, potremmo attenderci che le sue prede abituali manifestino livelli minimi di attività in queste condizioni, sebbene quest'ipotesi non sia stata confermata dai risultati ottenuti sul capriolo (Capreoulus capreolus) da Pagon et al. (2013). Un'influenza significativa della luce lunare è stata osservata invece da Brown et al. (2011) sull'uso dell'habitat del cervo coda bianca (Odocoileus virginianus), che sembra aumentare l'uso di prati e spazi aperti in corrispondenza delle notti molto illuminate, probabilmente per bilanciare la vulnerabilità data dall'aumento di visibilità, dato che in questi ambienti è più facile avvertire la presenza dei predatori. Sellers & Perry (2014) hanno riscontrato un aumento dell'attività notturna di cervi wapiti (Cervus elaphus canadensis) e cervi coda bianca in risposta alla maggiore luminosità lunare, forse perché questa permetteva una maggiore capacità antipredatoria e di reperimento del cibo.

Anche il disturbo antropico sembra poter avere un effetto sui ritmi di attività delle specie animali. Un tipico meccanismo di difesa riscontrato in diverse specie diurne consiste ad esempio nello spostare l'attività, almeno in parte, nelle ore notturne, in modo da minimizzare le occasioni di incontro con l'uomo (Berger et al., 2002; Keuling et al.,

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2008a).

La complessa ecologia trofica del cinghiale, la varietà di ambienti utilizzabili, le numerose interazioni interspecifiche che intrattiene con le altre componenti delle biocenosi e la sua peculiare biologia riproduttiva rendono lo studio e l'interpretazione del comportamento spaziale di questa specie particolarmente complessi. Dalla letteratura disponibile, l'estensione media degli home range annuali nel cinghiale risulta compresa tra 870 e 1750 ha nei maschi e tra 455 e 2400 ha nelle femmine. Per quanto riguarda invece gli home range stagionali sono stati calcolati valori compresi tra 238 e 625 ha nei maschi e tra 245 e 1225 ha nelle femmine (Boitani et al., 1994; Massei et al., 1997; Baubet, 1998; Keuling et al., 2008a). I fattori più frequentemente considerati nell'analisi del comportamento spaziale del cinghiale sono: stagione dell'anno, abbondanza e disponibilità delle risorse, disturbo antropico, densità di popolazione, stato riproduttivo e caratteristiche individuali (Boitani et al., 1994; Massei et al., 1997; Russo et al., 1997; Keuling et al., 2008b; Keuling et al., 2009; Scillitani et al., 2010; Bertolotto, 2010). Tuttavia, raramente è stata valutata l'influenza delle variabili meteorologiche su piccola scala temporale, cioè giornaliera o inferiore (Thurfjell et al., 2014).

Gli spostamenti dei cinghiali possono subire variazioni stagionali relazionate alla disponibilità e distribuzione delle risorse (Boitani et al., 1994; Baubet, 1998; Keuling et al., 2009). Su questi fattori agiscono principalmente i diversi profili climatici riscontrabili nelle diverse stagioni. Le condizioni meteorologiche possono tuttavia influenzare la disponibilità delle risorse trofiche anche nel breve termine, ad esempio su scala giornaliera. Quando la temperatura è molto bassa e i suoli sono ghiacciati, il cibo (soprattutto ipogeo) è difficile da reperire e i cinghiali tendono a limitare al minimo gli spostamenti, evitando di disperdere energie inutilmente (Keuling et al., 2008b). Al contrario, l'elevata umidità dei suoli a seguito di precipitazioni piovose permette la massima efficienza delle attività di scavo e ricerca del cibo, oltre a garantire una maggiore abbondanza di invertebrati ipogei (Thurfjell et al., 2014). Inoltre, l'umidità del terreno e dell'aria aumenta la sensibilità dell'olfatto, cui i cinghiali sembrano affidarsi non solo per la ricerca del cibo, ma anche per avvertire la presenza dei predatori e per l'orientamento (Morelle et al., 2015). Si suppone che il fabbisogno energetico degli

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animali endotermi aumenti al diminuire della temperatura ambientale (Thurfjell et al., 2014). In questo contesto, le precipitazioni possono accentuare l'effetto delle basse temperature. I cinghiali sembrano poter rispondere ai periodi freddi con due strategie alternative:

i) aumentando la ricerca del cibo e dunque la durata e l'entità degli spostamenti, cercando di bilanciare il maggiore dispendio metabolico con un maggiore apporto di calorie (Lemel et al., 2003);

ii) limitando al minimo gli spostamenti affidandosi alle proprie riserve lipidiche, evitando dunque di disperdere ulteriori energie (Thurfjell et al., 2014).

La mancanza di un efficace sistema di termoregolazione sembra costituire un vincolo fisiologico in grado di limitare l'attività del cinghiale durante le ore più calde nella stagione estiva, facendogli preferire il riposo in zone fresche e umide (Morelle et al., 2015). In un'area di studio nel Sud della Svezia, Thurfjell et al. (2014) non hanno riscontrato una riduzione degli spostamenti nei giorni con temperature più alte, sebbene sia possibile supporre che una simile risposta sarebbe maggiormente visibile in regioni con una stagione estiva calda e secca, come quelle dell'Europa Meridionale e Occidentale.

Le evidenze disponibili riguardo all'influenza delle variabili ambientali sui ritmi di attività del cinghiale risultano scarse e frammentate, perché provenienti da studi non recenti (Kurz & Marchinton, 1972; Blasetti et al., 1988), basati su metodi di misurazione indiretti o puramente quantitativi (Boitani et al., 1994; Cousse et al., 1995; Russo et al., 1997; Keuling et al., 2008a), condotti su individui in cattività (Blasetti et al., 1988) o rinselvatichiti (Kurz & Marchinton, 1972). Inoltre, quasi mai è stata considerata una scala temporale giornaliera o inferiore.

Alcuni autori sostengono che il cinghiale sia un animale “naturalmente” diurno, che può però assumere abitudini notturne in risposta al disturbo antropico (Russo et al., 1997; Keuling et al., 2008a). Nella maggior parte dei casi, il cinghiale è risultato avere un'attività prevalentemente notturna, seppure con una certa variabilità tra le diverse aree di studio (Sludskii, 1956; Boitani et al., 1994; Russo et al., 1997; Keuling et al., 2008a). Dallo studio di Boitani et al. (1994) non sono emerse differenze tra i pattern di attività registrati in stagioni diverse, mentre Keuling et al. (2008a) hanno riscontrato un

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importante aumento dei livelli di attività, sia notturna sia diurna nei mesi estivi, attribuito dagli stessi autori all'aumento del fabbisogno alimentare delle femmine, occupate nell'allattamento e nelle altre cure parentali dei nuovi nati. Di contro, in inverno i suoli gelati limitavano le attività di scavo e ricerca del cibo, facendo sì che fosse più conveniente riposare e limitare il dispendio energetico, affidandosi alle riserve lipidiche. Tuttavia, solo Blasetti et al. (1988) hanno valutato l'effetto della sola temperatura ambientale, riscontrando una correlazione positiva tra questa e l'attività, attraverso l'osservazione diretta di cinghiali in cattività.

L'effetto della fase lunare sui ritmi di attività di forme rinselvatichite di Sus scrofa è stato valutato da Kurz & Marchinton (1972) nel South Carolina, ottenendo livelli di attività nelle notti di luna piena significativamente maggiori di quelli ottenuti in condizioni di luna nuova. Tuttavia, i risultati ottenuti da questi autori sono difficilmente confrontabili con quelli ottenuti da studi condotti sul cinghiale europeo nel suo ambiente naturale e in presenza di un predatore, il lupo, la cui efficienza predatoria sembra correlata all'intensità luminosa lunare.

La variabilità dei risultati disponibili in letteratura rimarca la notevole plasticità comportamentale del cinghiale, rendendo difficile la creazione di modelli generali del suo comportamento spaziale e dei suoi ritmi di attività. Una corretta gestione di questa specie necessita dunque informazioni precise, ottenute dai diversi contesti ecologici in cui la si voglia applicare.

Il primo obiettivo di questa tesi è dunque lo studio del comportamento spaziale del cinghiale. Grazie ad una raccolta dati con elevata risoluzione spaziale e temporale sono state calcolate accuratamente le dimensioni degli home range su scala mensile e stagionale.

Il secondo obiettivo riguarda invece i ritmi di attività del cinghiale, argomento ad oggi scarsamente approfondito con raccolte dati intensive e protratte nel tempo. È stato valutato l'effetto di una serie di variabili ecologiche, quali temperatura, precipitazioni atmosferiche, umidità e irraggiamento lunare, sull'attività del cinghiale. Lo studio dell'influenza delle variabili meteorologiche citate vorrebbe fornire delle indicazioni sui possibili effetti del clima sul comportamento del cinghiale, con considerazioni sul cambiamento climatico in atto.

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2. BIOLOGIA DELLA SPECIE

2.1 Sistematica

Classe: Mammalia Ordine: Cetartiodactyla Famiglia: Suidae Genere: Sus

Specie: Sus scrofa L.

Il cinghiale è un mammifero ungulato, appartenente all'ordine dei Cetartiodattili. Il sottordine dei Suiformi rappresenta dal punto di vista anatomico il gruppo più primitivo dei Cetartiodattili, con stomaci semplici e monogastrici, dentatura bunodonte e sviluppo degli arti poco specializzato per l'andatura unguligrada. A questo sottordine appartengono 3 famiglie: Ippopotamidi (ippopotami), Tyassuidi (pecari) e Suidi (cinghiali). Record paleontologici posizionano l'origine dei primi Suiformi tra l'Eocene Medio e il Superiore, mentre i primi rappresentanti della famiglia dei Suidi sarebbero comparsi all'incirca 40 milioni di anni fa (Ma). In questo periodo, la loro distribuzione sembra sia stata limitata al Paleartico, così come la successiva radiazione in generi (Grzimek & Ladiges, 1974).

Il genere Sus si è originato tra 5.0 e 1.2 Ma nel Sud-Est Asiatico, e si è poi differenziato in diverse linee evolutive tra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore. Successivamente, si è diffuso in Asia e da questa in Europa e Nord Africa (Scandura et al., 2011).

Wilson & Reeder (2005) attribuiscono al genere Sus 10 specie:

Sus ahoenobarbus Huet, 1888 (il cinghiale di Palawan, endemico delle Filippine)

Sus barbatus Müller, 1838 (il cinghiale barbato, diffuso in Borneo e Indonesia)

Sus bucculentus Heude, 1892 (il cinghiale di Heude, originario del Vietnam e del

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Sus cebifrons Heude, 1888 (il cinghiale dalle verruche di Visayan, endemico di alcune isole delle Filippine)

Sus celebensis Müller & Schlegel, 1843 (il cinghiale di Sulawesi, originario dell'isola indonesiana di Sulawesi e isole vicine)

Sus oliveri Groves, 1997 (il cinghiale dalle verruche di Oliver, endemico dell'isola di Mindoro, nelle Filippine)

Sus philippensis Nehring, 1886 (il cinghiale dalle verruche delle Filippine)

Sus salvanius Hodgson, 1847 (il cinghiale pigmeo, originario di India e Nepal)

Sus scrofa Linnaeus, 1758 (il cinghiale eurasiatico, il cui areale sarà descritto in

seguito)

Sus verrucosus Boie, 1832 (il cinghiale dalle verruche di Giava, presente sulle isole indonesiane di Giava, Madura e Bawean)

I più antichi record fossili di S. scrofa provengono dai siti archeologici di Untermassfeld (Germania) e Atapuerca (Spagna) e risultano appartenere al Villafranchiano Superiore, risalendo a circa a circa 1.5 – 1.0 Ma. La stima dell'età dell'ultimo progenitore comune (TMRCA), basata sul DNA mitocondriale dei cinghiali eurasiatici, indica tuttavia una differenziazione più recente di questa specie, di circa 0.8 – 0.4 Ma (Scandura et al., 2011).

La sistematica a livello sottospecifico di Sus scrofa risulta ancora incerta e dibattuta (Scandura et al., 2011). A livello generale, i cinghiali italiani mostrano dimensioni corporee minori di quelle riscontrate nelle popolazioni nord- e centro- europee. La sottospecie S. scrofa majori, originaria della Maremma, sebbene di dimensioni minori, è risultata scarsamente distinguibile su base genetica e morfometrica dalla sottospecie S. scrofa scrofa, presente nel resto della penisola e in Europa centrale. Per questa ragione, è stato proposto di eliminare la sottospecie maremmana, includendone le popolazioni nella sottospecie nominale, che presenterebbe infatti un marcato cline dimensionale, con dimensioni massime raggiunte dalle popolazioni della regione orientale della Germania e le minime riscontrabili invece nelle popolazioni maremmane e iberiche (Groves, 1981; Apollonio et al., 1988; Genov, 1999). La differenziazione su base morfologica e

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molecolare delle popolazioni sarde, invece, ne permette la classificazione come sottospecie S. scrofa meridionalis (Apollonio et al., 1988; Iacolina et al., 2015). L'origine di queste popolazioni è da imputarsi ad un'antica colonizzazione da individui peninsulari selvatici o domestici, probabilmente mediata dall'uomo. L'effetto del fondatore e la deriva genetica a seguito dell'isolamento da una parte e lo sviluppo di adattamenti all'ambiente insulare (ad esempio la riduzione della massa corporea) dall'altra, avrebbero determinato l'odierna divergenza dalle popolazioni continentali (Iacolina et al., 2015).

2.2 Areale di Sus scrofa

La specie S. scrofa presenta la distribuzione geografica più vasta tra le specie congeneriche, nonché una delle più vaste tra tutti i mammiferi terrestri (Wilson & Reeder, 2005). Il suo areale comprende tutte le zone temperate del continente europeo e di quello asiatico, oltre ad alcuni Paesi mediterranei dell'Africa (Fig. 1).

Fig. 1 : distribuzione globale del cinghiale (aree in verde: presente e autoctono; aree in blu: introdotto; aree in celeste: reintrodotto; aree in rosso: estinto, Meijaard et al., 2011).

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In Europa, il cinghiale è presente dal Portogallo fino alle regioni meridionali della Scandinavia a Nord e ad Azerbaijan e Russia ad Est. Estinto in Irlanda, Scandinavia e Regno Unito, è stato poi reintrodotto in Inghilterra e Svezia meridionale. Le sue popolazioni coprono gran parte dell'Asia centrale, dalla Giordania all'Indonesia, fino al Giappone e alle regioni meridionali della Siberia, con la sola eccezione del Plateau Tibetano e di parte della Mongolia. Nel continente Africano, popolazioni autoctone sono presenti in Algeria, Marocco e Tunisia, mentre quelle anticamente introdotte in Egitto e Sudan risultano oggi estinte. Popolazioni originate da forme domestiche rinselvatichite sono diffuse in Nord-, Centro- e Sud-America, Australia, Sud-Africa e numerose isole oceaniche, incluse le isole Mauritius, Hawaii, Galapagos e Fiji (Wilson & Reeder, 2005).

2.3 Status delle popolazioni italiane

Il picco negativo della distribuzione del cinghiale in Italia è stato raggiunto nei primi anni del secolo scorso, con estinzioni locali che interessarono gran parte del territorio nazionale. Tale situazione è stata raggiunta a seguito dell'intensa persecuzione diretta da parte dell'uomo, con il quale il cinghiale entrava in conflitto a causa degli ingenti danni arrecati all'attività agricola, soprattutto all'agricoltura di sussistenza praticata nelle aree rurali.

A partire dagli anni successivi al secondo dopoguerra, una progressiva espansione delle popolazioni di cinghiale ha interessato tutto il Paese. I fattori determinanti questa esplosione demografica sono stati molteplici e concomitanti: l'abbandono di aree di media montagna da parte delle popolazioni umane, la diminuzione della persecuzione diretta e il recupero di boschi alpini e appenninici. Nello stesso periodo sono inoltre iniziati consistenti ripopolamenti e reintroduzioni, spesso con individui provenienti da popolazioni non autoctone, allo scopo di incrementare le popolazioni oggetto di caccia sportiva. La peculiare biologia riproduttiva e l'elevata adattabilità ecologica hanno poi permesso al cinghiale di raggiungere alti livelli di densità su gran parte del territorio italiano, che presenta le ottimali condizioni ambientali per la sopravvivenza e la riproduzione di questa specie (Apollonio et al., 2010).

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É opinione comune che le immissioni di individui esteri (soprattutto Centro- ed Est-europei) abbiano completamente stravolto lo status genetico delle popolazioni italiane, con ripercussioni sulla massa corporea media e la litter size. Oliver & Leus (2008) sostengono ad esempio che l'unico nucleo considerabile autoctono si trovi nella riserva di Castelporziano. Recenti evidenze suggeriscono invece che il contributo delle recenti immissioni nel determinare l'attuale pool genico del cinghiale italiano sia, sebbene presente e tangibile, solo marginale. Ad esempio, Scandura et al. (2008) mostrano come la frequenza delle 3 linee mitocondriali dei cinghiali eurasiatici (A, E1, E2) nelle popolazioni italiane sia del tutto simile a quella riscontrata in campioni museali risalenti ai primi del '900, con la rara presenza dell'aplotipo asiatico dovuta dunque ad antichi incroci con razze domestiche precedentemente incrociate con linee asiatiche. Inoltre, uno studio su oltre 30 000 Single Nucleotide Polymorphism (SNPs) di Iacolina et al. (2015) ha evidenziato che le popolazioni italiane, sarde ed europee appartengono a tre cluster ben distinti e delineati, a loro volta separati dal grande gruppo delle razze domestiche. Dunque, sebbene la situazione sia molto eterogenea tra le diverse popolazioni, i cinghiali italiani sembrano conservare una buona porzione della diversità genetica originale.

2.4 Morfologia

Il cinghiale presenta un aspetto robusto, con corpo tozzo e arti corti. La testa ha una lunghezza pari a 1/3 della lunghezza totale dell'animale, e termina con un grifo (Fig. 2). Il collo è corto e massiccio. Gli arti poggiano a terra con il 3° e 4° dito, mentre il 2° e 5° sono inseriti più in alto e toccano il terreno solo su suoli particolarmente morbidi. I pesi corporei medi degli adulti oscillano tra gli 80 e i 200 Kg nei maschi e tra i 60 e i 150 Kg nelle femmine, in popolazioni europee (Massei & Genov, 2000). In 4 diverse aree di studio situate in Toscana, Pedone et al. (1995) hanno riscontrato pesi medi degli adulti di 66 Kg nei maschi e di 53 Kg nelle femmine. Le maggiori dimensioni medie dei maschi si spiegano col fatto che nelle femmine l'apice dello sviluppo corporeo viene raggiunto già ai 3 – 4 anni di età, mentre la crescita dei maschi si protrae fino ai 7 anni di età. Tuttavia, un ulteriore contributo potrebbe derivare dal fatto che, al momento della

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nascita, la leggera differenza di peso medio trai due sessi a favore dei maschi potrebbe favorirli nella competizione con le sorelle per l'accesso alle mammelle (Fernandez-Llario et al., 1999).

Fig. 2 : confronto tra una femmina (a sinistra) e un maschio (a destra) di cinghiale europeo.

La struttura del cranio è caratterizzata dall'allungamento della parte facciale, che termina con un disco osseo all'estremità distale. Questa struttura conferisce al grifo la robustezza necessaria per le attività di scavo e ricerca del cibo. Nei maschi il muso è più corto e tozzo, mentre nelle femmine è più allungato e conico.

La dentizione bunodonte rispecchia le abitudini onnivore della specie. La formula dentaria è 3 1 4 3 / 3 1 4 3. I denti maggiormente sviluppati sono i canini, che sono a crescita continua e raggiungono dimensioni maggiori nei maschi. I superiori sono più piccoli e prendono il nome di “coti”, mentre gli inferiori, più grandi, vengono chiamati “difese”. Lo sfregamento continuo di coti e difese li rende particolarmente affilati, dunque utili nella difesa dai predatori e nelle lotte tra maschi. La dentizione è un carattere che può essere utilizzato per distinguere gli individui appartenenti alle diverse classi di età. L'approssimazione è di pochi mesi fino all'età di 3 anni e mezzo, ma cresce progressivamente una volta superata questa soglia. In particolare, viene osservato il numero dei denti da latte, l'eruzione e il consumo di quelli definitivi (Massei e Toso, 1993). Alla nascita, i piccoli possiedono 8 denti da latte (il canino e il 3° incisivo destri e sinistri, sia sulla mascella che sulla mandibola). La dentizione definitiva di 44 denti viene completata attorno al 26° mese di età, con l'eruzione del 3° molare definitivo, che terminerà il proprio sviluppo all'incirca al 42° mese. Per questa ragione, per gli individui

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di età superiore ai 3 anni e mezzo viene considerata l'usura progressiva dei molari che però dipende dalle abitudini alimentari dell'individuo ed è quindi difficile da generalizzare.

Il folto mantello è costituito da due tipi di peli: i peli di giara, lunghi fino a 10 cm negli adulti, e i peli di borra, più corti, lanosi e fitti dei precedenti. La colorazione del mantello varia tra le diverse classi di età. I nuovi nati (o “striati”) sono caratterizzati da una livrea a strisce longitudinali chiare e brune, che mantengono fino ai 4 mesi di età. Il mantello assume poi una colorazione rossiccia, mantenuta fino alla primavera successiva, cioè a circa un anno dalla nascita. Da questo momento in poi il pelo diviene bruno più o meno scuro, con tonalità molto variabile a livello individuale (Massei e Toso, 1993).

2.5 Comportamento alimentare

Il cinghiale è un onnivoro generalista e la sua dieta può variare fortemente in funzione delle condizioni ambientali e della disponibilità delle diverse risorse trofiche. L'assenza di ruminazione implica una scarsa efficienza nella digestione della cellulosa, che induce il cinghiale a preferire alimenti vegetali altamente energetici, integrati occasionalmente da alimenti animali. La componente vegetale è prevalente durante tutto l'anno (97 – 99% del totale, in peso secco), mentre quella animale è maggiore in inverno, ma comunque limitata (1 – 3 %) (Baubet et al., 2004; Fournier-Chambrillon et al., 2014). Le risorse trofiche vegetali più utilizzate in ambiente montano sono semi (ghiande, faggiole, castagne), frutti, radici, tuberi e, quando disponibili, vari tipi di colture agricole. Le coltivazioni assicurano infatti cibo abbondante e dall'alto contenuto energetico, il cui consumo è inversamente relazionato alla produzione di ghiande, faggiole e castagne. La componente animale include invece insetti, lombrichi, gasteropodi, uova, piccoli roditori ed eventualmente carcasse di grandi mammiferi (Massei & Toso, 1993). Sono inoltre stati descritti casi di predazione attiva su piccoli di cervidi (Monaco et al., 2003).

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2.6 Comportamento sociale e riproduttivo

Nel cinghiale, l'unità sociale fondamentale è costituita da un gruppo stabile di femmine, generalmente ma non sempre imparentate tra loro (Iacolina et al., 2009; Canu et al., 2015). All'interno del gruppo la dominanza è affidata alla femmina più anziana, che sembra avere un ruolo nel determinare la sincronizzazione dell'estro delle altre femmine (Meynhardt, 1984). Dei gruppi di femmine fanno parte anche i piccoli dell'ultima stagione riproduttiva. Tra il 1° e il 2° anno di età, i maschi iniziano a lasciare il gruppo della madre per fondare gruppi temporanei di subadulti, cui è affidata la dispersione (Janeau et al., 1995). Le femmine appena svezzate, invece, possono restare nel gruppo materno oppure allontanarsene. Tendono a rimanere con la madre soprattutto le figlie delle femmine giovani, mentre le figlie delle femmine più anziane mostrano una maggiore tendenza a lasciare il gruppo di provenienza (Kamiski et al., 2005). I maschi adulti sono generalmente solitari durante la maggior parte dell'anno, ma con l'inizio della stagione riproduttiva (novembre – maggio) iniziano a competere tra di loro per i gruppi di femmine. Una volta stabilitosi in un gruppo, il maschio si accoppia con tutte le femmine. Sono stati descritti casi di paternità multipla tra fratelli, sebbene con frequenze variabili tra le diverse aree di studio (Delgado et al., 2008; Poteaux et al., 2009).

I maschi raggiungono la maturità sessuale all'età di 10 mesi, mentre le femmine tra i 5 e i 22 mesi. Nelle femmine l'elevato dispendio energetico della gravidanza comporta che, per poter partecipare alla riproduzione, gli individui devono raggiungere una soglia di peso corporeo di circa 30 Kg, corrispondente al 33 – 40 % del peso da adulta (Bertolotto, 2010; Franzetti et al., 2015). Per questa ragione, mentre la percentuale di femmine di età maggiore di un anno che si riproduce è costantemente vicina al 100 % (indipendentemente dalle condizioni ambientali), quella delle femmine più giovani è strettamente dipendente dall'abbondanza delle risorse trofiche (Servanty et al., 2009). Il periodo di gestazione varia tra 114 e 119 giorni con buona parte delle nascite che si concentrano tra marzo e maggio. I parti delle femmine appartenenti ad uno stesso gruppo tendono a concentrarsi in pochi giorni, in conseguenza della sincronizzazione fisiologica dell'estro. Questo permette loro di accudire i piccoli collettivamente, aumentando l'efficienza dei meccanismi di difesa. Il numero medio di piccoli per parto è

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di 5 – 6. Poco tempo prima della nascita dei piccoli, ciascuna femmina si allontana dal gruppo (che si scioglie temporaneamente) e sceglie una zona adatta al parto, generalmente con densa vegetazione, che fornisca riparo da predatori e basse temperature. Qui costruisce la “lestra”: struttura semisferica composta da ramaglie e altri frammenti vegetali, che offre protezione termica ai piccoli (Massei & Toso, 1993). In caso di condizioni ambientali particolarmente favorevoli (ad esempio annate con elevata fruttificazione di castagni, faggi e querce) è possibile osservare in un solo anno due picchi nella frequenza dei parti, il primo a gennaio e il secondo a ottobre. Secondo l'interpretazione tradizionale di questo fenomeno, l'abbondanza delle risorse trofiche garantirebbe un ottimo stato di salute delle femmine che riuscirebbero dunque a portare a termine due cicli riproduttivi nell'arco dell'anno (Massei & Toso, 1993). Recentemente è stata tuttavia proposta un'interpretazione alternativa, secondo la quale, almeno nella maggior parte dei casi, il secondo picco di nascite sarebbe da imputare alle giovani femmine nate durante il picco precedente e giunte precocemente a maturazione sessuale grazie all'elevata disponibilità trofica, mentre l'eventualità di un doppio ciclo riproduttivo a carico della stessa femmina sarebbe da ritenere molto improbabile, sebbene non la si possa escludere (Franzetti et al., 2015).

2.7 Dinamica di popolazione

La produttività di una popolazione di cinghiale subisce ampie oscillazioni annuali, dipendendo principalmente da fattori quali l'abbondanza delle risorse trofiche, l'età media delle femmine e le loro condizioni fisiologiche (Massei & Toso, 1993; Bertolotto, 2010). Nelle popolazioni Centro- e Nord-europee la produttività del faggio (Fagus sylvatica) e delle querce (Quercus spp.) è risultata essere il fattore dominante nel determinare i tassi di crescita annuali delle popolazioni (Bieber & Ruf, 2005); risultati analoghi sono stati ottenuti da Bertolotto (2010) su popolazioni appenniniche, con dipendenza dalla fruttificazione dei castagni (Castanea sativa). In uno studio effettuato nella stessa area di studio di questa tesi, Cutini et al. (2013) hanno confrontato la produttività annuale di faggi, castagni e cerri (Quercus cerris) con il numero di cinghiali abbattuti nell'anno successivo, su un arco temporale di 17 anni. Gli autori hanno

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riscontrato una correlazione positiva tra carnieri di caccia e quantità di semi prodotti da castagni e cerri, ma non con la produttività dei faggi. In particolare, i castagni sembrano avere un impatto positivo maggiore di circa tre volte rispetto a quello dei cerri, forse grazie alla minore variabilità inter-annuale della loro produttività. Dove entrambe le specie sono presenti è inoltre ipotizzabile un effetto di compensazione: nel caso di annate poco produttive da parte di una delle due, i cinghiali sarebbero facilmente in grado di affidarsi alla risorsa più abbondante.

L'incremento utile annuo (esprimibile come il rapporto tra il numero dei giovani dell'anno e quello del resto della popolazione) può variare dal 100 % in annate con normale disponibilità di cibo fino al 150 – 200 % in annate in cui l'offerta alimentare è particolarmente elevata (Massei & Toso, 1993).

La dinamica di popolazione dipende anche dalle caratteristiche delle femmine: analisi condotte sugli uteri di esemplari abbattuti mostrano come il numero medio di feti tenda ad aumentare con età e peso corporeo della madre (Fernandez-Llario et al., 1999; Bertolotto, 2010). Inoltre, come già accennato, il peso corporeo delle femmine giovani ne determina la possibilità di partecipare o meno alla riproduzione (Franzetti et al., 2015).

Nel cinghiale si osserva un elevato tasso di mortalità delle classi giovanili. Jezierski (1977) descrive una mortalità del 48% entro il primo anno di età e del 36% nel secondo, con solo l'8% degli individui nati che sopravvivono fino al 4° anno di età, in una popolazione non sottoposta a pressione venatoria. Fernandez-Llario (1996) ha riscontrato nel Doñana National Park una mortalità vicina al 90% dei giovani cinghiali durante il loro primo anno di età. La mortalità dei nuovi nati è attribuibile principalmente agli imperfetti meccanismi di termoregolazione che caratterizzano questa classe di età, oltre alla predazione da parte della volpe (Vulpes vulpes) dove questa è presente (Jezierski, 1977).

L'elevato numero di piccoli per parto, la precoce maturità sessuale e gli alti tassi di mortalità delle classi più giovani, uniti alla grossa taglia, alle prolungate cure parentali e alla buona sopravvivenza in caso di variazioni nella disponibilità delle risorse collocano il cinghiale tra le specie che adottano una strategia riproduttiva intermedia tra quelle di tipo r e K, permettendogli di avere un altissimo potenziale riproduttivo (Focardi et al., 2008).

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2.8 Impatto sulle biocenosi

Oltre a rappresentare un problema per le colture agricole e altre attività umane, il cinghiale può avere un importante impatto negativo sull'ambiente, con effetti sulle comunità vegetali e animali. Ciò riguarda sia le aree in cui il cinghiale è stato introdotto sia quelle in cui è autoctono, ma presente con alte densità (Genov & Massei, 2004). La più importante forma di disturbo a carico delle piante è data dall'attività di scavo, che raggiunge profondità medie di 5 – 15 cm. Gli effetti negativi possono essere dati dal consumo diretto delle parti ipogee di alcune specie vegetali, ma anche dall'esposizione delle radici delle piante non consumate. In aree con alte densità di cinghiali, la riduzione della copertura erbacea può raggiungere il 95% (Genov & Massei, 2004).

Gli effetti negativi sulle specie animali possono essere dovuti sia alla competizione che alla predazione. Il cinghiale risulta essere infatti un importante competitore per specie con cui condivide parte delle proprie abitudini alimentari, come ad esempio il cervo e il daino (Dama dama). La predazione avviene invece principalmente a carico degli invertebrati, la cui biomassa può subire riduzioni localmente importanti. Per quanto riguarda i vertebrati, l'impatto può essere notevole soprattutto sui micromammiferi non arboricoli, attivamente ricercati durante le attività di scavo. Il fenomeno sembra interessare solo sporadicamente gli altri vertebrati, anche se la predazione delle uova e pulcini di varie specie di Galliformi (perice rossa (Alectoris rufa), fagiano (Phasianus colchicus), gallo forcello (Lyrurus tetrix) è stata spesso indicata come principale causa del decremento delle loro popolazioni in alcune aree (Massei & Toso, 1993; Genov & Massei, 2004).

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3. AREA DI STUDIO

Il massiccio dell’Alpe di Catenaia (43°48’N, 11°49’E) è un gruppo montuoso secondario che si diparte dalla dorsale appenninica nella zona del Monte Penna (comune di Chiusi della Verna), prolungandosi verso sud-ovest. A nord-ovest si trova il fiume Rassina e a sud-est i Monti Rognosi, che degradano fino alla piana di Arezzo. L’altitudine varia trai 500 m ed i 1400 m di Monte Castello. L’area di studio occupa un totale di 120 km2 e comprende al suo interno un'area protetta di 27 km2 (Oasi di

Protezione Alpe di Catenaia). Nell'Oasi la caccia è vietata, mentre al di fuori dell'area protetta l'attività venatoria è molto intensa, con un prelievo annuale medio di 9,6 cinghiali / 100 ha (Bertolotto et al., 2010).

I boschi decidui occupano il 76 % dell'area e sono principalmente composti da faggio, cerro e castagno. Il 7 % dell'area è occupato da boschi di conifere, composti da abete di Douglas (Pseudotsuga menziesii) e pino nero (Pinus nigra). Il restante 17 % della superficie è invece composto da aree aperte o cespugliate.

Il clima è continentale – temperato, con estati calde e secche e inverni freddi e piovosi. Le nevicate sono occasionali e localizzate nel periodo tra ottobre ed aprile.

Le due specie di ungulati più rappresentate sono il cinghiale e il capriolo, con densità medie rispettivamente di 14.3 ± 2.57 / Km2 e di 39.6 ± 1.64 / Km2 , relative al periodo

2000 - 2008 (Davis et al., 2012). Dal 2007 sono stati occasionalmente osservati anche il cervo e il daino. Di considerevole importanza da un punto di vista ecologico è la presenza di carnivori; nell’area di studio sono presenti il lupo, la volpe, il gatto selvatico (Felis silvestris), il tasso (Meles meles), la donnola (Mustela nivalis), la faina (Martes foina) e la martora (Martes martes). Gli studi condotti sulle preferenze alimentari nell’Oasi dell’Alpe di Catenaia, hanno evidenziato che il cinghiale rappresenta la componente principale nella dieta del lupo, durante tutto l'anno (Apollonio & Mattioli, 2006; Bassi et al., 2012).

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4. MATERIALI E METODI

4.1 Metodi di cattura

Sono stati utilizzati due metodi di cattura: i recinti di cattura (altrimenti detti chiusini) e le reti verticali a caduta.

I chiusini sono piccoli recinti con porte a ghigliottina, il cui meccanismo di scatto è attivato dai cinghiali stessi, che entrano nel recinto attratti da un'esca alimentare (generalmente mais, Fig. 4 a). Le dimensioni medie di un chiusino sono 6 m x 4 m, con altezza della rete di 2 m circa. Il meccanismo di scatto è costituito da un filo di inciampo teso a circa 30 cm dal suolo, che viene urtato dai cinghiali mentre cercano di raggiungere l’esca alimentare posta principalmente sul fondo della gabbia. I chiusini sono stati posizionati in zone frequentate dai cinghiali, cioè nei pressi di aree di foraggiamento, piste o insogli. Per attirare i cinghiali, il mais è stato sparso nei dintorni del chiusino e al suo interno, almeno una settimana prima dell'attivazione della trappola, in modo da abituare i cinghiali a frequentarla e ad entrarvi senza timore. Una volta attivato il meccanismo di scatto, il chiusino è stato visitato due volte al giorno da un operatore, in modo da permettere un tempestivo intervento sugli animali eventualmente catturati. Il controllo sistematico dei chiusini limita lo stress arrecato all’animale, evitando inoltre che l’animale si ferisca nel tentativo di uscire. I cinghiali adulti catturati sono stati sedati con l'ausilio di un jab stick, un'asta in alluminio portante una siringa all'estremità, che permette di iniettare il sedativo senza rischi per l'operatore.

L'utilizzo delle reti verticali a caduta prevede l'organizzazione di una battuta, durante la quale i cinghiali vengono indirizzati verso le reti stesse. Per ogni battuta è stato necessario innanzitutto individuare un'area in cui tracce o altri segni di presenza del cinghiale fossero presenti. Successivamente, è stata tracciata la linea delle reti, posizionando i supporti a cui queste saranno agganciate e rimuovendo la vegetazione ed eventuali ostacoli che potrebbero compromettere il corretto funzionamento delle reti. L’operazione di allestimento delle reti è stata completata alcuni giorni prima della battuta, in modo da ridurre il disturbo arrecato ai cinghiali (Fig. 4 b). Quando le reti sono state posizionate il fronte mobile dei battitori si sposta in linea retta, forzando i

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cinghiali nella direzione delle reti. Quando un animale urta la rete, questa si stacca dal supporto e lo avvolge, impedendone temporaneamente la fuga. Gli operatori presenti e nascosti in prossimità delle reti, intervengono immobilizzando manualmente il cinghiale, che viene al più presto sedato.

Figura 4 : a) vista frontale di un chiusino; b) reti verticali a caduta in posizione.

In entrambi i metodi di cattura, soltanto gli individui adulti sono stati trattati con il sedativo, mentre quelli appartenenti alle altre classi di età sono stati rilasciati immediatamente. É stato utilizzato il farmaco “Zoletil”, con una dose di 0.5 ml / 10 Kg, leggermente ridotta rispetto a quella indicata, per minimizzarne gli effetti collaterali. Dopo aver sedato l’animale, sono state registrate misure biometriche, quali: età, peso, altezza al garrese, lunghezza del garretto e lunghezza totale; inoltre, sono stati prelevati campioni di sangue e pelo per analisi genetiche. A ciascun individuo è stato applicato un collare Vectronic GPS Plus ed è stato rilasciato in un luogo indisturbato, dove ha avuto modo di risvegliarsi senza ulteriore stress.

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4.2 Raccolta dei dati comportamentali

I collari Vectronic GPS Plus sono composti dal pacco batteria, dalla sede di antenna e componenti elettronici, connessi da un cinturino contenente i cavi di connessione, e dall'antenna VHF. La sede dell'antenna contiene i sensori GPS, i sensori di attività e i processori elettronici necessari per la comunicazione (Fig. 5). Il pacco batteria (la componente più pesante del collare) deve essere posizionato sotto il collo dell'animale, mentre l'antenna sul lato superiore, in modo da facilitare ricezione e comunicazione. Il collare è dotato di un sensore che registra il segnale inviato da diversi satelliti (sistema GPS): grazie all’elaborazione delle informazioni ricevute dai satelliti può definire e registrare la propria posizione (fix). Per ogni registrazione sono disponibili le seguenti informazioni: latitudine, longitudine, altitudine, data, ora, dilution of precision (DOP, una stima della precisione della misura) e numero di satelliti utilizzati.

Ogni collare è dotato di 2 accelerometri per misurare l'accelerazione a cui è sottoposto il collare su due assi spaziali. L'accelerazione sull'asse x è relativa a movimenti in avanti o indietro, quella sull'asse y a movimenti laterali. L'attività viene misurata 4 volte al secondo per ogni asse, come differenza tra due valori di accelerazione consecutivi. Viene poi indicata con un indice relativo compreso tra 0 e 255, come media della attività / accelerazione. La media viene calcolata tra tutte le misure di attività ottenute in un certo intervallo temporale, che viene scelto dall'operatore durante la configurazione del collare (Krop-Benesch, 2010). Nel presente studio, ogni valore di attività si riferisce ad un intervallo di 4 minuti. Ciascun valore di attività é registrato nella memoria del collare con informazioni su data e ora.

I dati relativi alle localizzazioni degli animali e quelli di attività vengono registrati nella memoria interna al collare. I collari Vectronic GPS Plus utilizzano la comunicazione GSM per inviare i dati relativi alle localizzazioni degli animali.

La trasmissione dei dati con comunicazione GSM si compone di tre fasi: le coordinate di ciascuna posizione GPS vengono inviate dal collare al provider GSM, da questo al GSM ground station che ha il compito di elaborare le informazioni e preparare un file (.sms) che sarà inviato agli utenti tramite e-mail.

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Fig. 5 : un collare Vectronic GPS Plus.

L'intervallo temporale tra due posizioni GPS consecutive può essere scelto durante la configurazione del collare. Nel nostro caso, sono stati registrati un massimo di 12 fix al giorno, con un intervallo di 2 ore tra loro, dalle 01.00 fino alle 23.00. Inoltre, durante la configurazione del collare è possibile scegliere il numero di fix (da 1 a 7) contenuto in ciascun SMS inviato alla casella email con comunicazione GSM. Se ogni SMS inviato contiene 1 fix, le informazioni sulla posizione del collare vengono ricevute in tempo reale, ma il consumo di energia da parte del collare è superiore (dato che devono essere inviati più SMS per comunicare la stessa quantità di fix). Nel presente studio, i collari sono stati configurati in modo da inviare 7 fix in ogni SMS, al fine di risparmiare energia e aumentarne l'autonomia.

Alcuni fix possono non essere inviati a causa di una scarsa copertura del segnale GSM, ma rimangono comunque registrati nella memoria del collare. Inoltre, i dati di attività non vengono inviati tramite collegamento GSM. I collari con cui erano stati marcati i cinghiali erano dotati anche di un sistema di comunicazione bidirezionale tramite segnale radio VHF. Per contattare un animale era necessario innanzitutto definire l’area utilizzata dal cinghiale. Per farlo sono state analizzate le informazioni ricevute tramite

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email caricando le coordinate dei fixes sulla mappa dell'area di studio, usando il software Arc Map. Sono stati presi in considerazione i fixes più recenti relativi alle ore diurne, ovvero quando si suppone che il cinghiale stia riposando (Boitani et al., 1994; Russo et al., 1997; Keuling et al., 2008b). Infatti, i cinghiali hanno un'alta fedeltà per i siti di riposo, tendendo ad usare lo stesso sito per alcuni giorni consecutivi (Maillard et al., 1995). Gli hot spots ottenuti rappresentavano i luoghi in cui era più probabile trovare l'individuo collarato.

Un operatore si è recato nella località individuata, cercando di individuare il segnale VHF beacon emesso dal collare utilizzando una radio VHF (in cui la specifica frequenza del collare era stata selezionata) e un'antenna Yagi. Una volta localizzato il cinghiale l’operatore si avvicinava di circa 500 m da dove è stato possibile stabilire una connessione con il collare, utilizzando l'apposito dispositivo Vectronic Handheld Terminal, e scaricava i dati di posizione e di attività immagazzinati nella memoria del collare.

I collari Vectronic GPS Plus sono dotati di un sistema Drop-off, che può essere attivato dagli operatori con un apposito dispositivo radio da una distanza di circa 500 m. Il sistema permette di indurre l'apertura automatica del collare, che si stacca dall'animale e può dunque essere recuperato, senza la necessità di ricatturare l'individuo. Questo sistema può essere utilizzato se la batteria del collare è scarica o se si sospetta un qualunque tipo di rischio per la salute dell'individuo dotato di collare.

4.3 Dati astronomici e meteorologici

I dati meteorologici relativi a temperatura, radiazione, pluviometria e umidità relativa provengono dall'archivio del Servizio Idrologico Toscano e sono stati registrati con cadenza oraria nella stazione di Poppi (AR). I dati di copertura nuvolosa, espressi come percentuale di cielo coperto, sono stati scaricati utilizzando il pacchetto RNCEP del software R (Kemp et al., 2012). Nelle analisi, è stato utilizzato il dato di nuvolosità registrato alle 00.00. I dati relativi all'area di studio sono stati ottenuti col metodo di interpolazione “Inverse Distance Weighting” (Shepard, 1968), attraverso la funzione

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“NCEP.interp”. I dati relativi alla fase lunare, espressi come porzione illuminata del disco lunare alla mezzanotte di ciascun giorno di raccolta dati, sono stati scaricati dal sito della Astronomical Applications Department of the U.S. Naval Observatory (http://aa.usno.navy.mil/data/docs/MoonFraction.php). Dal medesimo sito sono stati ottenuti gli orari giornalieri di alba e tramonto (“civil twilight”) nell'area di studio (http://aa.usno.navy.mil/data/docs/RS_OneYear.php ).

4.4 Analisi dei dati

 Calcolo delle dimensioni degli home range

Per il calcolo delle dimensioni degli home range sono stati utilizzati due metodi diversi: il metodo del Minimum Convex Polygon (MCP, Mohr, 1947) e quello del Local Convex Hull (LoCoH, Getz et al., 2007). Il primo è probabilmente il metodo più semplice e utilizzato (Getz & Wilmers, 2004) e consiste nel calcolare l'area del più piccolo poligono convesso in grado di contenere tutte le localizzazioni. Il calcolo prevede l'eliminazione di una piccola percentuale dei punti più lontani dal centroide della nuvola dei fixes, dato che questi rappresenterebbero il frutto di spostamenti esplorativi occasionali che non fanno parte delle “normali” attività dell'animale. Tuttavia, la soggettività del significato di “normali attività” e della percentuale di localizzazioni da scartare perché estranee a questa normalità, ha fatto sì che venisse proposto da alcuni autori il concetto di Utilization Distribution (UD), basato sulla densità della probabilità di trovare l'animale in una determinata località con coordinate x e y (Calenge, 2011). E' possibile ricavare l'home range dalla UD come l'area minima in cui la probabilità di trovare l'animale sia equivalente ad un certo valore, ad esempio il 100 %. Uno degli strumenti per calcolare le dimensioni degli home range a partire dalla UD è l’algoritmo LoCoH, un’estensione dell’approccio local convex hull (Getz & Wilmers, 2004) che utilizza il metodo del MCP e un metodo kernel non parametrico (Getz et al., 2007). Il LoCoH consiste nell'applicazione del MCP ad un sottoinsieme di dati: il local convex hull è costruito utilizzando ciascuna localizzazione e un certo numero (k-1) delle localizzazioni a questa più prossime. A questo punto, i poligoni vengono uniti a partire

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dai più piccoli fino ai più grandi, formando isoplete contenenti una certa percentuale dei punti. Ad esempio, l'isopleta 10% contiene il 10% di tutti i punti, mentre l'isopleta 100% racchiude la totalità delle localizzazioni. L'utilizzo del metodo LoCoH offre numerosi vantaggi (Getz et al., 2007). Innanzitutto, più fixes si hanno a disposizione e più la stima delle dimensioni degli home range diviene accurata: questa caratteristica lo rende particolarmente utile negli studi di telemetria GPS, caratterizzati dalla disponibilità di un gran numero di dati per ogni individuo. Inoltre, il metodo LoCoH è in grado di gestire elementi del paesaggio come laghi, fiumi e recinzioni (che azzerano la probabilità di trovare l'individuo in certi punti) molto meglio rispetto a metodi meno avanzati come il MCP. Infine, l'home range stimato è un'area definita in modo formale e non c'è bisogno di ricorrere ad artifici come lo scarto di una certa percentuale di punti del MCP (Getz et al., 2007).

Le analisi sono state condotte utilizzando il software R e il pacchetto “adehabitatHR” (Calenge, 2011). Per calcolare le dimensioni degli home range mensili e stagionali di ciascun individuo, tutte le localizzazioni sono state assegnate ad un mese e ad una stagione dell'anno, dipendentemente dalla data di registrazione. Per ogni individuo, sono stati esclusi dalle analisi i mesi in cui erano disponibili meno di 2 fixes al giorno.

Per applicare il metodo del MCP, è stata utilizzata la funzione “mcp”, considerando per convenzione le localizzazioni all'interno del 95% percentile. Per il metodo del LoCoH, invece, è stato utilizzato l'algoritmo Fixed k LoCoH (Calenge, 2011), attraverso la funzione “LoCoH.k”. Nella funzione è necessario inserire un valore di k, che si riferisce al numero di localizzazioni da includere in ciascun hull. Per queste analisi, k è stato scelto in modo indipendente per ogni individuo. Per farlo, è stata calcolata la radice quadrata del numero totale dei fixes e il risultato posto come limite massimo di k. A questo punto, sono stati scelti arbitrariamente dei valori minori o uguali al limite massimo di k e inseriti nella funzione “LoCoH.k.area”. Questa ha permesso di osservare come variava l'estensione dell'home range al variare del k utilizzato. Il valore di k ottimale è stato scelto osservando il grafico diagnostico e seguendo le indicazioni fornite da Calenge (2011).

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 Analisi dei dati di attività

Le analisi sono state condotte utilizzando il software R Studio. Dal momento che l'attività registrata dall’accelerometro del collare sull'asse x è risultata strettamente correlata all’attività registrata sull’asse y, abbiamo analizzato attraverso i modelli statistici solamente l’attività sull’asse x (Heurich et al., 2014). I valori di attività ottenuti dal collare sono stati divisi per il massimo valore registrato dall’accelerometro (255) e portati quindi in una scala relativa compresa tra 0 (attività nulla) e 1 (attività massima). Per prima cosa, tutti i valori di attività registrati da ciascun collare sono stati divisi in due subset, confrontandone la data e l'ora con gli orari di alba e tramonto: i valori registrati nell'intervallo tra l'orario dell'alba e quello del tramonto di quel giorno dell'anno sono stati assegnati al subset relativo all'attività diurna, mentre quelli registrati prima dell'alba o dopo il tramonto sono stati assegnati al subset dell'attività notturna. I valori di attività notturna registrati dopo la mezzanotte sono stati accorpati alla notte della data precedente. Successivamente, è stato calcolato il valore medio di attività per ogni giorno (AMD, attività media diurna) e per ogni notte (AMN, attività media notturna). Allo stesso modo, è stata calcolata la media giornaliera dei dati meteorologici quali temperatura (media, massima e minima), umidità relativa (media, massima e minima), radiazione solare (media e massima) e intensità di pioggia, assegnando ciascun valore al giorno o alla notte sulla base dell'orario della registrazione. La quantità totale di pioggia caduta è stata calcolata sommando i valori registratiti in tutto l'arco del giorno o della notte di riferimento. Per ciascuna notte è stato infine calcolato un valore di intensità luminosa lunare, ottenuto dalla fase lunare di quel giorno dell'anno corretta con la copertura nuvolosa registrata alle ore 00.00, secondo la formula:

intensità luminosa lunarei = fase lunarei - (fase lunarei * copertura nuvolosai)

dove la fase lunarei rappresenta la porzione illuminata del disco lunare alla mezzonotte

del giorno i, la copertura nuvolosai la percentuale di cielo coperta dalle nuvole alla

mezzonotte del giorno i e l'intensità luminosa lunarei indica la quantità di luce che

effettivamente raggiunge la superficie terrestre, assumendo questa valori compresi tra 0 (luna nuova o cielo completamente coperto) e 1 (luna piena e cielo completamente

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libero).

In seguito, l'attività media diurna (AMD) e quella notturna (AMN) sono state utilizzate come variabili dipendenti in due set di modelli additivi generalizzati (GAMs, Generalized Additive Models).

Le variabili predittive a disposizione per spiegare le variazioni di AMD e AMN erano: - sesso dell’animale (variabile categorica);

- peso corporeo dell’animale al momento della cattura (variabile continua); - giorno dell’anno, espresso come data Giuliana (variabile continua circolare); - variabili meteorologiche, medie diurne e notturne per AMD e AMN

rispettivamente (variabili continue);

- solo per la AMN, l’intensità luminosa lunare (variabile continua);

- per considerare i dati provenienti da uno stesso cinghiale come non indipendenti tra loro, l'identità dell'individuo marcato è stata inserita nei modelli come fattore random.

Attraverso una matrice di correlazione di Pearson è stato verificato quali fra queste variabili fossero fra loro collineari (indice di correlazione > 0.6). Temperatura media, temperatura massima, temperatura minima, radiazione media e radiazione massima sono risultate fra loro collineari, così come umidità media, umidità massima e umidità minima. Ed infine sono risultate collineari precipitazioni totali e intensità massima di pioggia.

Per la scelta delle variabili da inserire nei modelli GAMs ci siamo avvalsi dell’analisi Random Forest. La funzione “randomForest” (pacchetto R “randomForest”) classifica infatti le variabili a disposizione sulla base della loro capacità di spiegare la variabilità della variabile dipendente. Per selezionare solo variabili tra loro indipendenti, di ciascun gruppo di variabili collineari è stata scelta quella risultata più importante nell’analisi Random Forest.

Per l’analisi di AMD e AMN si è deciso di seguire l’approccio statistico della model selection. Attraverso la funzione “dredge” (pacchetto R “MuMIn”) sono stati costruiti due separati sets di modelli alternativi (uno per ciascuna variabile dipendente) utilizzando le variabili predittive selezionate dalla Random Forest. Per ciascuna delle due variabili dipendenti (AMD e AMN), i modelli alternativi sono stati ordinati e

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selezionati seguendo il criterio del minimo AIC (Akaike Information Criterion). Sia per l'attività diurna sia per quella notturna è stata analizzata l’influenza delle variabili presenti nel modello selezionato (Symonds & Moussalli, 2011, Tab. 1 e 2).

Infine, ciascun modello selezionato è stato validato attraverso un’ispezione visiva dei residui, verificando che fossero rispettati i principi di omoschedasticità (omogeneità della varianza), normalità e omogeneità degli errori.

Modello individuoIdentità dell'annoGiorno Pioggiatotale Temperaturamedia massimaUmidità corporeoPeso Sesso AIC

1 * * * * * * * -8388.7 2 * * * * * * -8388.7 3 * * * * * * -8388.6 4 * * * * * -8388.6 5 * * * * * * -8384.1 6 * * * * * -8384.1

Tabella 1: primi 6 modelli alternativi ottenuti dall'analisi dell'AMD. Il simbolo (*) indica che la variabile predittiva è inclusa nel modello.

Modello individuoIdentità dell'annoGiorno

Intensità luminosa lunare Pioggia totale Temperatura massima Umidità massima Peso

corporeo Sesso AIC

1 * * * * * * -3350.8 2 * * * * * * * -3350.8 3 * * * * * -3350.6 4 * * * * * * -3350.6 5 * * * * * * * * -3350.2 6 * * * * * * * -3350.2

Tabella 2: primi 6 modelli alternativi ottenuti dall'analisi dell'AMN. Il simbolo (*) indica che la variabile predittiva è inclusa nel modello.

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5. RISULTATI

Nel triennio 2013 – 2015 sono stati catturati 9 cinghiali, 5 femmine e 4 maschi, con età compresa tra 8 mesi e 9 anni. Il periodo di monitoraggio di ciascun animale è indicato nella Tab. 3. I 9 collari hanno registrato un totale di 19533 localizzazioni GPS valide, con le quali sono stati calcolate le dimensioni degli home range. I valori di attività sono stati registrati su un totale di 2122 giorni e notti. I dati analizzati coprono l'intervallo temporale compreso tra il 19 luglio 2013 e il 20 dicembre 2015.

Codice identificativo Sesso Peso corporeo (Kg) Inizio raccolta dati Fine raccolta dati

287 F 59 19 giugno 2013 20 settembre 2013

288a F 51 6 agosto 2013 6 settembre 2013

292 F 44 12 luglio 2013 23 novembre 2014 283 M 64 11 maggio 2014 20 dicembre 2015 290 F 40 29 luglio 2014 17 dicembre 2014 284 M 48 31 luglio 2014 18 dicembre 2014 286 F 52 2 agosto 2014 17 ottobre 2015 288b M 87 25 agosto 2014 28 settembre 2015 289 M 34 01 marzo 2015 23 aprile 2015

Tabella 3 : codice identificativo, sesso, peso al momento della cattura e periodo di monitoraggio di ciascun individuo cui è stato applicato un collare.

5.1 Home range mensili e stagionali

Il calcolo delle dimensioni degli home range mensili ha restituito valori compresi tra 29.40 ha e 1523.38 ha utilizzando il metodo del MCP e valori compresi tra 5.51 ha e 618.94 ha utilizzando il metodo del LoCoH. Considerando tutti gli individui, l'home range mensile medio più piccolo è stato riscontrato nel mese di luglio (MCP: 139.33 ha,

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