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Alzheimer e Neuroinfiammazione: confronto di biomarcatori in Plasma, Siero e Linfociti

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Biologia

Corso di laurea in Biologia Applicata alla Biomedicina

Tesi di Laurea

“Alzheimer e Neuroinfiammazione: confronto di biomarcatori

in plasma, siero e linfociti”

Candidata: Relatori:

Maria Fausta Pontrandolfi Dott.ssa Renata Del Carratore

Dr. Paolo Bongioanni

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INDICE

RIASSUNTO

ABBREVIAZIONI

1. INTRODUZIONE

1.1 La Malattia di Alzheimer: clinica e diagnosi

1.2 Eziologia

1.2.1 APP e biogenesi di Aβ

1.2.2 Fibrille β - Amiloide

1.2.3 L'allele ɛ4 del gene dell'apolipoproteina E

1.2.4 Proteina Tau e Grovigli neurofibrillari

1.3 Criteri diagnostici

1.4 Epidemiologia

1.5 La Neuroinfiammazione

1.5.1 Microglia ed astrociti

1.5.2 Il reclutamento dei linfociti

1.5.3 Linfociti

1.5.4 Approfondimento sulle sottopopolazioni dei linfociti T

1.5.5 I linfociti come biomarcatori periferici

1.5.6 I linfociti ed il cross-talk

1.5.7 I linfociti T e la barriera ematoencefalica (BBB)

1.5.8 I linfociti T e la barriera ematoliquorale (BCSFB)

1.6 Infezione e Neuroinfiammazione

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1.7.1 Le proteine 2’-5’ oligoadenilato sintetasi (OAS)

1.8 I microRNA: definizione e biogenesi

1.8.1 miRNA 155 ed Alzheimer

1.9 Gli Esosomi

1.9.2 Esosomi di origine neuronale

1.9.3 Esosomi ed Alzheimer

SCOPO DELLA TESI

2. MATERIALI E METODI

2.1 Pazienti

2.1.1 Separazione del plasma da sangue periferico

2.1.2 Separazione del siero da sangue periferico

2.1.3 Separazione dei linfociti da sangue periferico

2.1.4 Estrazione del RNA da linfociti e plasma

2.1.5 Quantificazione di RNA/DNA/proteine

2.1.6 Retrotrascrizione

2.1.7 Reazione a catena della Polimerasi (PCR)

2.1.8 Real Time-PCR

2.1.9 Elettroforesi su gel d’agarosio

2.1.10 Sequenziamento del DNA

2.2 Analisi degli esosomi e dei miRNA esosomiali

2.2.1 Estrazione di esosomi da siero

2.2.2 Estrazione di esosomi da plasma per microscopia elettronica e

spettrometria di massa

2.2.3 Identificazione di esosomi al microscopio elettronico

2.2.4 Nanosight

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2.2.5 Identificazione di proteine circolanti nel plasma e di quelle contenute

in esosomi

2.2.6 SDS-PAGE per l’analisi di estratti proteici

2.2.7 Rilevazione delle proteine

2.2.8 Arricchimento di esosomi di origine neuronale da plasma

2.3 Analisi statistica dei pazienti

2.3.1 Analisi statistica dei dati

3. RISULTATI

3.1

Pazienti

3.2

Analisi dell’OAS1 in linfociti

3.3

Analisi dell’OAS1 in esosomi

3.4

Sequenziamento del DNA

3.5

Analisi del miRNA-155 in linfociti

3.6

Analisi del miRNA-155 in esosomi

3.7

Caratterizzazione degli esosomi mediante spettrometria di massa

3.8

Analisi del miRNA 155 nell’arricchimento di esosomi di origine

neuronale da plasma

3.9

Confronto tra miRNA 155 in esosomi totali ed esosomi neuronali

3.10

Analisi di esosomi mediante NTA

3.11

Caratterizzazione di esosomi mediante microscopia elettronica

3.12

Analisi statistica degli analiti clinici di routine

4. DISCUSSIONE

5. CONCLUSIONI

6. BIBLIOGRAFIA

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RIASSUNTO

ALZHEIMER E NEUROINFIAMMAZIONE: CONFRONTO DI BIOMARCATORI

IN PLASMA, SIERO E LINFOCITI

La malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD) è una malattia neurodegenerativa considerata la forma più comune di demenza. Essa è caratterizzata da un iniziale danno cognitivo lieve che può evolvere fino ad una forte limitazione delle attività quotidiane. La malattia sembra essere causata dalla presenza di depositi della proteina beta-amiloide (placche Aβ) al di fuori dei neuroni, e dall’iperfosforilazione della proteina tau, la quale genera fibre anomale e contorte che si accumulano all'interno dei neuroni. Tuttavia, ad eccezione di una piccola percentuale (1-5%) che si sviluppa in seguito a mutazioni geniche, la causa della maggior parte dei casi di Alzheimer è ancora sconosciuta.

Lo scopo di questa Tesi è indirizzato alla ricerca di possibili biomarcatori per AD, e poiché ad oggi è molto difficile determinare il contenuto di molecole tossiche all’interno del cervello quando un paziente è ancora in vita, ci proponiamo di trovare a livello periferico delle sorgenti di informazioni molecolari collegate all’evoluzione ed alla gravità della malattia.

Recenti studi hanno inoltre dimostrato che una delle cause di degenerazione dei neuroni può essere conseguente all’attivazione del sistema immunitario innato dipendente dall’interferone beta, che normalmente risponde ad infezioni virali o batteriche attraverso la produzione di linfociti T, popolazioni di globuli bianchi in grado di riconoscere specifici antigeni e di determinare una risposta adeguata. I linfociti T attraversano la barriera emato-encefalica ed effettuano un cross-talk con i neuroni: possono quindi essere utilizzati come strumento informativo sull’insorgenza e/o l’evoluzione dell’AD. Partendo da queste basi, abbiamo analizzato nei linfociti di pazienti con AD, l’espressione dell’2’-5’oligoadenilato sintetasi (OAS1), in quanto proteine appartenenti ad un pathway coinvolto nella risposta infiammatoria ed attivato dall’interferone beta.

Una seconda fase di ricerca è stata incentrata sullo studio dei microRNA (miRNA). I miRNA sono piccole sequenze di RNA endogeno non codificante (circa 20-25

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nucleotidi) attive nella regolazione dell'espressione di proteine, in quanto inducono silenziamento genico. L'alterazione dell'espressione di miRNA può provocare una deregolazione di geni chiave e dei pathway che contribuiscono allo sviluppo della malattia. Abbiamo analizzato in particolar modo l’espressione del miRNA 155 (principale miRNA coinvolto nei processi infiammatori) all’interno di linfociti ed esosomi. I principali carrier di miRNA nel sangue sono gli esosomi, vescicole di membrana, del diametro di circa 50-100 nm, derivate dal sistema endosomiale, coinvolte nella comunicazione intracellulare. Poiché è stato riportato che gli esosomi durante gli stati patologici veicolano importanti informazioni attraverso proteine, DNA, mRNA e miRNA, abbiamo caratterizzato il loro contenuto nei pazienti con AD. Abbiamo fatto un confronto tra plasma, esosomi e linfociti nei pazienti rispetto a controlli sani dimostrando una correlazione tra risposta infiammatoria e presenza della malattia. Gli esosomi estratti da siero sono stati osservati al microscopio elettronico per identificare eventuali differenze di forma, dimensioni e numero tra pazienti con AD e controlli sani. Infine, per avere un quadro specifico della malattia, abbiamo elaborato un database nel quale abbiamo raccolto i dati delle analisi ematologiche di routine dei pazienti affetti da AD, e mediante analisi statistica abbiamo cercato eventuali correlazioni con la malattia di AD di alcune molecole significative soprattutto per la neuroinfiammazione, quali Interleuchine, fattori trofici e citochine.

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ABBREVIAZIONI

Peptide beta amiloide AD Alzheimer’s Disease

APC Cellule presentanti l’antigene (Antigen Presenting Cell)

APO e Apolipoproteina E

APP Proteina Precursore dell’Amiloide

BBB Barriera emato-encefalica (Blood Brain Barrier) BCSFB Barriera sangue liquido cerebrospinale (Blood

Cerebrospinal Fluid Barrier) CDR Clinical Dementia Rating Scale CSF Cerebrospinal Fluid

CTR Controllo

DAT Demenza tipo Alzheimer

EO-FAD Early-onset familiaL Alzheimer's disease HHV Human Herpes Virus

HSV Herpes Simplex Virus

IFN Interferone

IL Interleuchine

LO-SAD Late- onset sporadic Alzheimer’s disease MAP Proteina associata ai microtubuli (Microtubule

Associated Protein)

MAPT Proteina Tau associata ai microtubuli (Microtubule Associated Protein Tau)

MCI Mild Cognitive Impairment MMSE Mini-Mental State Examination

NFT Grovigli neurofibrillari (Neurofibrillary Tangle Protein)

OAS 2’-5’ oligoadenilato sintetasi

PHF Filamenti appaiati a disposizione elicoidale (Paired Helical Filament)

PSN 1 Presenilina 1 PSN 2 Presenilina 2

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1.INTRODUZIONE

1.1 La malattia di Alzheimer: clinica e diagnosi

La malattia di Alzheimer (AD) è una malattia neurodegenerativa con decorso progressivo considerata la causa più comune di demenza nella popolazione mondiale con più di 65 anni (50-70% di tutti i casi di demenza). (Lashley et al., 2018)

Dal punto di vista clinico è caratterizzata da compromissione cognitiva:

•declino della memoria - sintomo principale, in particolar modo all’esordio della malattia; i primi ricordi ad essere dimenticati sono i ricordi episodici recenti, mentre la memoria episodica, la memoria di lavoro e la memoria semantica sono conservate a lungo;

•disturbo linguistico - inteso come difficoltà di trovare le parole, è un sintomo precoce e molto comune nell'AD;

•declino delle abilità visuospaziali - si verifica anche nelle fasi di demenza lieve e progredisce nel corso della malattia.

Sono presenti anche sintomi comportamentali che spesso comportano limitazione nelle attività quotidiane: apatia, ansia, depressione ed irritabilità i quali, una volta manifestati, tendono a peggiorare nel corso della malattia. Ad essi si aggiungono disturbi dell’appetito e del sonno, disinibizione ed alterazioni percettive (allucinazioni) che si verificano comunemente nelle fasi intermedie del decorso della demenza. Da un punto di vista neuropatologico, l’AD è caratterizzata da:

(1) perdita neuronale in specifiche regioni del cervello, in particolare nel lobo temporale mediale e nella corteccia associativa temporo-parietale;

(2) intrecci neurofibrillari intraneuronali composti da proteina tau aggregata ed iperfosforilata;

(3) placche neuritiche extracellulari che consistono in depositi di β-amiloide, principalmente la sua isoforma di 42-amminoacidi (Aβ42). (Xiao et al., 2017)

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1.2 Eziologia

L’AD può essere di origine:

•familiare - l’AD familiare ad esordio precoce (early- onset Familial AD, EO-FAD),

rappresenta una piccolissima percentuale di casi che va dall'1% al 5% derivante da rare mutazioni nel gene codificante per il precursore dell'amiloide (Amyloid Precursor Protein, APP) o nei geni codificanti per le Preseniline 1 (PSN1) e 2(PSN2); più della metà di tali mutazioni aumentano la produzione di una piccola proteina chiamata Aβ42;

•sporadico - l’AD sporadico ad insorgenza tardiva (late-onset sporadic AD, LO-SAD), invece, include la maggior parte dei casi (> 99% dei pazienti), non presenta ereditarietà autosomica dominante ma è influenzata dall'azione combinata di molteplici fattori di rischio ambientale. (un importante fattore di rischio genetico per LO-SAD è costituito dall'allele ɛ4 del gene dell'apolipoproteina E (APOE4) (Small S.A et al.,2015)); anche nel LO-SAD si evidenzia un’alterazione del metabolismo dell’APP che dà origine all’Aβ42. (Sangyun.,2017)

1.2.1 APP e biogenesi di Aβ

APP è una proteina integrale di membrana espressa in molti tessuti e concentrata nelle sinapsi neuronali. La sua funzione primaria non è nota, ma è sicuramente implicata nella formazione e nel rimodellamento delle sinapsi, nella plasticità neurale, nell’adesione, migrazione e segnalazione cellulare, nell’apoptosi e nel trasporto assonale. (Hardy et al., 2002)

Strutturalmente è formata da un dominio amino-terminale extracellulare, da una singola porzione transmembrana e da una coda carbossi-terminale intracellulare. L'APP viene sottoposta a varie modifiche post-traduzionali: ai fini della biogenesi dei peptidi β-amiloidei sono significative le scissioni che la proteina subisce da parte di tre secretasi: α β, γ. L'APP è processata attraverso due vie proteolitiche: una via amiloidogenica ed una non amiloidogenica; i prodotti di queste due vie si escludono a

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vicenda: per questo motivo le secretasi coinvolte competono per il substrato APP.

(Figura 1)

In condizioni fisiologiche, nella via non amiloidogenica, la forma matura dell’APP viene scissa proteoliticamente da due tagli successivi, operati prima dall'α-secretasi e poi dall'γ-secretasi: viene prodotto così un peptide innocuo, chiamato p3.

In alternativa, l’APP può essere processata attraverso la via amiloidogenica; in questo caso il rilascio del peptide amiloide è mediato dall’azione sequenziale di due secretasi β e γ.

La β-secretasi, chiamata anche BACE (β-site APP cleaving enzyme), è una proteasi transmembranaria che opera un taglio differente: infatti, dopo il taglio da parte della γ-secretasi, vengono prodotti due peptidi di 40 e 42 amminoacidi, chiamati beta-amiloide (Aβ40 e Aβ42), di cui il secondo è considerato il più tossico a livello neuronale.

Nei soggetti sani il processo di degradazione dell’APP sembra essere operato principalmente dall’α-secretasi. Per motivi non ancora del tutto chiari, nei soggetti malati l'enzima che interviene sull'APP non è l'α-secretasi ma la β-secretasi, con una larga produzione di proteina beta-amiloide. (De Strooper et al., 2010)

La γ-secretasi è un complesso proteico dato dalla presenza di quattro proteine di membrana in cui la presenilina 1 o la presenilina 2 costituiscono le subunità catalitiche. (Tomohiro et al., 2017)

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Figura 1. B Amiloidogenesi dell’APP e successiva formazione dei peptidi Aβ.

1.2.2 Fibrille β- Amiloide

In diversi studi è stato dimostrato che Aβ prende parte a diverse attività, come l’attivazione di chinasi, la protezione contro lo stress ossidativo, la regolazione del trasporto di colesterolo, fattore di trascrizione, e attività antimicrobica.

L’auto-associazione delle fibrille amiloidi, che sono materiale proteico insolubile, causa aggregati che si accumulano nel cervello. Il meccanismo di aggregazione fibrillare non è stato ancora completamente compreso. (Kienlen-Campard et al., 2006)

Le forme aggregate del peptide Aβ sono correlate con la morte delle cellule neuronali in modo diretto attraverso la disregolazione del calcio, stress ossidativo ed infiammazione, ed in modo indiretto attraverso l’iperfosforilazione e l’aggregazione della proteina tau. Si può affermare dunque che, a prescindere da quale meccanismo venga adottato, la citotossicità di Aβ è stata collegata alla sua aggregazione poiché la forma monomerica ha apparentemente una scarsa tossicità. (Folcha et al., 2018)

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Le placche amiloidi sono particolarmente numerose nella sostanza grigia della neocorteccia e dell’ippocampo, ma si osservano anche nei gangli della base, nel talamo e nel cervelletto.

1.2.3 L'allele ɛ4 del gene dell'apolipoproteina E

Tra il 40 e l’80% delle persone con AD sono in possesso di almeno un allele APOEε4 il quale aumenta il rischio della malattia di 3 volte negli eterozigoti e di 15 volte negli omozigoti. (Small S.A et al.,2015)

Le apolipoproteine sono proteine capaci di legare lipidi; sono costituenti delle lipoproteine plasmatiche, aggregati molecolari deputati al trasporto di colesterolo e trigliceridi attraverso la circolazione ai vari tessuti e organi.

L’ApoE ha la caratteristica di legarsi specificamente ai recettori per le LDL e regola quindi il catabolismo delle lipoproteine ricche in trigliceridi e colesterolo. Le lipoproteine vengono così eliminate dal plasma molto più velocemente nei portatori dell’allele ApoE4: tutto ciò causa una “downregulation” dell’espressione dei recettori per LDL epatici, con un conseguente aumento del tasso di colesterolo plasmatici. Si conclude che l’isoforma ApoE4 non determina la malattia, ma ne aumenta la probabilità. (Liu et al., 2013)

1.2.4 Proteina Tau e Grovigli neurofibrillari

La proteina Tau, scoperta nel 1975, appartiene alla famiglia delle proteine associate ai microtubuli (Microtubules Associated Proteins, MAP); è coinvolta nella stabilizzazione del citoscheletro microtubulare. (Nizynski et al., 2017)

E’ stata identificata una forma patologica di Tau nei pazienti con AD: infatti, l’anomala fosforilazione di Tau da parte di una chinasi porta a strutture molecolari costituite da filamenti proteici appaiati con disposizione elicoidale, (Paired Helical Fragments, PHF) che causa il disassemblaggio dei microtubuli ostacolando il trasporto assonale e, in definitiva, la funzionalità sinaptica e neuronale (Dunckley et al., 2006). I

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PHFneoformati, infatti, si associano ulteriormente ai grovigli neurofibrillari (Neurofibrillary Tangles NFT). Le NFT hanno origine come strutture intracellulari localizzate all'interno del soma neuronale e dei dendriti, e diffondono successivamente nello spazio extracellulare. (Figura 2)

La fosforilazione e la defosforilazione svolgono un'importante funzione fisiologica, poichè modulano l'affinità di Tau per i microtubuli; inoltre Tau iperfosforilata si accumula sotto forma di NFT non solo nell’AD ma anche in altre taupatie. Proteinchinasi che possono fosforilare Tau sono: glicogeno sintasi chinasi 3β (GSK3P), proteinchinasi A (PKA), chinasi ciclina-dipendente 5 (cdk5), chinasi regolatoria associata ai microtubuli (MARK), e chinasi N-terminale chinasi / c-jun attivata da stress (SAPK/JNK).

Le fosfatasi che possono invece defosforilare Tau nel cervello umano sono: PP1, PP2A, PP2B, PP5: tra queste PP2A è considerata cruciale.

L’elevata produzione ed aggregazione dei peptidi Aβ portano all'accumulo di specie tossiche di quest’ultimi causando malattie cerebrali e demenza. La patologia di Tau in AD è il risultato dell'aggregazione dei peptidi Aβ. (Nizynski et al., 2017)

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1.3 Criteri diagnostici

Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) ad oggi definisce quale sia lo standard diagnostico per la demenza; sono riscontrabili due sindromi cognitive: grave e lieve danno cognitivo. La differenza consiste nel fatto che il danno

grave richieda un declino cognitivo oggettivo così grave da interferire con le attività

della vita quotidiana; mentre i pazienti con danno lieve cognitivo hanno un declino cognitivo che non li priva ancora della capacità di condurre uno stile di vita indipendente. (American Psychiatric Association., 2013)

Clinicamente, la conoscenza della gravità della demenza è utile per una rapida comunicazione sulla malattia, per prendere decisioni di gestione e per la selezione di opzioni farmacologiche che sono state approvate per diversi livelli di gravità della malattia.

Su una scala diagnostica attualmente viene utilizzato il termine “Mild Cognitive

Impairment “(MCI) introdotto da Petersen nel 1999, nel contesto del concetto di

“continuum cognitivo” tra normalità e demenza. MCI rappresenta uno stato di transizione tra invecchiamento sano e AD molto lieve. La diagnosi viene fatta non solo attraverso l’osservazione clinica e test neuropsicologici (ad es. Mini-Mental State

Examination, MMSE), ma anche attraverso test psicofisiologici (P300) e

neuroimaging: tutto richiede un giudizio clinico ponderato (Grundman et al., 2004). Il declino cognitivo lieve può precedere anche di diversi anni la comparsa della demenza conclamata, a tal proposito sono state sviluppate numerose scale di valutazione e stadiazione della demenza.

Il MMSE è utilizzato per valutare la presenza di un deterioramento cognitivo; è costituito da 30 domande, riferite a sette diverse aree cognitive: orientamento nel tempo e nello spazio, registrazione di parole, attenzione e calcolo, rievocazione, linguaggio, prassi costruttiva. Il punteggio totale copre un range che va un minimo di 0 ad un massimo di 30 punti. Un punteggio pari a 25 è considerato bordeline tra la compromissione e la normalità cognitiva. (Arevalo‐Rodriguez et al., 2015)

L'onda P300 è una reazione diretta misurabile del cervello a un determinato stimolo sensoriale, cognitivo o meccanico. Appartiene ai cosiddetti Potenziali evocati

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evento-15

correlati, che sono risposte elettrofisiologiche. È di origine endogena e si evidenzia nei compiti cognitivi, quando si presta attenzione ad uno stimolo che differisce dagli altri (Medvidovic et al.,2013).Nella versione uditiva di questo test vengono usati due toni diversi, in cui quello più acuto appare meno volte dello stimolo di frequenza più bassa: il soggetto testato deve contare i toni acuti discriminandoli da quelli bassi. Viene registrata sullo scalpo una deflessione positiva (voltaggio negativo) con una latenza intorno ai 300 ms: il segnale solitamente è più potente a livello del lobo parietale. La sua presenza, ampiezza, topografia e latenza sono spesso usati come misura delle funzioni cerebrali in compiti di decisione.

La stadiazione della gravità della demenza è importante per scopi clinici e di ricerca: viene per questo motivo uitlizzata la Clinical Dementia Rating Scale (CDR) della Washington University, uno strumento di valutazione globale. La CDR è ottenuta attraverso interviste semistrutturate di pazienti e caregiver: il funzionamento cognitivo è valutato in 6 domini (memoria, orientamento, giudizio e problem solving, attività sociali, casa e hobby, e cura della persona). Ogni dominio è valutato su una scala di 5 punti come segue:

•0 = Normale

•0,5 = Demenza molto lieve •1 = Demenza lieve

•2 = Demenza moderata •3 = Demenza grave.

La memoria è considerata la categoria principale e tutte le altre sono secondarie. (Sid E. O'Bryant et al.,2008). Il punteggio CDR (0-18) si ottiene sommando ciascuno dei punteggi della casella del dominio.

1.4 Epidemiologia

Secondo le statistiche attuali l’AD è considerata la "pandemia del 21° secolo", non solo per l'alta prevalenza della malattia ma anche per gli elevati costi sociali. Nonostante i progressi scientifici e clinici compiuti dalla ricerca sull’AD negli ultimi 30

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anni, i trattamenti attualmente disponibili sono tutti sintomatici, cioè riducono i sintomi della malattia agendo su diversi livelli del processo neuropatologico, ovvero possono migliorare la qualità della vita dei pazienti, ma nessuno di questi è realmente in grado di rallentare la rapida progressione della malattia. (Folcha et al., 2018)

L’ADrappresenta la sesta causa di morte più comune a livello mondiale: a partire dal 2015, c'erano circa 47 milioni di persone con demenza in tutto il mondo, e si prevede che il numero aumenterà a circa 75 milioni nel 2030.

Solitamente i primi sintomi clinici si verificano dopo i 65 anni. Oltre l’età, tra gli altri fattori di rischio rientrano bassi livelli di istruzione e di occupazione; storia familiare; lesioni cerebrali traumatiche moderate o gravi e fattori di rischio cardiovascolare. Anche il genere incide sulla prevalenza della malattia: infatti circa i due terzi di tutti i pazienti con diagnosi di AD sono donne; inoltre anche la razza è un fattore rilevante: afroamericani ed ispanici più anziani hanno una prevalenza più alta rispetto ai caucasici della stessa età. (Hebert et al., 2003)

1.5 La Neuroinfiammazione

Con il termine “neuroinfiammazione” si fa riferimento alla risposta infiammatoria del Sistema Nervoso Centrale (SNC), mediata da astrociti e cellule della microglia. (Mietelska-Porowska et al., 2017)

L'infiammazione è una risposta fisiologica protettiva necessaria per regolare i processi associati ai meccanismi di danno nell'organismo. Diverse azioni correlate alle attività infiammatorie generali comprendono la protezione contro i microrganismi, la riparazione dei tessuti e la rimozione dei detriti cellulari. Il SNC possiede però alcune caratteristiche che differenziano le attività immunitarie ed infiammatorie del nevrasse da quelle che si verificano nel resto del corpo. Principalmente queste differenze derivano dalla presenza della barriera emato-encefalica (Blood-Brain Barrier, BBB) che limita il passaggio dei leucociti nel parenchima cerebrale, e anche a causa delle interazioni cellulari della microglia e degli astrociti, responsabili della maggior parte delle risposte immunitarie/ infiammatorie del SNC. Sebbene la

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neuroinfiammazione si presenti innatamente come meccanismo protettivo quando nel SNC è presente una lesione, l'alterazione di uno qualsiasi dei componenti di questa risposta può compromettere il microambiente cellulare e diventare nocivo per il cervello. Molte condizioni neurodegenerative, inclusa l'AD, sono state associate alla presenza di neuroinfiammazione anormale. (González-Reyes et al., 2017)

Ad oggi dunque la neuroinfiammazione è considerata un'arma a doppio taglio (Chen et al.,2016). Gli elementi principalmente coinvolti nella neuroinfiammazione sono:

1. L’attivazione della microglia e degli astrociti 2. Il reclutamento dei linfociti T nel SNC

3. La presenza di virus nel SNC

1.5.1 Microglia ed astrociti

Nel cervello di pazienti affetti da AD la deposizione di placche Aβ e NFT porta all’attivazione della microglia e degli astrociti, cellule cerebrali non neuronali residenti. Questa immunità innata locale comporta l’attivazione di varie proteine correlate all'infiammazione, comprese le proteine di fase acuta, i fattori del complemento, le chemochine e le citochine proinfiammatorie. (Wojsiat et al.,2017)

Le cellule della microglia sono la prima e principale difesa immunitaria attiva del SNC rappresentando infatti la popolazione di macrofagi residenti.

Sono presenti in vaste regioni del nevrasse dove si muovono costantemente per verificare l’eventuale presenza di neuroni danneggiati, agenti infettivi o placche, poiché hanno la capacità di fagocitare le tossine, rilasciare fattori tossici e svolgere la funzione di cellule presentanti l’antigene (Antigen Presenting Cells, APC); oltre a ciò sono cellule capaci di monitorare e proteggere il rimodellamento delle sinapsi e della plasticità dei circuiti neuronali. (Aloisi et al., 2001)

Pur essendo il tessuto nervoso separato dal resto del corpo dalla BBB (costituita da cellule endoteliali) che dovrebbe evitare l’ingresso di agenti infettivi, è possibile però che essi riescano ad attraversarla, ed in questo caso le cellule della microglia

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dovranno agire immediatamente per incrementare l'infiammazione e distruggere gli agenti infettivi prima che danneggino il tessuto.

All’interno del SNC, le cellule della microglia presentano due fenotipi funzionali: “M1 pro-infiammatorio”, corrispondente anche allo stato di “attivazione classica” e “M2 immunosoppressivo”, corrispondente allo stato di “attivazione alternativa”. (Tang et al.,2016)

Il fenotipo M1 è il primo a prendere parte all’infezione: agisce in modo immediato contro agenti patogeni attraverso il rilascio di fattori pro-infiammatori e vari mediatori neurotossici: fattore di necrosi tumorale-α (Tumor Necrosis Factor, TNF-α), interleuchina-1β (IL-1β), superossido, ossido nitrico (Nitric Oxide, NO), le specie reattive dell'ossigeno (Reactive Oxygen Species, ROS).

Il fenotipo M2 smorza le risposte immunitarie pro-infiammatorie e promuove l'espressione dei geni di riparazione. La microglia M2 utilizza quattro principali citochine anti-infiammatorie tra cui IL-4, IL-13, IL-10 e fattore di crescita trasformante (Transforming Growth Factor, TGF)-β per antagonizzare le risposte pro-infiammatorie. La disattivazione acquisita è un altro stato per alleviare l'infiammazione acuta: è indotta principalmente dall'assorbimento di cellule apoptotiche o dall'esposizione all'insulto di citochine anti-infiammatorie come IL-10 e TGF-β. (Tang et al.,2016) Anche gli astrociti sono importanti cellule residenti nel SNC coinvolte in diversi aspetti fisiologici, fondamentali per il mantenimento dell’equilibrio omeostatico.

Insieme con la microglia rispondono ad agenti pro- ed anti-infiammatori. A seconda delle citochine, gli astrociti modificano il loro fenotipo, da uno stato attivo ad uno disattivo: alti livelli di interferone (IFN)-γ, IL-1β, IL-6 e TNF portano gli astrociti ad adottare uno stato di attivazione classica (maggiore attivazione della via NF-KB, produzione di ROS e NO e rilascio di 1β, 6 e TNF), mentre livelli aumentati di IL-4 e di IL-13 determinano un'attivazione alternativa (aumento della secrezione di IL-IL-4 e diminuzione della produzione di ROS e NO); al contrario, alti livelli di IL-10 e TGF-β inducono la disattivazione astrocitica (riduzione della sorveglianza immunitaria e segnalazione proinfiammatoria). (González-Reyes et al., 2017)

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1.5.2 Il reclutamento dei linfociti

Già nei primi stadi della malattia di AD, la BBB non è più in uno stato fisiologico, risultando infatti permeabile: questa permeabilità aumenta la quantità di Aβ e di altre tossine nel cervello. (Wojsiat et al.,2017)

A segnalare questa condizione patologica saranno chemochine e citochine rilasciate dall’ attivazione della microglia, dalla distruzione dei neuroni e dalle cellule astrogliali. Le chemochine secrete dalle cellule cerebrali possono richiamare le cellule immunitarie, presenti nel circolo ematico, che facilmente attraversano la barriera rappresentata dal liquido cerebrospinale (Blood Cerebrospinal Fluid Barrier, BCSFB) e la BBB. I monociti, infatti, possono attraversare la BBB e prendere parte alla fagocitosi delle placche Aβ come macrofagi. Oltre ai macrofagi, vengono attivati anche i linfociti T che migrano dal sangue periferico infiltrandosi nel cervello, contribuendo così non solo alla risposta immunitaria ma anche alla progressione della neurodegenerazione in AD. (Wojda et al., 2016)

In condizioni fisiologiche, i leucociti (granulociti,linfociti T e B) rimangono all'esterno del parenchima del SNC, in particolar modo nei compartimenti perivascolari dove i linfociti naïve si legano in modo inefficiente alle cellule endoteliali. La presenza di una risposta infiammatoria determina che le cellule endoteliali dei vasi meningei e coroidei divengano più adesive; intanto i linfociti vengono attivati nei linfonodi cervicali nei quali sono presenti gli antigeni derivati dal SNC. I linfociti T escono marginalmente dal flusso sanguigno ed iniziano a legarsi e a “rotolare” sulla superficie delle cellule endoteliali, grazie a selectine quali Intercellular Cell Adhesion Molecule (ICAM)-1 e Vascular Cell Adhesion Molecule (VCAM)-1: strisciando sull’endotelio trasmigrano attraverso di esso. Il processo di trasmigrazione è mediato da interazioni tra integrine di leucociti, loro recettori ed altre molecole. (Prinz et al.,2017)

Queste alterazioni permettono ai linfociti T di penetrare la BBB ed entrare nel parenchima del SNC. (Figura 3)

Le cellule B, a differenza dei linfociti T, rimangono nella circolazione periferica e non si infiltrano attraverso la BBB. Il contributo delle cellule B nella patogenesi e nella fisiopatologia dell’AD è stato quindi sottostimato. (Wojsiat et al.,2015)

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Figura 3. Il reclutamento dei linfociti.

1.5.3 Linfociti

I linfociti, cellule effettrici dell’immunità adattativa, si dividono in B e T.

•I linfociti B, responsabili della risposta immunitaria umorale; sono in grado di riconoscere gli antigeni direttamente svolgendo anche il ruolo di APC ed eventualmente evolversi in linfociti B memoria dopo l'attivazione dovuta all'interazione con un antigene. In seguito a stimolazione, possono proliferare e trasformarsi in cellule effettrici, le plasmacellule, capaci di produrre anticorpi. Necessitano per la loro proliferazione di un'attivazione da parte di un linfocita T helper. Ne esistono alcune sottopopolazioni costituite da: cellule B follicolari, cellule B delle zone marginali e cellule B1.

•I linfociti T, responsabili dell’immunità adattativa cellulo-mediata, sono specializzati nel riconoscimento di microrganismi intracellulari; riconoscono un antigene non in forma solubile, ma solo se esso viene "presentato" sulla superficie di una cellula APC e complessato con le proteine del complesso maggiore di istocompatibilità (Major Histocompatibility Complex, MHC). I linfociti T possiedono un sistema di recettori (T-Cell Receptor, TCR),CD4-CD8, tramite i quali riescono a riconoscere il peptide antigenico presente in un complesso con le proteine dell'MHC (Gutcher et al.,2007). Ne esistono diverse sottopopolazioni, differenziate in base alla diversa funzione:T helper CD4+ e T citotossici CD8 +, T memoria, T regolatori,T Natural Killer (NK) e T γδ.

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Le cellule T e B mature, presenti in circolo e negli organi linfoidi secondari che non hanno mai incontrato l’antigene, sono chiamate linfociti naive (o vergini): una volta attivati dagli antigeni vengono indotti a proliferare ed a differenziarsi in cellule effettrici (capaci di eliminare l’antigene) o cellule della memoria.

1.5.4 Approfondimento sulle sottopopolazioni dei linfociti T

I linfociti T helper sono coinvolti sia nell’immunità adattativa, sia in quella innata Quelli CD4+ naive possono differenziarsi in cellule effettrici TH1 che producono IFN-γ,

TH2 che secernono IL-4 ed IL-5, TH17 che promuovono l’infiammazione e mediano le difese contro funghi e batteri extracellulari. (Abbas et al.; 2015).

I linfociti T CD8+ distruggono le cellule infettate dai microbi senza danneggiare le

cellule vicine o gli stessi linfociti.L’attivazione del linfocita T effettore avviene anche grazie a dei co-stimolatori (CD2, CD28, CD40L ed altri).Tra la membrana plasmatica della cellula APC e quella del linfocita T si viene a creare “la sinapsi immunologica”: si tratta di uno spazio chiuso tra linfociti e cellula bersaglio all’interno del quale vengono rilasciati gli enzimi (granzimi A, B, C, perforina, serglicina) che andranno a distruggere la cellula infettata. (Shin et al., 2013)

1.5.5 I linfociti come biomarcatori periferici

I linfociti rappresentano dei potenti biomarcatori periferici: prove crescenti indicano che nell’AD si verificano cambiamenti molecolari non solo nel SNC, ma anche nelle cellule periferiche, come i fibroblasti e le cellule del sangue (principalmente piastrine e linfociti) che tra l’altro sono facilmente disponibili per la diagnosi e per lo screening dei farmaci (Wojda et al., 2016)

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1.5.6 I linfociti ed il cross-talk

Per arrivare al cervello i linfociti T devono attraversare due barriere principali: BCSFB e BBB.

1.5.7 I linfociti T e la barriera ematoencefalica (BBB)

I vasi sanguigni che vascolarizzano il SNC sono dotati di una BBB. Le pareti dei vasi sanguigni sono costituite da cellule endoteliali tenute insieme dalle tight junctions; queste cellule svolgono svariate funzioni, come consentire il movimento di ioni, molecole e piccole cellule tra il sangue ed il cervello. La BBB permette non solo il controllo dell'omeostasi del SNC ma anche una corretta funzione neuronale, proteggendo il parenchima nervoso da tossine e patogeni, infiammazioni, lesioni e malattie.

La perdita di alcune proprietà della barriera durante malattie neurologiche provoca deregolazione ionica ed alterata modulazione dell'omeostasi, così come l'ingresso di cellule e molecole del sistema immunitario nel SNC, processi che portano a disfunzione e degenerazione neuronale. (Daneman et al.,2015)

È stato dimostrato infatti un aumento dei livelli di linfociti T periferici nei cervelli post

mortem dei pazienti con AD rispetto non solo a controlli sani ma anche rispetto a

soggetti affetti da altre malattie neurodegenerative. Un’alterazione della BBB causa una perdita dell’integrità delle tight junctions che tengono insieme le cellule endoteliali: ciò induce una maggiore permeabilità della barriera favorendo la migrazione delle cellule immunitarie periferiche (linfociti T) dal sangue al parenchima cerebrale, incrementando il processo neuroinfiammatorio.

Una delle principali caratteristiche dell’AD è l’angiopatia amiloide cerebrale (CAA), accumulo e deposizione di peptidi Aβ all’esterno della lamina basale dell’endotelio neurovascolare in conseguenza ad un danno della BBB

In condizioni fisiologiche i peptidi Aβ sono trasportati dal lume vasale al parenchima cerebrale da RAGE (Receptor for Advanced Glycosylation End- Products) e

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successivamente vengono rimossi dal parenchima per ritornare in circolo, inizialmente dal recettore per le LDL, successivamente da (P-gp) gliproteina P.

Nell’AD questo meccanismo è alterato per due motivi:

(1) aumentata espressione del recettore RAGE (inducendo una maggiore fuoriuscita dei peptidi Aβ nel parenchima cerebrale);

(2) riduzione dell’espressione del recettore per le LDL (inducendo una mancata clearance dei peptidi Aβ dal parenchima cerebrale al circolo). (Figura 4)

Tutto ciò conduce all’accumulo di peptidi Aβ nel parenchima cerebrale, che stimola la migrazione di cellule immunitarie dal circolo al parenchima(con la mediazione di VCAM-1).

Le placche Aβ attivano anche cellule microgliali che producono TNF-, il quale promuove la migrazione transendoteliale delle cellule T ed allo stesso tempo inibisce l’attivazione delle cellule astrogliali e l’iperproduzione di TGF-β, capace di promuovere la riduzione delle placche.

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1.5.8 I linfociti T e la barriera ematoliquorale (BCSFB)

La BCSFB è costituita dalle cellule epiteliali del plesso coroideo (tessuto vascolare presente in tutti i ventricoli cerebrali) e dalla membrana aracnoidea che avvolge l’encefalo; sia le cellule della membrana aracnoidea sia le cellule epiteliali del plesso coroideo presentano tight junctions. Il plesso coroideo è il sito principale ove viene a formarsi il liquido cerebrospinale o liquor (Cerebrospinal Fluid, CSF). (Lattera et al., 1999)

Il movimento di sostanze dal sangue nel CSF è per molti versi analogo a quello dal sangue al cervello, con molti degli stessi trasportatori e recettori presenti in entrambi i tessuti.

In condizioni fisiologiche, la BCSFB è una barriera selettiva che restringe il passaggio di molecole e cellule, incluse le cellule immunitarie circolanti, dal compartimento stromale al parenchima cerebrale. Nell’AD, la BCSF viene danneggiata, si ha la perdita delle tight junctions che legano le cellule del plesso. I linfociti T attraversano la barriera e producono mediatori infiammatori associati alla risposta immunitaria. Nel CSF dei pazienti affetti da AD sono stati riscontrati aumentati livelli di: •Citochine: TNF-, IL-6, IL8

•Chemochine: CXCL8, CCL11, CCL2

Allo stesso modo, nelle cellule epiteliali si riscontra un aumento dell’espressione di: •Molecole d’adesione: ICAM-1, VCAM-1, P-Selectina che portano al danno sulle tight

junction, modulando la migrazione delle cellule immunitarie al CSF.

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25 Figura 5. Migrazione dei linfociti T e dei mediatori della risposta immunitaria nella BCSFB

nell’AD.

1.6 Infezione e Neuroinfiammazione

Sono sempre più lavori in cui si ipotizza la presenza di virus all’interno del SNC come causa scatenante dell’AD: i virus, infatti, possono causare problemi neurologici attraverso meccanismi diversi tra cui effetti litici sulle cellule cerebrali ed induzione di apoptosi. (Readhead et al., 2018)

Il sistema immunitario innato funziona come prima linea di difesa contro un'infezione virale inducendo una risposta infiammatoria: vengono reclutate cellule immunitarie specifiche nell'area dell'infezione e viene attivata così una risposta immunitaria adattativa. (Sadler et al., 2008)

Per entrare nel cervello, il virus deve attraversare la BBB usando meccanismi che risultano ancora poco chiari. Numerosi studi hanno utilizzato modelli animali e sperimentazioni in vitro per comprendere quali meccanismi vi fossero alla base dell'introduzione del virus nel SNC attraverso la BBB. Attualmente il modello più accettato è l'ipotesi "Trojan Horse". Secondo questo modello, i virus entrano nel SNC come passeggeri nel traffico di cellule verso il cervello attraverso:

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2) il passaggio delle cellule T CD4+ infette.

Altre probabili cause di infezione del SNC potrebbero essere l’ingresso diretto del virus, per transcitosi delle cellule endoteliali microvascolari cerebrali (nel caso di HIV-1). (Figura 6).

Figura 6. Meccanismi di neuroinvasione da virus.

Nel SNC, dopo l'infezione iniziale, il virus rimane latente all'interno del parenchima. Sebbene di solito siano dormienti, i virus possono essere attivati in risposta ad uno stress, oppure quando il sistema immunitario viene compromesso. (Bourgade et al., 2015)

Gli agenti infettivi più studiati come possibili cause di AD negli esseri umani ed associati ad un declino cognitivo sono: Herpes Simplex Virus (HSV) di tipo 1 e 2 (HSV-1, HSV2), Herpes Human Virus (HHV)-6A e HHV-7, Citomegalovirus, Helicobacter pylori, Chlamydophila pneumoniae e Borrelia burgdorferi. (Mawanda et al., 2013)

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HSV, in particolare, è noto per danneggiare il SNC (Yuyan Wang et al., 2018). HHV-6A e HHV-7 sono molto comuni: la loro infezione e la successiva replicazione litica nei neuroni infetti potrebbe indurre l'apoptosi cellulare e costituire un meccanismo mediante il quale il virus provoca danni cerebrali.

Una parte importante della risposta immunitaria innata è l'induzione dell' IFN di tipo 1. La risposta all' IFN si attiva mediante il riconoscimento del virus da parte di alcune proteine della membrana cellulare (recettori Toll-like) o citoplasmatici (RIG-1, Mda-5, DAI e AIM2). Il riconoscimento di un virus da parte di queste proteine porta all'espressione dell' IFN di tipo 1 che si lega ai suoi recettori sulle cellule infette e sulle cellule vicine. L'attivazione del recettore di una cellula porta all'espressione di geni stimolati da IFN, le cui funzioni includono la replicazione e diffusione del virus di soppressione, l'attivazione di cellule Natural Killer e l'induzione di apoptosi. (Chen et al.,2016)

1.7 Risposta immunitaria innata ed Interferoni (IFN)

Gli IFN appartengono alla famiglia delle citochine e sono considerati componenti chiave della risposta immunitaria innata e la prima linea di difesa contro l'infezione da virus (Salder et al.,2009).Nell’uomo sono stati identificate tre classi di IFN, designate da I a III in base all'omologia della sequenza degli aminoacidi ed ai recettori che utilizzano.

Gli IFN di tipo I comprendono 13 sottotipi: IFN, IFN, IFN, IFN, IFN, IFN e IFN, i cui geni sono disposti in un cluster sul cromosoma 9. Coinvolgono il complesso IFNα (IFNα) il cui recettore eterodimerico, composto dalle due componenti, IFNAR1 ed IFNAR2, è presente in maniera ubiquitaria. La loro principale funzione è quella di intervenire nella risposta immunitaria innata verso patogeni di origine virale.

Gli IFN vengono prodotti durante un’infezione virale; una volta secreti, gli IFN esercitano la loro attività legandosi a specifici recettori presenti sulla membrana cellulare, stimolando la produzione nella cellula di alcuni enzimi antivirali; il numero dei recettori per l’IFN varia da cellula a cellula. (Fensterl et al.,2009)

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28 Pathway di IFN di tipo I

La trasduzione del segnale è mediata dalla via JAK/STAT. Il legame degli IFN di tipo I al proprio recettore determina l’attivazione delle proteine Tyk2 e JAK1 per trans fosforilazione; successivamente Jak1, grazie alla sua attività chinasica, fosforila residui di tirosina presenti nella porzione intracellulare del recettore in modo che vengano riconosciuti dai domini SH2 delle proteine STATs (“Signal Transducers and activators of transcription”), trasduttori del segnale ed attivatori della trascrizione (STAT1, STAT2, STAT3 e STAT5). Le proteine STAT, presenti nel citoplasma in forma monomerica, si associano così al recettore, e vengono a loro volta fosforilate dalla chinasi JAK1 adiacente. Gli eterodimeri STAT (1 e 2) si associano al fattore regolatore (IRF9) che formando il fattore di trascrizione (ISGF3).

Il recettore IFN di tipo II utilizza principalmente STAT1 come attivatore trascrizionale. STAT1 dimerizza formando il fattore di attivazione IFN (GAF).

Questi complessi si traslocano nel nucleo e legandosi ad elementi promotori ISRE o GAS, trascrivono geni stimolati con IFN, rispettivamente per le risposte di tipo I e III, o di tipo II. (Samuel et al., 2001) (Figura 7)

Dalla recente letteratura scientifica emergono più di 100 proteine sintetizzate in risposta all’interazione dell’IFN con il recettore cellulare. Le più studiate per la resistenza antivirale indotta dall’IFN sono: PKR, Ribonucleasi L; Proteine di resistenza ai Mixovirus (Mx); Deaminasi di adenosina RNA-specifica (ADAR-1); 2’-5’oligoadenilato sintetasi (2’-5’ OAS).

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29 Figura 7. Struttura e pathway di IFN/IFN

1.7.1 Le proteine 2’-5’ oligoadenilato sintetasi (OAS)

Le proteine 2’-5’ oligoadenilato sintetasi (OAS) sono una famiglia di proteine antivirali intracellulari. Questa famiglia è composta da 4 geni: OAS1, OAS2, OAS3 e OASL presenti sul cromosoma 12. La loro trascrizione è indotta sia dall’infezione virale sia dalla stimolazione IFN; si distinguono per la loro capacità di sintetizzare legami fosfodiestere 2’-5’ che polimerizzano l’ATP in oligomeri di adenosina.

L’OAS è espressa costitutivamente a livelli molto bassi e viene indotta da IFN di tipo I. La proteina si accumula nel citoplasma cellulare sottoforma di monomeri inattivi. All’attivazione da parte di dsRNA virale l’enzima oligomerizza (nel caso di OAS1) formando un tetramero che sintetizza 2’,5’ oligoadenilati che, a sua volta, attivano la RNaseL, la quale è espressa costitutivamente in modo inattivo; dunque gli oligomeri 2’-5’ attivano la forma latente di RNaseL (enzima litico) portando alla degradazione dell’RNA; così l’OAS insieme all’RNaseL costituisce una via di decadimento del RNA antivirale. (Salder et al.,2009) (Figura 8)

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OAS1 presenta due isoforme che producono due proteine di 40 e 46 KDa, le quali differiscono rispettivamente di 18 e 54 amminoacidi a livello delle loro estremità carbossiterminali.

OAS2 produce due proteine di 69 e 71 kDa mentre OAS3 produce una proteina da 100 kDa. La più caratteristica delle proteine OAS è OASL.

Le proteine della famiglia OAS consistono in OAS1, OAS2, OAS3 e OAS-like protein (OASL). Le proteine OAS1-3 hanno un’omologia significativa tra loro e differiscono solo nel numero di unità OAS: ne contengono rispettivamente una, due e tre unità. Studi recenti si sono concentrati sui modelli di espressione di OAS dopo varie infezioni virali. In particolare sono stati dimostrati tempi diversi di espressione delle OAS: un esempio è rappresentato dall’infezione da virus della dengue che causa l’induzione precoce e sovraregolata di OAS1, mentre OAS2 e OAS3 sono sovraregolati in seguito. (Yung et al., 2015)

Recente letteratura scientifica riporta la presenza di attività OAS nei sieri dei pazienti con infezioni virali e dopo il trattamento con IFN. È stato suggerito un modello in cui l’infezione porta ad alti livelli intracellulari di proteina OAS che viene poi rilasciata nell’ambiente extracellulare ed aiuterà a proteggere le cellule vicine dall’infezione. Il rilascio di OAS potrebbe agire come segnale specifico, indicando la lisi virale delle cellule e distinguendo la lisi virale dal danno tissutale di altra origine. Riteniamo che questo meccanismo funzioni localmente nel sito d‘ infezione, non a livello globale. (Kristiansen et al.,2010)

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Figura 8. Meccanismo d’azione della 2’-5’ oligoadenilato sintetasi (OAS1).

1.8 I microRNA: definizione e biogenesi

I microRNA (miRNA) sono una classe di piccole molecole di RNA non codificanti ed evolutivamente conservate. Presentano un singolo filamento, di lunghezza compresa tra i 18 e i 25 nucleotidi, svolgono un ruolo di regolazione dell’espressione genica a livello post-trascrizionale. (Faraoni et al., 2009)

Indirizzano le trascrizioni dell'mRNA attraverso l'associazione di base complementare al 3 'UTR, ciò causa una degradazione dell'mRNA target o un'inibizione traslazionale, consentendo ai miRNA di regolare il proteoma cellulare. (Harrison et al., 2017)

Attraverso questo meccanismo i miRNA sono coinvolti in quasi tutti i processi biologici, come la proliferazione, lo sviluppo, l’apoptosi, l'infiammazione e la loro espressione è altamente regolata, sia da enzimi che stabilizzano i miRNA maturi che da meccanismi epigenetici come la metilazione del DNA o la modificazione dell'istone. (Femminella et al.,2015)

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La biogenesi del miRNA è un processo a più fasi che avviene attraverso numerose modifiche post-trascrizionali. Inizia nel nucleo e termina nel citoplasma. (Figura 9)

Trascrizione

Primo enzima a prendere parte al processo è l'RNA polimerasi II che trascrive nel nucleo geni di miR generando lunghi trascritti primari (pri-miRNA) che possono contenere da uno a sei precursori per miRNA. Essi subiscono un processo di capping in posizione 5 'e di poliadenilazione 3'.

Processamento

Il pri-RNA presenta una struttura a doppio filamento la quale viene riconosciuta dalla proteina del nucleo nota come: DiGeorge Syndrome Critical Region 8 (DGCR8 o "Pasha" negli invertebrati) che si associa alla RNAasi di tipo III Drosha formando il “complesso microprocessore”. I pri-miRNA vengono successivamente tagliati dal microprocessore in pre-miRNA della lunghezza di 70-120nucleotidi.

Esportazione dal nucleo e processamento nel citoplasma

I pre-miRNA vengono poi esportati in citoplasma da exportin-5 grazie ad un trasporto attivo che utilizza come fonte di energia GTP legato alla proteina Ran (36). Nel citoplasma l’RNAasi di tipo III Dicer, associata ad una proteina cellulare TRBP e la proteina PKR-attivante (PACT), iniziano a processare il pre-miRNA formando molecole di RNA a doppio filamento lunghe circa 18-23 nucleotidi.

Un filamento viene selezionato sulla base della stabilità dell'estremità 5’ (filamento di guida) mentre l'altro capo (filamento passeggero) è solitamente degradato. A questo punto il miRNA viene caricato nel complesso di silenziamento indotto da RNA (RISC) contenente le proteine Argonaute (AGO), TNRC6A, e altre proteine leganti l’RNA. Il filamento incorporato in RISC interagisce con RNA bersaglio; infatti il miRNA si lega all’mRNA target per degradarlo o per inibire la traduzione.

La degradazione dell'mRNA bersaglio si verifica solo quando il miRNA e l'mRNA bersaglio sono esattamente (corrispondenza perfetta) o quasi esattamente complementari tra loro; infattise la complementarità tra miRNA e l'mRNA bersaglio è solo parziale (corrispondenza imperfetta), la traduzione verrà repressa. È stato

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stimato che una singola molecola di miRNA è in grado di legare circa 200 diversi trascritti. (Faraoni et al., 2009)

Figura 9. Biogenesi dei miRNA

1.8.1 miRNA 155 e Alzheimer

La maggior parte dei miRNA sono situati livello intracellulare ma, un numero significativo di miRNA è stato osservato al di fuori delle cellule, tra cui vari fluidi corporei (Hanson et al., 2009). I miRNA infatti possono essere trasportati al di fuori delle cellule e trovarsi così in diversi fluidi biologici quali: plasma, siero, saliva, urine, lacrime, latte materno. Questi miRNA extracellulari chiamati anche circolanti, vengono utilizzati come indici diagnostici extracellulari per alcune patologie. Il miRNA una volta maturo può essere incorporato nel RISC e appaiare con il suo mRNA target e reprimerne la traduzione o indurre la sua degradazione; oppure il miRNA maturo può essere esportato fuori dalla cellula e trasportato da 5 diversi carrier: esosomi, microvescicole, corpi apoptotici, proteine leganti l’RNA e HDL.Vengono inclusi in questi carrier poichè contengono RNA nudo, altamente instabile e soprattutto

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bersagliato dalle diverse esonucleasi presenti nei fluidi extracellulari. I miRNA circolanti rappresentano una nuova forma di comunicazione intracellulare attraverso il trasferimento di informazioni genetiche da una cellula donatrice ad una ricevente. (Kinet et al.,2013)

L'alterazione dell'espressione dei miRNA è stata associata a diversi processi patologici, inclusa la neurodegenerazione; infatti è stato dimostrato che specifici miRNA sono espressi nel sistema nervoso centrale (SNC), dove regolano la differenziazione neuronale, la plasticità sinaptica e la crescita dei neuriti. Nella ricerca di biomarcatori facilmente accessibili e non invasivi per la diagnosi e la prognosi della malattia di Alzheimer (AD), i miRNA sono ottimi candidati (Femminella et al.,2015). Nel nostro studio l’attenzione è stata focalizzata in particolar modo sul miR-155. Il miR-155 è generalmente considerato un miRNA multifunzionale. Viene trascritto da un gene non codificante denominato gene BIC, che è altamente conservato in molte specie e ampiamente espresso in vari organi, tessuti e tipi di cellule, indicando la sua versatilità funzioni in vari processi biologici. È stato dimostrato svolgere ruoli importanti in condizioni fisiologiche (per esempio, circolazione, emopoiesi, immunità e infiammazione), come nonché condizioni patologiche (ad es. malattie neoplastiche e disturbi cardiovascolari).

In diversi studi inoltre, è stato confermato che il miR-155 è sovraregolato durante l'infezione virale, è infatti un regolatore positivo del segnale JAK / STAT mirando, nei macrofagi, a SOCS1(soppressore della segnalazione di citochine 1), un regolatore canonico negativo di segnalazione IFN di tipo I. Questo meccanismo porterà non solo ad un aumento dell'espressione di geni antivirali indotti da IFN I come l’OAS 1 ma anche una risposta positiva nell'immunità innata antivirale dell’ospite. (Chenhe et al.,2011)

La letteratura scientifica riporta che l'espressione di miR-155, mediata da recettori Toll-like, aumenta le linee cellulari monocitiche durante l'infiammazione lipopolisaccaride (LPS). Una volta avvenuto il riconoscimento dei patogeni da parte dei recettori Toll-like su monociti o macrofagi, il miR-155 regola l'infiammazione acuta, entrando a far parte in questo modo nell'immunità innata. È suggerito anche che il miR-155 sia associato alle funzioni delle cellule T regolando il TCR e la

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produzione di citochine infiammatorie; queste prove suggeriscono che miR-155 è coinvolto nelle funzioni immunitarie delle cellule T e quindi nell'infiammazione anche durante l'AD. Sembra infatti che il miR-155 possa regolare la differenziazione, la proliferazione e l'attivazione delle cellule Th1, Th2 e Th17, Treg e CD8+ nello stato infiammatorio. (Juhyun et al., 2015) (Figura 10)

Figura 10. miR-155 è coinvolto nella risposta delle cellule T.Le cellule Th1 aumentano l'espressione del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) di classe II e CD86 in cellule presentanti l'antigene come i macrofagi. Le cellule Th1 Aβ-reattive aumentano la secrezione

di citochine infiammatorie come IFN-γ e TNF-α.

MiR-155 è associato inoltre a specifici geni di trascrizione che regolano l'attivazione delle cellule T; sembra modulare l'attivazione e la proliferazione delle cellule Treg durante l'infiammazione, inducendo FOXP3, inoltre regola la fosforilazione di STAT5 e SOCS1.

Regola anche SHIP1 che aumenta la sopravvivenza delle cellule T modulando la produzione di IFN-γ. (Song et al.,2015) (Figura 11)

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36 Figura 11. Geni target del miR-155 che regolano l’attivazione delle cellule T

Tutti questi risultati dimostrano che miR-155 è un miRNA proinfiammatorio, coinvolto in processi quali infiammazione e immunità, è up-regolato sia nei liquidi extracellulari, sia nel liquido cerebrospinale dei pazienti AD regolando le risposte immunitarie e infiammatorie innate nel cervello dell’AD. (Femminella et al., 2015)

1.9 Gli esosomi

I principali carrier dei miRNA sono gli esosomi, sono vescicole extracellulari nanometriche (30-100nm) generate dalla membrana plasmatica attraverso vie endocitiche (Xiao et al.,2017). La membrana plasmatica mediante il processo di gemmazione interna forma piccole vescicole, le quali si assemblano per formare l'endosoma precoce. A sua volta, la membrana dell’endosoma durante il processo di maturazione si invagina ulteriormente formando vescicole intraluminali (ILV). Durante questo processo tutte le molecole citoplasmatiche come le proteine, i lipidi, DNA, mRNA, miRNA gli RNA (38-40) sono incapsulati nel lume e accumulati nel tardo endosoma, formando così corpi multi-vescicolari (MVB); la formazione di ILV è regolata dal “Complesso di smistamento endosomiale richiesto per il trasporto” (ESCRT). (Kosaka et al.,2010)

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Gli MVB hanno due destini: alcuni vengono trasportati ai lisosomi per la degradazione (dMVB), altri invece si fondono con la membrana plasmatica e rilasciano ILV nello spazio extracellulare come esosomi (sMVB). La secrezione di esosomi è anche regolata dalla depolarizzazione della membrana. (Figura 12)

Figura 12. Rappresentazione dei principali tipi di vescicole extracellulari, delle loro caratteristiche e dei meccanismi di biogenesi

Le principali funzioni degli esosomi includono l'eliminazione dei rifiuti cellulari, la regolazione della risposta immunitaria e la comunicazione tra le cellule neurali oltre a partecipare alla regolazione dello sviluppo neuronale, alla rigenerazione e alla modulazione delle funzioni sinaptiche (Guitart et al.,2016). Essi vengono rilasciati sia in condizioni normali che patologiche, da quasi tutti i tipi di cellule incluse cellule neuronali come neuroni, astrociti, oligodendrociti e microglia. Sono presentiin quasi tutti i fluidi biologici: liquido cerebrospinale, saliva, sangue, urina e frazioni di fluidi corporei come siero e plasma. Una volta rilasciati nello spazio extracellulare, gli esosomi agiscono come messaggeri, possono infatti essere catturati da cellule vicine

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o interiorizzati da altre cellule distanti; oppure entrare nei fluidi corporei ed essere assorbiti da diversi tessuti. (Dreyer et al.,2016)

Gli esosomi presentano sulla propria superficie proteine comunemente definite esosoma-specifiche che sono, ad esempio, proteine di membrana (come le tetraspanine CD9, CD63, CD81) e le proteine appartenenti al complesso ESCRT (Alix, Tsg101). (Kanninen etal.,2016)

Quando sono rilasciati, gli esosomi vengono assorbiti dalla cellula ricevente, attraverso la fusione con la membrana plasmatica oppure attraverso una serie di meccanismi di endocitosi che sono diversi in base al tipo di cellula. Nel SNC, ad es., i neuroni internalizzano gli esosomi attraverso endocitosi o fagocitosi, mentre la microglia interiorizza queste vescicole di membrana attraverso la macropinocitosi. (Fitzner et al., 2011)

Durante l’ultimo decennio, tra i diversi meccanismi di comunicazione intercellulare studiati nelle malattie neurodegenerative, gli esosomi e le vescicole extracellulari sono emersi come componenti principali (SoriaN.et al.,2017); sono infatti state proposte come possibili biomarcatori per monitorare la progressione della malattia.

1.9.2 Esosomi di origine neuronale

Attualmente è difficile collegare la causa dell’AD studiando gli esosomi in quanto si ha un’incertezza relativa al loro tessuto di origine; gli esosomi però possono essere situati anche nel liquido cerebrospinale e nel cervello.

Essi vengono rilasciati infatti da diversi tipi di cellule presenti nel sistema nervoso centrale, inclusi i neuroni, gli astrociti, la microglia. Gli esosomi di origine neuronale, portano la proteina prionica ancorata al GPI, la molecola di adesione cellulare L1 e le subunità dei recettori del glutammato, indicatori della loro origine cellulare.

Gli esosomi inoltre possono facilmente entrare in contatto con il SNC attraversando la BBB dal sangue al cervello e viceversa. Ciò potrebbe indicare che sia gli esosomi neuronali che quelli periferici potrebbero servire come materiale rilevante per lo sviluppo di biomarcatori per le malattie del SNC (Kanninen et al.,2016).

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39 Figura 13. Elementi biologici in un esosoma neuronale, tra cui amiloide-β (Aβ), tau e

α-sinucleina.

Gli esosomi neuronali rappresentano il 10% degli esosomi totali (Mustapic et al, 2017). Vengono isolati da campioni di sangue da cui vengono poi estratti marcatori proteici quali Aβ e tau. (Figura 14)

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Diversi studi si sono focalizzati sul modo migliore per aumentare la purezza e la resa della separazione di esosomi dal sangue. L'isolamento dell'esosoma neuronale dall'esosoma a base di sangue avviene principalmente usando un antigene specifico (CD 56, CD 171) presente sulla superficie dell'esosoma neuronale. (Yoo et al., 2018) L’arricchimento neuronale di esosomi plasmatici infatti ha dimostrato essere un approccio più sensibile e specifico nel determinare i biomarcatori per i disturbi neurologici rispetto agli esosomi plasmatici o sierici non arricchiti.

1.9.3 Gli esosomi e l’Alzheimer

È stato ampiamente discusso quale sia il ruolo degli esosomi nella diffusione di proteine tossiche e nell'indurre la propagazione di malattie come l'AD.

È stato trovato che Aβ è accumulato negli MVB e può essere rilasciato nello spazio extracellulare attraverso gli esosomi.

A ciò va aggiunto che anche i miRNA trasportati all'interno di esosomi che la secrezione di enzimi che degradano i peptidi Aβ, possono attivare le funzioni delle cellule gliali, come l'attivazione della fagocitosi microgliale per la clearance dei dendriti neurodegeneranti. Per questo è stato proposto che gli esosomi microgliali e neuronali partecipino allo smaltimento di Aβ nel cervello, un concetto che diventa rilevante dato che l'alterazione della clearance dell'Aβ è una caratteristica dell'AD. (Mawuenyega et al., 2010)

All’ interno di endosomi precoci avviene la scissione della proteina precursore dell’amiloide (APP) che genera la β-amiloide (Aβ) la quale viene successivamente secreta nello spazio extracellulare attraverso gli esosomi. Inoltre, la presenza all’ interno di esosomi in vitro e in vivo di frammenti APP-C-terminali ha confermato il ruolo di queste vescicole nella diffusione del peptide Aβ. (Perez-Gonzalez et al., 2012) Tuttavia, esistono pareri contrastanti sulla stabilizzazione delle specie tossiche di Aβ all'interno degli MVB. Diversi studi hanno suggerito che gli esosomi possano promuovere l'aggregazione di Aβ, fungendo da centri di nucleazione per la

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formazione della placca. Questa ipotesi renderebbe gli esosomi come compartimenti neuroprotettivi, capaci di eliminare le specie oligomeriche tossiche di Aβ in favore delle fibrille più stabili e meno tossiche. Al contrario, altri autori propongono che gli esosomi possano interferire con specie di specie stabili trasformandoli in oligomeri neurotossici (Joshi et al., 2014). Il diverso meccanismo d’ azione è basato sull’ origine neuronale o mieloide degli esosomi, in quanto saranno proprio le diverse composizioni lipidiche di membrana potrebbero influenzare i gruppi Aβ.

Anche la presenza di tau iperfosforilata all’ interno di esosomi nel CSF dei pazienti con AD è una forte evidenza di come queste vescicole siano coinvolte nella malattia. Alcuni studi in vitro hanno confermato come la tau sovraespressa viene secreta attraverso gli esosomi nello spazio extracellulare e trasmessa per via trans-sinaptica. (Asai et al., 2015)

La rilevazione di proteine esosomiali in placche amiloidi neurali supporta la possibilità del loro ruolo nella generazione di lesioni associate all'AD. Per raccogliere ed arricchire gli esosomi derivati da piccoli volumi di plasma in quantità capaci di rilevare proteine implicate nella patogenesi dell'AD. (Fiandaca et al.,2015)

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2. SCOPO DELLA TESI

Scopo del presente studio sperimentale è indirizzato alla ricerca di possibili biomarcatori per l’AD, poiché ad oggi è molto difficile determinare il contenuto di molecole tossiche all’interno del cervello quando un paziente è ancora in vita. Quindi, ci proponiamo di trovare a livello periferico delle sorgenti di informazioni molecolari

collegate all’insorgenza e alla gravità della malattia. Nello specifico, abbiamo focalizzato l’attenzione su un particolare aspetto: la

neuroinfiammazione e i processi che essa comporta. Una prima fase della ricerca è basata sull’analisi dei linfociti come biomarcatori

periferici, in quanto essi sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e la barriera sangue-liquido cerebrospinale effettuando un cross-talk con i neuroni: in particolare, in essi è stata valutata l’espressione della OAS1, trascritta in seguito alla

risposta del sistema immunitario innato IFN-β dipendente. Nella seconda fase di ricerca abbiamo preso in considerazione il miRNA 155, come

principale miRNA coinvolto nella regolazione dei processi infiammatori, al fine di individuare una sua possibile deregolazione nei pazienti e quindi un suo ruolo nel processo patologico. La sua espressione è stata analizzata non solo nei linfociti dei pazienti AD e nei controlli sani, ma anche all’interno di esosomi, dato che numerosi

studi ipotizzano un loro coinvolgimento nella malattia. L’ importanza degli esosomi come possibili biomarcatori non è data solamente dall’

identificazione del loro contenuto, ma anche l’osservazione della loro morfologia e numero potrebbe fornire informazioni rilevanti per uno stato patologico. Per questo motivo abbiamo utilizzato la microscopia elettronica per poter confrontare le

differenze morfologiche, di dimensione e contenuto tra i pazienti AD e i controlli sani. Infine, partendo da un database in cui abbiamo raccolto i dati provenienti da analisi

cliniche di routine dei nostri pazienti, abbiamo eseguito un’analisi statistica cercando di individuare quali fossero quelli più significativamente correlati alla progressione o alla gravità della malattia.

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