POLITECNICO DI MILANO
FACOLTÀ DI INGEGNERIA
DIPARTIMENTO DI ENERGIA – CESNEF
Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Nucleare
AMPLIFICATORE LOGARITMICO PER
APPLICAZIONI MICRODOSIMETRICHE
Relatore:
Prof. Vincenzo Varoli
Tesina di Laurea Specialistica di:
David BARBER GARCÍA
Matr. 748678
Capitolo I
Capitolo I
L’AMPLIFICAZIONE LOGARITMICA
L’AMPLIFICAZIONE LOGARITMICA
Un’amplificatore è un dispositivo in grado di aumentare l’ampiezza di un segnale elettrico. L’elemento in cui è basata l’amplificazione è l’amplificatore operazionale, costituito da resistenze, impedanze, dispositivi a semiconduttore e in parte da una alimentazione esterna fornita in continua.
L’amplificatore basico è quello nel quale l’ampiezza del segnale in uscita è pari a quella del segnale in ingresso moltiplicata per un fattore definito come guadagno di amplificazione. In questo modo si ha un’amplificazione lineare.
Nonostante, nella maggior parte delle applicazioni nucleari, tali come la microdosimetria, c’è la neccessità di poter rivelare contemporaneamente particelle le cui energie rilasciate nel rivelatore possono essere anche di diversi ordini di grandezza. In questi casi sarebbe ideale l’utilizzo di amplificatori che riescono a gestire di una ampia dinamica per i segnali di ingresso. Questi sono gli amplificatori logaritmici.
In questo capitolo saranno descritti il principio di funzionamento nel quale sono basati gli amplificatori logaritmici, le configurazione che possono essere adottate, e per ultimo, si farà una introduzione all’amplificatore comerziale TL441, sul quale è svolto l’amplificatore logaritmico oggetto di questa tesi di lavoro.
I.1
Principio di funzionamento
Basicamente, l’amplificazione logaritmica è un tipo di amplificazione non lineare che consiste nella conversione di un segnale nel suo valore logaritmico equivalente. La relazione tra le ampiezze dei segnali di ingresso e uscita viene data per la funzione di trasferimento:
Vout= K logVinVref
(I.1)
dove, considerando che Vin e Vout sono valori di tensioni:
- K è il fattore di scala di uscita (volts/decada)
- Vin è la tensione di riferimento di ingresso (valore di Vin dove si ha che Vout è nulla)
Ad esempio, in Figura I.1 è illustrata la curva caratteristica di un amplificatore logaritmico.
Si osserva che per avere amplificazione logaritmica il segnale di ingresso deve rimanere tra un certo intervallo, dato per Vin_min e Vin_max, che a sua loro volta
definiscono il range dinamico dell’amplificatore, espresso in decade:
Range dinamico=logVin_maxVin_min
(I.2)
Inoltre, anche tra Vin_min e Vin_max c’è una deviazione della curva rispetto al
comportamento ideale, come illustrato in Figura I.2.
Figura I.2 Dettaglio delle curve caratteristiche ideale e reale di un amplificatore logaritmico, avendo
Questo viene chiamato errore di conformità logaritmica p, e anche se soltanto è osservabile come piccole differenze tra l’uscita reale e quella ideale viene riferito all’ingresso: per un errore in uscita ΔVout corrisponde un tanto per cento di errore
nell’ingresso:
ΔVout=K log1+p100 → p=10010ΔVoutK-1 (I.3)
I.2 La configurazione transdiodo
Diversi sono gli schemi circuitali che consentono di ottenere una amplificazione logaritmica. Il più semplice è quello illustrato in Figura I.3.
Figura I.3 Amplificatore logaritmico con diodo e amplificatore operazionale.
Questa prima configurazione sfrutta il fatto che la tensione applicata ai morsetti di un diodo è proporzionale al logaritmo della corrente che fluisce al suo interno: infatti, collocando un diodo nel ramo di retroalimentazione di un amplificatore operazionale in configurazione invertente è immediato dimostrare che la tensione di uscita è uguale alla tensione applicata ai morsetti del diodo ed è quindi proporzionale
al logaritmo della corrente in ingresso. Più precsisamente, con riferimento alla Figura I.3, vale la seguente relazione:
Vout= K logVinRinI0
(I.4)
Nonostante, per via della elevata resistenza che caratterizza un diodo reale tale configurazione garantisce una amplificazione logaritmica solo per intervalli di ampiezza del segnale in ingresso dell’ordine delle tre decadi.
È questo il motivo per cui in luogo di questo schema circuitale si utilizza quello illustrato in Figura I.4, che viene chiamato configurazione transdiodo, basato nelle caratteristiche del transistor BJT e l’amplificatore operazionale.
Figura I.4 Amplificatore logaritmico con transistor e amplificatore operazionale. A sinistra l’ingresso è
una corrente; a destra, una tensione.
La base degli amplificatori nella configurazione transdiodo è la relazione tra l’intensità di collettore e la tensione di emissore di un transistor che lavora nella regione attiva:
essendo:
Is: Corrente di saturazione del collector. È fortemente dipendente con la
temperatura. Usualmente, il suo valore è compresso tra i 10-15 e i 10-12
A.
VT: Tensione termica, il cui valore è pari a KT/q = 25,7 mV, avendo indicato
con K costante di Boltzman, con T la temperatura assoluta e con q la carica dell’elletrone.
Nell’ambito di lavoro si ha che ic>> Is , e dunque l’espressione diventa una
esponenziale pura, avendosi che la tensione di emitter sarà:
vbe= VT lnicIs
(I.6)
e utilizzando il logaritmo in base 10,
vbe= 2,303 VT logicIs
(I.7)
Si vede che questa funzione di trasferimento è molto sensibile a possibili variazioni di temperatura, siccome tanto Is come VT dipendono fortemente della
temperatura.
Facendo un’analisi in detaglio della Figura I.4 si ha che la tensione in uscita sarà dunque:
Vout= 2,303 VT logiin-InIs
(I.8)
• Tensione come segnale di ingresso:
Vout= 2,303 VT logVin-VOS-R IOSR Is
(I.9)
La corrente di polarizzazione in ingresso (input bias current)
In
nel primocaso, e la corrente di offset
IOS
e la tensione di offsetVOS
nel caso di tensionecome segnale di ingresso, determinano il limite della tensione in ingresso
Nonostante questa configurazione presenta problemi di stabilità, data la presenza di un componente attivo in un sistema retroazionato. Una prima soluzione sarebbe introdurre una resistenza e un condensatore, come si mostra un Figura I.5.
Figura I.5 Amplicatore logaritmico con transistor e amplificatore operazionale, con una resistenza e
un condensatore nel loop di retroalimentazione.
I.3 L’amplificatore logaritmica con diversi stati di amplificazione
Per ovviare a tali problemi si utilizzano anche schemi circuitali nei quali diversi amplificatori configurati in anello aperto sono collegati in serie come riportati in Figura I.6. INPUT OUTP UT
Figura I.6 Amplificatore logaritmico con diversi stadi di amplificazione.
Il principio su cui è basato il funzionamento di schemi circuitali così fatti è quello di approssimare la funzione logaritmo con una somma di funzione opportune.
L’esempio più semplice è quello nel quale la funzione logaritmo viene riprodotta sommando funzione lineari come illustrato in Figura I.7.
OUTPUT INPUT
G=(N-1) A dB G=(N-2) A dB G=(N-3) A dB
Figura I.7 Curva caratteristica di un amplificatore logaritmico con diversi stadi di amplificazione
lineare.
In questo caso, il funzionamento è come segue: se l’ampiezza del segnale in ingresso rientra nei limiti di funzionamento lineare, l’amplificatore restituisce in uscita un segnale di ampiezza amplificata; se al contrario l’ampiezza del segnale in ingresso supera tali limiti, esso restituisce in uscita un segnale in ampiezza costante pari al limite massimo. Nell’insieme, quindi, all’aumentare dell’ampiezza del segnale in ingresso contribuiscono all’amplificazione un numero decrescente di stadi cossichè la curva caratteristica è costituita da una somma di tratti lineari approssimabili ad un logaritmo. È chiaro che quanto maggiore è il guadagno del singolo stadio di amplificazione minore sarà il numero di stadi richiesti, viceversa quanto minore è il guadagno, migliore sarà l’approssimazione: la soluzione ottima sarà quindi un compromesso.
Un secondo esempio è quello nel quale la funzione logaritmo viene riprodotta sommando funzioni il cui andamento è quello di una tangente iperbolica. L’idea di sfruttare questa possibilità nasce della capacità di alcuni circuiti elettrici di produrre segnali aventi l’andamento di una tangente iperbolica. Un esempio è il circuito elettronico mostrato in Figura I.8.
Figura I.8 Esempio di circuito elettronico capace di produrre segnali il cui andamento è quello di una
tangente iperbolica.
Questo circuito è costituito da una coppia di transistor BJT di tipo npn disposti in modo tale di avere in comune il terminale di emitter e da funzionare secondo la seguente legge:
IC1-IC2IE1+IE2=α tanhV1-V22 VT
(I.10)
dove con α si è indicato il guadagno di corrente a base comune.
La dimostrazione di tale legge è immediata. Infatti, le equazioni caratteristiche dei due transistor hanno nel caso generale la seguente forma:
IE=A11eVBEVT-1+A21EVCBVT-1IC=A12eVBEVT-1+A22EVCBVT-1IB=IC-IE
(I.11)
Tali equazioni possono essere semplificate considerando il solo funzionamento in zona attiva:
IE=A11eVBEVTIE=α A11eVBEVTIB=IC-IE
(I.12)
A partire da tali equazioni e con riferimento alla configurazione illustrata in Figura I.8 si ottengono le seguenti equazioni:
IE1+IE2=A11e-VEVTe-V1VT+eV2VTIC1+IC2=α A11e-VEVTeV1VT-eV2VT
(I.13)
Su questo principio di funzionamento è basato l’amplificatore logaritmico TL441, sul quale è stato svolto questo lavoro di tesi.
I.4 L’amplificatore logaritmico TL441
Come detto prima, l’amplificatore logaritmico TL441 è basato su coppie di transistor BJT, nelle quale l’andamento del segnale di uscita è quello di una tangente iperbolica. Questi andamenti vengono sommati in modo che si ha all’uscita dell’ampliflicatore l’ampiezza del segnale in ingresso amplificata secondo una legge logaritmica. In Figura I.9 viene riportato lo schema interno.
Figura I.9 Schema circuitale dell’amplificatore logaritmico TL441.
Il sistema preleva un segnale in ingresso di ampiezza Vin, che viene
scomposto in otto segnali, che alimentano ogni una delle coppie di transistor, con tensioni che differiscono tra loro di 15 dB. Questo viene fatto grazie in parte ad un circuito esterno e in parte ad un isieme di resistenze collocate al suo interno.
Esternamente all’amplificatore logaritmico TL441 tale segnale Vin viene
1. Il primo entra nell’ingresso A1, ed ha ampiezza pari a quella del segnale in ingresso Vin.
2. Il secondo entra nell’ingresso A2, ed ha una ampiezza ridotta di 30dB grazie a una resistenza.
3. Il terzo entra nell’ingresso B1, ed ha una ampiezza aumentata di 30 dB grazie ad un amplificatore.
4. Il quarto, infine, entra nell’ingresso B2, ed ha una ampiezza aumentata di 60 dB grazie all’amplificatore detto ed a un secondo amplificatore.
Ciascuno di questi quattro segnali viene ulteriormente scomposto all’interno dell’amplificatore logaritmico TL441, in modo che il primo dei quali ha una ampiezza pari a quella del segnale di ingresso ed il secondo dei quali ha una ampiezza ridotta di 15 dB grazie ad un insieme di resistenze.
Complessivamente quindi ad ogni coppia di transitor viene fornita una tensione di ampiezza che può variare tra Vin -45 dB e Vin +60 dB, e diffiere tra le altre
di multipli di 15dB. Ulteriormente, tramite la somma delle correnti di collettore di ciascuna coppia di transistor si ottiene il guadagno di amplificazione logaritmico richiesto.
Capitolo II
Capitolo II
LA FORMATURA DEL SEGNALE
LA FORMATURA DEL SEGNALE
Nel lavoro con segnali ottenute dei rivelatori di radiazione, è di solito desiderabile cambiare la forma degli impulsi secondo determinate tecniche. Gli elementi che conformano l’amplificatore impongono delle condizione di altezza e durata degli impulsi con cui devono lavorare.
Infatti, la catena di impulsi che si ottengono in uscita dal pramplificatore non risultano conveniente per applicare direttamente la procedura di amplificazione. Perciò viene messo a valle dei preamplificatori i così detti i filtri formatori. Questi sono dei circuiti elettronici, che tramite componenti passivi come resistenze e condensatori ed amplificatori operazionali, riescono a modificare la forma dell’impulso entrante.
Inoltre è importante che questa procedura sia fatta senza produrre perdite nell’informazione che possede il segnale, la quale è espressa nella sua ampiezza, proporzionale all’energia rilasciata nel rivelatore, grandezza di interese della misura.
In questo capitolo verrano introdotti i filtri più semplici, il filtro passa-alto e il filtro passa-basso, che sono la base la formatura del segnale, per poi introdurre il filtro gaussiano. Questo filtro è quello più utilizzato nelle sperimentazioni nucleari, e su cui disegno si è basato il filtro formatore dell’amplificatore oggeto di questa tesi di laurea.
Anche verrà comentata la scelta della costante di tempo, parametro critico nella formatura del segnale, e define per tanto il segnale in uscita del filtro.
Con lo scopo da fare una raccolta da tutta la carica generata nel rivelatore, i preamplificatori sono di solito disegnati con un decay time sufficientemente lungo, del ordine delle decine di µs. Nonostante, se il ratio di conteggio non è sufficientemente ridotto, può accadere il fenomeno del pile-up. In Figura II.1 si mostra una catena di impulsi dove si presenta questo fenomeno.
Figura II.1 Catena di impulsi a in uscita del preamplificatore.
Siccome è l’altezza del segnale dove si ha l’informazione basica (la carica Q rilasciata nel rivelatore), l’apilamento degli impulsi sulle code dei soui impulsi precedenti, che non hanno raggiunto il zero, può diventare un problema serio. Dato che la distanza tra gli impulsi è un processo aleatorio, ogni impulso può apilarsi su differenti altezze della coda del precedenti. Dunque, la sua altezza non può ormai essere una misura affidabile de la carica Q rilasciata in quell’ evento.
La soluzione ideale sarebbe realizzare una formatura degli impulsi, come illustrato in Figura II.2. Si osserva come si hanno tolto tutte le code degli impulsi, ma l’informazione sulle cariche Q, presente nelle altezze massime degli impulsi, non è stata alterata. La formatura è stata datta con l’oggeto di ridurre la lunghezza totale di ogni impulsi, mentre che la altezza rimane invariante.
Questo tipo di formatura del segnale è di solito effetuato nel amplificatore situato a valle del preamplificatore. Nel seguito si illustrarano le operazioni basiche di formatura utilizzate con l’impiego di reti analogiche, che danno luogo ai filtri passivi.
Figura II.2 Confronto con la catena di impulsi prima e dopo realizzare la formatura.
Questo tipo di filtro formatore è basato in reti elettrici, che con l’impiego di resistenze e condensatori, sono in grado di alterare a voglia la forma dell’impulso. Le due configurazioni basica sono: il filtro passa-basso e il filtro passa-alto. Entrambe sono definiti per la sua costante di tempo:
τ=RC
(II.1)
In Figura II.3 è illustrato la configurazione basica di un filtro passa-alto. La relazione tra la tensione in uscita e in ingresso può essere espressa dalla seguente formula:
Vout=QC+Vin
(II.2)
dove Q rappresenta la carica imagazzinata nel condensatore. Ora, se deriviamo rispetto dal tempo,
dVindt=1cdQdt+dVoutdt
(II.3)
Figura II.3 Configurazione basica di un filtro passa-alto.
dQdt=iRC= τVout=iR
(II.4)
Otteniamo
Vout+τdVoutdt=τdVindt
(II.5)
Allora, se il valore di τ è sufficientemente piccolo, di solito del ordine della centinaia di ns, l’equazione diventa
Vout≅τdVindt
(II.6)
Dunque, sempre che si abbia una costante di tempo τ sufficientemente piccola, il circuito illustrato in Figura, ha un segnale in uscita proporzionale a la derivata rispetto al tempo della forma dell’impulso in ingresso. Per questo i filtri passa-alto sono anche chiamati filtro RC differenziatori. La condizione per avere questo funzionamente sarà avere una costante di tempo minore che la durata dell’impulso in ingresso.
Nel caso opposto, se la costante di tempo è maggiore che la durata dell’impulso, nella formula (5) è il primo termino quello che può essere sprezzato. Dunque si ha alla fine che
Vout≅Vin
(II.7)
cioè, il filtro lascia passare il segnale in ingresso senza alterazioni.
Veddiamo ora quale sarebbe la forma dell’impulsi in uscita aspettabile nel caso di avere un filtro passa-alto a valle del preamplificatore. La salita veloce dell’impulso fino la sua altezza massima non verrà dunque alterata, mentre che la coda, di lunghezza temporale maggiore, verrà differenziata.
Per tempi brevi possiamo approssimare il segnale in uscita dal preamplificatore, e allora in ingresso dal filtro, ad un gradino di tensione di altezza A,
Vin(t)=A0 t≥0t<0
(II.8)
mentre che il segnale in ingresso
Vout=Ae-tτ
(II.9)
Nella Figura II.4 è illustrato l’andamento dei due segnali, dove possiamo vedere il fatto che si ha riuscito a togliere la coda dell’impulso in ingresso del filtro.
Figura II.4 Andamento dei segnali in ingresso e in uscita dal filtro passa-alto, con segnali in ingresso
a gradino.
II.3 Il filtro passa-basso
In Figura II.5 viene illustrato la configurazione basica del filtro passa-basso. Facendo un’analisi analogo a quello fatto con il filtro passa-basso, abbiamo che:
Figura 5.II Configurazione basica di un filtro passa-basso.
e dato che abbiamo che
i= dQdt=CdVoutdt
(II.11)
Allora
dVoutdt+1τVout=1τVin
(II.12)
Dunque, seguendo il raggionamento fatto con il filtro passa-alto, se la costante di tempo RC è sufficientemente grande rispetto la durata dell’impulso
e in caso contrario
Vout≅Vin
(II.14)
Analogamente ai filtri passa-alto, i filtri passa-basso vengono chiamati filtri CR integratori. Nella figura II.5 è illustrato come sarebbe in questo caso il segnale in uscita con un segnale in ingresso come gradino di tensione., la cui formula matematica sarebbe:
Figura II.5 Andamento dei segnali in ingresso e in uscita dal filtro passa-basso, con segnali in
ingresso a gradino.
II.4 Il filtro gaussiano
Come visto in Figura II.4, l’utilizzo di un filtro passa-alto ci permette ridurre la coda degli impulsi che escono dal preamplificatore. Nonostante, la forma del’impulso in uscita può presentare dei problemi nel suo analisi, dato che l’ampiezza massima dell’impulso è mantenuta per un brevissimo intervallo di tempo. Inoltre, l’utilizzo di soltanto un filtro passa-alto lasciarebbe passare tutto il rumore di alta frequenza.
Questi problemi possono essere risolti tramite a l’utilizzo di un filtro passa-basso a seguito del passa-passa-basso. Questa combinazione migliora le caratteristiche dei due filtri da soli, è ha un’ampio impiego nella formatura del segnale. In Figura II.6 è illustrato un esempio di questo filtro, chiamato di solito CR-RC. Si osserva la presenza di un amplificatore operazionale tra loro: le sue impedanze in ingresso e uscita (nel caso ideale, infinita all’ingresso e nulla a l’uscita) permettono che non si
Figura II.6 Configurazione basica di un filtro formatore CR-RC
Come fatto prima, possiamo calcolare il segnale in uscita avendo un gradino di tensione in ingresso. In questo caso, sarà la combinazione delle soluzioni trovate in (II.9) e (II.15):
Vout=Aτ1τ1-τ2e-tτ1-e-tτ2
(II.16)
Dove
sono le costante di tempo. Nella pratica è comune che le costanti di tempo abbiano lo stesso valore. In questa situazione l’equazione (II.16) diventa
Vout=Atτe-tτ
(II.18)
Con lo scopo di dimminuire la durata dell’impulso si possono aggiungere più stadi di integrazione RC. L’effetto sull’impulso in uscita è quello di fare la curva più simmetrica, in modo che, anche se il tempo di salita è maggiore, il tempo di discesa viene molto ridotto. Questo diviene molto importante nel fatto che riduce la possibilità di pile-up. Un’altro effetto giovevole è il fatto di migliorare l’attenuazione del rumore rispetto ai segnali veri.
In questo caso il segnale in uscita può essere espresso come
Vout=Atτne-tτ
(II.19)
dove n è il numero di stadi RC che segueno allo stadio CR. La forma del segnale in uscita, dato da (19) si assomiglia, al crescere n, alla funzione Gaussiana. Perciò, questi tipi di filtri (CR)-(RC)n vengono chiamati filtri gaussiani.
I fattori più importanti per la scelta della costante di tempo di formatura è il tempo neccessario per la raccolta di tutta la carica rilasciata nel rivelatore per ogni evento di radiazione, e il rateo di conteggio che si prevede durante la misura.
Rispetto al primo fattore, il tempo di formatura del segnale deve essere superiore a quello neccessario per la racolta delle cariche, che determina il rise time del segnale in uscita dal preamplificatore. Nel caso che siano comparabili, il segnale in uscita del filtro non tiene conto dell’ampiezza totale del segnale in ingresso, in modo che si ha una perdita, chiamata balistic deficit, del valore complessivo del segnale in ingresso. Allora, questo fattore ci portarebbe ad aumentare il tempo di formatura del filtro.
Nonostante, secondo il rate di conteggio, c’è una limitazione del valore della costante di tempo, dato che se essa fossi troppo grande, la possibilità di avere pile-up aumenta. Dunque, la costante di tempo di formatura viene definita come un compromesso tra questi due fattori.
Inoltre ci sono ulteriori effeti, come il fatto che il tempo di formatura del segnale influisce sul rumore presente nel segnale in uscita. Le contribuzioni in parallelo ed in serie del rumore possono essere monimizzati rispetto all’ampieza del segnale con un tempo di formatura ottimo. Allora, potrebbe essere interessante considerare questo effetto in quelle aplicazioni dove la risoluzione diventa importante, tali come l’impiego di rivelatori con alta risoluzione energetica, come ad esempio i rivelatori a semiconduttori, dove la riduzione del rumore nella spettrometria energetica diventa critica.
Capitolo III
Capitolo III
CARATTERIZZAZIONE
CARATTERIZZAZIONE
DELL’AMPLIFICATORE FORMATORE
DELL’AMPLIFICATORE FORMATORE
LOGARITMICO
LOGARITMICO
Nei capitoli anteriori sono stati introdotti i fondamenti teorici dell’amplificazione logaritmica e la formatura del segnale, sui quali si è stato disegnato l’amplificatore formatore logaritmico oggetto di studio di questo lavoro di tesi.
Prima della sua applicazione come elemento della catena di acquisizione di un rivelatore microdosimetrico bisogna conoscere il suo comportamento in un ambiente controllato. Sono stati fatti dunque dei approcci teorici, simulazioni e misure controllate nel Laboratorio di Elettronica.
In questo capitolo verrà spiegato il disegno del filtro formatore, seguendo i fondamenti teorici svolti nel Capitolo II, secondo le specificazioni si assume dovrà adempire. Tramite il suo analisi può essere teorizzato il suo comportamento, che verrà confrontato con quello simulato e ottenuto nelle misurazioni.
Oltre questo, si ottendrà la legge che relaziona la tensione in ingresso e in uscita dell’amplificatore logaritmico, basica per la sua calibrazione.
III.1 Disegno del filtro formatore
ADA4898-- Un ampio rango di tensione per il segnale in ingresso. - Rumore è distorsione introdotti molto basso.
- Gananzia unitaria stabile. - Alta velocità.
-In Figura III.1 è mostrato il diagrama di conessioni del operazionale ADA4898-2. Il fatto di avere in un singolo componente due amplificatori ci permette disegnare agevolmente un filtro con un zero e tre poli. Questa è la configurazione scelta, dato che inserendo strutture più complesse il filtro potrebbe dare problemi di inestabilità, limitando la toleranza con i valori dei componenti passivi contenenti del filtro (resistenze e condensatori).
Figura III.1 Diagrama di conessioni dell’amplificatore operazionale ADA4898-2.
In Figura III.2 è illustrato il disegno del filtro, la cui funzione di trasferenza, espressa nel dominio della frequenza, è:
VoutsVins=R2 R4R1
R3sC1R11+sC1R11+sC2R2(1+sC4R4)
(III.1)
I valori delle resistenze e i condensatori sono stati scelti seguendo due requisiti:
1. La attenuazione del segnale in ingresso deve essere in grado di avere in uscita una tensione massima di 3,5 V, dato che è la tensione massima con la quale può lavorare l’amplificatore logaritmico TL441. Si è ipotizzato che la tensione massima provenenti del preamplificatore sarebbe circa i 10 V.
Figura III.2 Schema circuitale del filtro formatore
Con queste condizioni i componenti pressi sono:
- R1 = 310 Ω (300 Ω + 10 Ω) - C1 = 390 pF - R2 = 470 Ω - C2 = 270 pF - R3 = 1300 Ω - R4 = 1200 Ω - C4 = 120 pF
III.2 Confronto tra la formula analitica e la simulazione con
LTSpice
Nel Laboratorio di Elettronica sono state presse delle simullazioni e misure per la caratterizzazione dell’uscita del amplificatore logaritmico. Siccome per le misure sarà uttilizzato un generatore di tensione con resistenza interna in uscita pari a 50 Ω, la resistenza R1 dovrà essere considerata pari a 360 Ω (310+50 Ω).
In primo luogo si hanno confrontato le curve a valle del filtro formatore secondo la formula teorica e la simulazione con lo LTSpice, nel caso in cui si ha all’ingresso un gradino di tensione pari a 1V. Siano le costanti di tempo:
- τ1 = R1·C1 = 140,4ns - τ2 = R2·C2 = 126,9ns - τ4 = R4·C4 = 144ns
Secondo la formula (III.1), l’espressione, nel dominio della frequenza, de la forma del impulso in uscita sarebbe:
Vouts= R2 R4R1 R3τ11+sτ11+sτ2(1+sτ4)
(III.2)
mentre che la sua espressione nel dominio del tempo, che si ottiene facendo l’antitrasformata di Laplace, sarà:
Vout=R2*R4R1*R3 *τ1* [τ1* tτ1Δτ21*Δτ41- τ2*
e-tτ2Δτ21*Δτ42+ τ4* e-tτ4Δτ41*Δτ42](
III.3)
dove
Δτ21=τ2-τ1Δτ41=τ4-τ1Δτ42=τ4-τ2
(III.4)
Come detto, il confronto è fatto con lo LTSpice, mettendo come segnale in ingresso un gradino di 1V con un rise time di 1 ns. In Figura III.3 sono confrontate le curve ottenute. Dove si osserva che le forme delle curve sono praticamente uguali, tranne piccole differenze. Se osserviamo la posizione e altezza dei massimi abbiamo che:
MASSIMI Tensione (mV) Tempo (ns) Simulazione 332,4 284
Formula 332,5 276
Tabella III.1 Confronto tra l’ampiezza e posizione temporale dei massimi in uscita del filtro formatore
per una tensione in ingresso pari a 1 V, ottenuti tramite la simulazione con il LTSpice e la formula analitica.(III.3)
Queste differenze sono giustificati per il fatto che nella formula si considera ideale il comportamento del amplificatore operazionale ADA4898-2. Inoltre, si noti che la durata dell’impulso è circa pari ai 1,5 µs.
Figura III.3 Rappresentazione della forma dell’impulso in uscita del filtro formatore con un segnale in
ingresso pari ad un gradino di 1V. In rosso la curva ottenuta tramite la formula matematica ottenuta (3) e in verde quella ottenuta con la simulazione dello LTSpice.
Visto i valori delle costanti di tempo del filtro si potrebbe considerare la possibilità di considerare che hanno stesso valore, come cercato nel disegno del filtro. Questo potrebbe essere interesante nel fatto che così si ha una formulazione dell’uscita molto più semplice, tanto in frequenza
Vout=K sτ1+sτ3
(III.5)
come in tempo
Vout=K*tτ2*e-tτ
(III.6)
dove K e τ sono costanti indeterminate. Queste si possono tirare fuori tramite un metodo iterativo cercando di avere il massimo con le stesse altezza e posizione temporale che quello nella simulazione con lo LTSpice. Infatti, con K = 1,228 V e τ = 141 ns si ha che:
MASSIMI Tensione (mV) Tempo (ns) Simulazione 332,4 284
Approssimazione 332,4 283
Tabella III.2 Confronto tra l’ampiezza e posizione temporale dei massimi in uscita del filtro formatore
per una tensione in ingresso pari a 1 V, ottenuti tramite la simulazione con il LTSpice e la formula analitica approssimativa.(III.6)
e dunque, da questo, oltre le forme delle curve illustrate in Figura III.4, si vede che l’approssimazione fatta ha bontà sufficiente.
Figura III.4: Rappresentazione della forma dell’impulso in uscita del filtro formatore con un segnale in
ingresso pari ad un gradino di 1V. In rosso la curva ottenuta tramite la formula matematica approssimativa (5) con K = 1,228 V e τ = 141 ns e in azzurro quella ottenuta con la simulazione dello LTSpice.
III.3 Confronto tra la formula analitica e la curva ottenuta con
l’oscilloscopio
Per il confronto di quello fatto fino adesso e le curve ottenute all’oscilloscopio si è utilizzato un generatore di tensione collegato alla rete. Con esso si ha alimentato il filtro formatore con un segnale di onda cuadra che, nelle vicinanze a una delle sue salite può verosimigliare un gradino. L’uscita del filtro si è collegato ad uno scilloscopio che ci fornisce la forma de la curva, con il quale, tramite il programma ScopeExplorer, è creato un file con le coppie di punti tensione-tempo che formano le curve, con il quale poter lavorare.
Prima di iniziare a lavorare con le curve ottenute dell’ oscilloscopio, bisogna fare una traslazione per avere l’inizio della curva nell’ origine, tanto in tempo come in tensione.
In primo luogo, per stabilire l’origine della tensione, e dato che il rumore è un fenomeno stocastico di media nulla, si è presso un pezzo di segnale sufficientemente lontano dalla salita del segnale in uscita in modo di essere sicuri che non contiene
parte dell’uscita all’impulso. Poi, si è calcolato la media, il quale viene sottrato alla resta dei punti.
Per fissare l’asse temporale, studiamo la forma della curva nell’inizio della salita. Si considerarà che l’inizio temporale è nel suo paso per tensione nulla (con l’asse di tensione già correto) prima di allontanarsi sufficientemente da non considerarlo rumore. In Figura III.5 è illustrato la traslazione fatta.
Una volta sistemati gli assi possiame fare il confronto tra l’approssimazione gaussiana ottenuta, (III.6), e la curva pressa dal’oscilloscopio, le cui curve sono illustrate in Figura III.6. In quel grafico si può vedere la presenza di differenza tra le due curve.
Figura III.5 Dettaglio dell’origine della curva del segnale in uscita dal filtro formatore, prima e dopo da
fare la traslazione per stabilire l’origine di tensione e tempo.
Figura III.6 Rappresentazione delle forma dell’impulso in uscita del filtro formatore con un segnale in
ingresso pari ad un gradino di 1V. In azzurro la curva ottenuta tramite la formula matematica approssimativa (5) con K = 1,228 V e τ = 141 ns e in rosso quella ottenuta dall’oscilloscopio.
In Figura III.6 si può vedere la presenza di differenze tra la curva pressa dal oscilloscopio (reale) e quella dissegnata con la formula approssimativa (III.6) che possono essere riassunte in:
1. Presenza di oscillazioni nella curva reale nei tempi vicini allo zero, attorno i 13 nanosecondi.
2. Salita e discesa più veloce nella curva reale che nella quale simulata. 3. Altezza maggiore del massimo nella curva reale.
Queste differenze sono causate dal proprio discostamento del comportamento reale degli amplificatori lineari ADA4898-2 da quello simulato con lo LTSpice. Si può nonostante fare ancora uttilizzo della formula approssimativa (III.6) con altri valori di K e τ, che vengono calcolati, come fatto prima, in modo iterativo, cercando di avere il massimo con la stessa ampiezza e posizione temporale. In questo modo si hanno trovato i seguenti valori:
In Figura III.7, dove sono illustrate la curva reale e quella ottenuta con la nuova formula approssimativa, si può comprobare che questa approssimazione ha buona bontà.
Figura III.7 Rappresentazione delle forma dell’impulso in uscita del filtro formatore con un segnale in
ingresso pari ad un gradino di 1V. In azzurro la curva ottenuta tramite la formula matematica approssimativa (III.3) con K = 1,285 V e τ = 127 ns e in rosso quella ottenuta dall’oscilloscopio.
Rispetto alle oscillazione, diventa importante lo studio della sovra elongazione, ovvero, il rapporto, in valore assoluto, di ampiezze tra il massimo della curva e il minimo (dato che hanno ampiezza negativa) delle oscillazioni:
Massimo dell’impulso: 347,9 mVMassimo delle oscillazioni: -5,02 mV Rapporto = 0,014
Dunque al primo sguardo le oscillazioni sembrano non essere significative, nonostante, dato che poi il segnale viene amplificato seguendo una legge logaritmica, le differenze in ampiezza saranno minore. Allora si dovrà studiare il loro effetto sul segnale in uscita dall’amplificatore logaritmico.
III.3 Studio del comportamento del filtro formatore con segnali in
ingresso con diverse ampiezze
Una volta si è caratterizzata il segnale in uscita del filtro formatore si studiarà il suo comportamento al variare l’ampiezza del segnale in ingresso. In Figura III.8 sono illustrate le curve ottenute dall’oscilloscopio variando l’ampiezza in ingresso da
300mV fino i 10V, rango entro il quale si sono definite le condizioni di lavoro una volta sia accopiato alla coppia rivelatore e preamplificatore.
Figura III.8 Segnali in uscita dal filtro formatore per ingressi di tipo gradino, con diverse ampiezze.
Le ampiezze e posizioni temporali dei massimi ottenuti sono riportati nella seguente tabella:
Vin(mV) Ampiezza(V) Tempo (ns)
300 0,1037 260 450 0,1565 260 600 0,2083 255 750 0,2683 259 1000 0,3479 254 1250 0,4288 259 1500 0,5155 256 2000 0,6850 258 3000 1,0285 256 4000 1,3658 260 6000 1,9813 272 8000 2,5433 284 10000 3,0322 286
Tabella III.3 Ampiezza e posizione temporale del massimo del segnale in uscita dal filtro formatore
per diverse ampiezze del segnale a gradino in ingresso.
Dall’analisi di questi valori si osserva che i massimi si trovano attorno i 0,26µs tranne i massimi per segnali in ingresso con ampiezze maggiore di 6V. Inoltre si ha una perdita di proporzionalità con l’aumento della tensione in ingresso. Nella tabella seguente si mostrano le ampiezze dei massimi reali, e quelli che sarebbero proporzionali (partendo dall’altezza del massimo reale per un gradino in ingresso di 1V):
450 0,1565 0,1566 0,006% 600 0,2083 0,2087 0,15% 750 0,2683 0,2609 2,8% 1250 0,4288 0,4235 1,2% 1500 0,5155 0,5218 1,2% 2000 0,6850 0,6958 1,6% 3000 1,0285 1,0437 1,5% 4000 1,3658 1,3916 1,9% 6000 1,9813 2,0874 5% 8000 2,5433 2,7832 9% 10000 3,0322 3,4791 13%
Tabella III.4 Confronto tra le ampiezze del segnale in uscita dal filtro formatore per diverse ampiezze
del gradino in ingresso, e quelle che teoriche ottenute per proporzionalità con l’ampiezza del segnale in uscita per un gradino in ingresso pari a 1V
Il comportamento anomalo per tensioni in ingresso sopra i 6V è dovuto al fatto che, per questi livelli di tensioni il primo amplificatore operazionale ADA4898 si è saturato per un piccolo intervallo di tempo. Infatti, la simulazione con lo LTSpice dell’uscita di quell’amplificatore ci mostra che la variazioni in uscita della tensione è, nei primi istanti, più veloce che lo slew rate dell’amplificatore ADA4898, pari a 55 V/µs, come mostrato in Figura III.8.
Figura III.8 Detagglio della tensione in uscita dal primo amplificatore ADA4898 nei primi istanti per
una tensione in ingresso pari a 10V. La linea punteggiata in rosso mostra lo slew rate.
III.3 Caratterizzazione dell’uscita dell’amplificatore logaritmico
Una volta si è analizzata la risposta del filtro formatore, si è fatto un’analisi su quella del amplificatore logaritmico. In Figura III.9 veddiamo la forma del segnale in uscita per un segnale in ingresso di tipo gradino con una ampiezza di 1V. Si noti che l’amplificazione secondo una legge logaritmica provoca un’aumento del rapporto tra la massima ampiezza dell’impulso e quella del rumore. Nonostante, il margine ancora è grande da permettere l’uttilizzo dell’amplificatore. Inoltre, si noti come le oscillazioni nei primi istanti dell’impulso non generano ulteriori problemi.
Figura III.9 Forma del segnale in uscita dell’amplificatore logaritmico per un segnale in ingresso di
tipo gradino con un’ampiezza pari a 1V.
Dopo stabilire gli assi come fatto con il segnale in uscita del filtro formatore, si può studiare il comportamento dell’amplificatore logaritmico per diversi tensioni in ingresso. In Figura III.10 ci sono illustrati le forme delle curve. Viene anche mostrata una tabella con l’altezza e posizione temporale dei massimi:
Vin(mV) Ampiezza(V) Tempo (ns) 300 1,9904 395 450 2,0445 399 600 2,1358 397 750 2,161 395 1000 2,2361 389 1250 2,2929 392 1500 2,3403 397 2000 2,4067 402 3000 2,4936 409 4000 2,5602 412 6000 2,6481 426 8000 2,7028 440 10000 2,7375 462
Tabella III.4 Ampiezza e posizione temporale del massimo del segnale in uscita dal amplificatore
formatore logaritmico per diverse ampiezze del segnale a gradino in ingresso.
Si noti che lo sfasamento tra i massimi tra gli impulsi in uscita dal filtro e in uscita dall’amplificatore è attorno i 0,15 µs; mentre che la durata dell’impulso è pari circa i 2 µs.
Figura III.10 Segnali in uscita dell’amplificatore logaritmico per diversi tensioni in ingresso.
Per ultimo si stabilirà la legge che relaziona l’ampiezza del gradino in ingresso del blocco filtro+amplificatore con l’ampiezza del segnale in uscita. Siccome l’amplificazione è logaritmico essa sarà data di una legge definita come:
Vout=K logVinVref
(III.7)
dove K ci da la pendeza della retta che relaziona la tensione in ingresso e quella in uscita in scala semilogaritmica, si noti che il suo valore dipende dalla base del logaritmo scelta, e la tensione di riferimento è il valore della tensione in ingresso per il quale si ha tensione nulla in uscita. Questi valore sono tirati fuori facendo il fitting della curva data per il logaritmo della tensione in ingresso e quella in uscita, illustrato in Figura III.11. Dall’equazione del grafico si possono tirare fuori i parametri dell’equazione (III.7):
- K = 511,91 mV/dec - Vref = 0,0415 mV
Figura III.11 Grafico delle tensione in ingresso e uscita in scala semilogaritmica. I punti si hanno
interpolato con una funzione logaritmica, la cui espressione è sul grafico.
I parametri ottenuti ci permettono conoscere legare la tensione in ingresso e in uscita in qualunque situazione. Cioè, sono le costante di calibrazione dell’amplificatore formatore logaritmico
Capitolo IV
Capitolo IV
CONFRONTO SPERIMENTALE TRA
CONFRONTO SPERIMENTALE TRA
AMPLIFICATORI FORMATORI LOGARITMICO
AMPLIFICATORI FORMATORI LOGARITMICO
E LINEARE
E LINEARE
Nel capitolo precedente è stato descritto il disegno e il comportamento dell’amplificatore logaritmico simulando il segnale presso del rivelatore come un impulso a gradino tramite un generatore di segnali.
I resultati ottenuti hanno permesso di formulare una relazione tra il segnale in ingresso e quello in uscita, e per tanto, avere una calibrazione a priori dell’amplificatore logaritmico.
In questo capitolo saranno descritte le differenze tra i segnali in uscita di amplificatori logaritmico e lineare, e le sue consequenze sui diversi spettri, osservate tramite a l’utilizzo sperimentale di entrambi amplificatori colegati ad un rivelatore microdosimetrico detto telescopio monolitico a pixel singolo al silicio (vedi Appendice A). Tale rivelatore sarà irragiato con delle particelle α emesse nel decadimento di una sorgente di 241Am.
A questo scopo verrà utilizzato un discretizzatore digitale, invece del solito analizzatore multicanale, detto PicoScope 4424, il cui funzionamento e vantaggi saranno brevemente spiegate.
L’irradiazione è stata effettuata esponendo il sistema di rivelazione basato sul telescopio al silicio monopixel con radiazione α emessa da una sorgente di 241Am. La
catena elettronica impiegata durante tale attività è illustrata in Figura IV.1.
Figura IV.1 Schema della catena elettronica di acquisizione
Lo stadio E è stato polarizzato a una tensione di circa 150 V e lo stadio ΔE è stato posto a massa, mentre lo stadio o intermedio comune p+ è stato in questo caso polarizzato ad una tensione nominale di -9 V. Il segnale in uscita generato nello stadio ΔE viene preamplificato prima degli amplificatori formatori, mentre che lo stadio E non si è collegato in uscita.
Il segnale in uscita del preamplificatore dello stadio ΔE è inviato parallelamente all’amplificatore formatore logaritmico oggetto di studio di questa tesi, e a un modulo commerciale Ortec 672, dove il segnale viene amplificato linearmente.
I segnali in uscita degli amplificatori sono stati inviati ad un digitalizzatore commerciale veloce, denominato PicoScope 4424 e prodotto dalla Pico Technology. Tale strumento è in grado di campionare contemporaneamente 4 segnali applicati ai 4 ingressi disponibili ad una frequenza di campionamento massima di 20 MS/s da 12
bit. Tale frequenza di campionamento permette di acquisire, senza perdita di informazione, segnali nucleari con tempi di picco maggiori di 200 nanosecondi.
Il grande vantaggio associato alla possibilità di acquisire direttamente il segnale di origine e di conservare l’intera sua forma è quello di poter analizzare nel dettaglio, on-line oppure off-line, la forma d’onda campionata in modo da ottimizzare la procedura di selezione e discriminazione. La possibilità di salvare e conservare l’intero dato originale permette inoltre di applicare a posteriori un’ampia varietà di possibili elaborazioni, di correggere eventuali errori di elaborazione, di controllare l’insorgenza di problemi o disturbi nella catena.
La parte di software relativa all’acquisizione sfrutta librerie fornite da Pico Technology per dialogare con l’oscilloscopio. Grazie ad esse è possibile impostare:
• il numero di canali di acquisizione, fino a 4, come nel caso in oggetto in quanto sono stati acquisiti anche i segnali in uscita dai preamplificatori;
• i range di tensione su cui acquisire per ognuno dei canali;
• la frequenza di campionamento;
• il canale che funge da trigger per l’acquisizione, il corrispondente valore di soglia, il tempo di attesa prima di azionare il trigger in automatico anche senza il superamento della soglia impostata;
• il numero di campioni costituenti la forma d’onda acquisita in caso di azionamento del trigger, e la percentuale di tali campioni acquisiti prima dell’evento di superamento della soglia (pre-trigger);
• il numero di segmenti nei quali suddividere il buffer di memoria dell’oscilloscopio.
IV.2 Analisi del segnale
Prima dell’ottenzione degli spettri, è stato fatto un analisi della forma del segnale in uscita degli amplificatori, i quali vengono illustrati in Figura IV.2
0 200 400 600 2 − 0 2 4 6 Logaritmico Lineare Tempo (microsecondi) Te ns io ne (V )
Dalla forma dei segnali possono essere tirate fuori due conclusioni. In primo luogo, l’amplificazione logaritmica ci permette salvare l’informazione sull’energia rilasciata nel rivelatore in un minore intervallo di tensione. Si osserva che l’altezza dei picchi del segnale logaritmico prendono valori di tensioni attorno un intervalo tra 1 V e 3 V. Nel lineare nonostante, i segnali bassi hanno ampiezze vicine ai 100 mV, mentre che quelli più alti possono superare i 4 V.
La seconda conclusione tuttavia non risulta favorevole per l’amplificatore logaritmico. Confrontando il suo segnale con quello del lineare, si vede che l’ampiezza del rumore è abbastanza più alto. Ciò ci da un’idea di una possibile limitazione dell’impiego dell’amplificazione logaritmica.
IV.3 Acquisizione dei dati
La acquisizione è stata fatta con un valore di soglia del trigger all’uscita dell’amplificatore logaritmico di 900 mV, con pre-trigger pari al 30% dei campioni, il quali sono stati presso con una frequenza data da 10 MS/s. Per quanto riguarda all’amplificatore lineare, si è impostata una soglia di ricerca di 15 mV, con un tempo massimo di coincidenza pari a 8 µs. Si noti che le soglie sono state impostate attorno il valore minimo di ampiezza che ci permette avere una fiduzia quasi dal cento per cento di non accetare nessun evento di rumore elettronico. I valori delle ampiezze sono state discretizzate su 4000 canali per un range di 5 V, dunque la risoluzione ottenuta è data da 1,25 mV per canale.
IV.4 Interpretazione degli spettri ottenuti
Il sistema di rivelazione è stato irragiato con particelle α emesse di una sorgente di 241Am al Laboratorio di Misure Nucleari del CeSNEF in una sola sessione
di circa 2 ore. Nelle Figura IV.3 e IV.4 sono illustrati gli spettri ottenuti, confrontati nello scatter plot in Figura IV.5.
0 1 10× 3 2 10× 3 3 10× 3 4 10× 3 0 0.01 0.02 0.03 0.04
Logaritmico
CanaliFigura IV.3 Spetro delle ampiezze del segnale in uscita dell’amplificatore logaritmico, normalizzato al
numero totale dei picchi registrati.
0 1 10× 3 2 10× 3 3 10× 3 4 10× 3 0 5 10× −3 0.01 0.015 Lineare Canali
Figura IV.4 Spettro delle ampiezze del segnale in uscita dell’amplificatore lineare, normalizzato al
0 1 1 0× 3 2 10× 3 3 1 0× 3 4 10× 3 8 0 0 1 10× 3 1 .2 10× 3 1 .4 10× 3 1 .6 10× 3 1 .8 10× 3 Linea re Lo ga rit mi co
Figura IV.5 Scatter plot delle ampiezze dei segnali in uscita dell’amplificatore lineare e quello
logaritmico.
Si osservi che lo scatter plot segue in modo approsimato una funzione (linea tratteggiata in azzurro in Figura IV.5) data da:
fx=450·logx
(IV.1)
Veddiamo oltre che l’amplificatore soltanto ha usato circa 1000 canali dei 4000 disponibili, dato che il suo spettro inizia nel canale 720, che corrisponde alla tensione di soglia di 900 mV (si ricordi che i 4000 canali corrispondono ad un range di 5 V) e finisce circa il 1700, il quale corrisponde a 2,125 V. Dall’altra parte, l’amplificatore lineare cominzia nel canale 18 (25 mV) ed utilizza tutti i canali. Questo ci da un’idea sulla potenzionalità dell’amplificatore logaritmico per comprimire l’informazione.
Nonostante, nello scatter plot (Figura IV.5) si può osservare che ci sono dei punti con diverse ampiezze per l’amplificatore logaritmico, con ampiezza nulla per il lineare. Questi non sono dei veri impulsi, ma impulsi “rimbalzati” dello stadio E, che nel caso di particelle α che hanno rilasciato una quantità elevata di energia,
negativa in uscita dell’amplificatore lineare, non sono però distinguibili degli impulsi veri in uscita del logaritmico, e possono avere ampiezze sufficiente per superare la soglia di accetazione ed essere considerati impulsi veri, si vedi Figura IV.6
Figura IV.6 Dettaglio del segnale in uscita dell’amplificatore logaritmico (verde) e quello lineare
(azzurro). Si osservi la presenza di un impulso vero attorno i 110 µs, ed un impulso “rimbalzato” attorno i 10 µs.
Capitolo V
Capitolo V
CALIBRAZIONE DELLO SPETTRO OTTENUTO
CALIBRAZIONE DELLO SPETTRO OTTENUTO
CON L’AMPLIFICATORE LOGARITMICO
CON L’AMPLIFICATORE LOGARITMICO
Nel capitolo precedente è stato descritto il sistema di acquisizione tramite il discretizzatore digitale PicoScope 4424. Inoltre, si hanno analizzato le differenze tra i segnali in uscita degli amplificatori logaritmico e lineare.
In questo capitolo si applicarà la legge di calibrazione ottenuta nel Capitolo III allo spettro ottenuto, che ci permettrà da confrontare direttamente gli spettri ottenuti con i due tipi di amplificatori, dove per il segnale amplificato linearmente si è presso quello un uscita del filtro formatore
Gli spettri sono ottenuti con l’irragiamento α del rivelatore con una sorgente di
241Am. Inoltre, verrano descritti le procedure che si applicano agli spettri ottenuti
tramite amplificazione lineare per ottenergli in scala semilogaritmica.
VI.1 Set-up sperimentale e sistema di acquisizione digitale
Come fatto nel capitolo in precedenza, l’irradiazione con particelle α è stata fatta con una sorgente di 241Am. Invece, la catena elettronica è stata diversa, in modo
formatore accopiato all’amplificatore logaritmico, e del amplificatore logaritmico stesso, come viene mostrato in Figura VII.1.
Figura VI.1 Schema della catena elettronica di acquisizione
VI.2 Acquisizione dei dati
La acquisizione è stata fatta con un valore di soglia del trigger all’uscita dell’amplificatore logaritmico di 750 mV, con pre-trigger pari al 30% dei campioni, il quali sono stati presso con una frequenza data da 10 MS/s. Per quanto riguarda all’amplificatore lineare, cioè, l’uscita del filtro formatore, si è impostata una soglia di ricerca di 25 mV, con un tempo massimo di coincidenza pari a 8 µs. I valori delle ampiezze sono state discretizzate su 4000 canali per un range di 5 V, dunque la risoluzione ottenuta è data da 1,25 mV per canale.
La misura è stata svolta in una sola sessione di circa 2 ore, pressa al Laboratorio di Misure Nucleari del CeSNEF con una sorgente di 241Am. Nelle Figura
Figura VI.2 Spetro delle ampiezze del segnale in uscita dell’amplificatore logaritmico, normalizzato al
numero totale dei picchi registrati.
Figura VI.3 Spetro delle ampiezze del segnale in uscita dell’amplificatore lineare (filtro formatore)
Figura VII.4 Scatter plot delle ampiezze dei segnali in uscita dell’amplificatore lineare e quello
logaritmico. La linea tratteggiata in azzurro rappresenta la funzione (2) ricavata.
Come fatto prima, lo scatter plot (Figura VII.4) può essere approssimato ad una funzione logaritmica. Nonostante, in questo caso, dalla caratterizzazione dell’amplificatore logaritmico fatta nel Laboratorio di Elettronica, questa relazione può essere tirata fuori analiticamente. Nel Capitolo II si è trovato che l’espressione che relaziona le ampiezze in ingresso del filtro formatore ed in uscita dell’amplificatore logaritmico viene data da:
Vout=K logVinVref
(1)
dove:
- K = 511,91 mV/dec - Vref = 0,0415 mV
Dalla relazione tra i numeri di canali e tensione (ogni canale rappresenta un intervallo di 1,25 mV) queste costanti possono essere espresse come:
- Cref = 0,0332
Bisogna fare un’ulteriore cambiamento, dato che l’espressione (1) relaziona le ampiezze in ingresso del filtro formatore ed in uscita dell’amplificatore logaritmico, mentre che nello scatter plot si confrontano le ampiezze in uscita del filtro e l’amplificatore. Bastarà soltanto moltiplicare Vin per un fattore che relaziona l’ampiezza del gradino in ingresso del
filtro, e l’ampiezza della funzione gaussiana in uscita. Dalle prove fatte al Laboratorio di Elettronica abbiamo che è pari a 0,348. Allora l’espressione che si ottiene è:
Clog=Kc log0,348*ClinCref
(2)
In Figura VII.4 è illustrato lo scatter plot delle ampiezze dei segnali in uscita dei due amplificatori. Si noti come l’espressione ottenuta segue il profilo abbastanze benne, salvo di avere valori di Clog leggermente superiori. Questo può essere giustificato per piccole
differenze tra la tensione di offset nell’amplificatore logaritmico nelle misure al Laboratorio di Elettronica e al Laboratorio di Misure Nucleare del CeSNEF.
VII.3 Elaborazione degli spettri
Dalle Figure VII.2 e VII.3 si vede che non è possibile un confronto diretto tra gli spettri logaritmico e lineare; bisogna dunque trattare lo spettro dell’amplificatore lineare. In realtà, le trasformazioni fatte a seguito sono delle operazioni effetuate su qualche spettro lineare, dato che le misure microdosimetriche sono espresse in scala logaritmica.
Anzitutto verrano tolti quelli impulsi “rimbalzati” studiati nel Capitolo VI, che danno luego ad impulsi di diverse ampiezza nel logaritmico, senza registrarsi impulso nel canale del lineare (si valuta come un impulso di ampiezza nulla).
Una volta pulito lo spettro lineare, l’operazione da fare di seguito è chiamata rebinning, e consiste nel cambiare la larghezza dei canali. Questo viene neccessario dal fatto che non basta fare il logaritmo, tramite la funzione (2) ricavata sopra, per il fatto che i canali degli spettri logaritmico e lineare non rapressentano gli stessi intervalli di tensioni per il segnale in ingresso. Il rebinning è stato fatto tramite programazione nell’entorno MathCad.
Un ulteriore passaggio, per poter conservare il significato dell’area sottesa a tale spettro, deve essere applicato allo spettro lineare:
1. Sia f(x) lo spettro lineare in scala lineare, rappresentando come dx la larghezza del singolo canale, l’area sottesa tra due valori generici è pari a:
x1x2fx*dx
(3)
2. Sia f’(x) lo spettro lineare sul quale si è fatto il rebinning, dunque la larghezza del singolo canale è pari a d(log(x)). L’area sottesa tra gli stessi valori usati in (3) sarà pari a:
x1x2f'x*dlog(x)
(4)
Si può dimostrare che le aree coincidono se f’(x) = ln 10 · x · f(x)
VII.4 Confronto dei spettri in scala logaritmica
Una volta è fatta la trasformazione dello spettro lineare possiamo rapressentare tutti due insieme, come illustrato in Figura VII.5.
Figura VI.5 Spettri delle ampiezze dei segnale in uscita dell’amplificatore lineare (rosso) e logaritmico
(azzurro).
Dal confronto degli spettri si osserva la validità della legge di calibrazione derivata di quella ottenuta nel Capitolo III. Si vede comunque che, come si poteva prevedere dall’anilisi dello scatter plot, si ha un maggior fitting per gli impulsi con ampiezza maggiore.
Capitolo VI
Capitolo VI
IRRADIAZIONE CON PARTICELLE DI BASSO
IRRADIAZIONE CON PARTICELLE DI BASSO
LET
LET
In questa sperimentazione, l’irradiazione è stata effettuata esponendo il sistema di rivelazione basato sul telescopio al silicio monopixel con radiazione a basso LET (particelle β-) emesse da una sorgente di 137Cs. La catena elettronica impiegata è quella utilizzata nel
Capitolo VI per particelle α (Figura VIII.1) in cui arrivano al digitalizzatore PicoScope 4424 i segnali in uscita dell’amplificatore logaritmico e quello lineare, modulo comerciale Ortec 672. L’impiego di un amplificatore lineare esterno, invece del proprio filtro formatore viene giustificato dal fatto che le particelle a basso LET rilasciano poca energia nello stadio ΔE. Dunque si ha neccessità di amplificare il segnale in uscita dal preamplificatore con un grande guadagno.
Figura VIII.1 Schema della catena elettronica di acquisizione
VIII.2 Analisi del segnale
Come fatto con le particelle α, bisogna prima di lavorare con gli spettri dare un’occhiata ai segnali in uscita degli amplificatori, illustrati in Figura VIII.2
Figura VIII.2 Forma dei segnali in uscita degli amplificatori.
Nel capitolo VI si è stato comprobato come l’amplificatore logaritmico riesce a comprimire l’informazione sul segnale entrate in un minore intervallo di tensione. Quello che potrebbe risultare interessante nel caso delle particelle α, presenta dei problemi con le particelle a basso LET. Data la scarsa energia rilasciata, l’impulso non presenta una grande altezza, e la relazione tra ampiezza dell’impulso e quella del rumore viene dimminuita, sopratutto nel caso di amplificazione logaritmica.
A questo fenomeno viene associato due problematiche, la prima riguarda al fatto di impostazione della soglia di accettazione, dove sarà neccessario una grande precisione per evitare allo stesso tempo non accetare come impulso il rumore elettronico, e rifiutare il minor numero di impulsi perchè non hanno superato la soglia.
L’altra problematica riguarda alla deviazione statistica dell’altezza dell’impulso per effetto del rumore, siccome quanto minore è l’altezza del segnale in uscita dovuta all’impulso in ingresso, maggiore sarà la frazione dovuta alla fluttuazione che caratterizza il rumore. Questo si nota nel peggioramento della risoluzione.
La acquisizione è stata fatta con un valore di soglia del trigger all’uscita dell’amplificatore logaritmico di 750 mV, con pre-trigger pari al 30% dei campioni, il quali sono stati presso con una frequenza data da 10 MS/s. Per quanto riguarda all’amplificatore lineare, si è impostata una soglia di ricerca di 50 mV, con un tempo massimo di coincidenza pari a 8 µs. . I valori delle ampiezze sono state discretizzate su 4000 canali per un range di 2 V, dunque la risoluzione ottenuta è data da 0,5 mV per canale.
VIII.4 Interpretazione degli spettri ottenuti
La misura è stata svolta irragiando il rivelatore con particelle β- procedenti del
decadimento di una sorgente di 137C. L’irradiazione è stata fatta in una sola sessione di circa
14 ore, pressa al Laboratorio di Misure Nucleari del CeSNEF. Nelle Figure VIII.3 e VIII.4 sono illustrati gli spettri ottenuti.
Figura VIII.3 Spettro delle ampiezze del segnale in uscita dell’amplificatore lineare, normalizzato al numero
Figura VIII.4 Spetro delle ampiezze del segnale in uscita dell’amplificatore logaritmico, normalizzato al
numero totale dei picchi registrati.
Si è fatto evidente una delle problematiche associate alla scarsa altezza dell’impulso in uscita dell’amplificatore logaritmico: dei 4000 canali disponibili, associati ad un intervallo di tensione pari a 2 V, più di un terzo si trovano sotto soglia e dunque non hanno registrato nessun impulso. Se confrontiamo i due spettri si vede la perdita di informazione del profilo dell’energia rilasciata nel logaritmo, mentre che nel lineare non è successo questo problema.
Il secondo problema si visualizza meglio con lo scatter plot, illustrato in Figura VIII.5. Osserviamo come per ampiezze elevate la distribuzione delle coppie delle altezze dei due amplificatore sembra eseguire una funzione logaritmica abbastante benne. Ma, in tanto consideriamo le coppie con minori altezze, queste diventano più disperse tra loro, e la funzione logaritmica “si apre”. Si è stato, dunque, visto sperimentalmente l’incremento della deviazione tipica dell’ampiezza del segnale in uscita del logaritmico per effetto del rumore.
Inoltre, l’analisi dello scatter plot evidenzia un altro fenomeno non pronosticato, ma visto negli spettri ottenuti con irradiazione α, la presenza di impulsi in uscita del logaritmo con diverse altezze, non corrispondenti con nessun impulso in uscita del lineare (i punti
sull’asse di ordinate). Anche il risultato sia simile a quello con gli α, studiato nel Capitolo VI, questi impulsi hanno un origine totalmente diverso negli spettri ottenuti con irradiazione β-. In
questo caso gli impulsi sono semplicemente picchi di rumore elettronico, che sono stati riusciti a superare la soglia.
Figura VIII.4 Scatter plot delle ampiezze dei segnali in uscita dell’amplificatore lineare e quello logaritmico.
La linea tratteggiata in azzurro una funzione logaritmica data da f(x) = 1150 · log(x) - 1530
In conclusione, la scelta della soglia ad impostare diventa un compromesso tra la perdita di informazione rispetto a quello che accade per energie basse, e la perdita di risoluzione ed eventuale accettazione di impulsi che però sono dovuti al rumore elettronico.
VIII.5 Elaborazione e confronto degli spettri ottenuti
Per il confronto degli spettri, in scala logaritmica, si deve realizzare le trasformazioni sullo spettro lineare come fatto per l’irradiazione α. Questo viene riassunto nei seguenti passaggi:
1. Eliminazioni degli impulsi falsi, dovuti al rumore, presenti con diverse ampiezze nello spettro logaritmico, e nulla in quello lineare.
2. Rebinning dei canali dello spettro lineare.
Una volta completati questi passaggi, dovviamo caratterizzare la relazione tra le ampiezze dei segnali in uscita dell’amplificatore lineare e quello logaritmico. Siccome questa volta non è stato usato il filtro formatore, non può essere usata la formula ricavata per gli α. Invece, si è presso una funzione logaritmica che sia in grado di garantire una buona assomiglianza con l’andamento dello scatter plot, la funzione scelta è stata (vedi Figura VIII.4):